intervista al regista Lorenzo Mucci

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INTERVISTA A LORENZO MUCCI - REGISTA
di Stefano Mecenate
Dar corpo ad un’idea così delicata sottraendola al rischio di una facile agiografia retorica non è
certamente cosa facile. Così vicino a noi da essere ancora cronaca, il dramma di Falcone e Borsellino è
una vicenda che incarna il coraggio di coloro che, in ogni parte del mondo difendono i principi e gli
ideali anche a prezzo della loro vita. Ma, nello specifico, quel dramma è anche quello di Palermo e
della Sicilia che vive ancor oggi di lutti e violenze nonostante l’impegno profuso dai molti epigoni dei
due magistrati che operano nei diversi settori della società.
A raccontare questa storia fatta di emozioni profonde, di dolori mai sopiti, di speranze disattese ma
mai spente, Lorenzo Mucci, affermato regista teatrale, docente di recitazione alla Scuola Europea di
Teatro Classico e responsabile della didattica della fondazione Teatro Verdi che ha prodotto la
maggior parte dei suoi quaranta spettacoli.
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Quali elementi l’hanno colpita nel libretto di questa opera?
Prima di ogni altra cosa - con un termine forse di moda ma efficace - l'indignazione che traspare da
ogni singola parola del libretto. Indignazione e quindi desiderio di rivolta. Una rivolta interiore ma
anche pubblica, 'di popolo' nel senso più genuino, aspetto questo ben sottolineato da una citazione
dai Vespri Siciliani di Verdi che compare nel finale dell'opera.
In secondo luogo colpisce l'affermazione del primato della cultura sulla barbarie giocato, per così dire,
su un doppio binario: da una parte la scelta stessa degli autori di affrontare un argomento politico,
sociale ma soprattutto attuale e scottante attraverso una espressione artistica come l'opera, dall'altra
- nel tessuto drammaturgico - la scelta dei due protagonisti (Madre e Padre) di chiamare due attori a
dar voce alle parole dei due magistrati che più rappresentano il sacrificio personale nella lotta alla
mafia. Non ultimo, ma più 'tecnico', l'aspetto di scelta drammaturgica. I due autori hanno scelto di
non affrontare la sfida che si erano dati attraverso il racconto diretto della biografia di Falcone e
Borsellino. Hanno al contrario scelto di lavorare sulla necessità di ‘fare memoria’, sul bisogno di far
scaturire azione dal ricordo. Insomma, pensando anche alle parole di Don Ciotti di pochi giorni fa a
Firenze, una scelta non solo coraggiosa ma anche assolutamente 'contemporanea'.
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In che modo si è rapportato nell’affrontare scenicamente il testo?
La frase che più ricorre lavorando con la compagnia è "drammaturgia delle emozioni".
Non esiste una trama nel senso classico e i tre personaggi (Madre, Padre e Mafia) sono quasi
archetipi, singoli individui che, attraverso il proprio dolore o la propria arroganza, vengono assunti a
simbolo di intere categorie umane (mi si passi il termine). L'azione scenica, dunque, nasce dalla
ricerca delle motivazioni più profonde. Per Madre e Padre si tratta di cercare tra le macerie interiori,
tra i resti di un terremoto il cui epicentro è una perdita e il dolore conseguente. Una miscela di dolore
e paura che genera paralisi.
Per il personaggio di Mafia si tratta di lavorare invece su una 'assenza'. L'assenza di valori e quindi
disprezzo verso gli altri e verso la vita. Mafia ha reazioni animalesche, primitive, in una cornice
dialettica il cui principale strumento è la minaccia fisica.
Questa geometria delle emozioni si trasforma sulla scena in una geometria di sguardi, di gesti, di
fughe e di sfide.
Su questo si innestano altri due elementi apparentemente secondari ma in realtà fortemente
significativi: l'elemento spirituale e l'elemento popolare.
Il primo è rappresentato dalla presenza di una icona della Madonna e dalla 'visione' delle anime di
bambini vittime della violenza mafiosa. Il secondo dall'entrata dei cittadini di Palermo. Nella mia
lettura dell'opera i due elementi sono collegati. La spiritualità che inizialmente ha una forte
connotazione religiosa assume, proprio attraverso la visione delle anime dei piccoli, un respiro più
ampio trasformandosi, con l'entrata dei cittadini, in impegno civile. Un impegno che, come accennavo
prima, passa attraverso l'utilizzo di strumenti culturali ma anche attraverso la presenza fisica nello
spazio, sul territorio potremmo dire.
Dunque accade qualcosa. I cittadini, seguendo Madre e Padre, tolgono spazio a Mafia, lo costringono
all'angolo. Qualcosa cambia e come afferma Mafia: "Allura si la genti cancia e la Sicilia cancia ’a
nostra storia mori e ’u nostru maniu finisci!"
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Quanto della sua personale memoria di questi illustri esponenti della Magistratura ha
trasferito nell’opera?
Molta e per uno della mia generazione era inevitabile. Lavorare a questo allestimento è stato un
continuo esercizio della memoria, personale ma anche 'civile'. La memoria dovrebbe essere alla base
del nostro quotidiano vivere una cittadinanza consapevole. Ma è un esercizio faticoso e spesso lo
tralasciamo. Questo tipo di operazioni ci aiutano.
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Parole e musica costituiscono ( o dovrebbero costituire) un unicum descrittivo di stati
d’animo diversi e talvolta complessi: come lavora in questo senso con i cantanti lirici
per aiutarli ad essere anche attori oltre che cantanti?
Per quanto già detto è chiaro che la fase di analisi del testo è assolutamente importante. Ma come
regista non amo lunghi periodi di lavoro a tavolino. Cerco anzi di ridurli al minimo indispensabile. La
parola deve 'incarnarsi' in un corpo/voce che ha un suo vissuto. L'attrito tra parola e vissuto genera
l'unicità dell'interpretazione. Dunque, date un minimo di indicazioni - argomentate insieme ai
cantanti/attori- siamo passati velocemente alla fase 'in piedi'.
E 'nel fare', nel costruire le relazioni in scena, nel cercare i movimenti o i gesti che siano tappe
necessarie del viaggio dei singoli personaggi, abbiamo continuato a scoprire, formulare ipotesi e a
verificarle (sempre nella relazione scenica). Abbiamo cominciato a fissare ciò che ci sembrava
imprescindibile. Naturalmente in tutto questo è stato importante e necessario il supporto della
musica. Perché tutto quanto abbiamo scavato lo abbiamo subito messo in relazione con la partitura,
ascoltando e utilizzando le indicazioni che la musica ci ha fornito.
Arriva poi una fase in cui si va a precisare, cesellare e formalizzare. Un lavoro lungo e molto minuzioso
in cui entrano in gioco anche altri aspetti del linguaggio teatrale: luci, scene e costumi.
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La storia si Falcone e Borsellino è una “storia italiana” che però ha profonde radici
nella Sicilia e nella sua difficile realtà. In che modo ha “reso” questi elementi legati alla
vita e alla carriera di questi personaggi?
La struttura drammaturgica dell'opera prevede la presenza di due attori a cui viene richiesto di
tornare a dare voce alle parole di Falcone e Borsellino. Il testo che leggono in scena ripercorre la loro
storia e le loro emozioni, i loro pensieri. Ho ritenuto però, nella mia lettura, che a distanza di così tanti
anni fosse necessaria una spinta ulteriore per arrivare a fare memoria. L'operazione artistica (e in
questo caso più che in altri) ha lo scopo di commuovere nel senso di 'muovere con' e allora ho scelto
di far nascere tutto dalle loro voci, dai telegiornali che annunciano la loro morte. Un tappeto sonoro
da cui scaturisce l'azione scenica e musicale.
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Gli elementi scenici sono spesso determinanti per restituire la giusta ambientazione di
un’opera: come ha scelto l'ambientazione?
Ho lavorato tenendo conto in parte delle indicazioni degli autori che suggerivano un'ambientazione
realistica in un luogo degradato della periferia palermitana diventato, nell'uso del popolo, luogo di
commemorazione delle vittime di mafia. Di tutto questo ho preferito lasciare un solo elemento in
modo da farlo diventare ancora più emblematico di un desiderio del popolo di ricordare. La scena
dunque ruota intorno a un muro quasi distrutto (o forse mai finito) su cui poggia una piccola cappella
votiva con una statua della Madonna. Il muro è cosparso di foto e fiori ormai secchi ed inciso con i
nomi delle vittime.
Il muro e l'icona diventano punto focale per i personaggi di Madre e Padre, una sorta di trampolino
per trasformare il dolore in azione, in rivolta. Per Mafia è nascondiglio e luogo da presidiare per
spaventare e rintuzzare ogni tentativo di opposizione. Per il popolo palermitano è meta da
raggiungere e da cui ripartire nel viaggio di riscossa.
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