GIURISPRUDENZA Misure di protezione internazionale, permessi umanitari ed unicità della giurisdizione del giudice ordinario nella più recente giurisprudenza di legittimità di Maria Acierno Sommario: 1. Il quadro normativo delle misure di protezione internazionale alla luce della giurisprudenza di legittimità; a) Il doppio binario: giurisdizione del giudice ordinario sul rifugio politico e la giurisdizione del giudice amministrativo sui permessi umanitari; b) Pluralità delle misure di protezione internazionale ed unicità della giurisdizione: la giurisdizione del giudice ordinario sui permessi umanitari - 2. L’ampiezza del diritto alla luce della sentenza n. 26253 del 2009 1. Il quadro normativo delle misure di protezione internazionale alla luce della giurisprudenza di legittimità a)Il doppio binario: giurisdizione del giudice ordinario sul rifugio politico e la giurisdizione del giudice amministrativo sui permessi umanitari L’esame del quadro normativo delle misure di protezione internazionale consente di evidenziare come da un impianto originario, fondato esclusivamente sulla disciplina del procedimento relativo al riconoscimento dello status di rifugiato politico (art. 1 D.L. n. 416 del 1989 convertito con modifiche nella l. n. 39 del 1990) si sia progressivamente passati alla previsione normativa di condizioni ostative all’allontanamento, al respingimento e all’espulsione, fondate su ragioni umanitarie (art. 5, co. 6 e 19, co. 1 del d.lgs. n. 286 del 1998) non fondate sul fumus persecutionis, fino al riconoscimento esplicito, con l’attuale normazione di derivazione comunitaria (il d.lgs. n. 251 del 2007 e 25 del 2008), dell’esistenza di una pluralità di misure di protezione internazionale. Questa evoluzione del diritto positivo interno ha gradualmente ridotto la distanza tra l’ampiezza della tutela costituzionale dell’asilo1 e l’effettiva limitatezza degli strumenti concreti di 3. L’art. 10 co. 3 Cost. stabilisce che lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana ha diritto Diritto, immigrazione e cittadinanza XII, 1-2010 M. Acierno protezione umanitaria individuale, azionabili in via giudiziale. In particolare, l’illustrazione sintetica del regime giuridico, anche di dettaglio, dei permessi umanitari, consente di comprendere quali siano state le tappe di questa progressiva riconduzione nell’alveo dei diritti umani di tutte le forme di protezione internazionale individuabili nel nostro ordinamento, e come i più recenti orientamenti della Suprema Corte2 abbiano saputo coniugare il quadro costituzionale ed internazionale3 con l’evoluzione del diritto interno al fine di iscrivere definitivamente nella categoria dei diritti fondamentali e nella giurisdizione del giudice ordinario anche i permessi umanitari. Nell’originario impianto della l. n. 39 del 1990 era previsto esclusivamente che il questore dovesse rilasciare un permesso temporaneo per la durata del procedimento di riconoscimento dello status di rifugiato politico allo straniero al quale era stato consentito l’ingresso a questo fine. Con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 286 del 1998, (art. 5, co. 6) nella disciplina giuridica sull’immigrazione viene introdotto il divieto di revoca o rifiuto del permesso di soggiorno quando vi siano “seri motivi” di carattere umanitario risultanti dagli obblighi costituzionali4 (art. 10, co. 3 Cost.) ed internazionali (art. 3 CEDU nell’interpretazione della Corte di Strasburgo) 5 assunti dallo Stato italiano, ovvero viene previsto per la prima volta il rilascio di permessi di natura umanitaria sulla base del principio di non refoulement anche in presenza di circostanze non qualificabili come persecuzione individuale ma comunque caratterizzati da un pericolo effettivo per l’integrità psicofisica dello straniero. Dall’esame della norma risulterebbe attribuito al questore un potere discrezionale ampio nel rilascio di questa tipologia di permessi, controllabile esclusivamente dal giudice amministrativo. Nella realtà se ne farà uso quasi d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge. Ritiene che le misure di protezione internazionale di derivazione comunitaria (con particolare riferimento alla protezione sussidiaria) abbiano finalmente dato attuazione all’art. 10, Bonetti, Il diritto d’asilo in Italia dopo l’attuazione della direttiva comunitaria sulle qualifiche e sugli status di rifugiato e di protezione sussidiaria, in questa Rivista, n. 1.2008 pagg. 13 ss. 2. S.U. n. 11535/2009 in questa Rivista, n. 3.2009, pag. 140; S.U. n. 19393/2009 in questo numero della Rivista, pag. …..; sez. I n. 26253/09 in questo numero della Rivista, pag. … 3. Art. 3 CEDU ed art. 4 della Carta dei diritti dell’Unione europea entrata in vigore definitivamente nell’UE l’1.12.2009. 4 4. Ma la giurisprudenza della Corte è stata oscillante: dalla diretta azionabilità dell’art. 10 nelle sentenze n. 4674/1997 e n. 907/1999 in www.italgiuregiustizia.it, alle più restrittive n. 8423/2004, in www.ialgiuregiustizia.it e 25028/2005 in questa Rivista, n. 2.2006 pag. 93. Ha aperto al strada ai nuovi orientamenti S.U. 27310 del 2008 in questa Rivista, n. 1.2009, pag. 127 e quelle che si esaminano in questa nota. 5. Caso Cruz - Varas 20.3.1991; caso Vilvraja 30.10.1991; Caso Saadi 28.2.2008, cit. 2 Giurisprudenza esclusivamente in pendenza dei procedimenti diretti al riconoscimento dello status di rifugiato, limitatamente alla fase davanti alle Commissioni, essendo quanto mai frequenti, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità, le revoche dopo il diniego della Commissione, nonostante l’impugnabilità della pronuncia davanti al giudice ordinario. Ma il rilievo dei motivi umanitari si riscontra anche nell’art. 19, co. 1 del d.lgs. n. 286 del 1998 con la previsione del divieto di espulsione o di respingimento (cui non può che conseguire il rilascio di un titolo di soggiorno fondato su ragioni umanitarie) per lo straniero che «possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua,di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». All’ampia nozione normativa si è contrapposta per lungo tempo l’orientamento, ingiustificatamente restrittivo della Suprema Corte, fondato sulla necessità che la condizione del Paese d’origine dello straniero debba essere attestata mediante un factum principis ovvero mediante l’avvenuta adozione degli strumenti collettivi di protezione temporanea previsti dal successivo art. 20 e non possa essere rimessa alla valutazione individuale del giudice (Cass. n. 3732 del 2004 e 28775 del 2005). Tale indirizzo, già superato con la pronuncia n. 16417 del 20076 è stato radicalmente criticato dalla pronuncia delle S.U. n. 19393 del 2009 in quanto palesemente in contrasto con quello attuale fondato sul pieno ed incomprimibile diritto umano di richiedere al giudice ordinario non solo la revisione della valutazione effettuata dalle Commissioni in ordine alle misure di protezione internazionale previste dall’ordinamento ma anche la valutazione delle condizioni per il rilascio del permesso umanitario implicitamente rigettato nel provvedimento finale o rifiutato/revocato dal questore. Peraltro nell’art. 28 del d.p.r. n. 303 del 1999 (in vigore fino al 21.4.2005) che contiene le disposizioni di attuazione dei divieti di espulsione e respingimento del d.lgs. n. 286 del 1998, è espressamente previsto il rilascio di permessi umanitari nei casi in cui la legge vieta l’espulsione ma, come osservato, tale potere è stato esercitato dal questore solo in conseguenza della permanenza in Italia degli stranieri richiedenti il riconoscimento dello status di rifugiato sul quale si è concentrato in via esclusiva, per espressa previsione normativa il sindacato delle Commissioni fino all’entrata in vigore della disciplina di attuazione della nuova normazione sull’asilo, introdotta dalla l. n. 189 del 2002. Il quadro normativo è radicalmente mutato, anche se con scarsi effetti pratici, con l’estensione del potere di cognizione delle Commissioni territoriali nei casi in cui pur non ricorrendo le condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato, si rende necessario valutare le conseguenze di un rimpatrio alla luce degli obblighi internazionali assunti dall’Italia ed, in particolare, alla luce dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In tali casi, l’art. 15, co. 2, lett. c) del 6. In questa pronuncia la Corte ha esaminato la condizione di persecuzione individuale di uno straniero omosessuale derivante dalla vigenza di una legislazione fortemente omofoba, fino alla previsione della detenzione in carcere, nel Paese d’origine. 3 M. Acierno d.p.r. n. 303 del 20047 prescrive che le Commissioni richiedano al questore il rilascio di un permesso umanitario ai sensi dell’art. 5, co. 6, del d.lgs. n. 286 del 1998. L’importanza dell’innovazione normativa è stata colta dalla Corte di cassazione che con la sentenza n. 7933 del 2008, nel dichiarare la giurisdizione del giudice amministrativo in ordine all’impugnazione del diniego di rilascio di permesso umanitario da parte del questore, ha espressamente precisato che questa soluzione, derivante dall’assetto normativo della l. 39 del 1990 e del d.p.r. n. 394 del 1999 vigente fino al 21.4.2005, avrebbe potuto essere rimeditata nel regime successivo proprio per l’attribuzione alle Commissioni del potere di verificare l’esistenza delle condizioni per il rilascio di un permesso umanitario e di richiederne al questore l’attuazione, privando tale organo della discrezionalità amministrativa goduta nel rilascio dei permessi di soggiorno in tutte le altre ipotesi previste dall’art. 5 del d.lgs. n. 286 del 1998.8 Deve essere osservato, tuttavia, che la giurisprudenza prevalente del Consiglio di Stato9 ha, invece, sostenuto che il potere del questore è comunque privo di autonomia, essendo inscindibilmente collegato alla conclusione del procedimento davanti alle Commissioni. Il sistema normativo vigente, fondato sui d.lgs. n. 251 del 2007 e n. 25 del 2008, fuga ogni residua perplessità sulla pluralità delle misure di protezione internazionale10 e sulla natura officiosa11 e onnicomprensiva della cognizione delle 7. Recante il regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato e che è stato adottato ai sensi dell’art. 34 della l. n. 189 del 2002 di modifica della disciplina sul diritto d’asilo. 8. La Corte sostiene che prima dell’entrata in vigore del d.p.r. n. 303 del 2004 il provvedimento del questore di diniego del permesso per ragioni umanitarie, seguito all’esito negativo del procedimento davanti alla Commissione centrale non costituisce un atto meramente sequenziale del procedimento introdotto con la domanda di asilo ma, al contrario, ha ad oggetto una valutazione politico amministrativa autonoma del questore. Nella medesima linea interpretativa S.U. n. 5089 del 2008 con riferimento però all’autorizzazione temporanea a permanere nel territorio dello Stato in presenza di particolari condizioni, in un Centro di permanenza temporanea, rilasciata dal prefetto nelle more del procedimento giurisdizionale per il riconoscimento dello status di rifugiato, prevista dall’art. 17 del d.p.r. n. 303 del 2004. 9. Consiglio di Stato n. 6761 e 6765 del 2005, in www.giustizia_amministrativa.it. 10. Oltre al rifugio politico è prevista la misura della “protezione sussidiaria” che può essere riconosciuta ad un cittadino straniero nei confronti del quale sussistono fondati motivi di ritenere che, in caso di ritorno nel Paese d’origine correrebbe il rischio effettivo di un danno grave ovvero la condanna a morte o alla pena di morte, la tortura o altro trattamento inumano o degradante, la minaccia grave alla vita e alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno od internazionale (artt. 2 e 14 d.lgs. n. 251 del 2007). 4 Giurisprudenza Commissioni territoriali e del giudice ordinario, prevedendo espressamente all’art. 34, co. 4 del d.lgs n. 251 del 2007 che i permessi umanitari rilasciati alla luce del regime giuridico vigente, al momento della richiesta di rinnovo devono essere mutati in protezione sussidiaria e, soprattutto che le Commissioni territoriali sono tenute d’ufficio quando ritengano sussistenti gravi motivi umanitari (inidonei, però, a consentire l’adozione delle misure protezione tipizzate dal nuovo assetto normativo) a trasmettere gli atti al questore, per l’eventuale rilascio di un permesso di soggiorno ai sensi dell’art. 5, co. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998. Si può, conseguentemente rilevare, senza soluzione di continuità rispetto al regime disciplinato previsto dal d.p.r. n. 303 del 2004, un netto favore legislativo per l’esame unico, da parte delle Commissioni territoriali in prima battuta e del giudice ordinario in sede di riesame, delle condizioni e delle ragioni umanitarie del richiedente asilo senza alcuna limitazione collegata al principio della domanda, non operante in questa tipologia di procedimenti. L’organo cui è rivolta una domanda indistinta di protezione internazionale sarà tenuto ad indagare l’esistenza dei presupposti per l’applicazione di misure tipiche od atipiche (i permessi umanitari previsti dal d.lgs. n. 286 del 1998) di natura umanitaria indicando al questore le modalità di attuazione dei provvedimenti da adottare. Il collocamento dei poteri del questore al di fuori della titolarità e dell’esercizio della discrezionalità amministrativa costituirà, come verrà illustrato nel prossimo paragrafo, l’elemento portante del mutato orientamento della Corte di cassazione in ordine alla giurisdizione del giudice ordinario sui permessi umanitari unitamente all’appartenenza unitaria di tutte le misure stabili o temporanee di protezione internazionale, enucleabili dal nostro sistema delle fonti costituzionali, internazionali ed interne, al rango dei diritti umani. b) Pluralità delle misure di protezione internazionale ed unicità della giurisdizione: la giurisdizione del giudice ordinario sui permessi umanitari Un tratto caratterizzante i più recenti orientamenti della giurisprudenza di legittimità riguardanti la condizione degli stranieri è costituito dalla sempre più decisa affermazione dell’appartenenza dei diritti inviolabili alla persona in quanto tale, indipendentemente dalla sua nazionalità, origine etnica o geografica, religione o cultura. La sovraordinazione di questa tipologia di diritti rispetto ai singoli ordinamenti statuali, già riconosciuta dalla Corte nelle pronunce relative alle violazioni dei diritti umani perpetrate dal regime nazista (S.U. n. 14199 del 2008 e 11. Sulle rilevanti conseguenza in tema di onere della prova della natura officiosa dei poteri cognitivi ed istruttori delle Commissioni e del giudice ordinario anche prima dell’entrata in vigore della formazione di derivazione comunitaria vedi S.U. n. 27310 del 2008 in questa Rivista, n. 1.2009 p. 127. 5 M. Acierno n. 14201 del 2008, sulla giurisdizione “universale” e sul carattere recessivo degli altri criteri di radicamento della giurisdizione dei singoli Stati, derivante dall’assoluta supremazia dei diritti violati), ha avuto un ulteriore, rilevante riscontro nella pronuncia n. 10504 del 2009, con la quale è stata esclusa l’applicabilità della condizione di reciprocità stabilita dall’art. 16 delle preleggi ai diritti fondamentali quali quelli alla vita, all’incolumità ed alla salute che, in quanto riconosciuti dalla Costituzione devono essere applicati a tutte le persone, senza subire disparità di trattamento per ragioni di cittadinanza (italiana, comunitaria od extracomunitaria). Può, conseguentemente, ritenersi un principio tendenzialmente stabile quello secondo il quale esiste un nucleo di diritti umani contenuti in tutte le Convenzioni relative ai diritti delle persone sottoscritte dall’Italia12 e riconosciuti con il medesimo grado di assoluta preminenza dalla nostra Costituzione, i quali godono di un grado di tutela assoluta potendo essere conformati solo dal contemperamento con interessi di pari rango. L’appartenenza dei diritti inviolabili della persona ad un sistema tendenzialmente “universale” delle fonti costituisce il nucleo logico giuridico dei nuovi orientamenti della Corte sulle misure di protezione internazionale. La solida base comunitaria sulla quale, la sentenza delle S.U. n. 27310 del 2008,13 aveva fondato la rilevante apertura sul regime dell’onere della prova, nei giudizi riguardanti il riconoscimento dello status di rifugiato, ha avuto puntuale conferma nelle ordinanze successive, tutte occasionate da un ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione, allarme di un preesistente contrasto d’indirizzi tra il giudice amministrativo e il giudice ordinario sui permessi umanitari. Fin dalla prima pronuncia (n. 11535 del 2009) 14 con la quale è stata riconosciuta la giurisdizione del giudice ordinario in materia di permessi umanitari, la Corte ha inteso sottolineare la scelta della continuità interpretativa tra il regime giuridico previsto dall’art. 32 della L. n. 189 del 2002 che ha modificato l’art. 1 della l. n. 39 del 1990, prevedendo al quarto comma dell’art. 1 quater il potere delle Commissioni territoriali di valutare la sussistenza delle condizioni per il rilascio di permessi umanitari e l’art. 15, lettera c) del d.p.r. n. 303 del 2004 con quello contenuto nell’art. 32 del d.lgs n. 25 del 2008. In particolare, è stata individuata una netta cesura tra il regime giuridico originariamente introdotto dalla l. n. 39 del 1990 e quello successivo. Nel primo, era previsto un potere di cognizione della Commissione centrale limitato alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato per cui il potere del questore di revocare il permesso umanitario temporaneamente concesso per la procedura, dopo l’esito negativo della stessa, o di mantenerlo ai sensi dell’art. 5, co. 6 del d.lgs n. 286 del 1998, poteva reputarsi fondato su un’autonoma valutazione discrezionale dei 12. Solo per esemplificare: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo; la Convenzione europea dei diritti dell’uomo; la Carta dei diritti dell’Unione europea. 13. In questa Rivista, n. 1.2009, pag. 127. 14. In questa Rivista, n. 3.2009, pag. 140. 6 Giurisprudenza presupposti per il rilascio od il diniego del permesso umanitario. Nel regime successivo, invece, secondo le stesse parole della Corte: «appare evidente che la previsione dell’art. 32 del d.lgs n. 25 del 2008 è nulla più che una organica ed esplicita regolamentazione del nuovo rapporto tra accertamento valutativo della Commissione territoriale e potere del questore che era già chiaramente delineato nella norma introdotta dall’art. 32 della legge n. 189 del 2002 15 […)] di qui l’attribuzione alla Commissione di tutte le competenze valutative della posizione del richiedente asilo dalla protezione maggiore […] a quella residuale e temporanea ex art. 5, co. 6 del d.lgs. n. 286 del 1998». Le conseguenze di questa ricostruzione normativa unitaria delle misure di protezione sono di estrema rilevanza. Il sindacato della Commissione è rivolto «all’accertamento delle condizioni del diritto alla protezione» ed ha natura tecnica, così come tecnico è l’organo collegiale. Il riscontro di condizioni ostative al rimpatrio in virtù degli obblighi costituzionali ed internazionali assunti dall’Italia determina la richiesta di misure attuative da adottarsi senza alcun potere discrezionale-valutativo da parte del questore, com’è logico che sia all’esito di una valutazione che riguarda la titolarità ed il riconoscimento di diritti umani. Infine, la prevista trasformazione ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 251 del 2007 dei permessi umanitari in misure di protezione sussidiaria (ovvero in una delle due forme tipiche di protezione internazionale), al momento del loro rinnovo evidenzia ulteriormente la loro appartenenza alla medesima categoria di situazioni soggettive. Lo spostamento dei permessi umanitari nell’alveo dei diritti soggettivi viene definitivamente affermato nella successiva ordinanza n. 19393 del 2009, con la quale la Corte stabilisce la giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla domanda di rilascio di un permesso umanitario anche nella vigenza originaria della legge n. 39 del 1990, riconoscendo in via generale ed indipendentemente dalla disciplina normativa interna, legislativa o regolamentare, che la situazione giuridica soggettiva dello straniero che richiede una misura di protezione internazionale o un permesso umanitario ha natura di diritto soggettivo da includere tra i diritti umani fondamentali. Tale diritto che gode della più alta protezione costituzionale (artt. 2 e 10 Cost.) e internazionale (art. 3 CEDU) non può essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo al quale può essere affidato un giudizio di natura esclusivamente tecnica sull’accertamento delle condizioni per l’adozione della misura di protezione internazionale od il rilascio di un permesso umanitario mentre il bilanciamento degli interessi o delle situazioni costituzionalmente tutelate è riservato esclusivamente al legislatore. Fin dall’esordio della motivazione viene sottolineata dalla Corte l’insufficienza della regolamentazione interna e la necessità d’integrare il sistema delle fonti alla luce degli obblighi costituzionali ed internazionali che proprio l’art. 5, co. 6 del 15. Che ha aggiunto l’art. 1 quater all’art. 1 della l. n. 39 del 1990. 7 M. Acierno d.lgs. n. 286 del 1998 pone a base della valutazione dei “seri motivi” di carattere umanitario che possono giustificare la richiesta di un permesso temporaneo di natura umanitaria. Il percorso interpretativo prende l’avvio dall’art. 2 e dall’art. 10 co. 3 Cost. per iscrivere le richieste di asilo nei diritti fondamentali di rango costituzionale. Prosegue con la Convenzione di Ginevra16 per evidenziarne la natura di diritti umani e con l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per desumere una prima rilevante caratterizzazione dei “seri motivi umanitari” dalla interpretazione della norma fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo17 secondo la quale il diritto a non essere rimpatriato in presenza delle condizioni ostative indicate nel citato art. 3 non può subire compressioni o bilanciamenti neanche in comparazione con le esigenze di sicurezza interna dello Stato. Si arricchisce, infine, dell’art. 18 della Carta europea dei diritti, attualmente vigente in tutta l’Unione europea per effetto dell’adesione al Trattato di Lisbona, che vieta le espulsioni e gli allontanamenti collettivi in situazioni analoghe a quelle descritte nell’art. 3 della CEDU. La Corte non trascura le fonti comunitarie e, in aperta continuità con la precedente pronuncia n. 27310 del 2008, afferma che il sistema normativo delle misure di protezione internazionale di derivazione comunitaria ed, in particolare, le norme che prevedono una pluralità di forme di protezione internazionale, affidandone ad un unico organo la valutazione dei requisiti al di fuori del principio della domanda e con attenzione rivolta esclusivamente alla effettiva condizione del richiedente asilo, costituiscono uno strumento interpretativo alla luce del quale individuare una lettura “comunitariamente” orientata del regime giuridico ante vigente. Ma la vocazione “universalistica” della ricerca delle fonti attraverso le quali riempire di contenuto la formula “in bianco” dei seri motivi umanitari posti a base dei permessi , viene così espressa «non sembra dubbio che i motivi di carattere umanitario debbano essere identificati facendo riferimento alle fattispecie previste dalle Convenzioni universali che impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione e garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia nella Costituzione non solo per il valore dei diritti inviolabili in forza dell’art. 2 ma anche perché al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano completandosi reciprocamente nell’interpretazione. (Corte cost. n. 381 del 1999)». Il valore della dignità della persona umana che è alla base del riconoscimento e della valutazione delle ragioni umanitarie non può che essere considerato esclusivamente ed unitariamente dal giudice dei diritti non potendo soffrire regimi differenziati a seconda della 16. La Convenzione di Ginevra del 28.7.1951 è stata ratificata con l. n. 722 del 1954 cui va aggiunto il Protocollo di New York del 31.1.1967 con il quale l’applicazione è stata estesa anche a Paesi diversi da quelli dell’Europa dell’est. 17. Caso Cruz - Varas 20.3.1991; Caso Vilvraja 30.10.1991; Caso Saadi 28.2.2008, in questa Rivista, n. 2.2008 pag. 100. 8 Giurisprudenza graduazione delle misure di protezione internazionale ed umanitaria richieste dallo straniero o stabilite officiosamente dal giudice. Con questa ampia impostazione sistematica la Corte supera l’opposto orientamento espresso dal precedente costituito da S.U. n. 7933 del 2008 ritenendo il parametro della legge interna ratione temporis applicabile del tutto insufficiente ad offrire una soluzione adeguata alle domande di tutela dei diritti umani delle persone. Al riguardo non costituisce un ostacolo interpretativo insuperabile l’art. 6, co. 10 del d.lgs. n. 286 del 1998, secondo il quale contro i provvedimenti riguardanti i permessi di soggiorno previsti nell’art. 5, è ammesso ricorso davanti al giudice amministrativo proprio per la peculiarità dei permessi umanitari che a differenza delle altre tipologie di titoli di soggiorno contenuta nell’art. 5, ha una configurazione normativa generica che si riempie di contenuto con la correlata disposizione sui divieti di espulsione per ragioni umanitarie (art. 19, co. 1 d.lgs. n. 286 del 1998), la quale a sua volta richiama il quadro degli obblighi costituzionali ed internazionali che costituisce il privilegiato sistema di riferimento per i diritti umani. Infine, molto opportunamente, la Corte sottolinea che la frammentazione della giurisdizione in materia di misure di protezione internazionale viola il canone della ragionevole durata del processo e, si deve doverosamente aggiungere, anche del giusto processo perché espone la medesima situazione di fatto al rischio di decisioni contrastanti ed a giudizi, quale quello davanti al giudice amministrativo, non dotati degli stessi strumenti processuali a garanzia dei diritti della difesa e del contraddittorio, propri del giudizio davanti al giudice ordinario. 2. L’ampiezza del diritto alla luce della sentenza n. 26253 del 2009 Oltre alla qualificazione del diritto a richiedere asilo come diritto soggettivo perfetto, sottoposto alla giurisdizione del giudice ordinario anche quando si manifesti in forme di protezione meno complete da quelle fondate sul riconoscimento dello status di rifugiato politico, la Corte in una pronuncia molto recente (Cass. sez. I, n. 26253 del 2009 pubblicata in questo numero della Rivista a pagg. … e ss.) ha iniziato a definirne il contenuto stabilendo che può essere azionato fin dall’ingresso anche se illegale all’interno del nostro Paese, in quanto non suscettibile di alcuna compressione nella fase di accertamento dei requisiti per il suo accoglimento. Si tratta della prima pronuncia che affronta il problema della tutela del cittadino straniero che richiede protezione internazionale al momento del suo arrivo nel nostro territorio. Il rilievo della decisione deve essere valutato anche alla luce della contingenza politica in cui si colloca. Sono da non molto cessate le polemiche che hanno accompagnato le tragiche condizioni delle imbarcazioni provenienti dalla Libia e bloccate durante il drammatico viaggio verso il nostro Paese ma si tratta di un’emergenza umanitaria che è destinata inevitabilmente a riproporsi con il forte 9 M. Acierno carico di disinformazione e di diffusa induzione della paura dell’invasione barbarica. Il richiamo alla cultura dei diritti umani che è contenuto in questa pronuncia ha un significato ancora più profondo all’interno di questo contesto non proprio sensibile alle ragioni dell’accoglienza. Inoltre la pronuncia rivela il percorso accidentato che lo straniero deve intraprendere (se non immediatamente respinto all’arrivo o prima ancora di entrare in territorio italiano) per esercitare il diritto di chiedere asilo. In concreto, la Corte ha stabilito che lo straniero, giunto clandestinamente e trattenuto per accertamenti all’interno dell’aerostazione di arrivo, ha il diritto di presentare contestuale istanza di riconoscimento della condizione di rifugiato politico (idonea a sostenere l’accertamento dei presupposti per qualsiasi misura stabile o temporanea di protezione internazionale) e di permanere nello Stato, (munito di permesso temporaneo o ristretto nel Centro d’identificazione) fino alla definizione della procedura avente ad oggetto la verifica della sussistenza delle condizioni per beneficiare dello status ovvero della protezione umanitaria. Pertanto il rifiuto, opposto dalla polizia aeroportuale, a ricevere questa istanza è illegittimo dal momento che l’Amministrazione è obbligata a recepirla (e d’inoltrarla al questore per l’assunzione delle determinazioni di sua competenza) astenendosi da alcuna forma di respingimento e dall’adozione di misure di espulsione che impediscano il corso e la definizione della domanda presso le Commissioni designate. La formulazione dell’istanza non consente l’esame preliminare della regolarità od irregolarità dell’ingresso o la reiezione immediata per il contestuale accertamento di condizioni ostative. L’esercizio del diritto di richiedere asilo comporta l’obbligo di accertamento, esclusivamente da parte degli organi competenti, dell’esistenza delle condizioni per il riconoscimento del diritto azionato. L’autorità amministrativa di polizia, in quanto titolare di una potestà discrezionale amministrativa, non esercitabile, come già ampiamente analizzato nelle pronunce precedenti, nei confronti delle domande relative a misure di protezione internazionale, deve lasciare lo straniero in territorio italiano, eventualmente in un Centro d’identificazione, ove ne ricorra la necessità in modo che sulla domanda si eserciti la discrezionalità meramente tecnica delle Commissioni e il riesame del giudice ordinario, trattandosi di situazioni soggettive sottratte al bilanciamento e alla potestà conformativa della PA. Con quest’ultimo, incisivo, intervento si assiste al passaggio da una concezione “statica” del diritto d’asilo, attenta ad individuare la natura ed il rango della posizione giuridica soggettiva dello straniero che invoca la protezione internazionale ad un concezione “dinamica” che si preoccupa della conservazione diacronica delle garanzie di completezza che caratterizzano l’esercizio del diritto in tutte le complesse fasi del suo accertamento ed, in particolare, nella fase cruciale dell’accesso alla tutela. Si può, in conclusione, individuare la progressiva formazione di uno “statuto” del richiedente asilo con una forte vocazione alla stabilità, dovuta proprio alla natura delle fonti (costituzionali, comunitarie ed internazionali) che presentano un grado di rigidità molto superiore a quello delle mutevoli fonti interne, perennemente 10 Giurisprudenza esposte alle variazioni dell’agenda politica e alle pressioni demagogiche, come può riscontrarsi dall’esame delle ripetute modifiche legislative in ordine alle condizioni d’ingresso e di soggiorno nonché di espulsione degli immigrati. 11