L`itinerario filosofico di Agostino d`Ippona

Scetticismo: Dottrina filosofica secondo cui non è possibile formulare giudizi veri; di
conseguenza, non è possibile neppure conoscere con certezza la natura della realtà. Le varie
forme di scetticismo filosofico si collegano con l’epistemologia, in quanto investono il problema
della definizione dei criteri di validità della conoscenza. Gli scettici appaiono colpiti dalla varietà
delle visioni del Mondo presenti fra gli uomini, quindi, presumendo di avere l'autentica chiave di
spiegazione dell'universo da cui far dipendere la felicità e la serenità dell'animo, traggono la
conclusione che l'unico modo per raggiungere la tranquillità della mente è un'indagine volta a
riconoscere ugualmente fallaci tutte le dottrine. La quiete si raggiunge quindi rifiutando qualsiasi
dottrina. Anche lo scetticismo come le altre scuole subordina l'indagine speculativa ad un fine
pratico: l'ottenimento della pace interiore.
Lo scetticismo si dedica alla distruzione delle altre dottrine filosofiche; in realtà gli scettici non
negano propriamente la verità dei fenomeni ma piuttosto le teorie su di essi che hanno la pretesa
di spiegarne la natura profonda.
La filosofia scettica ha avuto origine nella Grecia antica. A differenza dello Stoicismo e
dell'Epicureismo, non era una corrente di pensiero indipendente ma univa tre scuole distinte: la
Prima Scuola di Pirrone al tempo di Alessandro Magno, la Seconda Scuola della Media e Nuova
Accademia e la Terza Scuola degli scettici posteriori.
Il dubbio nella filosofia scettica Lo scetticismo (dal greco sképtesthai, “esaminare”) si distingue
anzitutto per l’atteggiamento filosofico che nega l’esistenza di un criterio certo di verità e falsità, e
quindi per l’esercizio del dubbio e della “sospensione” del giudizio. I motivi che giustificano il
dubbio possono essere diversi, ma in generale riguardano l’inaffidabilità delle esperienze sensibili
e l’impossibilità di individuare un criterio di verità: ad esempio, una cosa appare diversa a individui
diversi, o a ogni individuo in base al suo particolare stato (se giovane o vecchio, se sano o
malato). L’esercizio del dubbio e la sospensione del giudizio appaiono al filosofo scettico come
l’unico atteggiamento possibile, in opposizione al dogmatismo dei filosofi che sostengono di aver
raggiunto una verità stabile.
Lo scetticismo nella filosofia greca I sofisti greci nel V secolo a.C. elaborarono concezioni di
matrice scettica, rispecchiata nella massima di Protagora “l’uomo è la misura di tutte le cose” e
nell’affermazione di Gorgia: “nulla esiste; se qualche cosa esiste, non può essere conosciuta”.
I principi dello scetticismo trovarono tuttavia la prima formulazione esplicita nel pirronismo, una
scuola di filosofia greca che derivò il nome dal fondatore, Pirrone di Elide. Questi, interessato
soprattutto all’etica, riteneva che non fosse possibile conoscere nulla della natura della realtà; il
saggio doveva pertanto limitarsi a una sospensione del giudizio (epoché). Il discepolo di Pirrone,
Timone di Fliunte (325-230 ca.), condusse lo scetticismo a conseguenze estreme asserendo che
potevano essere sempre addotte buone ragioni sia pro sia contro qualsiasi tesi filosofica.
L'itinerario filosofico di Agostino d'Ippona
Nel IV sec.d.C. il cristianesimo conquista non solo la propria legittimazione civile e politica ma anche
una certa egemonia culturale. Le tappe fondamentali di questa conquista sono: l’Editto di tolleranza
(313), la partecipazione di Costantino al Concilio di Nicea (325) e il riconoscimento da parte di Teodosio
del cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero.
Parallelamente a questa affermazione culturale, si avverte negli scrittori e nei pensatori cristiani
l’esigenza di mediare le ragioni della fede con le dottrine filosofiche classiche.
Lattanzio, vissuto tra il III e il IV sec. tenta di fondare la concezione cristiana di Dio sui principi stoici
sulla base dei quali giustifica l’ordine razionale del mondo.
Arnobio, tenta il recupero degli dei pagani come forze operanti nel cosmo.
Agostino, tra i pensatori dell’età tardo-antica, più di tutti ha saputo riflettere con profondità sui
problemi teologico-speculativi ed etico-antropologici connessi alla religione cristiana. È uno dei maggiori
Padri della Chiesa.
Nacque a Tagaste, in Numidia, nel 354, da padre pagano e madre cristiana (Monica) dalla quale subirà
un’influenza decisiva per la sua conversione al cristianesimo. Studiò retorica a Madaura e Cartagine.
Nel 373 lesse l’Ortensio di Cicerone, opera di esortazione alla filosofia. In questo stesso anno si avvicinò
al MANICHEISMO, una corrente teosofica che postulava l’esistenza di due principi contrapposti: bene e
male.
A Milano incontrò il vescovo Ambrogio che lo illuminò nell’esegesi biblica. Studiò Plotino, il quale,
attraverso la sua concezione del male, gli consentì di superare il dualismo manicheo. Nel 387 si convertì
al cristianesimo.Nel 391 venne chiamato a Ippona dal vescovo Valerio al quale successe cinque anni dopo
sulla cattedra episcopale. In questa veste intervenne con vigore in dibattiti religiosi e culturali di grande
attualità (soprattutto contro alcune sette ereticali). Morì nel 430.
Principali opere: ricordiamo, nella vastissima produzione agostiniana: "Contro gli Accademici",
"L’immortalità dell’anima", "I soliloqui", "La vera religione", "Le Confessioni", il trattato "Sulla Trinità",
una serie di brevi scritti sulla predestinazione e sul libero arbitrio ed, infine, "La Città di Dio".
L’itinerario agostiniano
Rapporto fede ragione: La fede è complementare alla ragione e la ragione alla fede. Le frasi
con cui Agostino riassume questo suo pensiero sono:
CREDE UT INTELLIGAS (Credi per capire)
INTELLIGE UT CREDAS (Capisci per credere)
Teologia, metafisica e scienza dell’uomo sono congiunte in Agostino.
Quello di Agostino è un pensiero asistematico che, alla struttura analitica delle argomentazioni,
predilige le "intuizioni" immediate. In ciò si avverte l’influsso e la metodica dei suoi grandi
maestri, Platone (vir sapientissimus) e Plotino ("reincarnazione" di Platone).
L’itinerario ha come centro focale l’anima o l’attività dello spirito e si compie attraverso una
graduale conquista realizzata attraverso 3 fasi:
 Superamento critico della scepsi.
 Teorizzazione della dottrina dell’autocoscienza o dell’autonoesi su cui viene fondata la
metafisica agostiniana della veritas interiore.
 Il trascendersi dell’io autocoscienziale ed il conseguente attingimento del fondamento
ontologico o del principio della verità appresa e spiritualmente fruita per partecipazione
dall’autocoscienza.
1° momento teoretico.
Superamento dello scetticismo
Nel dialogo Contra Academicos, Agostino critica lo scetticismo degli Accademici che
rappresenta la più grave aporia e il principale ostacolo alla ricerca filosofica in quanto inficia
alla radice la tensione teleologica verso la verità.
Agostino si sofferma a demolire il probabilismo di Arcesilao e Carneade i quali, nella loro
polemica contro il dogmatismo degli Stoici, negavano la possibilità di raggiungere la certezza e
la verità, sostenendo che la ragione umana può al massimo pervenire alla probabilità e alla
verosimiglianza (Qui Agostino fa riferimento agli Academica priora di Cicerone).
L’argomento con il quale Agostino confuta il probabilismo degli scettici è il seguente:
se si nega la certezza e la verità non è possibile sostenere la probabilità e la verosimiglianza.
Infatti, il certo e il vero sono i criteri con cui valutiamo il probabile e il verosimile. Senza il
rapporto con la certezza e la verità, ciascuna cosa detta diventa nomina vacua, priva di ogni
significazione reale.
– L’argomento dell’inganno dei sensi
Agostino conosce tutti i topoi della casistica scettica contro la veridicità delle percezioni
sensoriali (ramo spezzato nell’acqua, collo iridescente della colomba, torri della costa, l’eco,
ecc.). Egli afferma che i sensi non ci ingannano, ma si limitano a recepire passivamente delle
realtà o delle apparenze. Il principio è "sentire non est corporis, sed animae per corpus". La
verità è tutta interiore, risiede nello spirito che assumendo i dati offerti dai sensi, li elabora e
li trasforma in valori noetici.
Agostino intende la filosofia come "amor studiumque sapientiae" e a tal uopo distingue la
scienza, che è conoscenza razionale-discorsiva delle realtà empirico-temporali, dalla sapientia,
che è conoscenza noetico-intuitiva delle realtà metatemporali.
– Il dubbio. Teoresi del superamento del dubbio
Il dubbio si supera, sostiene Agostino (anticipando le argomentazioni di Cartesio a proposito del
cogito), con la coscienza critica del dubbio stesso. Infatti chi dubita, nell’atto stesso del
dubitare, ha coscienza di sé come dubitante; ha la certezza del suo pensiero che dubita (Cfr.
"De vera religione").
Vi è, dunque, una realtà certa, indubitabile: la presa di coscienza del dubbio. Di questa realtà
non si può dubitare.
Ma se ci sbagliassimo?, potrebbero obiettare gli Accademici.
Agostino risponde: "Si fallor, sum". Se m’inganno, ho la certezza del mio essere. Questa
certezza dell’ego cogitans è una certezza interiore che non soggiace agli inganni della realtà
esterna.
Possono essere falsi o illusori gli oggetti di cui si dubita, ma l’atto del soggetto dubitante, in
quanto pensiero consapevole e atto critico della coscienza, contiene in sé tutta una serie di
certezze. Il soggetto o io dubitante:
1. Si dubitat vivit (certezza esistenziale)
1. Si dubitat, unde dubitet meminet (certezza della genesi del dubbio)
1. Si dubitat, dubitare se intelligit (certezza dell’atto dubitante)
1. Si dubitat, cogitat (certezza del cogito, del pensiero)
1. Si dubitat, scit se nescire (certezza del limite e dell’aporeticità del pensiero e della
scienza)
Altre certezze sono il principio di non-contraddizione e i principi della matematica (validi a
priori).
Ma come possiamo attingere la veritas?
2° Momento teoretico
METAFISICA DELLA "VERITAS INTERIORE"
L’anima o la mente, nel momento in cui supera la scepsi, afferma con certezza la propria realtà
ontologico-esistenziale, prende coscienza del suo io interiore che non è un aliud distinto
dall’anima ma è l’anima stessa che si autoconosce. L’anima dunque si pone come
autocoscienza, cioè come soggetto ed insieme oggetto della propria conoscenza.
Tale autocoscienza non va confusa con l’introspezione (che coglie i dati psichici). Essa si attua
a livello noetico della mens ed è quindi conoscenza diretta, immediata, non analitica, ma
noetico-intuitiva (Autonoesi) (cfr. l’argomento nelle Enneadi di Plotino).
La verità, continua Agostino, non è fuori di noi, ma dentro di noi, inerisce all’interiorità della
nostra anima: "Noli foras ire; in te ipsum redi: in interiore homine habitat veritas".
Questo principio, che rivaluta l’imperativo socratico del "Conosci te stesso", fonda la metafisica
della verità interiore che è il centro della filosofia agostiniana.
Nella sua interiorità, l’anima scopre il mondo delle idee che non sono innate secondo la
dottrina platonica. La presenza delle idee si spiega col principio della partecipazione (metexi)
che in Agostino assume un significato diverso e viene integrato dalla dottrina
dell’illuminazione.
La dottrina della verità è in noi non come lumen innatum ma come lumen participatum.
l’anima riceve per partecipazione alcune idee o principi assoluti che debbono guidare l’attività
razionale come criteri assoluti di giudizio. Tali idee sono:
1. I Principi della logica o della dialettica, validi a priori, indipendentemente
dall’esperienza.
1. Le Veritates numerorum e gli assiomi delle scienze matematiche (a priori)
1. Le idee o nozioni universali di unità, verità, falsità, eternità, ecc.
1. I principi dell’etica (bene, male, giustizia, ecc.)
1. I principi normativi dell’estetica (idea del bello, arte)
Queste idee, come tutte le infinite rationes rerum, sono contenute nella mente di Dio o nel
Logos divino (Agostino trasferisce le idee dall’Iperuranio platonico alla mente di Dio).
Queste idee sono vere perché eterne e immutabili. Tutto ciò che esiste, esiste come
partecipazione ad esse. Esse sono il fondamento di ogni conoscenza intellegibile.
3° MOMENTO TEORETICO
IL TRASCENDERSI DELL’IO AUTOCOSCIENZIALE
I caratteri essenziali delle idee sono 6:
1. Le idee sono principi assoluti, validi a priori, indipendentemente dall’esperienza
sensibile.
1. Sono immutabili, ossia riguardano la substantia rerum, ciò che permane del mutare dei
fenomeni.
1. Sono necessarie, senza intellezione delle idee non c’è sapienza.
1. Sono indipendenti dal soggetto conoscente.
1. Sono eterne.
1. Sono universali.
Le verità sono intuite dalla mente ma non possono essere originate dalla mente stessa perché
assolute, immutabili, quindi superiori alla mente che, per sua natura, è soggetta all’errore.
Per attingere il fondamento della verità, l’anima pervenuta all’autocoscienza, deve superarsi e
trascendersi.
Il fondamento della verità è, dunque, Dio.
IL PROBLEMA DEL TEMPO
Il rapporto tra Dio e il mondo, tra creazione e storia, costituisce anche per Agostino il motivo di
una originale riflessione sul problema del tempo. Anche qui, il motivo occasionale è costituito
da un'obiezione molto diffusa contro il pensiero cristiano: se il mondo è stato creato nel tempo,
cosa faceva Dio prima della creazione? La soluzione che Agostino dà al problema è originale non
solo per l'impostazione metodologica, ma anche per le sottili analisi psicologiche che vi fanno
da contorno.
"Che cos’è dunque il tempo? Quando nessuno me lo chiede, lo so; ma se qualcuno me lo chiede
e voglio spiegarglielo, non lo so. Tuttavia affermo con sicurezza di sapere che, se nulla
passasse, non vi sarebbe un tempo passato; se nulla si approssimasse non vi sarebbe un tempo
futuro se non vi fosse nulla, non vi sarebbe il tempo presente. Ma di quei due tempi, passato e
futuro, che senso ha dire che esistono, se il passato non è piú e il futuro non è ancora? E in
quanto al presente, se fosse sempre presente e non si trasformasse nel passato, non sarebbe
tempo, ma eternità... Questo però è chiaro ed evidente: tre sono i tempi, il passato, il
presente, il futuro; ma forse si potrebbe propriamente dire: tre sono i tempi, il presente del
passato, il presente del presente, il presente del futuro. Infatti questi tre tempi sono in qualche
modo nell'animo, né vedo che abbiano altrove realtà: il presente del passato è la memoria, il
presente del presente la visione diretta, il presente del futuro l'attesa... Il tempo non mi pare
dunque altro che una estensione (distensio), e sarebbe strano che non fosse estensione
dell'animo stesso. (Confesioni XI, 14, 17: 20, 26; 26, 33).
Ridotto dunque il tempo ad una "distensione dell'animo" cioè in fondo ad un'attività della
coscienza, ne risulta che il problema prima posto è privo di senso: Dio non ha creato il mondo
nel tempo ma col tempo: l'eternità è al di fuori del tempo e l'azione divina si svolge appunto
nell'eternità. Con il che risulta ribadita quella sostanziale estraneità dell'uomo alla storia ed al
tempo delle cose terrene, perché la vera realtà dell'uomo è appunto in un "presente eterno" la
cui misura è la sua stessa anima: e se la verità di questo essere dell'anima è la ricerca o meglio
il ri-trovamento di Dio, ciò è vero nella vita interna dell'uomo di cui sono parti tutte le sue
azioni, ed è vero in tutta la storia dei figli dell'uomo, di cui sono parte tutte le vite umane.
(Conf. XI, 28, 38)
La questione del male
Un altro problema essenziale della teologia di Agostino è la giustificazione dell'esistenza del
male. Infatti, posto che Dio sia il Bene, ci si chiede perché abbia permesso l'esistenza del Male.
Se Dio è bontà assoluta, come ha potuto creare un mondo in cui vi è anche spazio per il male?
Il Male, per Agostino, non ha una consistenza ontologica autonoma.
A tale proposito distingue il male fisico, conseguenza del peccato originale, dal male morale,
definito un "pervertimento della volontà" e un allontanamento da Dio.
Perché esiste il male? Prima di tutto occorre porsi la domanda se il male esiste davvero: se non
esistesse è comunque indubbio che il timore del male è esso stesso un male, anche se avere
timore per qualcosa che non esiste sarebbe assurdo. Tuttavia esiste la possibilità, secondo
Agostino, che il male sia nello stesso timore del male, qualora il male non esistesse ("Quindi o
esiste un male, oggetto del nostro timore, o il male è il nostro stesso timore." Agostino, Le
Confessioni).
E' possibile che il male sia nell'imperfezione della materia, a motivo del fatto che la Creazione
divina è imperfetta rispetto alla perfezione del Creatore, in questo caso la possibilità del male è
insita nella stessa materia priva di perfezione, per cui il male è connaturato alla materia, e quindi
all'uomo.
Ma Agostino non può che constatare il fatto che se Dio è onnipotente, sommo bene, positività,
l'esistenza reale del male non potrebbe spiegarsi se non attribuendo a Dio stesso la volontà del
male: in altre parole, Dio onnipotente, qualora permettesse che nell'animo umano albergasse il
male come entità presente e sostanziale, sarebbe creatore del male stesso e responsabile
comunque della sua mancata rimozione.
Tutto questo porta Agostino a constatare che il male, in sé, non esiste. Ciò che l'uomo
percepisce come male è in realtà il frutto di un allontanamento dal bene, per cui il male è
constatabile solo per via negativa, ovvero come assenza del bene. Dio ha creato il mondo
perché fosse un bene, l'esistenza del male è un'impossibilità.
Ma mentre l'uomo si allontana dal bene volontariamente (tema che sarà trattato più
approfonditamente nel capitolo successivo), il male che viene dalle catastrofi naturali non porta
con sé alcuna volontà di male: esse accadono in assenza di considerazioni etiche e possono
venire capite solo se si allontana lo sguardo dalle sofferenze personali e si riconduce il tutto a una
legge cosmica superiore.
Il peccato
Per chiarire la meccanica del peccato, ci viene in aiuto un passo contenuto ne Le Confessioni: il
celebre furto delle pere, commesso da Agostino ancora ragazzo, allorquando, assieme ai suoi
compagni di giochi, andò a rubare le pere dei vicini per il solo gusto di commettere una bravata.
Agostino nota come il furto sia stato commesso non per necessità, avendo nel suo proprio
giardino frutta migliore che quella del vicino, ma per il semplice gusto di trasgredire la morale e
provare l'ebrezza del peccato. Le pere, per la maggior parte, vennero date in pasto ai porci, solo
in piccola parte gustata dai ragazzi, e nemmeno con troppa soddisfazione.
Questo episodio insegna che l'uomo si accinge a peccare per un impulso all'autoannientamento.
Il peccatore non cerca principalmente l'oggetto del peccato, che è solo un mezzo per raggiungere
il peccato in sé, ovvero ciò a cui veramente mira. Per Agostino il peccato è un'imitazione della
potenza di Dio, un'imitazione impossibile, che si risolve in un tentativo maldestro di creare da sé
nuove regole. Il peccato è una rivolta contro la potenza divina, ma, rivoltandosi, gli uomini non
fanno altro che ribadire l'importanza e la potenza di colui a cui vogliono opporsi, ovvero, Dio.
Il peccato, come ogni forma di male, è allora un allontanamento dalla verità di Dio, la verità è già
presente nelle nostre anime, ma per il fatto di essere fragili e insicuri, limitati, soggetti alla paura,
gli uomini spesso si allontano dalla verità per sfida o per sentimento di autoannientamento: per
Agostino questi tentativi umani di affrontare il buio dell'anima concedendosi ad esso per
creare una sorta di abitudine e di assuefazione, sono destinati al fallimento. Il buio non si
vince assuefandosi ad esso, il buio si vince avvicinandosi alla luce.
Contro Pelagio
In questo scritto ribadisce la naturale peccaminosità dell’uomo.
Pelagio, sosteneva che l’uomo, nonostante il peccato originale, può compiere il bene, ha la
capacità di scegliere il bene.
Agostino sottolinea l’intervento della volontà: è essa che governa la ragione e quando volge al
male, solo la fede e l’intervento divino possono redimerla.
In questo contesto occupa un ruolo determinante la Grazia (teoria della Predestinazione)
secondo cui Dio predestina l’uomo alla salvezza e alla dannazione secondo il proprio
imperscrutabile disegno (Sul libero arbitrio).
L'imperfezione dell'uomo e la Grazia per predestinazione
La meccanica del peccato secondo Agostino, insegna che l'uomo ha in sé la tendenza ad
allontanarsi dal bene per superbia (l'uomo è peccatore perché vuole imitare la potenza di Dio).
Mentre per gli antichi il male era frutto di un difetto di conoscenza (si veda Socrate), per Agostino
e per la teologia cristiana, il male sarà il frutto di un atto volontario commesso dall'uomo: un
capriccio.
L'uomo ha perduto la sua innocenza con Adamo, lo stato di precarietà che l'uomo vive dalla
cacciata dall'Eden è causa di ogni tendenza all'allontanamento dal bene. Dio è massima
perfezione, ma le sue creature non condividono lo stesso stato, l'uomo è ferito, fragile,
incompleto. E in questa fragilità che la tentazione di sfidare la paura del male abbandonandosi al
male stesso genera quell'allontanamento da Dio che è causa di ogni miseria morale.
Ma come può l'uomo salvare la propria anima? "Il giusto sarà salvato per la sua fede" scriveva
San Paolo nella Epistola ai Romani. Molta parte della Chiesa interpretò e interpreta tuttora questa
frase nel senso che l'uomo può salvarsi e raggiungere il Paradiso grazie alle buone opere di cui si
può fregiare sulla terra, il Giudizio Universale sarà il momento in cui Dio assegnerà colpe e
ricompense, grazia e dannazione, in ragione dell'operato dell'uomo. Tuttavia questa visione
porterebbe a un paradosso teologico: se la Salvezza dell'uomo dipendesse dalla possibilità di
scegliere le opere di bene, Dio non avrebbe più alcuna possibilità di esercitare la sua potenza
sugli uomini, in quanto gli uomini stessi, in ragione delle proprie scelte di vita, sarebbero padroni
del proprio destino. Tutto ciò ridurrebbe Dio a semplice certificatore della Salvezza.
Rispondendo all'eresia di Pelagio, che predicava la possibilità dell'uomo di salvarsi senza l'aiuto
di Dio, essendo il peccato originale una colpa gravante sul solo Adamo, Agostino espone la
dottrina della Predestinazione: solo Dio decide in piena autonomia chi salvare o no dalla
dannazione, l'uomo non può che avere fede nella Salvezza, sapendo comunque che l'ultima
parola sulla non può spettare ad altri che a Dio (la dottrina verrà poi ripresa da Lutero e dal
Giansenismo).