Scheda n - Virgilio

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Scheda n. 1
PREMESSE METODOLOGICHE
per un corretto approccio alla S. Scrittura
1. IDEA-GUIDA
La Sacra Scrittura costituisce l'orizzonte interpretativo ultimo della vita cristiana, privata e
sociale.
Concilio Vaticano II - Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione n. 24
La Sacra Teologia si basa come su un fondamento perenne sulla parola di Dio scritta,
insieme con la Sacra Tradizione, e in quella vigorosamente si consolida e ringiovanisce
sempre, scrutando alla luce della fede ogni verità racchiusa nel mistero di Cristo. Le Sacre
Scritture contengono la parola di Dio e, perché ispirate, sono veramente parola di Dio; sia
dunque lo studio delle Sacre Pagine come l'anima della Sacra Teologia. Anche il ministero
della parola, cioè la predicazione pastorale, la catechesi e ogni tipo di istruzione cristiana,
nella quale l'omelia liturgica deve avere un posto privilegiato, si nutre con profitto e
santamente vigoreggia con la parola della Scrittura
2. COME LA BIBBIA E' IN GRADO DI INTERPRETARE
LE DIVERSE REALTA'
SOCIOPOLITICHE ATTUALI
A. La Bibbia non è un catechismo sociale
* Essa non ha una diretta finalità etico-sociale, ma è anzitutto testimonianza e
annuncio del Regno di Dio, realizzato in Gesù di Nazareth e continuato dalla Chiesa nella
luce e con la forza dello Spirito di Cristo.
Tuttavia la Bibbia ha anche una rilevanza sociale: essa infatti mira a permeare il
cuore dell'uomo e, attraverso l'uomo, trasformare ogni realtà.
* La Bibbia non offre un discorso organico ed omogeneo sulle realtà sociali, non contiene
quindi un'esplicita dottrina sulla società.
Essa però esprime varie visioni della società, legate alla cultura e al
momento storico-salvifico vissuto dai diversi autori.
* Questa disorganicità e discontinuità si spiegano osservando il modo con cui si è
storicamente strutturata la Rivelazione ebraico-cristiana: Dio si è manifestato nelle
vicende della storia umana, incarnando il suo messaggio trascendente nelle particolari
forme storiche del tempo.
* La Bibbia non può essere strumentalizzata a sostegno di tesi o di scelte pratiche
estranee ad essa.
Il rischio più grave è l'uso fondamentalista della Bibbia: quello che presume
l'immediata attualità di ogni sua pagina, dimenticando la distanza storico-culturale dei
secoli che ci separano da essa.
B. Per un corretto approccio teologico
al messaggio sociale della Bibbia
* Il presupposto da cui partire è che il messaggio biblico costituisce una unità
obiettiva di verità e di senso, rilevabile solo alla luce dell'interpretazione cristologica
della Scrittura: la vicenda di Gesù di Nazareth è centro e vertice della Bibbia e ne
costituisce il "criterio interpretativo" ultimo ed unitario.
* In Cristo Gesù, Rivelazione di Dio e dell'uomo coincidono: la S. Scrittura, se
ascoltata a partire da Lui e in vista di Lui, non solo svela il volto di Dio all'uomo, ma anche
rivela pienamente l'uomo all'uomo stesso e quindi manifesta il senso di quella dimensione
irrinunciabile della vita dell'uomo che è la sua vita sociale.
* Come allora individuare il giudizio di fede che la Bibbia può portare sulla
nostra esperienza sociale? Poiché il libro della Parola non rivela un messaggio astratto
- ma la vicenda unica e irripetibile dei rapporti fra Dio e il suo popolo - tale vicenda è
destinata a rimanere esemplare nei confronti di tutta la storia. Questo paradigma
esemplare è quindi atto a suscitare una tradizione credente, una cultura di fede, entro la
quale soltanto può essere compreso e vissuto in pienezza, alimentando così giudizi di fede
pertinenti anche sulla nostra realtà storico-sociale.
In conclusione: aprire un itinerario di catechesi sociale con una riflessione sui
fondamenti biblici del pensiero sociale cristiano non ha semplicemente lo scopo di illustrare
contenuti ideali, cui attingere per formulare "nostri" giudizi. Ma risponde alla necessità di
porre un momento fondativo, un supporto basilare, che consenta anche per noi, a
tutti gli effetti, il discernimento - ultimo e insuperabile - dei segni di speranza o di peccato
presenti nelle realtà storico-sociali.
3. sfide per il nostro tempo
Dalla civiltà della parola alla civiltà dell'immagine?
Da una pagina dell'Evangelii Nuntiandi di Paolo VI: "Sappiamo bene che l'uomo moderno
sazio di discorsi si mostra spesso stanco di ascoltare e, peggio ancora,
immunizzato contro la parola. Conosciamo anche le idee di numerosi psicologi e
sociologi, i quali affermano che l'uomo moderno ha superato la civiltà della parola, ormai
inefficace ed inutile. Questi fatti dovrebbero spingerci, certo, a mettere in opera nella
trasmissione del messaggio evangelico i mezzi moderni escogitati da tale civiltà. Tentativi
molto validi sono stati già compiuti in tal senso. Noi non possiamo che lodarli ed
incoraggiarli perché si sviluppino ancora di più. La fatica che provocano al giorno d'oggi
tanti discorsi vuoti, e l'attualità di molte altre forme di comunicazione non debbono tuttavia
diminuire la forza permanente della parola, né far perdere fiducia in essa. La parola resta
sempre attuale, soprattutto quando è portatrice della potenza di Dio (n. 42).
Educare attraverso il libro o l'immagine?
Da Il lembo del Mantello del card. Martini: "Quando una data realtà mi è messa sotto gli
occhi grazie alle immagini, tende ad assumere immediatamente forza di verità. La vedo, e
quindi dico che è vera. Assai diverso il procedimento mediante la parola. Un'educazione
attraverso il libro e la parola è prevalentemente critica e discorsiva; abitua a compiere i
diversi passaggi, ad approssimarsi gradualmente alla realtà mediante la costante verifica
delle proprie affermazioni, l'esibizione delle prove, la confutazione delle argomentazioni
contrarie.
Un'educazione affidata alla sola immagine è tendenzialmente incapace di condurre
all'esibizione delle prove, alla valutazione delle ragioni e al giudizio dei nostri discorsi,
sempre parziali se commisurati alla verità. La sintesi più bella è quella operata dalla
Bibbia: parole dense e taglienti che esprimono immagini, racconti e simboli capaci di
coinvolgere emotivamente e di far pensare.
All'opposto sta l'estrema semplificazione propria della comunicazione con i media, la
riduzione della complessità a formule, slogan e stereotipi" (n. 13).
Dalla saturazione di messaggi alla disappetenza biblica?
E' indubbio che il bombardamento quotidiano di immagini e appelli abbia attivato in
moltissima gente un meccanismo di resistenza, in cui forse interagiscono atteggiamenti
diversi: rifiuto, distanza, acriticità, scetticismo...
Per proporre la Parola di Dio ad un uomo plagiato e sazio per l'eccesso di parole e
immagini, non sarà forse necessario aiutarlo prima a relativizzare criticamente i
messaggi terreni per poi accendere in lui la fame della Parola autorevole e
definitiva?
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
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* La vicenda di Gesù di Nazareth è centro e vertice della Bibbia, ne costituisce il "criterio
interpretativo" ultimo, conferendo a tutto il messaggio biblico una unità obiettiva di verità
e di senso.
Anche se la Bibbia rimane sempre il best seller di ogni vendita libraria, di fatto la
conoscenza biblica della maggior parte dei cristiani non supera la memoria frammentaria di
una Storia Sacra e la figura di Cristo rimane mortificata da un'immagine iconografica,
idealizzata e simbolica, non unificatrice di tutta la verità.
- A che punto è la nostra cultura biblica? Dove la alimentiamo? Con quali strumenti?
- Il quadro dei valori di riferimento per le nostre scelte personali e sociali è decisamente
quello evangelico o forse ancora precristiano o addirittura pre-abramitico?
* La S. Scrittura non solo svela il volto di Dio all'uomo, ma rivela pienamente l'uomo
all'uomo stesso, illuminando quindi anche la dimensione sociale della sua vita.
Ma è purtroppo possibile anche un uso riduttivo della Parola di Dio.
- Come giudichi le omelie del nostro tempo postconciliare: al di là dell'esegesi e dell'annuncio, c'è anche un tentativo di attualizzazione della Parola per l'uomo d'oggi e per
l'odierna vita sociale?
- La pratica della Lectio Divina può aiutare anche l'impegno e le responsabilità sociali o di
fatto si esaurisce in un rapporto intimistico con la Parola?
* La storia del rapporto tra Dio e il suo popolo è paradigma esemplare, atto a suscitare
nella comunità credente una cultura di fede e quindi anche giudizi di fede sugli
avvenimenti del nostro tempo.
In una società secolarizzata molti operatori economici e politici contestano al Magistero
della Chiesa il diritto ad interventi critici sulle vicende del Paese o a formulare proposte di
orientamento per l'agire sociale.
Qual'è la nostra reazione di fronte alle prese di posizioni del Papa, dei Vescovi e della
comunità cristiana locale in materia di economia, politica, etica sessuale? Come motiviamo
la legittimità di questi pronunciamenti?
Scheda n. 2
FEDE E SOCIETÀ' NELL'ANTICO TESTAMENTO
1. idea-guida
Il Dio rivelatosi nell'A.T. è Colui che propone all'uomo un cammino di crescita, personale e
collettiva, liberandolo da tutte le schiavitù, per metterlo in condizione di servire il suo
Signore, lungo la via della promessa e della vita.
Questa è la proposta dell'alleanza fra Dio e il suo popolo, la sintesi della Legge, della
predicazione profetica e della tradizione sapienziale.
Deuteronomio 8,11 - 18
Guardati bene dal dimenticare il Signore tuo Dio così da non osservare i suoi comandi, le
sue norme e le sue leggi che oggi ti do. Quando avrai mangiato e ti sarai saziato, quando
avrai costruito belle case e vi avrai abitato, quando avrai visto il tuo bestiame grosso e
minuto moltiplicarsi, accrescersi il tuo argento e il tuo oro e abbondare ogni tua cosa, il tuo
cuore non si inorgoglisca in modo da dimenticare il Signore tuo Dio che ti ha fatto
uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo
deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata,
senz'acqua; che ha fatto sgorgare per te l'acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti
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ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri, per umiliarti e per provarti, per farti felice
nel tuo avvenire. Guardati dunque dal pensare: la mia forza e la potenza della mia mano
mi hanno acquistato queste ricchezze. Ricordati invece del Signore tuo Dio, perché Egli ti
dà la forza per acquistare ricchezze al fine di mantenere, come fa oggi, l'alleanza che ha
giurato ai tuoi padri.
Isaia 58, 5 - 10
E' forse questo il digiuno che bramo?...
Non è piuttosto questo il digiuno: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza
tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne?...
Se toglierai di mezzo a te l'oppressione, lo stendere il dito e il parlare empio, se offrirai il
pane all'affamato, se sazierai la persona digiuna, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la
tua tenebra sarà come il meriggio.
2. momenti fondamentali
dell'esperienza storico-salvifica di Israele
A. Esodo-Alleanza
* All'inizio della storia ebraica sta il dono della liberazione offerta da Dio, intesa come
liberazione dalla oppressione politica e salvezza spirituale ("liberati dalle mani dei nemici,
serviamo il Signore in santità e giustizia" dirà ancora Zaccaria in Lc 1, 74). Queste due
dimensioni si richiamano a vicenda e permettono al popolo di capire il senso profondo
della propria storia.
* Alla luce di questa verità' l'Esodo e l'Alleanza si pongono come momenti costitutivi del
popolo di Israele, risultano l'evento salvifico originario e segnano tutta l'esperienza
religiosa e sociale del popolo di Dio.
* La stessa celebrazione della Pasqua (memoriale dell'Alleanza) diventa l'espressione
di una comunità libera anche politicamente, di un popolo libero che può celebrare il
culto al vero Dio e sottrarsi al rischio dello schiavo di cadere nell'idolatria delle divinità dei
vincitori. Il binomio schiavitù-libertà da una parte, e idolatria-fede dall'altra, è inscindibile e
al centro della concezione sociale della Bibbia.
* In questa fase sorgono le prime grandi istituzioni di Israele (Alleanza, Legge,
Sacerdozio, Pasqua, forme di governo...). In forza della singolare compenetrazione tra
aspetti religiosi, sociali ed etnici, esse diventano immediatamente riferimento autorevole
per regolare la vita civile ed i rapporti sociali. In questo momento originario il popolo ha
una fiducia illimitata nella valenza salvifica delle proprie istituzioni: le sente date "per
sempre" e "comunque" da Dio ("da sole" bastano a garantire la benedizione di Javhè).
Vediamo in particolare due importanti istituzioni dell'esperienza del popolo di Israele
L'Alleanza mosaica
In risposta all'iniziativa di Dio, essa appare come la ferma volontà di essere
fedeli al Dio dell'Esodo. Questo patto non è privo di implicazioni sotto il profilo
socio-politico: esse riguardano primariamente l'identità del popolo, i suoi
comportamenti, le sue decisioni, la vita comunitaria, i rapporti con gli altri popoli.
- L'Alleanza significa per Israele il riconoscimento che l'unità, la pace, la libertà di un
popolo non sono l'immediato risultato del proprio impegno: esse possono essere realizzate, in pienezza, in quanto dono di Dio.
- Da ciò consegue anche la percezione che Israele ha di sé come popolo, come interlocutore collettivo di Javhè. E' un popolo che unitariamente decide di essere fedele e al4
trettanto unitariamente sarà ritenuto responsabile delle sue infedeltà: una solidarietà che
non conosce distinzioni e comprende anche i capi del popolo.
La Legge
In essa l'Alleanza assume forma e contenuti destinati ad istruire la condotta del
popolo.
- La legge non è il "prezzo" che il popolo di Dio si trova a dover rendere in cambio della
liberazione ottenuta da Javhè. Essa rappresenta piuttosto una istruzione, una "freccia
indicatrice" perché il popolo sappia in quale direzione procedere. Per questo anche la
Legge è dono.
- Ancora: la Legge non va intesa entro il ristretto significato giuridico, quasi bastasse una
obbedienza "esteriore". La Legge richiede e suscita fede, perché soltanto fidandosi del suo
Autore si può veramente obbedire ad essa. La giustizia richiesta dalla Legge è un
"cammino" da percorre sotto la guida di Javhè: esige conversione continua.
Cuore della Alleanza e sintesi della Legge è l'amore: "Amerai il Signore tuo Dio con
tutto il cuore (Dt. 6,5) e "Amerai il prossimo tuo come te stesso" (Lev. 19,18).
Da questi comandamenti essenziali, che riassumono le 10 parole del Sinai (il Decalogo,
documento-cardine della Legge) e i 3 Codici (dell'Alleanza, Deuteronomico e Levitico),
discendono norme concrete di alto valore sociale: la difesa del povero (lo straniero,
l'orfano, la vedova, il levita), il prestito senza interesse, la restituzione del pegno, l'anno
sabbatico della remissione, il giubileo per la liberazione e la riappropriazione dei beni...
B. IL GIUDIZIO PROFETICO
* E' la predicazione profetica a sviluppare più di ogni altra il tema dell'impegno etico di
Israele, ovvero la necessità che Israele continui a scegliere e seguire la legge del suo
Signore, per poter vivere. Se la Legge era data "una volta per sempre" e in astratto, la
profezia si occupa del giudizio storico, dato "qui ed ora" a partire dal comportamento di un
popolo che si è fatto "duro di orecchi", incapace di convertirsi.
* Sotto il profilo socio-istituzionale, lo svilupparsi della prima grande profezia coincide con
l'affermarsi della monarchia in tutto Israele. Considerando Javhè unico vero re di
Israele e attribuendo così all'autorità politica un ruolo "desacralizzato", Israele con l'istituto
monarchico viene a costituire un modello di organizzazione politica e sociale del tutto
distante da quella dei popoli vicini: questi consideravano il re una persona divina, mentre
per Israele egli rimaneva soggetto alla legge divina e all'istruzione del profeta, era soltanto
"uno dei tuoi fratelli".
La motivazione più diffusa della polemica dei profeti contro la monarchia risiede nel
giudizio sulla prassi ingiusta del re, quando egli mette a servizio di se stesso il potere di cui
dispone.
* La profezia svolge in prevalenza la propria missione "moralizzatrice" attraverso una
predicazione tagliente, efficace, che esprime il giudizio su ogni forma di contraddizione tra
comandamento di Dio ed agire del popolo.
Dalla predicazione dei primi profeti scrittori (VIII - VII secolo a. C.)
- L'esteriorità e il formalismo sono spesso al centro della attenzione dei profeti: il culto
esteriore è inconsistente è falso perché non anima davvero la vita del popolo e i suoi
rapporti sociali.
- Anche l'ambito dell'economia e dei rapporti commerciali non è esente da ingiustizia.
Emerge qui una delle costanti del messaggio profetico: responsabile dell'ingiustizia che si
compie è tutto il popolo, anche se al suo interno esistono situazioni ben diverse. Un conto
infatti è la responsabilità dell'istituzione monarchica che introduce elementi di
discriminazione, un conto invece è quella dei poveri che vengono sfruttati. Per questo
la denuncia colpisce soprattutto la spensieratezza delle classi benestanti, che non si
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accorgono neppure di chi non ha nulla. Ai potenti viene richiamata la responsabilità
dell'oppressione del povero e del debole.
- Così spesso succede che il potere politico non è servizio, ma modo per autoalimentarsi
a scapito di altri. Si conosce la giustizia, ma solo per poterla meglio aggirare.
In conclusione: secondo i profeti le istituzioni sociali - se non sono perennemente
ricondotte alla loro funzione originaria, di servizio alla fede e alla libertà del popolo - da
realtà salvifiche divengono facile pretesto per praticare l'ingiustizia, motivo di
copertura di interessi privati e, al limite, mezzo di propagazione dell'iniquità.
C. LA TRADIZIONE SAPIENZIALE
* La tradizione sapienziale, che ha il suo culmine espressivo in epoca post-esilica, è il
modo di riflettere alla luce della fede sulla universale esperienza umana.
La sapienza è infatti caratteristica di tutti i popoli, nel tentativo di "dare ordine" alle
diverse esperienze dell'esistenza: nascere e morire, gioire e soffrire, bene e
male, persona e società.
Ma per Israele questo tipo di riflessione è collocato all'interno della propria tradizione
credente: la Sapienza è di Dio, l'uomo nella fede può accedervi.
Così la tradizione sapienziale biblica nata anche dall'incontro di Israele con altri
popoli, si presenta come "filtro critico" nei confronti della sapienza mondana.
Dalle pagine sapienziali della Genesi (1-11)
- Il rapporto uomo-donna, in quanto creati ad immagine di Dio, è visto come la basilare
esperienza di socialità: solo nel riconoscimento dell'altro come "uno che è simile a me", ma
irriducibilmente "altro" da me, è possibile una relazionalità autentica. I due scoprono la
socialità come dono e possibilità promettente. L'incompletezza dell'uomo è alla radice
della socialità.
- Il peccato interrompe l'armonia originaria, ed il primo ad essere compromesso è
l'equilibrio della comunicazione, il rapporto uomo-donna, descritto in termini di "dominio"
dell'uno sull'altra.
- La conflittualità dai rapporti personali si riflette a livello dei rapporti sociali (Caino ed
Abele) e dilaga con lo svilupparsi della civiltà.
- Riferito al progetto di Dio, l'episodio della torre di Babele è interpretato come la condanna della politica, quando ha la pretesa di dare una valenza salvifica alla propria
autonomia.
* Secondo la tradizione sapienziale non basta la volontà di comunicare, di mettersi in
comunione, di costruire una comunità: occorre soprattutto garantire che le relazioni
(nella famiglia, nella vita sociale e politica) siano illuminate da una autentica ricerca
della verità.
I rapporti sociali infatti non possono essere solo una modalità pragmatica per
giungere più rapidamente a soddisfare i propri desideri, ma devono farsi
espressione di una ricchezza di senso: riconoscere le supreme ragioni di fraternità,
prima della pretesa di "farsi un nome" e "conquistare il cielo".
Da qui il limite inesorabile di ogni progetto politico: l'autentica città dell'uomo non
nasce dalla somma degli sforzi di una civiltà, ma dall'accoglienza della Verità,
della Sapienza. E solo la guarigione profonda del cuore può consentire di aprirsi alla
Sapienza vera: è questa la prima grande verità che ad ogni credente è chiesta di
testimoniare.
* Intrecciata con la riflessione sapienziale si pone la tarda profezia
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- Proprio in questa era post-esilica essa giungerà a formulare l'ideale di una Nuova
Alleanza compiuta da Dio e capace di modificare il cuore dell'uomo (Ger. 31,31-34; Ez.
36,24-28).
- Ad essa sono affidate le speranze di Israele: sarà un nuovo re, inviato da Dio stesso, a
mantenere fedeltà piena alla promessa: il Messia (Is. 55,3-4).
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
* Anche il nostro tempo - con le sue rapide trasformazioni sociali, economiche e culturali
che plasmano le persone in tutti i loro aspetti, e con la sua complessità che lo rende
ambiguo - costituisce una sfida alla coerenza dei cristiani. Essi vivono all'interno di una
cultura caratterizzata dall'idolatria del "benessere"; che porta a dimenticare il Dio
Liberatore e impedisce la stessa promozione integrale dell'uomo.
L'uomo di oggi, l'uomo occidentale, si presenta ricco di strumenti ma povero di fini e
di valori. Si è sempre più consapevoli che la soluzione dei grandi problemi mondiali,
soprattutto di ordine economico, non è solo questione di organizzazione giuridico-sociale,
ma richiede precisi valori ed ideali etico-religiosi, nonché cambiamento di mentalità, di
comportamento e di strutture.
* Oggi si passa dall'inappetenza diffusa di valori al crescente appetito di cose, che sempre
più materializzano la vita, rendendo gli uomini "sordi e ciechi".
La critica fondamentale è al dominio dell'economia su ogni altro aspetto
morale, culturale e politico e alla pretesa di ridurre il benessere alla crescita di beni
materiali.
* Il primato della coscienza è sfidato dall'individualismo e chiede una fede più matura e
consapevole, capace di essere "anima del mondo".
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Nel suo momento costitutivo Israele trova fondamento nell'Alleanza e nella Legge,
percepite come garanzia di libertà e di crescita, personale e collettiva.
Siamo tra le mura del benessere e in un contesto di piena secolarizzazione, di
frammentazione sociale, di relativismo etico. I sondaggi segnalano sempre più la caduta di
obbedienza agli appelli etici della Chiesa.
- Come è possibile e che senso ha oggi appartenere al popolo dell'Alleanza, obbedire ad
una legge divina?
- Le regole dell'Antico Testamento (i 10 comandamenti) si possono ancora ritenere come
validi punti di riferimento per una morale sociale?
* Il messaggio profetico mostra che senza un forte impegno etico anche le istituzioni di
Israele non potevano da sole sostenere la "pretesa" di essere mediatrici di giustizia e di
pace.
Si crede che, per uscire dall'attuale crisi della legalità, bastino nuove leggi o nuovi legislatori.
- Forse invece occorre altro: "più legge e meno leggi"? la formazione della coscienza? una
rete di testimonianze?
- Per i profeti di Israele la profezia era: "dire altro", a nome di Dio. Ora cosa potrebbe
significare la profezia? C'è spazio oggi per nuovi profeti? E chi sono?
* La sapienza ammonisce che non è sufficiente neppure l'appello etico: senza la
guarigione profonda del cuore dell'uomo non è possibile accedere alla verità, alla pienezza
di senso che i rapporti sociali portano in loro stessi.
La Dottrina Sociale della Chiesa è la più autorevole e tempestiva interpretazione dei messaggi biblici sul versante sociale: si direbbe che oggi essa è la Sapienza sociale della
Chiesa, "una morale sociale che prospetta per tutti gli uomini ideali storici, utopie
realistiche. (Martini - Sto alla Porta - 1992)
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- La comunità cristiana sa oggi nutrirsi di questo patrimonio sapienziale per affrontare, sul
piano culturale, le sfide dell'economia, della politica, della scienza? a partire dalla profonda
guarigione del cuore?
Scheda n. 3
GESU' E LA SOCIETA' DEL SUO TEMPO
1. IDEA-GUIDA
La predicazione di Gesù si svolge entro il contesto sociale esistente, annunciando il
primato del Regno di Dio nei confronti di ogni istituzione o realtà terrena, relativizzandone
così la portata e sottomettendole al giudizio della Parola di Verità.
L'unico modo per accedere alla nuova giustizia, annunciata e testimoniata da Gesù, è
diventare suoi discepoli.
Matteo 5, 17 - 20
Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto per abolire,
ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non
passerà dalla legge neppure un iota o un segno, senza che tutto sia compiuto...
Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno
dei cieli.
Luca 16, 13
Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona.
Matteo 22, 16 - 21
I farisei mandarono a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo
che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno
perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: E' lecito o no pagare il
tributo a Cesare?". Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi
tentate? Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro. Egli
domandò loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?". Gli risposero: Di Cesare". Allora
disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".
2. I PRINCIPALI INTERROGATIVI SOCIALI testimoniati dai vangeli e I GIUDIZI DI GESU'
A. Gesù e la realtà sociopolitica del suo tempo
Vogliamo comprendere l'atteggiamento di fondo di Gesù nei confronti della realtà politica e
sociale. Sappiamo che in Palestina dominava il potere politico romano. Pur essendo una
dominazione tollerante, non mancavano motivi di tensione. A tal proposito c'erano diverse
correnti all'interno del mondo giudaico:
- gli Zeloti avevano un netto rifiuto nei confronti del dominio romano.
- i Farisei, che erano il gruppo più numeroso e con una forte influenza sul popolo, erano
più tolleranti, in nome del realismo politico.
- i Sadducei erano invece i più compromessi col potere romano, a causa dei loro forti
interessi economici.
- gli Esseni teorizzavano la più assoluta separazione dal mondo; pertanto non erano né
rivoluzionari né collaborazionisti.
Tutte queste correnti avevano in comune una concezione teocratica del governo del
popolo di Dio, nel senso che riproponevano l'ideale monarchico messianico, come attesa di
un re che avrebbe portato ordine e giustizia.
Da parte di Gesù non c'è un rifiuto netto né del Sinedrio né del potere romano. Non intende estraniarsi dalla storia, né seguire progetti di rivoluzione.
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Accetta il quadro sociale esistente, pur con una certa distanza critica nei suoi confronti.
Non accetta mai invece che la Sua autorità spirituale venga intesa come autorità politica e
sociale.
B. Gesù e la Legge
Gesù non si prende semplicemente il compito di aggiornare la Legge. Egli si propone di
"superare" il senso e i limiti dell'antica Legge, intendendo così portarla
veramente a compimento in pienezza, con una Legge Nuova, che è Lui stesso:
nel suo "discorso della montagna" la Legge esce approfondita e reinterpretata, non
contraddetta.
In negativo: la Legge nuova vuole evitare sia la tentazione farisaica (osservanza esteriore
e legalistica delle norme), sia la prospettiva apocalittica (attesa disimpegnata
dell'intervento di Dio).
In positivo: Gesù si muove nella direzione del trascendimento della Legge antica, non
negata ma realizzata pienamente nella sua Persona. E la strada per realizzare i
cambiamenti richiesti dalla nuova Legge è l'accoglienza del Regno nella persona del
Signore Gesù ("farsi suoi discepoli").
E' attraverso la conversione del cuore all'Evangelo che può essere attuata la riforma più
profonda dell'umanità: Gesù non è venuto a riformare le nostre leggi, ma a suscitare la
nostra personale conversione al Regno. Esige cuori nuovi, non leggi più estese e
dettagliate. Questo è il senso della Nuova Legge. (Mt. 5, 17-20)
C. Povertà e ricchezza
Gesù non prende posizioni sulla ricchezza. Suo intento è di svelare l'inganno della
ricchezza, la sua ambiguità: essa appare come "vantaggio" per l'uomo, in realtà tende
invece a spadroneggiare sull'uomo, a renderlo schiavo. Solo il Regno di Dio è vera
ricchezza.
La beatitudine dei poveri
Il proclamare beati i poveri è come l'annuncio fondamentale della venuta del Regno di Dio.
Il senso delle Beatitudini si appoggia sulla seconda parte di ogni affermazione, in quanto
ognuna di essa è annuncio del Regno. E' infatti l'accoglienza del Regno che rende significativa anche la povertà: una povertà rilevata ad esempio da Luca in alcune categorie di
esclusi (ciechi, zoppi, malati...), ma le cui possibili traduzioni pratiche sono lasciate su una
gamma estremamente aperta.
D. Gesù e l'autorità civile
In tutta la Scrittura, ma particolarmente nel N.T., emergono due linee prevalenti nei
confronti dell'ordinamento civile: una orientata alla lealtà e all'obbedienza ed una
maggiormente critica, che giunge ad affermare il radicale rifiuto dell'autorità.
Per superare l'apparente divaricazione delle due linee (peraltro rispondenti alla
frammentazione del complesso dato sociale), tentiamo di rilevare alcune costanti di
fondo.
* Il potere come servizio
Diversi passi del N.T. (Mt. 20,25 - Mc. 10,42 - Lc. 22,25), pur con diverse
sottolineature (più radicali Matteo e Marco, più moderato Luca), esprimono il
giudizio severo di Gesù anche riguardo la gestione del potere politico. Ancora
una volta Gesù si preoccupa di svelare l'ambiguità sottesa al potere economicopolitico: il potere è in apparenza servizio all'umanità, ma in realtà tende ad
asservire le persone. La linea evangelica è precisa: chi è il più grande sia come colui
che serve.
* La distanza tra il Regno e il mondo
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Nel conflitto tra Gesù e Pilato (Gv. 18,28 - 19,16) si delinea il dramma radicale
che soggiace a tutta la storia: il Regno di Gesù non è "da" questo mondo. Esso infatti
non ha origine dalla storia, non si fonda sul consenso della base. Il Regno di Dio
cerca di trasfigurare questo mondo salvandolo.
* Ogni potere viene dall'alto
Lo stesso racconto del processo a Gesù mette in luce non solo la differenza tra il
mondo e il piano di Dio, ma un rapporto di dipendenza del primo nei confronti
del secondo. La signoria di Dio infatti relativizza ogni altra signoria mondana, comprese
le potenze demoniache (come si vede anche nell'episodio delle tentazioni di
Gesù: Lc. 4, 5 -8)
* A Cesare quello che è di Cesare, a Dio quello che è di Dio
Il passo del tributo a Cesare (Mt. 22,15 - 22) è stato tradizionalmente
interpretato come fondamento della legittimità e della consistenza dei due
poteri, divino e terreno.
Ma il senso del testo non va nella direzione di pensare un "regno" contrapposto
all'altro, o semplicemente sovrapposto all'altro: anche l'obbedienza a Cesare va
pensata all'interno della più comprensiva obbedienza al piano di Dio, secondo quindi i
suoi criteri, senza lasciare alcuna zona d'ombra o area di assoluta autonomia di
cui solo Cesare sarebbe padrone. Sarà quindi una obbedienza "critica" quella
nei confronti di Cesare: né totale, né assoluta, né automatica, ma certamente
leale.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
* La tendenza a neutralizzare nell'ambito sociale le esigenze della religione,
della verità e dell'etica costituisce uno dei problemi cruciali per la coscienza cristiana.
Così il distacco dai valori è la più grave minaccia insita nelle società occidentali avanzate.
* Oggi è più che mai necessario superare la frattura tra Vangelo e Cultura,
attraverso un'opera di inculturazione della fede che raggiunga e trasformi, mediante la
forza del Vangelo, i criteri di giudizio, i valori determinanti, le linee di pensiero e i modelli
di vita, in modo che il Cristianesimo continui ad offrire anche all'uomo moderno il senso e
l'orientamento dell'esistenza.
Resta pur vero che nella società sono sempre più assenti i valori cristiani, anche a
causa della inadeguatezza della presenza cristiana nell'ambito culturale.
* Non si tratta di demonizzare lo sviluppo, ma occorre intendere il benessere come luogo
di salvezza globale. L'uomo infatti non è misurabile da ciò che consuma. Paradossalmente
si tratta di proporre la povertà teologale, quella di chi sa porre la sua fiducia in Dio.
* Ad una società che rischia di perdere la vera misura dell'uomo, il Vangelo della carità
offre una visione antropologica autentica. La stessa vita sociale può ricavare dal Vangelo il
suo significato più profondo.
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Gesù non intende estraniarsi dalla storia: accetta il quadro sociale esistente, pur con una
certa distanza critica nei suoi confronti. Tra il Regno di Dio e il mondo non c'è solo
differenza ma esiste un rapporto.
Ma la storia della prassi pastorale ci documenta molte varianti di questo rapporto.
Alla luce della "Gaudium et Spes", come pensi che sia o debba essere il rapporto tra
Chiesa e Società civile: di estraneità-separazione? o di appiattimento-omologazione? o di
concorrenza-sovrapposizione? o di animazione-responsabilità?
* E' attraverso la conversione del cuore all'Evangelo che può essere attuata la riforma più
profonda dell'umanità.
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Ma le ultime encicliche sociali insistono anche sulla necessità di cambiare le "strutture di
peccato".
Siamo proprio convinti che conversione personale e impegno sociale sono interdipendenti
ed inscindibili? Non rileviamo nei fatti una tendenza a schierarsi per l'una o l'altra parte?
* Gesù intende svelare l'inganno della ricchezza, la sua ambiguità: appare come
"vantaggio" per l'uomo, in realtà tende a renderlo schiavo. Solo il Regno di Dio è la vera
ricchezza.
E il discernimento pastorale, nel cuore della società opulenta, spinge la Chiesa dei nostri
giorni ad un progetto coraggioso e paradossale: annunciare la povertà teologale tra le mura del benessere.
Come è possibile vivere concretamente oggi "questa" povertà?
* In tema di "potere" il Vangelo è chiaro: chi è il più grande sia come colui che serve.
Il ritorno della politica ai vertici dell'attenzione pubblica coincide anche coi conflitti di potere, con la corsa alle poltrone e alle rendite, con gli scandali per corruzione. Eppure nella
società sono in crescita anche i volontari (6.000.000) e nell'economia il "terzo settore" (noprofit).
Quali sono i valori fondamentali per un corretto agire sociale e politico?
Scheda n. 4
CHIESA E SOCIETÀ
NELLA PREDICAZIONE APOSTOLICA
1. IDEA-GUIDA
Incarnandosi entro i differenti contesti socio-culturali dell'Impero romano, la primitiva
comunità cristiana porta ovunque il proprio originale e scandaloso messaggio:
- tutti gli uomini sono radicalmente uguali, perché Cristo è morto e risorto per tutti
- il criterio dell'obbedienza all'autorità civile deve essere comunque l'obbedienza a Dio,
unico Signore
Paolo ai Corinzi e ai Colossesi
Lo schiavo che è stato chiamato nel Signore è un liberto affrancato del Signore!
Similmente chi è stato chiamato da libero, è schiavo di Cristo. Siete stati comprati a caro
prezzo: non fatevi schiavi degli uomini! (1 Cor 7,22-23)
E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo,
Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito (12, 13)
Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o
libero, ma Cristo è tutto in tutti. (Col 3,11).
Atti degli apostoli
Ma Pietro e Giovanni replicarono: "Se sia giusto innanzi a Dio obbedire a voi più che a lui,
giudicatelo voi stessi: noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato" (4,
19-20)
Allora il capitano uscì con le sue guardie e li condusse via, ma senza violenza, per timore
di essere presi a sassate dal popolo. Li condussero e li presentarono nel sinedrio; il sommo
sacerdote cominciò a interrogarli dicendo: "Vi avevamo espressamente ordinato di non
insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra
dottrina e volete far ricadere su di noi il sangue di quell'uomo". Rispose allora Pietro
insieme agli apostoli: "Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini" (5, 26-29).
2. LA MISSIONE DELLA CHIESA APOSTOLICA
A. L'uguaglianza fra le persone
Continuando a ricalcare le principali scelte di Gesù, la Chiesa primitiva non intende
estraniarsi dalle varie forme sociali del tempo, avviando una "società alternativa" in nome
dell'originalità della fede cristiana, né vuole confondere il proprio messaggio con quello di
11
altri gruppi religiosi o sincretistici. Contenuto fondamentale di tale messaggio è invece
l'insistenza sull'uguaglianza radicale fra tutti gli uomini, in nome dell'unica Redenzione
compiuta da Cristo.
Le differenze sociali (liberi e schiavi...), allora determinanti per la struttura sociale,
vengono fortemente relativizzate, a fronte della straordinaria libertà offerta dalla fede
in Cristo.
B. I rapporti del cristianesimo con l'autorità
* Un primo grande orientamento caratteristico della predicazione apostolica è l'invito, per il
credente, ad assumere un atteggiamento di fondamentale lealtà ed obbedienza
verso l'istituzione pubblica.
Le affermazioni forti e a tratti sorprendenti di Rom. 13, 1-7 sembrerebbero a
prima vista lasciare intravvedere:
- una conferma dell'assetto socio-istituzionale esistente, motivata per di più da ragioni di
fede
- la considerazione dell'autorità addirittura come servizio di Dio
- un'obbedienza richiesta "anche per ragioni di coscienza".
In realtà, l'obbedienza richiesta da Paolo ai suoi ha il senso di una forte
relativizzazione dell'autorità imperiale; anche l'autorità politica infatti è
sottomessa a Dio, il che non legittima affatto né tantomeno sacralizza ogni
potere politico esistente, ma viceversa sottomette anch'esso all'ordine stabilito
da Dio. Anche l'autorità politica viene "da" Dio: è cosa umana, terrena, non
divina.
Questo appello all'obbedienza - per altro arricchita anche da un invito alla
preghiera per l'autorità (1 Tim. 2, 1-8) - ha avuto inoltre numerose
interpretazioni:
- per le problematiche sorte in quel tempo (siamo nel 57 d.C.) Paolo avrebbe introdotto in
questo caso un'esortazione apologetica per impedire che la comunità cristiana fosse confusa con frange rivoluzionarie; i cristiani sono leali, obbediscono all'autorità, non sono da
confondersi con movimenti rivoluzionari diffusi a quel tempo nell'Impero;
- se invece lo confrontiamo con altre affermazioni di genere esortativo, nello stile di Paolo,
questo testo non sembra andare oltre un richiamo all'obbedienza dei credenti nei vari
ambiti del loro comportamento.
* C'è invece un messaggio di Pietro (1 Pt 2, 13-17) che richiama ancora una volta
l'obbedienza verso le istituzioni, ma con un forte ridimensionamento: all'autorità si
obbedisce solo nel quadro della più ampia obbedienza a Dio.
- qui l'autorità non è più vista come voluta espressamente da Dio
- l'obbedienza dei cristiani è pure un modo per testimoniare la propria fede verso chi non
crede (per "chiudere la bocca" agli "stolti").
* Due testi degli Atti degli Apostoli (4, 19-20 e 5, 26-29) ribadiscono il primato della
Signoria di Dio su ogni realtà. In tempi in cui l'autorità tendeva ad assumere un potere
assoluto anche in ambito religioso o addirittura ad autodivinizzarsi, sostituendosi a Dio
stesso, queste espressioni molto ferme - più che rappresentare il fondamento biblico della
disobbedienza civile e dell'obiezione di coscienza - sono da interpretare come
rivendicazioni soprattutto per una libertà di giudizio e di azione in ambito
religioso.
12
* Dall'Apocalisse (13, 11-18) viene la critica più radicale al potere civile. Di fronte
all'autorità politica che pretendeva onori divini e governava in modo totalitario, è
impraticabile qualsiasi tentativo di mediazione; l'unica posizione coerente con la fede
cristiana è la radicale opposizione ad essa nelle forme storicamente possibili.
- Nella visione apocalittica il giudizio si spinge fino all'annuncio (18, 20-24) della fine
catastrofica della città superba: Babilonia-Roma. E' la fine non soltanto di un regime
politico, ma di un'intera società, perché l'autorità è garante dell'intero sistema sociale.
Tale giudizio è incombente sul mondo fino a quando la storia sarà compiuta e sarà quindi
definitivamente stabilita l'unica città, di Dio e dell'uomo (Ap 21, 21-22): allora sarà
superata ogni distanza fra Chiesa e mondo, tra ambito civile e sfera religiosa ("non vidi
alcun tempio in essa, perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio").
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Il servizio della Chiesa italiana alla società civile
* La ripetute prese di posizione della Chiesa italiana, soprattutto nell'ultimo ventennio,
testimoniano la sua costante preoccupazione di contribuire al bene del paese,
condividendone i problemi e risvegliando e sollecitando la coscienza morale, fondamento
ineliminabile di ogni autentico progresso civile e sociale. La Chiesa italiana intende
continuare questo servizio alla società civile, con i contenuti e lo stile che le sono propri,
soprattutto attraverso la predicazione, la catechesi, le varie iniziative di presenza e di servizio sul territorio, perché i cristiani considerino lo stato democratico non come una realtà
estranea, ma come luogo sociale e politico al quale appartengono a pieno titolo di cittadini
e nel quale si impegnano a migliorare la convivenza di tutti testimoniando e proponendo i
grandi valori umani ed evangelici della dottrina sociale della chiesa (Educare alla legalità CEI, Commissione ecclesiale Giustizia e pace - 1991, n.10).
* L'immagine, cui far riferimento per delineare un corretto rapporto tra comunità cristiana
e comunità civile, è suggerito dalla Lettera a Diogneto: quella dell'anima e del corpo.
Essa connota l'idea di un'intima e solidale partecipazione dei cristiani alla condizione
comune degli uomini e degli ordinamenti del proprio paese, ma insieme di un'eccedenza di
ideali di vita rispetto alla giustizia puramente legale, che è indizio e anticipazione di
rapporti umani eticamente più densi e aperti ad un orizzonte trascendente (cfr. Martini "Farsi prossimo nella città" - lettera alla diocesi, 1986).
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* La primitiva comunità cristiana propone l'uguaglianza radicale fra tutti gli uomini: in
Cristo non c'è più né padrone né schiavo, né uomo né donna, né bianco né nero...
Duemila anni di storia cristiana hanno portato molti risultati su questo fronte, ispirando le
rivoluzioni sociali più profonde e alimentando una cultura dell'uguaglianza anche nel
mondo laico.
Come si spiegano allora i ricorrenti fenomeni di discriminazione razziale ("pulizia etnica"),
enfasi della meritocrazia, chiusure localistiche, indebolimento delle politiche sociali,
divismo, esaltazione del capitalismo "selvaggio"...? Forse anche per l'insufficiente
testimonianza delle comunità cristiane?
* La predicazione apostolica invita il credente ad assumere un atteggiamento di
fondamentale lealtà ed obbedienza verso le istituzioni pubbliche, ma inquadrandolo nella
più ampia obbedienza dovuta a Dio.
Ma nel mondo cattolico italiano continua a pesare l'accusa laica di antistatalismo: arroccamento sulle opere cattoliche (scuole, ospedali...), propaganda dell'obiezione di coscienza...
Quali argomentazioni i cattolici possono addurre per difendersi da tali accuse e per
documentare il proprio atteggiamento di servizio?
13
* Ogni distanza tra Chiesa e mondo sarà superata quando verrà definitivamente stabilita
l'unica città, di Dio e dell'uomo, come fine della storia.
Nel pellegrinaggio temporale occorre però stare dentro la storia, da credenti. E lasciarsi
istruire dalla S.Scrittura nel pronunciare il proprio giudizio sulle realtà socio-politiche,
mirando a svelare, da un lato, la verità profonda del vivere e agire sociale e, dall'altro,
l'ambiguità insita dentro le strutture sociali.
- Che significato può avere quella "riserva escatologica" che la Dottrina Sociale avanza
quando si parla di proiezioni e attese per il futuro?
Come liberarsi dalle tentazioni fondamentalistiche, quando si esprimono giudizi sulle realtà
socio-politiche?
DAL TESTO-BASE
piste di riflessione e approfondimento a conclusione della parte prima
- Identificate le principali differenze e continuita' fra AT e NT su fede e società, il NT e'
davvero la pienezza dell'AT? Provate a dimostrarlo, seguendo tematiche quali l'autorita'
politica, la legge, la liberta' di professare la propria fede in modo personale e comunitario,
ecc.
- Provate a rileggere alcune questioni di rilevante interesse attuale alla luce della Sacra
Scrittura, rinvenendo i testi adatti a illuminare il problema, ad esempio: il rapporto tra
autorita' civile e base sociale; la questione ambientale; poverta' e ricchezza; lavoro - festa
- rito; universalismo e localismo, ecc.
Scheda n. 5
LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
evoluzione storica
1. IDEA - GUIDA
La dottrina sociale della Chiesa (=DSC) è frutto di un lungo e articolato processo storico.
Considerata come dottrina sistematica e organica, la DSC comprende la serie di
insegnamenti ed orientamenti enunciati a partire dall'enciclica Rerum Novarum
(1891) fino ad oggi.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
"Per la Chiesa insegnare e diffondere la dottrina sociale appartiene alla sua
missione evangelizzatrice e fa parte essenziale del messaggio cristiano, perché
tale dottrina ne propone le dirette conseguenze nella vita della società ed
inquadra il lavoro quotidiano e le lotte per la giustizia nella testimonianza a
Cristo salvatore" (CA, 5). La Chiesa non è mossa da ambizioni di prestigio o di
potere, ma unicamente dalla cura e responsabilità per l'uomo, per ogni uomo
concreto, amato e redento da Cristo. E dal mistero di Cristo trae la luce per
illuminare la vera identità dell'uomo e orientare il suo cammino storico. "La
dottrina sociale della Chiesa trova la sua sorgente nella Sacra Scrittura, a
cominciare dal libro della Genesi e, in particolare, nel Vangelo e negli scritti
apostolici. Essa appartenne fin dall'inizio all'insegnamento della Chiesa stessa,
alla sua concezione dell'uomo e delle vita sociale e, specialmente, alla morale
sociale elaborata secondo le necessità delle varie epoche. Questo patrimonio
14
tradizionale è poi stato ereditato e sviluppato dall'insegnamento dei pontefici
sulla moderna 'questione sociale'". (n. 1090)
In epoca moderna, guidata dalla sollecitudine per l'evangelizzazione,
l'attenzione della Chiesa si è allargata progressivamente a orizzonti sempre più
vasti, a fenomeni sempre più complessi. Importanti documenti si sono
succeduti con ritmo via via più serrato, in sincronia con i rapidi cambiamenti
della società. Le conferenze episcopali e i singoli vescovi hanno contribuito
notevolmente all'elaborazione della dottrina sociale della Chiesa. Un apporto
rilevante è venuto dagli stessi fedeli laici, particolarmente competenti in campo
economico, sociale e politico.(n. 1091)
2. SVILUPPO STORICO DEI CONTENUTI:
QUATTRO
TAPPE
DEL
MESSAGGIO DOTTRINALE
A. Il costituirsi della DSC: IL CONTESTO GENETICO E LE COORDINATE PRINCIPALI DELLA
RERUM NOVARUM DI LEONE XIII
Il contesto nativo della DSC è quello prodotto tra la fine del '700 e l'inizio dell''800,
dalle cosiddette grandi rivoluzioni: politica (francese), scientifico-tecnologica (fisica,
chimica...), industriale (grande industria e mercato), agraria (rotazione delle
colture) e demografica (prime metropoli industriali). E' una fase di forti
progressi tecnici, ma di benessere per pochi e di costi sociali altissimi, dominata
da due sistemi ideologici, il liberalismo e il socialismo, promettenti portatori di
prospettive di 'salvezza secolarizzata': prima autorealizzazione dell'uomo nella
'professione', secondo l'ideale liberista, e raggiungimento di uguaglianza e
giustizia per tutti in una società perfetta, nell'ottica socialista.
L'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII (1891) è la risposta della Chiesa a livello
istituzionale.
La 'questione operaia', al centro dell'enciclica, è affrontata con:
- la condanna della 'falsa soluzione' socialista, tendente a portare odio e
divisione tra le classi
- la proposta di un modello di società di tipo organico, armonico, in cui
prendono parte attiva i singoli, le famiglie e le imprese per costruire il bene
comune della società civile e in cui devono essere perseguiti valori e ideali
normativi: il primato dell'uomo e della famiglia nei confronti dello Stato, la
legittimità della proprietà privata, il giusto salario
- la pratica dell'associazionismo e della concordia-collaborazione tra le classi
- l'indicazione della carità come virtù sociale per eccellenza e come perfezione
della giustizia.
B. La Chiesa di fronte ai regimi totalitari, al secondo conflitto mondiale, alle nuove
democrazie e alla guerra fredda: IL MAGISTERO SOCIALE DI PIO XI E DI PIO XII
* Nei 40 anni di intervallo fra la prima e la seconda enciclica sociale, la Quadragesimo
Anno (1931), il mondo conosce non solo un forte sviluppo della società industriale e il
sensibile acuirsi del conflitto sociale (la 'grande depressione' dopo la crisi del 1929), ma
anche il sorgere di regimi totalitari.
* A fronte dei mutati equilibri, l'enciclica espone i tratti di un 'ordine sociale' radicato nella
giustizia e nella carità, in cui:
- l'autorità civile attui il principio di sussidiarietà per valorizzare l'apporto degli
individui e dei corpi intermedi nella costruzione del bene comune
- la drammatica 'questione sociale' si risolve anche attraverso
un'organizzazione di tipo corporativistico fra operai e imprenditori appartenenti
allo stesso ramo produttivo.
15
* In questa e in altre quattro encicliche, Pio XI non lascia mancare interventi orientati alla
condanna aperta dei vari totalitarismi (in Italia, URSS, Germania e in varie parti del
mondo).
* Succedendo a Pio XI, Pio XII nel suo lungo pontificato (1939-58) vide l'esplosione del
conflitto bellico e l'immediato dopoguerra, la ricostruzione nei Paesi maggiormente colpiti,
l'estendersi della forma democratica e il faticoso procedere dell'umanità nella ricerca di
nuovi equilibri internazionali di pace (istituzione dell'ONU, 1945), costantemente minacciati
dal clima di "guerra fredda" tra le principali potenze e dall'estendersi della politica dei "due
blocchi". Sua principale, costante attenzione è stata l'appello a edificare un nuovo ordine
internazionale di pace, giuridicamente pattuito. Soprattutto con i suoi 19 radiomessaggi
natalizi a contenuto sociale tratteggiò i lineamenti di una società di tipo solidarista, retta
democraticamente, della quale la persona umana è riconosciuta inequivocabilmente come
"soggetto, fondamento e fine".
C. L'apporto di Giovanni XXIII e del Concilio Vaticano II:
LA NUOVA
AUTOCOMPRENSIONE DEI RAPPORTI CHIESA-MONDO
* Nell'ambito del processo di mondializzazione della 'questione sociale', le due encicliche di
Giovanni XXIII, Mater et Magistra (1961) e Pacem in terris (1963) affrontano le
profonde innovazioni attuate dalle comunità politiche nazionali e internazionali nei
principali campi della vita sociale (da quello scientifico e tecnologico a quello sociale e
politico), chiedendo "vie sicure per ricomporre i rapporti della convivenza secondo criteri
universali". Nel contempo, il riacutizzarsi delle tensioni internazionali (crisi di Cuba...) e del
timore di una guerra nucleare inducono il Papa ad indicare, come capisaldi di una pace
giusta e duratura, la verità, la giustizia, la solidarietà e la libertà.
* Il Concilio Vaticano II produce il frutto più maturo in quest'ambito con la Costituzione
pastorale Gaudium et spes (1965), da cui affiora in primo luogo l'atteggiamento nuovo
che dovrà ispirare i rapporti Chiesa-mondo: a guidare i reciproci rapporti saranno anzitutto
la solidarietà, la collaborazione e la comunicazione reciproca, la percezione della storia
come unica comune vicenda entro la quale la Chiesa è profeticamente chiamata ad
additare il compimento in Cristo di ogni realtà umana, di ordine personale, comunitario e
sociale.
D. Dopo il Concilio: DISCERNIMENTO, MEDIAZIONE E PROFEZIA NELLA SOCIETÀ
POSTINDUSTRIALE
* Di Paolo VI - in continuità con gli interventi del Concilio e nel difficile clima dentro e fuori
la Chiesa - è doveroso ricordare due grandi interventi di carattere sociale, per alcuni
aspetti tuttora insuperati:
- la Populorum Progressio (1967) sullo sviluppo e la solidarietà tra tutti i popoli:
essa rivela la piena consapevolezza della necessità di pensare in termini ormai
planetari il progresso e lo sviluppo economico e sociale
- la lettera apostolica Octogesima Adveniens (1971): con essa, in un clima sociale
dominato da complessità e frammentazione, viene inaugurato un metodo di
discernimento della realtà sociale rispettoso delle differenti situazioni e
l'insegnamento sociale della Chiesa viene visto come momento autorevole di
una più ampia mediazione tra Vangelo e storia.
* Di tutto il magistero sociale di Giovanni Paolo II la vera e propria chiave di lettura è la
sua prima enciclica Redemptor Hominis (1979) in cui presenta Cristo rivelatore e
redentore dell'uomo in tutte le sue dimensioni, anche sociali; in forza e in vista di Lui,
l'uomo diviene la fondamentale "via della Chiesa" (n.14).
Su questo asse infatti corrono le sue tre encicliche sociali:
16
- nella Laborem Exercens (1981) è singolarmente sviluppato il tema del lavoro
umano nelle sue dimensioni personale (lavoro come vocazione), sociale (lavoro
come opera di solidarietà per costruire una società e un mondo nuovo) e
teologica (il lavoro alla luce della Creazione e della Pasqua),
- nella Sollicitudo Rei Socialis (1987), riferita al problema dello sviluppo dei popoli,
il Papa disegna un mondo drammaticamente diviso non solo tra Nord e Sud, ma
anche tra Est e Ovest e passa poi ad esprimere la nuova consapevolezza
ecclesiale circa la DSC, chiamata a favorire l'autentico sviluppo umano,
- ad un secolo di distanza dalla Rerum Novarum, la Centesimus Annus (1991)
propone una rilettura di questo periodo a partire dalle sue svolte più
significative (le 'res novae', soprattutto i fatti del 1989) perché da qui siano
tratti gli orientamenti per una "nuova evangelizzazione" di cui la DSC sia parte
integrante, con l'auspicio di arrivare anche ad una piena umanizzazione dei
rapporti economici, politici e sociali.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
La dottrina sociale della Chiesa
* La dottrina sociale della Chiesa traccia i sentieri che ogni movimento di liberazione e
promozione dell'uomo deve percorrere per assicurare un autentico sviluppo umano
ossia uno sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini.
Essa definisce anche la competenza propria della Chiesa di fronte ai problemi sociali e
politici: ciò su cui la Chiesa "ha una parola da dire" riguarda la natura, le finalità, le
esigenze, le condizioni dell'autentico sviluppo e gli ostacoli che vi si oppongono (dal
documento CEI "Evangelizzare il sociale" n.15).
* La dottrina sociale è "una disciplina particolare e autonoma, teorica e pratica a un
tempo, nell'ampio e complesso campo della teologia morale, in stretta relazione con la
morale sociale".
Elemento costitutivo della dottrina sociale della Chiesa è la riflessione morale sulle istanze
che emergono dall'incontro del Vangelo e delle sue esigenze etiche con i problemi che
sorgono e si sviluppano nella vita della società.
Questa riflessione cresce nella Chiesa non solo attraverso la ricerca scientifica, ma anche
attraverso l'esperienza della comunità cristiana, che si misura ogni giorno con le varie
situazioni sociali e con i diversi problemi determinati dallo sviluppo dell'industrializzazione e
dei sistemi socioeconomici.
La teologia e la filosofia danno i contenuti fondamentali a questa dottrina, mentre
le scienze umane e sociali la completano (ib. n. 24).
* E' necessario che la dottrina sociale venga insegnata e diffusa anche dalla Chiesa in
Italia, ed entri quindi in maniera più organica a far parte della pastorale ordinaria
della comunità cristiana.
Il papa, invitando a studiare, approfondire, divulgare e applicare nei molteplici ambiti la
dottrina sociale, richiama la necessità di una collaborazione da parte delle chiese
particolari.
A livello di Chiesa particolare, la conoscenza e la diffusione della dottrina sociale
dipendono, in larga misura, dall'effettivo potenziamento delle strutture e delle risorse
impiegate per la pastorale sociale. D'altra parte, un'insufficiente comprensione
dell'importanza e del significato di questa azione pastorale conduce inevitabilmente ad
un'inadeguata valorizzazione della dottrina sociale (ib. n. 27).
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
17
* La dottrina sociale della Chiesa è frutto di un lungo e articolato processo
storico e si è progressivamente costituita come un aggiornato 'corpus'
dottrinale, sistematico e organico.
Eppure la Chiesa, avendo una missione religiosa e non primariamente politica, dovrebbe
forse limitarsi al proprio compito pastorale.
- Che autorità ha la Chiesa sulle questioni socio-economiche? Donde trae la sua
competenza in tali questioni?
* Mentre la Rerum Novarum affronta la 'questione operaia' in un contesto
dominato da due sistemi ideologici contrapposti, la Quadragesimo Anno allarga
la riflessione alla 'questione sociale' e all'insorgere di regimi totalitari.
Le 'fonti' della DSC, dalle quali essa trae le proprie asserzioni e norme etico-sociali, sono la
Bibbia e il diritto naturale.
- Ma, in un quadro complesso e perfino drammatico (lotte operaie, grande depressione
sociale, totalitarismi e armamenti), a quali principi etici si è ispirata la Chiesa? quali
indicazioni operative ha saputo ricavare dalla Rivelazione?
* Nel periodo, che intercorre fra il magistero di Giovanni XXIII e quello di
Giovanni Paolo II, la DSC esprime un nuovo modo di pensare il proprio rapporto
col mondo contemporaneo: una Chiesa profetica che scruta i segni dei tempi e indica
l'uomo come fondamentale 'via della Chiesa'.
- Ma quali sono le esigenze più condivise dalla gente e dagli stessi cristiani circa il compito
della Chiesa: per un servizio di critica sociale e di indicazioni etiche o per un annuncio
profetico di assoluta novità? In altre parole: per l'utopia cristiana o per un realismo
cristiano?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste per la riflessione personale e comunitaria
* E' opportuno anzitutto riprendere alcuni dei tratti ripetutamente emersi durante l'intero
tracciato storico visto. Si considerino, ad esempio:
- Le diverse figure di dottrina sociale della Chiesa riscontrate;
- La differente comprensione dei rapporti Chiesa-mondo;
- Gli sviluppi relativi alle principali tematiche oggetto della dottrina sociale della Chiesa
(lavoro, proprietà privata, giudizio sulle realtà politiche, ecc.)
* E' inoltre opportuno soffermarsi su alcuni nodi problematici:
- Quale recezione - intra ed extra-ecclesiale - del magistero sociale della Chiesa si realizza,
ed è auspicabile?
- Quali "nuovi compiti" si riconoscono oggi imprescindibili per l'agire sociale del credente e
delle comunità cristiane?
- Come "evangelizzare" la società? Quale mediazione tra Vangelo e storia?
Scheda n. 6
LA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA
evoluzione metodologica
1. IDEA - GUIDA
18
Nell'iter storico della DSC sono riconoscibili due grandi periodi caratterizzati da
due modelli metodologici. La riflessione sociale della Chiesa, da Leone XIII a Pio XII, è
stata guidata secondo un modello 'deduttivo', a partire da principi astratti. Dal Concilio
Vaticano II si è fatta strada una metodologia 'induttiva', a partire dalla realtà sociale.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Il nucleo centrale della dottrina sociale della Chiesa è costituito da alcune verità di
antropologia e di etica cristiana, che corrispondono all'immagine rivelata dell'uomo e alla
"sua vocazione terrena e insieme trascendente". Sono principi di valore permanente, fonte
inesauribile di ispirazione per costruire una società ordinata. Alla luce di essi il magistero
della Chiesa interpreta le situazioni storiche contemporanee in continua evoluzione,
denuncia i mali e le ingiustizie, avanza proposte operative per stimolare la ricerca e
l'azione dei cristiani laici e di tutti gli uomini di buona volontà. Come si vede, la dottrina
sociale non è nè un generico appello alla fratellanza, nè nè un progetto globale risolutivo
alla maniera delle ideologie, ma un segnale che indica la giusta direzione di un cammino
sempre aperto di riforma. (n. 1092)
2. ALCUNI MODELLI INTERPRETATIVI DEL RAPPORTO FEDE-SOCIETA' NELLA DSC
A. Il metodo deduttivo: DAI "PRINCIPI SOCIALI" ALLA LORO CONCRETA APPLICAZIONE
* Al di là dell'evoluzione storica dei suoi contenuti, nei primi settanta anni (da Leone XIII a
Pio XII) la DSC presenta una costante caratteristica: la mediazione fondamentale - per
rispondere agli interrogativi teorici e pratici posti alla fede dai problemi della società
attuale - è fatta secondo un metodo deduttivo. In questo senso: da un progetto filosofico
di società si deducono via via i vari contenuti concreti che servono ad ispirare
correttamente l'interpretazione e la prassi sociale.
* Di fronte ad una società disarticolata-conflittuale-instabile, si pensa che nella natura
sociale dell'uomo sia iscritto un ordine voluto da Dio, definibile con i principi, le nozioni e
gli orientamenti pratici della DSC: questi consentono di ricostruire la società in modo
unitario-armonico-giusto e solidale.
* Si tratta di un modello etico-sociale che indubbiamente favorisce la sinteticità-organicitàuniversalità-semplicità-comunicabilità della proposta. Tuttavia i suoi limiti non sono
trascurabili: l'astrattezza e la astoricità della proposta, la sostanziale irrilevanza dell'apporto
originale della Rivelazione cristiana, il ridotto margine lasciato alla coscienza dell'operatore
socio-politico.
B. La svolta verso il metodo induttivo
* Questo metodo, che inaugura la fase attualmente in atto della DSC, si propone
essenzialmente di ricuperare due lacune del modello precedente: la dimensione storica dei
fenomeni sociali e la singolarità della fede cristiana.
* E' chiamato 'induttivo' appunto perché parte dalle mutevoli condizioni storiche, mai
riconducibili a paradigmi astratti. Movendo dall'analisi storico-sociale e rileggendo in
profondità, alla luce della fede, i 'segni dei tempi', è possibile ricavare gli orientamenti per
l'azione sociale cristianamente ispirata, in dialogo con ogni altro uomo. La storia infatti non
solo è intimamente connessa con la Rivelazione (per essere 'ricapitolata' in Cristo), ma è
anche 'terreno comune' all'umanità intera.
C. Tre fasi nell'approfondimento del metodo induttivo
Il rinnovamento conciliare: il metodo vedere-giudicare-agire (Giovanni XXIII)
* Questo modello metodologico, iniziato dalla JOC francese negli anni '50 è stato
autorevolmente ripreso da Giovanni XXIII nella Mater et Magistra:
- vedere è il momento 'ricognitivo' attento ai "segni dei tempi", che si avvale anche
dell'apporto degli studi sociali;
19
- giudicare riguarda il contributo specifico della DSC (principi e direttive per illuminare il
'vedere') e soprattutto della novità cristiana con le sue potenzialità: critica (scoprire i limiti)
e profetica (creare, proporre, stimolare);
- agire è l'esito pratico che emerge dal confronto critico e perenne tra il 'vedere' e il
'giudicare'
* Innegabili guadagni: la storia come punto di partenza e come luogo teologico, l'apporto
singolare della fede cristiana, la maggior responsabilizzazione della coscienza credente, la
perenne progressione circolare tra i suoi tre momenti.
* Alcune lacune: la difficoltà di arrivare ad un'analisi obiettiva ed esaustiva della realtà e la
'riserva escatologica' (= l'impegno sociale rende già parzialmente presente il Regno, ma
Esso non può identificarsi con nessuna forma di organizzazione sociale umana).
Il metodo del discernimento (Paolo VI)
La sua più efficace rappresentazione è nella Octogesima Adveniens al n.4, in cui il Papa dopo aver rilevato la diversificazione e la complessità della società odierna che impedisce
di "proporre una soluzione di valore universale" - definisce il compito delle "comunità
cristiane" (cioè di un soggetto ecclesiale, comunitario, non individuale).
Dalla Octogesima Adveniens di Paolo VI
Spetta alle comunità cristiane analizzare obiettivamente la situazione del loro paese,
chiarirla alla luce delle parole immutabili del Vangelo, attingere principi di riflessione, criteri
di giudizio e direttive di azione nell'insegnamento sociale della Chiesa (...), individuare con l'assistenza dello Spirito santo in comunione con i vescovi responsabili e in dialogo con
gli altri fratelli cristiani e con tutti gli uomini di buona volontà - le scelte e gli impegni che
conviene prendere per operare le trasformazioni sociali, politiche ed economiche che si
palesano urgenti e necessarie in molti casi.
Questo metodo - molto equilibrato, improntato a gradualità, dialogo, rispetto della diversità
delle situazioni - favorisce una prassi di discernimento comunitario e responsabilizzante: in
esso alla DSC spetta una funzione di guida autorevole e di mediazione storica, ed al
Vangelo la Parola ultima.
Il metodo della mediazione antropologica della fede cristiana (Giovanni Paolo II)
* Quest'ultimo modello può giustamente essere intitolato ad una delle espressioni più
ricorrenti e significative del Magistero di Giovanni Paolo II: "l'uomo via della Chiesa"
(Redemptor Hominis n.14 e Centesimus Annus cap. VI).
In sostanza: in ogni ambito della vita politica e sociale, il giudizio etico non emergerà da
un immediato confronto tra la singola situazione e le affermazioni della fede cristiana,
quanto da un nuovo orizzonte di comprensione che, per il credente e per la sua comunità,
scaturisce dall'antropologia cristiana, cioè dall'interpretazione dell'uomo secondo il disegno
di Dio compiuto in Cristo.
* Pertanto il confronto critico tra fede e società dovrà risolversi in un confronto critico tra
l'immagine di uomo sottesa ai vari progetti politici, economici e sociali e l'immagine di
"uomo nuovo" che emerge dalla fede cristiana.
* Un tentativo di attuazione di tale modello, - dove sono richiamati alcuni valori umani
irrinunciabili espressi dalla concezione antropologica della fede cristiana - può essere
rintracciato nel documento del Consiglio Permanente della CEI del 23.10.1981.
Dal documento CEI: "La Chiesa italiana e le prospettive del paese"
(...) la vita umana, le libertà democratiche, i diritti e i doveri dell'uomo, il pluralismo sociale
e istituzionale nel quadro del bene comune, il lavoro, la giustizia sociale e la solidarietà,
l'ordine mondiale fondato sul rispetto dei popoli, la pace e lo sviluppo. Su questi e simili
temi fondamentali, i cristiani non possono ammettere ambiguità o contraddizioni (n.37)
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
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I segni dei tempi e il disegno di Dio
* Dio agisce nella storia con la libertà di un amore sovrano; trascende non solo il progetto
dei singoli, ma le più profonde correnti che guidano il corso della storia. Le può sovvertire,
mutare, rinnovare. L'azione di Dio è sempre 'nuova', è sempre sostanzialmente miracolo,
anche quando si nasconde in segmenti di storia estremamente comuni, banali. Essa non
può diventare oggetto di scienza.
* Di fatto però Dio agisce secondo uno stile che, pur corrispondendo alla sua libertà
assoluta, riflette le sue scelte di fondo sulla storia e si traduce in certe costanti di
comportamento. Sarebbe dunque possibile e necessario dare alcune indicazioni, tracciare
alcuni criteri sui quali orientare il discernimento dei tempi. La tradizione spirituale,
soprattutto cattolica, ha offerto una ricca gamma di criteri per quanto riguarda la
comprensione e la valutazione dei tempi interiori, delle storie individuali, dell'azione di Dio
nelle anime.
* Oggi la Chiesa ha bisogno di una criteriologia spirituale nell'ambito storico-sociale, cioè di
un insieme di canoni ermeneutici per saggiare la storia come parola attuale di Dio. Canoni
la cui assimilazione avrà la funzione non di metodo rigoroso, ma di formazione di una
sensibilità, di un'ottica, appunto, di una capacità di discernimento. Canoni che non
andranno confusi con quelli delle scienze storico-sociali e dell'analisi e prassi politica; e al
tempo stesso non potranno ignorarli. Qual è il rapporto tra la povertà di Dio nel mondo ei
movimenti di liberazione? tra le fede adulta e la secolarizzazione? tra la libertà cristiana e
le conquiste fondamentali della coscienza moderna (la 'carta dei diritti dell'uomo')?
Nel delicato annodarsi e nel sottile distinguersi di queste e altre coppie di valori sta il
segreto per una abilitazione del cristiano (comunità e singolo) alla lettura dei segni dei
tempi.
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Da Leone XIII a Pio XII, la DSC ha interpretato il rapporto fede-società a
partire da "principi sociali" per poi dedurne applicazioni concrete
Il metodo usato è indubbiamente servito a semplificare e a sintetizzare i contenuti concreti
e le proposte operative: la loro organicità e universalità li ha resi più facilmente
comunicabili.
- Basterebbe l'esasperato soggettivismo del nostro tempo (o la complessità e la 'distanza')
a non rendere più proponibile il messaggio sociale di quei Pontefici?
* La svolta metodologica della DSC ha conosciuto prima il metodo 'vederegiudicare-agire' di Giovanni XXIII, poi quello del 'discernimento' di Paolo VI e
infine quello della mediazione antropologica di Giovanni Paolo II
Questa evoluzione ha consentito di ricuperare con maggior evidenza la dimensione storica
dei fenomeni sociali e la singolarità della fede cristiana, pur nel dialogo con ogni uomo di
buona volontà.
- Ci rendiamo conto che, alla base del commovente sforzo degli ultimi Pontefici per capire
e decifrare i mutevoli fenomeni storici, c'è la 'sollecitudine sociale' di una Chiesa che cerca
sempre nuove strade per evangelizzare il mondo contemporaneo? e che quindi ogni
situazione sociale diventa 'luogo teologico' per discernere in essa la volontà di Dio?
* I 'segni dei tempi' sono le misteriose segnalazioni del Regno, che ci
consentono di riconoscere il passaggio di Dio nella storia
Una tale conoscenza degli avvenimenti particolari è la profezia; questo avvertire in un
preciso blocco di fatti storici un segno dell'Amore liberatore è il discernimento spirituale.
21
- In quali fenomeni o accadimenti attuali potremmo scorgere un 'segno dei tempi'? quale
pagina o filone biblico potrebbe aiutarci ad interpretare questi avvenimenti?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste per la riflessione personale e comunitaria
* Quali difficoltà sono riscontrabili, oggi, nell'attuare una vera e propria mediazione sociopolitica della fede cristiana, senza che sia compromessa l'originalità di quest'ultima? Come
evitare gli opposti pericoli del 'fondamentalismo' o della 'secolarizzazione'?
* Su quali basi è possibile mantenere viva l'esigenza di un dialogo autentico con altri
orizzonti interpretativi del mondo e della società?
* Nella prospettiva di attenzione prioritaria alla storia inaugurata dal 'metodo induttivo',
quali 'segni dei tempi' indicheremmo oggi come meritevoli di attenzione ai vari livelli e nei
vari ambiti della società di oggi (locale, nazionale, ecc.)?
Scheda n. 7
Parole-chiave della Dottrina Sociale della Chiesa:
IL PRINCIPIO PERSONALISTICO
1. IDEA-GUIDA
* La persona è il centro della società, la quale ha come fine la creazione di condizioni
di vita che permettano al maggior numero possibile di persone l'espressione più piena
delle proprie potenzialità e la ricerca del vero bene.
* Tale assoluta dignità della persona si fonda sul fatto che essa è creata ad immagine e
somiglianza di Dio ed è chiamata ad un destino soprannaturale che trascende la vita
terrena.
* La persona umana, dotata di intelligenza, capace di fare scelte libere e
soggetto di diritti e di doveri, è il principio di riferimento fondamentale
dell'insegnamento della chiesa in campo sociale.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Da parte sua, la dottrina della Chiesa "risana ed eleva la dignità della persona
umana" e "consolida la compagine della società umana" (GS 40). Sostenere la
dignità di ogni persona è "il compito centrale e unificante del servizio che la Chiesa e, in
essa, i fedeli laici sono chiamati a rendere alla famiglia degli uomini" (Chl 37). L'uomo,
immagine di Dio, suo interlocutore e cooperatore, cosciente e libero, chiamato ad essere
suo figlio e a vivere in comunione con lui, è "centro e vertice di tutto quanto esiste sulla
terra" (id), "principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali" (GS 25). "Il rispetto della
persona umana... si pone come criterio basilare, quasi pilastro fondamentale, per la
strutturazione della società stessa, essendo la società finalizzata interamente alla persona"
(ChL 39). (1096)
La persona è soggetto singolare e irripetibile, ma è fatta per comunicare, "chiamata
all'intimo di sé alla comunione con gli altri e alla donazione agli altri" (ChL 40). Dio,
creando l'uomo, non l'ha creato solitario: "L'uomo per la sua intima natura è un essere
sociale, e senza i rapporti con gli altri non può vivere né esplicare le sue doti" (GS 12).
22
Perciò la società è sostegno e perfezione della persona. Da questa dimensione sociale,
nativa e strutturale, derivano prima le comunità basate sui rapporti interpersonali
diretti, come la famiglia, la parentela, il vicinato, e poi le formazioni sociali più ampie,
basate sui rapporti mediati da strutture e legami oggettivi di tipo culturale, religioso,
politico, economico, come ad esempio il sindacato, la città, la nazione. Col procedere della
storia si moltiplicano i rapporti, si intensifica lo scambio dei beni, cresce l'interdipendenza
su tutta la terra, quasi a dar corpo alla vocazione del genere umano a diventare una sola
famiglia. (1098)
2. origine, definizione e principali attuazioni
A. evoluzione storica del principio
* La nozione di persona, nei suoi aspetti preminenti di "individualità" e "razionalità",
venne posta in discussione a partire dal XII-XIII secolo. S.Tommaso infatti, riconobbe la
"socialità" fra le "inclinazioni naturali" dell'uomo, cioè fra le sue esigenze irrinunciabili:
l'essere in relazione con altri è un elemento costitutivo della persona umana, del suo
essere e del suo agire.
* Il pensiero moderno si mostra più disponibile ad enfatizzare l'io e la coscienza
individuale. Individuo e società sono visti come concorrenti ed il potere civile viene
legittimato solo da un ipotetico "patto sociale" tra i singoli individui.
* Nel pensiero contemporaneo, la riflessione sull'uomo in quanto naturalmente "aperto
alle relazioni" si svilupperà molto, ma conoscerà anche le più radicali riduzioni
(dall'estremo del collettivismo marxista ai presupposti dell'individualismo liberista). E'
interessante l'approfondimento che viene fatto della dimensione di intrinseca relazionalitàsocialità della persona, radicata nella propria singolarità (con le proposte del "personalismo
comunitario" di Mounier e dell'"umanesimo integrale" di Maritain).
B. definizione del principio
* In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento il principio che ogni
essere umano è persona, cioè una natura dotata di intelligenza e di volontà libere; e
quindi è soggetto di diritti e di doveri che scaturiscono immediatamente e
simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri che perciò sono universali,
inviolabili e inalienabili (Pacem in terris 3)
* Due sono i poli tra i quali si colloca la persona in rapporto alla società.
- L'individualità: ogni persona è unica, originale, ha valore in sé, non può mai essere
ridotta a strumento per altri scopi. E' la dignità di ogni uomo cantata dal salmista, che ha
origine nella creazione e che viene ribadita da Gesù ai suoi discepoli.
° Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure lo
hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere
sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi. (Salmo 8, 5-7).
° Siamo infatti opera sua, creati in Cristo Gesù per le opere buone che Dio ha predisposto
perché noi le praticassimo (Lettera agli Efesini 2, 10).
° "Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro?" (Vangelo se-
condo Matteo 6, 26)
- La socialità: la relazione con gli altri non è un elemento facoltativo, legato al carattere o
puramente "aggiuntivo" all'essere persona: l'uomo è tale e si sviluppa in quanto persona
solo in rapporto all'altro. Solo nella relazione la persona può giungere a riconoscere in pienezza se stessa. E' solo a questo titolo, per il bene e la salvezza dell'uomo, che la Chiesa si
occupa anche di questioni sociali.
23
° Poi il Signore Dio disse: "Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli
sia simile" (Dal libro della Genesi 1, 18)
° Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse e disse loro: "Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela
e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia
sulla terra" (Gn 1, 27-28).
° Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo
custodisse (Gn 2, 15).
* Sin dall'inizio, il magistero sociale della Chiesa si radica e trova fondamento nella
persona umana, al cui servizio è posto, per "vedere anzitutto in quale misura i sistemi
esistenti sono conformi o meno alle esigenze della dignità umana" (Istruzione
"Libertatis conscientia", 1986 - n.74).
E' ancora il Vangelo (secondo S. Matteo) a ricordarci che nessuna regola o
istituzione è valida quando va contro la persona umana: Gesù disse loro: "Chi tra di voi,
avendo una pecora, se questa gli cade di sabato in una fossa, non la afferra e la tira fuori?
Ora, quanto è più prezioso un uomo di una pecora! Perciò è permesso fare del bene anche
di sabato" (12, 11-12).
c. principali attualizzazioni e mediazioni storiche
* Il principio personalista ha innumerevoli possibilità di attuazione ed a tal punto
fondamentale che spesso è giunto a improntare la Carta costituzionale di diversi paesi.
Ovviamente, per dare forma concreta a un progetto di società, occorre poi che tale
principio sia reso effettivo nella legislazione e nella gestione politico-istituzionale ed
economica della convivenza sociale.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Rispettare la dignità della persona significa in pratica riconoscere, difendere e
promuovere alcuni diritti universali, inviolabili e inalienabili: diritto all'esistenza,
all'integrità fisica e a un tenore di vita dignitoso; diritto di cercare liberamente la verità,
manifestare il proprio pensiero, partecipare al patrimonio culturale; diritto alla libertà di
religione; diritto di seguire la propria vocazione, formarsi una famiglia, educare i figli;
diritto al lavoro, alla libera iniziativa economica, a una giusta retribuzione; diritto di
riunione e di associazione, di emigrazione e di immigrazione, di partecipazione politica e di
certezza giuridica (Pacem in terris 5-15). Questi diritti hanno bisogno di essere ulteriormente precisati nei loro contenuti concreti, secondo le condizioni storiche, economiche e
culturali; tuttavia indicano sufficientemente un criterio di giudizio e una linea di impegno.
Una società è giusta e, al di là delle procedure formali, sostanzialmente democratica,
quando li garantisce a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione di sesso, razza,
lingua e religione. Si tratta di beni originari che derivano dalla natura e da Dio, non dal
consenso della maggioranza. (1097)
* In positivo, la società deve prendersi cura particolare della promozione dei diritti e
della dignità di "tutta" la persona e di "tutte" le persone. Perché promozione
personale e sociale possano andare nella stessa direzione, servono alcune cose:
- che il cittadino possa riconoscersi come soggetto consapevole, attivo, partecipe e corresponsabile della cosa pubblica
- una costante revisione critica delle istituzioni, oggi spesso in crisi di credibilità e viste
come alternative alla persona
- un consistente sforzo educativo ad una coscienza civile matura
- una seria riflessione capace di mostrare che politica, economia e diritto non sono
discipline "tecniche", ma sono poste, come la società tutta, a servizio della persona.
24
* L'istituzione pubblica dovrà poi porsi a servizio della difesa sociale della persona da
ogni ingerenza e strumentalizzazione a fini non direttamente collegati alla sua crescita:
- tutelando gli ambiti entro cui si esplica più immediatamente la propria personalità
(famiglia, comunità locale...)
- contrastando ogni progetto sociale massificante (che sia frutto di regimi totalitari o della
più sottile pervasione dei mass-media)
- escludendo qualsiasi prospettiva di esaltazione dell'autonomia e della libertà individuale
(es.: il cosiddetto "liberismo") che non tenga conto della intrinseca socialità dell'uomo
(quella che lo fa sentire legato agli altri da un comune destino e lo rende partecipe a attento ai problemi di chi vive accanto a lui).
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
La persona, tra individualismo e massificazione
* L'individualismo è un sistema di costumi, sentimenti, idee e istituzioni, che organizza
l'individuo sulla base di un atteggiamento di isolamento, difesa, diffidenza, autosufficienza,
calcolo e rivendicazione. Si realizza un modello di uomo senza alcun legame, una sorta di
dio sovrano che vive una libertà senza direzione né misura. Vengono a mancare insieme la
dimensione interiore e autentiche relazioni sociali.
* Nella nostra società frammentata e "postmoderna", sono poi ricorrenti fenomeni di
massificazione e rischi di manipolazione. La pressione della società dei consumi
(soprattutto attraverso la potenza dei mass-media) porta a trascurare i soggetti in quanto
persone e a considerarli come massa, categoria cui far pervenire i propri messaggi. E' una
dinamica che spesso si associa all'individualismo e produce appiattimento culturale e
apatia sociale.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Quando si allontana dalla fede in Dio, la cultura elabora un'immagine riduttiva dell'uomo,
che oscilla tra individualismo e collettivismo. La prima posizione svaluta la società,
come se fosse qualcosa di esterno all'uomo, un frutto del caso o di un patto tra individui.
La seconda degrada l'uomo a un numero, a un elemento del sistema. Spesso l'una va a
combinarsi con l'altra, enfatizzando simultaneamente l'individuo isolato e lo stato
burocratico centralizzato, ignorando invece la famiglia e le comunità particolari intermedie.
L'una e l'altra influenzano scelte sociali, economiche e politiche, che prescindono dalla
dignità e responsabilità della persona e conducono a risultati disastrosi. "L'uomo può
organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio non può alla fine che organizzarla contro
l'uomo" (PP 42). (1096)
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* La Chiesa insegna che l'uomo, immagine vivente di Dio, vale per se stesso: non per
quello che sa, che produce o che possiede.
Un lungo cammino storico ha portato all'affermazione di numerosi diritti della persona,
raccolti spesso in "carte" internazionali. La sensazione però è che a queste solenni
dichiarazioni di principio non corrisponda un'effettiva vita sociale dignitosa per ogni
persona.
- Quali tendenze vediamo in atto, dal punto di vista del riconoscimento e della pratica dei
diritti della persona?
- Che resistenze trova nella nostra società il principio personalista?
- Quale contributo di proposte, esperienze e di azione può offrire la comunità cristiana?
* Il primato della persona non va concepito in termini individualistici, perché la socialità,
l'apertura alla relazione con l'"altro", è una caratteristica naturale delle persone e non una
25
dimensione "aggiuntiva": il "tu" è parola più originaria dell'"io", nell'esperienza di vita di
ogni uomo.
Attualmente questo sentirsi naturalmente parte di una comunità civile più ampia appare in
crisi: si moltiplicano le appartenenze, si differenziano gli interessi, non si colgono i comuni
legami, la persona è vista sempre in alternativa alla società e alle istituzioni. La solidarietà
oggi non è più, se mai lo è stato, un fatto "meccanico" e deve sempre più diventare una
scelta personale consapevole.
- In che cosa ci sembra di poter scorgere con più facilità nella nostra esperienza i segni di
questa situazione?
- Quali sono gli ostacoli maggiori, che una persona oggi vive, a cogliere la propria "natura
sociale", cioè a sentirsi "per natura" parte di una comunità e quindi corresponsabile della
vita sociale?
- A quali virtù civiche dovrebbe maggiormente educare la comunità cristiana? Quali le
forme di partecipazione da incoraggiare, promuovere e sostenere?
* Il primato della persona ha trovato una sua declinazione precisa in campo lavorativo, là
dove si è affermato che l'uomo non può essere considerato al pari di una merce e quindi si
è proclamato solennemente il primato dell'uomo sul lavoro (cf. GS, 64-66 e LE, 4-10).
Ancora oggi siamo testimoni di tanti fatti e situazioni che paiono smentire questa
indicazione fondamentale: la diffusa disoccupazione, condizioni di lavoro spesso
problematiche, un numero impressionante di infortuni e di morti sul lavoro (superiori in
Italia a quelle per droga!)...
- Siamo consapevoli che il mondo del lavoro e delle professioni è uno dei campi principali
in cui siamo coinvolti e nel quale occorre testimoniare con la propria presenza e azione la
verità della dottrina sociale della Chiesa?
- Come mai c'è tanto disinteresse su queste situazioni, che toccano la vita quotidiana di
milioni di donne e di uomini nel nostro paese?
- Quali segnali possiamo dare come comunità cristiana per invertire la rotta?
- Che patrimonio di tradizione, valori e lotte troviamo oggi nell'esperienza sindacale? Come
alimentarlo?
Scheda n. 8
Parole-chiave della Dottrina Sociale della Chiesa:
LA SUSSIDIARIETA'
1. idea-guida
Le società intermedie, cioè i soggetti sociali, maturano come reali comunità di persone e
innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell'anonimato e in un'impersonale
massificazione. E' nel molteplice intersecarsi dei rapporti che vive la persona e cresce la
"soggettività della società".
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
L'autentica solidarietà rifugge sia dall'individualismo che dal collettivismo; valorizza la
famiglia e le comunità particolari, in cui le persone sono coinvolte più da vicino. Si articola
avari livelli secondo il principio di sussidiarietà. "Come è illecito togliere ai singoli ciò che
essi possono compiere con le forze e l'iniziativa propria per affidarlo alla comunità, così è
ingiusto affidare a una maggiore e più alta società quello che può essere fatto dalle minori
e inferiori comunità" (QA, 72). Anzi le società superiori devono sostenere, integrare e
26
coordinare quelle inferiori, che sono espressione più diretta della persona e le consentono
una partecipazione più creativa (n. 1100).
La persona è il fondamento e il fine della società; la società è il sostegno e il
perfezionamento della persona. E' necessario promuovere la dignità e i diritti della persona
e costruire una società solidale e pluralistica, dove la famiglia e le comunità particolari
siano valorizzate dalle comunità più ampie secondo il principio di sussidiarietà (n. 1101).
2. ORIGINE, DEFINIZIONE E PRINCIPALI ATTUAZIONI
A. La sua storia
La nozione di sussidiarietà è tra le più costanti e caratteristiche in assoluto
della Dottrina Sociale della Chiesa e costituisce uno tra gli apporti più originali
del magistero ecclesiale alla riflessione etico-sociale. Risulta uno dei temi
dell'insegnamento sociale della Chiesa tra i più richiesti sul mercato.
* La formalizzazione di questo principio è legata ai tempi moderni, proprio perchè il
contesto della società preindustriale era tale che i rapporti sociali erano estremamente
semplificati e lo spazio dell'intervento istituzionale era ridotto al minimo.
* La definizione del principio di sussidiarietà è rintracciabile nella Quadragesimo anno. Una
enciclica nata in un contesto socio-politico che vedeva in auge diversi regimi totalitari in
tutto il mondo. Per questo l'enunciazione del principio è posta in termini negativi, prima
che propositivi: la sussidiarietà per Pio XI rientra in una logica di "ordine sociale",
gerarchicamente strutturato, per regolarne i rapporti soprattutto in linea verticale, tra la
base e il vertice, affinchè sia tutelato e favorito il ruolo della persona e di ciascun corpo
intermedio che agisce nella società, evitando la preponderanza del potere dello Stato.
* E' nel corso dei pontificati successivi che la sussidiarietà viene estesa a comprendere la
sfera dell'attività economica (Mater et Magistra) e ad interessare i rapporti internazionali
(Pacem in terris ).
* Suo fondamento immediato possono essere considerate la libertà e la dignità
dell'uomo, che richiedono di essere favorite e promosse, mai ristrette o addirittura
annientate. L'uomo è principio, soggetto e fine della società. L'idea di uomo che sta alla
base del principio di sussidiarietà non vede, soprattutto, nella persona umana un essere
pieno di carenze, ma un essere dotato di ragione, capace di unificare in sè la dimensione
individuale e quella sociale, capace di contribuire al bene comune. Ogni persona è insieme
mendicante e mecenate, debitore e creditore.
Non manca chi vede nella stessa Sacra Scrittura il fondamento ultimo del principio:
Dio stesso opera nei riguardi dell'uomo in via di "sussidiarietà", suscitando e promuovendo
la dignità che Lui stesso ha conferito all'uomo.
B. LA SUA DEFINIZIONE
Il termine "sussidiarietà" deriva dal latino "subsidium", che indicava
originariamente le truppe di riserva; significa quindi qualcosa come soccorso o
assistenza. La sussidiarietà, applicata alla società, indica l'intervento
compensativo e ausiliario degli organismi sociali più grandi a favore dei singoli
o dei gruppi sociali più piccoli.
* Così si legge nella Centesimus Annus:
...Il principio di sussidiarietà: una società di ordine superiore non deve interferire nella
vita interna di una società di ordine inferiore, privandola delle sue competenze, ma deve
piuttosto sostenerla in caso di necessità e aiutarla a coordinare la sua azione con quella
delle altre componenti sociali, in vista del bene comune.
27
Intervenendo direttamente e deresponsabilizzando la società, lo stato assistenziale
provoca la perdita di energie umane e l'aumento esagerato degli apparati pubblici,
dominati da logiche burocratiche più che dalla preoccupazione di servire gli utenti, con
enorme crescita delle spese. Sembra infatti che conosce meglio il bisogno e riesce meglio
a soddisfarlo chi è ad esso più vicino e si fa prossimo al bisognoso...(n. 48)
Al riguardo, merita speciale menzione il fenomeno del volontariato, che la chiesa
favorisce e promuove sollecitando tutti a collaborare per sostenerlo e incoraggiarlo nelle
sue iniziative...
Oltre alla famiglia, svolgono funzioni primarie e attivano specifiche reti di solidarietà
anche altre società intermedie. Queste, infatti, maturano come reali comunità di persone e
innervano il tessuto sociale, impedendo che scada nell'anonimato e in un'impersonale
massificazione. E' nel molteplice intersecarsi dei rapporti che vive la persona e cresce la
"soggettività della società". L'individuo oggi è spesso soffocato tra i due poli dello stato
e del mercato. Sembra, infatti, talvolta che egli esista come oggetto dell'amministrazione
dello stato, mentre si dimentica che la convivenza tra gli uomini non è finalizzata nè al
mercato nè allo stato, poichè possiede in se stessa un singolare valore che stato e mercato
devono servire. (n. 49)
* Anche i Vescovi italiani nel recente documento 'Stato sociale ed educazione alla socialità'
(1. 5. 1995) risottolineano lo stesso principio:
"Il vero senso del principio di sussidiarietà è che non può essere usurpata l'iniziativa
che spetta originariamente ai soggetti sociali. Compito delle istituzioni è di
intervenire a loro sostegno (subsidium afferre) per metterli in grado di sviluppare la loro
iniziativa, di realizzare il loro intervento, fornendo o integrando gli strumenti e le risorse
necessarie". (n. 43)
* In sintesi:
- si afferma con chiarezza il primato della persona sulla società e della società civile
sullo stato.
- resta chiaro, inoltre, che il principio di sussidiarietà non può essere separato
dal principio personalista, nè da quello di solidarietà e del bene comune.
C. LE SUE PRINCIPALI ATTUALIZZAZIONI E MEDIAZIONI STORICHE
* In positivo la sussidiarietà esprime l'esigenza che l'autorità dello Stato sia
effettivamente posta al servizio della persona, della famiglia e di ogni aggregazione sociale
intermedia.
Questo richiede una sufficiente promozione del singolo in quanto partecipe
attivamente e responsabilmente non solo della vita sociale e politica, ma anche economica,
mediante la promozione dell'iniziativa privata.
* In negativo, il principio si oppone ad ogni forma di accentramento, massificazione,
burocratizzazione eccessiva, assistenzialismo, eccedenza della sfera pubblica nei riguardi
del privato, ad ogni logica monopolistica. La protezione da questi rischi deve trovare
espressione entro le cosiddette "garanzie costituzionali" a favore del cittadino, per sè
irrinunciabili e irrevocabili.
* I soggetti sui quali grava l'onere della sussidiarietà sono riconoscibili primariamente
nello Stato e in ogni altra società nei confronti dell'inferiore.
* Gli ambiti applicativi della sussidiarietà sono tutti quelli in cui si articola la vita associata:
dai singoli, ai gruppi, alle imprese, alle associazioni, allo Stato, alle Comunità delle nazioni.
Tra le possibili molteplici applicazioni, che chiedono coraggiose attualizzazioni, si
possono ricordare i temi delle autonomie locali, della libertà di educazione, del pluralismo
28
delle istituzioni, dell'impegno politico che dal territorio si apra a dimensioni più ampie, fino
a quelle internazionali.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Società di massa e democrazia
La crescente massificazione appare il destino inarrestabile delle moderne
società industriali. In tutto il mondo è iniziata la concentrazione di gigantesche
masse di popolazione in enormi quartieri cittadini, città satellite o megalopoli.
L'urbanizzazione della popolazione mondiale si produce con una velocità
imprevista, così che già oggi in paesi in via di sviluppo quali la Columbia o il
Messico più della metà della popolazione abita in città...
Molte città con milioni di abitanti sono già da oggi praticamente ingovernabili.
Non a caso si parla già di una foresta metropolitana. Una città come New York
è, per i suoi consiglieri comunali, un incubo. Si dice che il delitto in alcune
metropoli non venga più combattuto in maniera efficace, bensì solo registrato
in maniera efficace e che la miseria di massa non venga risolta, bensì solo
gestita.
Tra le terapie destinate al successo per la moderna società di massa si annovera
un'applicazione conseguente della sussidiarietà, poichè essa rappresenta un
contrappeso efficace contro la tendenza alla centralizzazione, contro la
burocratizzazione e la massificazione. E' molto importante sostenere, rafforzare
o suscitare ex novo, nel caso non esistano più, piccole e dominabili unità...
Ciò che è stato ed è tuttora indispensabile sarebbe una nuova suddivisione
ragionata dei compiti e delle competenze. Per il futuro molto dipenderà dal
fatto che si riesca, nell'ambito dello Stato e della società, a suscitare il maggior
numero possibile di piccole e dominabili unità, nelle quali possa svilupparsi
l'iniziativa individuale e la collaborazione responsabile dei singoli individui,
spazi individuali, nei quali sia ancora possibile l'incontro fra uomo e uomo.
Si dovrebbe contemporaneamente ricordare che una applicazione conseguente
della sussidiarietà può rafforzare in maniera efficace la democrazia.
Sussidiarietà significa delega di competenze e potere, quindi suddivisione e
controllo del potere. La sussidiarietà è un principio altamente democratico e,
ciò che conta ancora di più, un principio profondamente umano. Se la moderna
società di massa vuole rimanere degna dell'uomo si dovrà prendere molto
seriamente la sussidiarietà. (Th. Herr)
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* La sussidiarietà esprime l'esigenza che l'autorità dello Stato sia posta al
servizio della persona, della famiglia e di ogni aggregazione sociale intermedia.
Ma questo richiede che i singoli, i gruppi e le organizzazioni abbiano un forte senso dello
Stato e un appassionato interesse a vivacizzare con la loro opera la società civile.
- Non c'è forse invece una tendenza a chiudersi e a cercare solo i propri interessi o quelli
di gruppo?
- E che senso hanno le proteste contro il centralismo dello Stato, se poi non vi corrisponde
anche un risveglio della partecipazione democratica alla vita politica?
* Fondamento del principio di sussidiarietà sono la libertà e la dignità della
persona: l'uomo è principio, soggetto e fine della società.
La società e la sua organizzazione statale devono quindi essere strutturate in maniera
sussidiaria, dal basso verso l'alto, per garantire la miglior affermazione del singolo uomo e
29
delle sue facoltà, nonchè l'esistenza e la funzionalità delle piccole comunità, quali la
famiglia e le istituzioni private.
- Ma quale idea di uomo sta alla base di questo principio: solo l'uomo utente o cliente?
l'eterno minorenne o il suddito chiamato solo a obbedire e a pagare? o non invece l'uomo
capace di contribuire al bene comune?
* Il cittadino e i vari soggetti comunitari della società civile (famiglia,
sindacato, movimenti, volontariato, privato-sociale...) devono essere tutelati da
'garanzie costituzionali' irrinunciabili e irrevocabili, per difendersi da indebite
forme di accentramento dello Stato.
E' importante quindi poter efficacemente controllare e impedire ogni possibile
sconfinamento dell'attività statale.
- Quali possono essere le forme concretamente praticabili per esercitare questo diritto di
controllo e di autodifesa? Conosciamo e facciamo conoscere le normative vigenti in ordine
a questa possibilità?
Scheda n. 9
Parole-chiave della Dottrina Sociale della Chiesa:
LA SOLIDARIETA'
1. IDEa - GUIDA
La solidarietà, nella sua evoluzione storica, si presenta come la tensione liberamente e
consapevolmente assunta dei singoli e dei gruppi ad essere stabilmente 'tra' gli altri, 'con'
gli altri e 'per' gli altri.
Il termine 'solidarietà' è ormai entrato nel linguaggio comune, ma la DSC
continua ad usarlo col significato di 'virtù morale' strettamente connesso con la
virtù cristiana per eccellenza, la carità.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Purtroppo non mancano tensioni e lacerazioni. Una certa conflittualità sociale inevitabile,
perché esistono interessi oggettivamente concorrenti. Essa svolge un ruolo addirittura
positivo, quando si configura come "lotta per la giustizia sociale" e privilegia la trattativa e
il ragionevole compromesso. Non ha senso invece esaltare la lotta distruttiva, la
contraddizione e la guerra come "fattori di progresso e di avanzamento della storia". Gli
interessi convergenti sono più rilevanti ancora di quelli concorrenti; anzi gli uomini di per
sé sono un bene gli uni per gli altri.
Una convivenza degna dell'uomo non può fondarsi sui rapporti di forza, ma sulla verità, la
giustizia, l'amore e la libertà. Tutti devono sentirsi responsabili di tutti. Ognuno deve
guardare al prossimo come a un altro se stesso. "La legge fondamentale dell'umana
perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento
della carità" (G.S. n. 38). la carità impegna a fare il possibile per edificare una convivenza
solidale e pluralista, che consenta alle persone e ai popoli di svilupparsi liberamente,
ciascuno con la propria identità e originalità. (1099)
2. ORIGINE, DEFINIZIONE E PRINCIPALI ATTUALIZZAZIONI
A. LA SUA STORIA
* Termini come 'solidalis', 'sodalis', 'in solido', ecc. indicavano anticamente (già nel diritto
romano), un legame di tipo giuridico o parentale che impegnava chi faceva parte del
gruppo a rispondere per intero (in solido) e non solo per una parte.
30
* A partire dalla rivoluzione francese il concetto di solidarietà passa da una sfera di natura
giuridica e privatistica alla sfera pubblica. Fino al punto che, durante la Terza repubblica, la
'solidarietà' venne addirittura equiparata alla 'fraternità' di rivoluzionaria memoria.
* E' agli inizi del '900, in ambiente cattolico, che fu coniato il termine 'solidarismo', per
contrapporre una possibile 'via intermedia' agli eccessi del socialismo e del liberalismo.
* Da Pio XII in poi, l'idea di solidarietà rimase tra i principi-base della DSC, pur assumendo
volti formali diversi: da 'principio architettonico' di una società armonica-unitaria-aperta
a 'valore' etico sociale, a 'virtù morale'.
B. LA SUA DEFINIZIONE
Il testo caratteristico che fissa autorevolmente il concetto di solidarietà è di
Giovanni Paolo II.
Dalla Sollicitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo II
Nel cammino della desiderata conversione verso il superamento degli ostacoli morali per lo
sviluppo, si può già segnalare, come valore positivo e morale, la crescente consapevolezza
dell'interdipendenza tra gli uomini e le Nazioni (...), sentita come sistema determinante di
relazioni nel mondo contemporaneo (...). Quando l'interdipendenza viene così riconosciuta,
la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come 'virtù', è la solidarietà.
Questa, dunque, non è un sentimento di vaga compassione o di superficiale intenerimento
per i mali di tante persone, vicine o lontane. Al contrario, è la determinazione ferma e
perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di
ciascuno, perché tutti siano veramente responsabili di tutti" (n.38).
E' dunque 'virtù sociale fondamentale' esplicitamente orientata come la
giustizia al bene comune.
Anzi il Papa conferma una sua stretta connessione direttamente con la virtù
cristiana per eccellenza, la carità, al punto da presentare la solidarietà come carità
sociale, cioè l'espressione della carità evangelica sul fronte sociopolitico. Queste
valenze sono caratteristiche della fede, quindi solo il cristiano le sa attribuire
alla solidarietà: anche perché la fede consente di rileggere l'intera azione salvifica
di Dio come opera di suprema solidarietà verso l'uomo.
Concilio Vaticano II - Dalla Costituzione Pastorale "Gaudium et Spes" n. 32
" Come Iddio creò gli uomini non perché vivessero individualmente ma destinati a formare
l'unione sociale, così a Lui piacque salvare gli uomini non a uno a uno, escluso ogni mutuo
legame, ma di costituirli in popolo. Tale carattere comunitario è perfezionato e compiuto
dall'opera di Cristo Gesù. Lo stesso Verbo incarnato volle essere partecipe della convivenza
umana. Santificò le relazioni umane, volle condurre la vita di lavoratore del suo tempo e
della sua regione. Nella sua predicazione comandò ai figli di Dio che si trattassero vicendevolmente come fratelli. Nella sua preghiera chiese che tutti i suoi discepoli fossero
'una cosa sola'. Comandò inoltre agli apostoli di annunciare il messaggio evangelico a tutte
le genti, perché il genere umano diventasse la famiglia di Dio, nella quale la pienezza della
legge fosse l'amore. Dopo la sua risurrezione ha istituito, mediante il dono del suo Spirito,
una nuova comunione fraterna, in quel suo Corpo che è la Chiesa. Questa solidarietà dovrà
essere sempre accresciuta, fino a quel giorno in cui sarà completa, e in cui gli uomini,
salvati dalla grazia, renderanno gloria perfetta a Dio, come famiglia da Dio e da Cristo
Fratello amata".
C. LE SUE PRINCIPALI ATTUALIZZAZIONI E MEDIAZIONI STORICHE
31
* Gli atteggiamenti basilari che traducono la tensione "solidaristica dei singoli e dei
gruppi" (cfr. IDEA-GUIDA) sono:
- la condivisione di tutte le situazioni felici e dolorose del proprio Paese o
ambiente sociale ('essere tra')
- il contributo costruttivo alla causa comune contro la logica di spartizione o
frammentazione ('essere con')
- la disponibilità a spendersi per la giustizia anche senza utilità o tornaconto
personale ('essere per')
* Gli ambiti e le modalità effettive di attualizzazione sono svariatissimi:
- sotto il profilo dei rapporti con i valori fondamentali, la DSC evidenzia il nesso
della solidarietà con il bene comune, con la destinazione universale dei beni,
con l'uguaglianza di base tra gli uomini e tra i popoli, con la pace (S.R.S. 39)
- sotto il profilo genericamente sociale, la solidarietà mira a favorire la
condivisione, la corresponsabilità e la cooperazione.
* Tra gli obiettivi concreti, la solidarietà mira anche alla socializzazione degli oneri
sociali non sostenibili dal singolo soggetto: assicurazioni sociali contro infortuni, malattia e
anzianità, sostegno alle famiglie numerose, educazione e assistenza ai meno abbienti,
ricupero di aziende in difficoltà, ammortizzatori sociali, leva fiscale e contributiva
differenziata...
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Stato sociale e nuova cittadinanza sociale.
C'è un aspetto che spesso non è giustamente valutato dello Stato sociale: il suo
essere espressione istituzionalizzata di solidarietà.
Alle spalle dello Stato sociale c'è la lunga storia del mutualismo operaio e
contadino, c'è una esperienza enorme di aggregazione dal basso: casse mutue,
banche popolari, cooperative, leghe, società di resistenza e di mutuo soccorso.
Dinanzi agli effetti devastanti del mercato, dinanzi alla legge della domanda e
dell'offerta, dinanzi all'urbanesimo, all'emigrazione, dinanzi al crollo delle
forme della solidarietà pre-industriale, si sviluppa faticosamente, spesso
drammaticamente, una solidarietà nuova. E' una solidarietà sociale assai poco
'istituzionale', ma che preme per una diversa concezione dei compiti e del ruolo
dello Stato.
Si dice spesso che tra l'Ottocento e il Novecento assistiamo al passaggio dallo
Stato liberale alla democrazia di massa: non sempre tuttavia si sottolinea come
questo passaggio sia stato reso possibile dal filo rosso che attraversa la storia
sociale dell'800. Tale filo è costituito dallo sviluppo e dalla progressiva
statalizzazione dei grandi servizi sociali. (...)
Lo sviluppo di questa storia complessa ha portato alla costruzione di un diritto
nuovo, il diritto sociale; alla realizzazione di una figura nuova, quella della
cittadinanza sociale; all'acquisizione di una dignità sociale che solo un secolo
prima era impensabile.
E' a partire da questa consapevolezza, da questo passaggio di civiltà (tale è
indubbiamente lo Stato sociale) che noi oggi possiamo pensare ad una critica
dello Stato assistenziale. L'orizzonte di senso di tale critica non può essere un
ritorno al passato, ma è appunto la dignità della cittadinanza; non può essere il
ritorno a un mitico privato, ma ad una nuova dimensione del pubblico.
32
Due limiti dello Stato sociale si fanno oggi sempre più evidenti: la tendenziale
coincidenza tra pubblico e statale e un sistema di garanzie che protegge alcuni,
ma esclude altri e che rischia di trasformare la cittadinanza in privilegio. La
tendenziale coincidenza tra pubblico e statale ha finito per svalutare, o
comunque per vedere come residuale, quell'insieme di dimensioni pubbliche
non statali che sono proprie della società, un patrimonio fondamentale della
convivenza sociale. Pensiamo al ruolo dell'associazionismo, del volontariato, a
quel vasto complesso di 'mondi vitali' che sono alla base di ogni processo di
socializzazione e di solidarietà. Questo ruolo dell'associazionismo e del
volontariato si scopre spesso come supplenza, quando emerge la crisi dei grandi
servizi sociali, non come attore strategico di un modello capace di vedere in
modo creativo dimensione statale e dimensione del privato-sociale.
E' invece questa la prospettiva intorno a cui lavorare. (...)
Il secondo punto riguarda il ripensamento dei sistema di garanzie. Quelle
attuali sono legate ad una fase ormai trascorsa della composizione della società
italiana. In questo quindicennio il movimento delle donne, la rivoluzione
demografica, la ristrutturazione industriale hanno modificato profondamente la
dimensione della cittadinanza. Il sistema di garanzie attuale rischia di
riprodurre la 'società dei due terzi': una cittadinanza come privilegio e una
cittadinanza come esclusione. Tocchiamo qui i limiti del vecchio Stato sociale. Il
problema non è quello di smantellarlo, di ritornare a un mitico privato, è invece
quello di riqualificarlo attraverso nuove regole del gioco che vedano la società,
il privato sociale, l'associazionismo, il volontariato come attori importanti di
una fase nuova della solidarietà e delle istituzioni nel nostro Paese. (Giovanni
Bianchi)
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* La solidarietà è tensione, liberamente e consapevolmente assunta, dei singoli
e dei gruppi ad essere stabilmente 'tra', 'con' e 'per' gli altri.
Ma il nostro è tempo di grandi contraddizioni, che non risparmiano i singoli, le categorie
sociali, gli organismi politico-sociali. La solidarietà assume forme nuove, ma resta una
eccezione nel panorama generale, pur vivendo in un'epoca di interdipendenza. Rivela, in
più, le sue possibili ambiguità. Ci sono infatti le solidarietà 'corte' (che lasciano inalterati i
meccanismi che alimentano ingiustizie e disuguaglianze) e quelle 'lunghe', che si possono
realizzare con l'azione politica e sindacale. Esperienza e storia insegnano, inoltre, che la
solidarietà nasce più facilmente tra/per alcuni, spesso contro altri. Ma, allora, la solidarietà
è un valore alto, esigente, perfino discriminante, sfiora la 'profezia' e diviene il nome
politico e laico della carità.
- Quali segnali intravediamo nelle due diverse direzioni?
* La solidarietà, definita essenzialmente virtù morale, si colloca tra le nozioni
fondamentali del vivere sociale ed esige quindi in primo luogo un elevato profilo
morale.
Senza di esso potrebbe infatti diventare facile mezzo di ineguaglianza e di 'parassitismo',
indebolendo l'iniziativa privata e la responsabilità personale per la 'cosa pubblica'.
- Non è forse qui che va ricercata la causa della degenerazione dello Stato Sociale in Stato
Assistenziale, paternalista e clientelare, oltre che dissipatore di risorse pubbliche?
* La cittadinanza sociale è la figura nuova della solidarietà che dovrebbe
garantire dignità e diritti sociali a tutti, anche ai soggetti più deboli.
33
Essa è punto storico di grandi lotte sociali sostenute dai contadini, dagli operai, dalle
donne e da movimenti e associazioni della società civile.
- E' vero che la solidarietà è più facile nei periodi di prosperità, quando è possibile aiutare
gli altri senza rinunciare al proprio benessere?
- E' vero che quando giunge la crisi ci si sente toccati nei propri interessi e che quindi la
solidarietà è testimoniata concretamente solo da chi ha una solida formazione etica?
Scheda n. 10
Parole-chiave della Dottrina Sociale della Chiesa:
IL BENE COMUNE
1. IDEa - GUIDA
Il bene comune è il senso, la ragione d'essere profonda della comunità politica, delle
istituzioni sociali e in particolar modo dell'autorità civile. E' il fine e il criterio di ogni azione
sociale e politica, ad ogni livello.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
I cittadini sono nello stesso tempo destinatari e protagonisti della politica. Sono obbligati in
coscienza a osservare le leggi giuste e a pagare le tasse. Hanno il diritto-dovere di approvare l'ordinamento politico, di eleggere i governanti e di controllare il loro operato. Inseriti
nelle comunità intermedie e nelle associazioni, partecipano alla gestione di numerosi servizi, specie nei settori dell'educazione, della cultura, della sanità e dell'assistenza (n. 1105)
Se tutti devono cooperare all'attuazione del bene comune, alcuni però hanno la funzione di
coordinare e dirigere ad esso le molteplici energie: sono i detentori della pubblica autorità.
La legittimità di un governo si misura dalla capacità di rispettare e sostenere i diritti delle
persone e dei soggetti sociali intermedi. Il potere deve essere esercitato per il popolo e
con il popolo: l'autorità è "vicaria della moltitudine" (id.). Ovviamente la possibilità di
partecipazione è diversa secondo le condizioni culturali e le situazioni storiche. D'altra
parte è necessario un governo della società che non si limiti a mediare gli interessi
particolari, ma sappia inquadrare il pluralismo entro regole precise e guidarlo verso
obiettivi storici concreti. Quanto all'esercizio dell'autorità, governano rettamente coloro che
"non guardano in sé il potere del grado, ma l'uguaglianza di condizione e non godono nel
fare da superiori, ma nel fare del bene degli altri" (S.Gregorio Magno) (n. 1106).
2. ORIGINI, DEFINIZIONE E PRINCIPALI ATTUALIZZAZIONI
A. LA SUA STORIA
Trattandosi di uno dei criteri-base di legittimazione e regolamentazione di ogni
forma di vita sociale, il principio del bene comune ha radici lontane nel tempo.
* Fin dalle origini del pensiero politico classico, greco prima e romano dopo, abbiamo una
società pensata nei termini di un organismo, di un "corpo", per cui le varie membra che lo
compongono, sotto la direzione del capo, sono chiamate a collaborare ordinatamente per
la vita del tutto. Ciascuna non può fare a meno dell'apporto delle altre, e il bene del tutto inseparabile da quello delle singole parti - non si realizza al di fuori di esse. E' bene per sé
indiviso ed indivisibile proprio come il benessere del corpo, non riconducibile a questa o
quella funzione soltanto, ma alla cui realizzazione sono necessarie tutte le sue membra.
* Poi S. Tommaso, nel sec. XIII, dà alla nozione di bene comune un'importanza decisiva.
Lo chiama "principalissimum" perché comprensivo anche del bene dei singoli e delle
società inferiori; ad esso tende la virtù della giustizia generale o legale che è caratteristica
peculiare del principe.
34
* Il seguito della storia vede il concetto di bene comune accompagnare le vicende legate
alle varie forme di potere statale e alle diverse concezioni di uomo (cioè all'antropologia).
Infatti:
- se la persona è vista come un puro individuo, il bene comune diventa la
semplice somma dei beni particolari dei singoli (teoria liberale);
- se, invece, la persona viene superata e pressoché annullata dalla società, il
bene comune diventa una realtà totalmente indipendente dal bene delle singole
persone, riducendosi al bene della società e diventando bene per le singole
persone nella misura in cui questo è vantaggioso per la società intera (teorie di
ispirazione statalistica e autoritaria);
- se si vede la persona umana come realtà non trascendentale, ma insieme
intrinsecamente aperta alla socialità, il bene comune - definito come sopra non
riguarda solo la singola persona né solo la società, ma e l'una e l'altra e,
comunque, si risolve sempre, sia pure per via indiretta e mediata, in un bene
reale per tutti i membri della società stessa (concezione cristiana).
B. LA SUA DEFINIZIONE
La nozione di bene comune trova praticamente esplicita definizione quasi entro
ogni grande enciclica sociale.
* Così la Rerum Novarum lo considera come l'adempimento fondamentale dello Stato
per risolvere la questione sociale: esso infatti deve promuovere anzitutto i beni morali e
spirituali nella società, affinché possa essere conseguito anche il bene sociale complessivo.
Dalla Rerum Novarum
Ora, la prosperità delle nazioni deriva specialmente dai buoni costumi, dal buon assetto
della famiglia, dall'osservanza della religione e della giustizia, dall'impostazione moderata e
dall'equa distribuzione dei pubblici oneri, dal progresso delle industrie e del commercio, dal
fiorire dell'agricoltura e da quelle attività, le quali, quanto maggiormente vengono
promosse, tanto meglio favoriscono i cittadini (n.26).
* Nella Quadragesimo anno al n. 109, il bene comune è visto come l'obiettivo da
conseguirsi mediante l'impulso dato dalle istituzioni a rispondere alle esigenze della
giustizia sociale intesa come la forma più ampia e generale della giustizia.
* Poi la Mater et Magistra (84-85) dilata gli orizzonti alle esigenze del bene comune
internazionale, al centro del quale sono posti gli obiettivi della pace, dello sviluppo e della
cooperazione tra i popoli.
* La definizione che con maggior completezza e lucidità esprime la natura del bene
comune e che integra le precedenti, è senza dubbio quella della Gaudium et Spes al
n.74:
Gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi, che formano la comunità civile, sono consapevoli
di non essere in grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle
esigenze della natura umana e avvertono la necessità di una comunità più ampia, nella
quale tutti rechino quotidianamente il contributo delle proprie capacità, allo scopo di
raggiungere sempre meglio il bene comune.
Per questo essi costituiscono, secondo vari tipi istituzionali, una comunità politica. La
comunità politica esiste proprio in funzione di quel bene comune, nel quale essa trova
giustificazione e dal quale ricava il suo ordinamento giuridico, originario e proprio. Il bene
comune si concreta nell'insieme di quelle condizioni sociali che consentono e favoriscono
negli esseri umani, nelle famiglie e nelle associazioni il conseguimento più pieno e più
rapido della loro perfezione.
35
(...) Affinché la comunità politica non venga rovinata dal divergere di ciascuno verso la
propria opinione, è necessaria un'autorità capace di dirigere le energie di tutti i cittadini
verso il bene comune, non in forma meccanica o dispotica, ma
prima di tutto come forza morale che si appoggia sulla libertà e sulla coscienza del dovere
e del compito assunto.
Sintesi argomentativa del documento conciliare citato:
- nel primo paragrafo si segnala la necessità della comunità politica a servizio
della persona stessa;
- nel secondo la definizione "formale" di bene comune, vale a dire
fondamentale: promuovere il bene comune è anzitutto "creare" le condizioni di
possibilità di un vivere comune pacifico e ordinato al bene di ciascuno e di tutti;
- nel terzo, indica il bene comune come compito primario e più ancora come il
senso, la ragion d'essere della stessa autorità politica. Essa non si sostituisce,
ma fa anzi appello alla coscienza morale e civile dei cittadini, affinché il loro
apporto converga ad unità e non si disperda in sterili contrapposizioni o vie
prive di sbocchi.
In conclusione
1. il bene comune non è semplice somma di beni particolari di ciascuno: corrisponde
invece a quel bene di tutti e di ciascuno al tempo stesso, che è sintesi di tutti i beni
realizzati dalla convivenza civile; bene che rimane "comune", sia perché indivisibile, sia
perché solo comunitariamente è possibile costituirlo, accrescerlo e conservarlo.
2. tutte le sopracitate definizioni sono concordi, pur nella diversità delle accentuazioni, a
considerare il bene comune come un concetto di natura etica, ossia qualitativa e non
quantitativa.
Il bene comune è la vita buona della comunità politica, ove i doveri e i diritti sono rispettati, ove le persone trovano un ambiente favorevole al loro sviluppo umano, ove i
valori non sono stravolti.
Questa connotazione etica del concetto di bene comune richiede che non si accetti
nessuna pretesa di raggiungerlo in modo automatico, cioè senza l'impegno morale della
volontà e della costruttività degli uomini, senza una conversione interiore ai valori e al
bene, senza uno sforzo e una lotta per la giustizia.
C. LE SUE PRINCIPALI ATTUALIZZAZIONI E MEDIAZIONI STORICHE
Sinteticamente, tra le numerose configurazioni storiche possibili del bene
comune, riassumiamo le sue principali concretizzazioni secondo questi profili:
- per quanto riguarda gli ambiti: sono i più svariati, relativi a qualsiasi comunità di
persone, a ogni aggregazione sociale, di carattere politico, economico, caritativo, culturale,
configurando il bene comune in una logica di complementarietà e sussidiarietà, senza
sovrapposizioni o conflittualità.
- altra questione invece riguarda i possibili contenuti del bene comune, evidentemente
mai suscettibili di una definizione ultima. Assumendo come riferimento essenziale una
comunità statale 'nazionale', i principali contenuti possono essere così configurati:
Dal Dizionario del Concilio ecumenico Vaticano II
Il bene comune della società consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti e doveri
della persona umana, che sono universali ed inviolabili. Occorre perciò che siano rese
accessibili all'uomo tutte le realtà necessarie a condurre una vita veramente umana, come
il vitto, il vestito, l'abitazione, il diritto di scegliersi liberamente lo stato di vita e di fondare
una famiglia, il diritto all'educazione, al lavoro, al buon nome, al rispetto, alla conveniente
36
informazione, alla possibilità d'agire secondo la retta norma della propria coscienza, alla
salvaguardia della vita privata ed alla giusta libertà anche in materia religiosa (pag. 654).
Si tratta di beni essenziali per lo svolgimento di una ordinata e pacifica vita sociale,
costituendo e mettendo a disposizione del singolo quella trama di beni e servizi che sono
le premesse al vivere personale e sociale.
- Quanto ai destinatari: sono tutti i cittadini non necessariamente in eguale misura, ma
pur sempre suddividendo gli oneri e i diritti secondo giustizia ed equità.
- Un'ultima questione riguarda i protagonisti: una cultura sociale fondata sul bene
comune, deve favorire un clima ed uno stile di corresponsabilità per la "cosa" pubblica,
dove una particolare responsabilità grava sull'autorità politica.
Nello Stato democratico, chi detiene il potere, è tenuto ad interpretare il bene
comune, non soltanto nell'ottica della maggioranza che li sostiene, ma nell'ottica del bene
di tutti, comprese le minoranze ed a partire dagli ultimi.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Bene comune: bene morale o meccanismo impersonale?
* Tra le tante tendenze dirette a considerare il bene comune una conseguenza quasi
automatica, vogliamo ricordarne almeno due:
- la cultura economicista liberale è ancora largamente dipendente dal mito della
"mano invisibile" (A. Smith) secondo cui basta che ognuno sia lasciato libero di
intraprendere i propri interessi particolari e ne risulterà automaticamente un
equilibrio armonico del mercato e della società secondo giustizia, ossia ne
risulterà il bene comune.
E' assimilabile a questa prospettiva ogni posizione tecnocratica ossia
vedere il bene comune come un problema di mezzi da impiegare e non di fini
morali da raggiungere, come un problema risolvibile con degli interventi da
parte di competenti (i tecnocrati) anziché mediante la partecipazione delle
persone.
- La cultura socialista e marxista è invece stata a lungo legata all'altro mito del bene
comune visto come prodotto dell'attività politica, frutto delle istituzioni
pubbliche, un bene comune garantito dall'alto e che si realizza senza la
partecipazione responsabile di tutti.
* Ambedue le posizioni - e quante sono ad esse assimilabili - non sono accettabili perché
eliminano dalla nozione di bene comune quella di "bene morale", ne fanno qualcosa di
garantito a partire da meccanismi impersonali, qualcosa di indifferente ai valori e,
peccando di irrealismo, sognano una società perfettamente funzionante in cui ci sia il bene
comune senza che, per raggiungerlo, ci sia bisogno che gli uomini siano buoni.
In altri termini non pongono al centro del bene comune la persona umana nella sua
effettiva realtà di "giusto e peccatore" (CA 53), la cui salvezza, anche storica, non può
ritenersi automaticamente garantita da nulla.
(da "La società", Verona, Minidossier n.13).
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Il bene comune è il fine di tutto l'agire sociale
Se gli uomini fossero solo individui aventi ognuno dei fini differenti, i loro rapporti si
esaurirebbero nei patti privati e l'unica forma di giustizia sarebbe quella commutativa,
quella che regola i rapporti tra dei privati. Dato che, invece, l'uomo è naturalmente sociale,
i suoi rapporti con i propri simili hanno per fine anche il bene comune, ossia il bene
dell'intero corpo sociale e la giustizia non si limita a quella commutativa, ma si allarga e
comprendere quella distributiva e, in generale quella sociale.
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- Come giudicare l'esplosione dei vari particolarismi: ieri quelli ideologici, oggi quelli
corporativi, territoriali o etnici? Qual'è la loro radice?
* Il bene comune della società consiste soprattutto nella salvaguardia dei diritti
e dei doveri della persona umana, che sono universali e inviolabili.
Il Card. Martini (in "Sto alla porta"), per "contrastare la cultura della protesta, del
mugugno, dell'impotenza, della disillusione, della depressione, della rivalsa,
dell'autoconsolazione, della chiusura in se stessi a doppia mandata", ricorda che "è stato
detto negli anni scorsi che bisognava passare da una stagione dai diritti a una dei doveri" e
che questo "è il momento delle responsabilità".
- Che significato può avere oggi l'esigenza etica delle proprie responsabilità di fronte allo
Stato, alla società civile, alla propria professione?
* Spetta prioritariamente all'Autorità realizzare il bene comune, coordinando gli
apporti di tutti ad esso
Ma spesso chi ha responsabilità politiche è schiavo del consenso sociale, non invece un
'ministro', cioè un saggio 'servitore' preoccupato del bene di tutti (Martini, ib.).
- Come promuovere un nuovo costume politico: con la vigilanza sui candidati, la denuncia,
la formazione all'impegno sociopolitico, la partecipazione...? la cura della cosa pubblica è
prima una questione di mentalità o di coerenza nei comportamenti concreti?
* Ogni aggregazione sociale - di carattere politico, economico, caritativo,
culturale, ecc. - si costituisce in vista di un determinato 'bene comune'.
Ciascuna di esse è chiamata a interrogarsi, o a mettersi in discussione, a chiedere conto a
se stessa non solo delle proprie responsabilità attive, ma pure di omissione o di semplice
distrazione (Martini, ib.).
- Quali risvolti può avere questa vigilanza critica all'interno dei partiti, dei dirigenti pubblici,
della comunicazione sociale, delle associazioni e della stessa Chiesa?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste di riflessione e approfondimento
conclusione delle schede 7-8-9-10
a
- Quali possibili reinterpretazioni o attualizzazioni di questi quattro criteri o parole-chiave vi
sembrano oggi più opportune? Quali vi sembrano da segnalare con prioritaria importanza
nell'attuale contesto?
- Come, entro l'odierno contesto di complessità, pluralismo, frammentazione sociale, è
possibile parlare ancora, in modo persuasivo e credibile, di "principi, valori, idee sociali"?
Come mostrarne l'esigenza, evitando gli estremi di un "idealismo" pago solo di aver "ben
pensato" in termini formali l'odierna questione sociale, e di un "pragmatismo" che ponga
l'accento quasi esclusivamente sui "risultati", in termini utilitaristici e d'immagine, della
propria azione sociale?
- Si rileggano gli art. 1-11 della nostra Costituzione repubblicana (i "Principi fondamentali";
ove possibile, la lettura potrebbe essere estesa anche a tutta la I Parte, "Diritti e doveri dei
cittadini", fino all'art. 54), ritrovandone - o meno - l'eco dei principi sociali enunciati. La
riflessione dovrebbe poi vertere sui problemi legati alla praticabilità effettiva di essi (cfr.
anche art. 3, 2 ° comma), di là della loro semplice enunciazione.
38
Scheda n. 11
L'attività politica secondo la Dottrina Sociale della Chiesa:
ORGANIZZAZIONE POLITICA E SOCIETA' CIVILE
1. IDEA - GUIDA
La politica è l'istituzione sociale per eccellenza, che influisce sul vivere civile e
quindi sulle altre istituzioni. Il suo ruolo è quello di essere a servizio del bene
integrale della persona, mediante la realizzazione del bene comune.
Per raggiungere tali obiettivi, la politica non deve essere come "il tutto" della società civile,
né esaurirsi nelle competenze istituzionalmente prestabilite, ma deve favorire l'apporto
partecipativo dei cittadini e delle aggregazioni sociali.
Dal catechismo degli Adulti - CEI: La verità vi farà liberi
Molti diffidano della politica, preferiscono starsene fuori. Altri vi entrano per affermare
interessi personali o di parte. Altri, infine, ne fanno una specie di messianismo, in grado di
liberare l'uomo da tutti i suoi mali.
La Chiesa ha un'alta stima per la genuina azione politica; la dice "degna di lode e di
considerazione", l'addita come "forma esigente di carità". Riconosce che la necessità di
una comunità politica e di una pubblica autorità è inscritta nella natura sociale dell'uomo e
quindi deriva dalla volontà di Dio. D'altra parte essa indica i limiti della politica e vigila
perché non diventi invadente o addirittura totalitaria. Questa sua posizione è in continuità
con quanto al riguardo insegna la Bibbia. (n. 1102)
2. ATTIVITÀ POLITICA - SOCIETÀ' CIVILE - AGGREGAZIONI SOCIALI
A. Che cos'è la politica? e perché la politica?
* In una società complessa come la nostra, uscita dal processo di industrializzazione e
ormai postindustriale, le relazioni fra le persone sono fondamentalmente di due tipi: quelle
delle "comunità" (famiglia, paese, gruppi di amici...) in cui ciascuno è riconosciuto come
tale, per ciò che è, e quelle caratteristiche delle "società" (grandi aggregazioni sociali) in
cui ciascuno è riconosciuto non per quello che è, ma per quello che rappresenta dentro il
gruppo.
Qui sta una prima approssimativa definizione dell'ambito propriamente "politico":
esso corrisponde non alla totalità delle relazioni interpersonali, ma attiene specificamente
ai soli rapporti istituzionali, quelli appunto mediati dalle istituzioni sociopolitiche.
In realtà tutti i rapporti interumani posseggono infatti una loro dimensione istituzionale
(linguaggio, comunicazione, simboli, forme di saluto, fidanzamento e matrimonio...). Le
istituzioni infatti accompagnano l'umanità nel suo sviluppo e manifestano, nel loro insieme,
la "consistenza obiettiva" del sociale, anche se esse rimangono affidate alla libertà dei
soggetti, che le possono modificare, sviluppare e sopprimere (come l'economia, la
comunicazione di massa, la schiavitù...).
Tra le varie istituzioni sociali, la politica è l'istituzione sociale per eccellenza, che in
modo più diretto e a vasto raggio influisce sul vivere civile e quindi sulle altre istituzioni.
* Da quanto sopra affermato emerge con chiarezza che il ruolo della politica non potrà
che essere di servizio alla crescita della società stessa e delle sue istituzioni, in vista delle
sue finalità: cioè del bene comune.
B. SENSO E LIMITI DELL'ATTIVITÀ POLITICA
* Fin dai suoi inizi la DSC non ha cessato di assumere una propria posizione nei riguardi
della politica. Sono rilevabili almeno due passaggi storici:
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- con Pio XI e soprattutto con Pio XII la riflessione sulla politica ha spostato la sua
attenzione dalla "questione operaia" a un più ampio tentativo di interpretare i rapporti
socio-istituzionali, fino a comprendere le forme dell'organizzazione politica statale e
sovranazionale.
- da Giovanni XXIII in poi, la DSC ha portato una serie di contributi innovativi per
comprendere l'attuale quadro politico-istituzionale. I segni caratteristici dei "tempi nuovi"
risultano essere per la DSC:
° la socializzazione, cioè "lo sviluppo delle relazioni sociali inteso come continuo
moltiplicarsi di rapporti nella convivenza" (M.M. n. 63): estensione del settore pubblico,
parcellizzazione del lavoro, civiltà delle comunicazioni di massa...
° il rapido mutamento sociale e dei costumi, che alimenta un mito del "progresso" in grado
di svincolare l'uomo dal patrimonio religioso, ideale, morale e culturale che le precedenti
generazioni hanno considerato punto di riferimento irrinunciabile.
* Da questi segni nasce un'ineludibile domanda: come prevedere e programmare un
futuro collettivo? Questa necessità apre nuovi spazi e nuove responsabilità all'azione
politica. In un tempo in cui la dimensione partitica della vita civile ha assunto uno
straordinario rilievo, occorre innanzi tutto ricostituire una corretta immagine della
politica, nella consapevolezza delle sue possibilità, ma anche dei suoi limiti.
L'apporto educativo offerto dalla DSC, sotto questo aspetto, tende a delineare la politica
- non come "il tutto" della vita civile
- ma come realtà finalizzata a riconoscere e a promuovere la dignità della persona umana
- quindi posta a servizio del bene integrale della persona, mediante la realizzazione del
bene comune.
Di conseguenza:
- fine della società politica non è pertanto quello di sostituirsi alla società civile, bensì di
promuovere le condizioni per il massimo sviluppo di questa.
- il potere politico deve essere potere legittimo, cioè deve essere regolato e sottomesso
alla legge, almeno entro lo "Stato di diritto".
- il potere (da "posse", "essere possibile"), inteso positivamente, rimanda originariamente
alla pratica del "possibile" oggi-qui, storicamente-concretamente.
* Da queste considerazioni la politica esce non "mortificata" nelle sue potenzialità, ma
certamente relativizzata, cioè posta "in relazione" al suo principale obiettivo e ragion
d'essere: il bene comune. E per raggiungere tale obiettivo è necessario che la politica non
sia ristretta alle competenze istituzionali, ma consenta spazio e apporto partecipativo ad
ogni cittadino.
C. GLI ORGANISMI SOCIALI INTERMEDI
Un'ordinata società non si comprende adeguatamente senza una concezione "organica"
della vita sociale (cfr. scheda n. 8 sulla sussidiarietà). In altre parole, la società deve
fondarsi da una parte sul dinamismo interiore dei suoi membri (nella ricerca solidaristica
del bene comune) e dall'altra sulla struttura e sulla organizzazione della società. Questa è
costituita non solo da persone, ma anche da "società intermedie", che vanno integrandosi
in unità superiori: dalla famiglia, attraverso forme associative e comunità locali, regionali e
statali, fino agli organismi sovranazionali e alla società universale di tutti i popoli.
* Al primo posto la famiglia, singolarissima e basilare forma di vita associata:
- realtà problematica: enfatizzata da un ingiustificato ottimismo (sovraccaricata di
significati, valori, funzioni, ruoli) o aggredita con sospetti che esprimono prassi e
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concezioni fortemente riduttive (famiglia nucleare, rifugio, monoparentale...immagine
sociologistica o economicistica o giuridicista...tendenziale deisistituzionalizzazione a favore
di forme alternative come la convivenza e le unioni libere...)
- società "singolare": originalissima comunità di persone fondata sull'unione matrimoniale
stabile e indissolubile, in cui la persona cresce in un quadro di relazioni non di generica
"alterità" ma di paternità-maternità-figliolanza-fratellanza, comunità dotata di progetti e finalità proprie ed insostituibili, essa getta realmente le basi del "vivere-in-società",
all'incrocio tra "pubblico" e "privato".
- scuola di umanizzazione e di virtù sociali: in essa la persona è accolta come tale e solo
perché tale e il suo "farsi uomo" coincide con il suo progressivo "farsi prossimo" dell'altro,
e con il successivo "farsi cittadino", entro un processo rigorosamente unitario.
- prima e vitale cellula della società: non solo in quanto "base vitale" di ogni istituzione sociale, ma ancor più per la "soggettività" che le compete, in un'interrelazione profonda e
responsabilizzante di complementarietà e reciprocità con gli altri organismi intermedi.
* Oltre alla famiglia, la società civile è vivacizzata da una serie di altre formazioni
sociali intermedie:
- le associazioni professionali, culturali, educative, assistenziali e sportive
- i partiti politici e le formazioni sindacali
- le imprese e le altre organizzazioni produttive e finanziarie
- le organizzazioni laicali della vita associata
- le comunità a finalità religiosa e caritativa
Esse rappresentano nella forma più alta la "soggettività della società", cioè l'espressione
dinamica e profonda della sua identità culturale, morale, civile e religiosa.
* Ci sono poi altre realtà non assimilabili ad alcuna organizzazione politica e prive di ogni
confine territoriale, con un ruolo di animazione dell'intera società umana (associazioni
internazionali): tra queste, al primo posto, la Chiesa, in dialogo con le altre confessioni
religiose e con ogni altra realtà posta a servizio dell'uomo. Il suo primo e più alto apporto è
l'annuncio e la testimonianza integrale e più efficace e trasparente possibile dell'Evangelo.
Come principale testimone della carità evangelica - ad ogni livello e in "sana
collaborazione" con tutti gli uomini di buona volontà - la Chiesa si impegna a sostenere in
modo privilegiato, nell'ambito civile, il fenomeno del volontariato, consapevole del suo
valore e del suo apporto, qualitativamente insostituibile, alla vita sociale.
* Infine le autonomie regionali e locali: sono le tante "unità minori" - a base etnica,
linguistica, culturale, religiosa, territoriale, ecc. - dove l'unità è fortemente percepita come
realtà viva, partecipata, fortemente condivisa dalla base, spesso in atteggiamento critico e
difensivo nei confronti dell'istituzione politica "centrale" guardata come limite
all'espressione della propria singolarità.
- E' chiaro per la DSC, che la logica del decentramento, del giusto riconoscimento delle autonomie amministrative locali, del rispetto delle minoranze...è del tutto coerente con i principi della sussidiarietà e della solidarietà.
- Non così invece, quando dietro la formulazione dell'ideale autonomista si riconoscesse
soltanto un intento isolazionista.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
La carità politico-istituzionale
Un filosofo francese, P. Ricoeur, ha cercato di mostrare come non solo la relazione di
"prossimità" può essere approfondita in chiave teologica - a partire dalla parabola del buon
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samaritano - ma anche la relazione istituzionalizzata (che più specificamente attiene
all'ambito politico) può essere reinterpretata teologicamente, in senso
escatologico, a partire dalla pagina di Mt. 25, 31-46. Il racconto del giudizio universale
infatti darebbe senso pieno a tutti gli incontri che entro la storia non hanno trovato un loro
compimento e un riconoscimento proprio, esattamente come avviene entro le relazioni di
carattere istituzionale ("Quando noi ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da
mangiare?"). Il riconoscimento pieno della bontà di quell'agire è dato solo al compimento
stesso della storia ("Ogni volta che avete fatto queste cose a uno dei miei fratelli più
piccoli, l'avete fatto a me"). Come a dire che la fede cristiana dà senso anche a quell'agire
sociale che nella storia non trova riscontri diretti, e promuove quindi anche la carità
mediata dalle forme istituzionali del vivere sociale (come il servizio sociale, l'impegno per
la giustizia...).
Pertanto uno degli obiettivi più alti dell'agire sociale cristiano potrebbe essere quello di
pervenire a vere e proprie strutture di "carità" e "solidarietà" e non di "peccato" (S.R.S. 3940). In altre parole: anche la carità politico istituzionale è vera carità, è uno dei volti con
cui la carità, che non conosce limitazioni ne barriere, deve oggi più che mai realizzarsi.
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* La politica non può essere "il tutto" della vita civile, ma una realtà finalizzata
a riconoscere e promuovere la dignità della persona umana, attraverso la
ricerca del bene comune.
La DSC riconosce quindi la necessità dell'azione politica, ma ne indica pure i limiti,
vigilando perché non diventi invadente o addirittura totalitaria.
- Ma cosa significa "indicare un limite" alla politica? quali limiti? per fronteggiare quali
rischi reali?
* Al primo posto tra i soggetti intermedi della società civile c'è la famiglia: luogo di
umanizzazione (in essa la persona è aiutata a farsi uomo-prossimo-cittadino) e di
educazione ai valori basilari del vivere sociale.
Ma spesso è considerata riduttivamente come semplice "gruppo stabile" o unità economica
o soggetto giuridico, non invece come "mondo vitale" o "sistema simbolico", portatore di
ben altri significati e valori.
- E' sostenibile e realizzabile, oggi in Italia, un progetto politico per riconoscere i valori e il
ruolo della famiglia e per promuovere l'effettivo svolgimento di tali compiti? a quali
soggetti competerebbe questo impegno?
* Associazioni, partiti, sindacati, organizzazioni produttive e finanziarie,
autonomie locali, comunità religiose..., complessivamente considerate,
rappresentano nella forma più alta la "soggettività della società".
Tra queste aggregazioni, non assimilabili ad alcuna organizzazione politica e in dialogo con
ogni altra realtà posta a servizio dell'uomo, vi è al primo posto la Chiesa, nella sua
espressione universale e territoriale.
- Come è avvertita la soggettività storica della Chiesa dall'opinione pubblica, dai mass-media, dagli operatori economici e politici, dal mondo della cultura e dalla coscienza dei
credenti?
* La fede cristiana reinterpreta teologicamente e promuove non solo i gesti di
prossimità immediata, ma anche quelli di carità mediata dalle forme
istituzionali del vivere sociale, come il servizio sociale e politico dei cristiani.
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Certo, sostenere che anche la carità politico-istituzionale è vera carità non significa
costituire una "sociologia della carità", ma che la carità deve sapersi estendere ad ogni
ambito dell'agire, istituzionalizzato o meno.
- Si può credere che la carità possa ispirare ogni tipo di relazione e di rapporto? che possa
irrompere anche nei territori rigidamente riservati alla giustizia, alle leggi economiche...?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste di riflessione e approfondimento
Sarebbe molto utile completare la riflessione con una rilettura storica del difficile rapporto
fra tradizione cristiana, etica e politica:
- il radicalismo dei primi secoli (pag. 139)
- l'ordinamento sociale nel Medioevo cristiano: i rapporti tra i due poteri (pag. 144)
- i radicali mutamenti indotti dalla modernità (pag. 149).
Scheda n.12
L'attività politica secondo la Dottrina Sociale della Chiesa:
LO STATO NAZIONALE
E LA COMUNITA' INTERNAZIONALE
1. IDEA-GUIDA
* La società civile - sia a livello nazionale che a livello mondiale - è l'attuazione più ampia e
concreta della dimensione sociale della vita umana.
* A sua volta la società civile di una nazione si struttura politicamente e giuridicamente
nello Stato, che ne rappresenta l'istituzione sociale e politica per eccellenza.
* Lo Stato infatti indica l'unione socialmente stabile di un popolo, basata su precisi vincoli
storici, etnici, linguistici, territoriali, culturali e religiosi.
* Lo Stato è "comunità politica" finalizzata al bene comune, cioè a creare le condizioni di
solidarietà complessiva attraverso l'ordinamento giuridico, che permette ai singoli il
perseguimento dei propri fini.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Lo Stato assume un volto demoniaco quando, dimentico del suo ruolo sussidiario di
servizio, diventa totalitario e prende il posto di Dio: "Vidi salire dal mare una bestia che
aveva dieci corna e sette teste, sulle corna dieci diademi e su ciascuna testa un titolo
blasfemo... Il drago le diede la sua forza, il suo trono e la sua potestà grande" (Ap 13,1-2).
In situazioni del genere ai cristiani si impone il dovere della resistenza. (n. 1103)
Se tutti devono cooperare all'attuazione del bene comune, alcuni però hanno la funzione di
coordinare e dirigere ad esso le molteplici energie: sono i detentori della pubblica autorità
(G.S., 74).
La legittimità di un governo si misura dalla capacità di rispettare e sostenere i diritti delle
persone e dei soggetti sociali intermedi. Il potere deve essere esercitato per il popolo e
con il popolo: l'autorità è "vicaria della moltitudine" (Summa Teologica di s. Tommaso).
Ovviamente la possibilità di partecipazione è diversa secondo le condizioni culturali e le
situazioni storiche.
D'altra parte è necessario un governo della società che non si limiti a mediare gli interessi
particolari, ma sappia inquadrare il pluralismo entro regole precise e guidarlo verso
obbiettivi storici concreti.
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Quanto all'esercizio dell'autorità, governano rettamente coloro che "non guardano in sé il
potere del grado, ma l'uguaglianza di condizione e non godono nel fare da superiori, ma
nel fare del bene agli altri" (S. Gregorio Magno, Commento al libro di Giobbe). (1106)
La Chiesa con la sua stessa esistenza testimonia l'universalità del divino disegno di
grandezza ed fattore di unità per tutto il genere umano. Essa guarda dunque con grande
attenzione al progressivo intensificarsi delle relazioni tra i popoli, cercando di orientarlo
nella giusta direzione.
Oggi i confini degli stati sono attraversati da un flusso continuo di uomini, informazioni,
capitali, merci, armi. L'interdipendenza cresce in ampiezza e spessore. Se si vogliono
evitare meccanismi perversi, che avrebbero "conseguenze funeste per i più deboli"
(S.R.S., 17), anzi per tutti, è necessario attivare una nuova solidarietà morale, culturale,
politica ed economica. "Il bene comune... oggi diventa sempre più universale, investendo
diritti e doveri che riguardano l'intero genere umano" (G.S., 26). La pretesa dei singoli stati
sovrani di porsi come vertice della società organizzata sta diventando anacronistica. Si va
verso forme di collaborazione sistematica, si moltiplicano le istituzioni internazionali, si
auspicano forme di governo sopranazionale con larga autonomia delle entità nazionali.
La comunità dei popoli, come quella delle persone, va costruita non sui rapporti di forza,
ma sui valori di verità, giustizia, amore e libertà (P.I.T., 46-47). Anche a livello di relazioni
tra i popoli, la carità esige che un'attenzione preferenziale sia riservata ai più deboli (n.
1109).
2. CONFIGURAZIONE - DINAMICHE - QUESTIONI APERTE
Prima di passare a considerare l'immagine dello Stato proposta dalla DSC, esaminiamo le
principali forme con cui uno Stato può costituirsi e organizzare internamente la vita civile e
politica.
A. LO STATO LIBERALE
* La sua caratteristica peculiare è l'affermazione della libertà e dell'uguaglianza di
fronte alla legge di tutti i cittadini: libertà pensata anzitutto come primato
dell'iniziativa e dei diritti dell'individuo nei confronti di ogni altra realtà politica o
istituzionale.
In questa figura dell'organizzazione statale l'economia assume un ruolo di primo
piano, come pure i fondamentali diritti soggettivi che ne consentono l'espansione:
proprietà privata dei beni e dei mezzi di produzione, piena libertà di iniziativa economica
ed imprenditoriale, contenimento massimale delle pretese fiscali e legislative dello Stato.
* La libertà di scelta e di coscienza riconosciuta e promossa dallo Stato liberale elude - in
linea di principio - il riferimento a valori di carattere etico, religioso, ideale: valori che solo
la coscienza individuale può legittimare. In questo senso lo Stato liberale si dichiara laico
e amorale.
* Su tale posizione di generale indifferentismo ai valori e sulla considerazione della
persona e dei suoi rapporti con lo Stato - improntati a individualismo e utilitarismo più che
alle esigenze della solidarietà sociale - è intervenuto più volte criticamente il Magistero
sociale della Chiesa, al di là delle differenti concretizzazioni storiche assunte dal
liberalismo politico.
B. LO STATO TOTALITARIO
* Dello Stato totalitario il nostro secolo ha conosciuto numerose e purtroppo drammatiche
espressioni storiche: dai regimi marxisti-leninisti a quello fascista, a quello nazista, ai
governi dittatoriali di molti Paesi, soprattutto ex-coloniali.
Lo Stato totalitario scaturisce da una assolutizzazione dello Stato a scapito
delle persone e delle altre realtà associative spontanee: in esso si attua il più grave
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ribaltamento possibile dei rapporti tra società civile e società politica, nel senso che la
seconda tende a dominare ogni aspetto della prima.
* Lo Stato totalitario tende sempre più a configurarsi come Stato "etico", cioè sintesi in
se stesso dei valori più alti (religiosi, morali, culturali, civili), valori da perseguire anche a
prezzo del sacrificio della propria identità personale: nello Stato si manifesterebbe così la
"coscienza immanente" di tutto un popolo (Mussolini).
* In netta opposizione ai regimi totalitari non ha esitato a intervenire più volte il
Magistero della Chiesa, soprattutto con Pio XI e Giovanni Paolo II. Nella Centesimus
Annus si afferma che il "totalitarismo nasce dalla negazione della verità in senso
oggettivo... La radice è da individuare nella negazione della trascendente dignità della
persona umana... (n.44)...La cultura e la prassi del totalitarismo comportano anche la
negazione della Chiesa" (n.45).
C. STATO SOCIALE - WELFARE STATE - STATO ASSISTENZIALE
* Lo Stato sociale sorge in un ben preciso momento della storia socio-politica dei Paesi
industrializzati, dopo la crisi del 1929. L'urgente bisogno di risanare l'economia con ingenti
investimenti, in breve tempo e in una fase di forte recessione, non solo sollevò la
domanda circa il ruolo delle istituzioni, ma soprattutto evidenziò inequivocabilmente una
verità: soltanto l'apparato statale avrebbe potuto assumersi un simile onere.
Così incominciò a delinearsi progressivamente la figura dello Stato sociale, nel senso
di Stato protagonista-imprenditore nella vita economica del Paese (vedi IRI) e nel secondo dopoguerra, sotto la spinta di lotte sociali : sindacali, operaie e contadine - di
Stato erogatore di sempre nuovi servizi e sicurezze sociali. Questa tipologia di
organizzazione statale, che nei Paesi industrializzati aveva assunto i tratti del Welfare State
o Stato del benessere, da una parte tendeva ad espandere la sua sfera di influenza
economica e sociale, dall'altra ad autofinanziarsi con sempre maggiori entrate e ad
ampliare l'apparato pubblico.
* Il magistero sociale della Chiesa, soprattutto con la Centesimus Annus (n.48), è
puntualmente intervenuto sia nel rilevare i pregi di questa forma di organizzazione
istituzionale della società ("rispondere in modo più adeguato a molte necessità e bisogni,
trovando rimedio a forme di povertà e di privazione indegne della persona umana") sia nel
denunciare puntualmente gli esiti negativi, insieme a dure critiche allo Stato del
benessere, qualificato come Stato assistenziale: "eccessi e abusi... disfunzioni e difetti
derivati da una inadeguata comprensione dei compiti propri dello Stato", quando questi
non rispetta il principio di sussidiarietà ("deresponsabilizzazione della società .... aumento
esagerato degli apparati pubblici, dominati da logiche burocratiche ... enorme crescita
delle spese").
D. STATO DEMOCRATICO
* La democrazia - al di là delle sue differenti concretizzazioni storiche - costituisce non la
forma più perfetta dell'organizzazione societaria, ma certamente la più elevata e
promettente espressione di "un governo del popolo e per il popolo".
* L'ordinamento democratico infatti nasce dall'esigenza di strutturare il potere in modo
da garantire la "sovranità popolare" e di finalizzare le istituzioni alla crescita del popolo
stesso:
- ciò dovrebbe consentire al popolo di conservare la "soggettività" della società politica, attraverso mediazioni ed organismi appropriati;
- si realizzerebbe così l'ideale espresso nell'articolo 1 della nostra Costituzione
Repubblicana: "la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti
della Costituzione" e si espliciterebbe così quel "patto" convenzionale che è alla base di un
determinato sistema democratico.
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* La sovranità popolare
- si esercita di norma mediante le forme della rappresentatività (solitamente con
rappresentanti della base sociale), quindi eccezionalmente attraverso il plebiscito e il
referendum
- ha come garanzia la "legittimità": lo Stato democratico è Stato di diritto, quindi tutte le
istituzioni sono regolate dalla legge
- prevede infine la "divisione dei poteri": legislativo, amministrativo e giudiziario tra loro
indipendenti.
* Il limite obiettivo di ogni ordinamento democratico è il non buon funzionamento del
complesso meccanismo cui è affidato il rispetto delle "regole del gioco" democratico:
- la constatata impossibilità a governare
- la debolezza di alcuni ingranaggi del sistema: quelli che dovrebbero assicurare sia una
rappresentatività sufficientemente articolata, sia, al tempo stesso, una sufficiente unità di
azione per il governo
- l'eccesso di regole, fino a divenire contraddittorie e incontrollabili
- l'appiattimento delle obiettive diversità nella società civile.
* Il magistero sociale della Chiesa ha sempre espresso un'opzione preferenziale per la
democrazia. La Centesimus Annus (cap.V) apprezza particolarmente il sistema della
democrazia, in quanto garantisce la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche, ma
precisa che:
- un'autentica democrazia è possibile solo in uno "stato di diritto" e sulla base di una "retta
concezione della persona umana" (è il rapporto tra democrazia e verità: C.A. 46)
- per un corretto ordinamento democratico è indispensabile il riconoscimento effettivo dei
diritti dell'uomo: alla vita, alla famiglia, a maturare la propria intelligenza e libertà (C.A.
47).
E. LA COMUNITA' INTERNAZIONALE
Per molti secoli lo Stato ha rappresentato il vertice della società umana organizzata. Oggi
l'interdipendenza economica e politica fra gli Stati si fa ogni giorno più forte ed i confini
che li separano diventano sempre più labili e anacronistici.
* Per questo la formazione di una comunità mondiale degli uomini e dei popoli
costituisce una delle forme più ampie e innovative, per l'umanità, di costruire la società
civile e politica, cioè di pensare la convivenza civile e politica.
Da Pio XII non solo ha inizio il "magistero europeistico" dei Papi, ma soprattutto
l'annuncio dell'esigenza sempre più impellente di costituire una "unità sovranazionale",
radicata nell'unità di natura, di origine, di finalità del genere umano, in modo da dar vita
ad un "nuovo ordine internazionale".
Con Giovanni XXIII il tema dell'unità della famiglia umana diviene uno dei "segni"
caratteristici dei tempi nuovi (M.M. 52).
Ma è soprattutto la Pacem in terris ad affrontare in modo tematico ed
assolutamente nuovo la questione della società internazionale: alla base di essa deve
rimanere il principio della assoluta dignità della persona umana, definita però - in
ordine ai rapporti internazionali - nei suoi diritti:
- diritti "universali, inviolabili, inalienabili" (P.T. 3)
- diritto all'esistenza e a una vita dignitosa, ai valori culturali e morali dell'umanità, alla
libertà religiosa, alla libera scelta del proprio stato di vita, alla libera iniziativa economica e
lavorativa, alla libertà di associazione, di residenza e di movimento, alla partecipazione
politica.
46
* Il tema dei diritti della persona richiama, per la DSC, quello dello sviluppo dei popoli.
Due encicliche trattano esplicitamente questo argomento, la Populorum Progressio di Paolo
VI e la Sollicitudo Rei Socialis di Giovanni Paolo II pubblicata nel ventesimo anniversario
della prima (1967 - 1987):
- lo sviluppo non si riduca alla semplice carità economica, ma per essere autentico deve
essere "integrale", cioè volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo (P.P. 14)
- ad un corretto sviluppo devono presiedere precisi doveri di "solidarietà universale", sia
per i popoli più favoriti (aiuto ai Paesi in via di sviluppo, più corrette relazioni commerciali
con essi, promozione di un mondo più umano che non ostacoli lo sviluppo dei più deboli P.P. 44), sia per i Paesi meno favoriti (i popoli più giovani e più deboli esprimono un
legittimo appello per essere artefici del proprio destino ed avere parte attiva nella
costruzione di un mondo migliore - P.P. 65).
* Obiettivo di primaria importanza per la comunità delle nazioni è la pace.
"Dopo che le speranze, un tempo così vive, si sono fatte oggi molto lontane "
(S.R.S. 12) l'accresciuta "interdipendenza" tra i popoli deve ora trasformarsi in rapporti di
attiva solidarietà:
- "la solidarietà da noi proposta è via alla pace e insieme allo sviluppo...
- ...la rinuncia a ogni forma di imperialismo economico, militare o politico, e la
trasformazione della reciproca diffidenza in "collaborazione": questo è, appunto, l'atto
proprio della solidarietà tra individui e Nazioni"(S.R.S. 39).
Al problema della pace la Gaudium et Spes dedica l'intero cap.V della sua seconda
parte, dove affronta alcune "questioni urgenti", per lo sviluppo dell'umanità (nn. 77-90).
Lo stesso Giovanni Paolo II, nella Centesimus Annus, ancora una volta afferma che la pace
e lo sviluppo della "famiglia delle nazioni" sono l'elemento irrinunciabile del comune
cammino dei popoli (n.52).
* Il cammino finora svolto, verso la costituzione di un'ideale comunità internazionale, è
storicamente avviato nella giusta direzione. Oltre l'O.N.U. (fondato nel 1945, in
sostituzione della "Società delle nazioni" del 1919) ricordiamo i numerosi accordi e
trattative internazionali, il crescere della Comunità Europea e delle varie forme di
collegamento e cooperazione internazionali.
Siamo tuttavia ancora lontani dalla percezione e accoglienza diffusa delle proposta
della DSC:
- in particolare si esigerebbe una profonda revisione della nozione di "Stato
nazionale" a partire dal principio (già accolto anche dalla nostra Costituzione all'art.11)
dell'autolimitazione della propria sovranità nazionale;
- anche la comunità internazionale deve strutturarsi secondo i principi di "persona - bene
comune - solidarietà e sussidiarietà";
- al servizio di questo progetto unitario dovrebbe essere posta un'autorità politica, con
competenze ristrette e controllabili, capace di contemperare le opposte esigenze di unità e
autonomia delle singole parti, di promuovere lo sviluppo, la pace e il rispetto dei diritti
umani.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Una democrazia funzionante vive della collaborazione attiva e della
corresponsabilità di tutti i cittadini.
* Una mentalità molto diffusa ai nostri giorni è quella dei parassiti o sfruttatori, che
vogliono vivere quanto più possibile a carico della comunità senza dare un apporto
personale: questo comportamento non è solo antisociale, bensì, anche e molto,
antidemocratico.
47
* Inoltre, lasciare in esclusiva allo Stato la responsabilità di realizzare il bene comune,
condurrebbe necessariamente - nelle nostre società di massa - all'onnipresenza dello Stato
assistenziale, che praticamente esclude o rende impossibile la responsabilità privata.
* Specialmente in tempi di crisi come i nostri, si dimostra quanto sia insostituibile la
collaborazione responsabile di tutti (cittadini, gruppi, parti sociali e istituzioni) per risolvere
problemi sociali di portata generale, quali le riforme sociali, la piena occupazione, la
protezione ambientale, l'eliminazione del crimine organizzato...
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Lo Stato è la struttura politica e giuridica della società civile nazionale per rispondere alle
esigenze più generali della vita associata: espressione di una comunanza di destino e non
solo associazione strumentale.
Di conseguenza, non va pensato come l'incarnazione del male (vedi sette e movimenti
"apocalittici") o del divino (quindi assolutizzato), né come il semplice prodotto dell'arbitrio
dei potenti o della sola volontà popolare.
- Qual è il senso dello Stato che si riscontra nella nostra gente?
* Compito fondamentale dello Stato è realizzare il bene comune.
La società civile infatti è sollecitata da spinte "particolaristiche" (ceti, categorie,
corporazioni) e perciò è necessaria una struttura politica nella quale sia stabilita la norma
oggettiva dei rapporti, rappresentata e garantita dal diritto.
- L'egoismo individuale o di gruppo, insieme alle esigenze di maggiori consensi elettorali,
spingono i cittadini e i politici ad aumentare le pretese interessate: di fronte a questa radicatissima tendenza come può distinguersi concretamente il comportamento del cristiano,
sia come elettore che come eletto?
* Tra le diverse forme di organizzazione della vita politica e civile un ruolo fondamentale
ha assunto lo Stato sociale: è la figura dello Stato protagonista-imprenditore nella vita
economica del Paese e dello Stato erogatore di sempre nuovi servizi e sicurezze sociali.
Ma i suoi frutti risultano ambigui: da un lato ha prodotto sviluppo e perequazione sociale
diffusi, dall'altro non sembra aver garantito adeguatamente la vera qualità antropologica
della vita sociale (partecipazione responsabile, problemi della pace e dello sviluppo di altri
popoli...) e la morale politica (un eccesso di permissività che ha portato all'evolversi
degenerativo dello Stato del benessere in Stato assistenziale).
- Non c'è forse oggi una tendenza a privilegiare le esigenze economiche del bilancio nazionale a scapito dello Stato sociale? Come può reggere lo slogan "lo Stato sociale non si
tocca!"?
Scheda n.13
L'attività politica secondo la Dottrina Sociale della Chiesa:
FEDE CRISTIANA E POLITICA
1. IDEA-GUIDA
* La fede esorta a rimanere nella storia, non a fuggire o a isolarsi. Ma con la
consapevolezza di chi è custode e annunciatore di una differenza ineliminabile tra Regno di
Dio e regni terreni.
* La politica non è tutto. Essa deve rimandare alla verità: non per disporne, ma per meglio
servirla.
* La comunità cristiana realizza il suo servizio alla società primariamente con l'annuncio e
la testimonianza integrale del Vangelo e poi offrendo la propria dottrina sociale.
48
* Il cristiano deve disporsi ad accogliere e testimoniare la verità del Vangelo anche
nell'ambito del socio-politico, impegnandosi quindi alla partecipazione attiva, al dialogo
sereno e costruttivo e credendo alla possibilità di convergenza e unità nell'agire politico.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Il regno di Dio, pur non essendo di questo mondo, opera in questo mondo. La salvezza
messianica si compie nell'eternità, ma comincia nella storia e si manifesta restituendo
autenticità e bellezza a ogni dimensione della vita, quella sociale compresa. La Chiesa fin
dalle origini è consapevole di aver ricevuto un messaggio che ha rilevanza anche per la
società. (n. 1089)
Educare le coscienze è il compito fondamentale della Chiesa. Di questo compito
l'insegnamento della dottrina sociale è parte integrante. Spetta poi ai cristiani, singoli o
associati, particolarmente ai fedeli laici, inserirsi intimamente nel tessuto della società civile
e "inscrivere la legge divina nella vita della città terrena" (G.S., 43). Essi operano non a
nome della Chiesa, ma con responsabilità propria, nella complessità delle situazioni
concrete, sapendo che la fede stessa li obbliga ad assumersi compiti temporali e ad attuarli
con coerenza evangelica. Alimentano il loro impegno con la formazione spirituale e
culturale e con la preghiera. La carità li muove ad agire secondo una logica di servizio, con
la maggior competenza possibile, con attenzione costante alle persone, specialmente a
quelle che non contano, agli ultimi. Li fa disponibili al dialogo e alla collaborazione con tutti
gli uomini di buona volontà. La speranza li rende tenaci nell'azione, pazienti nella
sofferenza, modesti nel successo, aperti a ogni nuova possibilità di bene. Così ciascuno,
per la sua parte concorre, "con l'energia ricevuta da Dio" (1 Pt 4,11), a edificare la città
dell'uomo, come concorre a edificare la Chiesa. E' doloroso per la Chiesa dover constatare
la divaricazione fra la prassi religiosa e l'azione sociale e politica dei credenti. E' preoccupante per un paese dover attraversare una crisi di legalità, diffusa nella classe dirigente e
nei comportamenti dei cittadini: concussione, corruzione amministrativa, voto di scambio,
evasione fiscale, danneggiamento di strutture pubbliche, assenteismo dal lavoro... Solo da
un'assidua opera educativa ci si può attendere una solida coerenza dei credenti e un sano
costume di tutti i cittadini. Servendo l'uomo e la società con la forza della carità e alla luce
del vangelo e della dottrina sociale della Chiesa, i cristiani manifestano che Cristo salvatore
è presente nella storia e dona un anticipo della salvezza. (1093)
2. QUALE IMPEGNO POLITICO
PER LA COMUNITA'
CRISTIANA E PER IL CREDENTE
A. Differenza tra Regno di Dio e regni terreni
* La rivelazione biblica (A.T. e comportamento di Gesù) e la tradizione cristiana
hanno da sempre e con chiarezza affermato l'irriducibile distanza, e quindi la radicale
differenza, tra Regno di Dio e regni terreni (vedi schede nn.2-4).
Certo, il Regno di Dio è già presente sulla terra: ciascuno ci può e deve entrare,
ciascuno può e deve testimoniarlo. Ma è una presenza debole, minacciata, senza
apparenza e splendore, come quella di un seme o di un pugno di lievito: come la presenza
di Gesù crocifisso e risorto.
* Il credente deve esprimere e tradurre tale differenza nella storia, non con improbabili
progetti alternativi ad essa (con leggi solo "cristiane"), ma istituendo un perenne
confronto tra le due diverse "prospettive" (che pur riguardano la stessa realtà, lo
stesso uomo) e quindi facendo emergere la "fecondità" di tale differenza, ad es. tra
giustizia-pace-solidarietà in senso cristiano e in accezione pagana: per mostrare al mondo,
già in ricerca, questi valori che non possono divenire autentici senza quel "compimento"
che solo il Vangelo può dare (Mt. 5,17: "sono venuto non per abolire, ma per dare
compimento"). In realtà al cristiano è chiesto lo sforzo di mantenere in tensione la storia,
49
non tanto disponendosi a vivere su "due piani" irriducibili (umano e divino, temporale e
spirituale) e tentando difficili conciliazioni, ma cercando di far evolvere costantemente le
attuali forme del vivere sociale nella direzione di quel "di più" e "di meglio" che è insito
nella prospettiva del Regno.
* Due aspetti consequenziali del compito politico cristiano:
- un servizio critico di giudizio e di correzione: esprimere la distanza tra le forme
correnti della vita sociale e le esigenze del Regno;
- integrare, migliorare, stimolare la ricerca di sempre nuovi e più coerenti modelli
umanizzanti di prassi politica. Questo modo propositivo della fede si regge sulla sua
capacità di mediazione antropologica-sociale (vedi scheda n.6). Questa è tipicamente
la mediazione pratica e riflessa dei credenti e della comunità ecclesiale. Proprio perché la
fede si rivolge immediatamente alle "coscienze" e solo per loro tramite può intervenire a
modificare le "strutture" politiche e sociali: la fede infatti mira a formare "uomini nuovi"
per arrivare a "nuovi sistemi".
B. IL LIMITE DELLA POLITICA
* L'agire politico del cristiano non può non partire dalla consapevolezza del limite
intrinseco alla politica stessa: essa è e rimane ambito del limitato e del possibile, non
dell'assolutezza e della definitività (la distanza tra storia e Regno è assoluta). Dimenticarlo
porta o verso l'assolutismo totalitario o verso un progetto politico utopico privo di agganci
con la storia. Viceversa, la profezia autenticamente cristiana consiste nel far lievitare,
dall'interno della storia, la salvezza già donata e promessa, alimentando la tensione verso
un compimento che né la storia, né la politica da se stesse possono darsi.
* Sul limite intrinseco alla politica è bene prendere atto di due concezioni contrapposte
della politica:
- la massimizzazione del concetto e del senso della politica, come realtà in grado di
condurre l'uomo e la società alla piena verità e giustizia: è concezione "ideologica" con la
pretesa di assolutizzare un progetto politico come fine ultimo della vita e un soggetto
storico (classe, razza, nazione) come soggetto "messianico";
- la riduzione della politica a puro strumento tecnico di gestione "amministrativa" della
cosa pubblica, senza alcun preciso rimando alla verità.
* Il confronto fra le due accezioni obbliga a ribadire due principi:
- alla verità hanno accesso e possono acconsentire soltanto le coscienze e non
invece, per se stessa, alcuna forma istituzionale di consenso politico (rappresentanza,
gioco politico della maggioranza): il consenso non fa la verità;
- nessuna decisione politica può sottrarsi all'influsso della verità, perché la politica
è cosa dell'uomo e comunque l'uomo ha a che fare con la verità. In realtà, già entro le
istituzioni esistenti sono presenti rimandi oggettivi a valori e significati (lealtà civica,
obbedienza alle leggi, responsabilità personale nell'esercizio dei propri diritti, istituzioni di
altissimo valore sociale ed educativo come la famiglia): essi non sono prodotti dalla
politica, eppure sono ad essa influenti. La politica deve riconoscere, promuovere e
disciplinare tali diritti e competenze.
C. LA COMUNITA' CRISTIANA E LA PARTECIPAZIONE ALLA POLITICA
La comunità cristiana e la società politica sono "tutte e due, anche se a titolo
diverso, a servizio della vocazione personale e sociale delle stesse persone
umane" (G.S. 76). Perciò la relazione tra Chiesa e società pone necessariamente
la questione delle diverse modalità di rapporto non solo tra loro, ma verso quelle
"stesse persone umane".
50
* Primo e irrinunciabile compito della comunità cristiana a servizio della società è
l'annuncio e la testimonianza integrale del Vangelo:
- mostrandone tutte le possibili implicazioni per la vita sociale e politica
- testimoniando, con la vita stessa della comunità cristiana e con sempre nuove forme di
carità (volontariato, assistenza agli ultimi, attività educative...) "un segno profetico di
convivenza umana fraterna e riconciliata" (ib.) e attivando uno stimolo, un'integrazione e
una critica nei confronti dell'assetto sociale esistente.
* Come strumento di mediazione riflessa tra la fede nel Vangelo e la prassi socio-politica,
la Chiesa offre inoltre la propria dottrina sociale. Essa non va intesa come semplice
strumento educativo e informativo destinato alla sola comunità credente, ma come
autentica possibilità di individuare le vie per un rinnovamento integrale della società sul
piano culturale, morale, civile.
D. L'IMPEGNO POLITICO DEL CREDENTE
La politica - in quanto "maniera esigente...di vivere l'impegno cristiano al
servizio degli altri" - ha bisogno di essere profondamente rinnovata dal
Vangelo. E a sua volta il Vangelo necessita di coscienze disponibili al suo appello:
coscienze capaci di riconoscere la "verità" cui il Vangelo attiene, di convertirsi
perennemente ad essa e di impegnarsi responsabilmente sul piano dell'azione
effettiva (O.A. 46 e 48).
* All'interno di questo compito, è richiesta al credente una partecipazione concreta alla
cosa pubblica:
- innanzitutto con l'adempimento dei fondamentali obblighi sociali: lealtà civica, obbedienza alle leggi, partecipazione attiva al bene comune (col pagamento delle tasse, col voto,
con il proprio contributo nei partiti o nelle associazioni e nei sindacati, con incarichi di
servizio anche politico, con l'informazione e la formazione politica);
- con un approccio critico alla realtà politica, teso non alla denuncia demolitrice, ma al rinnovamento costruttivo delle istituzioni (C.A. 49-51).
* Altra forma di impegno responsabile è il dialogo con gli altri soggetti attivi del corpo
sociale:
- dialogo intonato alla prudenza e alla gradualità, per cui "i cattolici siano vigilanti per
essere sempre coerenti, animati da spirito di comprensione, disinteressati e disposti a
collaborare lealmente" (M.M. 248);
- dialogo "attento ad ogni frammento di verità" (C.A. 46), sapendo distinguere accuratamente tra errore ed errante, perché questi conserva in ogni cosa la sua dignità di persona
e può essere domani illuminato e credere alla verità (P.T. 57).
* Il tema del dialogo ripropone infine la questione della tensione tra unità politica e
pluralismo dei cattolici. "Ai cristiani che sembrano, a prima vista, opporsi partendo da
opzioni differenti", la Chiesa richiama alcuni principi e criteri basilari:
- "una medesima fede cristiana può condurre ad impegni diversi": la non coincidenza tra
giustizia del regno e giustizia "mondana" può far sorgere infatti un'obiettiva e legittima diversità (O.A. 50);
- d'altra parte, non potrà essere sostenuta una completa separazione tra la fede e le
opzioni di ciascuno, anche in ambito politico-sociale: il cristiano non può essere uomo dalla
coscienza divisa, poiché la fede orienta all'armonia e all'unità;
- "a nessuno è lecito rivendicare, esclusivamente in favore della propria opinione, l'autorità
della Chiesa", a causa del margine di opinabilità di ogni singola posizione e delle superiori
ragioni della fede (G.S. 43);
51
- "sotto il pretesto del meglio e dell'ottimo, non si trascuri di compiere il bene che è
possibile e perciò doveroso" (M.M. 247);
- per evitare facili posizioni aprioristiche e non sufficientemente argomentate, in molti casi
possono essere risolutive sia un'adeguata istruzione della questione, sia una più approfondita conoscenza della tradizione credente, nonché della tradizione unitaria del nostro cattolicesimo sociale.
* In ultima analisi, è compito urgente di tutti, credenti e non, riconoscere il primato
assoluto della verità per discernere la bontà di qualsiasi posizione assunta in ambito
socio-politico.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Esigenza di una nuova stagione di impegno sociale e politico
Dal punto di vista sociale e politico è indubbio che, in questi ultimi anni e in
modo crescente, i cristiani hanno abitato di preferenza e con incisività l'ambito
pre-politico, contribuendo non poco a irrobustire e dinamicizzare quella fragilità
del sociale rispetto al politico e a contenere quell'invadenza del politico nei
confronti del sociale che ha caratterizzato la situazione italiana.
D'altro canto abbiamo assistito a un certo ritiro dei cattolici dalla politica, che in
parte è stato provocato e in parte è andato di pari passo con un indebolimento
e persino con un oscuramento dell'ispirazione cristiana da parte di non pochi
esponenti del mondo politico e insieme con una grave carenza di progettualità.
Il panorama attuale, pur nei suoi profili ancora incerti, sembra caratterizzarsi
per una necessaria e doverosa rinascita di interesse per il servizio della cosa
pubblica in una stagione che è destinata a ridefinire gli strumenti e le forme
della partecipazione dei cattolici, che oggi, come singoli e come gruppi, stanno
sperimentando una pluralità di presenza in diverse formazioni politiche.
Tale sperimentazione oggi in atto comporta la necessità di un serio
approfondimento dei modi e dei luoghi in cui debbono esprimersi il comune
riferimento ai valori cristiani e le possibili convergenze nell'elaborazione di
proposte e nella gestione di scelte operative.
Tutto ciò che interpella in forma nuova la comunità cristiana perché sappia sempre
più esprimere e sostenere, in forme adeguate e corrette, uomini e donne che,
oltre ad avere la specifica necessaria competenza, siano cristianamente formati
e, come tali, si impegnino socialmente e politicamente. Anche sotto questo
profilo, si impone l'esigenza di una forte e limpida spiritualità e di una
formazione di laici maturi che, in comunione coi pastori e consapevoli della
specifica responsabilità della propria vocazione, sappiano coniugare il rapporto
tra fede e vita civile e politica (C.E.I. - Il Vangelo della carità per una nuova
società in Italia, 1995- n.11).
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Tra Regno di Dio e regni terreni c'è un'irriducibile distanza, il cristiano è chiamato ad un
perenne confronto fra le due diverse prospettive, sforzandosi di mantenere in tensione la
storia, per farla evolvere verso il suo compimento in Cristo.
Il comportamento politico del cristiano sta sotto la riserva escatologica: il Regno di Dio non
è di questo mondo. Il cristiano è, per così dire, cittadino di due mondi, la sua è una
"cittadinanza paradossale".
- Quale la consapevolezza di questa "differenza" e "tensione" la comunità cristiana sta ora
educando nei fedeli laici ?
52
- Quali rischi sono legati al fraintendimento di queste prospettive: vivere su due piani
separati? con progetti alternativi? o tentando difficili conciliazioni? usare una doppia morale
(privata e pubblica)?
* La politica è l'ambito del limitato e del possibile, non dell'assolutezza e della definitività,
proprio perché la distanza tra storia e Regno è assoluta.
E' come dire che il fondamento dell'agire del cristiano non è la legge della vita politica,
bensì la parola di Dio, fonte ultima di verità. E tuttavia il cristiano, pur appartenendo ad un
altro ordine, non può sottrarsi alla responsabilità politica.
- Nel suo rapporto dialettico col mondo politico, il cristiano quali "sì" e quali "no" deve pronunciare?
- Quali alibi normalmente sottraggono il cristiano alle sue responsabilità socio-politiche o lo
soggiogano ad esse?
* L'annuncio e la testimonianza integrale del Vangelo sono il primo servizio della comunità
cristiana verso la società. La dottrina sociale della Chiesa ne è lo strumento di mediazione
riflessa per individuare le vie di un rinnovamento integrale.
Ma evidentemente il Vangelo non deve essere scambiato come un messaggio politico, né
la dottrina della Chiesa deve essere interpretata o contrabbandata come un progetto
partitico.
- Quale legittimazione biblica e teologica per il "discorso politico" di una comunità
cristiana?
- E quale legittimazione socio-politica: cioè, come la Chiesa giustifica la propria pretesa di
assumere una responsabilità politica e svolgere una funzione di vigilanza critico-sociale
nella nostra società?
* Il laico cristiano, per essere lievito evangelico nella storia, deve attivare una
partecipazione concreta alla cosa pubblica, tenere aperto un dialogo vigilante e costruttivo
con gli altri operatori sociali, trovando sempre nuove ragioni di approfondimento nella
ricerca della "verità" e della tensione unitiva fra credenti.
Si tratta dunque non solo di un "pensare e sentire" politico, ma di un effettivo impegno di
prassi o di militanza, superando resistenze, paure ed alibi.
- Se a questo livello arrivano pochi cristiani, è forse perché è loro meno richiesto nei
momenti formativi della comunità cristiana locale? o richiesto debolmente e senza
motivazioni convincenti?
- A quali cause o responsabilità va fatta risalire la controtestimonianza operativa di molti
politici che si dichiarano cristiani?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste di riflessione e approfondimento
conclusione delle schede 11-12-13
a
- Qual è lo scopo primario della politica? quali i suoi limiti? come è possibile promuoverla e
in quali direzioni?
- In riferimento a determinati corpi intermedi, si esemplifichi immaginando quali possibili
interventi spettano allo Stato per la loro promozione e quali invece devono da esso essere
assolutamente evitati.
53
- Quale attività di "promozione" della famiglia sarebbe maggiormente auspicabile oggi?
Quali modalità, o ambiti comunicativi potrebbero agevolare il rapporto tra la famiglia e le
principali istituzioni sociali: scuola e altre agenzie educative, quartiere, organismi politici e
partecipativi, ecc.?
- Qual è il senso dello Stato? su quali principi basilari si fonda la sua legittima sussistenza?
- A livello di comunità internazionale, si ricerchino possibili esemplificazioni di contenuto a
partire dai principi di personalità, solidarietà, sussidiarietà e bene comune.
- Fede e politica: storia di un lungo cammino a due... non sempre felice! Si ricerchino nella
storia e nel presente tentativi riusciti di raccordo (anche entro vicende personali di santi,
figure di testimoni, ecc.) e modelli concreti di relazione positiva auspicabili oggi per il
singolo, per un credente impegnato nell'azione politica o sindacale, per la comunità
cristiana ai vari livelli, per un partito politico di ispirazione cristiana e così via.
Scheda n.14
L'ECONOMIA A SERVIZIO DELL'UOMO
1. IDEA-GUIDA
* L'economia va pensata come scienza dell'uomo e come scienza sociale e va realizzata
come servizio all'uomo e all'umanità.
* Per questo la dimensione etica deve assumere un ruolo "costitutivo" nella dottrina e
nella prassi economica.
* La DSC ha come sua ragione fondamentale la crescita e lo sviluppo integrale
dell'umanità, sotto il profilo antropologico ed etico.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
All'antica laboriosità agricola e artigianale è subentrato un sistema produttivo
esteso e complesso. Contemporaneamente si è affermata una visione
meccanica e deterministica dell'economia, che ignora le dimensioni
trascendenti della dimensione umana e la riduce al circolo angusto della
produzione e del consumo. Tale mentalità ha ispirato una politica economica
inadeguata e, nella forma collettivistica, clamorosamente fallimentare.
In realtà l'economia rimane pur sempre un insieme di relazioni tra uomini.
Presenta certo tendenze, leggi e compatibilità oggettive. Ma, sebbene
condizionate, le persone possono intervenire con le loro scelte sull'intera
dinamica: sull'individuazione dei bisogni, sull'uso delle risorse, sulla quantità e
qualità della produzione e dei consumi, sulla distribuzione dei redditi. Il
sistema, per quanto complesso, rimane affidato alla loro responsabilità e deve
essere finalizzato alla loro dignità. (1131)
Bisogna che l'uomo sia valorizzato come protagonista, prima risorsa e
destinatario dello sviluppo: la libertà e la creatività della persona umana
debbono essere messe al centro anche dell'ordine economico. (1132)
2. QUALE ECONOMIA PER L'OGGI ?
A. L'istanza antropologica e sociale
* Etimologicamente il termine "economia" allude all'arte di "governare, amministrare,
dispensare i beni della casa", i beni necessari alla vita dell'uomo. Questo spiega perché
54
tradizionalmente l'economia si è occupata della produzione-distribuzione-consumo dei beni
e dei servizi ad esso collegati: bancari, assicurativi, di trasporto e comunicazione...
In sostanza, l'economia ha sempre riguardato il problema del sostentamento
dell'uomo nel mondo: i beni e i servizi necessari ai bisogni materiali dell'uomo.
* Questa prospettiva illumina ancora l'ottica moderna e postmoderna che ha condotto ad
una scissione tra i vari livelli della vita umana: da una parte il sistema dei bisogni primari
dell'umanità, dall'altra la visione di uomo e società. Così, compito della società sarebbe
solo quello di regolamentare i bisogni dei diversi soggetti attraverso una normativa
economica, eludendo però la questione fondativa del rapporto economico. Cioè la sua
essenziale fondazione antropologica.
* Occorre pertanto ricuperare una più ampia accezione di economia:
- l'economia, come scienza, va pensata quale "scienza dell'uomo", e più precisamente
quale "scienza sociale": al centro della sua riflessione vanno posti i rapporti sociali
(interpersonali, istituzionali...) in quanto mediati dai beni economici
- l'economia, come apparato e prassi, va realizzata quale servizio all'uomo e
all'umanità: all'uomo come "l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale"
(G.S. 36) e all'umanità perché la soddisfazione di bisogni materiali, attraverso i beni
economici, costituisca una premessa-condizione per contribuire all'incremento della
"qualità" della vita.
B. L'istanza etica
* In questo quadro visivo si colloca il ricupero anche della dimensione etica
dell'economia. Se infatti la persona umana è al centro della ricerca e della prassi
economica, è d'obbligo il riferimento alla sua capacità di volere "libero e consapevole" e
questo esige anche un ripensamento dell'economia in cui l'etica appaia con un ruolo
"costitutivo" della dottrina e della prassi economica, non un semplice "limite" agli eccessi
dell'economia.
* A sostegno di questa tesi convergono diverse considerazioni:
- a livello filosofico: l'economia ha esplicitamente bisogno dell'etica, perché entrambe
trovano il loro fondamento e la loro ragion d'essere nell'uomo;
- a livello testimoniale: molti studiosi di economia, di assoluto prestigio e di rilevanza
internazionale, riconoscono che ignorando le esigenze dell'etica (già sul piano
dell'elaborazione dottrinale e politica dell'economia) si perverrebbe oltretutto a modelli
inattuabili e inefficienti;
- a livello sociologico: ogni relazione sociale può essere interpretata sotto il duplice
aspetto di "prossimità" e di "istituzionalizzazione" e ciò allude, nel campo dell'economia, a
due dimensioni fondamentali, rispettivamente alla microeconomia (essa si occupa dei
singoli segmenti che interessano le scelte del singolo imprenditore, commerciante,
consumatore, ecc.: come utilità-domanda-offerta-prezzi-produzione-distribuzione...) e alla
macroeconomia (che si occupa invece delle dimensioni pubbliche, quelle che hanno a che
fare con grandi sistemi economici, nazionali e sovranazionali). Questi due ambiti non sono
differenti sfere di competenza, ma i due versanti che riguardano tutti i problemi
dell'economia, nel senso che ogni aspetto della vita economica ha contemporaneamente
una dimensione privata e una rilevanza socio-istituzionale. Per questo anche la singola
scelta economica (contratto, programma...) ha un significato propriamente sociale. Urge
quindi riaffermare la necessità di un approccio eticamente qualificato di tutta la materia
economica.
C. IL MESSAGGIO ETICO E ANTROPOLOGICO DELLA DSC
55
1. Non vi è comprensione vera dell'economia se non come "fatto dell'uomo":
esso è soggetto-fondamento-fine, protagonista responsabile di scelte che sempre più si
intrecciano con la realtà sociale e politica e con l'esistenza stessa dell'uomo come persona
(C.A. 32).
2. La Chiesa è consapevole di non possedere "competenze specifiche" in
materia economica, " non ha modelli da proporre"(C.A. 43): la sua dottrina ha quindi
ruolo pedagogico-istruttivo-orientativo verso il bene sociale pienamente umano.
3. La DSC compie un discernimento, o meglio una "opzione preferenziale" a favore di
un'economia di impresa o di mercato, a precise condizioni che esigono un profondo
ripensamento di tutti gli attuali sistemi economici. Forse è un auspicio che si realizzi presto
una autentica "svolta antropologica" anche in economia: nell'abbandono definitivo di
modelli riduttivi o ideologici come il modello socialista o il capitalismo "selvaggio"...(C.A.
42)
4. L'impresa "non può essere considerata solo come una società di capitali; essa, al
tempo stesso, è una società di persone...sia [di] coloro che forniscono il capitale...sia
[di] coloro che vi collaborano con il proprio lavoro". (C.A. 43)
5. "La Chiesa riconosce la giusta funzione del profitto, come indicatore del buon
andamento dell'azienda...è un regolatore della vita dell'azienda, ma non è l'unico; a esso
va aggiunta la considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono
almeno egualmente essenziali per la vita dell'impresa". (C.A. 35)
6. Nel quadro di una politica economica improntata a vera giustizia "prima ancora di una
logica di scambio degli equivalenti...esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché
è uomo, in forza della sua eminente dignità". (C.A. 34)
7. Riproponendo la validità di alcuni obiettivi già indicati dalla R.N. (salario familiare,
assicurazioni sociali e tutela delle condizioni di lavoro), la DSC apre "un grande e fecondo
campo di impegno e di lotta, nel nome della giustizia, per i sindacati". A questa
giusta "lotta contro un sistema economico - inteso come metodo che assicura l'assoluta
prevalenza del capitale...rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo -...si pone
come modello alternativo...una società del lavoro libero, dell'impresa e della
partecipazione". (C.A. 35)
8. Questa prospettiva "non si oppone al mercato, ma chiede che esso sia
opportunamente controllato dalle forze sociali e dallo Stato". (Ib.)
9. La DSC non dimentica, infine, di sottolineare l'attuale dimensione planetaria dei
problemi economici. Il Catechismo della Chiesa Cattolica richiama sinteticamente alcune
urgenze al riguardo: tra le nazioni, le cui politiche sono già interdipendenti, è necessaria la
solidarietà...per bloccare i meccanismi perversi che ostacolano lo sviluppo dei paesi meno
progrediti...e per mobilitare le risorse verso obiettivi di sviluppo morale, culturale ed
economico, ridefinendo le priorità e le scale di valori. (n. 2438)
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
E' possibile un mercato socialmente orientato?
* L'obiettivo del magistero sociale della Chiesa non è l'assistenza, ma è la promozione, è la
solidarietà intesa come 'orizzonte di futuro', come corresponsabilità globale di tutti
per il bene comune, come quadro culturale e regola per configurare una sana dottrina e
un sano sistema economico: una solidarietà che stimola l'efficienza e la competizione al
massimo risultato, proprio perché essa è in grado di valorizzare la dimensione umana. La
solidarietà, quale sintesi delle istanze etiche su questo fronte, non è riducibile a virtù
interpersonale, ma è autentica sfida culturale per difendere e ridistribuire il nostro
benessere senza inibire lo sviluppo di chi è penalizzato dal non lavoro o dall'essere stato
56
giudicato un 'esubero' o dal risiedere in regioni o Paesi più poveri. E senza compromettere,
per le future generazioni, l'equilibrio dell'ambiente. A questo traguardo si può giungere con
un grande sforzo collettivo di elaborazione culturale, paziente e continuo, sapientemente condotto, che coinvolga competenze e responsabilità e impegni uomini di scienza
ed istituti di ricerca. Così si alimenta la progettualità e si prepara l'adeguata strategia
politica.
* Ci si può legittimamente chiedere se tutto ciò è possibile. Consapevoli della complessità
dei meccanismi e dei vincoli economici e politici, come vescovi di una regione all'avanguardia nella serietà della conduzione imprenditoriale, ci permettiamo di insistere perché
non è sicuramente impossibile rivedere le coordinate culturali che interpretano la politica
economica. Con quell'intelligenza creativa che Gesù ha premiato nell'intraprendenza di un
servo: 'Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco: ne ho guadagnato altri cinque'
(Mt.25,20).
Si tratta di fare scelte di civiltà: abbandonare le forme sregolate e talvolta
"spietate" del liberismo - quali il consumismo come misura della cittadinanza, il mito della
carriera, la discriminazione elitaria dei lavoratori, la sottrazione di risorse agli investimenti
produttivi per le rendite finanziarie, l'evasione fiscale, la corruzione dei pubblici poteri, l'inquinamento ambientale.. - per delineare una nuova figura di mercato socialmente
orientato verso la valorizzazione della 'risorsa' uomo, verso l'universale destinazione dei
beni, verso la salvaguardia del creato.
(dal documento "INSIEME PER IL LAVORO" dei Vescovi Lombardi - 1994 nn. 12
- 13)
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Non vi è comprensione vera dell'economia se non come "fatto dell'uomo": la persona
umana nella sua individualità e socialità, deve essere al centro della ricerca e della prassi
economica.
In realtà oggi imprenditori e managers prendono sempre più coscienza della necessità di
rivalorizzare l'uomo lavoratore, la sua professionalità e creatività...per vincere in qualità la
competitività del mercato: ed ecco la cosiddetta "Qualità totale", i "circoli di qualità"...
- Ma è davvero una valorizzazione della soggettività e della dignità dell'uomo lavoratore,
un riconoscimento di qualcosa che è "dovuto all'uomo perché uomo"?
- E l'economia è davvero pilotabile dall'uomo o è solo necessitata da regole matematiche?
* Il riferimento alla persona umana è soprattutto riferimento alla sua capacità di volere
libero e consapevole: ciò postula un ricupero della dimensione etica dell'economia.
Il ritorno in primo piano delle esigenze etiche in economia sembra esaurirsi in alcune
iniziative legate alla "Business ethics" (etica degli affari: codici etici, specializzazione
universitaria, convegni e pubblicazioni).
- Ma questa nuova "domanda etica" donde nasce: dalla coscienza, dalla paura, dall'interesse...? e a cosa mira?
* La Chiesa offre agli operatori dell'economia la sua dottrina sociale come "indispensabile
orientamento ideale" (C.A. 43) per realizzare il bene comune, cioè il bene sociale
pienamente umano.
Ma la DSC, mentre raccoglie ampi consensi formali a livello teorico, trova detrattori o viene
ignorata nel momento applicativo.
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- La visione socio-economica-politica prospettata dalla DSC come la qualifichiamo: utopica
o realistica?
- Dopo un secolo di DSC si può oggi vederne alcuni frutti: quali?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste di riflessione e approfondimento
Per ricostruire, attraverso una breve e necessariamente sintetica trafila storica, le principali fasi di autocomprensione dell'economia stessa, evidenziandone i rapporti con l'etica,
sarebbe molto utile riprendere alcuni passaggi fondamentali riportati dal Testo-Base:
- l'epoca antica e medioevale: la fase prescientifica dell'economia (pag. 219)
- l'epoca moderna: la fase delle trattazioni autonome e il sorgere dell'economia politica
(pag. 220)
- l'economia come scienza: la scuola classica (pag. 221)
- l'economia nel corso del nostro secolo (pag. 222)
Scheda n. 15
IL LAVORO
espressione della persona e promozione della società
1.IDEA-GUIDA
* Nel corso dell'ultimo secolo si è verificato in area cattolica una rinnovata considerazione
del lavoro ad opera sia del magistero ecclesiastico che della teologia.
* Da Leone XIII a Pio XII, il magistero sociale si è maggiormente impegnato ad elaborare
risposte orientative di carattere pratico.
Mentre in epoca conciliare si aperta una fase assai promettente di interesse
teologico che ha riconosciuto il lavoro tra gli elementi primari per l'edificazione del mondo
e della storia umana.
* La Laborem Exercens è il documento più rappresentativo dell'intera DSC riguardo il
lavoro: essa rileva tre dimensioni fondamentali per comprendere il senso del lavoro
(personale, sociale e teologica).
Dal Catechismo degli Adulti - CEI: "La verità vi farà liberi"
Il lavoro, finalizzato a prendere possesso dell'ambiente, è per la Bibbia una dimensione
costitutiva dell'uomo, come la sessualità e la socialità (Gn 1,27-28). L'uomo partecipa al
lavoro e al riposo di Dio (Gn 2,2-3): ambedue sono per lui una benedizione e un dono,
ambedue fecondi di vita e necessari per affermare la dignità e il primato della persona
umana sopra le altre creature visibili.
Soggiogare la terra... vuol dire prendere possesso dell'ambiente e governarlo... usando
con responsabilità le risorse della natura, per soddisfare i bisogni propri, della famiglia e
della società... per umanizzare il mondo e farne la dimora degna dell'uomo. (n. 1114)
Mentre produce cose utili, (l'uomo) sviluppa anche la sua umanità: un insieme di
importanti valori: iniziativa, coraggio, realismo, tenacia, ordine, solidarietà. Esprime e attua
la sua dignità di persona. Si può così parlare di un diritto dell'uomo al lavoro: "La libertà
della persona è, in certo modo..., condizionata da queste primordiali esigenze: del lavoro e
del pane" (La Pira, "L'attesa della povera gente").
Perché il lavoro possa rivelare e mantenere il suo senso, non deve assorbire tutte le
energie. Deve lasciare spazio alla contemplazione, all'amicizia, alla famiglia, al gioco. Ecco
58
la necessità del riposo, finalizzato non tanto a reintegrare le forze fisiche in vista di una
nuova fatica, quanto a consolidare le motivazioni fondamentali dell'esistenza. (n. 1115)
La laboriosità, per essere autentica, deve accompagnarsi con l'impegno per la giustizia, per
un ordine economico e sociale in cui il lavoratore resti soggetto libero, signore e non
schiavo. Il peccato crea un disordine strutturale, che tende a ridurre l'uomo a puro
strumento di produzione, a forza lavoro. Gli Ebrei in Egitto vengo assoggettati a un lavoro
duro, monotono e sfruttato, un lavoro senza senso e senza riposo (Es 1, 8-14; 5,6-8). Il
giorno di festa sarà memoria efficace della liberazione donata dal Signore, perno di una
società libera e solidale, protezione per la libertà dei più deboli (Dt 5,12-15). (n. 1116)
Il lavoro stesso, di cui la proprietà è frutto e strumento, non è un fatto individuale isolato,
ma sociale, anzi un processo storico comune, del quale tutti siamo eredi e protagonisti.
Basti pensare per quante mani passa un oggetto qualunque, ad esempio un libro durante il
suo processo di formazione, che ingloba vari elementi, come il testo, la carta, la stampa, la
distribuzione. Tutti partecipiamo, con ruoli e funzioni diverse a un'immensa comunità di
lavoro, nella quale si producono e si scambiano beni di ogni genere. "Oggi più che mai
lavorare è un lavorare con gli altri e un lavorare per gli altri" (CA, 31). Ne consegue che
ognuno è chiamato a svolgere il suo compito "così da prestare un conveniente servizio alla
società" (GS, 34), al di là della propria famiglia. Ciò comporta che si agisca con
competenza professionale, dedizione personale, premura per umanizzare il luogo di lavoro,
impegno per armonizzare gli interessi particolari con quelli generali, iniziativa culturale e
politica perché la dignità della persona sia posta al centro del sistema produttivo". (n.
1126)
Oltre al giusto trattamento economico, bisogna assicurare ai lavoratori una dignitosa
qualità della vita: orari e ritmi di lavoro ragionevoli, garanzie per la salute e l'incolumità,
riposo e ferie. (n. 1136)
2. IL LAVORO NELLA D.S.C,
Premessa
1. Il problema del lavoro è antico quanto il mondo. Due miti possono introdurci a capire
la domanda essenziale sempre ricorrente circa il senso del lavoro: quello mesopotamico di
Atrahasis (ca 1500 - 2000 a.C.)e quello greco di Prométeo.
Il primo racconta che gli dei decisero di creare gli uomini perché lavorassero al loro
posto e spiega perché così l'uomo sperimenta il lavoro come fatalità, necessità cui
inesorabilmente rassegnarsi. Il secondo narra dell'eroe che con la sua opera tenta di
impossessarsi del fuoco degli dei ed esprime la perenne illusione di poter raggiungere il
cielo mediante la propria opera.
2. Alla luce delle concezioni evocate dagli antichi miti, sarebbe utile e necessario, a questo
punto, considerare i grandi periodi di sviluppo del pensiero sul lavoro, con particolare
riferimento allo svolgersi della tradizione cristiana e alla novità insita in essa. Affidiamo la
riflessione sul lavoro nella storia alla libera ricerca integrativa, personale o di gruppo,
suggerita in coda a questa scheda.
3. Qui ci limitiamo ad un interesse più immediato, cioè agli sviluppi contemporanei del
pensiero sul lavoro: recezione del problema e proposta della D.S.C.
A. Nel periodo classico: da Leone XIII a Pio XII
In quest'ultimo secolo il lavoro, non solo si è fortemente problematizzato sotto
ogni profilo, ma ha pure conosciuto una nuova e singolare attenzione da parte del
magistero ecclesiastico e della teologia, soprattutto il lavoro manuale, operaio.
59
* In termini ancora più espressivi della Rerum Novarum, la Quadragesimo Anno prende
coscienza della drammatica situazione dei lavoratori. "Il lavoro manuale... si viene
convertendo in uno strumento di perversione: la materia inerte esce nobilitata dalla
fabbrica, le persone invece vi si corrompono ed avviliscono" (Q.A. 135).
In realtà, l'intento dei Pontefici era di far corrispondere a questa presa di
coscienza una più appropriata riconsiderazione del lavoro umano, spesso ridotto a pura
merce di scambio, ma la reinterpretazione del lavoro alla luce della fede risulta di portata
molta ristretta.
Sotto questo profilo la R.N. afferma che il lavoro possiede "due caratteristiche
impressegli dalla natura":
- il lavoro è "personale": espressione della persona e posto al suo servizio
- il lavoro è "necessario": per provvedere "ai bisogni della vita e specialmente alla
conservazione" (n.36).
E' da notare come qui, e negli altri interventi di tutto questo periodo, prevalgano:
- una nozione "individualistica" e non propriamente "sociale" del lavoro
- una visione sostanzialmente "spiritualista" del lavoro: il senso del lavoro è ricercato
soprattutto nel suo essere esercizio virtuoso, occasione di perfezionamento.
* Il magistero sociale si impegna maggiormente ad elaborare risposte orientative, di
carattere pratico, nel tentativo di contribuire a rendere "assai meno aspro il conflitto" (R.N.
13). Tra queste indicazioni operative:
- l'affermazione dei "diritti" e dei "doveri" dei lavoratori e datori di lavoro (giusto salario
"familiare", riposo festivo, tutela del lavoro della donna e dei fanciulli)
- il richiamo alle "pubbliche autorità" a favore dei lavoratori, nel quadro del bene comune
della nazione
- l'indicazione dell'"associazionismo" (in senso "mutualistico" e "sindacale") come via
privilegiata per costruire una vera concordia sociale
- la proposta di "cogestione" delle imprese, mediante una parziale partecipazione dei lavoratori (alla proprietà, agli utili, all'amministrazione).
B. NELL'EPOCA CONCILIARE
Con il secondo dopoguerra si apre una fase decisamente nuova e assai
promettente per la riflessione teologica sul lavoro.
* Un teologo domenicano, M.D. CHENU, campeggia in questo tentativo di produrre una
vera teologia del lavoro, a partire appunto dalla sua fortunatissima opera "Per una teologia
del lavoro" del 1954, dopo una più ampia riscoperta delle realtà terrene come oggetto di
interesse per tutta la teologia.
Le sue intuizioni:
- il lavoro va riconosciuto tra gli elementi primari mediante i quali l'uomo edifica il mondo e
la storia
- il lavoro esprime in massimo grado lo sforzo comune dell'umanità (aspetto
"comunitario"): è fattore di umanizzazione, perno di socializzazione
- grazie a questa socializzazione l'umanità supera una tappa decisiva, nella sua marcia collettiva, verso il raggiungimento dei suoi propri fini (aspetto "evoluzionistico").
Rileggendo in termini biblico-teologici queste idee, Chenu fa ricorso ad un triplice
paradigma:
- "creazionista": l'uomo, costituito collaboratore del suo creatore col suo lavoro si fa protagonista e responsabile della propria evoluzione
- "incarnazionista": "tutto ciò che è umano è materia di grazia", anche il lavoro è realtà
aperta alla salvezza ed espressione di essa
60
- "escatologico": l'opera dell'uomo è aperta ad un compimento (non è essa stessa a darselo, ma l'Evento escatologico, pur nella sua assoluta alterità), compimento che tuttavia
porterà a pienezza ciò che l'uomo ha costruito, "questa" storia.
Siamo ben al di là di una semplice spiritualità del lavoro, qui siamo alla ricerca del
fondamento ultimo del lavoro.
* Gli spunti di Chenu influenzarono in modo decisivo la D.S.C., prima la Gaudium et
Spes (1965), poi la Laborem Exercens (1981). Già nella G.S. (nn.34 - 39) infatti appare
con evidenza l'intento di:
- ripensare complessivamente il senso e la ragion d'essere dell'attività dell'uomo nel
mondo
- superare la preoccupazione del primo magistero sociale di fornire possibili soluzioni tecniche ai conflitti sociali.
C. L'APPORTO DELLA "LABOREM EXERCENS"
Frutto maturo della stagione postconciliare. la L.E. rappresenta il documento
più originale dell'intera D.S.C. sul tema del lavoro.
Tentando una lettura sintetico-sistematico di questo documento, senza dubbio
il punto più alto della riflessione del magistero sul lavoro umano, appaiono tre
dimensioni fondamentali.
* Dimensione personale-esistenziale: l'uomo, soggetto del lavoro (L.E. 1-3.6.9).
- La misura autentica del lavoro è la persona umana e la sua dignità, criterio che riconosce
"la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quello oggettivo": "prima di tutto il
lavoro è per l'uomo, e non l'uomo per il lavoro".
- Se e nella misura in cui la "questione sociale" è colta a partire dall'uomo, allora il lavoro è
"una chiave, e probabilmente la chiave essenziale di tutta la questione sociale".
- Il lavoro, considerato a partire dal suo protagonista, l'uomo, diventa vera e propria
"vocazione", singolare ed irripetibile, per ciascuno: questo appello originario posto
nell'uomo dal suo Creatore attende un compimento mediante la sua libera e personale
"risposta".
In sintesi: all'interno del proprio progetto di vita, il lavoro dovrà avere per ciascuno
un ruolo ed un senso irrinunciabili.
* Dimensione sociale: il lavoro, opera di solidarietà (L.E. 8.10)
- il lavoro non è solo "opera collettiva", ma anche realtà costruttrice di solidarietà:
presuppone e suscita collaborazione., solidarietà tra i lavoratori e tra le classi sociali
(questo è il senso profondo, non enfatizzato dell'art.1 della nostra Costituzione)
- le persone lavorano "tra", "con", "per" gli altri, e quindi anche "grazie" al lavoro di altri: il
lavoro così è opera comune edificata con il contributo di tutti
- il lavoro è poi comunicazione, dialogo, incontro, scambio interpersonale anche quando
concerne attività puramente materiali
- il lavoro inoltre unisce anche nel tempo: si svolge e realizza entro un'unica storia, tessuta
dall'operosità dell'uomo
In sintesi: il lavoro è contributo rilevante e irrinunciabile al ben comune. Lavorare
significa perciò prendere parte responsabilmente ad un progetto comune, cui l'opera dei
singoli è finalizzata.
* Dimensione teologica: il lavoro alla luce della Pasqua (L.E. 25.27).
E' la dimensione fondamentale che compie, unifica, trascende e spiega le altre due.
a. Per sé. la duplice prospettiva "creazionista ed incarnazionista", fin qui da noi
privilegiata, non è affatto elusa dalla L.E., che anzi al n.25 appunto la ribadisce:
61
- il lavoro rende l'uomo dominatore della terra, cooperatore di Dio, custode e coltivatore
"del giardino"; lavoro che deve essere sottomesso al piano di Dio perché diventi fonte di
benedizione e di vita (Gen.1-2)
- questo è il senso anche del "riposo" del settimo giorno, immagine del lavoro condotto
alla sua pienezza, al suo fine ultimo: per questo il sabato è per l'uomo, non solo come
tempo per ricuperare le energie perse, ma come tempo contemplativo delle grandi opere
di Dio, come "spazio intensivo" per ritrovare se stesso e la ragione del proprio faticoso
spendersi per gli altri col lavoro.
- il peccato oscura questa dimensione contemplativa, ultima e profonda del lavoro, lo
rende opera solo faticosa, servile, che crea istintiva resistenza e sospetto sul valore e
significato del lavoro stesso (vedi le riflessioni bibliche sapienziali su Caino e Abele, su
Babele e le lapidarie affermazioni di Qohelet).
b. Però al n,26 la L.E. rimanda non solo al mistero della creazione e dell'incarnazione, ma
all'intera vicenda storica di Gesù, "uomo del lavoro" e "vangelo del lavoro" per ogni
fratello.
- Questa prospettiva cristocentrica consente di affermare che in Gesù di Nazareth il
lavoro è veramente redento, salvato. Egli ha preso su di sé anche tutte le fatiche, gli
interrogativi e le ombre da cui è segnato il lavoro umano.
- La vicenda di Gesù tende inoltre ad un compimento che è dato nella sua Pasqua. In questa prospettiva pasquale è possibile scoprire l'annuncio che anche il lavoro è partecipazione al morire di Gesù, spendendosi per i fratelli, come pure diviene segno e promessa di
risurrezione e di vita per molti,
* E allora la domanda che attraversa tutta la storia ed è giunta fino a noi (gli interrogativi
più profondi che riguardano il lavoro) può trovare risposta ultima nella Pasqua di Gesù:
- il lavoro è così anzitutto il mistero dello "spendersi dell'uomo", è e rimane perdita
obiettiva di sé, del proprio tempo, della propria persona, che mediante esso si comunica
ad altri in modo pur sempre gratuito (nessun salario o altro riconoscimento potrà mai
ultimamente "ricompensare" la perdita di se stessi, né soddisfare la domanda di senso che
rimane più che mai aperta)
- ma -alla luce della risurrezione- il lavoro risulta uno "spendersi per": per la vita propria
e di altri, per la comunione fra gli uomini, per la riscoperta di un Dio che ha già "lavorato"
ed è già da sempre all'opera con l'uomo, per aprire (per ora solo nella promessa) un senso
e una pienezza effettivi.
- Gesù risorge anche perché l'uomo purifichi la sua fatica, riconosca e distingua la
propria attesa dalle "pretese" che abitano nel suo cuore, non ricerchi nel lavoro la propria
immortalità, né lo veda come pura alienazione senza significato.
In sintesi: la risurrezione di Gesù non vuole proporsi come "ricompensa" alla fatica
umana, ma quale segno vivo che ogni realtà troverà pienezza vera nel suo Regno,
"spendendosi per" la buona causa di questo Regno, anche per mezzo del lavoro. Dare
senso pieno al lavoro umano è quindi compito quanto mai urgente: perché l'uomo non
viva il proprio lavoro solo in attesa o in vista d'altro, me riscopra già nel lavoro stesso, a
servizio del bene dell'altro, un modo di rispondere alla propria, originaria chiamata.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Lavoro giovanile: responsabilità educative
Da un intervento del Card. C. M. Martini (V Giornata diocesana della Solidarietà
- 19. 1. 1986)
"Senza nulla togliere alle responsabilità che incombono sulle pubbliche
istituzioni e sulle parti sociali, vorrei mettere l'accento sui profili educativi. A
62
questo riguardo, sia consentita una parola indirizzata alla scuola, alla famiglia,
ai giovani stessi.
* SCUOLA.
L'esigenza di affinare la formazione a un lavoro socialmente utile non contrasta, ma
al contrario chiede di essere innestata in un'organica educazione della persona, al fine di
assicurare l'integrazione di competenze e abilità professionali in un orizzonte di valori etici
e civili, sottraendo la scuola all'insidia di un diffuso positivismo funzionalistico che vorrebbe
misconoscere i suoi compiti tipicamente educativi.
Più in specie, la scuola dovrà sbarazzarsi dei residui di un'immagine del lavoro
ancorata a stereotipi datati o viziati ideologicamente. Alla contraddittoria compresenza,
nell'immaginario giovanile, di elementi mitici e romantici o, per converso, angosciosi e
oppressivi del lavoro, forse non estranei tale stereotipi.
* FAMIGLIA.
Si deve avere il coraggio di chiedere ai genitori, che pur legittimamente aspirano
alla promozione sociale dei propri figli, di affrancarsi dal culto esasperato del titolo di studi
superiori, connesso al pregiudizio negativo per il lavoro manuale. Un costume radicato,
questo, che spesso produce frustrazioni, sprechi di preziose risorse umane, sociali,
economiche, di cui i ragazzi e le loro famiglie sono le prime vittime. Va da sé che,
corrispettivamente, il sistema formativo e scolastico dovrà guadagnare in flessibilità,
attivando opportunità di rientro e di aggiornamento per chi già lavora in una moderna
prospettiva di educazione permanente.
In secondo luogo, psicologi e analisti sociali, sono concordi nell'assegnare
all'immagine del lavoro che i giovani ricevono dai loro familiari adulti un peso
determinante, nel bene e nel male. Molte delle forme di rifiuto del lavoro o di aspetti di
esso affonderebbero le loro radici nel confronto quotidiano con il vissuto critico dei
genitori. Qui la testimonianza di un sano equilibrio tra impegno di vita (specie familiare) e
impegno di lavoro, da parte dei genitori, si rivelerebbe preziosa.
Infine, i genitori, comprensibilmente solleciti per il futuro professionale dei figli, si
curino di attrezzarli anche moralmente ad affrontare le prove, spesso aspre, della vita,
proponendo loro valori ed ideali che resistano alle alterne fortune personali e sociali.
Specie dando l'esempio di una vita sobria, onesta, aperta a gesti di concreta solidarietà
verso chi ha bisogno.
* GIOVANI.
Nessuna istituzione civile, nessun attore sociale, nessun educatore possono tuttavia
sostituirsi all'autonoma attivazione di iniziativa e di responsabilità da parte dei giovani
stessi. Il lavoro, come del resto la vita, oggi più di ieri, comportano un severo tirocinio.
Nel lavoro essi possono anche cercare la realizzazione di sé e relazioni umane
significative (come documentano talune indagini sugli atteggiamenti giovanili). Ma di
norma, ogni lavoro porta con sé vincoli, norme, gerarchia, ripetitività, logoramento. E
comporta, perciò, sacrifici, autocontrollo, resistenza alle prove e alle difficoltà. Sono risorse
morali che la nostra società del benessere da un lato invoca e dall'altro consuma. Da qui
l'esigenza, per i giovani, di non spezzare quei legami familiari, amicali, comunitari, di
vicinato, che producono identificazione, senso, motivazioni. Penso in particolare a quanto i
giovani possono ricevere dall'ambiente dell' Oratorio e della comunità parrocchiale.
Questo patrimonio di cosiddetti "mondi vitali quotidiani", che si rivela decisivo anche
ai fini delle prospettive di lavoro, non opera compiutamente se non è interiorizzato.
Si richiede, cioè, una libertà consapevole, che sappia orientarsi e decidersi anche
per ciò che è meno gratificante.
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Il problema del lavoro, di natura sua, rimanda al problema del senso complessivo
della vita, su cui spesso il giovane non sa o non vuole risolversi. Dentro un orizzonte di vita
liberamente e consapevolmente assunto, anche il lavoro trova invece la sua giusta
collocazione. Si getta così una luce nuova sulla scelta del lavoro e sulle scelte nel lavoro.
n questa esigente prospettiva vocazionale, che valorizza e insieme relativizza il
lavoro nell'ambito di una vita di cui si sono assegnati un senso e una direzione
fondamentali, si può e si deve chiedere ai giovani di fare scelte professionali coraggiose e
controcorrente.
Penso a professioni ricche di valori, personalmente esigenti, anche se all'apparenza
povere di formali gratificazioni sociali, specie nel campo dell'assistenza a forme gravi di
handicap o di emarginazione sociale".
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
*Dimensione personale-esistenziale del lavoro: la misura autentica del lavoro è la
persona umana, essa ne è soggetto protagonista.
Proprio per questo il lavoro diventa una vera vocazione, singolare e irripetibile "per
ciascuno" (credente o no).
- Quanti giovani iniziano l'attività professionale con questa convinzione?
- La testimonianza dei lavoratori adulti, in particolare dei genitori, va in questa direzione?
- E se termini come vocazione-missione appaiono desueti, come sostituirli: si può parlare
di progetto di vita, di senso complessivo, di "che cosa cerchi nel tuo lavoro..."?
- A chi tocca educare questa vocazione?
* Dimensione sociale del lavoro: le persone lavorano "tra", "con", "per", "grazie" ad
altri lavoratori.
Lavorare significa dunque entrare responsabilmente in un circuito di collaborazione e di
solidarietà.
- La frammentazione sociale e la parcellizzazione del lavoro prefigurano forse un futuro del
lavoro senza solidarietà, opera solo dell'individuo?
- Le esigenze della "nuova soggettività" (autorealizzazione, gratificazione, perseguimento
dei propri desideri...) sono inconciliabili con la solidarietà?
- E il futuro del sindacato sarà solo di stampo corporativo?
*Dimensione teologica del lavoro: gli interrogativi più profondi che riguardano il
lavoro possono trovare risposta ultima ed esaustiva nella Pasqua di Gesù.
Il lavoro è così mistero dello spendersi e del perdersi "dell'uomo" (con una quota di
gratuità, magari inconscia, che nessun salario può compensare) e del suo possibile
spendersi "per" valori grandi.
- Si parla di "nuova evangelizzazione", anche per il mondo del lavoro. Ora, aiutare a
scoprire non solo "un" senso del proprio lavoro, ma un senso "pieno, globale, esaustivo",
quale la vita e la Pasqua di Gesù possono offrire, non è già e proprio questo l'evangelizzazione?
- Ma a chi è affidato questo servizio pastorale: alla testimonianza dei singoli lavoratori
cristiani? Ad eventuali movimenti di ambiente? O anche alla comunità cristiana locale?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste di riflessione e approfondimento
Come già si è rilevato nelle "Premesse" di questa scheda, sarebbe sicuramente utile considerare anche i grandi periodi storici di sviluppo del pensiero sul lavoro, con particolare
64
riferimento allo svolgersi della tradizione cristiana. Questa riflessione sul lavoro nella
storia può essere oggetto di una lodevole ricerca da affidare ai singoli o a gruppi,
seguendo lo schema del testo-base:
- nel corso dell'intero Medio Evo cristiano (pag.231)
- nel corso della modernità (pag.232)
- durante la rivoluzione industriale (pag.235)
Scheda n. 16
PERSONA E BENI ECONOMICI
proprietà e ricchezza
1. IDEA-GUIDA
* I beni della Creazione, messi originariamente a disposizione dell'uomo da parte del suo
Creatore, devono conservare questa loro destinazione: essere cioè posti al servizio di tutti
gli uomini.
* La finalizzazione universale dei beni economici deve condurre, di per sé, non ad una
collettivizzazione dei beni, ma semmai far sì che a ciascuno sia consentito un qualche
possesso di beni.
* Secondo la DSC, nella proprietà privata è in questione non un generico rapporto con il
mondo delle cose, ma il rapporto con il prossimo, mediato dai beni, secondo le formule
legislative e culturali che ne regolano il possesso.
* La povertà evangelica non è esaltata in se stessa, ma in quanto il Regno è dato ai
poveri, in ogni estensione di significato.
Dal Catechismo degli Adulti - CEI - "La verità vi farà liberi"
I beni di questo mondo possono rendere il cuore insensibile a Dio e al prossimo, ma
possono anche diventare strumento di comunione.
L'Antico Testamento riconosce il diritto alla proprietà privata e comanda di non rubare, non
desiderare i beni del prossimo e non spostare i confini in maniera fraudolenta. Nello stesso
tempo stabilisce precisi oneri sociali a carico della proprietà: la spigolatura, le decime,
l'anno sabbatico, l'anno giubilare, il dovere dell'elemosina. I beni che il Creatore ha affidato
al genere umano, non possono essere posseduti egoisticamente, ma devono essere
condivisi e tornare a vantaggio di tutti. (1124)
Il magistero recente della Chiesa conferma la legittimità della proprietà privata,
considerandola "come un prolungamento della libertà umana" (GS 71), indispensabile
all'autonomia della persona e della famiglia. Contemporaneamente ribadisce però
l'universale destinazione dei beni. Ciò significa che la proprietà ha un'intrinseca funzione
sociale e deve essere gestita in modo da tornare a vantaggio di tutti...(n.1125)
Bisogna possedere senza essere posseduti, senza preferire il benessere alla solidarietà.
Il vangelo comanda di distribuire e mettere in circolazione i propri beni: "Fatevi borse che
non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non
consuma" (Lc 12, 33). Condanna il possesso egoistico, che non tiene conto delle necessità
altrui. Non chiede però di vivere nella miseria. Valore assoluto è la fraternità, non la
povertà materiale. Lo conferma l'esperienza della prima Chiesa a Gerusalemme, dove i
credenti avevano "un cuore solo e un'anima sola" (At 4,32), mettevano le loro cose in
comune e così "nessuno tra loro era bisognoso" (At 4, 34). (147)
2. PROPRIETA' PRIVATA E DESTINAZIONE UNIVERSALE DEI BENI
A. NELLA STORIA
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* Nel diritto romano la proprietà era intesa come diritto assoluto di usare ed abusare
della realtà posseduta, compresa anche lo schiavo.
* Molti Padri della Chiesa - basandosi sul Vangelo e sulla convinzione che i beni della
Creazione devono conservare la loro originaria destinazione di servizio per tutti gli uomini più volte intervennero per condannare il possesso sfrenato delle ricchezze e favorire il loro
utilizzo a servizio dei più bisognosi.
* In seguito la riflessione scolastica (S. Tommaso) - affrontando con maggior organicità
l'argomento - sostenne che è lecito all'uomo possedere in proprio, non come dominatore
assoluto (Dio solo lo è), ma con uso ragionevole a propria utilità, non escludendo a priori
le necessità altrui.
* Dopo l'avvio dell'economia industriale, la questione della proprietà privata - oltre il
tradizionale problema del rapporto personale con un singolo bene e della proprietà dei
latifondi - incontra quella dei capitali, delle imprese e dei mezzi di produzione: la proprietà
privata diventa una delle istituzioni sociali più rilevanti.
B. LA POSIZIONE DELLA DSC
Punto di partenza della riflessione sul tema è la Rerum Novarum, punto di
arrivo la Centesimus Annus.
* La Rerum Novarum mostra fin dall'inizio la gravità del fenomeno: "pochissimi ricchi e
straricchi hanno imposto un giogo quasi servile alla infinita moltitudine dei proletari". (n.2)
Confutando la soluzione socialista alla "questione sociale", afferma che:
- la proprietà privata è anzitutto frutto del lavoro, è "salario trasformato" (n.4)
- la collettivizzazione, assegnando ogni proprietà allo Stato, rende ancor più precaria la posizione dei più svantaggiati
- la persona umana ha diritto a disporre per sé delle creature inanimate, che le sono sottomesse (n.5)
- la persona ha il primato sull'organizzazione statale (n.6)
Agganciandosi poi alla tradizione patristica, viene qui proposto il criterio
fondamentale di regolamentazione del diritto di proprietà, che in seguito sarà denominato
il principio della "destinazione universale dei beni". Questa finalizzazione dei beni
economici deve condurre non ad "un comune e confuso dominio" (la collettivizzazione),
ma a far sì che a ciascuno sia consentito un qualche possesso di beni.
Inoltre, distinguendo tra possesso legittimo e uso della ricchezza, la RN richiama la
responsabilità morale: l'uso delle ricchezze deve considerare "l'altrui necessità" (n. 19),
rendendo il superfluo a chi è nel bisogno, secondo carità.
*La Quadragesimo Anno (1931) e ancor più esaurientemente la Mater et Magistra
(1961) offrono un pur parziale riconoscimento alla rilevanza sociale della proprietà privata
del capitale, esplicitando la distinzione di una "doppia specie di proprietà, detta individuale
e sociale, secondo che riguarda gli individui o spetta al bene comune". (QA n.45 e MM n.
124)
* Prospettive ulteriormente innovative sono aperte dalla Centesimus Annus.
Richiamando l'insegnamento precedente della DSC, l'enciclica esprime in modo nuovo lo
stretto legame tra lavoro e proprietà e la responsabilità di tutti nel far sì che ciascuno
possa effettivamente "dominare la terra", in obbedienza e fedeltà al comando del
Creatore. (CA n.31)
Un più ampio significato viene affermato alla proprietà, "d'importanza non inferiore
a quella della terra: è la proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere" (CA n. 32).
Queste forme espressive di un dominio "immateriale" non sono meno rilevanti sotto un
profilo economico ed etico-sociale: ad esse si accompagnano gravi forme di responsabilità,
in modo particolare nei rapporti con le Nazioni.
66
Un ulteriore ordine di problemi, per l'enciclica, è quello legato alla qualità dei bisogni
dell'uomo, oggi più che mai irriducibili alla domanda di beni materiali, pur sempre sostenuti
dal fenomeno consumistico e alimentati con un meccanismo induttivo dalla pubblicità. (CA
n. 36)
* In sintesi:
- La Chiesa non è favorevole a priori a qualsiasi tipo di possesso privato dei beni, né lo giudica diritto assoluto: anch'esso deve essere finalizzato al bene integrale dell'uomo, come
individuo e come membro della società. Insomma si tratta pur sempre non di un generico
rapporto con le cose, ma del rapporto con l'altro, mediato dai beni, secondo le
modalità previste dalle formule legislative e culturali.
- Su questa linea, il Catechismo della Chiesa Cattolica denuncia i comportamenti
contrari alla giustizia (furto, frode commerciale e fiscale, salario ingiusto, speculazione,
corruzione, sperpero...) e condanna le iniziative che "portano all'asservimento di essere
umani, a misconoscere la loro dignità personale, ad acquistarli, a venderli e a scambiarli
come fossero merci". (2408-2414)
C. LA TRADIZIONE BIBLICA
Sul tema proprietà-ricchezza la tradizione biblica può offrirci gli spunti
innovativi più profondi, orizzonti nuovi: essa rappresenta infatti la vera e ultima
prospettiva di verità che chiama la storia a riprogettarsi costantemente.
* Il pensiero dell'Antico Testamento circa la ricchezza:
- i beni terreni, anche materiali, per Israele sono segno della benedizione di Jahwé, fanno
parte del benessere integrale della persona
- ma devono essere relativizzati a Dio stesso (unico sovrano di tutte le cose) e alle
necessità del prossimo (soprattutto il povero, la vedova, l'orfano e il forestiero).
Quindi - a differenza del diritto romano che in larga parte ha poi influenzato la
cultura occidentale - emerge un atteggiamento preoccupato di proteggere non tanto
l'oggetto posseduto, quanto la persona e le sue relazioni, tenendo conto anche della
condizione personale. Esempi: rubare non significa solo appropriarsi indebitamente della
cosa altrui ledendo la giustizia, ma distruggere il legame personale con un fratello,
minacciando magari le sue stesse possibilità di sopravvivenza; il mantello dato dal povero
come pegno, a garanzia di un prestito, deve essergli restituito entro il tramonto ("come
potrebbe coprirsi dormendo?"); persino il bene del nemico dovrà essergli restituito, proprio
perché è "suo" (il bue o l'asino dispersi...).
* Ancora più pregnante il giudizio sulla ricchezza nel Nuovo Testamento:
- l'avvento imminente del Regno di Dio presente nella persona di Gesù (unico vero Bene) e
il suo primato relativizza, fa sbiadire la ricchezza terrena (cfr. Zaccheo e Levi...). E' lo
stesso Regno a rendere significativa la povertà, non viceversa (Mt 5,3)
- la ricchezza può diventare impedimento all'accoglienza della Parola (Mc 4,18) e alla sequela di Gesù (es. giovane ricco): la ricchezza domanda di fare di se stessa un idolo da
adorare ("Mammona"), come "signore" alternativo a Dio stesso
- inoltre la ricchezza nasconde un sottile inganno: essa si presenta come un obiettivo vantaggio (sicurezza per l'avvenire, maggior libertà, addirittura possibilità di far beneficenza...)
ma in realtà finisce per possedere l'uomo, rendendolo schiavo.
* Si potrebbe concludere:
- quando la tradizione biblica parla di ricchezza, non intende il necessario alla vita
- le ricchezze non possono essere considerate "neutrali" per l'uomo e la sua libertà
- il giudizio assai severo espresso nei Vangeli riguardo alla ricchezza è formulato non tanto
a partire dalle realtà possedute, quanto dal modo di porsi dell'uomo di fronte ad esse
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- il rischio di "essere posseduti" dai propri beni è reale, effettivo, non solo ipotetico, perché
il cuore dell'uomo non può essere diviso: "là dov'è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore"
(Mt. 6,21)
- nella misura del suo essere posseduto, l'uomo perde se stesso e la sua vita: "qual
vantaggio avrà infatti l'uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la sua anima?"
(Mt. 17,26)
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
Economia della rendita: implicanze etiche
Le posizioni di rendita sono quelle in cui ci si arricchisce al di fuori o
indipendentemente dall'esercizio, diretto o indiretto, di un lavoro produttivo. In
generale traggono la loro origine dal semplice possesso di risorse finanziarie o
reali, ottenute per eredità o per fortuna o per illecito arricchimento, risorse che
non vengono amministrate direttamente, ma affidate ad altri, in cambio del
pagamento, appunto, di una rendita. Le posizioni di rendita sono tipicamente
legate a un quadro economico con debole competizione economica e sociale,
nonché a un'inadeguata mobilità e flessibilità del sistema economico. (n. 41)
E' ben noto che senza accumulazione non si ha sviluppo economico e che
economie bisognose di ristrutturazione hanno particolari necessità di risparmio.
Ciò che abbiamo affermato sull'economia della rendita non equivale a
dichiarare l'indesiderabilità o l'irrilevanza del risparmio o dell'accumulazione
del capitale, nella forma di investimento, sia diretto che indiretto, attraverso il
risparmio finanziario. Un sistema economico sano può tollerare senza eccessivi
traumi una quantità moderata di posizioni di rendita, ma quando queste si
diffondono esageratamente e la base produttiva si restringe troppo, allora il
sistema economico precipita in una spirale involutiva. (n. 42)
Il diffondersi dell'economia della rendita ha gravi implicazioni etiche. Se infatti
si fa strada la consapevolezza che per arricchirsi non occorre lavorare, ma basta
impadronirsi di un cespite di rendita, viene premiato non chi insegna ai figli
l'etica del lavoro e del miglioramento delle proprie condizioni economiche
attraverso l'acquisizione di conoscenze e il perfezionamento della propria
personalità, ma chi lascia ai figli un'eredità materiale, non importa come
acquisita, chi riesce attraverso raccomandazioni e amicizie con i potenti ad
assicurare immeritatamente al figlio un posto di lavoro a vita, chi insegna ai
figli a farsi largo nella vita con la violenza. La famiglia perde allora incentivi a
curare l'educazione dei figli e lo stato finisce col diventare latitante. (n. 44)
(Dal doc. CEI - "Democrazia economica, sviluppo e bene comune" - 1994)
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* Il principio della destinazione universale dei beni: un insegnamento già sostenuto
da molti Padri della Chiesa e ora fortemente riproposto dalla DSC.
Esso deve essere inteso come la ragione che legittima non certo la collettivizzazione dei
beni, ma il diritto di ogni uomo e di ogni popolo a possedere in proprio dei beni materiali
(terra, strumenti, impresa, risorse...) e "immateriali" (come "la proprietà della conoscenza,
della tecnica e del sapere" - CA n. 32).
- In un contesto che enfatizza il liberismo, come può essere sostenuto e applicato questo
principio?
- Qualcuno afferma che su tutti i beni grava una "ipoteca sociale": si può condividere?
Meglio parlare di "bene comune"?
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* Il principio del diritto alla proprietà privata: è la prima conseguenza dell'universale
destinazione dei beni.
La DSC non lo giudica diritto "assoluto": anch'esso deve essere finalizzato al bene integrale
dell'uomo, come individuo e come membro della società.
- In un contesto culturale che enfatizza il consumismo, permette lo spreco e facilita la
sperequazione dei redditi, che senso ha questo principio?
- A difesa di chi e di che cosa può essere rivendicato?
* Il principio della responsabilità personale e collettiva, di fronte ai beni economici.
Alla responsabilità primaria nel far sì che ciascuno possa effettivamente "dominare la
terra", oggi se ne aggiungono altre gravi forme a causa delle modalità innovative della vita
economica (nuove tecnologie, legami di interdipendenza, livelli internazionali...).
- Quali responsabilità concrete si possono delineare per un singolo, una famiglia,
un'impresa, un Ente pubblico, la comunità internazionale?
* Il severo giudizio del Nuovo Testamento nei riguardi della ricchezza: come
impedimento al Vangelo, come rischio idolatrico, come inganno.
Tale giudizio è dato non tanto a partire dalle ricchezze possedute, ma dal porsi dell'uomo
di fronte ad esse.
- Quale attendibilità si può concedere alla odierna sfida pastorale "evangelizzare la ricchezza" annunciando la povertà evangelica tra le mura del benessere?
Scheda 17
LA FORMAZIONE MORALE CRISTIANA
1. IDEA-GUIDA
* Lo sforzo educativo della comunità cristiana deve tendere a collocare l'impegno sociale e
politico nella logica disinteressata e solidale della carità teologale: per rendere capace il
cristiano di amare tutto l'uomo e tutti gli uomini.
* Le grandi linee di un'adeguata formazione alla maturità cristiana vanno cercate
nell'orizzonte etico cristiano: così da configurare un itinerario di progressiva conformazione
al progetto salvifico di Cristo, accolto come centro unificante dell'intera esistenza cristiana.
* Lo sviluppo integrale della persona comporta la maturazione organica e simultanea del
sapere morale, degli abiti virtuosi e di esperienze eticamente qualificanti.
Dal Catechismo degli Adulti CEI - "La verità vi farà liberi"
"Bada che la luce che è in te non sia tenebra" (Lc 11,35). La coscienza non è la norma
suprema, ma la norma prossima; non è propriamente la parola stessa di Dio, ma la sua
eco in noi. Perciò non è infallibile. Può sbagliare nell'identificare i valori e ancor più nel
discernere i singoli atti . Non basta dire: "Io seguo la mia coscienza". Prima di tutto
bisogna cercare la verità. Per conoscere la verità sul bene morale, occorrono un cuore
retto e un giudizio prudente. Vi coinvolto la personalità intera: intelligenza, volontà,
sentimento, esperienza, sapere e fede.
"Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra
mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto"
(Rm 12,2). La coscienza deve essere educata e purificata. L'appello di Dio viene
riconosciuto solo da chi sa ascoltare (912).
L'itinerario di formazione della coscienza retta si compone di molti elementi: ravvivare
spesso la totale disponibilità alla verità e al bene; essere pronti a lasciarsi mettere in
discussione; liberarsi da orgoglio, egoismo e affetti disordinati, pregiudizi e cattive
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abitudini; alimentare con la preghiera un atteggiamento di disponibilità allo Spirito Santo,
che sostiene il nostro cammino spirituale con i suoi doni; coltivare la familiarità con la
parola di Dio; aderire al magistero del Papa e dei vescovi; partecipare a una concreta
esperienza ecclesiale; acquisire una sufficiente conoscenza dell'etica cristiana; informarsi
accuratamente sui casi concreti e valutarli secondo criteri di fede, di carità, di conformità
alla propria vocazione; consultarsi nelle scelte più importanti o più difficili con persone
sagge e prudenti (913).
2. TRATTI QUALIFICANTI
A. Unitarietà del cammino formativo
L'annuncio morale deve essere collocato all'interno dell'itinerario di "crescita nella
fede ecclesiale" che ha il suo centro unificatore in Cristo: è questa la prima grande
linea qualificante della formazione etica cristiana.
Pertanto nel cammino formativo le esigenze etiche devono essere presentate
nell'orizzonte del Regno proclamato da Gesù: "il tempo è compiuto, il Regno di Dio è
vicino: convertitevi e credete al Vangelo" (Mc 1,15).
* La mediazione ecclesiale
La formazione morale va inserita nella prospettiva generale della mediazione
ecclesiale e questa ha come scopo di creare le condizioni necessarie per la maturazione
della vita cristiana. Di conseguenza allora occorre:
- rispettare la struttura della fede: essa scaturisce dall'incontro di due libertà, quella
preveniente di Dio e quella accogliente dell'uomo
- riconoscere che protagonista della formazione è lo Spirito Santo : da Lui proviene il
dono della vita nuova in Cristo.
- valorizzare la dimensione pasquale della vita morale cristiana: i valori morali sono
indicati e promossi dal Signore risorto, ma sono insieme da costruire attraverso un morire
con Cristo.
* La gradualità della proposta educativa
Se il cammino formativo deve unitariamente coinvolgere tutta la persona, la
proposta educativa dovrà prestare attenzione:
- ai due momenti specifici della dinamica della fede: l'adozione fondamentale al Signore
con l'atto di fede e l'impegno progressivo a tradurre la scelta di fede in tutte le
dimensioni dell'esistenza
- alla pedagogia della gradualità: l'appello etico non si configura come affermazione
astratta di valori, ma come proposta corrispondente al livello di maturità raggiunta
e al ritmo di crescita concretamente possibile al soggetto. E ciò senza escludere il
richiamo leale alla radicalità delle esigenze morali del Vangelo! Non si tratta dunque di
cedere o adeguarsi passivamente alla situazione, e neppure di ridurre il contenuto morale
evangelico alla misura del soggetto, ma di affermare le istanze etiche come "permanente
orizzonte di senso e meta del cammino", tenendo conto delle concrete condizioni di
crescita della persona e stimolandola al superamento continuo delle posizioni raggiunte
- all'importante strumento pedagogico della "regola di vita": essa si configura come
progetto esistenziale strutturato e relativamente stabile, capace di articolare il cammino
concreto del singolo in modo proporzionato alle diverse fasi della crescita. In questa linea
risulta fondamentale curare in modo esplicito l'accompagnamento individuale.
B. INTEGRALITA' DELL'ITINERARIO DI CRESCITA
L'assimilazione del Vangelo a tutti gli strati dell'esistenza, cioè l'integrazione tra
fede e vita: è questo il secondo tratto qualificante della formazione morale cristiana.
L'itinerario di crescita deve essere integrale, in quanto l'unico sì al Signore deve
promuovere insieme tutte le dimensioni della persona: il giudizio dell'intelligenza, le
70
determinazioni della volontà ed il comportamento concreto, secondo un rapporto dinamico
e sinergetico.
* La trasmissione del sapere morale
L'obiettivo di chi può educare al sapere morale è duplice:
- condurre ad una conoscenza globale dei principi e delle norme morali: quindi i
fondamenti ed il senso ultimo dell'agire dell'uomo nuovo in Cristo e la visione della realtà
secondo la prospettiva cristiana. Conseguentemente i contenuti dell'insegnamento morale
andranno dall'indicazione degli atteggiamenti generali fino alle norme concrete circa i vari
ambiti della esistenza cristiana: personale, familiare, ecclesiale, sociale.
- rendere capaci di elaborare giudizi morali maturi. A questo fine, accanto ad un
sapere esclusivamente pratico, si dovrà trasmettere anche un quadro teorico che appella
all'intelligenza: cioè una teoria morale che offre le ragioni di quanto afferma, che abilita al
discernimento etico e quindi aiuta a formulare il giudizio morale nei diversi ambiti dell'agire
umano.
* La promozione degli atteggiamenti cristiani
Un itinerario integrale di promozione morale deve promuovere, oltre il sapere etico,
degli adeguati atteggiamenti interiori e qui si impone la riscoperta del ruolo educativo delle
virtù: quegli "abiti operativi" o attitudini stabili, radicati nei dinamismi della persona
(razionalità, volontà ed energie di base) che la dispongono a compiere con maggior facilità
delle scelte morali buone.
- Poiché la cultura contemporanea vede le virtù con sospetto (come moralismo artificioso e
ipocrita) e perfino con disprezzo (in quanto opposte alla libertà della persona), è necessario curarne le condizioni previe di base: il riconoscimento di valori anteriori alla
coscienza soggettiva e la decisione di farsi guidare da questi valori nella vita quotidiana.
- Su tali presupposti e per evitare una maturazione frammentaria delle persone,
l'educatore dovrà puntare all'opzione fondamentale positiva, ad una scelta complessiva di
invertire tutte le proprie energie sensibili e spirituali a servizio del bene: ciò consentirà alle
persone di formare un "organismo" virtuoso coerente e unificato dalla carità teologale
(come scelta globale verso Dio) e dalla prudenza (come perfezione della ragione pratica,
abilitante al discernimento e alla decisione nelle scelte particolari). Questo organismo delle
virtù costituisce il modello ideale di vita e il punto di riferimento per la formazione morale.
* La proposta di qualificate esperienze.
L'integralità del processo formativo esige, infine, l'esplicita proposta di esperienze
morali. Infatti l'effettiva esecuzione del bene morale, conosciuto e voluto, possiede una
specifica azione plasmatrice della personalità, diventa una forma di autoeducazione ai
valori e alla loro accoglienza: facendo il bene la persona modifica le strutture della sua
personalità e realizza se stessa.
L'educazione morale deve quindi:
- individuare le esperienze morali qualificanti
- articolarle in relazione ai diversi ambiti dell'esistenza cristiana (ad es. nell' ambito sociale:
le esperienze di altruismo e di responsabilità).
C. ELEMENTI QUALITATIVI DELLA MORALITA'
L'unitarietà e l'integralità del cammino di crescita morale conducono ad un altro aspetto
importante della formazione: l'istanza qualitativa.
E' la stessa psicologia evolutiva ad evidenziare la necessità di non ridurre lo sviluppo
morale all'accumulo di sapere morale e di comportamenti buoni, ma di raggiungere stadi di
maturità qualitativamente alti, in cui appunto si privilegiano gli aspetti qualitativi: il tipo di
consapevolezza, le motivazioni dell'agire, la forma del giudizio etico.
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La riflessione pedagogica consente di individuare tre fondamentali polarità o mete
formative:
* Dall'eteronomia alla libertà interiore
Nella persona immatura la moralità è motivata da considerazioni estrinseche
rispetto al valore in gioco: dalla paura del castigo, dall'interesse immediato o dalla
pressione sociale: ne conseguono atteggiamenti e comportamenti solo apparentemente
morali.
Pertanto il primo obiettivo dell'educazione morale riguarda la promozione della
libertà interiore: occorre liberare la persona da motivazioni estranee al valore e formare
all'accoglienza del bene per autonomo apprezzamento del bene stesso.
* Dall'irrazionalità alla razionalità etica
Strettamente collegata alla prima polarità educativa è l'impegno a superare una
moralità emotiva ed irrazionale per giungere ad una moralità consapevole.
Forme immature di moralità sono quelle in cui prevalgono pulsioni irrazionali legate
al principio del piacere ("mi piace"), gli imperativi etici pre-razionali ("non mi importa di
niente". "e perché non dovrei farlo?") inconsciamente assunti, oppure l'interiorizzazione
degli standards sociali ("fan tutti così").
L'obiettivo è di giungere ad un adeguato sapere morale e alla maturità del
discernimento etico.
* Dall'egocentrismo all'altruismo
La moralità immatura è contrassegnata dall'incapacità di cogliere il prossimo nella
sua alterità: conseguentemente è vittima di un esasperato opportunismo e il giudizio
morale resta così influenzato prevalentemente dalla previsione dei vantaggi o svantaggi
del comportamento.
Di qui l'urgenza della polarità educativa che tenda a far superare l'egocentrismo per
giungere all'altruismo tipico della personalità pro-sociale.
L'insegnamento etico cristiano considera elemento precipuo della maturazione
l'istanza qualitativa evidenziata dalle scienze umane: l'appello morale evangelico, sotteso
alla nuova legge del Regno, assume la legge antica, ma la porta nel "cuore", perché Gesù
intende normare la qualità del volere.
3. SFIDE PER IL NOSTRO TEMPO
La cultura e i valori
La cultura del nostro tempo è fortemente segnata da istanze di carattere individuale: il
primato della soggettività.
Ci sono due strade per capire questo mutamento culturale.
La prima manifesta il venir meno del criterio di verità. Già Nietzsche diceva: " Non è vero
ciò che è vero. E' vero ciò che tu puoi considerare vero". Il criterio oggettivo di verità, di
fronte a cui io sto e che riconosco, viene sostituito da un criterio di verità che io impongo.
Non abbiamo davanti a noi né dietro di noi, nel luminoso cielo dei valori, nessuna stella
polare. Siamo soli, condannati ad essere liberi e a scegliere. Il criterio di verità è sostituito
dalle istanze individuali legate al vissuto e all'esperienza immediata. La comunicazione non
avviene più attraverso la parola, ma per contagio, anche in campo religioso: "E' vero
perché io l'ho sperimentato".
L'altra via constata che, se è venuto meno il criterio tradizionale di verità, non è rimasto il
vuoto. Sono rimasti altri criteri, tra cui uno a cui gli altri tendono a ricondursi: quello
realizzato dalla scienza. Razionale diventa sinonimo di verificabile e di misurabile; la
ragione viene ridotta alla sua funzione strumentale. La guerra del golfo, come ci è stata
72
mostrata dalla televisione, rappresenta bene questo trionfo della ragione strumentale.
Mezzi e risultati di altissimo livello a servizio di un obiettivo palesemente negativo e
inaccettabile mostrano il massimo di razionalità e il minimo di senso.
Questo episodio evidenzia come un criterio di verità rigorosamente quantitativo non sia
adeguato. E' significativo che proprio dall'interno delle scienze economiche, che si sono
costituite come scienze attraverso un processo di emancipazione dalla morale, provenga
una domanda di natura etica che pone la necessità di considerare elementi che siano non
solo di natura quantitativa, ma anche di natura qualitativa e valoriale.
Dobbiamo mettere in questione il privilegio, che la ragione strumentale si arroga, di essere
la chiave di volta e aprire la strada al riconoscimento di una razionalità che valuta, capace
di istituire criteri e valori. Di fronte alla forbice: "massimo di razionalità, minimo di senso",
dobbiamo riuscire ad unire la razionalità strumentale con quella del senso.
(Prof. G. Grampa su "Itinerari" n.3 maggio '92 - pagg. 26-27)
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* L'unitarietà del cammino formativo
L'educazione morale può essere pensata solo nella prospettiva generale della mediazione
ecclesiale, cioè come proposta educativa di progressiva crescita nella fede della Chiesa,
che ha il suo centro unificatore in Cristo e nel suo Regno.
- Sicuramente le nostre comunità perseguono l'intento di formare la coscienza cristiana dei
fedeli: si tratta di proposte frammentate o di itinerari unitari e globali?
- La Regola di vita è tuttora proponibile come progetto educativo personalizzato?
- Gli attuali ritmi pastorali consentono l'accompagnamento individuale nel cammino formativo?
* L'integralità dell'itinerario di crescita
L'unico sì al Signore deve promuovere insieme tutte le dimensioni della persona, il giudizio
dell'intelligenza, la determinazione della volontà e il comportamento concreto.
- L'attuale società dispone di grandi canali informativi e formativi, i maestri di morale si
moltiplicano e le persone ne sono confuse: come abilitarle al discernimento etico e al
giudizio morale corretto nella complessità delle situazioni, dei fatti e degli avvenimenti?
- Educare alle virtù è una sfida nel contesto culturale odierno: la gradualità della crescita
suggerisce di perseguire virtù singole o l'opzione fondamentale e complessiva del bene?
- Quali esperienze qualificanti sono individuabili e proponibili nel nostro ambiente?
* L'istanza qualitativa
Lo sviluppo non si riduce all'accumulo di scienza morale e di comportamenti buoni, ma
mira a livelli di maturità qualitativamente alti, come del resto esige anche l'appello morale
evangelico.
- Il primo aspetto qualitativo riguarda le motivazioni dell'agire: quali sono i persuasori
occulti che più facilmente o diffusamente guidano le scelte della gente nei diversi ambiti?
Cosa significa e come è perseguibile l'educazione alla libertà interiore?
- Altro aspetto qualificante riguarda il tipo di consapevolezza nelle scelte morali: come individuare e superare le pulsioni emotive o irrazionali o passivamente indotte? Come
descrivere la razionalità etica o consapevolezza matura?
- Infine la personalità pro-sociale o altruistica: cosa vuol dire cogliere il prossimo nella sua
alterità? Per educare alla opzione fondamentale e globale di personalità altruistica, da
quale "sapere" partire, quali atteggiamenti interiori coltivare, quali esperienze proporre?
Scheda 18
73
LA FORMAZIONE SOCIALE DEL CRISTIANO
1. IDEA-GUIDA
* Volendo qualificare la speciale vocazione dei laici per le attività secolari, bisogna puntare
ad un obiettivo essenziale: la formazione di autentiche personalità cristiane, attraverso una
maturazione globale che coinvolga intelligenza, volontà e sentimento.
* Strumento di formazione globale per tutti i credenti e struttura portante di una specifica
formazione sociale è la DSC.
* L'opera educativa sui singoli e quella politica sulla società sono complementari: questa
reciproca interazione tra persona e società esige un intervento educativo simultaneo per
formare sia la personalità prosociale sia la coscienza politica.
* Tra le virtù sociali da promuovere, due virtù cardinali hanno una fondamentale rilevanza
sociale: la prudenza e la giustizia.
Dal Catechismo degli Adulti CEI - "La verità vi farà liberi"
E' compito della Chiesa promuovere la formazione di coscienze adulte e responsabili, dando così un contributo prezioso al bene della stessa società civile.
E' facile intuire quanto un robusto senso morale e una viva consapevolezza dei
valori di dignità della persona, libertà, solidarietà, sacralità della vita, stabilità
della famiglia giovino alla pacifica convivenza. (922)
La cultura moderna ha il merito di aver affermato la consistenza propria della
vita civile rispetto a quella religiosa. Spesso però è arrivata a considerare la
fede un affare privato, irrilevante in ambito sociale e politico. Il cristiano
accetta la distinzione delle realtà terrene da quelle eterne e spirituali, ma non la
separazione. Sa che ogni dimensione della realtà ha leggi proprie ed esige un
metodo ed una competenza specifici, ma ritiene che tutto debba essere
finalizzato a obiettivi coerenti con la dignità e la vocazione dell'uomo, rivelate
pienamente solo dalla parola di Dio. Egli da una parte individua nel peccato la
radice profonda dei mali della società, dall'altra si rende conto che la conversione a Dio implica anche una serietà di impegno per una società autenticamente umana. (1086)
Dio vuole innanzitutto cambiare il cuore dell'uomo ma, a partire dal cuore,
vuole anche rinnovare la società. E' il liberatore degli oppressi: protegge i
poveri, gli stranieri, gli orfani, le vedove; vuole giustizia e solidarietà. Chiede ai
credenti di non separare la pratica religiosa dall'impegno sociale. 'Io detesto,
respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni... Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto
scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne' (Am.
5,21.23-24). 'Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene
inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni
giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in
casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo?' (Is 58,6-7).
Il Messia sarà mandato a portare una nuova esperienza di Dio, ma con essa anche il disarmo, la giustizia per i poveri, la prosperità e la pace. (1088)
2. LINEE DI IMPEGNO FORMATIVO
* Il tema della formazione sociale non conosce un'assidua tradizione, anche se non è
mancata un'élite impegnata a riflettere su tale problema (vedi il movimento sociale
cattolico di fine '800).
Bisogna attendere il Concilio Vaticano II e il magistero successivo per superare
l'impostazione dualistica tra religiosi, dediti solo al sacro, e laici, occupati esclusivamente
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nel profano. L'ecclesiologia di comunione accentua l'uguaglianza fondamentale e la
comune vocazione ecclesiale di tutti i membri del popolo di Dio. In questo orizzonte
viene descritta la vocazione propria del laico a "cercare il Regno di Dio trattando le cose
temporali e ordinarie secondo Dio" (L.G. 42): all'interno dell'esistenza quotidiana e non
vivendo due vite parallele, quella spirituale e quella secolare.
* Di qui l'urgenza che Giovanni Paolo II attribuisce ad una formazione integrale che
consenta ai laici di vivere in pienezza la loro vocazione. L'istanza emergente dai recenti
documenti della C.E.I. è di qualificare la speciale vocazione dei laici per le attività
secolari promuovendo la maturazione di un'autentica personalità cristiana e quindi
formando cristianamente ogni aspetto della personalità: intelligenza, volontà, sentimento.
Questa maturazione globale si promuove con la preghiera, la meditazione, i
sacramenti, insieme a specifiche competenze sociali: questo permette di interiorizzare il
messaggio evangelico a riguardo della giustizia, del servizio, della gratuità e quindi di
conoscere pienamente l'ispirazione cristiana nell'azione sociale.
A. IL RUOLO FORMATIVO DELLA DSC
* Il quadro formativo delineato dal Concilio e dall'episcopato italiano dà particolare
importanza all'insegnamento, alla diffusione e alla pratica della DSC. Soprattutto perché
essa contiene:
- principi di riflessione
- criteri di giudizio
- direttive di azione sociale.
Cioè: indicazioni essenziali per umanizzare ed evangelizzare le realtà temporali.
Addirittura, la Centesimus Annus afferma che insegnare e diffondere la DSC appartiene
alla missione evangelizzatrice della Chiesa ed è parte essenziale del messaggio cristiano.
* Proprio a motivo del suo carattere di sapere teologico teorico-pratico, tale insegnamento
diventa necessario strumento di formazione globale di cristiani maturi, in genere, e,
più specificamente, struttura portante della formazione sociale.
In altre parole:
- La DSC deve essere esplicitamente presente in tutte le espressioni della mediazione
ecclesiale: nei ministeri della Parola, nella celebrazione liturgica e nella testimonianza della
carità. Per stimolare il credente a divenire soggetto attivo nell'umanizzazione e nella
evangelizzazione della famiglia, del lavoro, dell'economia, della politica, della cultura.
- La stessa pastorale sociale deve ovviamente attingere alle specifiche qualità
ermeneutiche (interpretazione teologica delle questioni sociali), progettuali (offerta di
principi - criteri - direttive per orientare il credente nell'impegno di realizzare una socialità
cristianamente ispirata) e metodologiche (indicazione precisa di soggetti e vie) della DSC:
potrà così alimentare la propria responsabilità nell'elaborare efficaci e illuminati progetti
pastorali.
B. OBIETTIVI FORMATIVI
La questione della formazione sociale deve necessariamente misurarsi con due problemi:
- si deve rendere giusta la persona oppure la società?
- quali sono le virtù sociali da promuovere?
Sono due interrogativi che configurano gli obiettivi generali e specifici della formazione.
* Obiettivi generali
La giustizia in senso stretto è una qualità morale che si addice solo alla libertà
umana e perciò solo all'uomo. Tuttavia la giustizia, come "qualità dei rapporti" tra gli
uomini "e delle strutture" della convivenza umana, può essere detta della società.
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Ma poiché la qualità morale del singolo è influenzata dalla situazione sociale e,
viceversa, la qualità umana della società è ampiamente determinata dalla moralità dei
membri, bisogna allora ammettere che esiste un'interazione reciproca tra persona e
società, che esige un'azione formativa simultanea.
Ciò significa che l'opera educativa e quella politica sono complementari,
anche se esiste una radicale diversità di metodo tra l'azione educativa e quella politica: la
prima ricerca la verità nella libertà e nella promozione della persona, la seconda fa leva sul
potere, sulla coercizione. In ogni caso sarà insostituibile l'opera educativa diretta
sulla persona.
* Obiettivi specifici
Su questo fondamento si possono individuare due prospettive formative consequenziali:
- la formazione della personalità prosociale: passa attraverso l'acquisizione delle virtù
sociali della giustizia, solidarietà, responsabilità, onestà e si sviluppa nell'apertura ai temi
sociali e alla loro dimensione politica, fino all'effettivo esercizio della partecipazione sociale
specialmente con l'azione di volontariato nel prepolitico. Questo obiettivo mira ad educare
all'impegno sociale (negli ambiti della cultura, dell'assistenza e della partecipazione sociale)
senza l'esercizio del potere.
- L'educazione della coscienza politica: concepisce la politica come una forma specifica
della carità cristiana, considera le strutture sociali come coinvolte nell'avvento del Regno e
mira a formare la coscienza alla responsabilità - nelle trasformazioni sociali - attraverso
l'esercizio del potere politico. A tale scopo richiede specifica competenza (su leggi, forze e
metodiche dell'azione politica) e simultaneamente la capacità di collaborazione e di critica,
il realismo e la tensione utopica, il lealismo e la libertà.
C. LE VIRTU' SOCIALI
l rinnovamento della teologia morale ha rivalutato il ruolo specifico delle virtù nella
formazione della personalità cristiana e, in particolare, del suo impegno sociale. A questo
riguardo il Concilio (A.A. n.4) e il Catechismo della Chiesa Cattolica (nn. 2407, 2468-69)
indicano soprattutto la probità, lo spirito di giustizia, la sincerità, la cortesia, la fortezza
d'animo, la temperanza, la solidarietà...
Ci limitiamo a richiamare due virtù cardinali che hanno una fondamentale rilevanza
sociale.
* LA PRUDENZA
E' virtù complessa: è insieme conoscenza-discernimento-decisione. Dunque
riguarda sia il momento conoscitivo (studio dell'argomento e richiesta di pareri, quindi
suppone capacità di ascolto e conoscenza) che quello valutativo (interpretazione della
realtà alla luce del progetto di Dio e diagnosi valutativa) e decisionale (determinazione
precisa dell'azione, con realismo e senso di responsabilità).
E' virtù dell'intelletto che conosce e decide con assennatezza e coraggio, diviene
misura delle altre virtù ("auriga virtutum").
Così concepita, la prudenza è assai lontana dalla visione culturalmente diffusa che la
identifica nella scaltrezza, astuzia, diffidenza, oppure nella pavidità, precauzione e
indecisione.
La formazione della prudenza in prospettiva cristiana evoca la sapienza che è dono
dello Spirito ed è insieme frutto di un esercizio di discernimento che nasce dal silenzio e
dalla sete di verità.
In sintesi: è "la virtù che dispone la ragione pratica a discernere in ogni circostanza
il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati per compierlo" (C.C.C. 1806).
* LA GIUSTIZIA
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Giustizia è riconoscimento dell'altro proprio nel suo essere altro
- da un punto di vista soggettivo: è l'atteggiamento di riconoscere l'altro come persona
- da un punto di vista oggettivo: è il criterio morale che regola i rapporti interpersonali e
sociali.
Questa lettura personalistica della giustizia fa di essa l'essenza della moralità, in
quanto determina ciò che è giusto sulla base del riconoscimento dell'altro come persona. Il
giusto così non è primariamente determinato dalla legge, ma dalla dignità della persona,
dall'identità profonda dell'essere umano.
Ciò è molto importante nel nostro contesto minacciato dal livellamento collettivistico
(la massa) e funzionalistico (l'utilità) della società che, al di là delle grandi proclamazioni di
intenti, tende a misconoscere il valore della singola persona, della sua dignità e dei suoi
diritti.
Superando quest'ottica riduttiva, la giustizia va riscoperta nella sua dimensione di
vera virtù, di autentica attitudine morale cristiana: non una semplice convenzione, un fatto
legalistico, ma l'espressione della fedeltà-solidarietà di Dio offerta e donata agli uomini.
Così, al di là della visione contrattualistica, la giustizia:
- si apre all'orizzonte solidarista: nel senso che essa stimola a non limitarsi alla rigida
osservanza delle leggi, ma a lavorare per riforme strutturali esigite dal bene comune.
- consente il superamento della sua contrapposizione con la carità: ne fa scoprire il
comune fondamento ontologico e il reciproco rimando.
- sul piano educativo chiede di vigilare sulla tendenza dominante di tipo opportunistico che
si evidenzia nelle fasi immature del cammino di crescita per qualificare l'atteggiamento
verso l'altro come cooperazione tra partners uguali, secondo la regola della reciprocità.
Fino a transitare dalla reciprocità all'altruismo vero e proprio, cioè a quella struttura stabile
della personalità prosociale che non solo accetta di vedere "come vede l'altro", ma di mettersi addirittura "nei panni dell'altro" anche dal punto di vista emozionale.
3. sfide per il nostro tempo
La politica "educata"
La politica deve andare raso-terra tra i problemi della gente, del suo tragico quotidiano.
Basta con le attrezzature maniacali dell'eticità dello stato, della dittatura del proletariato,
della società senza classi, della libertà del mercato, del collettivismo e dell'individualismo,
delle grandi tramontate utopie della modernità!
I temi concreti della politica in questo post-moderno sono ormai quelli della qualità della
vita, della preservazione degli equilibri ambientali, della manipolazione genetica, del diritto
alla vita e all'identità biologica e sociale, della salute fisica e mentale, dell'incolumità
personale, dell'accesso equilibrato a tutti i beni dell'esistenza civile: dall'istruzione e cultura
al lavoro, dalla casa alla sicurezza sociale, dalla famiglia alla libertà religiosa; gli oggetti
insomma di quella che le carte costituzionali tardo-settecentesche chiamavano la ricerca
della felicità e che noi più realisticamente indichiamo come diritti umani, realizzazione
progressiva di bisogni e speranze umane in effettivi diritti fondamentali personali e sociali.
(...)
L'educazione alla politica, che è ben altra cosa della politicizzazione paternalistica o
autoritaria delle masse, scende dall'alto delle rappresentanze elette e sale dalle spontanee
iniziative di base per convincere che mai come nel tempo che viviamo occorre pensare e
agire politicamente tutti. La posta in gioco è l'ordinata vita comune o la disgregazione della
compagine sociale negli egoismi individuali e nei particolarismi dei gruppi.
Solo la politica, come coscienza e volontà generale, risultato di educazione permanente e
capillare di tutti, eletti ed elettori, dirigenti e militanti, pubblici amministratori e privati
cittadini, può domare i mostri che si risvegliano durante il sonno della ragione.
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L'appello alla politica, nelle sue manifestazioni più evidenti dello stato, della legge, è
immediato quando i mostri si chiamano criminalità, razzismo, disastro ecologico. (...)
Si tratta, intendiamoci bene, di una nuova e veramente umana politica, che se da un canto
modella la realtà con le leggi, dall'altro nutre tutta la vita della comunità e delle persone
con il massimo di spontaneità. Quella appunto propria della politica "educata".
Dobbiamo imparare a dire no alla politica maleducata e diseducante della propaganda
demagogica, della lotta faziosa per il potere, delle egemonie autoritarie e intolleranti, se
vogliamo realizzare la politica "educata" del buon governo rappresentativo che agevola,
correggendo e non reprimendo, l'autogoverno sociale.
Dobbiamo imparare a rifiutare l'antipolitica di gruppi e privati, che rivendicano la cattiva
libertà dei propri egoismi localistici, corporativi, individuali, e perseguire invece quella
politica che si fa senso comune del bene comune, tavola di valori di solidarietà e di
eguaglianza, comportamento giusto e sa costruire dal basso, dall'interno di ciascuna casa e
famiglia, la società e lo stato: non in antagonismo, ma in alleanza.
Dobbiamo non dimenticare, speranza nella disperazione, che "politica" resta,
aristotelicamente, l'arte stessa di vivere la vita buona, nella comunità degli uomini.
Franco Casavola - Introduzione al volume "La politica educata" - AVE, 1989.
4. SINTESI PER LA DISCUSSIONE
* La formazione sociale si colloca all'interno della maturazione nella fede di autentiche
personalità cristiane
Ma spesso questo aspetto è considerato un "optional", riservato a chi ne ha il "pallino".
- Se trascuriamo la formazione sociale, a quale fede educhiamo?
- Che conseguenze ha la presenza o l'assenza di questo aspetto nella prassi pastorale?
* La DSC offre elementi di interpretazione della realtà, di progettazione e di metodologia
dell'azione sociale coerenti con la visione cristiana dell'uomo e della società
Ma i cristiani stentano a produrre esperienze concrete, visibili, significative, in grado di
mostrare la "praticabilità" della DSC nella vita sociale.
- Quali i motivi di questa mancata "traduzione"?
- Quali le esperienze in atto?
- Come promuovere forme di laicato associato in grado di affrontare positivamente le sfide
poste dalla DSC?
* La personalità prosociale è una prospettiva formativa necessaria e comune ad ogni
credente per testimoniare i valori che devono permeare questa società
A volte però la sensazione è quella di formare personalità chiuse, poco propense a
sporgersi oltre l'orizzonte ristretto dei propri problemi.
- In che cosa possiamo condividere queste affermazioni e in che cosa no?
- Come educare all'impegno sociale negli ambiti della formazione (scuola, cultura, comunicazione sociale), dell'assistenza (anziani, minori a rischio, emarginati, terzomondiali) e
della partecipazione sociale? (lavoro, quartiere, aggregazioni, associazioni...)
* La prospettiva formativa complementare alla personalità prosociale è quella che educa a
concepire l'impegno politico come una forma specifica della carità cristiana
Ma questa coscienza politica oggi appare in difficoltà, lontana dalle esigenze e dalle
aspirazioni della gente.
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- Come educare la richiesta formativa delle nostre comunità?
- Quali percorsi possono avvicinare i giovani a questa coscienza politica?
DAL TESTO-BASE "fede cristiana e agire sociale"
piste per la riflessione personale e comunitaria a conclusione delle schede 17 e 18
- L'opera formativa delle nostre comunità deve impostare le proprie modalità di maturazione sociale della coscienza cristiana superando il pericolo di proposte frammentate, a
favore di itinerari unitari e globali di crescita umana e spirituale. Verifichiamo la nostra
concreta prassi educativa e le linee per qualificarla in tale direzione.
- Nei nostri itinerari di formazione morale hanno un adeguato sviluppo le diverse componenti cognitive, attitudinali e comportamentali e sono correttamente integrate fra loro
nel rispetto dell'originalità di ciascuna, a servizio di una maturazione qualitativa della
moralità?
Quale ruolo ha la dottrina sociale della Chiesa nella qualificazione della dimensione sociale
della coscienza cristiana? Quale conoscenza possediamo dei testi, dei principi e dei criteri
di giudizio? Quale coerenza dell'azione sociale con gli orientamenti pratici espressi da tali
insegnamenti?
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