Emergenza scuola fra saperi e senso di Giuseppe Limone (Riunione di Sos Scuola del 5 marzo 2015, appunti dal dibattito) Tommaso: ho conosciuto Giuseppe Limone a Roma una decina di anni fa. Svolgeva una relazione sull’idea di “persona” e il suo approccio mi è apparso immediatamente serio e interessante. Come Limone suggerisce nel testo che abbiamo letto, tutti si sciacquano la bocca col concetto di “persona”, di “solidarietà”, “accoglienza”, “inclusione” ma spesso ripetono frasi fatte, fanno affermazioni retoriche, rilanciano slogan o imbastiscono discorsi deboli, vuoti di contenuti e di pensiero. L’approccio di Limone mi è sembrato immediatamente serio e degno di essere approfondito. Ricordo che mi sono alzato e ho chiesto riferimenti bibliografici che mi aiutassero a capire in quale alveo del sapere, in quale filone di pensiero si muoveva. La cosa che mi colpì più di tutte era il fatto che non parlava della persona in un orizzonte comune, né in un orizzonte etico, ma cercava punti d’appoggio filosofici per fondare un modello epistemologico della persona. In seguito ho incontrato Giuseppe Limone in tre o quattro occasioni. Sono perfino andato a Caserta a seguire un dibattito in un convegno internazionale di studi su Emmanuel Mounier, il fondatore, in Francia negli anni Trenta del ’900, della rivista «Esprit» e del Personalismo comunitario. Giuseppe Limone insegna Filosofia della politica e del diritto alla Seconda università di Napoli ed è poeta. Si tratta di un vulcano sempre in eruzione che produce pensiero originale e bellissimo, proprio come certi zampilli di lava incandescente. Ho avuto l’opportunità di porre domande a Limone e di sentirmi dire da lui che le mie domande gli piacevano. Per esempio, nei giorni scorsi gli ho scritto, chiedendogli un paio di cose, e mi ha risposto che è necessario riflettere molto su quello che sta accadendo all’umanità, e che il cosiddetto post-umano è l’esito della ipertecnologizzazione del mondo, e una tragica illusione se si spera di sostituire il post-umano all’umano. Ho avuto anche l’onore e il piacere di recensire una sua raccolta di poesie intitolata Notte di fine millennio. Premesso questo, vi dico subito che potrei condividere molti pensieri sul breve testo che avevamo per oggi, a cominciare proprio dal titolo, ma non mi dilungherò perché forse presto potremo incontrarlo a scuola nel ciclo di conferenze che stiamo mettendo in piedi sul tema Quale uomo, quale cultura, quale scuola per il XXI secolo? e ognuno potrà abbeverarsi direttamente a una sorgente poderosa e cristallina. Parto dal titolo: L’emergenza Scuola e Università fra i saperi e il senso: per alcune considerazioni inattuali. I termini “emergenza”, “saperi e senso”, “considerazioni inattuali” mi invitano a nozze. Si parla di discipline, di materie, di scienze, negli ultimi tempi sempre più spesso solo di “saperi” e si pensa soprattutto alle conoscenze o alle nozioni tecnico-scientifiche, perfino in ambito umanistico, anche perché si pensa che questo sia il terreno solido sul quale si costruiscono le competenze con cui forse si mangia. Il resto è poesia, o filosofia, dunque inutile. Quelle cose solide che sono dati, nozioni, conoscenze osservabili e misurabili però oggi stanno nei computer e nelle reti, perciò non serve a nulla memorizzarle, quindi non serve a nulla la scuola. Il problema è che abbiamo buttato il bambino con l’acqua sporca: trascurando il senso delle cose, e considerando solo le cose, oggi siamo rimasti con un pugno di mosche in mano. Perciò, mai come oggi, come dice Limone nel titolo, ma non soltanto, e non soltanto lui (Benedetto XVI, per esempio, ha parlato spesso di emergenza educativa), è necessario interrogarsi sul senso della vita, di quello che impariamo, di quello che facciamo, di quello che consumiamo, di quello che comunichiamo. Qui Giuseppe Limone ci parla di cinque forme di catastrofe che incombono sull’umanità, se non ci accorgiamo che occorre cambiare rotta e vivere stili di vita più umani e sostenibili: «I, la sostenibilità in termini di uno sviluppo che non travalichi i limiti oltre i quali c’è la catastrofe ambientale; II, la sostenibilità in termini epistemologici, nello specifico senso che nessuno specialismo scientifico è più radicalizzabile in quanto tale, a pena di catastrofe della stessa scientificità; III, la sostenibilità in termini culturali, nel senso che ogni cultura e ogni visione del mondo debbono saper collocarsi nel quadro di condizioni invalicabili, in cui le differenze possano sussistere come tali, a pena della catastrofe di ognuna e di tutte; IV, la sostenibilità in termini valoriali, nel senso che a nessuna differenza culturale e a nessun mondo delle differenze è possibile svilupparsi se non all’interno di un minimo indiscutibile di valori forti condivisi; V, la sostenibilità in termini di senso, considerando che siamo pervenuti al punto tragicamente maturo – alto e pericoloso – per il quale nessun sapere scientifico può più prescindere dal problema del senso, a pena di catastrofe della stessa scientificità e della stessa civiltà». Per quanto riguarda l’espressione “considerazioni inattuali”, vi dico che Limone parla chiaro con una passione non comune, e quando parla prende di mira stereotipi e luoghi comuni, stanandoli dove meno ci si aspetterebbe di trovarli, allo scopo di costruire una vera e propria ecologia della mente, perché ritiene che siamo tutti un poco intorpiditi e bisognosi di essere liberati dalle pastoie ideologiche, anche quando crediamo che le ideologie siano morte. Ecco, Limone parla un linguaggio se necessario anche politically incorrect perché a lui interessa solo la verità, non risultare simpatico o fare bella figura. Veniamo ora a qualche altra affermazione che l’autore fa in questo breve scritto. Egli dice che la scuola non deve essere considerata neppure un servizio ai cittadini, e sarebbe già tanto; volevano trasformarla in azienda e l’hanno ridotta a un circo equestre, come dice Pino Caminiti: a un simulacro di se stessa e una parodia dell’azienda. Giuseppe Limone dice che la scuola deve essere un generatore della società civile, una funzione fondamentale dello Stato, come il parlamento, quindi lo Stato deve essere al suo servizio, non il contrario. Ma per poter operare a questo livello ha bisogno di personale qualificato e motivatissimo, di mezzi e risorse finanziarie garantite a livello costituzionale, al riparo della scure del governicchio di turno. Vi pare che oggi la scuola, sia pure con presidi-dirigenti, Lim, wireless e tablet, assomigli vagamente a questo modello? Per nulla; perché abbiamo smarrito il ben dell’intelletto. Abbiamo confuso, come dice Limone, “vecchio” con “antico”, “scienza” con “sapienza”, “modernizzazione” con “civiltà”, dimenticando che al centro dell’interesse della scuola c’è, non la formazione di un lavoratore per l’azienda, ma l’educazione della persona umana, misteriosa, unica, irripetibile, originale, difettiva e perciò costitutivamente relazionale, piccola e finita ma dotata di una sete di immensità che la apre all’infinito. Ecco, una scuola che, parafrasando Limone, coltiva “una ragione che ha perso il rapporto costitutivo con la relazione, con le emozioni, con il senso, gira a vuoto”, avendo perso la ragione. Scrive Giuseppe Limone: «Urge, infatti, oggi, come non mai, la sensibilità al problema del senso, ossia a quel fine in sé, che non ha bisogno di fini a sé esterni per valere come bene e che stempera la sua luce su tutti gli atti e i momenti, anche conoscitivi, che vivono nell’orizzonte di un tal fine. Né va dimenticato che uno di questi frammenti di senso, fini in sé, è la dignità. La dignità di ogni persona, che dà argini alla ragione e varchi alla speranza e che fa sì che una vita – ogni vita – sia, alla sua luce, degna di essere vissuta». Una scuola che pretende di intrattenere le persone sul vuoto o che avalla la richiesta degli studenti di essere luogo in cui loro socializzano liberamente, dal vivo e virtualmente con i mezzi digitali, ma senza mai applicarsi a qualcosa che abbia senso, e senza mai rendere conto delle proprie azioni, ha fallito e può anche chiudere i battenti, con buona pace di tutti coloro che hanno lavorato accanitamente per distruggerla. Paola (ha letto il testo sul sito e ha inviato un breve commento): gli insegnanti non vengono forniti degli strumenti di cui hanno bisogno, perché nella scuola non si producono pacchi ma, come dice Giuseppe Limone, si educano persone. Rosa: la responsabilità di questa situazione però non è tutta dei ragazzi né tutta del sistema. I genitori coccolano troppo i loro figli, arrivando al punto di pretendere di eliminare ogni loro dispiacere o sofferenza. I ragazzi invece devono imparare ad affrontare gli ostacoli, anche quando si presentano sotto forma di frustrazioni o vengono percepiti come piccole ingiustizie. Chiara: gli insegnanti sono stati via via depauperati del senso del loro essere. Addirittura devono quasi vergognarsi di proporre valori agli studenti. Le famiglie degli alunni ci considerano spesso dei falliti. Giovanna: i valori che vengono proposti agli studenti sono quelli della società corrotta. Chiara: voglio riprendere il filo del ragionamento, partendo da alcuni spunti di riflessione di Giuseppe Limone. Gli insegnanti sono magistrati di una funzione pubblica, che consiste nell’istruire, educare, formare, far pensare. Leggendo il testo apprendiamo poi che Vico mette al centro della civiltà il senso del pudore, il sentimento del confine, violando il quale non c’è che la catastrofe. Limone dice che bisognerebbe immettere in qualsiasi scuola, di qualsiasi tipo, discipline di carattere critico-filosofico, non per aggiungere materie ma nella logica di “più alti sguardi conoscitivi e di nuove interazioni”, e invece lo sguardo critico-filosofico è stato eliminato anche dalle discipline che lo permetterebbero. Tommaso: un tempo si diceva “la matematica serve a sviluppare il raziocinio”, “la poesia serve ad affinare lo spirito”. Chi si preoccupa oggi dello spirito e del raziocinio? Vi ricordo che già una decina di anni fa un preside mi disse: “Professore, andiamo avanti, non facciamo filosofia”. Iole: sono d’accordo con Limone. Sembra che oggi siamo andati davvero in profondità. C’è bisogno di dignità della persona e del senso del limite. In Cina, dove sono stata alcuni mesi fa, andare a scuola è ancora un privilegio. In Italia invece la scuola per tutti è stata fraintesa. Secondo me la crisi della scuola inizia con l’abolizione degli esami di riparazione, e prosegue con il preside che diventa dirigente. America: l’abolizione degli esami di riparazione voleva essere un passo avanti verso il principio di uguaglianza delle opportunità per tutti. Si è trattato di un atto costituzionalmente corretto. Purtroppo però gli studenti hanno bisogno di essere accompagnati da adulti nei quali si abbia fiducia e socialmente riconosciuti come essenziali. Emilia (ha letto il testo sul sito e ha spedito un appunto): benché abbia lasciato la scuola da diversi anni, condivido quanto sostenuto da Giuseppe Limone sull’ignoranza sempre più diffusa dei ragazzi e sulla mancanza di senso nella vita dei giovani e, forse, anche in quella dei loro genitori. Nella scuola non si parla più di educazione e di pensiero ma di economia e tecnica, il colpo di grazia per un sistema che per generazioni ha garantito un servizio fondamentale.