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DINAMICHE DEI GRUPPI IN CONTESTI ISTITUZIONALI
LEZIONE DEL 23/11/2011
Prof. CLAUDIO NERI
UN’INTRODUZIONE AL TEMA DEL TRATTAMENTO NEL SETTING RESIDENZIALE
DELL’ANORESSIA E DELLA BULIMIA
Abstract
Questa lezione è stata presentata dalla Dott.ssa Laura Dalla Ragione, psichiatra e
psicoterapeuta, dirigente di due centri specializzati nei disturbi del comportamento
alimentare.
Dopo la visione di un filmato su Palazzo Francisci, la Dott.ssa ha illustrato brevemente le
caratteristiche di questa struttura.
Fornendo dei dati inerenti al cambiamento dell'andamento di questi disturbi, ha
sottolineatol'importanza di effettuare un intervento integrato, precoce e continuativo, per
aumentarne la probabilità di un esito positivo ed evitare il drop-out (interruzione del
trattamento non concordata). È utile, quindi, effettuare un intervento multidisciplinare,
che mantenga un equilibrio tra l'aspetto biologico e quello psicologico.
Negli ultimi anni i DCA sono in forte aumento e questa è una tendenza difficile da
arrestare, dato che i fattori di rischio implicati sono molteplici.
È molto importante considerare che, l’essenza del problema, non è tanto la mancanza di
appetito o la diminuzione di peso, quanto invece il pensiero ossessivo riguardante il cibo
e il proprio corpo. Queste idee, infatti, insorgono prima di altri sintomi più manifesti e
devono essere l’oggetto principale del trattamento, anche se sono le più difficili da
modificare.
Le strutture italiane che si occupano di questi disturbi sono soprattutto ambulatoriali e
ospedaliere; solo 7 strutture sono residenziali ma raramente si occupano di preadolescenti
e adolescenti.
I disturbi maggiormente diffusi in Italia sono la bulimia e i DCA NAS (soprattutto il Binge
Eating Disorder) mentre è in via di estinzione l'anoressia di tipo restrittivo. Il Binge Eating
Disorder, che non deve essere confuso con l'obesità, ha come caratteristica principale le
abbuffate (ingestione, spesso fatta in modo solitario, di un gran quantitativo di cibo
ipercalorico in un tempo ristretto ed associato ad uno stato anticipatorio di ipereccitazione
1
e ad uno stato simile alla trance durante l'abbuffata).
I DCA si modificano durante l'arco della vita di una persona, quindi si effettua una
diagnosi di stato; inoltre, si presentano in comorbidità con altri disturbi.
La Dott.ssa presenta i Centri di Città della Pieve e di Todi. Le ragazze che si trovano
all'interno del Centro, collocato al centro della cittadina, continuano ad andare a scuola per
evitare uno sradicamento delle abitudini. Le attività sono stabilite da un planner
settimanale e la giornata è scandita da diverse attività e pasti normativi, lasciando alle
ragazze non molto tempo libero. L'equipe è composta da 28 operatori per 18 ragazze e il
percorso dura dalle 12 alle 16 settimane. Le ragazze, quando entrano nel Centro, già
sanno quando usciranno e, negli ultimi periodi di soggiorno, svolgeranno delle attività che
favoriranno il processo di svincolo.
Durante il trattamento si lavora soprattutto sulla motivazione e sulla dispercezione
corporea. Tra le tecniche utilizzate per lavorare su quest'ultimo aspetto, vi sono la
"terapia dello specchio" e le tecniche espressive. Si lavora anche con le famiglie,
tramite riunioni settimanali dedicate ai genitori di tutte le pazienti, oppure con i singoli
nuclei familiari o con le singole coppie genitoriali.
Parole chiave: DCA, dimorfismo corporeo, equipe multidisciplinare, cibo-terapia,
ideazione ossessiva, svincolo, terapia dello specchio.
“L’anima ha bisogno di un luogo” (Plotino)
Dott.ssa Laura Dalla Ragione
Psichiatra, Psicoterapeuta
Resp. Centro D.C.A. “Palazzo Francisci” (Todi)
Resp. Centro D.A.I. E OBESITÀ (Città della Pieve)
Resp. scientifico Ministero della salute
INTRODUZIONE (Prof. Neri)
Questa lezione pone l’attenzione su un approccio di terapia comunitaria per persone con
Disturbi del Comportamento Alimentare, basato sul soggiorno, per un tempo limitato, in
una struttura pubblica collegata con l’ASL 2 dell’Umbria, “Palazzo Francisci”, di cui la
Dott.ssa Dalla Ragione è la direttrice.
La Dott.ssa è dirigente del Centro “Palazzo Francisci” di Todi, dedicato al trattamento
dell’Anoressia e Bulimia in età evolutiva, e del Centro D.A.I. specializzato nel trattamento
del Disturbo di Alimentazione Incontrollata e dell’Obesità; entrambe sono strutture
pubbliche, diversificate nel trattamento e nel percorso terapeutico ma simili per quanto
riguarda l’approccio alla persona, che non è diretto al sintomo ma affronta il problema
alimentare nella sua globalità. Questi sono centri residenziali e ambulatoriali, in cui
l’aspetto assistenziale è intensivo e si estende per un periodo che va dai 3 ai 5 mesi.
L’idea di fondo rispecchia un orientamento non medicalizzante (per cui niente camici e
tendenza a prescrivere farmaci solo se strettamente necessario) che mira, perlopiù, al
recupero di abilità perdute; tali strutture, inoltre, sono spazi di cura esterni all’ospedale,
caratterizzati da ambienti caldi e accoglienti.
-FILMATO DOCUMENTARIO PALAZZO FRANCISCI(http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-d48de54e-bf0f-4464-b3a6e34516244deb.html)
INTERVENTO PROF. NERI: Queste forme di sofferenza sono sicuramente personali
(psichiche e somatiche) però, nello stesso tempo, rappresentano più che un modo
individuale, un modo collettivo di esprimere una condizione e un disagio.
INTRODUZIONE (Dott.ssa Dalla Ragione)
Il Centro “Palazzo Francisci”, come detto precedentemente, è una struttura non
ospedaliera dove i pazienti soggiornano dai 3 ai 5 mesi; gli ospiti accolti hanno età
diversificate. Elemento distintivo, rispetto ad altre strutture, è che il Centro “Palazzo
3
Francisci” è specializzato per ragazze con età inferiore ai 14 anni, prevalentemente 10/11
anni.
La Dottoressa è anche impegnata nell’apertura in Italia di altri centri analoghi a quello di
Todi; ad oggi, sul territorio nazionale sono presenti pochissime strutture di questo tipo, con
conseguenti lunghe liste di attesa per potervi accedere. Centri con tale finalità terapeutica,
aperti recentemente, sono quelli di Chiaromonte in Basilicata, di Varese e della Valle
d’Aosta.
Alcuni dati sui DCA
L’apertura di queste strutture è stata necessaria soprattutto per l’aumento del fenomeno
dei DCA, che nel tempo hanno assunto caratteri sempre diversi. I dati del Ministero della
Salute rilevano 3 milioni di persone ammalate in Italia, appartenenti ad una fascia di età
variata rispetto a dieci anni fa: si è abbassata, infatti, l’età di esordio e il problema affligge
anche persone con età compresa tra i 40 e i 50 anni. Quest’ultimo dato sottolinea il fatto
che il corpo è diventato un modo per esprimere un disagio, anche nelle fasce d’età
che fino a dieci anni fa non erano considerate a rischio. È quindi molto importante, in
questo momento, riuscire ad assicurare risposte tempestive favorendo, così, una prognosi
benigna di questi disturbi: se, infatti, si interviene precocemente, le probabilità di cura e di
guarigione sono molto alte. Più passa il tempo tra l’esordio e l’intervento, più le probabilità
di guarigione diminuiscono; il tempo della terapia, inoltre, si allunga e le probabilità di
ricaduta saranno maggiori.
In generale, è auspicabile intervenire con un trattamento integrato specializzato nei
primi tre anni di malattia. La prognosi è collegata da una parte alla tempestività
dell’intervento e, dall’altra, alla continuità delle cure.
La continuità delle cure è legata al programma di cui il trattamento residenziale fa parte;
esistono 5 livelli di trattamento:
1) il trattamento ambulatoriale, utile nel 60% dei Disturbi Alimentari, che si svolge
all’interno del territorio in cui vivono i pazienti;
2) il trattamento semi-residenziale, o intervento Day Hospital, è un trattamento diurno
che prevede che i pazienti si rechino in clinica, dove consumano i pasti e svolgono
determinate attività, per poi tornare a casa a fine giornata;
3) il trattamento ospedaliero (o salvavita), necessario in caso di pericolo di morte a
causa di anoressia grave o gravissima;
4) il trattamento residenziale (offerto a “Palazzo Francisci”) previsto dopo il trattamento
in ospedale (cioè quando si è conclusa la fase acuta del disturbo) o nei casi in cui, ad
esempio, un paziente mostra delle resistenze al trattamento in ambulatorio.
5) il trattamento in comunità, per pazienti che hanno bisogno di un tempo di residenza
più lungo, a causa di comorbilità psichiatriche o patologie croniche e che, quindi,
necessitano di un recupero delle funzioni sociali, spesso perdute.
Il trattamento dei Disturbi Del Comportamento Alimentare
I dati allarmanti sui DCA, rilevano quanto questi disturbi siano ancora in rapido ed
esponenziale aumento, dato che i fattori di rischio ad essi correlati sono moltissimi e non
possono essere controllati1. AN e BN sono considerate patologie invalidanti, motivo di
invalidità civile. Si rileva un alto tasso di cronicità, che riguarda persone ammalatesi
molti anni prima e mai curate. Ciò è dovuto al fatto che le cure per i DCA sono state
definite e perfezionate solo negli ultimi anni: fino a 15 anni fa non c’erano terapie
specializzate, né tantomeno équipe dedicate a tali disturbi.
Molti pazienti, inoltre, arrivano molto tardi alle cure e questo per una serie di motivi:

sono pazienti che non hanno compliance terapeutica, ovvero pazienti convinti di
stare bene, che negano il disturbo e non si vogliono curare;

sono pazienti che non vengono intercettati, perché nascondono il problema.
In realtà, il vero disturbo, inteso nel suo nucleo psicologico dell’ideazione ossessiva
sul cibo e sulle forme corporee, può iniziare molto prima rispetto all’effettiva diminuzione
di peso: il disturbo non è il vomito, le forme di compenso o le variazioni di peso, bensì
risiede nel nucleo ossessivo che invade progressivamente la vita e la mente dei pazienti,
dalla mattina alla sera. Nonostante riescano a convivere con il sintomo, tali soggetti
devono
essere
considerati
malati,
anche
perché
queste
idee
ossessive,
che
compromettono lo stato di salute delle persone, non fanno altro che rafforzarsi nel tempo,
così che sradicarle (obiettivo della terapia) diventa molto più difficile. La cronicità, in
La dott.ssa, parlando dei vari fattori di rischio, sia psicologici che biologici, che intervengono nei
disturbi del comportamento alimentare, sottolinea come, nelle persone con celiachia o diabete
infantile, il rischio di "ammalarsi" sale del 30-40%, dal momento che tali soggetti iniziano già da
piccoli a sviluppare un rapporto problematico con il cibo.
1
5
quest’ottica, può essere determinata dal fatto che le prime avvisaglie del disturbo non
sono state riconosciute nel paziente, perché non si è posta la dovuta attenzione al nucleo
psicologico, che invece si è radicato nel tempo.
La terapia di questi disturbi è favorita dall’esistenza di una rete combinata di interventi:
prevedere diversi livelli di cura facilita l’intervento ed evita il problema del drop-out, ovvero
l’interruzione del trattamento non concordato; se non c’è un piano terapeutico ben
organizzato, infatti, i pazienti si demotivano, si scoraggiano e decidono di non andare
avanti. La rete dei servizi, quindi, è fondamentale per evitare che le persone passino
autonomamente, e senza sostegno, da un livello all’altro dell’intervento e garantisce un
supporto in queste transizioni (evitando i viaggi cosiddetti “della speranza”).
Le strutture
Le strutture italiane sono 166 ma sono quasi tutte sono di tipo ambulatoriale o ospedaliero
e garantiscono solo un segmento dell’assistenza; ci sono solamente 7 strutture
residenziali e tutte con lunghe liste di attesa. Un altro problema importante, è
rappresentato dalla scarsità di strutture rivolte a soggetti in preadolescenza e
adolescenza, per cui questi pazienti, in grande aumento, non possono usufruire di luoghi
in cui essere ricoverati e curati.
Classificazione
Sui 16.000 pazienti che in Italia soffrono di Disturbi Alimentari, possiamo evidenziare che:
il 60% soffre di Binge Eating Disorder, che rientra nei DCA NAS, il 30% di Anoressia
Nervosa (di cui il 70% appartiene al sottotipo vomiting, anoressiche che raggiungono il
basso peso vomitando, mentre il restante 30% appartiene all’anoressia restrittiva
classica). La prevalenza dell’Anoressia restrittiva è, quindi, in diminuzione: oggi
indubbiamente la maggior parte dei DCA includono le Bulimie Nervose (abbuffate
compulsive con metodi di compenso, quali vomito autoindotto, lassativi, diuretici,
iperattività e associate ad altre compulsioni e disturbi del controllo degli impulsi,
cleptomania, ecc.) e i Disturbi NAS, ovvero quei disturbi che non soddisfano i criteri
diagnostici di AN o BN (per esempio una ragazza che controlla il peso ma non è scesa di
peso e non presenta amenorrea).
Questi DCA NAS devono essere trattati allo stesso modo di altre patologie alimentari, in
quanto, nonostante non ci sia perdita di peso evidente, oppure non siano riscontrabili
aspetti caratteristici degli altri sottotipi, è comunque presente, come elemento centrale, il
nucleo psicopatologico caratterizzato dall’intensa ossessione sul cibo e sulle forme
corporee.
L’ideazione ossessiva verso il cibo è il punto centrale su cui si basa l’obiettivo del
trattamento: si interviene, infatti, sulla riduzione dell’ossessione e su ciò che muove questo
nucleo psicopatologico. Se ciò non avviene, il trattamento è destinato a fallire: il solo
raggiungimento di un BMI2 accettabile (aumentando o perdendo peso) non scongiura,
infatti, il pericolo di un’inevitabile e repentina ricaduta.
L’obiettivo del trattamento deve, quindi, tener conto di due livelli di intervento: uno
psicologico e uno organico. Quando il disturbo è conclamato, infatti, può essere molto
invadente e interferire con il percorso psicologico.
Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (o Binge Eating Disorder) fa parte dei DCA
NAS3 ed é caratterizzato da grandi abbuffate, senza metodi di compenso. Le abbuffate
avvengono solitamente di nascosto, in uno stato di perdita di controllo e di trance, in cui la
coscienza è alterata.
Possiamo distinguere le abbuffate localizzate, in cui il paziente ingerisce dalle 3.000 alle
30.000 calorie nel giro di circa 20 minuti, e il grunging, in cui il soggetto mangia
continuamente. Questi tipi di comportamento non sono riconducibili al concetto di famesazietà e sono una vera compulsione, alla quale si accompagna un forte senso di
vergogna4.
BMI (Body Mass Index) o IMC (Indice Massa Corporea) indica il rapporto tra il peso e l’altezza. E’
il dato su cui si pianifica l’intervento e il range normale è tra 18 e 20. I pazienti che entrano in
residenza si collocano, invece, tra i 12 e 14, mentre non vengono accettate persone che hanno un
BMI inferiore a 12, in quanto la struttura non dispone di presidi ospedalieri per pazienti così gravi.
2
3
Specificando i casi in cui si può diagnosticare chiaramente un disturbo del comportamento
alimentare di tipo anoressico, la Dott.ssa spiega come nel DSM siano presenti due criteri: causarsi
il vomito 2 volte al giorno per sei mesi e la presenza dell'amenorrea. Secondo la sua esperienza
clinica, coloro che si causano il vomito anche una sola volta alla settimana o che non presentano
disfunzioni nella regolarità del ciclo mestruale, in teoria non risponderebbero ai criteri per la
diagnosi; ma se paragoniamo il vomito saltuario ad un’"occasionale" tossicodipendenza, possiamo
già intendere questi comportamenti come sintomi. Pertanto, anche in questi casi, appare chiaro la
necessità di intervenire con un tempestivo trattamento.
4
La dott. Dalla Ragione riporta una serie di piccoli casi clinici:
- ci sono dei casi in cui i genitori o i parenti arrivano a trovare delle scatole di cibo vuote nascoste
sotto il letto o negli armadi delle stanze dei figli.
- una persona che arrivava a fare una spesa di cibo per 200 euro e inizia a mangiare non appena
lasciato il supermercato, in macchina, mentre ritorna a casa. Finisce tutto il cibo acquistato in
tempi molto rapidi.
- la dott.ssa sottolinea lo stato dissociativo o di "trance" che sperimentano alcune persone durante
le loro lunghe abbuffate. Ad esempio, viene raccontato il caso di una paziente trovata in pigiama e
sporca, seduta su un gradino vicino a dei secchi dell'immondizia rovesciati, mentre mangiava tutto
quello che trovava. L'operatrice di CT l’ha invitata a salire nella struttura e, allo stesso tempo, ha
7
Vengono classificati all’interno dei DCA NAS anche le AN senza amenorrea e le BN con
vomito saltuario. Si tratta di disturbi non destinati a rimanere stabili, che invadono sempre
di più la sfera psichica della persona. E’ necessario, quindi, intervenire prontamente non
appena si manifestano, cercando di agire entro il primo anno di malattia, per consentire di
eliminare il disturbo attraverso un lavoro finalizzato a ristabilire delle buone condizioni
psico-fisiche.
Questi disturbi possono subire delle modificazioni nel tempo: alcuni, ad esempio,
compaiono come AN e poi diventano BN. Per tale motivo si tende, oggi, a fare solo una
diagnosi di stato: “Il tuo stato di malattia corrisponde a ciò che sei in questo
momento”.
Un gran numero di persone con diagnosi di DCA presenta una comorbilità psichiatrica
(ad esempio con disturbi affettivi, ossessivi, borderline…). E’ quindi molto difficile
riscontrare dei DCA “puri”, come invece accadeva dieci anni fa. Una ricerca condotta dalla
dott.ssa Dalla Ragione e collaboratori rileva, infatti, che la maggior parte dei pazienti si
sottopone a diversi trattamenti prima di arrivare ad uno specialistico.
La cura
Il trattamento dei DCA, data la loro complessità psicologica e biologica, deve essere
necessariamente interdisciplinare, senza sbilanciarsi né in senso organico né in senso
psicologico: deve esserci, infatti, un equilibrio tra i due aspetti. La cura dei DCA richiede
l’intervento di più figure professionali e diversi modelli teorici, in modo da curare sia lo
scompenso organico che quello psichico.
I centri di Todi e di Città della Pieve
La location dei due centri è molto simile: entrambi sono situati in piccoli paesi e collegati
alla città.
Durante la degenza, le ragazze frequentano la scuola di Todi: questa possibilità permette
di non abbandonare le abitudini precedenti, di non rimanere indietro con il programma
scolastico e rappresenta un incentivo ad entrare in residenza; serve, inoltre, a evitare uno
sradicamento dalla realtà e a far sì che la permanenza risulti meno traumatica.
La struttura di Todi può essere definita «un ospedale a forma di casa»: al suo interno
operano diverse figure professionali molto specializzate (28 in tutto, tra medici, psicologi,
notato che la ragazza era in stato confusionale.
- i casi di abbuffate sono vari e molto diversi tra loro: alcune persone arrivano a mangiare durante
tutto l'arco della giornata, altre invece hanno degli episodi saltuari in cui arrivano ad ingerire fino a
3.000 kcal (l’equivalente di otto panettoni).
fisioterapisti, internisti, educatori, infermieri) che rendono il trattamento complesso e
completo.
I pazienti del Centro “Palazzo Francisci”, a differenza di quelli ricoverati in ospedale, non
sono più in situazioni di acuzie, ma in condizioni stabili.
Prof. Neri: << Perché è importante stare in una casa?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Lo spazio della riabilitazione deve avvenire in casa, dove è
possibile
unire
l’esperienza
ospedaliera
con
l’accudimento.
Il
trattamento
residenziale, inoltre, deve evitare il più possibile che le persone si sentano isolate dal
proprio stile di vita, soprattutto perché sono persone molto giovani. L’alternativa sarebbe
quella di essere ricoverati in un ospedale, dove è impossibile mettere in moto un
meccanismo nel quale questo tipo di equipe possa operare e nel quale si possa lavorare
sulle risorse dei ragazzi.>>
Prof. Neri: <<La gente di Todi come vede voi e le ragazze?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<La gente ci ha accolto molto bene. Viene chiamata “la casa
delle bambine che non mangiano”. Noi abbiamo rapporti stretti con la città perché
molte ragazze, oltre che andare a scuola, svolgono laboratori nelle botteghe del paese.
Escono per andare al cinema, a teatro, sia accompagnate che da sole. La città è piccola
e quindi possono muoversi tranquillamente in una sorta di comunità allargata della
struttura, e Todi, essendo una cittadina, si presta bene a questo.>>
Cosa si fa nella residenza
Le attività della residenza sono gestite secondo un planner settimanale5. La giornata è
scandita da 5 pasti, che hanno un tempo prestabilito e sono molto formalizzati e assistiti
da dietisti e psicologi (ogni pasto è preceduto dalla formula benaugurale “Buona terapia!”,
in quanto il cibo è visto come terapia); il tempo libero a disposizione è poco, a parte il
sabato e la domenica, al fine di eludere i pensieri ossessivi riguardo al cibo.
Si tengono diverse riunioni dell’equipe: una settimanale e altre per sottogruppi, con varie
figure professionali. Affinché il trattamento funzioni, è necessaria una forte integrazione e
una continua manutenzione.
Essendo le pazienti persone molto intelligenti, furbe e manipolatorie, la dott.ssa motiva l'utilità di
scrivere tutti gli accordi, i contratti e le regole, come parte del setting, per ridurre il rischio di
fraintendimenti nel rapporto tra le residenti e lo staff.
5
9
Poiché le pazienti tendono a un funzionamento caratterizzato dalla scissione, il
trattamento deve inoltre essere finalizzato a ricomporre le parti scisse.
Prof. Neri: <<La manutenzione dell’èquipe, come la vedi?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Noi facciamo diverse cose, facciamo tre riunioni a
settimana e facciamo supervisione (di solito una volta al mese), che non avviene sui
disturbi alimentari ma sugli aspetti controtransferali e sugli effetti della manipolazione.
Le pazienti sembrano innocue ma, in realtà, sono molto tossiche, scisse, manipolatorie
e rendono difficili i rapporti. Per questo le riunioni sono importanti, necessarie a
rimettere insieme i pezzi del mosaico. Poi abbiamo anche procedure scritte, per evitare
situazioni ambigue e problemi di comunicazione; quindi “tutto ciò che non è scritto non
esiste”, come per esempio, un permesso per uscire.>>
Il trattamento
Il trattamento prevede un lavoro d’équipe multidisciplinare (il cosiddetto team
approach) che comprende medici, internisti, psichiatri, psicologi, dietisti, fisioterapisti,
infermieri, educatori, tecnici della riabilitazione e operatori personalizzati. Ad ogni paziente
sono assegnati dei tutor, ovvero un dietista, uno psicologo ed un educatore, ai quali poter
fare riferimento durante tutta la fase del percorso.
Il percorso dura dalle 12 alle 16 settimane e i pazienti, quando entrano, sono già a
conoscenza della durata della loro permanenza. Si lavora fin da subito sullo svincolo:
all’inizio i pazienti devono entrare nel meccanismo della residenza e solo dopo un periodo
di adattamento e di consolidamento dei risultati possono uscire, andare a casa per il
week-end, fare delle gite senza essere accompagnati, in modo da vedere come si
espongono all’ambiente esterno e come reagiscono ad esso. Prima di essere dimesse, le
ragazze possono alloggiare insieme nella “Casa di Pandora”, un appartamento per 4
persone, in cui si vive in completa autonomia (le pazienti che vi alloggiano seguono le
attività nella residenza ma tornano a dormire nella “Casa di Pandora”). Questo processo
graduale è molto importante per non creare un legame troppo forte tra pazienti e operatori,
che potrebbe rendere l’inevitabile separazione troppo brusca6.
In generale, durante il trattamento si lavora su due elementi: la motivazione e la
dispercezione dell’immagine corporea; quest’ultima è un sintomo, relativo al Sé e non
Le pazienti, durante la loro degenza, riescono a stabilire un profondo rapporto positivo con
l'ambiente della Comunità, al punto che alcune di loro, terminato il periodo di permanenza, tornano
anche dopo anni a condividere la gioia per il cambiamento effettuato e gli eventi importanti che
caratterizzano le loro vite attuali, come i matrimoni, le lauree o la nascita dei figli.
6
agli altri7, che può permanere anche dopo un recupero apparente: infatti, una persona che
ha sofferto precedentemente di AN, mantiene spesso un’alterazione dello schema
corporeo, vedendosi più grassa di quello che è, con un’attenzione verso il proprio corpo
decisamente superiore a quella di altre persone. La “Terapia dello specchio” lavora
proprio sulla dispercezione corporea: si svolge in 7 sedute con lo psicologo, condotte in
una stanza in cui è posto uno specchio a tre ante e a cui le pazienti vengono esposte
progressivamente: inizialmente si specchiano vestite, poi tolgono alcuni abiti e infine si
specchiano in intimo; quando si specchiano devono osservare senza giudizio alcune parti
del corpo. Dato che questa tecnica non è applicabile con tutte, le pazienti sono
accuratamente selezionate: ad esempio non risulta adatta alle bambine piccole e a chi si
trova in fase di scompenso.
Un’altra metodologia di lavoro sull’immagine corporea è quella che riguarda le tecniche
espressive: la danza-terapia, il laboratorio teatrale, il tai-chi, il laboratorio di fotografia, le
attività creative. Si tratta di laboratori centrati sul corpo, piuttosto che sulla parola, in
quanto, negli ultimi tempi, è sempre più evidente come il corpo sia una via di accesso
privilegiata, soprattutto con quei pazienti in cui la parola è bloccata.
La Dott.ssa parla della possibili funzioni che l'effetto gruppo svolge in CT:
- una ragazza che entra per la prima volta in comunità può essere convinta e motivata con
facilità dal fatto che incontra altre residenti che possono portarle la loro esperienza.
- anche il rispecchiamento gioca un ruolo importante, in quanto permette di ricevere dei
feedback sulla propria dispercezione corporea.
Prof. Neri: <<Cosa intendi quando dici “effetto gruppo”?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Si intende che si lavora sui rapporti individuali ma
soprattutto sul e in gruppo. I gruppi sono composti da 8 persone circa, ognuno dei quali
utilizza approcci diversi (psicodinamico o esperienziale) e in cui si lavora sull’immagine
corporea. Si lavora anche sulla motivazione: chi possiede un elevato livello di
motivazione, fa leva su chi ancora non la possiede. Il gruppo è utile anche per la sua
funzione di rispecchiamento: riuscire, cioè, a vedere negli altri quello che non si vede
in sé. Questo tipo di lavoro serve, quindi, per alleviare la dispercezione corporea
utilizzando il supporto reciproco.
7
Le ragazze in comunità, ad esempio, hanno una dispercezione corporea per quanto riguarda loro
stesse ma riescono a vedere chiaramente la gravità della condizione di ragazze appena entrate,
delle quali colgono l'estrema magrezza. Viene sottolineato che ognuna vede se stessa più grassa
di quello che è effettivamente, finendo per vedere l'altra, però, ancor più magra.
11
Le medicine complementari
Nelle residenze l’uso degli psicofarmaci è marginale; si lavora prevalentemente con le
medicine complementari, come agopuntura, auricoloterapia, omotossicologia.
La riabilitazione della famiglia
Si interviene molto sulla famiglia, attraverso dei lavori di gruppo, come quello del sabato
mattina, dove tutti i genitori si riuniscono con un membro dell’équipe per affrontare alcune
domande fondamentali. I genitori incontrano anche un filosofo con il quale riflettono sul
tema della colpa e su grandi domande come: “Perché è capitato proprio a me?”, “Che
cosa ho sbagliato?”. È importante, infatti, che i genitori non siano depressi o impotenti ma
che siano attivi nel trattamento, soprattutto nel caso delle bambine piccole, per le quali
rappresentano un sostegno fondamentale, specialmente quando queste tornano a casa.
Negli ultimi tempi il numero di pazienti maschi8 che soffrono di disturbi del comportamento
alimentare è aumentato in modo significativo: se dieci anni fa erano l’1%, attualmente
sono il 10-20% nella fascia d’età tra i 13 e i 17 anni.
L’obesità infantile è un fattore di rischio che predispone al possibile sviluppo di un DCA
(l’Italia è tra i primi paesi in Europa per quanto riguarda il tasso di bambini obesi; in Puglia,
Basilicata e Campania il 35% dei bambini è in sovrappeso). I bambini obesi sono spesso
spinti dai genitori a iniziare una dieta e ciò può favorire e influenzare significativamente
l’insorgere di un DCA nel bambino stesso.
A tal riguardo, si cerca di intervenire notevolmente nel contesto scolastico: nei ragazzi in
età scolare, infatti, l’ossessione per la magrezza, che costituisce un fattore di rischio, è un
tema sempre più dominante. I fattori culturali non sono eliminabili, ciò su cui si può
lavorare
sono,
invece,
i
fattori
protettivi
come
l’autostima
e
il
senso
critico.
La dott.ssa spiega come negli ultimi anni siano in aumento i casi di anoressia anche nei ragazzi:
l'attenzione verso il proprio corpo è diventata una caratteristica anche dei giovani maschi e ne è un
esempio il fatto che i ragazzi hanno cominciato a depilarsi, a riempirsi di tatuaggi, a frequentare
palestre.
8
Prof. Neri: <<Puoi parlarci della parola “Aitia”? Mi sembra che per molti anni le “colpe”
di molti approcci erano quelle di incolpare troppo i genitori. Anche il modello di
Winnicott, incentrato sulla diade madre-bambino, può tendere a creare una cultura di
forte colpevolizzazione della famiglia e delle madri in particolare. Quest’ultime,
colpevolizzate, diventano quasi “impotenti”; il loro senso di colpa ha soprattutto tre
effetti: si vedono al centro del mondo del figlio o della figlia, sono loro stessi avvolti nella
colpa e non riescono più a distinguere le loro fantasie di colpa che possono essere
completamente diverse da ciò che mettono in atto. Quindi, questa parola colpa-causa
mi spinge sempre a fare un lavoro di distinzione tra le cause e le colpe, ridando
un’autonomia ai figli. Cosa ne pensi?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Sono d’accordo, il tema della colpa riguarda sia i
genitori che i figli. Il senso di colpa dei ragazzi va verso i familiari e verso i terapeuti.
Sono convinti di non essere mai all’altezza e questo stato pervade e invade tutto, anche
il rapporto terapeutico. Lavoriamo, quindi, sul senso di colpa dei genitori che viene
spesso confermato da altri terapeuti. Frequentemente può avere la funzione di
mantenimento del disturbo, anche se non è stata la causa della sua insorgenza. Quindi,
lavorando su questo tema riusciamo a separarli, importantissimo per la guarigione,
visto che la malattia si basa su un tema di svincolo.>>
INTERVENTI
Studente: <<Vorrei condividere con voi un’idea. Mi collego alle ultime cose dette: mi sono
venute due immagini; lei che si reca dal sindaco di Todi per richiedere una struttura, in un
momento dove l’idea era inconcepibile, e l’immagine di una di queste ragazze, magari
cresciuta a Roma, abituata al palazzone con l’ascensore, con il traffico fuori casa e che,
invece, a Todi trova un piccolo paese, facilmente accessibile e nel quale si può spostare
tranquillamente per eseguire compiti esperienziali. Anche a livello politico, mi chiedo
perché ci siano solo 7 centri; immagino sia una questione di costi.>>
Dott.ssa Dalla Ragione: <<I costi ci sono ma il vero problema è culturale. Quando ho
aperto questa struttura ho trovato molti ostacoli. Il mio progetto è stato costruito su
riflessioni scaturite dall’osservazione di altri centri in altre nazioni e sono riuscita ad
individuare i punti deboli da non ripetere in questo centro. Il problema è culturale, perché
per molto tempo si è pensato che la gravità clinica delle pazienti richiedesse altri tipi di
intervento. Il trattamento ospedaliero è sicuramente necessario per ristabilire i parametri
normali della paziente ma, comunque, la durata di permanenza deve essere scandita e
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limitata. Gli ostacoli non sono stati tanto di costo, quanto, appunto, inerenti la complessità
di organizzazione, il coraggio di fare una cosa del genere e la qualità, il cui controllo deve
essere rigido. Molte regioni si stanno attrezzando, perché per il rapporto costi-benefici non
c’è paragone; con un nostro intervento, infatti, si spende in media giornalmente 200 euro a
paziente, mentre un intervento ospedaliero costerebbe il doppio.>>
DOMANDE
Studentessa: <<Ho fatto un’esperienza nel Centro per la mia tesi e uno dei discorsi più
importanti era il tema dell’identità. Possiamo approfondire questo discorso?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Il disturbo alimentare viene visto sempre meno come un
disturbo di genere e sempre più come disturbo dell’identità. Riguarda la formazione dell’Io
e la strutturazione dell’identità. È molto complesso e investe l’Io. Riteniamo che il corpo,
mai come ora, si agganci all’identità; è un teatro in cui si gioca la sicurezza e la
costruzione del sé, dato che l’uso che viene fatto dell’immagine corporea in questa società
è centrale. Anche gli adolescenti che non hanno un particolare disagio, mostrano
comunque una particolare attenzione a quest’aspetto, sia il mondo maschile che quello
femminile: infatti, anche gli uomini danno molta importanza al corpo, perseguono modelli
di bellezza recandosi nei centri estetici e quant’altro e definiscono così la propria identità.
A livello geografico non vi sono differenze di diffusione. In questo momento il corpo è al
centro di moltissima attenzione, anche se vi chiedo di non pensare che sia il modello
culturale a causare questo tipo di disagio. La cultura spiega solo perché questa
patologia sia così diffusa ma non può essere considerata come unica causa.>>
Studentessa: <<Come vivono la sessualità questi pazienti?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Nella sfera anoressica la sessualità è coartata dal disturbo e
dal sintomo; non a caso nel disturbo vi sono conseguenze come l’amenorrea e altre
implicazioni psico-ormonali molto forti che inibiscono la sessualità. Nel disturbo bulimico,
viceversa, si può avere una sessualità compulsiva che si manifesta in una serie di
comportamenti.
L’attenzione che questi pazienti hanno verso il loro corpo non è finalizzata al richiamo
sessuale per un altro da sé ma è un aspetto narcisistico, che prescinde completamente
dalla sensualità nei confronti di qualcun altro. Per quanto riguarda l’anoressia, anche per i
maschi è la stessa cosa: non vi è ovviamente l’amenorrea ma un abbassamento drastico
della libido e degli stimoli sessuali. Nel caso dei disturbi di alimentazione incontrollata,
invece, può esserci una vita sessuale, per quanto il corpo lo permetta, visto che si tratta di
persone obese o che aumentano enormemente il loro peso. Il rapporto maschi-femmine in
questo disturbo è praticamente pari.>>
Studentessa: <<Abbiamo parlato molto di famiglie e l’importanza dei genitori ma ci sono
anche degli incontri dedicati esclusivamente ai singoli nuclei familiari?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Normalmente vi è un gruppo dei genitori tutti i sabato
mattina; è un gruppo guidato in cui noi rispondiamo alle loro domande; poi i genitori
vengono visti singolarmente, come famiglia, come singoli o come partner. Tutto il lavoro
viene svolto dopo un paio di settimane dall’ingresso delle ragazze nel centro, iniziando ad
incontrare le famiglie, quando non siano problematiche. Quando invece lo sono
(separazioni conflittuali, genitori non affidabili ecc.) allora è necessario lavorare molto di
più. Devo dire che le famiglie di solito sono molto disponibili. La famiglia, come detto in
precedenza, è stata spesso individuata come causa ma, in realtà, è più importante ciò che
fa dopo; se la famiglia riesce ad attivarsi e affrontare la patologia, invece di separarsi e
scardinarsi, può essere di grande sostegno, in vista anche del rientro a casa.>>
Studentessa: <<Come viene gestito l’aspetto del controllo rispetto all’alimentazione?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<La cosa più importante è che ci sia una cornice di regole più
che un modo di controllare. Loro firmano un contratto simbolico: prima di entrare in
residenza vedono tutto, non gli nascondiamo nulla in questa fase preparatoria. Gli
mostriamo anche cosa mangeranno, cosa faranno. Loro quindi aspettano un mese o poco
più e se ne fanno una ragione. Ovviamente hanno delle regole rispetto ai pasti, che sono
regolati nel tempo e in altri aspetti; si lavora anche sulle loro difficoltà, in quanto alcune di
esse non riescono a mangiare nel tempo prestabilito ma l’operatore le aspetta e le
sostiene. Una volta tenevamo i bagni chiusi per evitare che le pazienti vomitassero ma ora
ci siamo accorte che non cambia un granché, anche perché possono farlo anche in altri
posti. Di tempo libero ne hanno poco e forse è meglio così. Si crea una cornice stabile che
le colloca in un progetto e le fa sentire protette. Sulla stabilità ci si lavora sin da quando
sono piccole: si mostra una strada da prendere per uscire, stabile, che porti alla
responsabilità. Devo dire che il paziente pre-adolescente/adolescente si adatta molto a
questo clima da “college”. I pazienti imparano anche ad avere un po’ di autonomia, a
partire dal doversi rifare il letto in modo autonomo. E’ più difficile adattarsi per le pazienti
più grandi, accettare le regole, avere meno intimità. Per esempio, le uscite sono
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organizzate e le ragazze non possono uscire a loro piacimento. I permessi sono scritti e
quindi prestabiliti. Però le regole vengono spiegate fin dall’inizio, dopodiché è la persona a
decidere se vuole restare e rispettare queste regole.>>
Studente: <<Mi chiedevo come si può arrivare a costruire un progetto integrato che
racchiuda elementi di lavoro psicodinamici, comportamentali, di gruppo, con la famiglia
ecc. Inoltre, questo tipo di modello a cui siete arrivati è arrivato spontaneamente o vi siete
ispirati ad altri paesi? E questo tipo di approccio può essere anche pensato per altre
patologie?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<L’ispirazione è legata al fatto di istituire spazi di cura non
ospedalizzanti. Dopo la legge Basaglia, tutta l’esperienza successiva è stata utile. Lidea
della “casa” è stato ispirato da altre esperienze. Le strutture che avevo visto, però, erano
troppo ospedalizzanti e l’impianto generale non era quello a cui pensavo io.
Ciò che è davvero imoortante è l’ambiente, l’attenzione che il paziente riceve e la
sensazione di aver scelto in prima persona questo percorso. Molte delle cose che ho
fatto sono partite da un’ispirazione. Non sono da sola, siamo un gruppo di professionisti in
cui ognuno ha dato il suo contributo e sono colleghi veramente bravi; sono presenti anche
colleghi più giovani, che lavorano con noi e che portano sviluppi innovativi.
Questo è anche un settore dove bisogna formarsi continuamente per stare al passo con le
novità; molte cose che venivano fatte in passato ormai non le facciamo più, è un continuo
modificarsi. Ciò che non è stato mai modificato è l’avere un approccio a 360°: in questo
modo, se non si riesce da una parte ci si riesce dall'altra.>>
Studente: <<Nel 2008, il Ministero ha considerato la vostra esperienza come un prototipo
pilota per altri centri che andrebbero aperti. Quali difficoltà avete incontrato per arrivare a
questo punto?>>
Dott.ssa Della Ragione: <<Si, nel 2008/2010 abbiamo creato una mappa a livello
nazionale di tutti i centri, con lo scopo di replicare il nostro modello di Todi. Non credevo si
potesse replicare a causa della collocazione specifica che abbiamo trovato noi ma in
realtà è stato possibile; in Basilicata ci hanno chiamato per fare la stessa cosa: anche se
sotto alcuni aspetti è diverso, il modello è identico e funziona perfettamente. Poi è
presente un centro a Varese (anche questo molto buono) e ne sta aprendo uno in Valle
d’Aosta. Una caratteristica del centro di Todi, ad esempio, è il fatto che siamo dentro la
città, quindi non isolati.>>
Punti chiave:
Setting residenziale nel trattamento dell’Anoressia-Bulimia.
“Palazzo Francisci”: struttura residenziale, quindi non ospedaliera, in cui pazienti, che
hanno più di 10 anni e con disturbi alimentari, soggiornano dai 3 ai 5 mesi.
Punti di forza e innovativi:
-
Équipe di professionisti altamente specializzati in vari ambiti;
-
Ambiente accogliente, clima collegiale e familiare (ad esempio, gli operatori non
indossano il camice);
-
Regole condivise (eliminazione degli specchi, delle bilance, il rispetto degli orari,
stanze in ordine ecc);
-
Il centro si trova all’interno di una cittadina, quindi non è isolato e i pazienti
possono usufruire tranquillamente dei servizi offerti dal posto.
Fattori che favoriscono la prognosi:
-
Tempestività dell’intervento;
-
Continuità delle cure;
-
Potersi muovere tra i livelli di intervento, evitando il drop-out;
-
Intervento integrato.
Livelli della cura:
-
Ambulatoriale (riguarda il 60% dei pazienti);
-
Struttura Semi-residenziale, Day Hospital;
-
Struttura Residenziale Riabilitativa;
-
Ospedaliero, “Salva-Vita” in casi di crisi acuta;
-
Comunità.
In Italia ci sono 7 strutture residenziali e 166 strutture ambulatoriali e ospedaliere.
Obiettivo del trattamento: ridurre l’ossessione per le forme corporee e per il controllo
del peso.
Il disturbo del comportamento alimentare è considerato cronico quando supera i 5 anni di
persistenza.
All’interno di questa categoria, oltre all’anoressia e alla bulimia, troviamo il Binge Eating
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Disorder che, ad oggi, risulta essere il più frequente. Questo disturbo è caratterizzato da
abbufate, considerate delle compulsioni, che avvengono in uno stato di perdita di controllo
o alterazione confusionale e possono essere localizzate (vi è un’ingestione di cibo in
quantità eccessive e in tempi ristretti) oppure da alimentazione continua -granging- (molti
piccoli pasti a distanza ravvicinata, un continuo “spizzicare”). Entrambi i casi sono
accompagnati da grande senso di vergogna e disagio successivo al comportamento.
La giornata all’interno del centro è altamente strutturata; troviamo infatti:
-
Sveglia e sistemazione della camera;
-
Cinque pasti programmati, assistiti e che svolgono una funzione terapeutica;
-
Attività di vario genere: laboratorio di scrittura (ad esempio scrivendo lettere alla
malattia per poter vedere il sintomo dall’esterno), danza come terapia;
-
Incontri con i genitori;
-
Riunioni di gruppo di discussione e confronto.
Viene lasciato poco tempo libero, per evitare lo stabilizzarsi delle ossessioni.
Con un adeguato supporto psicologico, può essere utilizzata la tecnica della terapia dello
specchio, che consiste in una graduale esposizione alla visione del proprio corpo allo
specchio; lo scopo di tale tecnca è quello di diminuire gradualmente la dispercezione
corporea del paziente.
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