PROGRAMMA PASTORALE 1996 - 1997 “ NON SPEGNETE LO SPIRITO ... “ (1 Tess. 5,19) CORRESPONSABILITA’ E PARTECIPAZIONE NELLA CHIESA I- Dare un volto conciliare alle nostre comunità Prima di presentare il programma pastorale 1996-1997 è opportuno collocarlo nel cammino postconciliare della nostra Chiesa. 1. In ogni parrocchia, durante e dopo il Concilio, sono fiorite numerose iniziative per tradurne le indicazioni nei diversi ambiti della vita ecclesiale. Però l’accettazione teorica dell’evento conciliare non sempre ha trasformato il modo comune di considerare e vivere la Chiesa, di programmare e verificare la prassi pastorale. Qualche volta il generoso sforzo nel concretizzare le riforme suggerite dal Concilio non ha favorito l’assimilazione profonda e organica della visione conciliare della Chiesa e della sua missione, e non ha guidato la revisione ragionata, ordinata e con criteri uniformi, delle diverse attività della parrocchia. 2. Il Convegno diocesano concluso nel 1991 ha studiato con decisione il problema dell’accoglienza sostanziale del Concilio per “Dare alla diocesi di Bergamo un volto di Chiesa 1 conciliare”. La severa e seria analisi della situazione è confluita in ricche proposte relative a tutti i momenti dell’esperienza ecclesiale. In particolare si sono puntualizzate le sfide moderne alla fede cristiana: si è sottolineata l’urgenza di formare adulti nella fede, cioè credenti che consapevolmente si lascino guidare dalla parola di Dio nell’interpretare e vivere il quotidiano. Si è richiamata la necessità del coinvolgimento di tutti nella progettazione, attuazione e verifica delle iniziative pastorali. 3. Indubbiamente il convegno ha offerto stimoli e aiuti preziosi per una maggior attenzione al Concilio in modo da proseguire più lucidamente e intensamente lo sforzo di tradurlo nell’esperienza personale e in quella comunitaria. Questo autorevole richiamo a immergersi con decisione nelle ricchezze conciliari suscitate dallo Spirito deve essere ora accolto nella vita quotidiana dalle parrocchie. Infatti soltanto “camminando sui sentieri del Concilio e rinnovando la propria fedeltà a Cristo, la Chiesa ha la certezza di camminare, nella verità e nella carità, accanto agli uomini del nostro tempo, per condividerne la storia, le aspirazioni e gli interrogativi, le gioie e le sofferenze, e tutto illuminare nella luce del Vangelo del Regno annunciato ad ogni creatura. Servire Cristo è infatti, per la Chiesa, servire l’uomo, via fondamentale, della sua missioni” (CEI, Comunione, Comunità e disciplina ecclesiale, 1). 4. Perciò l’ascolto di ciò che lo Spirito vuol dire alla nostra Chiesa in questo momento, delicato e decisivo, non può assolutamente prescindere da quanto il medesimo Spirito ha suscitato nella Chiesa con “l’evento provvidenziale” del Concilio. E il papa afferma che “la miglior preparazione alla scadenza bimillenaria non potrà che esprimersi nel rinnovato impegno di applicazione, per quanto possibile fedele, dell’insegnamento del Vaticano II alla vita di ciascuno e di tutta la Chiesa” (Tertio Millennio adveniente, 20). Approfondendo la visione conciliare della Chiesa, interroghiamoci sul reale influsso nella nostra pastorale delle categorie ecclesiologiche conciliari (popolo di Dio, comunione, corpo di Cristo...) abbondantemente citate ma non sempre determinanti nelle nostre scelte ecclesiali. E’ ancora il papa che, nell’esame di coscienza suggerito alla Chiesa per vivere la conversione giubilare, invita a interrogarsi sulla “ ricezione del 2 Concilio, questo grande dono dello Spirito alla Chiesa sul finire del secondo millennio”. In particolare pone la domanda: “si consolida, nella Chiesa universale e in quella particolare, l’ecclesiologia di comunione della Lumen Gentium, dando spazio ai carismi, ai ministeri, alle varie forme di partecipazione del Popolo di Dio ...?” (Ibid., 36). 5. Desideriamo inoltre prepararci al Giubileo secondo le indicazioni del papa e non disperdere la ricchezza di idee e di esperienza fatta germogliare dallo Spirito nella lunga e feconda storia della nostra Chiesa, in particolare sotto l’impulso e la guida del Concilio. Per questo, con i programmi pastorali di questi anni, si è pensato d’invitare tutte le comunità a rivisitare e ripensare le diverse azioni pastorali per verificarne la “conciliarità”: sono realmente determinate dalla Parola di Dio ascoltata con la Chiesa nella storia contemporanea ? Sono fondate, animate e guidate dalla liturgia “culmine e fonte” della vita del cristiano e delle comunità ? Contribuiscono a costruire delle comunità segno della comunione donata dallo Spirito del Risorto? Comunità profondamente e umilmente inserite nelle vicende dell’uomo d’oggi, per coglierne e chiarirne le domande con spirito di servizio disinteressato? Con l’apporto di tutti si potranno poi gradualmente elaborare delle direttive pastorali comuni idonee a far crescere il volto conciliare delle nostre comunità, a donare unità nelle scelte pastorali inserendole consapevolmente in un disegno chiaro, in modo da evitare la frammentarietà, l’arbitrarietà e l’occasionalità. 6. Come primo passo, con il programma pastorale 1994-1996, si è richiesto a tutte le parrocchie l’elaborazione del piano pastorale parrocchiale e di costruire la programmazione pastorale annuale secondo il solco tracciato dall’anno liturgico. Sicuramente la revisione puntuale e progressiva delle singole attività pastorali permetterà di precisare e arricchire il piano pastorale parrocchiale. Ma è possibile e doveroso tentare di abbozzare le linee fondamentali del cammino della comunità impegnata, secondo il Vangelo, nell’interpretazione e nella risposta dei tumultuosi e provocanti interrogativi che salgono dal territorio; interrogativi non sempre percepiti e ascoltati con attenzione, interpretati con amore, esauditi con chiarezza. E’ un passo 3 necessario per stabilire alcune priorità da tenere presenti in ogni momento dell’attività pastorale e sulle quali orientare lo sforzo di tutti. La fonte, la guida e l’orizzonte ultimo di ogni atto pastorale, e quindi anche delle revisioni programmate per i prossimi anni, è l’anno liturgico che progressivamente introduce la comunità e i singoli credenti nel Mistero di Cristo. Dovrebbe essere il costante punto di riferimento, di sostegno, di verifica e di comunione di tutte le iniziative parrocchiali. Vivendo questo itinerario annuale si sviluppa l’identificazione con Gesù Cristo, matura la consapevolezza del dono ricevuto nel Battesimo e costantemente offerto dall’Eucarestia, crescono la gioia e la capacità di testimoniare l’amore del Signore nella storia concreta. Questi due obiettivi delineano, perciò, il quadro generale e gli obiettivi di fondo del cammino conciliare delle nostre comunità; rappresentano le premesse indispensabili affinchè anche oggi, in una realtà in rapida trasformazione, il Vangelo possa essere predicato, celebrato e testimoniato in un modo adatto ai tempi. Ecco perché li ripropongo con insistenza a tutte le comunità. II - Corresponsabilità e partecipazione Accogliere tutti i doni dello Spirito 1. Il cammino della comunità parrocchiale alla scuola dell’anno liturgico sarà evangelicamente efficace se pensato, progettato, attuato e verificato con il contributo dell’intera comunità; questo coinvolgimento consoliderà uno dei tratti più significativi, e sovente il più disatteso, del volto conciliare della Chiesa: soggetto responsabile dell’azione pastorale della parrocchia è l’intera comunità. La corresponsabilità di tutti i credenti nella vita e nella missione della comunità è fondata dalla realtà comunionale che caratterizza la Chiesa come popolo di 4 Dio, si esprime e si nutre nella consapevole, attiva, dialogante e collaborante partecipazione di tutti all’edificazione del volto della comunità stessa. 2. Infatti “La Chiesa ... è mistero perché l’amore e la vita del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo sono il dono assolutamente gratuito offerto a quanti sono nati dall’acqua e dallo spirito (cfr. Gv 3,5), chiamati a rivivere la comunione stessa di Dio e a manifestarla, comunicarla nella storia (missione)” (Christifideles laici, 8). Ogni comunità ha quindi il compito di accogliere con riconoscenza la comunione di Dio Uno e Trino offerta in Gesù Cristo, viverla nella storia degli uomini per essere segno e strumento della chiamata di tutti gli uomini a vivere la Vita divina nei loro molteplici rapporti. Essere memoria viva e convincente di Gesù Cristo che nella sua esistenza ha vissuto la vita trinitaria in modo perfetto; essere germe del Regno cioè dell’umanità riconciliata con Dio e in se stessa, sostenendo e rinnovando continuamente la speranza dei “cieli nuovi e terra nuova”. 3. Il protagonista principale di questa missione della Chiesa è lo Spirito Santo che <<distribuendo a ciascuno i propri doni come piace a Lui ( 1 Cor. 12,11), dispensa pure tra i fedeli di ogni ordine grazie speciali, con le quali li rende adatti e pronti ad assumersi varie opere o uffici, utili al rinnovamento della Chiesa e allo sviluppo della sua costruzione, secondo quelle parole: “A ciascuno ... la manifestazione dello Spirito è data perché torni a comune vantaggio” ( 1 Cor. 12,7)” >> (Lumen Gentium, 12). 4. La comunità è, perciò, fedele alla sua missione se riconosce, apprezza, coltiva e accoglie nella progettazione e attuazione dei vari ambiti del suo cammino, ciò che lo Spirito le offre nella persona e nell’opera dei credenti, nell’esistenza e attività delle associazioni, gruppi e movimenti. Soltanto l’insieme di questi doni può comprendere ed esprimere meglio la sovrabbondanza e l’imprevedibilità dell’amore del Signore, cioè la comunione con la vita trinitaria definitiva. 5. La partecipazione di tutti, attiva, responsabile e concorde alla progettazione e all’ attuazione della pastorale è pure indispensabile perché la parrocchia sia “coerente alla sua 5 originaria vocazione e missione: essere nel mondo “luogo” della comunione dei credenti e insieme “segno” e “strumento” della vocazione di tutti alla comunione; in una parola, essere la casa aperta a tutti e al servizio di tutti” (Christifideles laici, 27). E’ uno dei modi per testimoniare nella vita la carità accolta nella Parola e celebrata nella liturgia, così da costituire “una comunità cristiana che manifesti in se stessa, con la vita e le opere, il Vangelo della carità” (Evangelizzazione e Testimonianza della Carità, 26). 6. Valorizzando l’esperienza di fede di ciascun fedele, la comunità è idonea a sviluppare meglio l’interpretazione credente dei profondi rivolgimenti che stanno trasformando la realtà sociale e la coscienza comune. E con più lucidità individuerà le opportunità offerte oggi alla forza di riconciliazione generata dal Vangelo, e svelerà in modo convincente i germi di morte presenti nel cammino dell’umanità. 7. Nella parrocchia confluiranno i problemi, le istanze, i bisogni, le gioie e le sofferenze del vivere quotidiano se si darà a tutti la possibilità di condividere la propria esperienza di fede. Soltanto così è possibile formare delle coscienze credenti in grado di comprendere dal di dentro i complessi fenomeni odierni e di viverli alla luce della fede, e di mostrare concretamente che anche oggi lo stile di vita di Gesù Cristo è praticabile in ogni condizione personale e sociale. E’ possibile ed è il modo più ragionevole e valido di stare nella storia, di costruirla come storia di autentica e integrale liberazione, di spiegare e realizzare compiutamente la speranza umana. 8. E la parrocchia è realmente missionaria se, comprendendo e dialogando con i diversi modi di leggere e vivere l’esistenza umana, comunica, nella “lingua” dei suoi interlocutori, Gesù Cristo e i valori da lui vissuti e proposti, testimonia e proclama che Egli è l’autentico interprete e il compimento delle aspirazioni più profonde dell’uomo, di ogni uomo, è l’unica luce che dona significato a qualunque situazione umana. “Se tu conoscessi il dono di Dio ...” 6 9. Quindi, tra le nuove attenzioni richieste alla parrocchia per svolgere adeguatamente la missione di sempre in situazioni radicalmente diverse rispetto al passato, vi è certamente l’apertura al contributo convinto e solidale di tutti i fedeli. Mancando questo contributo il piano pastorale non rifletterà i bisogni reali della comunità, non saprà fornire le risposte adeguate e, anche se formulato perfettamente, rimarrà lettera morta. E in assenza di una precisa assunzione di responsabilità nella vita della comunità non è possibile formare dei cristiani maturi nella fede, cioè ricchi di una appartenenza ecclesiale convinta e significativa per la vita. 10. La partecipazione corresponsabile alla vita della propria comunità ecclesiale, per essere genuina e costante, deve fondarsi sulla consapevolezza della preziosità unica della fede in Gesù Cristo; fede intrinsecamente legata alla Chiesa, dono da comunicare agli altri. La fede è il tesoro più prezioso perchè crea la possibilità di riconoscere e accogliere in Gesù Cristo la verità piena di Dio e dell’uomo, l’unica salvezza dell’uomo, il futuro definitivo dell’umanità e di ogni persona. Rende capaci di stare nella storia con e come Lui, di renderla più umana, perché più ricca dei valori donati da Lui che è l’uomo perfetto. 11. La Chiesa è il luogo nel quale il Risorto ci incontra nella parola, nei sacramenti, nei rapporti fraterni. E noi possiamo appropriarci sempre più profondamente la fede, trasmessa dalla e nella Chiesa, ricevendola da coloro che prima di noi hanno creduto, vivendola con coloro che con noi sono cristiani. 12. E offrendola personalmente e comunitariamente agli altri. Infatti Gesù Cristo è per ogni uomo perchè la sua vicenda riguarda la persona in quanto tale e getta luce piena sulle questioni fondamentali dell’esistenza umana: lo scopo ultimo della vita, il mistero della morte, la gioia e la pesantezza del vivere, l’assurdità del soffrire, la povertà morale, la liberazione integrale dell’uomo, la possibilità di concretizzare la piena fraternità. Se Gesù Cristo è accolto, compreso e vissuto così - e la fede è tutto questo - spontaneamente si desidera condividerLo con gli altri, perché anch’essi possano scoprire e vivere la verità e la preziosità dell’esistenza. “Una volta che abbiamo conosciuto la parola di Dio non abbiamo il diritto di non riceverla; una volta che 7 l’abbiamo ricevuta non abbiamo il diritto di non lasciarla incarnare in noi; una volta che si è incarnata in noi non abbiamo il diritto di conservarla per noi: noi apparteniamo, da quel momento, a coloro che l’attendono” ( M. Delbrêl ). 13. AccoglierLo significa partecipare al desiderio che ha guidato e sostenuto la sua esistenza: rivelare e donare a tutti l’immensità dell’amore del Padre; parteciparvi con l’intensità di San Paolo: “Non è infatti per me un vanto predicare il Vangelo; è un dovere per me: guai a me se non predicassi il Vangelo” (1 Cor. 9,16). Lo si accoglie se si condivide il suo amore per la nostra comunità, cioè se la si ama “come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef. 5,25) per renderla segno luminoso della fraternità caratteristica della famiglia di Dio iniziata da Gesù Cristo: “La dignità cristiana, fonte dell’uguaglianza di tutti i membri della chiesa, garantisce e promuove lo spirito di comunione e di fraternità, e, nello stesso tempo, diventa il segreto e la forza del dinamismo apostolico e missionario dei fedeli laici. E’ una dignità esigente, la dignità degli operai chiamati dal Signore a lavorare nella sua vigna” (Christifideles laici, 17). 14. Quindi uno dei compiti più urgenti della pastorale è la formazione permanente di tutti i credenti perché viva e decisa sia la coscienza che la fede è dono meraviglioso e compito stupendo e carico di responsabilità. Occorre alimentare continuamente una più precisa coscienza del dono e della responsabilità che tutti i credenti, e ciascuno di essi in particolare, hanno nella vita e nella missione della Chiesa. Ciascuno ha il diritto e il dovere di essere in grado di rispondere alla grazia che gli è stata data “ secondo la misura del dono di Cristo” ( Ef. 4,7 ). E’ ciò che ha chiesto il recente Convegno ecclesiale di Palermo: “Chiediamo alle diocesi e alle parrocchie di privilegiare le scelte più idonee a sollecitare la graduale trasformazione della pratica religiosa e devozionale di molti in adesione personale e vissuta al Vangelo. Finalizziamo tutta la pastorale all’obiettivo prospettato dal nostro progetto catechistico: educare al pensiero di Cristo a vedere la storia come lui, a giudicare la vita come lui, a scegliere e ad amare come lui, a sperare come insegna lui, a vivere in lui la comunione con il Padre e lo Spirito santo. In una parola, nutrire e guidare la mentalità di fede” (Con il dono della carità dentro la storia, 13). 8 15. Questa formazione alla mentalità di fede, cioè a stare nella storia secondo lo Spirito testimoniando, nella comunione con tutti i credenti, l’amore perenne di Dio, permetterà al credente di non soccombere di fronte alle sfide attuali anzi di rafforzare la sua adesione a Gesù Cristo, e si accoglierà la Chiesa come costitutivo essenziale della fede e non come un elemento facoltativo che si aggiunge dall’esterno. Sarà, così, più facile correggere e superare le errate o parziali visioni ecclesiologiche presenti, in modo esplicito o implicito, nella coscienza e nel vissuto dei credenti: la parrocchia distributrice di servizi religiosi secondo le leggi della domanda e dell’offerta; maestra di morale da seguire con molte riserve; centro di aggregazione sociale ... E partendo da una visione più corretta della Chiesa si riuscirà a percepire, da parte di tutti, con chiarezza e senza traumi, la nuova situazione nella quale si trova la parrocchia: non è più il naturale punto di riferimento significativo e normativo dell’esistenza per tutti coloro che abitano sul territorio; per tutti la sua voce è da confrontare con tanti altri insegnamenti, e sovente la sua voce sembra più debole. L’essere cristiani è una scelta che non si puo’ dare come ovvia; è una scelta personale e libera che deve essere praticabile e favorita per tutti. Questo è il compito primo della parrocchia. 16. Per rinvigorire la coscienza del dono e del compito affidatoci dal battesimo e riaccolto in ogni Eucarestia sarà molto utile seguire il cammino di preparazione al Giubileo indicato dal papa. In questo primo anno siamo invitati a contemplare con attenzione ed amore “Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, ieri, oggi e sempre”, esplorandone le inesauribili ricchezze nella lettura assidua della Bibbia e nel prendere consapevolezza del vincolo personale, determinato dal battesimo, con Lui e in Lui con tutti i credenti, cioè con la comunità. (Tertio Millennio adveniente, 40-42). Inoltre la Chiesa italiana è invitata a prepararsi alla celebrazione, che si terrà a Bologna, del XXIII Congresso Eucaristico Nazionale sostando davanti all’Eucarestia sacramento di Cristo unico salvatore; sacramento che genera la Chiesa come comunità che, accogliendo in sè l’immensa 9 carità del Padre presente nella Pasqua, diventa memoria concreta e tangibile del Redentore per tutti gli uomini. “ Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date” 17. L’esistenza quotidiana vissuta alla sequela di Cristo è l’apporto più importante all’unica missione della Chiesa, possibile e doveroso per tutti, il più decisivo perché rende efficace tutti gli altri contributi. E’ nel vivere concreto dei credenti che la Chiesa si mostra corpo di Cristo, cresce nella sua santità, rivela la capacità del suo amore di purificare, rinnovare e nobilitare ogni esperienza umana. Lo presenta come pienezza della storia ed insieme presente nel tessuto quotidiano del vivere umano per riversarvi la ricchezza dell’amore del Padre: “La vocazione alla santità...deve dirsi una componente essenziale e inseparabile della nuova vita battesimale...E’ intimamente connessa con la missione e con la responsabilità affidate ai fedeli laici nella Chiesa e nel mondo. Infatti, già la stessa santità vissuta, che deriva dalla partecipazione alla vita di santità della Chiesa, rappresenta il primo e fondamentale contributo all’edificazione della Chiesa stessa, quale Comunione dei Santi” (Christifideles laici, 17). E ancora la Delbrêl : “la parola di Dio non la si porta in capo al mondo in una valigetta: la si porta in sè, la si porta su di sè. Non la si ripone in un angolo di se stessi, nella propria memoria, come ben sistemata sul ripiano di un armadio. La si lascia andare sino in fondo di sè, sino a quel cardine su cui fa perno tutto il nostro essere. Non si puo’ essere missionari senza aver fatto in sè questa accoglienza franca, larga, cordiale alla Parola di Dio...Questa incarnazione della Parola di Dio in noi, questa docilità a lasciarsi modellare da essa, è quel che chiamiamo la testimonianza”. Diciamo grazie ai molti ammalati che, con una forza particolare , rendono presente nelle nostre comunità l’amore e la speranza del Crocifisso; grazie a tutti coloro - e sono molti - che con semplicità e tenacia testimoniano Gesù Cristo nella vita ordinaria, ignorati da noi ma noti al Padre Celeste. 10 18. Si contribuisce all’edificazione della Chiesa mediante la partecipazione personale ai momenti nei quali la comunità, in modo più forte, si lascia incontrare e plasmare dal suo Signore nell’ascolto della Parola e nella celebrazione del culto. Per esempio, nella celebrazione Eucaristica il Risorto più profondamente condivide con la comunità il suo amore al Padre e ai fratelli - e così far crescere il Suo Corpo - se il cuore dei partecipanti è aperto a questo dono. Ancora, la partecipazione attiva all’Eucarestia rafforza il sentirsi responsabili della missione della Chiesa: essere nella storia memoria dell’amore del Crocifisso per il Padre e per l’intera umanità:<< “fare l’Eucarestia” in memoria di Cristo, servo obbediente, sofferente e glorificato, diventa gesto autentico e pieno solo per quelli che dalle celebrazioni escono con la chiara coscienza di essere inseriti attivamente nella grande missione ecclesiale>>( Eucarestia, comunione e comunità, 55). E l’impegno autentico per la parrocchia trova il suo nutrimento nel “Corpo dato e nel Sangue versato” presente nell’Eucarestia; vi contempla il fondamento e il modello della Chiesa mistero, comunione e missione , quindi del proprio servizio. Invece una debole o passiva partecipazione alla Chiesa determina una presenza da spettatore indifferente all’Eucarestia; e un’ Eucarestia subita come dovere da soddisfare, porta a considerare la Chiesa soltanto nei suoi aspetti esteriori, a vederla come peso. 19. Vi è poi il contributo di chi offre la sua opera nell’ambito liturgico, catechistico, caritativo, educativo, amministrativo... Innanzitutto desidero esprimere la mia riconoscenza e ammirazione, unitamente a quella della comunità diocesana, per le molte persone che generosamente e intelligentemente, sovente inosservate e incomprese, lavorano per rendere più feconda la storia delle loro comunità. Sono da apprezzare, valorizzare e aiutare a svolgere nel modo migliore la loro missione; è necessario coinvolgerle non soltanto nell’esecuzione ma anche nella ricerca e nella progettazione delle forme più opportune da adottare nelle attività pastorali. Considerino il loro compito come un’attuazione del dono battesimale; è la risposta al Signore che chiama ogni credente a farsi strumento del suo amore per la comunità ecclesiale e per i fratelli; è un momento importante della loro santificazione. 11 Lo vivano con competenza, con amore e rispetto per il popolo di Dio che ogni giorno li sorregge nel cammino di fede; lo rendano credibile e fecondo con un’intensa vita cristiana, fondata sull’ascolto della parola di Dio, sulla preghiera, sui sacramenti e sulla carità. Non monopolizzino il loro servizio ma si considerino espressione delle comunità e chiamati a sensibilizzare tutti al compito da loro svolto. Siano sempre costruttori di comunione, accrescano in loro e negli altri la coscienza di essere corpo di Cristo. 20. La partecipazione corresponsabile si esprime pure con l’apporto dato negli organismi di partecipazione ecclesiale: consiglio pastorale parrocchiale, consiglio parrocchiale per gli affari economici, l’assemblea parrocchiale, consiglio dell’oratorio. Vorrei evidenziare soltanto alcuni punti relativi al consiglio pastorale parrocchiale: - è obbligatorio per tutte le parrocchie della diocesi; - è il segno della comunione e della fraternità della comunità parrocchiale; - esprime e realizza la corresponsabilità di tutti i membri del popolo di Dio nella costruzione continua della chiesa; - è il luogo del confronto aperto e fraterno per ricercare il cammino suggerito dallo Spirito Santo alla comunità nelle concrete condizioni storiche; - la ricerca deve riferirsi a tutti gli ambiti della vita parrocchiale soffermandosi particolarmente sulle decisioni fondamentali che riguardano l’evangelizzazione continua dei praticanti e dei non praticanti, l’educazione alla fede delle nuove generazioni, l’analisi delle povertà economiche morali sociali, il dialogo con la società, la considerazione degli interrogativi che salgono dal territorio, l’elaborazione delle risposte più opportune; - l’indagine sia sempre illuminata dall’ascolto della Parola, abbia presente il cammino della Chiesa universale e particolare (diocesi), sia attenta alle persone concrete e ai diversi ambienti di vita (famiglia, scuola, mondo del lavoro, mondo della sofferenza...); - la scelta finale sia una reale sintesi del ministero della presidenza, propria del parroco, e la corresponsabilità di tutti i fedeli; 12 - il consiglio pastorale non è l’unico strumento per realizzare la partecipazione corresponsabile, perciò è suo dovere sostenere e valorizzare altre forme di collaborazione e coinvolgere, almeno in alcuni momenti importanti, tutta la comunità. In sintesi il consiglio pastorale parrocchiale deve essere considerato come l’organismo che sostiene la parrocchia nello sforzo di edificarsi sempre più come comunità secondo il Vangelo; comunità aperta ad ogni dono dello Spirito, attenta a servire l’uomo concreto in modo organico e unitario. 21. Ai membri di tale consiglio, oltre quanto è già stato ricordato precedentemente, si richiede: - attenzione, amore e comprensione per l’insieme della comunità; - sensibilità e competenza per l’attività pastorale; - ascolto rispettoso e cordiale degli altri nelle loro diversità, perché espressione della ricchezza dei doni dati alla comunità dallo Spirito; - preoccupazione e impegno nella valorizzazione di tutti i doni dello Spirito per individuare ciò che il Signore dice alla sua Chiesa, qui e ora; - libertà e disinteresse nell’offrire il proprio contributo perché unicamente interessati al disegno del Signore, da scoprire nel leggere ed interpretare insieme la storia concreta illuminandola con la storia di Gesù Cristo; - capacità di comunione profonda perché il consiglio pastorale deve essere esempio di carità fraterna per tutta la comunità; - coscienza di essere Chiesa, cioè soggetti che hanno la responsabilità di sviluppare la missione della Chiesa quale “sacramento universale di salvezza”. 22. Ogni comunità offra poi possibilità e occasioni concrete per il confronto tra credenti impegnati nei diversi ambiti dell’esperienza umana. Confrontarsi non per giudicare o farsi giudicare, nè per ottenere indicazioni concretamente operative, ma per: - discernere insieme la coerenza tra la fede e le scelte concrete; 13 - incoraggiarsi e sostenersi nella fedeltà a Gesù Cristo; fedeltà non facile da determinare e da praticare e, sovente, da vivere in solitudine; -condividere con tutta la comunità la propria esperienza e competenza relative alla storia concreta; condivisione di cui la comunità ha bisogno per impostare correttamente l’azione pastorale; - capire meglio le domande e le proposte dell’uomo, di ogni uomo, anche di quelli che mai parleranno nelle nostre comunità. Collaborazione tra le comunità 23. La comunione e corresponsabilità ecclesiale deve manifestarsi pure nei rapporti tra le comunità parrocchiali, soprattutto se condividono i problemi di un territorio omogeneo e raggruppato nel vicariato. Mi limito a richiamare alcuni passaggi del documento votato dal Consiglio presbiterale diocesano il 12 ottobre 1994 (La Vita Diocesana, 1994, pg. 781 ss). In un discorso tenuto il 18 dicembre 1986 il papa affermava “Le nuove situazioni sociologiche e gli stimoli stessi derivanti dal Concilio Vaticano II, se da una parte continuano ad indicare la insostituibilità della parrocchia nella sua missione ed efficacia formativa, dall’altra mostrano pure la sua non totale autosufficienza in tale impegno. Le nuove situazioni esigono forme di collaborazione e di integrazione a livello interparrocchiale o superparrocchiale” (La vita Diocesana, 1987, pg. 8). Infatti, la vastità e rapidità dei cambiamenti in atto, la fragmentazione della vita e il diverso rapporto con la fede delle persone, rendono difficile il dialogo tra il Vangelo e la libertà umana coinvolta nelle complesse scelte quotidiane. Perciò è quasi impossibile che la singola parrocchia, piccola o grande, riesca a pensare, programmare e attuare le diverse forme di evangelizzazione necessarie per raggiungere le persone nel loro ambiente vitale. Vi sono poi degli ambiti (scuola, sanità, lavoro, mondo sociale e politico, i giovani, l’assistenza...) che superano il territorio delle singole parrocchie e rendono problematica la presenza evangelizzatrice in realtà quasi 14 sconosciute o comunque non raggiungibili dall’attività pastorale ordinaria. Perciò è necessario che la parrocchia si “apra al dialogo con le altre parrocchie e con la realtà del territorio e metta in comune capacità e competenza per una più intensa e incisiva azione pastorale” (Consiglio pastorale diocesano). E’ necessario, quindi riflettere e ricercare insieme, organizzare iniziative comuni o coordinate per rispondere meglio ai bisogni del territorio e per formare dei credenti capaci di stare nelle strutture e nelle istituzioni locali in piena fedeltà al Vangelo e alla realizzazione del bene comune possibile. 24. La comunione e collaborazione fra le comunità parrocchiali del vicariato testimonia che la solidarietà fondata su Gesù Cristo supera ogni confine, accoglie e serve ogni uomo; favorisce la fraternità tra i presbiteri e la loro formazione permanente; arricchisce l’esperienza cristiana di tutti, maturando lo spirito di collaborazione e di condivisione, l’ansia missionaria e il sentirsi corpo di Cristo. 25. L’impegno tenace, vivace e responsabile nell’attività vicariale aprirà la strada per altre forme di collaborazione richieste dalla necessità dei tempi e renderà più ecclesiale e meno campanilistica la nostra vita cristiana. 26. Quindi il vicariato con i due consigli (presbiterale e pastorale) - obbligatori da molti anni - e con altre strutture ed iniziative, non vuole eliminare la parrocchia o aggravarla di altri impegni. Semplicemente si pone come prezioso aiuto perché ogni comunità, rispondendo sempre meglio alla chiamata del Signore, si consolidi nella capacità di stare nel cammino quotidiano delle persone con l’amore e la passione missionaria di Gesù Cristo. Non è necessario enfatizzare l’importanza degli organismi di collegamento ma è doveroso sottolinearne l’importanza per crescere come chiesa, per vincere l’isolamento, per continuare tenacemente una seria e costante azione pastorale in ambienti per tanti aspetti sempre più scristianizzati. 15 Conclusione 27. Ho voluto proporre a tutti, in modo schematico e frammentato, le sollecitazioni che lo Spirito Santo, da diversi anni, invia alle nostre comunità mediante i frequenti interventi del magistero. Sollecitazioni abbondantemente discusse e applicate al cammino delle nostre parrocchie nei mini convegni, nell’assemblea del clero del mese di giugno e nella recente assemblea diocesana. E ancora una volta ringrazio vivamente tutti coloro che hanno partecipato a questi appuntamenti arricchendoli con la loro esperienza di fede e con edificante e appassionato amore per la nostra Chiesa. Vi è poi la preoccupazione di non lasciar inaridire, per pigrizia o per cecità, le molte energie suscitate dallo Spirito Santo nelle diverse categorie del popolo di Dio. Il non aprirsi al contributo di tutti rende difficile la scoperta gioiosa della realtà profonda della Chiesa. E, come già detto, impedisce alle nostre comunità di essere segno che il Vangelo è per tutti e può essere accolto nelle consuete situazioni di vita perché la luce e la grazia di Gesù Cristo sono doni offerti a chiunque lo voglia. Dobbiamo perciò accogliere come particolarmente rivolte a noi le parole pronunciate dal card. Ruini al Convegno di Palermo: “ Forti e ripetute sono state le sottolineature delle necessità e delle concrete possibilità di crescita del laicato cattolico italiano. In effetti, se vogliamo parlare seriamente di missione nella situazione attuale dell’Italia, dobbiamo puntare soprattutto sulla presenza e testimonianza apostolica dei laici, donne e uomini, in ogni ambiente di vita, di lavoro, di responsabilità, con le esigenze di formazione spirituale e missionaria che ne sono l’indispensabile premessa. Specialmente su questo terreno si misurerà la nostra effettiva recezione del Concilio. Solo se sarà forte e creativo l’impegno dei laici, l’antropologia cristiana ha concrete possibilità di incarnarsi storicamente nell’Italia di oggi, come ha saputo farlo ad ogni grande tornante della nostra storia passata. Giustamente dunque è stato chiesto a noi pastori di non avere paura dei laici, ma piuttosto di dar loro spazio, curandone una robusta e intelligente 16 formazione: è un invito che cordialmente accettiamo” (Una Chiesa che testimonia l’amore di Dio, 8). Superando le accuse reciproche e le liti su questioni marginali, dobbiamo impegnarci seriamente per incrementare in ogni membro del popolo di Dio il senso di appartenenza responsabile alla Chiesa: si aderisce a Gesù Cristo nel suo corpo che è la Chiesa. Quindi ogni discepolo di Gesù Cristo è chiamato a dare il suo contributo perché la sua comunità sia come il Signore la vuole. Ha il dovere di offrire a tutti il suo aiuto, ha il diritto di essere accolto e ascoltato. Certamente per esercitare bene questo diritto-dovere occorre la formazione permanente; d’altra parte la partecipazione responsabile alle vicende della propria comunità è condizione essenziale per questa formazione, cioè per divenire adulti nella fede. Con molta lucidità e sincera volontà di conversione verifichiamo la qualità della partecipazione comunitaria alla programmazione e attuazione delle attività della parrocchia, in particolare riflettiamo sulla vita degli organismi di partecipazione ecclesiale. La Vergine Santissima, Madre della Chiesa, illumini e sostenga il cammino delle nostre comunità e le renda sempre più capaci di dare ospitalità alla Parola di Dio e a quelle parole che Egli dice in ogni persona. Bergamo, 4 ottobre 1996, Festa di San Francesco d’Assisi. + Roberto Amadei Vescovo 17