Politica
Por José Luis Jerez
Trad. al italiano por Stefano Santasilia
Qui, più che altrove, si manifesta la necessità di difendere la realtà nei confronti della discorsività e,
più concretamente, nei confronti delle politiche populiste sorrette dal principio nietzscheano per il
quale non esistono fatti ma solo interpretazioni.1 Il problema è che non esiste conflitto di
interpretazioni che non rimandi a un insieme di interessi e di relazioni di potere. In tal senso, le
nostre molteplici interpretazioni non sembrano mostrare mordente contro i grandi centri di potere.
Riguardo a ciò, più che in altri casi, è necessario fare riferimento alla realtà che ci circonda, quella
quotidiana e diretta, al fine di non ridurre i fatti in sé, come la povertà e l’indigenza, a fenomeni
socioeconomici semplicemente registrati in indici e quadri statistici. Senza alcun dubbio, riguardo a
tale questione non bisogna confondere l’ontologia con l’epistemologia poiché, se la filosofia deve
manifestare sfiducia verso qualcosa, questa non deve essere la realtà ma il discorso, il senso piuttosto
che il riferimento, le interpretazioni piuttosto che i fatti. Ossia, di qualsiasi tipo di epistemologia che
si possa presentare piuttosto che dell’ontologia orientata agli oggetti che, in fin dei conti, ci mostra
ciò che è.2
La premessa fondamentale del RA invita ad analizzare qualsiasi discorso politico mettendolo a
confronto con la realtà. Come ogni tesi filosofica deve essere giustamente verificata, allo stesso modo
– e con maggiore rigore – la politica considerando la moda di rimodellare le costituzioni secondo i
propri interessi. Tutto ciò è molto importante in quanto in esso risiede la possibilità di cambiamento
e di trasformazione, ovvero del costruire la nostra realtà sociale, esterna e, quindi, oggettiva. In tal
senso, a differenza degli altri ambiti di discussione, in politica – ad esempio in riferimento allo Stato o
alla divisione dei poteri – non solo il corpo delle leggi viene applicato e messo in atto, ma ciò avviene
alla lettera.
Nella prima edizione di questo libro, ho affermato che nel nucleo fondamentale del RA risiede un
diretto intento politico. Pertanto, il presente capitolo si costituisce come un ampliamento del
discorso. Fin da subito, è importante riconoscere che, in ambito politico, i prodotti filosofici non
sono causa bensì effetto di un susseguirsi di trasformazioni sociali. Da ciò deriva chiaramente che, a
differenza di ciò che afferma Baudrillard, la “lotta di classe” non sorse nel momento in cui Marx le
diede un nome, ma che il suo essere definita non fu che un manifestarsi, discorsivo, di ciò che
accadeva al di fuori della mente (ossia nel “mondo esterno”) di Marx. Negare ciò sarebbe cinico.
Come suole accadere, le questioni politiche vengono risolte in maniera “posizionale”: o a destra o a
sinistra, o socialismo o liberalismo; su un altro piano, o diritti sociali o individuali, o Stato o Mercato
ecc. Il cammino di in terzo analogico sembra sempre impossibilitato. Ciò può essere dovuto
all’ideologia che impregna tutto l’ambito politico. Per questo, a differenza dei problemi economici,
quelli politici vengono “risolti” – ammettendo che si possa parlare di soluzioni – a partire da
“Il sorgere dei populismi mediatici ha reso più semplice la realizzazione di un «addio» alla realtà per nulla capace di
generare emancipazione, senza menzionare l’uso spregiudicato della verità come costruzione ideologica […]. attraverso i
mezzi di comunicazione di massa, e i programmi politici, ha iniziato a regnare il principio di Nietzsche ‘non esistono fatti,
solo interpretazioni’ che pochi anni fa i filosofi avevano proposto come strada per l’emancipazione, presentata come la
giustificazione per fare e dire ciò di cui si ha voglia”. M. Ferraris, Introducción al Nuevo realismo, ed. cit., pp. 26-27.
2 Attualmente in Argentina “quando il Governo parla di «modelli» non intende ingannare bensì esprimere esattamente ciò
che sta realizzando: crea un modello discorsivo della realtà. Una specie di plastico del paese, a grandezza naturale,
prodotta attraverso la logorrea presidenziale, un permanente bla, bla, bla o, come dicono i francesi, una langue de bois
mediante la quale declama, con tono arrogante, astratte banalità dirette a sollecitare le emozioni piuttosto che a fare
riferimento ai fatti”. A. Katz, El simulacro. Por qué el kirchnerismo es reaccionario, Buenos Aires: Planeta, 2013, p. 36.
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posizioni antagoniste, senza alcuna possibilità di dialogo, condizione opposta a quella su cui si fonda
l’ermeneutica analogica.
Come ho mostrato, la filosofia analogica è, innanzitutto, realista (e per questo critica), deliberativa e
prudenziale. Tali connotazioni la salvano dal cadere nel dogmatismo o in posizioni rigide, come
possono essere quelle di sinistra o di destra. Bisogna ricordare che il concetto di analogia affonda le
sue radici nella matematica, con riferimento all’idea di proporzione, di uguaglianza tra due ragioni.
Aristotele utilizzò tale termine per indicare la “proporzione delle relazioni”. Per tale ragione, il
filosofo considera l’analogia come una virtù, come la capacità di mostrare, per esempio, attraverso
l’unità proporzionale tra cose estremamente differenti – e in riferimento al tema politico preso in
considerazione – il meglio del liberalismo e del socialismo.
All’inizio del libro ho trattato della genesi del RA: da un lato l’ermeneutica analogica, dall’altro il
realismo contemporaneo. Considero interessante, in questo capitolo, esaminare la concezione di uno
dei principali esponenti dell’ermeneutica contemporanea, il cui lavoro si colloca a pieno titolo nel
dibattito postmoderno. Tale autore ha svolto una riflessione tanto filosofica quanto politica.3 Infatti,
ha sostenuto che il compito dell’intellettuale è quello di trascendere gli spazi accademici scrivendo su
periodici, e partecipando attivamente al dibattito politico.4 Inoltre, ed è questo ciò che più mi
interessa prendere in considerazione, egli manifesta la convinzione che l’ermeneutica filosofica
costituisca la manifestazione filosofica di una situazione sociale che, politicamente, può essere
identificata con il comunismo. Infatti, sostiene – a mio parere in maniera paradossale (lo spiegherò in
seguito) – che, dal punto di vista politico, solo il comunismo può salvarci. Analizziamo nel dettaglio
le sue argomentazioni.
Come ho già indicato, il filosofo italiano lega l’ermeneutica al comunismo, addirittura affermando che
la prima può rivitalizzare il potenziale del secondo. Non dobbiamo dimenticare che dietro ciò che a
partire dagli anni ’90 è stato chiamato “Socialismo del ventunesimo secolo” – nato a partire dal Foro
de São Paulo, evento che segnò il cammino dei movimenti di sinistra latinoamericani – si registra una
forte presenza dell’ermeneutica filosofica. Vattimo, infatti, assimila l’ermeneutica a quello spettro
fantasmagorico che Marx citava nel suo Manifesto. Di sicuro, però, non si può negare che il pendolo
del dibattito filosofico odierno inclini a favore del realismo e dell’ontologia orientata agli oggetti
piuttosto che verso una pletora di interpretazioni o una disseminazione semantica. In tal senso, se
proprio c’è in giro uno spettro, questo è quello del realismo e non dell’ermeneutica.
Vattimo è lapidario nel suo affermare che il comunismo coincide con l’amore verso il prossimo.
Assunto a partire dal quale difende i modelli politici socialisti presenti, per buona parte, in America
Latina, considerati dal filosofo “efficaci nel loro favorire i deboli”.5 È possibile che Vattimo interpreti
l’efficacia alla luce di quelle politiche sociali latinoamericane che hanno l’obiettivo di ridurre
l’ingiustizia sociale. Non v’è dubbio riguardo al valore di queste politiche sebbene esse abbiano il
compito di generare cittadini (Sapere aude!) indipendenti dal potere statale, non clienti dipendenti da
esso. Da quanto finora detto emerge un dato chiaro e abbastanza realista: se un’attività pensata al fine
di generare cittadinanza viene eseguita in maniera efficace – come afferma Vattimo – essa dovrebbe
produrre indipendenza e non il contrario. Non essendo così, si rende necessario l’esercizio di un
sospetto prudenziale nei confronti di tali politiche.
Affermare che il nucleo fondamentale del RA custodisce un diretto intento politico mi permette di
difendere ancora una volta i fatti rispetto alle interpretazioni (populismo mediatico). Pertanto, se si
tratta di efficacia, la questione va considerata dal punto di vista delle azioni e non solo delle idee
slegate dalle relative conseguenze.
Nonostante tutte le differenze, è possibile individuare alcuni punti comuni tra il pensiero di Vattimo
e il RA qui presentato. Ciò non muta la mia convinzione che la concezione di Vattimo cada in errore
nel voler far coincidere il comunismo con l’apertura che caratterizza, per definizione, l’esercizio
ermeneutico. Ermeneutica è libertà nei confronti delle costrizioni e degli arbitri. Sappiamo bene
come il comunismo sia statalista, e che ogni orientamento politico di questo genere non può darsi (né
avrebbe ragione di essere) se non a partire dal concetto di Governabilità. In altre parole, non v’è
comunismo senza pianificazione centralista. In tal senso, tale concentrazione del potere statale non
ha nulla da spartire con la libertà offerta dall’ermeneutica. Questo il punto di massima incongruenza
tra la concezione di Vattimo che, nel difendere l’apertura democratica, indica il comunismo statalista
come unica salvezza.
In altri termini, Vattimo – e con lui altri intellettuali della sinistra postmoderna – nel criticare la
metafisica occidentale, e così anche il realismo, strutturano una solida obiezione nei confronti della
Gianni Vattimo è stato membro attivo del Partito Radicale, successivamente della Alleanza per Torino (Olivo), e infine
dei Democratici di Sinistra (che abbandonò nel 2004), rappresentandoli presso il Parlamento Europeo.
4 Riguardo a tale questione cfr. G. Vattimo, “Vocación a la filosofía y responsabilidad de la filosofía”, en G. Vattimo,
Vocación y responsabilidad del filósofo, Barcelona: Herder, 2012, pp. 105 y ss.
5 G. Vattimo y S. Zabala, Comunismo hermenéutico. De Heidegger a Marx, ed. cit., p. 169.
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filosofia della “stabilità” e della pianificazione. È noto – almeno dal punto di vista filosofico – che il
divenire eracliteo-heideggeriano-nietzscheano (questa la base del pensiero di Vattimo) costituisce il
centro della scelta postmoderna. Egli stesso afferma che l’ermeneutica porta con sé il rifiuto di
qualsiasi “piano” politico in cui la verità oggettiva sia garanzia dei risultati.6 Facendo un passo
indietro possiamo domandarci cosa sia la Governabilità se non stabilità dei piani politici. Secondo ciò
che dice l’avvocato, e giornalista, argentino José Benegas, la “governabilità è la capacità di un
governo di condurre a compimento le sue politiche senza interferenze o conflitti”.7 In questo senso,
pianificare implica l’eliminare tutto ciò che non rientra nel Piano o nel Modello che il governo ha
elaborato a prescindere dall’esperienza e dalla realtà. Risultano così più chiari i sospetti nei confronti
della prossimità esistente tra l’ermeneutica e il comunismo pianificatore. Nonostante ciò,
l’interpretazione di Vattimo è diametralmente opposta. Benegas conclude la sua riflessione con una
metafora estremamente chiarificatrice: “L’immagine del paese come una barca il cui destino è nelle
mani del capitano ha un carattere tribale e non risponde alla realtà”.8
Se la promessa del comunismo è quella di una società senza classi, pensata come società “senza
dominio” (così la definisce lo stesso Vattimo), come sarà possibile realizzare tale stato di cose
riconoscendo a uno Stato assorbente, esempio contrario a quello di Società aperta, il potere di
regolare tutto l’ambito pubblico?9 Forse Vattimo è più moderato e intende fare riferimento a un
comunismo con uno stato minimo. Anche tale proposta, però, risulta strana.
In maniera coerente con la sua posizione cattocomunista, Vattimo non può che difendere lo
svilupparsi delle politiche latinoamericane socialiste orientate all’intervento sociale, considerandole
“efficaci”. Infatti, egli ha in mente una società utopica, ideale. Egli stesso afferma che “una società
senza classi e, quindi, capace di vivere in pace costituisce l’ideale sotteso a qualsiasi lotta comunista nel
mondo”.10 Ancora una volta è strano che il filosofo che usa come riferimenti Karl Popper e i principi
della società aperta per formulare la sua critica alla nozione di “Verità”,11 rivolga la propria
convinzione politica verso una società utopica, “ideale”. Infatti, lo stesso Popper, al capitolo 9 del
suo La società aperta e i suoi nemici,12 contrariamente a Vattimo, si mostra critico nei confronti dell’ideale
utopico, in quanto “il tentativo utopico di costituire uno stato ideale, che utilizza per la sua
realizzazione un piano sociale totale, esige, di per sé, un governo forte e centralizzato costituito da
poche persone, capace, pertanto, di divenire facilmente una dittatura”.13 Torna, quindi, l’idea centrale
del comunismo che non è altra cosa se non quella di pianificazione e Governabilità. L’utopismo
esiste dove si dà la credenza in uno Stato ideale, per esempio platonico: una società ideale, estatica,
assoluta e immutabile (l’idea platonica resa effettiva!). In questo caso, lo ammetto, mi sento più
nietzscheano dello stesso Vattimo. Consideriamo ciò che lo stesso Nietzsche affermava riguardo allo
Stato, “il nuovo idolo”: “Cos’è lo stato? Attenzione! Aprite gli occhi! Vi parlerò della morte dei
popoli. Di tutti i mostri freddi, quello più freddo è lo stato. Mente freddamente ed ecco la menzogna
che esce dalla sua bocca: «Io, lo Stato, sono il Popolo». Menzogna!”.14
È, dunque, coerente la critica di Popper che, per difendere la Società aperta, esercita nei confronti di
Marx (così come di Platone e di Hegel), mettendo in discussione l’ingegneria utopica, il cui obiettivo
è la ricostruzione razionale della società nella sua interezza, nonostante sia evidente l’impossibilità di
un sapere pratico necessario a tale impresa. Nessuno possiede tale sapere totale e illimitato richiesto
da questo genere di pianificazione; infatti, il pensiero analogico (l’ermeneutica analogica e il RA) si
presenta come sapere incompleto ma sufficiente. Per tutti questi motivi, non smette di sorprendere la
difesa che Vattimo opera a favore dell’utopia comunista considerando che questa non si dà se non
dentro, e a partire da, un’ingegneria centrale, pianificatrice e che ingloba ogni intervento sociale.
Per il filosofo italiano, il comunismo debole del ventunesimo secolo15 - realizzatosi pienamente in ciò
che egli stesso chiama “l’alternativa sudamericana” -, è profondamente differente da quello sovietico
in quanto utilizza procedimenti elettorali di carattere democratico. In accordo con Benegas possiamo
riconoscere, però, che la domanda riguardo al grado di democratizzazione di un sistema non trova
Ibid., p. 172.
Riguardo a ciò, cfr. J. Benegas, 10 ideas que favorecen al despotismo. Las dictaduras del siglo XXI en las mentes de sus víctimas,
Buenos Aires: Grupo Unión, 2014.
8 Ibid., p. 35.
9 Non v’è dubbio, essendo evidente dal punto di vista storico, che la statalizzazione marxista conduca sempre alla
centralizzazione del potere statale e all’intervento di tale potere in ogni livello dell’ordine sociale.
10 G. Vattimo – S. Zabala, Comunismo hermenéutico, p. 174. Il corsivo è mio.
11 G. Vattimo, Adiós a la verdad…
12 Il riferimento è a K. Popper, “Esteticismo, perfeccionismo, utopismo”, (Cap. 9), in K. Popper, La sociedad abierta y sus
enemigos, Buenos Aires: Paidós, 1957, pp. 173-182.
13 Ibid., p. 175.
14 F. Nietzsche, Así habló Zaratustra, Buenos Aires: Edaf, p. 72.
15 Vattimo chiama “debole” questo tipo di comunismo, effettuando un diretto riferimento al suo Pensiero debole, frutto
della sua interpretazione dell’ermeneutica.
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risposta nel suffragio universale, in quanto procedimento formale – come a mostrare che le
arbitrarietà dei governanti sono benedette dal popolo, verso il quale essi mostrano un atteggiamento
amichevole riconoscendo le sue libertà e i suoi diritti.16 In fin dei conti, come afferma lo scrittore
Ricardo Rojas, in America Latina abbondano i “regimi autoritari con base democratica”: “intendo
con ‘regime autoritario con base democratica’ quel governo originariamente legittimo – costituito
secondo regole riconosciute da una valida costituzione, e mediante un processo elettorale genuino e
onesto – ma che successivamente mette in atto manovre illegittime volte ad accumulare del potere
politico, economico e militare spurio, superiore a quello autorizzato dalla Costituzione vigente al
momento della sua instaurazione, e ciò a favore dei membri del governo o di un gruppo specifico, o
al mantenimento di tale condizione oltre i limiti imposti dalla costituzione al momento delle
elezioni”.17
La democrazia, dunque, come mostra una prospettiva basata sulla realtà (RA), non si struttura come
controparte della dittatura. Pensarla in tal modo sarebbe semplicistico e corrisponderebbe ad una
profonda ingenuità dal punto di vista teoretico. Bisogna, invece, analizzare la democrazia dal di
dentro, e questa è una dei tanti compiti del RA. L’impostazione metodologica e programmatica del
RA implica il rifiuto di qualsiasi posizione estrema, foriera di fanatismi totalitari e dispotici. Il RA, al
contrario, si propone di cercare il cammino contrario all’estremismo del totalitarismo partitico,
estremismo che reca in sé il disprezzo nei confronti della realtà. Per tale ragione, il RA propone di
lavorare con serietà nella consapevolezza di un forte impegno ontologico, in quanto non tutto è
uguale e meno ancora in politica che, come sono solito dire, rappresenta il luogo di interpretazioni
superficiali e troppo semplici.
Per un’analisi più ampia del tema, cfr. J. Benegas, 10 ideas que favorecen al despotismo. Las dictaduras del siglo XXI en las mentes
de sus víctimas, ed.cit.
17 R. Rojas, Resistencia no violenta a regímenes autoritarios de base democrática, Buenos Aires: Unión Editorial, 2015, pp. 45 e ss.
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