L’Italia nel XVII secolo L’ITALIA”SPAGNOLA” La lunga eredità dell’influenza spagnola- Il predominio spagnolo sull’Italia, sancito dalla pace di Cateaucambrèsis del 1559, si protrasse fino al 1713-1714 quando, con i trattati di Utrecht e Rastadt, alla Spagna subentrò l’Austria come potenza egemone nella nostra penisola. La dominazione spagnola accentuò la decadenza della penisola italiana, già iniziata agli inizi del Cinquecento, e lasciò un’eredità storica profonda, i cui influssi negativi si protrassero in maniera duratura nella vita politica e sociale del paese. All’influenza spagnola è in primo luogo da attribuire l’estrema rigidità della stratificazione sociale dell’Italia del Seicento che ostacolò nei secoli successivi l’emergere di una borghesia nazionale moderna. Tra i ceti superiori si diffuse infatti una mentalità aristocratica, che disprezzava le attività imprenditoriali e privilegiava l’investimento fondiario (cioè l’acquisto della terra), come strumento di prestigio sociale; partecipe di questa tendenza era anche la Chiesa, che possedeva grandi latifondi, la cosiddetta “manomorta”, in genere scarsamente produttivi ed esenti da imposizioni fiscali. A causa della scarsità dei capitali disponibili all’imprenditoria l’Italia non poté superare la crisi iniziata nel Cinquecento con lo spostamento dei traffici dal Mediterraneo all’Atlantico e ai mari freddi del nord; risultava inoltre impossibile, alle manifatture pregio italiane (lane seta armi), competere sul mercato con le merci dell’Europa settentrionale, dove le produzioni erano libere dai vincoli delle corporazioni cittadine, ancora molto forti in Italia. Inoltre la pesante fiscalità imposta dalla Spagna per sostenere i fasti barocchi delle corti e le ingenti spese belli, che, contribuì a drenare dal mercato imprenditoriale i già scarsi capitali disponibili. Gli Stati spagnoli-Lo stato italiano più ricco e prosperoso soggetto alla Spagna, il ducato di Milano, fu nel corso economico, a causa soprattutto della politica fiscale “di rapina”, condotta dai dominatori. Il risultato fu l’estrema riduzione della borghesia urbana e delle piccola proprietà contadina, a vantaggio dell’aristocrazia terriera e prepotente. Anche in Sardegna l’esasperato carico parassitaria fiscale aggravò la stagnazione della già povera economica pastorale dell’isola, determinandone per secoli la quasi totale emarginazione dalla evita economica e politica del resto d’Italia. Il regno di Napoli e il regno di Sicilia furono oggetto nel corso del Seicento di un processi di rifeudalizzazione: i viceré spagnoli estendevano i feudi dei baroni con “donativi” di terre demaniali e consuetudinariamente destinate all’aristocrazia fondiaria per ottenere l’appoggio, specie in materia fiscale. Di conseguenza le tasse finivano per essere pagate soprattutto dalla classe contadina e dalle misere plebi urbane. Questa situazione portò, nel Maggio 1647, all’insurrezione di Palermo, guidata dall’artigiano Giuseppe Alesi. A seguito dell’insurrezione, le corporazioni artigiane cittadine per qualche tempo posero sotto controllo l’afflusso dei generi alimentari nella città, fissarono dei prezzi calmierati, abolendo inoltre l’odiosa tassa sul pane. Lo stesso Alesi comunque, accusato di aspirare alle tirannide, fu ucciso nel corso della rivolta, la quale fu presto sanguinosamente repressa dalle truppe spagnole dalla nobiltà dell’isola. Sempre nel 1647, un anno cruciale per il disagio sociale dei sudditi italiani della Spagna, che pagavano le difficoltà militari della potenza nella Guerra dei Trent’anni, ebbe inizio l’insurrezione di Napoli. La rivolta detta dei lazzaroni, esplosa nel Luglio sotto la giuda del popolano Tommaso Aniello detto Masianello (1620-1647), sostenuta anche dal ceto detto “civile” dei burocrati, si estese presto nelle campagne. In Ottobre, sotto la guida dell’armaiolo Gennaro Annese venne proclamata una repubblica, che si mise sotto la protezione della Francia, la quale non fornì tuttavia alcun aiuto concreto. Nell’Aprile del 1648 la flotta spagnola e le milizie baronali ebbero dunque facilmente la meglio sugli insorti. Nel 1674 fu la volta dei cittadini di Messina, che reagirono ad una nuova imposizione fiscale sulla seta, principale ricchezza manifatturiera della città, proclamando la repubblica con il sostegno della flotta francese. Messina divenne quindi teatro collaterale del confitto tra Francia e Spagna che si combatteva nei Paesi Bassi, e le truppe francesi occuparono per qualche anno la città, per poi ritirarsi dopo la pace di Nimega (a cui la Spagna aderì nel 1679), e consentire la feroce ritorsione degli spagnoli contro i messinesi. LO STATO PONTIFICIO Per tutto il XVII secolo lo Stato pontificio rimase assai legato, per ideali e per strategia politica, alla Spagna. Forte dell’appoggio spagnolo il papato cercò infatti di rafforzare il suo controllo spirituale sull’intera popolazione italiana, secondo lo spirito della Controriforma. Ostacoli maggiori incontrò però la Santa Sede a far valere la propria autorità temporale nei riguardi di uno Stato, come la repubblica di Venezia, libero dalle pressioni della Spagna e geloso della propria autonomia. Tra papato e Venezia si ebbe nel 1606-1607 la cosiddetta crisi dell’interdetto, determinata dalla decisione veneziana di porre sotto il controllo dello Stato la costruzione degli edifici ecclesiastici; Paolo V (Camillo Borghese; 1605-1621) reagì a questa presa di posizione colpendo la repubblica con la pena spirituale dell’interdetto, vietando cioè l’esercizio del culto ai sacerdoti entro i confini dello Stato ribelle. Venezia rispose cacciando i gesuiti, che avevano obbedito al pontefice. Gli altri ministri del culto della città non applicarono la decisione papale, anche grazie all’influenza esercitata dal frate servita veneziano Paolo Sarpi (1552-1623). La contesa venne comunque presto risolta grazie alla mediazione francese. Tra i successori seicenteschi di Paolo V, tutti provenienti dalle più facoltose e potenti famiglie aristocratiche italiane, che istituì la Congregazione di Propaganda fide per le missioni cattoliche nel mondo; Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1623-1644), artefice di molti e grandiosi lavori urbanistici a Roma. Durante il suo pontificato venne annesso allo Stato pontificio il ducato di Urbino (1631), Urbano VIII inoltre cercò di impadronirsi del ducato di Castro, un feudo appartenente ai Farnese di Parma, dando inizio alla cosiddetta guerra di Castro (1641-1644, 1649) tra gli Stati del centro Italia, che si concluse con il passaggio del piccolo ducato alla Santa Sede sotto il pontificato di Innocenzo X (Giovan Battista Pamphili,1644-1655). Innocenzo XI Benedetto Ode scalchi, 1676-1689) fu protagonista di uno scontro con Luigi XIV sulla questione della régale, cioè la potestà del re sulle sedi vescovili vacanti. Innocenzo XII (Antonio Pignatelli; 1691-1700) avviò importanti riforme nell’amministrazione dello Stato e della giustizia, abolendo la venalità delle cariche, e migliorò i servizi di assistenza in favore delle plebi urbane e rurali. I PRINCIPALI STATI INDIPENDENTI Il ducato di Savoia- Nel corso del XVII secolo il duca Carlo Emanuele I (15801630), e i suoi successori rafforzarono il carattere assolutista del piccolo Stato, si impiegano nella costituzione di un forte esercito permanente e intrapresero una ambiziosa politica estera permanente e intrapreso un ambiziosa politica estera espansionista. Posto sul delicato confine tra i possedimenti degli Asburgo di Spagna e Franca, lo Stato sabaudo cercò di trarre profitto dalla rivalità tra le grandi potenze, che dominava le relazioni internazionali del Seicento, accettando la sua vocazione all’espansionismo verso la penisola italiana, secondo una linea di intervento rafforzatasi nei secoli successivi, fino alla realizzazione dell’Unità d’Italia sotto la corona di Savoia, nell’Ottocento. Nel 1601, al termine di una lunga contesa iniziata nel 1588, Carlo Emanuele I ottenne dalla Francia, il marchesato di Saluzzo che, in virtù del trattato di Lione, venne scambiato con ben più ampi possedimenti savoiardi posti al di là delle Alpi. Il disimpegno dai possedimenti d’oltralpe continuò nel 1603 con il riconoscimento dell’indipendenza della calvinista Ginevra, sottrattasi ormai da tempo alla sovranità savoiarda. Negli anni successivi le mire del duca di Savoia si volsero soprattutto verso il Monferrato, un piccolo ducato di notevole importanza strategica, dipendente dal 1536 dai Gonzaga di Mantova; vennero così combattute due sanguinose guerre di successione per il Monferrato nel 1612-1617 e nel 1627-1631. Nel 1612 infatti, dopo la morte del signore del Monferrato, Francesco IV Gonzaga (Febbraio-Dicembre 1612), genero di Carlo Emanuele I, le truppe savoiarde invasero il ducato reclamandone la sovranità, ma il tentativo falli per l’intervento militare spagnolo. La questione della successione si riaprì quindi nel 1627, quando la morte del duca di Mantova e Monferrato Vincenzo II Gonzaga (1626-1627), che non lasciò eredi diretti, spinse la Francia a sostenere la candidatura dei Gonzaga-Nevers, ramo francese della famiglia. Timorosa della penetrazione francese in Italia, la Spagna sostenne allora un candidato alternativo, dalla cui parte si schierò anche il duca di Savoia, che ne approfittò per invadere il Monte ferrato. La guerra che ne seguì, che concise tra l’altro con una virulenta epidemia di peste, devastò gran parte della pianura padana e culminò con il sacco di Mantova (1630), compiuto dalle truppe spagnole e imperiali; dal canto suo la Francia invase il Piemonte e volse a suo favore il confitto, che inseriva nella più generale contesa europea della Guerra dei Trent’anni. Il tratto di Ratisbona (1630) tra Francia e Spagna sancì la successione dei GonzagaNevers nel Mantovano e nel Monte ferrato, mentre con l’umiliante trattato di Cherasco (1631), il duca di Savoia Vittorio Amedeo I (1630-1637) dovette credere alla Francia le città Pinerolo e Casale e porsi sotto l’influenza della grande potenza transalpina. Iniziò dunque per il ducato di Savoia usa fase di stretta soggezione alla Francia, che si accompagnò ad una profonda crisi economica e sociale. Una lunga contesa tra fazioni aristocratiche, contraddistinse inoltre il regno del debole Carlo Emanuele II (1638-1675). Tale decadenza fu però interrotta dalla politica decisa di Vittorio Amedeo II (16751730), che, ripreso in mano il controllo assolutistico dello Stato, seppe affrancare il Piemonte dalla Francia e farne un autonomo soggetto politico sullo scacchiere europeo. Il Granducato di Toscana- Nel corso del Seicento la Toscana medicea fu protagonista di una rapida decadenza: eccezione fu il notevole fervore economico e civile del porto franco di Livorno, voluto e realizzato da Ferdinando I de’ Medici (1587-1609). Nel contesto della generale crisi della finanza e della produzione manifatturiera, l’aristocrazia granducale abbandonò gli investimenti produttivi ed accentuò il suo interesse per la terra assumendo i caratteri di patriziato agrario. I centri più significativi della vita culturale del Granducato, come l’Università di Pisa e la fiorentina Accademia del Cimento (1657-1666), non persero tuttavia, la loro importanza e la loro vitalità. La repubblica di Venezia- Durante il periodo del predominio spagnolo in Italia, Venezia seppe conservate la sua piena indipendenza, e con esterna tenacia difese la propria autonomia anche nei riguardi dell’invadenza della Chiesa della Controriforma, come dimostra l’episodio della crisi dell’interdetto (1606-1607), a cui si è già fatto cenno. La potenza commerciale marinara della repubblica si andò via via riducendo nel corso del XVII secolo, quando nell’Adriatico si affermò nuovi agguerriti concorrenti: il porto di Ancona (Stato pontifico) e la repubblica di Ragusa. Ostacoli alle attività commerciali di Venezia venivano poi dalla scorrerie degli uscocchi, i prati slavi che praticavano la guerra di corsa per conto dell’impero asburgico; per i contrastarne le scorrerie degli uscocchi la repubblica condusse nel 1615-1617 una guerra contro l’Australia, e con la pace di Madrid (1617) ottenne la cessazione degli atti di prateria. La complessiva riduzione del ruolo trainante del commercio massimo venne comunque in parte compensata, nel corso del secolo, con l’importante sviluppo della produzione artigianale. Diversamente che in economia, la repubblica non fu in grado di modernizzare la sua struttura politica, ancora strettamente dominata dall’aristocrazia della capitale, unica detentrice delle cariche di potere, nei riguardi della quale cresceva l’ostilità delle aristocrazie dell’entroterra (la Terraferma), che erano escluse dal potere ed alimentavano tendenze centrifughe pericolose per la sopravvivenza dello Stato. Tra il 1645 e il 1649 Venezia sostenne una lunga e costosa guerra contro gli ottomani per la difesa dell’isola di Candida (Creta), che alla fine passò ai turchi; nel 1685-1687 i veneziani si insediarono però nel Peloponneso (o penisola di Morea), il cui possesso fu poi confermato (insieme a quello di parte della Dalmazia) dal trattato di Carlowitz (Gennaio 1699), che pose fine ad un lungo periodo di guerre tra ottomani e impreso asburgico regolando i nuovi confini delle due potenze nell’Europa orientale e sull’Adriatico.