Nazzarena Zorzella

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GIURISPRUDENZA
Misure di protezione internazionale, permessi umanitari ed
unicità della giurisdizione del giudice ordinario nella più
recente giurisprudenza di legittimità
di Maria Acierno
Sommario: 1. Il quadro normativo delle misure di protezione internazionale alla
luce della giurisprudenza di legittimità; a) Il doppio binario: giurisdizione del
giudice ordinario sul rifugio politico e la giurisdizione del giudice amministrativo
sui permessi umanitari; b) Pluralità delle misure di protezione internazionale ed
unicità della giurisdizione: la giurisdizione del giudice ordinario sui permessi
umanitari - 2. L’ampiezza del diritto alla luce della sentenza n. 26253 del 2009
1. Il quadro normativo delle misure di protezione internazionale alla luce della
giurisprudenza di legittimità
a)Il doppio binario: giurisdizione del giudice ordinario sul rifugio politico e la
giurisdizione del giudice amministrativo sui permessi umanitari
L’esame del quadro normativo delle misure di protezione internazionale consente
di evidenziare come da un impianto originario, fondato esclusivamente sulla
disciplina del procedimento relativo al riconoscimento dello status di rifugiato
politico (art. 1 D.L. n. 416 del 1989 convertito con modifiche nella l. n. 39 del
1990) si sia progressivamente passati alla previsione normativa di condizioni
ostative all’allontanamento, al respingimento e all’espulsione, fondate su ragioni
umanitarie (art. 5, co. 6 e 19, co. 1 del d.lgs. n. 286 del 1998) non fondate sul
fumus persecutionis, fino al riconoscimento esplicito, con l’attuale normazione di
derivazione comunitaria (il d.lgs. n. 251 del 2007 e 25 del 2008), dell’esistenza di
una pluralità di misure di protezione internazionale. Questa evoluzione del diritto
positivo interno ha gradualmente ridotto la distanza tra l’ampiezza della tutela
costituzionale dell’asilo1 e l’effettiva limitatezza degli strumenti concreti di
3. L’art. 10 co. 3 Cost. stabilisce che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese
l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto
Diritto, immigrazione e cittadinanza XII, 1-2010
M. Acierno
protezione umanitaria individuale, azionabili in via giudiziale. In particolare,
l’illustrazione sintetica del regime giuridico, anche di dettaglio, dei permessi
umanitari, consente di comprendere quali siano state le tappe di questa progressiva
riconduzione nell’alveo dei diritti umani di tutte le forme di protezione
internazionale individuabili nel nostro ordinamento, e come i più recenti
orientamenti della Suprema Corte2 abbiano saputo coniugare il quadro
costituzionale ed internazionale3 con l’evoluzione del diritto interno al fine di
iscrivere definitivamente nella categoria dei diritti fondamentali e nella
giurisdizione del giudice ordinario anche i permessi umanitari.
Nell’originario impianto della l. n. 39 del 1990 era previsto esclusivamente che il
questore dovesse rilasciare un permesso temporaneo per la durata del procedimento
di riconoscimento dello status di rifugiato politico allo straniero al quale era stato
consentito l’ingresso a questo fine. Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 286 del
1998, (art. 5, co. 6) nella disciplina giuridica sull’immigrazione viene introdotto il
divieto di revoca o rifiuto del permesso di soggiorno quando vi siano “seri motivi”
di carattere umanitario risultanti dagli obblighi costituzionali4 (art. 10, co. 3 Cost.)
ed internazionali (art. 3 CEDU nell’interpretazione della Corte di Strasburgo) 5
assunti dallo Stato italiano, ovvero viene previsto per la prima volta il rilascio di
permessi di natura umanitaria sulla base del principio di non refoulement anche in
presenza di circostanze non qualificabili come persecuzione individuale ma
comunque caratterizzati da un pericolo effettivo per l’integrità psicofisica dello
straniero. Dall’esame della norma risulterebbe attribuito al questore un potere
discrezionale ampio nel rilascio di questa tipologia di permessi, controllabile
esclusivamente dal giudice amministrativo. Nella realtà se ne farà uso quasi
d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Ritiene
che le misure di protezione internazionale di derivazione comunitaria (con particolare
riferimento alla protezione sussidiaria) abbiano finalmente dato attuazione all’art. 10,
Bonetti, Il diritto d’asilo in Italia dopo l’attuazione della direttiva comunitaria sulle
qualifiche e sugli status di rifugiato e di protezione sussidiaria, in questa Rivista, n. 1.2008
pagg. 13 ss.
2. S.U. n. 11535/2009 in questa Rivista, n. 3.2009, pag. 140; S.U. n. 19393/2009 in
questo numero della Rivista, pag. …..; sez. I n. 26253/09 in questo numero della Rivista,
pag. …
3. Art. 3 CEDU ed art. 4 della Carta dei diritti dell’Unione europea entrata in vigore
definitivamente nell’UE l’1.12.2009.
4
4. Ma la giurisprudenza della Corte è stata oscillante: dalla diretta azionabilità dell’art. 10
nelle sentenze n. 4674/1997 e n. 907/1999 in www.italgiuregiustizia.it, alle più restrittive n.
8423/2004, in www.ialgiuregiustizia.it e 25028/2005 in questa Rivista, n. 2.2006 pag. 93.
Ha aperto al strada ai nuovi orientamenti S.U. 27310 del 2008 in questa Rivista, n. 1.2009,
pag. 127 e quelle che si esaminano in questa nota.
5. Caso Cruz - Varas 20.3.1991; caso Vilvraja 30.10.1991; Caso Saadi 28.2.2008, cit.
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Giurisprudenza
esclusivamente in pendenza dei procedimenti diretti al riconoscimento dello status
di rifugiato, limitatamente alla fase davanti alle Commissioni, essendo quanto mai
frequenti, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità, le revoche dopo il
diniego della Commissione, nonostante l’impugnabilità della pronuncia davanti al
giudice ordinario. Ma il rilievo dei motivi umanitari si riscontra anche nell’art. 19,
co. 1 del d.lgs. n. 286 del 1998 con la previsione del divieto di espulsione o di
respingimento (cui non può che conseguire il rilascio di un titolo di soggiorno
fondato su ragioni umanitarie) per lo straniero che «possa essere oggetto di
persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua,di cittadinanza, di religione, di
opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». All’ampia nozione normativa
si è contrapposta per lungo tempo l’orientamento, ingiustificatamente restrittivo
della Suprema Corte, fondato sulla necessità che la condizione del Paese d’origine
dello straniero debba essere attestata mediante un factum principis ovvero mediante
l’avvenuta adozione degli strumenti collettivi di protezione temporanea previsti dal
successivo art. 20 e non possa essere rimessa alla valutazione individuale del
giudice (Cass. n. 3732 del 2004 e 28775 del 2005). Tale indirizzo, già superato con
la pronuncia n. 16417 del 20076 è stato radicalmente criticato dalla pronuncia delle
S.U. n. 19393 del 2009 in quanto palesemente in contrasto con quello attuale
fondato sul pieno ed incomprimibile diritto umano di richiedere al giudice
ordinario non solo la revisione della valutazione effettuata dalle Commissioni in
ordine alle misure di protezione internazionale previste dall’ordinamento ma anche
la valutazione delle condizioni per il rilascio del permesso umanitario
implicitamente rigettato nel provvedimento finale o rifiutato/revocato dal questore.
Peraltro nell’art. 28 del d.p.r. n. 303 del 1999 (in vigore fino al 21.4.2005) che
contiene le disposizioni di attuazione dei divieti di espulsione e respingimento del
d.lgs. n. 286 del 1998, è espressamente previsto il rilascio di permessi umanitari nei
casi in cui la legge vieta l’espulsione ma, come osservato, tale potere è stato
esercitato dal questore solo in conseguenza della permanenza in Italia degli
stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato sul quale si è
concentrato in via esclusiva, per espressa previsione normativa il sindacato delle
Commissioni fino all’entrata in vigore della disciplina di attuazione della nuova
normazione sull’asilo, introdotta dalla l. n. 189 del 2002.
Il quadro normativo è radicalmente mutato, anche se con scarsi effetti pratici, con
l’estensione del potere di cognizione delle Commissioni territoriali nei casi in cui
pur non ricorrendo le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, si
rende necessario valutare le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi
internazionali assunti dall’Italia ed, in particolare, alla luce dell’art. 3 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In tali casi, l’art. 15, co. 2, lett. c) del
6. In questa pronuncia la Corte ha esaminato la condizione di persecuzione individuale di
uno straniero omosessuale derivante dalla vigenza di una legislazione fortemente omofoba,
fino alla previsione della detenzione in carcere, nel Paese d’origine.
3
M. Acierno
d.p.r. n. 303 del 20047 prescrive che le Commissioni richiedano al questore il
rilascio di un permesso umanitario ai sensi dell’art. 5, co. 6, del d.lgs. n. 286 del
1998.
L’importanza dell’innovazione normativa è stata colta dalla Corte di cassazione
che con la sentenza n. 7933 del 2008, nel dichiarare la giurisdizione del giudice
amministrativo in ordine all’impugnazione del diniego di rilascio di permesso
umanitario da parte del questore, ha espressamente precisato che questa soluzione,
derivante dall’assetto normativo della l. 39 del 1990 e del d.p.r. n. 394 del 1999
vigente fino al 21.4.2005, avrebbe potuto essere rimeditata nel regime successivo
proprio per l’attribuzione alle Commissioni del potere di verificare l’esistenza delle
condizioni per il rilascio di un permesso umanitario e di richiederne al questore
l’attuazione, privando tale organo della discrezionalità amministrativa goduta nel
rilascio dei permessi di soggiorno in tutte le altre ipotesi previste dall’art. 5 del
d.lgs. n. 286 del 1998.8 Deve essere osservato, tuttavia, che la giurisprudenza
prevalente del Consiglio di Stato9 ha, invece, sostenuto che il potere del questore è
comunque privo di autonomia, essendo inscindibilmente collegato alla conclusione
del procedimento davanti alle Commissioni.
Il sistema normativo vigente, fondato sui d.lgs. n. 251 del 2007 e n. 25 del 2008,
fuga ogni residua perplessità sulla pluralità delle misure di protezione
internazionale10 e sulla natura officiosa11 e onnicomprensiva della cognizione delle
7. Recante il regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di
rifugiato e che è stato adottato ai sensi dell’art. 34 della l. n. 189 del 2002 di modifica della
disciplina sul diritto d’asilo.
8. La Corte sostiene che prima dell’entrata in vigore del d.p.r. n. 303 del 2004 il
provvedimento del questore di diniego del permesso per ragioni umanitarie, seguito all’esito
negativo del procedimento davanti alla Commissione centrale non costituisce un atto
meramente sequenziale del procedimento introdotto con la domanda di asilo ma, al
contrario, ha ad oggetto una valutazione politico amministrativa autonoma del questore.
Nella medesima linea interpretativa S.U. n. 5089 del 2008 con riferimento però
all’autorizzazione temporanea a permanere nel territorio dello Stato in presenza di
particolari condizioni, in un Centro di permanenza temporanea, rilasciata dal prefetto nelle
more del procedimento giurisdizionale per il riconoscimento dello status di rifugiato,
prevista dall’art. 17 del d.p.r. n. 303 del 2004.
9. Consiglio di Stato n. 6761 e 6765 del 2005, in www.giustizia_amministrativa.it.
10. Oltre al rifugio politico è prevista la misura della “protezione sussidiaria” che può
essere riconosciuta ad un cittadino straniero nei confronti del quale sussistono fondati
motivi di ritenere che, in caso di ritorno nel Paese d’origine correrebbe il rischio effettivo di
un danno grave ovvero la condanna a morte o alla pena di morte, la tortura o altro
trattamento inumano o degradante, la minaccia grave alla vita e alla persona di un civile
derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od
internazionale (artt. 2 e 14 d.lgs. n. 251 del 2007).
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Giurisprudenza
Commissioni territoriali e del giudice ordinario, prevedendo espressamente all’art.
34, co. 4 del d.lgs n. 251 del 2007 che i permessi umanitari rilasciati alla luce del
regime giuridico vigente, al momento della richiesta di rinnovo devono essere
mutati in protezione sussidiaria e, soprattutto che le Commissioni territoriali sono
tenute d’ufficio quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (inidonei, però,
a consentire l’adozione delle misure protezione tipizzate dal nuovo assetto
normativo) a trasmettere gli atti al questore, per l’eventuale rilascio di un permesso
di soggiorno ai sensi dell’art. 5, co. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998. Si può,
conseguentemente rilevare, senza soluzione di continuità rispetto al regime
disciplinato previsto dal d.p.r. n. 303 del 2004, un netto favore legislativo per
l’esame unico, da parte delle Commissioni territoriali in prima battuta e del giudice
ordinario in sede di riesame, delle condizioni e delle ragioni umanitarie del
richiedente asilo senza alcuna limitazione collegata al principio della domanda, non
operante in questa tipologia di procedimenti. L’organo cui è rivolta una domanda
indistinta di protezione internazionale sarà tenuto ad indagare l’esistenza dei
presupposti per l’applicazione di misure tipiche od atipiche (i permessi umanitari
previsti dal d.lgs. n. 286 del 1998) di natura umanitaria indicando al questore le
modalità di attuazione dei provvedimenti da adottare. Il collocamento dei poteri del
questore al di fuori della titolarità e dell’esercizio della discrezionalità
amministrativa costituirà, come verrà illustrato nel prossimo paragrafo, l’elemento
portante del mutato orientamento della Corte di cassazione in ordine alla
giurisdizione del giudice ordinario sui permessi umanitari unitamente
all’appartenenza unitaria di tutte le misure stabili o temporanee di protezione
internazionale, enucleabili dal nostro sistema delle fonti costituzionali,
internazionali ed interne, al rango dei diritti umani.
b) Pluralità delle misure di protezione internazionale ed unicità della
giurisdizione: la giurisdizione del giudice ordinario sui permessi umanitari
Un tratto caratterizzante i più recenti orientamenti della giurisprudenza di
legittimità riguardanti la condizione degli stranieri è costituito dalla sempre più
decisa affermazione dell’appartenenza dei diritti inviolabili alla persona in quanto
tale, indipendentemente dalla sua nazionalità, origine etnica o geografica, religione
o cultura. La sovraordinazione di questa tipologia di diritti rispetto ai singoli
ordinamenti statuali, già riconosciuta dalla Corte nelle pronunce relative alle
violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista (S.U. n. 14199 del 2008 e
11. Sulle rilevanti conseguenza in tema di onere della prova della natura officiosa dei
poteri cognitivi ed istruttori delle Commissioni e del giudice ordinario anche prima
dell’entrata in vigore della formazione di derivazione comunitaria vedi S.U. n. 27310 del
2008 in questa Rivista, n. 1.2009 p. 127.
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M. Acierno
n. 14201 del 2008, sulla giurisdizione “universale” e sul carattere recessivo degli
altri criteri di radicamento della giurisdizione dei singoli Stati, derivante
dall’assoluta supremazia dei diritti violati), ha avuto un ulteriore, rilevante riscontro
nella pronuncia n. 10504 del 2009, con la quale è stata esclusa l’applicabilità della
condizione di reciprocità stabilita dall’art. 16 delle preleggi ai diritti fondamentali
quali quelli alla vita, all’incolumità ed alla salute che, in quanto riconosciuti dalla
Costituzione devono essere applicati a tutte le persone, senza subire disparità di
trattamento per ragioni di cittadinanza (italiana, comunitaria od extracomunitaria).
Può, conseguentemente, ritenersi un principio tendenzialmente stabile quello
secondo il quale esiste un nucleo di diritti umani contenuti in tutte le Convenzioni
relative ai diritti delle persone sottoscritte dall’Italia12 e riconosciuti con il
medesimo grado di assoluta preminenza dalla nostra Costituzione, i quali godono di
un grado di tutela assoluta potendo essere conformati solo dal contemperamento
con interessi di pari rango. L’appartenenza dei diritti inviolabili della persona ad un
sistema tendenzialmente “universale” delle fonti costituisce il nucleo logico
giuridico dei nuovi orientamenti della Corte sulle misure di protezione
internazionale. La solida base comunitaria sulla quale, la sentenza delle S.U. n.
27310 del 2008,13 aveva fondato la rilevante apertura sul regime dell’onere della
prova, nei giudizi riguardanti il riconoscimento dello status di rifugiato, ha avuto
puntuale conferma nelle ordinanze successive, tutte occasionate da un ricorso per
regolamento preventivo di giurisdizione, allarme di un preesistente contrasto
d’indirizzi tra il giudice amministrativo e il giudice ordinario sui permessi
umanitari. Fin dalla prima pronuncia (n. 11535 del 2009) 14 con la quale è stata
riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario in materia di permessi umanitari,
la Corte ha inteso sottolineare la scelta della continuità interpretativa tra il regime
giuridico previsto dall’art. 32 della L. n. 189 del 2002 che ha modificato l’art. 1
della l. n. 39 del 1990, prevedendo al quarto comma dell’art. 1 quater il potere
delle Commissioni territoriali di valutare la sussistenza delle condizioni per il
rilascio di permessi umanitari e l’art. 15, lettera c) del d.p.r. n. 303 del 2004 con
quello contenuto nell’art. 32 del d.lgs n. 25 del 2008. In particolare, è stata
individuata una netta cesura tra il regime giuridico originariamente introdotto dalla
l. n. 39 del 1990 e quello successivo. Nel primo, era previsto un potere di
cognizione della Commissione centrale limitato alle condizioni per il
riconoscimento dello status di rifugiato per cui il potere del questore di revocare il
permesso umanitario temporaneamente concesso per la procedura, dopo l’esito
negativo della stessa, o di mantenerlo ai sensi dell’art. 5, co. 6 del d.lgs n. 286 del
1998, poteva reputarsi fondato su un’autonoma valutazione discrezionale dei
12. Solo per esemplificare: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; la
Convenzione europea dei diritti dell’uomo; la Carta dei diritti dell’Unione europea.
13. In questa Rivista, n. 1.2009, pag. 127.
14. In questa Rivista, n. 3.2009, pag. 140.
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Giurisprudenza
presupposti per il rilascio od il diniego del permesso umanitario. Nel regime
successivo, invece, secondo le stesse parole della Corte: «appare evidente che la
previsione dell’art. 32 del d.lgs n. 25 del 2008 è nulla più che una organica ed
esplicita regolamentazione del nuovo rapporto tra accertamento valutativo della
Commissione territoriale e potere del questore che era già chiaramente delineato
nella norma introdotta dall’art. 32 della legge n. 189 del 2002 15 […)] di qui
l’attribuzione alla Commissione di tutte le competenze valutative della posizione
del richiedente asilo dalla protezione maggiore […] a quella residuale e temporanea
ex art. 5, co. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998». Le conseguenze di questa ricostruzione
normativa unitaria delle misure di protezione sono di estrema rilevanza. Il
sindacato della Commissione è rivolto «all’accertamento delle condizioni del diritto
alla protezione» ed ha natura tecnica, così come tecnico è l’organo collegiale. Il
riscontro di condizioni ostative al rimpatrio in virtù degli obblighi costituzionali ed
internazionali assunti dall’Italia determina la richiesta di misure attuative da
adottarsi senza alcun potere discrezionale-valutativo da parte del questore, com’è
logico che sia all’esito di una valutazione che riguarda la titolarità ed il
riconoscimento di diritti umani. Infine, la prevista trasformazione ai sensi dell’art.
34 del d.lgs. n. 251 del 2007 dei permessi umanitari in misure di protezione
sussidiaria (ovvero in una delle due forme tipiche di protezione internazionale), al
momento del loro rinnovo evidenzia ulteriormente la loro appartenenza alla
medesima categoria di situazioni soggettive.
Lo spostamento dei permessi umanitari nell’alveo dei diritti soggettivi viene
definitivamente affermato nella successiva ordinanza n. 19393 del 2009, con la
quale la Corte stabilisce la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla
domanda di rilascio di un permesso umanitario anche nella vigenza originaria della
legge n. 39 del 1990, riconoscendo in via generale ed indipendentemente dalla
disciplina normativa interna, legislativa o regolamentare, che la situazione giuridica
soggettiva dello straniero che richiede una misura di protezione internazionale o un
permesso umanitario ha natura di diritto soggettivo da includere tra i diritti umani
fondamentali. Tale diritto che gode della più alta protezione costituzionale (artt. 2 e
10 Cost.) e internazionale (art. 3 CEDU) non può essere degradato ad interesse
legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo al
quale può essere affidato un giudizio di natura esclusivamente tecnica
sull’accertamento delle condizioni per l’adozione della misura di protezione
internazionale od il rilascio di un permesso umanitario mentre il bilanciamento
degli interessi o delle situazioni costituzionalmente tutelate è riservato
esclusivamente al legislatore.
Fin dall’esordio della motivazione viene sottolineata dalla Corte l’insufficienza
della regolamentazione interna e la necessità d’integrare il sistema delle fonti alla
luce degli obblighi costituzionali ed internazionali che proprio l’art. 5, co. 6 del
15. Che ha aggiunto l’art. 1 quater all’art. 1 della l. n. 39 del 1990.
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M. Acierno
d.lgs. n. 286 del 1998 pone a base della valutazione dei “seri motivi” di carattere
umanitario che possono giustificare la richiesta di un permesso temporaneo di
natura umanitaria. Il percorso interpretativo prende l’avvio dall’art. 2 e dall’art. 10
co. 3 Cost. per iscrivere le richieste di asilo nei diritti fondamentali di rango
costituzionale. Prosegue con la Convenzione di Ginevra16 per evidenziarne la
natura di diritti umani e con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo
per desumere una prima rilevante caratterizzazione dei “seri motivi umanitari” dalla
interpretazione della norma fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo17
secondo la quale il diritto a non essere rimpatriato in presenza delle condizioni
ostative indicate nel citato art. 3 non può subire compressioni o bilanciamenti
neanche in comparazione con le esigenze di sicurezza interna dello Stato. Si
arricchisce, infine, dell’art. 18 della Carta europea dei diritti, attualmente vigente in
tutta l’Unione europea per effetto dell’adesione al Trattato di Lisbona, che vieta le
espulsioni e gli allontanamenti collettivi in situazioni analoghe a quelle descritte
nell’art. 3 della CEDU. La Corte non trascura le fonti comunitarie e, in aperta
continuità con la precedente pronuncia n. 27310 del 2008, afferma che il sistema
normativo delle misure di protezione internazionale di derivazione comunitaria ed,
in particolare, le norme che prevedono una pluralità di forme di protezione
internazionale, affidandone ad un unico organo la valutazione dei requisiti al di
fuori del principio della domanda e con attenzione rivolta esclusivamente alla
effettiva condizione del richiedente asilo, costituiscono uno strumento
interpretativo alla luce del quale individuare una lettura “comunitariamente”
orientata del regime giuridico ante vigente.
Ma la vocazione “universalistica” della ricerca delle fonti attraverso le quali
riempire di contenuto la formula “in bianco” dei seri motivi umanitari posti a base
dei permessi , viene così espressa «non sembra dubbio che i motivi di carattere
umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alle fattispecie previste
dalle Convenzioni universali che impongono al nostro Paese di adottare misure di
protezione e garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e
garanzia nella Costituzione non solo per il valore dei diritti inviolabili in forza
dell’art. 2 ma anche perché al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le
diverse formule che li esprimono si integrano completandosi reciprocamente
nell’interpretazione. (Corte cost. n. 381 del 1999)». Il valore della dignità della
persona umana che è alla base del riconoscimento e della valutazione delle ragioni
umanitarie non può che essere considerato esclusivamente ed unitariamente dal
giudice dei diritti non potendo soffrire regimi differenziati a seconda della
16. La Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 è stata ratificata con l. n. 722 del 1954 cui
va aggiunto il Protocollo di New York del 31.1.1967 con il quale l’applicazione è stata
estesa anche a Paesi diversi da quelli dell’Europa dell’est.
17. Caso Cruz - Varas 20.3.1991; Caso Vilvraja 30.10.1991; Caso Saadi 28.2.2008, in
questa Rivista, n. 2.2008 pag. 100.
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Giurisprudenza
graduazione delle misure di protezione internazionale ed umanitaria richieste dallo
straniero o stabilite officiosamente dal giudice. Con questa ampia impostazione
sistematica la Corte supera l’opposto orientamento espresso dal precedente
costituito da S.U. n. 7933 del 2008 ritenendo il parametro della legge interna
ratione temporis applicabile del tutto insufficiente ad offrire una soluzione
adeguata alle domande di tutela dei diritti umani delle persone. Al riguardo non
costituisce un ostacolo interpretativo insuperabile l’art. 6, co. 10 del d.lgs. n. 286
del 1998, secondo il quale contro i provvedimenti riguardanti i permessi di
soggiorno previsti nell’art. 5, è ammesso ricorso davanti al giudice amministrativo
proprio per la peculiarità dei permessi umanitari che a differenza delle altre
tipologie di titoli di soggiorno contenuta nell’art. 5, ha una configurazione
normativa generica che si riempie di contenuto con la correlata disposizione sui
divieti di espulsione per ragioni umanitarie (art. 19, co. 1 d.lgs. n. 286 del 1998), la
quale a sua volta richiama il quadro degli obblighi costituzionali ed internazionali
che costituisce il privilegiato sistema di riferimento per i diritti umani. Infine, molto
opportunamente, la Corte sottolinea che la frammentazione della giurisdizione in
materia di misure di protezione internazionale viola il canone della ragionevole
durata del processo e, si deve doverosamente aggiungere, anche del giusto processo
perché espone la medesima situazione di fatto al rischio di decisioni contrastanti ed
a giudizi, quale quello davanti al giudice amministrativo, non dotati degli stessi
strumenti processuali a garanzia dei diritti della difesa e del contraddittorio, propri
del giudizio davanti al giudice ordinario.
2. L’ampiezza del diritto alla luce della sentenza n. 26253 del 2009
Oltre alla qualificazione del diritto a richiedere asilo come diritto soggettivo
perfetto, sottoposto alla giurisdizione del giudice ordinario anche quando si
manifesti in forme di protezione meno complete da quelle fondate sul
riconoscimento dello status di rifugiato politico, la Corte in una pronuncia molto
recente (Cass. sez. I, n. 26253 del 2009 pubblicata in questo numero della Rivista a
pagg. … e ss.) ha iniziato a definirne il contenuto stabilendo che può essere
azionato fin dall’ingresso anche se illegale all’interno del nostro Paese, in quanto
non suscettibile di alcuna compressione nella fase di accertamento dei requisiti per
il suo accoglimento.
Si tratta della prima pronuncia che affronta il problema della tutela del cittadino
straniero che richiede protezione internazionale al momento del suo arrivo nel
nostro territorio. Il rilievo della decisione deve essere valutato anche alla luce della
contingenza politica in cui si colloca. Sono da non molto cessate le polemiche che
hanno accompagnato le tragiche condizioni delle imbarcazioni provenienti dalla
Libia e bloccate durante il drammatico viaggio verso il nostro Paese ma si tratta di
un’emergenza umanitaria che è destinata inevitabilmente a riproporsi con il forte
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M. Acierno
carico di disinformazione e di diffusa induzione della paura dell’invasione
barbarica. Il richiamo alla cultura dei diritti umani che è contenuto in questa
pronuncia ha un significato ancora più profondo all’interno di questo contesto non
proprio sensibile alle ragioni dell’accoglienza. Inoltre la pronuncia rivela il
percorso accidentato che lo straniero deve intraprendere (se non immediatamente
respinto all’arrivo o prima ancora di entrare in territorio italiano) per esercitare il
diritto di chiedere asilo. In concreto, la Corte ha stabilito che lo straniero, giunto
clandestinamente e trattenuto per accertamenti all’interno dell’aerostazione di
arrivo, ha il diritto di presentare contestuale istanza di riconoscimento della
condizione di rifugiato politico (idonea a sostenere l’accertamento dei presupposti
per qualsiasi misura stabile o temporanea di protezione internazionale) e di
permanere nello Stato, (munito di permesso temporaneo o ristretto nel Centro
d’identificazione) fino alla definizione della procedura avente ad oggetto la verifica
della sussistenza delle condizioni per beneficiare dello status ovvero della
protezione umanitaria. Pertanto il rifiuto, opposto dalla polizia aeroportuale, a
ricevere questa istanza è illegittimo dal momento che l’Amministrazione è
obbligata a recepirla (e d’inoltrarla al questore per l’assunzione delle
determinazioni di sua competenza) astenendosi da alcuna forma di respingimento e
dall’adozione di misure di espulsione che impediscano il corso e la definizione
della domanda presso le Commissioni designate. La formulazione dell’istanza non
consente l’esame preliminare della regolarità od irregolarità dell’ingresso o la
reiezione immediata per il contestuale accertamento di condizioni ostative.
L’esercizio del diritto di richiedere asilo comporta l’obbligo di accertamento,
esclusivamente da parte degli organi competenti, dell’esistenza delle condizioni per
il riconoscimento del diritto azionato. L’autorità amministrativa di polizia, in
quanto titolare di una potestà discrezionale amministrativa, non esercitabile, come
già ampiamente analizzato nelle pronunce precedenti, nei confronti delle domande
relative a misure di protezione internazionale, deve lasciare lo straniero in territorio
italiano, eventualmente in un Centro d’identificazione, ove ne ricorra la necessità in
modo che sulla domanda si eserciti la discrezionalità meramente tecnica delle
Commissioni e il riesame del giudice ordinario, trattandosi di situazioni soggettive
sottratte al bilanciamento e alla potestà conformativa della PA. Con quest’ultimo,
incisivo, intervento si assiste al passaggio da una concezione “statica” del diritto
d’asilo, attenta ad individuare la natura ed il rango della posizione giuridica
soggettiva dello straniero che invoca la protezione internazionale ad un concezione
“dinamica” che si preoccupa della conservazione diacronica delle garanzie di
completezza che caratterizzano l’esercizio del diritto in tutte le complesse fasi del
suo accertamento ed, in particolare, nella fase cruciale dell’accesso alla tutela.
Si può, in conclusione, individuare la progressiva formazione di uno “statuto” del
richiedente asilo con una forte vocazione alla stabilità, dovuta proprio alla natura
delle fonti (costituzionali, comunitarie ed internazionali) che presentano un grado
di rigidità molto superiore a quello delle mutevoli fonti interne, perennemente
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Giurisprudenza
esposte alle variazioni dell’agenda politica e alle pressioni demagogiche, come può
riscontrarsi dall’esame delle ripetute modifiche legislative in ordine alle condizioni
d’ingresso e di soggiorno nonché di espulsione degli immigrati.
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