Scheda guida per le consulte zonali di Pastorale Vocazionale ( CONVEGNO ECCLESIALE 2- 4 MAGGIO 2003) La premessa che il “Comitato organizzativo” fa a questo documento richiama la Lettera pastorale del nostro vescovo per l’anno in corso, riprendendone il forte appello a vivere il Convegno come un’importante esperienza di Chiesa per la corresponsabilità e complementarietà di tutte le generazioni e le vocazioni (p. 2). Proprio secondo quest’ottica proponiamo la presente scheda-guida, come aiuto a leggere lo Strumento di Lavoro cogliendone i preziosi rimandi per la pastorale vocazionale. L’introduzione del documento apre con alcune icone bibliche che definiscono l’esperienza di condivisione della fede: per viverla è necessaria l’azione dello Spirito e la docilità ad esso sia in tutta la Comunità che in ciascuna delle sue membra. I quadri offerti dagli Atti degli Apostoli, dall’esperienza dei due discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), dalla comunicazione dell’incontro vitale con il Cristo (1Gv 1,1-3), ci aiutano a porci nella dimensione della comunicazione secondo lo Spirito, in un tempo in cui non riusciamo a comunicare la fede. Il primo capitolo affronta i problemi che si pongono alla Chiesa per la comunicazione della fede oggi. Con la prima questione: la fede cristiana si può trasmettere?, compare anche il primo riferimento vocazionale, ed è un riferimento comunitario, ecclesiale. La fede cristiana è relazione, è grazia di un incontro. Per questo non la possiamo trasmettere, nel senso che non possiamo “travasare” in un'altra persona la nostra libera e personale adesione a Cristo. Però possiamo vivere, celebrare, raccontare, testimoniare la nostra fede. Queste sono le condizioni favorevoli che la Chiesa è chiamata (p. 10) ad offrire perché «nasca la relazione con Dio per mezzo di Cristo nello Spirito Santo» nell’annuncio, nella celebrazione dei sacramenti, nella testimonianza di vita. Con la seconda questione: che cosa trasmettere all’uomo e, in particolare, al giovane d’oggi?, viene ribadita la centralità di Gesù Cristo e l’uomo come via della Chiesa e, dopo aver affermato la necessità di un primo annuncio, vengono riportati alcuni interrogativi tra i quali ci si chiede anche se nel primo annuncio bisogna presentare pure la vocazione finale (p. 14) dell’uomo alla vita eterna. Questo secondo rimando vocazionale ha quindi carattere escatologico, con un approccio di tipo induttivo. Di tipo deduttivo è invece quello che compare alla fine della quinta questione: quali sfide culturali?. Il primo punto di inserzione della fede - presentato come «forse il più efficace» - riguarda il senso della vita, realtà che, «almeno in determinati momenti nodali della propria esistenza, non è possibile evitare» (pp. 23-24). Dunque la domanda vocazionale fa parte delle caratteristiche ontologiche, imprescindibili, dell’essere umano. La pastorale vocazionale può dunque diventare anche pastorale di prima evangelizzazione, proprio in forza della “vocazionabilità” di ogni essere umano. Questo senza dimenticare - come affermato nelle questioni terza e quarta, relative a modalità e mezzi di comunicazione della fede - che di fronte alla fatica di comunicare, condividere, raccontare la fede, non serve giocare a colpevolizzare, a scaricare le colpe addosso a vari agenti o persone. Nemmeno però possiamo rinunciare all’annuncio, estraniandoci dal mondo: «anche questo è tempo buono per il vangelo». Si tratta piuttosto di inculturare la fede ed evangelizzare la cultura, rendendo nuova la presenza della Chiesa nel matrimonio, nella famiglia, nel lavoro, nella scuola, nella realtà pubblica, nella formazione, con pluralità di linguaggi e modalità diversificate. È importante l’uso dei mezzi di comunicazione, ma se la fede è relazione, prioritaria rimane la relazione interpersonale, che richiede anche una coerente testimonianza comunitaria e del singolo membro della comunità. Quando la fede ha perso i sostegni sociali, esige testimoni personali. Nel secondo capitolo, Quale comunità cristiana per comunicare oggi la fede, la tematica vocazionale appare in modo pieno e articolato: ribadendo la necessità di camminare sempre più verso una Chiesa sinodale e meno clericale, viene sottolineata «la necessità e complementarietà delle diverse vocazioni» (p. 27), e la «corresponsabilità» (p. 28) con cui queste sono chiamate a fare della Chiesa una casa di comunione. La figura di comunità da privilegiare, per vivere tale esperienza, è la parrocchia. Significativamente, la vocazione definisce l’identità del cristiano, ma si tratta sempre di un’identità in relazione, che cresce nella misura in cui diventa accoglienza e dono d’amore, nella concretezza della quotidianità. Quello che avviene per il singolo - la chiamata ad uscire da sé per vivere la relazione - avviene anche per l’intera comunità ecclesiale, che diventa così segnata tutta dalla missione. Il rinnovato slancio missionario che ne consegue vede fra le sue preoccupazioni anche «come far nascere nei ragazzi quel gusto per la preghiera e l’ascolto della Parola di Dio, per la ricerca vocazionale e la testimonianza che diventi esperienza continuata anche dopo la ricezione dei sacramenti dell’iniziazione cristiana» (p. 34). È prioritario riconoscere e promuovere i laici. C’è un tessuto di relazioni da ricostruire all’interno della comunità e all’esterno, nel rapporto con il territorio. Non possiamo esimerci da questo perché siamo tutti chiamati a comunicare, raccontare la fede. E siamo chiamati a farlo coinvolgendo anche le nuove generazioni come protagonisti, non solo destinatari, di questo racconto di vita. Nel terzo capitolo, trasmissione della fede alle nuove generazioni: forme e criteri per possibili percorsi, dopo aver ribadito che il convegno di maggio non sarà un convegno giovanile, ma un Convegno ecclesiale, che riconosce i giovani credenti come soggetti attivi dell’intera comunità cristiana, vengono presentate forme e criteri che chiamano in causa direttamente anche la pastorale vocazionale: - l’attenzione a diversificare i percorsi, presuppone come obiettivo la maturazione di un cristiano adulto raggiunta con itinerari adatti, «che portino all’incontro con Cristo e all’assunzione della propria vita come vocazione nella Chiesa per il mondo» (p. 36); - la proposta del PLIC (Piano di lavoro per l’iniziazione cristiana); - i laboratori della fede che, secondo la Lettera pastorale del nostro vescovo, sono «luoghi nei quali si educa al gusto per l’ascolto della Parola di Dio, per la preghiera, per la risposta vocazionale, per la capacità di leggere il mondo in profondità, per il coraggio di assumersi delle responsabilità» (p. 39); - le forme di primo annuncio prospettate per una ripresa della vita cristiana chiedono che non venga sottovalutata «la domanda religiosa, la domanda di senso che è spiccata soprattutto nell’età giovanile» (p. 41); occorre ridire il vangelo, nel rispetto di ognuno e della comunità, coinvolgendo anche i giovani come testimoni per i coetanei; - l’attenzione ai luoghi della vita, «poiché specialmente i “luoghi” dei giovani suscitano spesso domande di senso, che possono e debbono diventare luoghi di offerta di ragioni di vita… nessuno va considerato “lontano” o “perduto”» (p. 43); l’ottica vocazionale riporta dunque alla verità della gratuità del dono della fede; - pensare ad una pastorale policentrica ci rimanda ad una «pluralità di soggetti pastorali» (p. 45) nel riconoscimento della diversità di carismi e ministeri a servizio della nuova evangelizzazione. Se poi, come ricorda il nostro vescovo nella sua Lettera pastorale, l’evangelizzazione è nuova perché fatta insieme, occorrerà - oltre che coinvolgere una pluralità di soggetti pastorali - anche ritessere il rapporto con il territorio, coltivare l’attività pastorale negli ambiti di vita dei giovani privilegiando scuola, lavoro, tempo libero, pur mantenendo sempre il collegamento con il riferimento imprescindibile della realtà parrocchiale. La conclusione del documento ha un riferimento vocazionale individuale ed ecclesiale: «il Signore chiama tutti a “lavorare nella sua vigna”» (p. 47). Lo Strumento di lavoro è nato nella consapevolezza che la comunicazione della fede non può essere delegata a qualcuno. Anche il servizio delle Consulte Zonali di Pastorale Vocazionale si muove in quest’ottica: aiutare ogni cristiano e ogni comunità ad essere sempre più fedele alla sua vocazione: fedele a Dio che chiama e alla persona che è vocata in modo originale e complementare. Il servizio che svolgete è prezioso perché siete “ponte” non solo tra la diocesi e le vostre parrocchie, ma anche tra varie persone che all’interno della vostra realtà di Chiesa locale lavorano nella vigna del Signore. Siete stati e continuate ad essere un tassello importante perché il «Convegno ecclesiale sia un momento di discernimento comunitario, dal quale dipende il futuro cammino della nostra Chiesa» (p. 47).