Agenzia SIR – SERVIZIO INFORMAZIONE RELIGIOSA

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Progetto IdR e NEWS
martedì 13 marzo 2012 (n. 18)
Tema: UN “NO” DECISO
GIORNATA DELLA MEMORIA E DELL’IMPEGNO IN RICORDO DELLE VITTIME DELLE MAFIE
NOTIZIE
Si svolgerà a Genova il 17 marzo la XVII edizione della “Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle
vittime delle mafie”, promossa dall’associazione Libera e da Avviso pubblico per ricordare tutte le vittime innocenti
delle mafie e rinnovare nel loro nome il loro impegno di contrasto alla criminalità organizzata. “Genova Porta
d’Europa” è lo slogan che accompagnerà la giornata, durante la quale si incontreranno nel capoluogo ligure oltre 500
familiari (italiani e stranieri) delle vittime delle mafie in rappresentanza di un coordinamento di oltre 5000 familiari.
Parteciperanno rappresentanti delle ong provenienti da circa 30 paesi europei e dall’America Latina. La giornata
tradizionalmente si svolge ogni anno, il 21 marzo, primo giorno di primavera, ma quest’anno è anticipata a sabato 17
marzo per favorire la massima partecipazione di quanti arriveranno da ogni parte d'Italia. Sono centinaia i bus, che
arriveranno a Genova da tutt’Italia, due treni speciali dalla regione, uno da Ventimiglia e uno da La Spezia.
(da Sir Attualità, 13 marzo 2012)
APPROFONDIMENTI
------------------------------------------------------------------------------------------------------ Oltre la retorica
Due giorni per non dimenticare. La memoria e l’impegno saranno già protagonisti nella capitale ligure a partire dal
pomeriggio del 16 marzo con l’incontro tra i familiari delle vittime delle mafie, presso il teatro Carlo Felice, e la
veglia ecumenica nella cattedrale di San Lorenzo, presieduta dal card. Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e
presidente della Conferenza episcopale italiana. Il 17 marzo appuntamento con la marcia, con partenza da piazza
della Vittoria e arrivo nell'area del Porto Antico. Qui sarà allestito un palco dove saranno letti gli oltre 900 nomi di
vittime delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ordine, sacerdoti,
imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con
rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere. Nel pomeriggio si svolgeranno dieci seminari tematici dalla
corruzione al gioco d'azzardo, dall’intreccio mafia e politica alle ecomafie, dall’educazione ai beni confiscati,
dall’informazione alle zoomafie. Sono previsti tre spettacoli teatrali. Inoltre, il passaggio verso il futuro, nel segno
della memoria delle vittime innocenti, sarà rappresentato dalla “Porta d’Europa”, un’installazione allestita all’arrivo
del corteo con i lavori realizzati da scuole e gruppi in preparazione al 17 marzo.
Impegno e responsabilità. Quella del 17 marzo a Genova sarà una giornata che andrà oltre la “retorica” e che
testimonierà “l’impegno e la responsabilità” di tutti, “365 giorni l’anno”, ha chiarito don Luigi Ciotti, presidente di
Libera. Per dire no alla criminalità organizzata, “saranno in tanti a marciare e a dire da che parte sta una parte
dell’Italia”. Secondo don Ciotti, il giro d’affari dell’illegalità in Italia, “dalla mafia al riciclaggio, dalla corruzione
pubblica all’evasione, si attesta attorno ai 500-600 miliardi di euro l’anno”. “Alla politica chiediamo di fare la sua
parte - ha aggiunto il presidente di Libera - ma anche noi dobbiamo fare la nostra e assumerci tutti di più le nostre
responsabilità”. Le mafie, ormai, non sono più un problema solo per il Sud Italia: “Le mafie al Nord – ha evidenziato
don Ciotti - non sono una novità, ci sono da oltre 50 anni. Certo, la loro presenza nel tempo è cambiata e serve
vigilare e prestare maggiore attenzione, nei singoli contesti”. Anche in Liguria ci sono decine di inchieste e due
comuni commissariati per mafia: dunque, “le mafie hanno inquinato quei territori, e andiamo lì per dire che non
possiamo fare finta di niente”. Anche per Nando Della Chiesa, presidente onorario di Libera, “è il Nord ormai la vera
terra di conquista delle mafie, la vera posta in gioco se si vuole rovesciare la strategia dei clan”.
Amore e attenzione. “Andiamo a Genova il 17 marzo – ha spiegato don Ciotti - perché è importante ‘presidiare’
idealmente, con la nostra responsabilità di cittadini, ogni angolo di costa e ogni tratto di mare: quel Mediterraneo
reso spesso involontario complice di alcuni fra i peggiori traffici mafiosi, dalla droga ai rifiuti tossici fino agli esseri
umani”. L’appuntamento di Genova vuole rilanciare il “no” alla criminalità organizzata e a tutte le forme di illegalità,
corruzione e ingiustizia sociale che la favoriscono, “perché quella bellissima città e con lei l’intero Paese sia davvero
una degna ‘porta d’Europa’ aperta alle speranze e ai diritti delle persone, chiusa alle mafie, ai lori complici e a tutti
gli abusi”, ha auspicato. “Il contributo che Libera intende dare con la sua presenza nazionale sarà dunque come un
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atto di attenzione e di amore” verso la Liguria, ha rimarcato Dalla Chiesa. “Un atto di attenzione e di amore tanto più
dovuto – ha proseguito - dopo la prova terribile delle alluvioni autunnali, che hanno suscitato in tutta Italia un moto
spontaneo di solidarietà verso Genova e verso la Liguria”. “Che la primavera arrivi e faccia sbocciare una nuova
coscienza collettiva contro la mafia. Che lo faccia ovunque, partendo da Genova”, è l’augurio di Dalla Chiesa.
(da Sir Attualità, 13 marzo 2012)
- Nelle foibe della mafia
Ci sono voluti 64 anni ma alla fine Placido Rizzotto avrà una tomba e Corleone riacquisterà in pieno la memoria di uno
dei simboli della lotta a Cosa nostra. Sono proprio del giovane sindacalista socialista, sequestrato e ucciso dalla mafia
il 10 marzo 1948, le ossa ritrovate nel 2009 in una foiba in località Rocca Busambra, nelle campagne di Corleone. Ci
sono volute lunghe e complesse analisi del Dna, ma alla fine la comparazione con le ossa del padre, ha consentito ai
tecnici della Polizia scientifica di attribuire con una certezza del 76% i resti celati in quello che viene definito
'cimitero dei corleonesi'. Nelle foibe di Corleone sono stati, infatti, ritrovati numerosi altri resti umani e allo stato
sono in corso indagini per verificare se possano appartenere ad altre vittime di Cosa nostra.
Nella fessura 'Ciacca', profonda 50 metri in cui è stato ritrovato lo scheletro di Rizzotto, si sono calati gli esperti dei
Vigili del fuoco. Accanto ai resti sono stati ritrovati anche dei filamenti di cuoio (probabilmente residui delle redini
che imbrigliavano il mulo usato per trasportare fin lì il cadavere e anch’esso gettato nella fossa) e anche una moneta
da 10 centesimi coniata negli anni Venti. Ucciso e nascosto per sempre, così voleva la mafia. Invece... «Siamo riusciti
a stabilire il luogo preciso – ha spiegato Filippo Calì, dirigente del commissariato di Corleone – attraverso le indicazioni
fornite da anziani del paese che ci hanno condotto a quello che viene chiamato 'il cimitero dei corleonesi'». Un forte
segnale di cambiamento, dopo decenni di omertà, e che i boss stanno davvero perdendo.
Rizzotto, socialista, segretario della Camera del lavoro, caporale prima e poi sergente, combattente in Carnia, quindi
partigiano antifascista, antesignano dell’antimafia a fianco dei braccianti nella lotta ai latifondisti, era diventato un
simbolo. Eppure aveva solo 34 anni e le foto dell’epoca ce lo mostrano coi capelli neri lisciati con la brillantina, i
baffetti, la giacca e la cravatta. Un giovane normale ma un pericolo per i mafiosi e per chi a loro si era alleato.
Perché aveva osato sfidare gli sgherri del medico-boss mafioso Michele Navarra. Lo aveva capito bene l’allora capitano
dei carabinieri Carlo Alberto Dalla Chiesa che imboccò subito la pista mafiosa arrestando alcuni killer e ottenendo la
piena confessione del delitto, poi ritrattata al processo. Per il sequestro e l’omicidio vennero così processati e assolti
per insufficienza di prove Luciano Liggio, Paquale Criscione e Vincenzo Collura. Nessuno aveva parlato. Anche perché
l’unico testimone, un pastorello di 13 anni, Giuseppe Letizia, che aveva assistito al delitto ed era rimasto scioccato,
morì dopo un’iniezione che doveva servire a guarirlo nell’ospedale corleonese di cui era direttore sanitario il mafioso
Navarra. Una morte atroce, da parte di una mafia già allora senza pietà. Ora il riconoscimento del corpo di Rizzotto
ridà giustizia anche al piccolo Giuseppe, come al lavoro di Dalla Chiesa del quale il prossimo 3 settembre cadrà il
trentesimo anniversario della morte. Ucciso dalla mafia come prefetto di Palermo. Come il giovane sindacalista su cui
aveva indagato capendo tutto.
Placido aveva cinque sorelle e un fratello. Solo una è viva, Giuseppina, 80 anni, che è felice, dopo un’intera vita di
attesa, del raggiungimento della verità. E ci sono i 22 nipoti e i tanti pronipoti, dell’uomo che combattè mafia e
ingiustizia, ora pronti per andare a onorare la tomba che presto sarà realizzata nel cimitero corleonese dove, dicono i
segretari della Cgil di Palermo e Corleone, Maurizio Calà e Dino Paternostro, «i cittadini democratici potranno
finalmente portare un fiore e versare una lacrima». Qualcuno ora chiede funerali di Stato. La sorella Giuseppina vuole
solo andare a piangere su quei resti cui la scienza nel 2012 ha dato finalmente il nome: Placido Rizzotto, di Carmelo e
Giovanna Moschitta.
(Antonio Maria Mira – Avvenire, 10 marzo 2012)
- La mafia ha perso
La certezza scientifica sulle spoglie di Placido Rizzotto, a 64 anni dalla sua uccisione con mani mafiose, ha il profumo
e il sapore della memoria che non si sfibra nelle curve pericolose della storia. Il 10 marzo del 1948 la mafia si liberò
del sindacalista socialista che guidava i braccianti nelle lotte per la terra. La sua morte era il passaporto per la scalata
a Cosa Nostra di Luciano Liggio, il mafioso destinato a segnare il passaggio, a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta,
dalla vecchia mafia rurale a quella urbana.
Liggio, il boss di Corleone. Sì, proprio lui, il padre di tutti i mafiosi 'moderni'. Lui doveva versare il sangue di
quell’uomo di 34 anni che osava aizzare i contadini a occupare le terre controllate dalla mafia agraria. Lui doveva
guadagnare alla mafia il tempo necessario per riprogettare il proprio futuro e rimetterla in asse con i tempi nuovi e
progressivi. Sappiamo tutti come è andata a finire, con i corleonesi ancora protagonisti, negli anni Novanta, della
guerra dichiarata allo Stato. Una guerra sanguinosa combattuta dalla mafia stragista che è costata la vita a uomini
come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Carlo Alberto Dalla Chiesa. Se non fosse stato ammazzato a Palermo,
insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro, forse oggi Dalla Chiesa potrebbe rivendicare di aver visto giusto tanti anni
fa. Quando, da giovane tenente dei carabinieri, indagando sull’uccisione di Rizzotto, si era fatto la convinzione che il
suo corpo fosse stato eliminato in qualche cimitero di mafia. Appunto quella foiba di Rocca Busambra, dove solo tre
anni fa, sono stati ritrovati i resti del sindacalista.
La memoria ha vinto. La mafia ha perso. La memoria ha vinto grazie alle moderne ricerche genetiche, ovvero grazie
ai 'ricordi' custoditi nel Dna. Un autentico paradosso per la mafia che ha sempre voluto annientare la memoria dei suoi
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'nemici', basti pensare a Mauro De Mauro o al piccolo Giuseppe Di Matteo, ma non può cancellarne il Dna. Il giorno in
cui Rizzotto potrà avere una sepoltura, il giorno in cui su una lapide potrà essere scritto il suo nome, il giorno in cui i
professori accompagneranno gli studenti sulla sua tomba per spiegare chi era quell’uomo coraggioso, allora la mafia
incasserà un altro brutto colpo. Com’è accaduto con 'l’albero della Memoria' di Palermo, per non dimenticare le stragi
di Capaci e di via D’Amelio. Come accade con la tomba di don Pino Puglisi, il parroco di Brancaccio, il cui sacrificio è
inciso nelle coscienze dei siciliani, dei meridionali, di tutti gli italiani.
Il Sud ha bisogno assoluto di tanta memoria buona come segno indissolubile di una vita buona. Di memoria cattiva,
impastata di sangue e violenze, di sopraffazioni e silenzi omertosi, di connivenze e grumi maleodoranti di interessi
inconfessabili, sono pieni gli archivi e le cronache. Ma la memoria buona ha la forza della sorgente che torna a
zampillare contro ogni insabbiamento. La certezza per la gente del Sud di avere una tomba su cui pregare e ricordare,
è la rivincita sopra ogni offesa della storia. Quella nostra storia sociale fatta di sudore e di lotte contadine, di slanci e
di ricadute, di avventurose lotte socialiste e di profonde radici cristiane, di ristrette cerchie agiate e di masse incolte
e impoverite. È la nostra vita, il nostro passato remoto. Di ex terroni che hanno inseguito il sogno di diventare italiani
'come gli altri' e che l’ottusa violenza mafiosa hanno ricacciato indietro, essa sì in un angolo oscuro della storia.
Placido Rizzotto, segretario socialista della Camera del lavoro di Corleone, ex partigiano delle Brigate Garibaldi in
Carnia, un uomo del Sud che aveva combattuto per la liberazione del Nord, certamente da lassù ora può
sorridere. E può finalmente riposare in pace, per la serenità ritrovata dei suoi familiari, per la pace sottoscritta da
tutti noi con la sua memoria. E con la memoria di un Sud che nel bene e nel male forse non c’è più, ma che è pur
sempre il nostro Sud.
(Domenico Delle Foglie - Avvenire, 10 marzo 2012)
- Dopo 64 anni
«Una notizia che aspettavamo da anni. Ed è un ulteriore segnale di una Corleone che vuole cambiare e sta
cambiando». Non nasconde la soddisfazione Nino Iannazzo, sindaco della cittadina siciliana un tempo simbolo del
potere di Cosa nostra e dell’omertà. Ma oggi non è più così. «Pensi – rivela Iannazzo – che all’individuazione della
foiba dove era stato buttato hanno collaborato anche dei corleonesi che anticamente avevano raccolto il racconto da
parte di propri cari. E questo è un segnale ulteriore di una forte collaborazione dei cittadini con le forze
dell’ordine». Parole chiare da un sindaco di centrodestra, con una storia prima nell’Msi e poi in An, che da anni
collabora con le cooperative dell’Arci e di Libera che gestiscono i beni confiscati. Antimafia trasversale. «Ormai
Placido Rizzotto – dice con nettezza – è un patrimonio condiviso a livello locale e nazionale».
Dunque, sindaco, si chiude finalmente una lunghissima vicenda.
Oggi avere la certezza che quei resti sono di Placido Rizzotto ha un duplice valore. Chiude un’indagine che iniziò Carlo
Alberto Dalla Chiesa allora capitano dei carabinieri. Il secondo, che è ancora più importante, è il fatto che quello che
si pensava essere scontato e definitivo, cioè che non lo si sarebbe trovato più, ora viene smentito. Così la famiglia
potrà finalmente seppellire il proprio caro. E il paese potrà onorarlo.
Un paese davvero cambiato...
Anche l’enfasi che la notizia ha avuto nel paese è sintomatica di un cambiamento ormai maturo che speriamo possa
continuare.
Corleone come lo ricorda?
Nel paese c’è un busto di Rizzotto e a lui è intitolata una via che è una traversa di via Carlo Albero Dalla Chiesa.
Avete in mente nuove iniziative?
Domani (oggi per chi legge, ndr ), anniversario della sua uccisione, per la prima volta dopo 64 anni commemoreremo
Rizzotto senza pensare a Rocca Busambra come sua ideale tomba. Sapendo di avere collaborato alle giuste richieste
dei familiari. Faremo poi un Consiglio comunale aperto nel quale conferiremo la cittadinanza onoraria al questore di
Palermo, Nicola Zito e a quello che lo ha preceduto, Alessandro Marangoni, da poco a Milano. Come ogni anno, con
una delegazione di cittadini e il gonfalone, saremo il 17 marzo alla Giornata della memoria e dell’impegno nel ricordo
delle vittime di mafia, organizzata da Libera a Genova. E, felice coincidenza, quando sarà letto il nome di Rizzotto
avrà un eco ancora maggiore, di speranza.
Ora Corleone cosa attende?
Che si cominci davvero a lavorare seriamente sullo sviluppo per affrancarci definitivamente dalla mafia. L’antimafia è
ormai ben radicata. Ora servono progetti positivi. Noi abbiamo cominciato a farlo, ovviamente con difficoltà visto il
periodo di crisi, ma segnali forti li abbiamo dati, come il sostegno alle cooperative che gestiscono i beni confiscati
assegnati al comune, una delle quali porta proprio il nome di Rizzotto.
(Antonio Maria Mira – Avvenire, 10 marzo 2012)
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DOCUMENTI
Per ulteriori informazioni e dati: www.libera.it
Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie" è nata il 25 marzo 1995 con l'intento di sollecitare la società
civile nella lotta alle mafie e promuovere legalità e giustizia. Attualmente Libera è un coordinamento di oltre 1500
associazioni, gruppi, scuole, realtà di base, territorialmente impegnate per costruire sinergie politico-culturali e
organizzative capaci di diffondere la cultura della legalità. La legge sull'uso sociale dei beni confiscati alle mafie,
l'educazione alla legalità democratica, l'impegno contro la corruzione, i campi di formazione antimafia, i progetti sul
lavoro e lo sviluppo, le attività antiusura, sono alcuni dei concreti impegni di Libera. Libera è riconosciuta come
associazione di promozione sociale dal Ministero della Solidarietà Sociale. Nel 2008 è stata inserita dall'Eurispes tra le
eccellenze italiane.
- Sitografia
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http://www.libera.it
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