TEOLOGIA FONDAMENTALE Prof. Ceragioli Asse portante di questo ambito della teologia è la Rivelazione di Dio ed il suo compimento: Nella storia ed in particolare di Israele e nella vicenda di Gesù Cristo Nella soggettività del credente che l’accoglie con atto libero e responsabile (la fede) Nella Chiesa che, destinataria della rivelazione, la media trasmettendola attraverso molteplici soggetti e modalità espressive: Tradizione, Magistero e Scrittura. I NODO – La rivelazione e la sua autorità. L’elaborazione del concetto in epoca moderna e in situazione conflittuale. Modelli e paradigmi di rivelazione, con particolare riferimento agli esiti conciliari del Vaticano I e II. Fenomenologia ed ermeneutica della rivelazione. Cosa è la Rivelazione? È essenzialmente Dio che rivela sé stesso, la sua auto-comunicazione, la sua auto-manifestazione. Quando è nato il concetto di Rivelazione? Con la nascita dell’apologetica (e più precisamente tra fine ‘500 ed inizio ‘600) ed il suo sviluppo entrambi segnati da un contesto conflittuale contro: riforma protestante; deismo (religione naturale), tirato fuori per porre fine alle guerre confessionali; illuminismo. Questi tre fenomeni socialiintellettuali negavano infatti rispettivamente: il fatto che solo i cattolici fossero i veri cristiani; la Rivelazione; il dover essere in relazione con Dio e addirittura in alcuni casi la sua esistenza. Il modo di procedere dell’apologetica andò quindi lentamente formandosi e si formò nelle classiche tre demonstratio: religiosa, christiana, cattolica. Il modo di procedere opera una separazione netta tra fatto e contenuto e se il primo si dimostra con la ragione, il secondo si crede con la fede. Esempio: si dimostra che Gesù Cristo è il testimone autorevole di Dio grazie alle prove delle sue profezie e dei suoi miracoli, dimostrato ciò, tutto ciò che Lui dice lo dobbiamo credere. Fede e ragione quindi si tengono sì insieme, ma in un modo un po’ complesso e con molti limiti: - l’intellettualismo; - la non attenzione alla globalità del soggetto credente, ma solo alla sua razionalità; - il dualismo gnoseologico, perché ragione e fede sono due “scompartimenti separati”; - la dimenticanza dell’aspetto storico della Rivelazione; - il dualismo ontologico, perché ci sono due ordini, uno naturale ed uno soprannaturale, ed il secondo è semplicemente giustapposto al primo, i due sono in comunicanti. È normale quindi che gli esiti del teologale con questo schema potessero essere lo scadere o nel razionalismo o nel fideismo (è in questo contesto che si svolge il Concilio Vaticano I), perché questo modo di procedere nascendo in ambito conflittuale alla fin fine è di tipo illuministico per cui la ragione è il criterio unico di accesso alla verità e ragione e fede sono esteriori l’una all’altra. Si capisce quindi che è questo presupposto gnoseologico da minare e ciò avverrà grazie al lavoro di molti pensatori di fine ‘800 inizio ‘900 che formeranno il terreno per il Concilio Vaticano II: Blondel, il cui modo di procedere è detto apologetica dell’immanenza perché tenta di dimostrare come ogni aspirazione e azione umana tende alla trascendenza, ma se prova a realizzarsi da sola provoca solo disastri, mentre se si apre all’azione di Dio, che avviene sempre in modo totalmente inaspettato, essa è pienamente realizzata. Rousselot (“Gli occhi della fede”) parla invece di conoscenza per con naturalità, per circolarità tra fede e amore che rivelano (dall’interno) cose altrimenti non credibili. Gli studi biblico-patristici mostrano come l’adesione di fede sia poi un’adesione di amore. Il documento del Concilio Vaticano II che più ampiamente tratterà della Rivelazione fu la Dei Verbum la cui idea di fondo è espressa nel punto 2 che parla di “Natura e oggetto della Rivelazione”: « Piacque a Dio nella sua bontà e sapienza rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (cfr. Ef 1,9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto carne, hanno accesso al Padre nello Spirito Santo e sono resi partecipi della divina natura (cfr. Ef 2,18; 2 Pt 1,4). Con questa Rivelazione infatti Dio invisibile (cfr. Col 1,15; 1 Tm 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad amici (cfr. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cfr. Bar 3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione con sé. Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme i1 mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione. » Perciò: Dio rivela sé stesso per creare comunione con loro. Si sottolinea fortemente l’aspetto storico e rivelativi delle parole e dei gesti di Gesù che sono entrambe rivelativi ed intimamente connessi. Forte concezione cristologica, trinitaria ed escatologica. Il Concilio Vaticano II con la Dei Verbum non nega quindi i dettami del Concilio Vaticano I, contenuti principalmente nella Dei Filius, ma li inserisce in un contesto più ampio. Certo la sottolineatura di nuovi aspetti (storici, relazionali, esperienziali ecc.) pone nuovi problemi: Come può infatti l’Infinito, il Trascendente rivelarsi senza cessare di essere tale o senza distruggere il finito, la realtà creata? Come una realtà che trascende qualsiasi esperienza umana può diventare una realtà umana ed essere riconosciuta da tutti come tale? Come conciliare verità e storia? Come può essere una verità contingente anche universale? (Domanda che pose già Lessing nel 1713) La risposta a queste domande è Gesù Cristo stesso, perché è in esso che Dio, salvaguardando la sua trascendenza, si rivela in una realtà finita senza distruggerla entrando così in relazione con l’umanità. Gesù Cristo tiene così insieme trascendenza ed immanenza, senza confusione e senza separazione e senza che la prima si perda nella seconda o la schiacci: Egli è quindi “Mediatore e pienezza di tutta la rivelazione”, la mediazione simbolica, iconica e sacramentale di Dio. Guardiamo quindi all’evento Gesù: Esso è preparato nell’Antico Testamento: il popolo di Israele fa esperienza di un Dio che lo libera dall’Egitto Israele capisce che questo Dio è anche quello che ha creato l’uomo, ogni uomo Perciò se Dio ha creato tutti e ha liberato Israele dalla schiavitù libererà prima o poi anche tutta l’umanità dalla morte Attesa del Messia nelle sue sfaccettature sacerdotali, regali e profetiche. Gesù è compimento inaudito e inaspettato di questa attesa e tutta la sua vita è una rivelazione di Dio perché ne manifesta il suo amore per gli uomini, la cura che Egli ha per loro e per i mali che li affliggono. Un aspetto impressionante della vita di Gesù è la singolarità del suo rapporto con il Padre: «Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro» (Gv 20,17), «nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare » (Mt 11,27), la parabola dei vignaioli omicidi (Mt 21,33-44) ecc. Se tutta la vita di Gesù è rivelativa, fonte di rivelazione primaria è soprattutto il mistero pasquale nella sua unità: o La croce quindi non può essere vista come un incidente di percorso, ma anzi essa è il massimo momento di rivelazione, di manifestazione dell’amore gratuito e incondizionato di Dio che è presente non come padre-padrone ma come servitore, non dominando gli altri ma donandosi agli altri. o La risurrezione suggella questa dinamica di dono rendendo eterno il gesto di Gesù sulla croce, il suo dono totale: essa quindi non annulla la morte, non cancella lo “smacco”, ma ne mostra il suo senso assoluto, non per niente il Risorto appare sempre come il Crocifisso. Il mistero pasquale può essere quindi riassunto nel concetto di consegna, di Tradizione: o Consegna del Figlio da parte del Padre all’umanità o Auto-consegna del Figlio per mostrare la gratuità dell’amore del Padre o Consegna di Gesù da parte di Giuda, di Pilato, di Erode, degli aguzzini ecc. o Consegna dello Spirito Santo da parte di Gesù sulla croce o Consegna della sua Pasqua nell’ultima cena e perciò Gesù continua a consegnare sé stesso a chi lo accoglie nella fede in modo particolare nell’Eucaristia. Con la resurrezione di Gesù (cf At) i discepoli accederanno al senso del mistero pasquale, capiscono il mistero di questa Consegna-consegne e dando il giusto significato alla vicenda di Gesù danno anche il giusto significato a tutta la Rivelazione. Vale la pena quindi soffermarsi sulla Risurrezione. Se lo schema temporale (prima era morto ora è vivo) presta il fianco a troppi equivoci, molto meglio è lo schema dell’abbassamento-glorificazione-esaltazione che mostra l’ingresso di Gesù in una nuova condizione, situazione confermata dalle sue apparizioni che hanno tutte lo stesso schema: Gesù decide di farsi vedere il suo riconoscimento è progressivo ed avviene definitivamente grazie ad un suo rimando ad elementi precedenti la sua morte (lo spezzare il pane, il nome di Maria, il preparare il fuoco per mangiare ecc.) invio in missione – testimonianza. Dinamica questa che a ben vedere è la dinamica della genesi della fede. E questo schema delle apparizioni mette in guardia anche dagli estremi e cioè da una loro interpretazione soggettiva (sono solo delle esperienze interiori) o da una interpretazione oggettiva (l’incontro del Risorto con gli uomini avviene come tra due uomini normali) per una sana via media di una interpretazione reale-simbolica: esse sono infatti esperienze reali che sono però da decifrare grazie alla fede. I racconti delle apparizioni presentano poi alcuni elementi diversi perché sono rielaborazioni letterarie e personali sì, ma di esperienze realmente accadute, d’altronde deve pur essere successo qualcosa per cui coloro che sotto la croce erano scappati dopo breve tempo partono e vanno per tutto il mondo a testimoniare l’avvenuto! II NODO – La fede cristiana e i modelli proposti per illustrare la dinamica dell’atto di fede (analysis fidei). La ragionevolezza dell’atto di fede all’interno del rapporto tra fede e ragione. I racconti delle apparizioni sono quindi archetipi della fede, di come si arriva alla fede pasquale e sono grosso modo le istruzioni di come avviene l’incontro con il Risorto, fatto questo abbastanza evidente in Emmaus con lo schema Parola – Eucaristia – Comunione con i fratelli. Ma cos’è la fede? Potremmo dire che la Fede è la grazia dell’appropriazione del particolare modo di Gesù di identificare Dio e di rapportarsi con Lui. Credere dal punto di vista linguistico ha significati diversi: - debole, ad es. “credo che sia così” - forte, ad es. “credo in te”, “ci credo” Nella formulazione del Credo, che è di tipo forte, poi va fatta un’altra distinzione: - In Dio Padre … Figlio … Spirito Santo Aspetto personale. - La Chiesa Aspetto contenutistico. Credere è quindi un fatto umano, universale, perché è normale sviluppare una fiducia originaria senza la quale è difficile vivere, perché è questa fiducia originaria che rende possibili tutti i movimenti, e che ti dice che la vita contiene in sé una promessa che dice come la vita valga la pena di essere vissuta, come in essa ci sia qualcosa di buono. Essendo però una promessa, essa chiede di essere fatta propria attraverso una decisione personale, perché senza questa “fede” è difficile pensare tutto il resto che è fondato in essa, in questa credenza implicita di una bontà originaria in senso assoluto, perché la vita è attorniata da un mistero che regge anche questa bontà originaria. La fede, e cioè la fede cristiana, immette qualcosa di nuovo in questa “fede”, tanto che la Dei Verbum dice che: «A Dio che rivela è dovuta “l'obbedienza della fede”, con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente» (DV 5) ecco quindi che questa “fede” è diretta a Dio che si rivela e quindi la fede ne è una ripresa, una riappropriazione consapevole e vissuta con la quale l’uomo riconosce e nomina Dio alla luce della singolare vicenda umana e storica di Gesù, appropriandosi dell’identificazione che Gesù fa di Dio e del suo rapporto filiale con Dio. Perciò questa fiducia originaria esistente, se si incontra con Gesù la si riprende personalmente, le si dà un nome, identificando quel Qualcosa che regge tutto con il Dio di Gesù, il Padre, per diventare così figlio nel Figlio. E l’abbandonarsi della fede è reso possibile dall’abbandono di Gesù al Padre, tanto che nel mistero pasquale si ha la massima rivelazione di Dio, ma anche la massima rivelazione dell’uomo: «Padre nelle tue mani consegno il mio spirito». Gesù è così la pienezza dell’amore di Dio e la pienezza dell’umanità. Esempio di questa fede sono i discepoli e se si possa parlare di fede prima della Pasqua, il discorso è tutt’ora aperto (dice Ceragioli). Questa fede coinvolge tutto l’uomo e comprende al suo interno quelle che tradizionalmente si dicono: “fides qua” (aspetto personale) e “fides quae” (aspetto contenutistico). Esse sono state viste a volte in contrapposizione tanto che per Buber (e anche per i protestanti) la fede dei cattolici era solo la seconda, mentre quella degli ebrei (protestanti) era solo la prima, la emunah, la fiducia. Oggi si è tutti concordi nel dire che “si crede a qualche cosa perché si crede a qualcuno”. Così nella fede possiamo vedere quattro aspetti che vanno sempre tenuti tutti presenti: - Personale - Contenutistico - Ecclesiale, ha sempre una dimensione comunitaria nella quale ci si inserisce e si vive, tanto che con il Battesimo si è inseriti in essa e l’atto supremo della fede cristiana è un atto comunitario, l’Eucaristia. - Totalizzante, perché la fede non è soltanto un atto puntuale, ma coinvolge tutta la vita del soggetto in tutti i suoi ambiti. L’aspetto contenutistico-dottrinale della fede è molto importante perché ne mostra l’aspetto ragionevole, come diceva infatti Franco Ardusso: «Non crediamo per delle ragioni, ma abbiamo delle ragioni per credere». Ecco allora l’importanza della teologia fondamentale! L’aspetto veritativo e ragionevole della fede sarà messo bene in luce dal Concilio Vaticano I. Vediamo ora i vari modelli esistenti per mostrare la ragionevolezza della fede: Della via negativa. Non si portano le ragioni per credere, ma si chiede alla “non fede” di portare le ragioni per non credere (Es. Pascal) Del testimone autorevole. Schema classico in voga fino al Concilio Vaticano I. Antropologico. Mette in evidenza come il soprannaturale è assolutamente necessario e assolutamente impossibile, il divario tra le aspirazioni e il loro contenuto è incolmabile. Blondel è il capofila di quella che troverà in Karl Rahner l’attuatore della “svolta antropologica” nella quale si mette in risalto come l’uomo abbia un’apertura all’infinito illimitata, stia ad ascoltare per ricevere la rivelazione di Dio. Quest’apertura fa parte integrante dell’uomo, fin dall’inizio infatti Dio si autocomunica all’uomo nelle sue profondità ed il massimo di rivelazione si avrà in Cristo, tanto che per Rahner la cristologia è un’antropologia perfetta. Questa corrente assumerà poi varie sfumature quali quella di: Welte e Kung (impostazione della “fiducia originaria”), Kasper (uomo alla ricerca del senso), Tillich (che usa il metodo di correlazione e di corrispondenza) ecc. Tutti modi diversi, ma partenti dall’uomo e dalle sue domande, la cui risposta arriva dalla rivelazione cristiana. Le critiche che spesso vengono mosse a questo modello sono: Dio non è solo una risposta ai bisogni dell’uomo, Egli non è strumentale e funzionale ad esso; se l’uomo non si pone queste domande trascendentali? Come fare cioè nel caso di indifferenza religiosa? Kerygmatico. Sul suo sfondo si intravede la teologia dialettica di Barth per cui Dio è il totalmente altro e la sua parola va annunciata così com’è, fidandosi della sua forza implicita. Politico-prassistico-liberazionista. Gli assertori di questo modello (Metz e tanti altri, latinoamericani e tedeschi soprattutto) insistono che va rotta la privatizzazione della fede, tipica delle società borghesi e che non ha incidenza sulla società, mentre ne deve avere! Esso insiste molto poi sulla uguale dignità degli uomini, sulla “memoria pericolosa” per la quale tutti vanno considerati uguali davanti a Dio. Il rischio di questo modello è di trasformare tutto in etica socio-politica e di pensare alla verità solo sul modello della rilevanza. Estetico. Rappresentante principale e von Balthasaar che critica la riduzione cosmologica dell’antichità e quella antropologica della modernità, perché impongono dei paletti a Dio. Per lui infatti si deve parlare del cristianesimo a partire da Gesù Cristo, in cui l’amore di Dio assume una forma percettibile e la cui figura si impone nella sua bellezza da cui l’uomo è rapito. L’evidenza oggettiva della rivelazione è quindi l’evidenza della forma di Gesù Cristo che ha una forza in sé stessa, è credibile in sé stessa e a cui l’uomo liberamente si apre. Non vanno bene quindi tutte quelle letture ed esegesi che frantumano la figura di Gesù impedendo così di lasciarsi rapire dalla sua singolare ed unica figura. È come si spezzettasse un quadro in mille pezzi e poi si cercasse di ammirarne la bellezza! Attualmente si cerca di far interagire quest’ultimo modello con quello antropologico perché si avverte come sono importanti sia le strutture di accoglienza dell’uomo così come la figura di Gesù: due vie quindi non da contrapporre, ma da far interagire. III NODO – La trasmissione ecclesiale della rivelazione: la tradizione come fattore d’identità e di progresso sia a livello antropologico che teologico. La tradizione cristiana e quella di Israele. Controversie storiche sulla tradizione, il ripensamento contemporaneo a partire dal Concilio Vaticano II. Soggetti, mezzi, modalità di trasmissione della rivelazione. Il magistero ecclesiale e il dogma. Definita la Rivelazione e visto il suo legame già intrinseco con la Tradizione ci chiediamo: È trasmissibile la rivelazione? Come? E come trasmetterla correttamente? Sono possibili degli sviluppi? E delle deviazioni? A chi spetta custodire la tradizione nella sua integrità? Va subito precisato che la fede è trasmissibile per alcuni aspetti, mentre per altri ci vuole invece l’intervento della grazia e dello Spirito Santo che sono difficili da trasmettere. La trasmissione della rivelazione, la tradizione è un processo di comunicazione che come tale prevede quindi un soggetto che trasmette, un soggetto che riceve, qualcosa che si trasmette (contenuti che non sono solo teorici), degli strumenti e dei codici di trasmissione. Venendo ai vari passaggi della trasmissione della rivelazione biblica: Nell’antico testamento vediamo un esempio nella consegna della legge sul Sinai: Mosè trasmette, il popolo riceve, il contenuto è la legge, lo strumento sono le tavole, il codice è la ligua ebraica. A sua volta poi il popolo diventa trasmettitore (vedi lo Shemà Israel) e poi abbiamo più soggetti trasmettitori (profeti, scribi, saggi, re, famiglia ecc.) e più strumenti (predicazione orale, scritti sapienziali, profetici e legislativi ecc.) Nel cristianesimo il primo soggetto trasmittente è Gesù che dà agli apostoli l’incarico di trasmettere ciò che lui ha insegnato. Nelle prime comunità ci sono più soggetti trasmittenti: apostoli, profeti, maestri ecc. Un passaggio significativo è quello dalle comunità apostoliche a quelle sub-apostoliche (visibile nelle lettere pastorali e negli Atti) nelle quali si cerca una trasmissione che sia il più autentica possibile ed ecco quindi l’emersione di alcuni soggetti sugli altri (episcopi, presbiteri e diaconi) e la necessità di testi affidabili (formazione del Nuovo Testamento). Contro la sfida della gnosi, per cui la tradizione e le scritture delle Chiese erano secondarie rispetto alla vera tradizione riservata solo a pochi iniziati, si erge per primo Ireneo di Lione che rimarca come la tradizione sia pubblica, unica e pneumatica. Egli presenta tre baluardi nella lotta contro la gnosi che vanno tenuti strettamente uniti: o La regula fidei codificata nei simboli e che esprime la fede apostolica: su di essa ci si deve confrontare per valutare la veracità della fede. o La successione apostolica che permette di far risalire l’esistenza della propria Chiesa a quelle di fondazione apostolica e valutare quindi il legame “fisico” con gli apostoli. o Il Canone delle Scritture, che permette di avere integro il contenuto della predicazione apostolica con il quale confrontare ogni predicazione. Altro personaggio importante del periodo patristico è Vincenzo di Lerins per cui: o Appartiene alla tradizione autentica della Chiesa ciò che è stato creduto in ogni luogo, sempre e da tutti. Criterio cattolico, difficile da verificare. o La Tradizione della Chiesa è come un organismo vivente, nel quale c’è un reale progresso senza un reale mutamento. La Riforma Protestante con i vari “sola” (sola fide, sola gratia, sola scriptura) scardina il “triangolo della tradizione” perché essa sostiene come solo la Scrittura dice tutto ciò che c’è di necessario per la fede, mettendo così in gioco la mediazione ecclesiale. Il Concilio di Trento risponde con il testo sulle mediazioni apostoliche al cui centro c’è il concetto di Vangelo (DS 1501-1508) «fonte di ogni verità salvifica e di ogni norma morale», che deriva da Gesù o dagli apostoli per ispirazione e che è contenuto sia nei libri scritti sia nelle tradizioni non scritte che devono essere accettate e venerate come la Sacra Scrittura. Limite del Concilio è quello di non esporre una riflessione sulla Tradizione il cui valore viene semplicemente riaffermato. L’elemento positivo è il rifiuto della posizione di alcuni padri del “partim … partim” a favore invece di quella “et … et”. Nel dopo concilio si discute sulla questione della sufficienza delle Scritture: o Per i protestanti la sufficienza è di tipo materiale e formale perché in esse c’è tutto e c’è anche il principio per leggerle. I Cattolici invece sono divisi in due filoni o Quelli che ne attestano l’insufficienza materiale e formale (non solo non hanno in sé il principio interpretativo, ma non contengono neanche tutta la fede) o Quelli che ne attestano la sufficienza materiale, ma non quella formale (in esse c’è tutto, ma il loro principio interpretativo è esterno) Prende quindi piede la teoria delle due fonti, ma già a metà ‘800 ci sono segnali di ripresa degli studi sulla Tradizione (Moeller e la scuola di Tubinga; il cardinal Newman) La prima pietra miliare viene posta nel Concilio Vaticano I con la definizione dell’infallibilità papale. La seconda pietra miliare è posta nel Concilio Vaticano II con la costituzione Dei Verbum nella quale c’è una grande ricchezza riguardo al concetto di Tradizione il cui risvolto della medaglia è però una forte ambivalenza di vocabolario tanto che con Tradizione si intende: “Divina e Apostolica”, “Vivente”, “l’atto del trasmettere”, “tradizioni ecclesiastiche” ecc. Le importanti riprese e sottolineature che essa fa sono: o Il soggetto della tradizione è l’insieme dei credenti, la Chiesa tutta intera, aiutata dai vari carismi: teologi, santi, padri e magistero. o In merito al rapporto Tradizione-Scrittura si mette in luce come è la prima che fa conoscere il canone e ne offre l’interpretazione e che solo le due insieme formano il solo ed unico sacro deposito. Se però la seconda è Parola di Dio, nel caso della Tradizione, vivendo questa nelle tradizioni ecclesiastiche concrete, è difficile discernere tra Parola di Dio trasmessa e parola umana, tra tradizione apostolica e tradizioni solamente ecclesiastiche. La frase per cui poi: «la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura» (DV 9) può essere interpretata nel senso che è necessario leggere la Scrittura nella Tradizione. o Riguardo al “triangolo della tradizione” il Concilio ribadisce come i tre elementi non possono sussistere l’uno senza l’altro1 ed in particolare ricorda come il magistero: «non è superiore alla parola di Dio ma la serve» (DV 10). Il compito del magistero è quindi quello di: custodire il deposito, definirlo, annunciarlo, difenderne l’integrità, applicarlo alla vita morale. Insomma il magistero ha il compito della cura dell’oggettività della fede cristiana, della conformità a quella degli apostoli, della permanenza della fede in essa, della sicurezza che la chiesa non porterà mai i credenti fuori del cammino di salvezza. Nel popolo di Dio c’è quindi una percezione spontanea e globale della Parola di Dio rivelata, il sensus fidei, ed il magistero ha il compito di interrogare questo sensus fidei, mentre il popolo ha il compito di accogliere ciò che il magistero dice e lo Spirito Santo soffia in entrambi. Il Magistero 1 Se i Protestanti hanno vissuto del Sola Scriptura, il rischio degli Ortodossi è stato quello di vivere del Sola Tradizione e quello dei Cattolici del Solo Magistero. inoltre ricorda alla Chiesa che la Parola di Dio la precede e la sua fede deve corrispondere ad essa per corrispondere alla fede degli apostoli. Parlando del magistero bisogna specificare innanzitutto che esso è un carisma che si ottiene con l’accesso al sacramento dell’ordine nel grado dell’episcopo. Detto ciò è necessario poi chiarire: Forme di esercizio. Il magistero si divide in: Infallibile, nel quale cioè si ha la possibilità di non ingannarsi e non ingannare: o Pronunciamenti ex-cathedra del papa che parla cioè esercitando la sua piena autorità apostolica e l’atto con cui si definisce si deve constare. o Concilio ecumenico convocato con l’intento di definire (Vaticano I, Trento …) o Magistero ordinario ed universale dei vescovi di tutto il mondo in comunione con il papa su temi sui quali convengono tutti (aborto, resurrezione di Gesù …) Di per sé non infallibile: o Concilio convocato non per definire o Magistero ordinario del papa o Magistero dei Vescovi nelle loro diocesi o Organismi della curia romana Oggetto. Sono le verità rivelate in materia di fede e morale. Si distingue in: Primario, che coincide con la Rivelazione. Secondario, verità che non appartengono alla Rivelazione, ma che sono strettamente connesse ad essa e necessarie: per custodire il deposito della rivelazione in maniera integrale, per spiegarlo debitamente e per definirlo in modo efficace. Sono i cosiddetti fatti dogmatici. Es. L’elezione legittima di un papa (se infatti un papa che ha fatto un dogma era stato eletto illecitamente …), la canonizzazione dei santi ecc. Alcune di queste verità possono poi passare nell’oggetto primario. L’esistenza di questo oggetto secondario non è dogma di fede, ma è teologicamente certa. Forme di assenso. Dalla “Professio fidei” si vede che: Ciò che riguarda l’oggetto primario va accolto con “fede”, altrimenti si è eretici. Ciò che riguarda l’oggetto secondario va “accolto e professato fermamente”, altrimenti si è scismatici, non si è in piena comunione. Ciò che fa parte del magistero autentico, ma non definitivo va accolto con “religioso ossequio dell’intelletto e della volontà”, altrimenti si è dissenzienti. Va notato come spesso il magistero possa commettere anche gravi errori (come nel caso del Concilio di Firenze che disse che tutti i non battezzati vanno all’inferno), ma anche come spesso abbia avuto e possa avere un valore profetico. IV NODO – La Scrittura dell’Antico e del Nuovo Testamento è canonica e ispirata. La Chiesa la riconosce, interpretandola, come mediazione insuperabile e insostituibile della propria fede. Con il termine Parola di Dio si possono intendere valori diversi: - Il Verbo fatto carne, la Parola incarnata - La Parola annunciata - La Parola scritta, attestata e le Scritture lo sono in questo senso. Perciò la Rivelazione eccede la Scrittura perché la Rivelazione è Gesù Cristo, ma ha bisogno di essa per la sua permanenza nella storia: la Scrittura è Parola di Dio in forma umana, in linguaggio umano. L’analogia nel trattare la Scrittura è quella dell’Incarnazione e solo in questo senso la Scrittura è senza errori riguardo alla verità salvifica. Vediamone ora gli elementi importanti: Canone. Elenco di libri che, grazie alla Tradizione, la Chiesa riconosce come normativi per la sua fede e la sua vita e li riconosce quindi come ispirati. La questione del Canone nasce già nel II secolo con Marcione che riconosceva solo alcuni testi ed esso viene fissato definitivamente nel Concilio di Trento in 73 libri. I criteri della canonicità che le Chiese hanno sempre adottato sono: apostolicità di origine (di apostoli o di autori vicini ad essi); apostolicità del contenuto e cattolicità (patrimonio comune di tutte le Chiese). Ispirazione. Dei libri nel canone si dice che hanno Dio come “autore” perché oltre agli autori umani c’è la “mano” dello Spirito che ne permette la loro natura teandrica. Ermeneutica. Qualsiasi testo di per sé va interpretato e a maggior ragione la Sacra Scrittura. Nel processo ermeneutico entrano in gioco l’autore, il testo ed il lettore, il cui compito è quello di appropriarsi dei primi due mondi per poi portarli nel suo mondo. Nel documento della Pontificia Commisione Biblica sulla “Interpretazione della Bibbia nella Chiesa” si dice che la lettura che non va assolutamente fatta è quella fondamentalista, che confonde il piano divino e quello umano, mentre vanno tenuti distinti, anche se non separati! Ogni metodo poi pone l’accento su uno dei protagonisti: alcuni sull’autore (metodo storico-critico), alcuni sul testo (analisi letteraria), alcuni sul lettore (storia degli effetti, uso di scienza umane, approcci contestuali come quello liberazionista o femminista). Vanno tutti bene, perché si tiene conto della polisemia del testo biblico (ad es. Adamo è tale, ma anche figura del Cristo), purché si tenga sempre conto della natura divino-umana della Scrittura, del fatto che nella parola finita ne è contenuta una infinita. Il senso spirituale delle Scritture è il senso che esse assumono se lette sotto l’influenza dello Spirito Santo, nel contesto cioè del mistero pasquale e della vita nuova che ne deriva.