“I Disturbi del Comportamento Alimentare dall’età adolescenziale all’età adulta: buone pratiche di cura e prevenzione” IL CONTESTO Negli ultimi decenni i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) e la complessa fenomenologia con cui si esprimono, sono diventati una patologia molto diffusa nella società occidentale. I Disturbi del Comportamento Alimentare rappresentano infatti una modalità, nuova e moderna, di esprimere un disagio psichico attraverso il corpo; sono malattie gravi che, se non adeguatamente diagnosticate e curate, possono avere conseguenze estreme; la mortalità per la sola Anoressia nervosa è pari allo 0,56% per anno: 13 volte maggiore rispetto a una popolazione di controllo. In Italia circa 3 milioni di giovani soffrono di disturbi del comportamento alimentare. per ogni 100 ragazze in età adolescenziale, si stima che 10 soffrano di qualche disturbo collegato all’alimentazione, 1-2 delle forme più gravi come l’Anoressia e la Bulimia, le altre in manifestazioni cliniche transitorie e incomplete. I DCA colpiscono prevalentemente il sesso femminile e insorgono nella maggioranza dei casi in età giovanile (adolescenza e giovani adulti) anche se sia l’infanzia che l’età adulta ne sono interessate. La fascia di insorgenza si sta sempre più allargando. Da un lato scende in modo preoccupante fino a comprendere l’età pediatrica e dall’altro arriva a interessa anche donne con età superiore a 30 anni A Piacenza sono in cura presso l’Unità semplice di Nutrizione Clinica circa 200 giovani ; nel corso del 2015 sono stati visitati 116 nuovi pazienti. La popolazione è costituita prevalentemente da giovani donne, ma stanno aumentando anche i casi di età superiore. L’UO di Pediatria segue i bambini e le ragazze più giovani. All’interno dei DCA le patologie più trattate non sono solo anoressia e bulimia ma anche Binge Eating Disorders, disturbo evitante restrittivo dell’assunzione di cibo, disturbo della ruminazione, PICA e altri disturbi specifici dell’alimentazione(Night Eating Syndrome ecc) . L’origine e il decorso dei DCA è condizionato da una pluralità di variabili eziologiche, nessun delle quali, da sola, è in grado di scatenare la malattia o influenzarne la prognosi e l’esito: entrano in gioco fattori biologici, psicologici ed evolutivi. I modelli estetici femminili contemporanei, che esaltano la magrezza hanno un ruolo sia come fattori di rischio generali (contesto socio–culturale), sia come fattori di rischio specifici (precipitanti e/o perpetuanti) dei DCA attraverso l’influenza negativa sull’autostima e la conseguente induzione di regimi dietetici esasperati Il culto della magrezza ma non sono la Causa dei DCA ;l’azione che esercitano è soprattutto quella di suggerire la forma attraverso il quale un malessere grave e profondo, si esprime e, insieme, cerca un lenimento. Solo così possiamo comprendere il fatto che moltissime ragazze sono scontente del loro corpo e del loro peso e magari intraprendono diete non necessarie, ma solo poche – per fortuna – si ammalano di anoressia. PROGETTO BUONE PRATICHE DI CURA A causa della complessità di questi disturbi, numerose evidenze scientifiche raccomandano un approccio multidimensionale /multidisciplinare. La nostra attività si esplica nella maggioranza dei casi a livello ambulatoriale : Il regime ambulatoriale rappresenta l’approccio di base. Nel 60% dei casi è il trattamento in grado di portare il paziente a guarigione. A questo si affianca, in casi selezionati, Il Pasto Assistito che consiste nella gestione del momento del pasto in un setting protetto; rappresenta un'importante modalità terapeutica che supporta le pazienti nel loro momento più critico. Quando il livello di gravità aumenta si ricorre al ricovero ospedaliero: tale livello, chiamato anche “presidio salvavita”, viene utilizzato quando c’è una seria compromissione delle condizioni organiche e psichiche; in questa fase l’obbiettivo prioritario è correggere le alterazioni elettrolitiche, nutrizionali e metaboliche. Altro luogo di cura che utilizziamo è il Day Hospital: garantisce le attività cliniche in fase di transizione tra ricovero / ambulatorio / domicilio in pazienti, non più a rischio biologico grave, ma con complicanze organiche da monitorare In particolare il pasto assistito consiste in una riabilitazione psiconutrizionale che unisce strategie di rialimentazione progressiva e individualizzata con interventi psicoterapeutici e psicosociali. È importante che l’intervento, sia iniziato quanto prima. Purtroppo la malnutrizione, sia essa per difetto o per eccesso, presenta un “punto di non ritorno” oltre il quale il recupero clinicofunzionale e soprattutto la restitutio ad integrum diventano problematici a prescindere dall’intensità dell’intervento. Il pasto assistito rientra in un programma di riabilitazione psiconutrizionale che prevede che il paziente sia assistito durante i pasti da un operatore (in genere lo psicologo o il dietista) per superare gli ostacoli che gli impediscono un’assunzione integrata di nutrienti. I più frequenti ostacoli sono il non mangiare abbastanza (per recuperare peso), il non mangiare abbastanza spesso e il non mangiare una gamma adeguata di alimenti. A tal fine va costruito, possibilmente con il coinvolgimento attivo del paziente, un piano alimentare che affronti le sue specifiche difficoltà. L’operatore che assiste i pasti deve applicare specifiche procedure per aiutare i pazienti a mangiare. Queste includono l’educazione, il supporto, la distrazione e il decentramento dalle preoccupazioni associate al disturbo dell’alimentazione. Il paziente è incoraggiato a non farsi condizionare dalle emozioni, dalle preoccupazioni e dalle sensazioni fisiche (es. sensazione precoce di pienezza) associate all’assunzione del pasto. In alcuni pazienti vanno anche affrontati alcuni rituali alimentari (es. mangiare molto lentamente, tagliare il cibo in piccoli pezzi), spesso secondari al sottopeso, ma che possono essere utilizzati per limitare l’assunzione di cibo. L’assistenza non deve diventare di tipo “poliziesco” e delatorio, ma essere finalizzata al dialogo e a creare un riferimento fiduciario per il paziente. Gli operatori coinvolti non devono assumere un ruolo autoritario, dare consigli da esperto, ordinare, dirigere, spaventare, criticare, giudicare o prescrivere soluzioni preconfezionate. Devono invece mostrare un vero interesse e rispetto per il paziente e per le sue scelte, comprendere e aggirare le resistenze, mostrarsi incuriositi dai pensieri del paziente per farlo incuriosire, comprendere le difficoltà e la paura del cambiamento. L’obiettivo del progetto è quello di inserire una risorsa che si occupi di riabilitazione nutrizionale e del pasto assistito supportando il Team Ospedaliero. La figura professionale giusta potrebbe sicuramente essere una Biologa Nutrizionista già esperta in DCA. I risultati saranno valutati al termine del primo anno di lavoro tramite questionari ad hoc forniti alle pazienti per valutare il gradimento del lavoro valutazione clinica del percorso di guarigione. Come sostenere il progetto. Attraverso una donazione liberale finalizzata al finanziamento delle figura professionale dedicata. Il lavoro avrà inizialmente la durata di un anno e potrà essere prolungato. Si ritiene che la borsa di studio possa consistere in 10. 000 Euro. Responsabile del progetto: dr.ssa Mara Negrati Responsabile Unità Operativa Semplice Nutrizione Clinica Ospedale di Piacenza