Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, Sez. III^, 10 dicembre 2008, Sent. n. 5762/2008 Sulle domande di autorizzazione all’installazione di impianti pubblicitari sul suolo pubblico non si forma il silenzio assenso. (Omissis) RITENUTO in fatto e considerato in diritto quanto segue FATTO La ricorrente, YYY S.r.l., espone di aver presentato in data 30 gennaio 1997 al Comune di XXX istanza (n. 16077) di rilascio dell’autorizzazione per l’installazione di un cartello pubblicitario su area di proprietà comunale, sita in piazzale delle Milizie. Il Comune di XXX – Settore Finanze Tributarie, con nota del 6 febbraio 1997 (prot. n. 6610 dell’11 febbraio 1997) sospendeva i termini procedimentali di una serie di istanze di autorizzazione, tra cui quella in esame, a causa della necessità di chiarimenti sulle interferenze delle fondamenta dei manufatti pubblicitari con gli impianti esistenti nel sottosuolo. Con lettera del 6 marzo 1997 (ricevuta l’11 marzo) l’esponente trasmetteva al Comune chiarimenti sull’inesistenza di ostacoli legati al sottosuolo per il cartello pubblicitario di cui era stata chiesta l’installazione, rilevando, inoltre, l’avvenuta formazione del silenzio assenso sull’istanza autorizzatoria. Nel frattempo, il 4 marzo 1997 la Commissione Consultiva Tecnica esprimeva parere negativo sull’istanza de qua, per motivi viabilistici, cioè perché il cartello sarebbe stato installato su un cavalcavia, in violazione dell’art. 51, comma 3, lett. g), del regolamento di attuazione del Codice della strada. La Commissione Edilizia, con parere espresso nella seduta del 23 marzo 1997, si esprimeva anch’essa in senso negativo, per “motivi viabilistici”. Con nota del 25 marzo 1997 (prot. n. 9346 del 26 marzo 1997), ricevuta dalla società l’8 aprile 1997, il Comune di XXX, Settore Finanze Tributarie, rendeva noto che con provvedimento del 21 marzo 1997, n. 9041, la richiesta era stata respinta “per motivi viabilistici (cavalcavia)”previsti dal Regolamento per l’applicazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni (d’ora in avanti: Regolamento di pubblicità), che vieta di installare impianti pubblicitari sulle aree a verde pubblico. Avverso il suddetto provvedimento di diniego è insorta la società esponente, impugnandolo con il ricorso indicato in epigrafe e chiedendone l’annullamento, previa sospensione, per i seguenti motivi: - violazione e falsa applicazione dell’art. 6.4 del Regolamento per l’applicazione dell’imposta comunale sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni (da adesso in avanti: Regolamento di pubblicità), in relazione al successivo art. 6.10, e dei principi generali dell’ordinamento, ed eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti ed inesistenza della motivazione, in quanto nel caso di specie si sarebbe formato il silenzio assenso ex art. 6.4 cit. e pertanto il Comune avrebbe potuto intervenire solo con un provvedimento di secondo grado, ex art. 6.10 cit., dunque solo in presenza dei presupposti di cui all’indicato art. 6.10; violazione e falsa applicazione dell’art. 7.7 del Regolamento di pubblicità (in relazione all’art. 41 del d.P.R. n. 610/1996) e dell’art. 3 della l. n. 241/1990, nonché eccesso di potere per difetto assoluto dei presupposti, difetto e falsità della motivazione, poiché nell’elenco dei motivi ostativi di cui all’art. 7.7 cit. i motivi viabilistici addotti dal Comune non risultano e comunque l’area prescelta non si troverebbe né su un ponte, né sulla relativa rampa di accesso, sicché non sarebbe opponibile la preclusione ex art. 41 del d.P.R. n. 610 cit.. Si è costituito in giudizio il Comune di xxx, depositando memoria sui fatti di causa, con la relativa documentazione. Nella Camera di Consiglio dell’11 luglio 1997 il Collegio, rilevata l’avvenuta formazione, nel caso di specie, del silenzio assenso, essendo trascorsi i quaranta giorni lavorativi dalla data di presentazione dell’istanza (decorrenti dalla data in cui la società ricorrente ha fornito i chiarimenti richiesti) prima dell’adozione del provvedimento impugnato, con ordinanza n. 2455/97 ha accolto la domanda di sospensione del diniego impugnato. Con istanza del 5 marzo 2008, la società ha chiesto la rifissazione dell’udienza, ex art. 9 della l. n. 205/2000, depositando un nuovo mandato difensivo. In vista dell’udienza di merito ambedue le parti hanno presentato brevi memorie difensive. Il Comune ha inoltre depositato ulteriore documentazione. Nella Camera di Consiglio del 19 giugno 2008 il Collegio, ritenuto necessario ai fini del decidere stabilire con precisione se l’area prescelta per l’installazione del cartello pubblicitario fosse o no posizionata su un cavalcavia, con ordinanza n. 189/08 ha disposto istruttoria sul punto. Le parti hanno ottemperato, depositando la richiesta documentazione rispettivamente in data 13 agosto 2008 la ricorrente ed in data 30 settembre 2008 il Comune di XXX. All’udienza del 27 novembre 2008 la causa è stata trattenuta in decisione. DIRITTO La società ricorrente impugna il provvedimento del Comune di XXX, recante reiezione della sua richiesta di autorizzazione all’installazione di un manifesto pubblicitario (un poster monofacciale opaco di mt. 6 di base e 3 di altezza, su “monopalo”) in piazzale delle Milizie, su area di proprietà comunale. Con il primo motivo di ricorso deduce l’illegittimità del provvedimento gravato in quanto sopravvenuto quando sull’istanza autorizzatoria si sarebbe già formato il silenzio assenso, ai sensi dell’art. 6.4 del Regolamento comunale di pubblicità: dispone, infatti, quest’ultimo che l’Amministrazione comunale deve comunicare l’esito dell’istanza di autorizzazione all’installazione di impianti pubblicitari nel termine di quaranta giorni lavorativi dalla data di presentazione o ricezione della istanza completa di tutta la documentazione e che, in caso di inutile decorso del predetto termine, si forma il silenzio assenso ex l. n. 241/1990. Osserva la ricorrente che, nel caso di specie, la domanda è stata presentata il 30 gennaio 1997, mentre il provvedimento negativo (che nell’ora visto termine di quaranta giorni va non solo assunto, ma altresì notificato) è stato assunto il 21 marzo 1997 e notificato l’8 aprile 1997, e perciò oltre il decorso del termine per la formazione del silenzio assenso (maturatosi il 27 marzo 1997). Una volta perfezionatosi il silenzio assenso, all’Amministrazione comunale non sarebbe rimasto altro rimedio che quello di intervenire con un provvedimento di secondo grado, ossia soltanto con il provvedimento di rimozione di ufficio degli impianti previsto dall’art. 6.10 del citato Regolamento di pubblicità. Tuttavia, l’art. 6.10 cit. ammette la rimozione d’ufficio degli impianti solamente in presenza di una delle cause giustificative dalla disposizione stessa indicate (e cioè se i manufatti rechino grave pregiudizio o costituiscano imminente pericolo a persone o cose, ovvero siano di ostacolo alla regolare circolazione di veicoli o pedoni o alla realizzazione di opere di pubblica utilità). Sostiene la ricorrente che il provvedimento impugnato, essendo stato adottato e comunicato dopo la formazione del silenzio assenso, può essere inteso solo come atto di rimozione ex art. 6.10 cit. e che tuttavia, alla stregua di detta disposizione, esso è illegittimo, non avendo l’Amministrazione addotto nessuna delle cause giustificative dalla disposizione stessa elencate. La doglianza non può essere condivisa. Va premesso al riguardo che la circostanza che l’area interessata sia di proprietà comunale appare fuori discussione, perché pacificamente ammessa dalla stessa ricorrente in sede di ricorso introduttivo. Perciò, le contestazioni mosse sul punto dalla società nella memoria illustrativa per l’udienza del 19 giugno 2008 (dove si osserva che mai il Comune avrebbe formalmente lamentato la carenza del titolo concessorio), oltre che tardive, sono contraddittorie. Ciò detto, secondo l’indirizzo giurisprudenziale oramai costantemente seguito da questo Tribunale (cfr., oltre ai precedenti allegati dalla difesa comunale, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 9 novembre 2005, n. 3959; id., 13 novembre 2006, n. 2151; id., 12 aprile 2005, n. 764; Sez. IV, 12 novembre 2007, n. 6242), da cui il Collegio – pur consapevole del diverso orientamento enunciato nell’ordinanza cautelare – non ravvisa ragioni per distaccarsi, sulle domande di autorizzazione all’installazione di impianti pubblicitari sul suolo pubblico non è ipotizzabile che si formi il silenzio assenso. Infatti, l’esposizione di mezzi pubblicitari sul suolo pubblico comporta l’uso di questo da parte del privato: essa pertanto richiede all’Amministrazione, nella cui disponibilità il suolo stesso si trova, una valutazione complessa, che non si limita alla compatibilità di tale uso con l’interesse pubblico (come nell’ipotesi in cui il suolo si trovi nella disponibilità dell’interessato), ma si estende alla verifica che, attraverso detto uso privato della risorsa pubblica, si realizzino quegli interessi collettivi, di cui l’Amministrazione stessa è portatrice. La giurisprudenza appena citata ha condivisibilmente osservato che questo è un esame più approfondito e attento, che si articola nell’ambito di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento non già meramente autorizzatorio ma di natura concessoria, il cui rilascio presuppone la canalizzazione dell’attività privata nell’alveo del pubblico interesse, e non solo la non incompatibilità dell’una rispetto all’altro. In altri termini, l’installazione di mezzi pubblicitari su suolo pubblico postula un provvedimento di concessione dell’uso del medesimo, non bastando a tale scopo il solo provvedimento autorizzatorio. Infatti, l’autorizzazione all’esposizione dei mezzi pubblicitari e la concessione dell’uso del suolo pubblico presuppongono valutazioni differenti, essendo attinenti alla tutela di interessi pubblici diversi: il procedimento autorizzatorio si esaurisce nel sopra menzionato giudizio di “non incompatibilità” dell’attività privata con l’interesse pubblico, mentre è solamente con il procedimento concessorio che ha luogo la valutazione della conformità di tale attività con il pubblico interesse. A riprova di ciò, si evidenzia che l’art. 26 del Regolamento di pubblicità (art. 33 del Regolamento attualmente vigente) stabilisce che, qualora per l’effettuazione della pubblicità venga permesso l’uso di un bene appartenente o in godimento al Comune, in aggiunta all’imposta comunale sulla pubblicità risulterà dovuto “un corrispettivo o canone di locazione o di concessione”. L’art. 6.15 dell’indicato Regolamento stabilisce, poi, che il mancato pagamento, alle rispettive scadenze, del corrispettivo o canone di locazione o di concessione di cui al predetto art. 26 comporta decadenza dell’autorizzazione. Ne segue che, quando – come nel caso di specie – l’esposizione degli impianti di pubblicità avviene su suolo pubblico, l’occupazione del predetto suolo fa sì che non si possa in alcun modo prescindere dalla citata valutazione di conformità: la complessità della quale rende inconcepibile che si possa formare tacitamente il provvedimento finale concessorio (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 26 luglio 2005, n. 3421). Ciò, tenuto anche conto che la normativa in materia di silenzio assenso – sia l’art. 6.4 del citato Regolamento di pubblicità, sia soprattutto l’art. 20 della l. n. 241/1990, nel testo vigente al tempo dell’emanazione del diniego gravato – riguarda i soli atti autorizzatori e non anche quelli concessori (T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. III, 15 ottobre 2002, n. 3958). A tal proposito, occorre aggiungere che nessuna indicazione di segno contrario può desumersi dalla cd. generalizzazione del silenzio assenso conseguente alla riforma di cui alla l. n. 80 del 2005, giacché – in disparte la regola tempus regit actum – si deve comunque rilevare che quello concessorio è procedimento in cui è esercitata una potestà discrezionale, per la quale, alla luce dell’insegnamento della Corte costituzionale (v. la sentenza 27 luglio 1995, n. 408), deve escludersi l’applicabilità del regime del silenzio assenso. In definitiva, in mancanza di un espresso provvedimento di concessione di suolo pubblico (non surrogabile, né allora né oggi, per silentium), l’autorizzazione alla installazione dei mezzi pubblicitari non può formarsi per atto tacito, non potendo essa prescindere dalla suddetta concessione. Sotto altro profilo, non si può dubitare che nelle fattispecie del tipo di quella qui analizzata venga esercitato un potere discrezionale, giacché il Comune è titolare sia delle funzioni relative alla sicurezza della circolazione (ciò che comporta la titolarità del potere autorizzatorio dell’installazione di impianti pubblicitari, nel rispetto delle prescrizioni del Codice della Strada), sia di quelle relative all’uso del proprio territorio, ben potendo individuare limitazioni e divieti per particolari forme pubblicitarie, in connessione ad esigenze di pubblico interesse (cfr. T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 28 febbraio 2008, n. 174). Il predetto potere discrezionale, che comporta la ponderazione comparativa degli interessi antagonisti coinvolti – da un lato, la libertà di iniziativa economica, di cui l’attività pubblicitaria rappresenta estrinsecazione, dall’altro gli interessi alla sicurezza della circolazione stradale, tutela ambientale e paesaggistica, ordinato assetto del territorio sotto i profili del decoro urbano ed, in generale, degli spazi aperti – si esprime, anzitutto, a monte, nella potestà pianificatoria e dunque nella potestà regolamentare, attraverso la quale il Comune disciplina le modalità dello svolgimento della pubblicità, la tipologia e quantità degli impianti pubblicitari e le modalità per ottenere l’autorizzazione all’installazione di questi. Come ricorda la giurisprudenza poc’anzi citata (T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 174/2008 cit.), il potere discrezionale si esercita, peraltro, anche a valle, in sede di valutazione delle istanze autorizzatorie, “attraverso la selezione dell’interesse prevalente da perseguire nella platea di interessi pubblici e privati compresenti”, ben potendo il Comune attribuire la prevalenza ad es. alle generali esigenze di sicurezza della circolazione, rispetto al pur rilevante interesse economico di cui sono portatori gli imprenditori del settore. Se perciò, secondo la riportata decisione, il procedimento autorizzatorio presenta a propria volta momenti di discrezionalità – e questo anche a prescindere dalla esistenza di un parallelo procedimento concessorio relativo all’occupazione del suolo pubblico – si dovrebbe affermare che (almeno all’epoca dell’adozione del provvedimento gravato, ma, alla stregua del ricordato insegnamento della Corte costituzionale circa l’inapplicabilità del silenzio assenso alle fattispecie di potere discrezionale, anche nell’assetto oggi vigente) il procedimento di autorizzazione all’installazione dei mezzi pubblicitari non potesse concludersi per silentium, ma richiedesse necessariamente un provvedimento espresso, con il corollario della disapplicazione ex ufficio dell’art. 6.4 del Regolamento di pubblicità, in quanto contrastante con la disciplina sovraordinata (cfr. C.d.S., Sez. V, 20 maggio 2003, n. 2750). Peraltro, anche ad opinare diversamente, si rileva, che in ogni caso la fattispecie in esame non pare sussumibile in alcuna ipotesi di silenzio assenso, alla luce di quanto stabilito dalla tabella C allegata al d.P.R. n. 407/1994. Detta tabella, che contiene l’elenco delle attività sottoposte alla disciplina di cui all’art. 20 della l. n. 241/1990 (recante, com’è noto, la disciplina generale del silenzio assenso), al n. 81 elenca le attività di pubbliche affissioni di cui all’art. 28, quarto comma, del d.P.R. n. 639/1972. Ma quest’ultima è disposizione che concerne soltanto le affissioni dirette, da parte degli interessati, di manifesti e altri mezzi pubblicitari in spazi di loro pertinenza e quindi una fattispecie diversa da quella qui in esame (T.A.R. Lombardia, Sez. III, n. 1764/2005 cit.). Anche per questo verso, dunque, sembra confermata l’esclusione del silenzio assenso per un’ipotesi – quale quella oggetto del ricorso – in cui è richiesta l’esposizione di manufatti pubblicitari su suolo pubblico. Alla luce del principio tempus regit actum, non rilevano invece le pur pregevoli argomentazioni contrarie alla tesi della formazione, nella fattispecie in discorso, del silenzio assenso, ricavabili dalla più recente giurisprudenza della Cassazione (Cass. civ., Sez. II, 1° marzo 2007, n. 4869) allegata dalla difesa comunale, in quanto trattasi di argomentazioni riferibili ad una formulazione dell’art. 20 della l. n. 241/1990 posteriore al provvedimento impugnato. In definitiva, quindi, si deve concludere nel senso dell’infondatezza dell’appena analizzato motivo di gravame. Con il secondo motivo, si deducono la violazione dell’art. 7.7, del Regolamento di pubblicità e dell’art. 3 della l. n. 241/1990, nonché l’eccesso di potere sotto i profili del difetto assoluto dei presupposti e del difetto di motivazione, in quanto la causa di diniego indicata nel provvedimento impugnato – i “motivi viabilistici (cavalcavia)” – non sarebbe compresa nell’elenco tassativo delle cause ostative all’installazione di cartelli pubblicitari, contenuto nel citato art. 7.7. Né, in contrario, potrebbe essere invocato l’art. 51 del d.P.R. n. 495/1992 (come modificato dall’art. 41 del d.P.R. n. 610/1996), giacché detta disposizione vieta l’installazione di cartelli pubblicitari, entro i centri abitati, sui cavalcavia stradali e sulle loro rampe (art. 51 cit., comma 3, lett. g), tramite il rinvio che al comma 3 fa il successivo comma 4). Nella fattispecie in esame, invece, l’area prescelta per l’installazione del manufatto non si troverebbe né su un ponte, né sulla relativa rampa d’accesso, sicché non sarebbe opponibile la preclusione derivante dall’art. 51 del citato d.P.R. n. 495/1992 (recante il regolamento di attuazione del Codice della strada). La doglianza non può essere condivisa. Ed invero, l’art. 7.7, lett. g), del Regolamento di pubblicità vigente all’epoca dei fatti di causa – divenuto l’art. 7.7, lett. i), del Regolamento attualmente in vigore – ha escluso l’installazione di mezzi pubblicitari “in tutte le altre ipotesi vietate da leggi e regolamenti vigenti”, così richiamando anche i divieti di installazione di cui all’art. 51, commi 3 e 4, del d.P.R. n. 495/1992. Se ne desume la piena operatività, mediante il suddetto richiamo, del divieto di installazione dei cartelli pubblicitari sui cavalcavia e sulle relative rampe di accesso, previsto dall’art. 51 cit., comma 3, lett. g): divieto applicabile anche entro i centri abitati, in forza del rinvio di cui al successivo comma 4. Orbene, nel caso di specie, dalle risultanze dell’istruttoria disposta con ordinanza n. 189/08 del 19 giugno 2008 è emerso che l’impianto pubblicitario in discorso è ubicato su una rampa di raccordo del cavalcavia di piazzale delle Milizie. Ciò è reso evidente sia dalla documentazione fotografica depositata dal Comune (ed in particolare dalle foto a colori datate 21 luglio 2008 e dalla foto aerea del 6 agosto 2008), sia da quella depositata dalla ricorrente (cfr. in specie la foto n. 3). Anche la cartografia prodotta dal Comune conferma che l’impianto pubblicitario de quo è ubicato sulla suddetta rampa di raccordo. Esso rientra, pertanto, nell’ambito di applicazione del divieto dettato dall’art. 51 cit., commi 3, lett. g), e 4 del d.P.R. n. 495/1992. Se ne deduce la legittimità del diniego comunale, con conseguente infondatezza anche dell’ora visto motivo di gravame. Va infine respinta l’asserzione della società – contenuta nella memoria finale – secondo cui sussisterebbe in capo alla stessa un affidamento circa la legittimità della propria posizione, considerato il lungo lasso di tempo trascorso rispetto alla concessione della sospensiva. Osserva, infatti, in contrario la giurisprudenza che la presenza di un provvedimento comunale di rigetto dell’istanza autorizzatoria, esprimendo l’avviso negativo del Comune rispetto all’installazione dei manufatti pubblicitari, non permette di ravvisare nessuna legittima aspettativa in capo alla ricorrente in merito al mantenimento di tali manufatti (cfr., ex plurimis, T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. IV, 12 novembre 2007, n. 6247). Ritiene, quindi, il Collegio che l’argomento ora analizzato possa, al più, rilevare in sede di decisione sulle spese processuali (cfr. subito infra), non certo al fine di stabilire la spettanza in capo alla società del bene della vita. In definitiva, quindi, il ricorso è nel suo complesso infondato e, come tale, deve essere respinto. Sussistono, comunque, giusti motivi per disporre la compensazione delle spese, in particolare in ragione, all’epoca della proposizione del ricorso, di un indirizzo favorevole alla configurazione del silenzio assenso nel caso in discorso, peraltro poi ampiamente superato, come sopra illustrato. P.Q.M. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sede di Milano, III^ Sezione, così definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, lo respinge. Compensa le spese. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa. Così deciso in Milano, dal T.A.R. per la Lombardia, Sez. III^, nella Camera di Consiglio del 27 novembre 2008