Introduzione
Uno scorcio sul mondo bancario
La situazione odierna del mondo bancario mondiale viene ad essere caratterizzata dall’effetto mutui
subprime che diffusasi inizialmente negli Stati Uniti, da qui sembra aver preso spinta per una
diffusione su larga scala, avendo risonanza in Europa, e in Italia che fin ad allora erano state
decisamente estraniate da un tale contesto.
A fine estate del 2007, quindi, trapelò la notizia di un coinvolgimento, o meglio esposizione da
parte di istituti di credito italiano, quali Capitalia, Intesa-Sanpaolo, e non per ultima Unicredito, nel
sistema mutui high risk di origine statunitense. Divenirono sempre più frequenti quesiti sulla
sostenibilità del sistema creditizio italiano difronte a una crisi di tale entità, incanalata verso un
percorso di incrementazione del fattore rischio nel tempo.
I mercati sembrano trovare sollievo solo dall’adozione da parte degli organi centrali di gestione
monetaria di una politica restrittiva dei tassi d’interesse, tuttavia mantenendosi un sentiment di
fondo negativo, con le borse azionarie europee ai minimi del periodo.
Il tema subprime, pone l’obbligo, prima di addentrarsi nei meandri di tale argomentazione, di
soffermarsi sul concetto stesso di questo fenomeno. I mutui subprime vengono ad essere mutui, che
vengono concessi da società specializzate, a soggetti con minori credenziali, non in grado di
dimostrare un’adeguata solidità finanziaria. Tali mutui, offerti a tassi più elevati rispetto a quelli di
mercato per far fronte al maggior rischio d’insolvenza intrinseco nella controparte, a causa del
costante aumento dei tassi d’ interesse che ne ha incrementato notevolmente il costo, hanno portato
i debitori a trovarsi in una situazione di default. Questi debiti contratti per i mutui subprime sono
stati, successivamente, cartolarizzati1 dagli istituti finanziari e quindi rivenduti sul mercato
sottoforma di obbligazioni ad alto rendimento (e di conseguenza high risk), acquistate da molti
investitori istituzionali di diverse nazionalità.
Fonti statistiche ci forniscono dati di profonda riflessione, quale l’elevata diffusione verificatasi
negli Stati Uniti, dove dal 1998 un mutuo su quattro viene ad essere considerato subprime. La crisi
in America, tuttavia, si è innescata nei primi mesi del 2007, quando la New Century Financial,
1
Securatization: è un'operazione finanziaria complessa con la quale si possono smobilizzare crediti omogenei aventi
caratteristiche di rientro diluito nel tempo (mutui ipotecari, mutui chirografari, credito al consumo, leasing finanziario,
sofferenze, ecc.) ottenendo liquidità immediata. I crediti vengono ceduti ad una società di nuova costituzione (Special
Purpose Vehicle o società veicolo) che, forte della proprietà di tali attività, emette dei titoli normalmente sottoscritti da
investitori istituzionali. Parte del rischio insito nel credito smobilizzato viene "ceduto" ai sottoscrittori dei titoli, ma la
gran parte di questo rimane in capo all'originator (l'istituto che ha erogato il credito).
In Italia il termine securitization viene tradotto con ‘cartolarizzazione o titolarizzazione dei crediti’, ma per dare una
definizione completa ed esauriente, soffermandosi, ma solo in prima analisi, sull’aspetto economico dell’istituto,
possiamo seguire la definizione che viene fornita dall’ABI: “La securitization è una tecnica finanziaria mediante la
quale i flussi di cassa derivanti da impieghi creditizi, mutui od altre classi di attivo predeterminate, vengono selezionati
ed aggregati al fine di costituire supporto finanziario e garanzia ai titoli (asset backed securities), rappresentativi di tali
classi di attivo, collocati nel mercato di capitali.
seconda società Usa specializzata nel settore dei mutui ipotecari ad alto rischio e quotata in borsa, è
ricorsa al Chapter 112, riducendo a meno della metà la sua forza lavoro e tentando attraverso un
riassetto della struttura societaria di evitare il default. Altre società, in un secondo momento si sono
trovate nella stessa situazione, dovendo effettuare notevoli ridimensionamenti dell’organico e
subendo improvvisi crolli delle quotazioni azionare fino a quasi il totale del loro valore vigente.
Non appena furono lanciati i primi segnali di allarme da enti istituzionali, i grossi investitors
(banche d’affari e fondi d’investimento), avendo in portafoglio mutui subprime cartolarizzati
iniziarono freneticamente a venderli, provocando panic selling3 sui listini internazionali. Per
calmierare la crisi in atto, gli istituti di politica monetaria , quali la Fed, per il mercato statunitense,
e la Bce4, per quello europeo, vengono ad essere costrette ad iniettare più volte nel mercato ingenti
quantità di liquidità attraverso pronti contro termine5, con lo scopo di sostenere il mercato stesso ed
evitare ulteriori crolli repentini delle valutazioni borsistiche. Nel contempo la Fed è stata costretta a
provvedere ad un abbassamento dei tassi d’ interesse (che probabilmente verrà ad essere seguito da
ulteriori tagli futuri) con il presupposto di riportare stabilità nel settore.
La situazione sul territorio europeo sembra essersi evoluta in maniera non uniforme, con il territorio
italiano rimasto esente da scandali di carattere bancario, che si son manifestati, con risonanza
globale, in Gran Bretagna con la Northern Rock, o in Francia con Société Générale o in Germania
con Ikb. La motivazione di tale differenziazione sembra essere stata, da parte degli istituti di credito
italiani, l’adozione di un processo di consolidamento al di fuori d'interferenze politiche, il costituire
una forte base di depositi, e la risicata gestione di prodotti derivati o statunitensi. Una riflessione è
d’obbligo sul fatto che la finanza americana sia deragliata in preda ad un processo "creativo" che ha
2 Si fa riferimento alla procedura prevista dal capitolo 11 del Bankruptcy Code statunitense (equivalente alla nostra
legge fallimentare), finalizzata alla soluzione della crisi dell'impresa attraverso un piano di riorganizzazione e molto
simile al nostro concordato preventivo. Anche il chapter 11 è volto infatti al soddisfacimento dei creditori, ma
contemporaneamente alla conservazione dell'attività dell'impresa in crisi. Durante la procedura: a) il debitore mantiene
il possesso dei propri beni; b) i creditori non possono aggredire tali beni.
Il piano può avere il contenuto più vario, può prevedere il soddisfacimento integrale di alcuni creditori e parziale di altri
(salvo il diritto dei creditori garantiti di essere sempre soddisfatti interamente, nella misura della garanzia), e può
suddividere i creditori stessi in classi.
Una volta approvato dalla maggioranza dei creditori, il piano deve essere valutato dal tribunale ai fini
dell'omologazione. Se non sono state proposte opposizioni, il tribunale accerta solo che il debitore sia in buona fede e
che non siano state violate norme imperative.
In caso di opposizioni, il tribunale deve accertare anche che il piano sia realizzabile e che sia idoneo a soddisfare i
creditori più di quanto avrebbero ricevuto se il debitore fosse fallito.
L'omologazione chiude la procedura e libera il debitore da tutti i debiti antecedenti (cosiddetto discharge).
3
Termine indicante l’innesco di una fase di mercato fortemente ribassista, in corrispondenza della quale gli investitori
raggiungono il più alto grado di pessimismo, senza che gli indici soggetti al calo trovino livelli di supporto significativi
da cui poter mettere a segno un rimbalzo. Spesso si presenta nella fase finale di andamento ribassista dei mercati
finanziari.
4
La Banca centrale europea (BCE o European Central Bank - ECB - nella dizione inglese), affiancata nell’operatività
d’oltre oceano dalla Federal Reserve (abbreviata con FED), banca centrale degli Stati Uniti d'America.
5
Pronti contro termine: sono operazioni con le quali un venditore cede un certo numero di titoli (pronti) e si impegna,
nello stesso momento, a riacquistarne uguale quantità a un prezzo e ad una data (termine) predeterminati. L'operazione
consiste, quindi, in un prestito di denaro da parte dell'acquirente e un prestito di titoli da parte del venditore.
alimentato la proliferazione di prodotti scadenti e complessi piazzati su molteplici mercati mondiali,
mentre la capacità di solving da parte delle fasce più deboli della popolazione era inversamente
proporzionale all’incremento dei tassi d'interesse legati al rising inflation6. La crisi di liquidità e il
recente calo delle Borse hanno creato un effetto panico generalizzato, dove i banchieri italiani,
tuttavia, considerati più prudenti e meno aggressivi di quelli di Wall Street e della City, in un
mondo sempre più globale e complesso, caratterizzato dalla creazione di prodotti sempre più
sofisticati, definiti dalla capacità di saper inviduare lo step massimo di rischio assumibile per una
corretta gestione dello stesso. La regola aurea nell’operatività di mercato è legata all’inviduazione e
gestione ottimale del rischio attraverso l’incremento delle competenze e dei controlli.
Per quasi mezzo secolo i mercati interbancari sono stati considerati un esempio di efficienza e
autoregolamentazione. La liquidità risultava abbondante, i rischi di controparte considerati
irrilevanti, mentre le autorità monetarie riuscivano a governare il livello dei tassi lungo quasi
l’intera curva per scadenza. A ben guardare, tuttavia, alcune di queste caratteristiche risultano del
tutto peculiari rispetto agli altri mercati creditizi. Infatti, incomprensibilmente, i rischi di credito non
erano affatto prezzati giacchè intermediari deboli potevano indebitarsi alle stesse condizioni di
banche ben più grandi e solide, mentre i tassi su impeghi bancari non garantiti risultavano
schiacciati verso quelli offerti dalle banche centrali per prestiti ben collateralizzati.Con la crisi
finanziaria il mondo sembra essersi improvvisamente rovesciato giacchè i mercati interbancari son
divenuti il barometro della difficoltà del sistema. La liquidità si è rarefatta, le banche meno solide
faticano ad ottenere credito, o lo ottengono a tassi più alti delle banche con migliori rating, e
sopratutto i differenziali tra tassi a brevissima scadenza (overnight7) e quelli a un po’ più lunga si
sono aperti notevolmente, non rispecchiando più esclusivamente le aspettative circa il futuro
andamento dei tassi ufficiali. Le conseguenze di tutto ciò è che oggi le autorità monetarie riescono a
governare solo i tassi a brevissima scadenza e il differenziale fra tassi ufficiali e quelli interbancari
oltre la settimana si è molto ampliato. Seppure taluni di questi cambiamenti non fanno altro che
allineare i mercati interbancari agli altri mercati dei crediti, la loro dimensione è tavolta patologica e
merita un’accurata analisi. Ciò risulta tanto più vero se si pensa al ruolo di tali mercati nella
gestione delle tesorerie delle banche, quale parametro di riferimento sul quale son indicizzati un
notevole numero di strumenti finanziari. E’ comprensibile allora la preoccupazione degli operatori
nonché delle banche centrali che hanno dedicato un inusitato impegno a ripristinare il
funzionamento, senza per altro ottenere risultati significativi. I due punti di lettura della situazione
sono: per gli europei il divario (tassi interbancari/ufficiali) riflette un rischio di credito, per la Fed il
6
Effetto inflazionistico del rialzo dei prezzi: implica una politica monetaria restrittiva.
Overnight rate, letteralmente "da un giorno all'altro", è il tasso di interesse che si riferisce ad un orizzonte temporale
della durata di un giorno. Tipicamente è il tasso interbancario applicato ad un prestito erogato oggi ed estinto domani.
7
differenziale è legato alla carenza di capitale nelle banche. Nessuna delle due spiegazioni sembra in
grado di spiegare a pieno le anomalie riscontrate. I differenziali lungo la curva dei tassi interbancari
appaiono, in effetti, troppo ampi per giustificare rischi di controparte tutto sommato limitati nel
breve periodo. Esiste un’altra ragione che riguarda la gestione delle passività: tutte le banche
cercano di non indebitarsi a brevissimo termine per finanziare gli impieghi a più lungo termine, al
fine di evitare che shock di liquidità abbiano conseguenze disastrose sulla loro reputazione. Nessuna
banca vuole dichiarare al mercato e alla banca centrale di essere esposta troppo sul brevissimo
termine, ciò impedisce di effettuare arbitraggi che renderebbero la curva dei tassi interbancari più
piatta e vicina ai tassi ufficiali presenti e attesi. A questo tipo di situazioni non esistono soluzioni
semplici poiché, da un lato, non appare né corretto né opportuno abbandonare una più prudente
politica di gestione del passivo delle banche, dall’altro, non è pensabile che le autorità monetarie
possano controllare per via diretta tutta la curva dei tassi a breve. Solo il tempo permetterà di
riequilibrare gradualmente la struttura del passivo delle banche e di rendere la curva dei tassi
interbancari meno sensibile ai rischi di liquidità. Moody’s8 certifica ufficialmente lo stato di crisi
del sistema creditizio e soprattutto lascia intendere che turbolenze continueranno ad agitare i
mercati e la finanza per tutto l’anno. Nel secondo trimestre del 2008 la qualità del credito in Europa
è scesa ai minimi degli ultimi cinque anni. Colpa aumento inflazione e del rallentamento della
crescita economica, ossia uno scenario di stagflazione, se si aggiungono anche meno utili per le
aziende, ecco che per Moody’s, i rischi di fallimenti societari probabilmente aumenteranno. Se i
mutui subprime, hanno innescato una crisi che a detta di molti è la peggiore dal crollo di Wall Street
del 1929, anche perché nelle maglie del sistema si è aperta una falla, e qualcosa nei controlli non ha
funzionato.
Anche per gli istituti italiani che fino ad oggi sono rimasti ai margini della crisi subprime, il quadro
si è fatto più difficile, la ragione è semplice: sulla difficoltà di aumentare il capitale si è innestata
anche la crisi dei mercati azionari, che rende più complicato il processo di riduzione della leva
finanziaria. Gli istituti di credito continuano a perdere valore, ma ciò che preoccupa oggi è la
riduzione degli utili. Nel primo trimestre di quest’anno, i profitti dei cinque maggiori gruppi bancari
(Unicredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi, Ubi Banca) si sono ridotti di circa un terzo rispetto
allo stesso periodo del 2007. La redditività del settore nel 2007 non è stata sostenuta dall’operatività
8
Moody's Corporation è una società con base a New York, che esegue ricerche finanziarie ed analisi su attività
commerciali ed istituzionali. L'azienda produce, inoltre, un omonimo rating per le attività che analizza, indice che
misura la capacità di solving per i crediti ricevuti in base ad una scala standardizzata, e suddivisa tra debiti contratti a
medio e lungo termine.
Moody’s vanta una posizione di rilievo nella finanza strutturata italiana, con una quota di mercato di oltre il 90% sin dal
1999 e l’assegnazione di rating a più di 400 tranche. Tra gli attivi interessati da operazioni di cartolarizzazione
figurano: crediti al consumo in bonis e in sofferenza, mutui ipotecari su immobili ad uso abitativo o commerciale,
contributi di previdenza sociale ed altri attivi del settore pubblico, contratti di leasing e crediti commerciali su
autoveicoli.
ordinaria, ovvero dall’erogazione del credito e dalla domanda di finanziamenti, ma soprattutto da
operazioni straordinarie. Ma non solo una questione di numeri, la via d’uscita dalla fragilità
innestatasi nel sistema passa per un recupero della competitività e per una maggiore concorrenza. I
problemi aperti più pressanti riguardano la portabilità dei mutui, la commissione di massimo
scoperto, la trasparenza delle condizioni contrattuali. Ormai è concorrenza vera, combattuta in un
crescendo di pubblicità e colpi di scena. Le banche tradizionali riducono i costi, siamo entrati
nell’era della competizione anche nel settore dei servizi di credito retail, per privati e famiglie. La
chiave del successo per le banche sarà sempre più in funzione della volontà di avere rispetto e
capacià di collaborazione nei confronti del cliente.Gli istituti di credito sono messi a dura prova su
vari fronti: il primo è il rallentamento economico, crescita quasi azzerata e crisi mercati finanziari,
nel medio periodo si faranno sentire sugli utili delle banche; il secondo è politico, è stato
preannunciato un aumento delle tasse per le banche (Robin Tax9). Quindi capitalizzazione
dimezzata, redditività in calo almeno fino al 2010, e come se non bastasse la Robin Tax e la pesante
strigliata della Banca d’Italia sulla trasparenza. Però la qualità del credito rimane stabile e le
sofferenze restano su livelli fisiologici.
La strategia delle banche, più che sull’aumento dei clienti, costosissimo, punta sull’aumento del
valore di chi ha già un rapporto in essere, quindi sull’incremento del numero di prodotti venduti. Le
banche, in futuro, a vantaggio del cliente, dovranno affrontare la loro politica sul fronte distributivo
e su quello produttivo: il risultato porterà a istituti più specializzati e con prezzi più bassi per la
clientela.
9
‘Togliere qualcosa a chi ha più guadagnato dal boom del petrolio e delle intermediazioni bancarie, e darlo a chi ne è
rimasto più colpito: famiglie a basso reddito, alle prese con il caro carburante e con il mutuo’. Giulio Tremonti la spiega
così la Robin Tax: termine preso pari pari da Robin Hood, l’eroe che prendeva ai ricchi per dare ai poveri.
Il ministro seleziona però i suoi obiettivi: non le aziende che competono sui mercati, non i ricchi indiscriminatamente,
ma appunto petrolieri e banche. Chi cioè ha goduto di profitti in gran parte speculativi. Si tratta della tassa sulla
valorizzazione automatica delle scorte petrolifere. L’aliquota viene riportata, attraverso una specifica addizionale dal 27
al 33 per cento per le industrie oil e gas. La tassa servirà per anziani e fasce deboli, contribuendo al loro sostentamento
per ‘arrivare alla fine del mese’.
Capitolo 1
1.1. Storia di due leader
1.1.1 Costituzione del San Paolo IMI
Nel 1928, l’Istituto San Paolo di Torino aveva tre agenzie in città e altrettante fuori, basta questo
ricordo per capire quanta strada è stata percorsa per giungere a oggi una delle principali realtà
bancarie e finanziarie italiane e player a pieno titolo nello scacchiere bancario europeo.
La realtà attuale del Gruppo è frutto di un lungo percorso, di una storia che si intreccia strettamente
con quella della società e dell’economia italiana.
Sanpaolo IMI nasce nel 1998 dalla fusione dell'Istituto Bancario San Paolo di Torino e IMI (Istituto
Mobiliare Italiano). Si tratta di due realtà fortemente complementari: l'Istituto Bancario San Paolo
di Torino, veniva ad essere specializzato nell'attività creditizia retail, l'IMI, ente di diritto pubblico
fondato nel 1931 per sostenere la ricostruzione del sistema industriale nazionale, era una primaria
banca d'affari e di investimento.
L’istituto Bancario San Paolo di Torino affonda le sue radici nel 1563, quando a Torino una
confraternita chiamata "Compagnia di San Paolo" getta le fondamenta di quello che pochi anni
dopo diventerà il Monte di Pietà cittadino. La nuova istituzione si propone di prestare denaro a
bassissimi saggi di interesse per sottrarre i bisognosi dal ricorso all'usura.
Nella seconda metà del XVII secolo il Monte di Torino assume l'amministrazione del debito
pubblico dello stato sabaudo: è un'evoluzione verso la realtà di ente creditizio, che si compie poi
nella metà del Settecento, anche se è nel secolo successivo che nasce la vera e propria banca,
abilitata ad esercitare il credito fondiario.
Superata senza danni la crisi bancaria della fine dell'800, Sanpaolo si affaccia al nuovo secolo come
protagonista creditizio dello sviluppo industriale di Torino e della crescita economica del Paese.
Con un decreto del 1932 le finalità di pubblico interesse ed il ruolo primario del Sanpaolo
nell'economia italiana vengono ufficializzate con la trasformazione della banca in istituto di credito
di diritto pubblico, status che verrà mantenuto fino alla trasformazione in Società per Azioni il 1°
gennaio 1992.
La banca persegue un processo di crescita che la vede, negli anni '60 e '70, espandere la propria rete
a livello nazionale ed avviare una progressiva internazionalizzazione. Sul fronte delle acquisizioni,
rese possibili, fra l’altro, dalla necessità nazionale di interventi di salvataggio, il San Paolo risulta
essere protagonista con due operazioni strategiche da segnalare: l’acquisizione del Banco Lariano
dalla Montedison (con il quale il San Paolo diviene Gruppo), e l’ingresso della Banca del Sud (con
il quale diviene azienda di credito nazionale).
Il nuovo Gruppo San Paolo nasce quando il sistema creditizio nazionale sta vivendo una crisi
d’identità e pesanti difficoltà a causa della congiuntura profondamente negativa, e dell’elevata
esposizione creditizia nei confronti dell’industria. Torino è nell’occhio del ciclone: è la città più
colpita, civilmente ed economicamente, ma non sembra dare segnali di cedimento grazie al
continuo sostegno operativo da parte del Sanpaolo. Vocazione per operatività internazionale trova
conferma con apertura di uffici di rappresentanza a Parigi, Londra, Francoforte, Zurigo, Tokyo,
tuttavia, il processo viene a subire una brusca frenata negli anni Settanta, con la chiusura delle
frontiere valutarie affiancata dal rallentamento dell’economia in Italia e all’estero, dovuto a
problemi endemici e crisi esterne.
Nel 1984 il Sanpaolo presenta il primo bilancio consolidato certificato, che assegna così al Gruppo
torinese un altro primato nazionale nel suo settore.
Nei primi anni 90, Sanpaolo prosegue il proprio rafforzamento dimensionale e territoriale,
sviluppando ulteriormente la presenza estera e la gamma dell'offerta di prodotti e servizi. In quegli
anni si ha la quotazione in borsa del nuovo Sanpaolo10 articolato su tre livelli gerarchici, con a
monte la Compagnia di San Paolo avente funzioni di holding.
Il 1997 si rivela per Sanpaolo un anno d’importanza storica, si ha infatti il completamento del
processo di privatizzazione del Sanpaolo e l’individuazione dell’IMI11, come partner per la
reciproca integrazione finalizzata alla creazione di un gruppo fra i primissimi in Italia e di rilievo
sui mercati internazionali. Dalla fusione dei due nasce il Gruppo Sanpaolo Imi, che si presenta
come realtà di riferimento in tutti i settori di attività bancaria in Italia. E’ un’integrazione fra due
leader con forti complementarietà: vengono sommati i punti di forza di una grande banca
commerciale con spiccata vocazione verso le famiglie e le Pmi, con quelli di una primaria banca
‘investimento che ha importanti linee di business nei settori dell’intermediazione sui mercati dei
capitali, del credito a medio e lungo periodo, e della gestione del risparmio.
Nel secondo dopoguerra l'IMI partecipa al processo di ricostruzione del Paese, innanzitutto
assicurando la gestione delle risorse finanziarie derivanti dagli aiuti internazionali. Sulla base della
grande esperienza acquisita nel settore nautico, assieme ad altre banche, nel 1962 l'IMI crea la
Sezione Autonoma del Credito Navale diventando leader nazionale degli impieghi di medio termine
del settore armatoriale.
Aderisce al pool di istituti che danno vita al Nuovo Banco Ambrosiano, da cui esce nel febbraio del
1985 cedendo la sua partecipazione.
Nel 1983 l'IMI crea i primi fondi italiani e costituisce l'Imigest. Fra le sue creazioni spiccano inoltre
10
Esordio in borsa della prima banca italiana di origine pubblica a mettersi sulla strada della privatizzazione.
IMI: Istituto Mobiliare Italiano viene costituito come ente di diritto pubblico con gestione autonoma nel 1931, con
missione di esercitare l’attività di credito industriale a sostegno del collasso del sistema creditizio post crisi 1929.
11
Fideuram Vita, da subito la quinta compagnia nazionale del settore assicurativo, e Sige, società
specializzata nel trading12 e nel trading13 per il mercato borsistico. Inoltre, acquista la Banca
Manusardi di Milano, che diventerà la Banca Fideuram, primo esempio italiano di fusione tra rete di
promotori e banca.
Nel ’98 nasce Banca d'Intermediazione Mobiliare (IMI), fulcro operativo dell'investment banking.
Nello stesso anno, il 31 luglio, viene approvata dalle rispettive Assemblee dei soci la fusione tra
IMI e Sanpaolo e conseguente assunzione della denominazione Sanpaolo IMI.
Nel 1999 vengono poste le basi per l’aggregazione con il Banco di Napoli, la maggiore impresa
creditizia nel Mezzogiorno con i suoi settecentotrenta sportelli, e vengono varate diverse azioni
strategiche di sviluppo per linee esterne ed interne; nello stesso periodo entra nel capitale sociale
della Cassa dei Risparmi di Forlì e della Romagna e realizza alleanze strategiche con importanti
realtà creditizie italiane e straniere.
Il 2001 rievoca l’avvio dell'integrazione con il Gruppo Cardine14, nato dall'unione dei Gruppi Casse
Venete e Casse Emiliano-Romagnole e composto da sette banche (Cassa di Risparmio di Bologna15,
Cassa di Risparmio di Venezia16, Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone, Cassa di Risparmio di
Gorizia, Banca Popolare dell'Adriatico - successivamente ridenominata Banca dell’Adriatico - e
Banca Agricola di Cerea) operanti nel Nord Est e sulla dorsale adriatica.
Nei due anni successivi vengono avviati i passi necessari per realizzare l'integrazione con il Banco
di Napoli e con le Banche del Gruppo Cardine. Per agevolare tale processo vengono aggregate
società operanti nel medesimo territorio: la Banca Agricola di Cerea viene assorbita dalla Cassa di
Risparmio di Padova e Rovigo17, mentre la Cassa di Risparmio di Udine e Pordenone e la Cassa di
Risparmio di Gorizia si fondono dando vita a Friulcassa, successivamente ridenominata Cassa di
Per attività di trading si vuole indicare quell’insieme di operazioni che caratterizzano la movimentazione di strumenti
finanziari (di solito utilizzata per indicare la compravendita di titoli azionari sul mercato borsistico).
13
Il listing, indica quella particolare operatività legata al collocamento in Borsa di una specifica società.
14
Cardine Banca deriva dalla fusione di Casse Venete e Caer, gruppi di formazione recente da Cassa Risparmio di
Padova e Rovigo, di Venezia e di Udine, di Gorizia e di Bologna.
15
La creazione della Cassa di Risparmio ha il suo prologo nella decisione presa nel 1835 dal Governo pontificio, di
istituire una Commissione Centrale di Pubblica Beneficenza incaricata dell'Amministrazione del Ricovero di Mendicità
di Bologna e di altri due ospizi della provincia. Dal 1837, la Cassa si afferma nel tempo, dapprima nella provincia di
Bologna e poi in tutti i maggiori centri dell'Emilia Romagna, tra le banche leader del mercato in regione ed una delle
maggiori in ambito nazionale. Per volontà di Carisbo nasce nel 1992 il Gruppo Bancario CAER con l'obiettivo di
sviluppare e coordinare le strategie di crescita della banca, successivamente convoglierà a fusione con San Paolo Imi.
16
La Gazzetta Privilegiata di Venezia del 13 febbraio 1822 dava notizia dell'apertura della Cassa di Risparmio. I primi
passi della Cassa di Risparmio furono alquanto stentati, probabilmente a causa della sua ibrida natura di servizio al
popolo e di sostegno al Monte di Pietà, nei cui locali era anche fisicamente situata. Negli anni successivi, questo rigido
intreccio venne progressivamente sciolto, e la Cassa si svincolò sempre più dal Monte di Pietà, sino a raggiungere piena
autonomia amministrativa e gestionale con lo statuto del 1886. Verso la fine del ventesimo secolo prese avvio la
stagione delle alleanze e delle integrazioni con altre realtà bancarie e finanziarie, alla ricerca di una sempre maggiore
concorrenzialità interna ed internazionale e di una più ampia gamma di servizi a disposizione della clientela.
17
La Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo può considerarsi la più antica Cassa di Risparmio d'Italia: trae infatti
origine dalle istituzioni creditizie sorte nel 1822 nel Veneto, allora compreso nell'impero asburgico, sull'esempio delle
numerose Casse di Risparmio austriache che svolgevano da tempo un'importante funzione sociale ed economica.
12
Risparmio del Friuli Venezia Giulia. Nel luglio 2003 viene perfezionato lo scorporo che dà origine
al Sanpaolo Banco di Napoli, la maggiore banca del Sud Italia, che ritornerà poi nel 2007 alla
denominazione originaria Banco di Napoli.
Il 2004 è per Sanpaolo IMI, l’anno in cui viene portato a compimento il processo d’integrazione e
vengono attuati i processi di riorganizzazione della presenza del Gruppo in importanti settori di
business. L’integrazione avviene all’insegna della conferma di un modello d’impresa articolato per
mercati, con l’identificazione di ambiti operativi omogenei e quattro linee guida: la valorizzazione
delle prossimità al cliente nei territori di radicamento del Gruppo, la specializzazione delle unità
commerciali e delle società prodotto al fine di garantire l’eccellenza nel servizio al cliente, la
centralizzazione delle attività operative per l’ottenimento di economie di scala e di scopo,
l’accentramento delle funzioni di indirizzo strategico, di governo, e di controllo nella Capogruppo.
Riorganizzazione complessiva delle attività del Gruppo, che si articola in tre aree di business dotate
delle necessarie autonomie operative: attività bancaria, risparmio e previdenza e asset management.
Questa articolazione risponde alla duplice esigenza di fornire strumenti organizzativi adeguati per lo
sviluppo del business del Gruppo e, contemporaneamente, soddisfare il bisogno di un governo
unitario, improntato ad omogeneità e sinergia di indirizzo.
L’attività bancaria, vede confermato il modello di Banca multi-specialistica dei territori, coerente
con la vocazione globale e locale del Gruppo, sviluppata grazie al forte radicamento territoriale
delle oltre 3200 filiali e ad uno stretto rapporto fra i responsabili delle strutture locali e la Direzione
Centrale.
Il Gruppo viene ad essere senza dubbio una realtà importante in Europa: glielo consentono le
dimensioni raggiunte, l’assetto che si è dato nelle aree di business, l’ormai lunga esperienza
internazionale che ha maturato. Il Sanpaolo IMI, del 2004 è a tutti gli effetti un ‘player a pieno
titolo dello scacchiere bancario europeo’.
Attraverso cinque secoli di storia si è venuta a creare una realtà fondata su un Gruppo in condizione
di lavorare a pieno ritmo e di affrontare le nuove sfide di mercato 18. La logica dell’aggregazione
sviluppatasi, trova fondamento nella creazione di un’impresa creditizia di dimensioni rilevanti in
termini di masse intermediate e di presenza territoriale, nell’elevata complementarietà geografica e
di business, nella focalizzazione di aree di attività ad elevato potenziale e nella conseguibilità di
importanti economie di scala.
Enrico Salza nel dicembre 2005 affermava:‘In tre anni vogliamo diventare la prima banca del Paese. E’ una sfida
ambiziosa perché chi oggi è considerata la prima banca è per merito oggettivo. Siamo reduci dai sei mesi migliori della
nostra storia, e abbiamo all’attivo una rete estera in crescita e già oggi presente in 33 Paesi. Le risorse chaive sono
quelle umane, è dalla loro testa che nasce l’innovazione, occorre sempre e solo valutare la meritocrazia delle risorse e
allora naturalmente sarà il mercato il nostro giudice.’
18
Le iniziative per il rafforzamento e lo sviluppo in Italia si accompagnano a quelle finalizzate allo
stesso obiettivo all’estero19.
19
Il Piano Industriale 2006-2008 del Gruppo Sanpaolo Imi è certamente ambizioso negli obiettivi, e ciò conferma la
dinamicità del Gruppo, da questo parte l’ennesima sfida. La strategia di sviluppo del Piano si basa su due principali
punti di forza: la realtà del Gruppo Sanpaolo Imi dopo il completamento dei processi di integrazione e il modello
organizzativo di business adottato dal Gruppo. Dal 2000 a oggi le dimensioni del Gruppo hanno cambiato ordine di
grandezza, il ritmo delle integrazioni è stato il più forte nel sistema bancario italiano. Il risultato è un Gruppo dalla forte
Il 2005 è stato un anno i svolta per Sanpaolo Imi, con un’accelerazione del ritmo di crescita e il varo
di iniziative strategiche.
Conclusasi la complessa fase d’integrazione e razionalizzazione, che ha seguito le fusioni e
acquisizioni perfezionate negli anni passati, la banca ha archiviato l’anno con un’accelerazione del
ritmo di crescita, che ha portato ad utile record, e soprattutto ha varato una serie di inziative
strategiche finalizzate ad un ulteriore sviluppo operativo e ad un incremento della creazione di
valore. L’attuazione del percorso di crescita indicato dal Piano consentirà quindi al Gruppo di
esprimere pienamente il proprio potenziale e conquistare la leadership sul mercato nazionale in
termini di crescita sostenibile, ricavi e redditività. Il Gruppo si sta preparando per rispondere nel
modo migliore alle prossime sfide, facendo leva su quelle che sono le ricchezze che già possiede:
un rapporto consolidato con la propria clientela, avendo investito in modo considerevole in risorse
umane e avendo creato un modello organizzativo e di business differenziato, adatto ad affrontare la
concorrenza e gli attesi trend di sistema.
1.1.2 E nacque Banca Intesa
Banca Intesa è stata la prima grande risposta di un Gruppo italiano al mutamento degli scenari
competitivi europei che avevano visto l’affermazione di un numero ridotto di grandi realtà bancarie
ma fortemente presenti sul mercato soprattutto per
la gestione di specifiche aree di business a livello
internazionale. Un acquedotto romano, simbolo di
opere socialmente utili, contraddisitngue il marchio
dell’istituto finanziario fin dal 1998. I tre archi che
lo compongono rappresentano le tre banche
storiche italiane che con la loro unione hanno dato
vita a uno dei più grandi gruppi bancari : Banco
Ambrosiano
Veneto,
Cariplo
e
Banca
Commerciale Italiana. Insieme a tutte le loro
associate italiane e straniere hanno reso possibile la
creazione del primo gruppo bancario italiano e uno
dei protagonisti dello scenario finanziario europeo.
coesione, che ha saputo portare a termine rapidamente i processi di unificazione, e ha saputo dare una coerente
imensione nazionale ai valori, alla qualità del credito, alla forza del marchio, al senso di appartenenza, al legame con i
territori. La forza è data dal modello di organizzazione e presenza sui mercati, la Banca dei Territori, con accorciamento
e semplificazione dei meccanismi di collegamento tra la rete e il centro. La condivisione e la responsabilizzazione
caratterizzano tutta l’attuazione del Piano Industriale. Preciso obiettivo strategico è una crescita dei ricavi maggiore di
quella prevedibile per la concorrenza. Il Piano dei terriori sue due linee principali di crescita, che fanno leva su
incremento dei ricavi e sull’allargamento della base della clientela sia privata che imprese.
Le tappe che hanno portato a questo risultato hanno avuto inizio nel 1998 quando BAV e Cariplo
hanno unito le loro forze in un sodalizio che ha visto la nascita del Gruppo Intesa
un gruppo che ha saputo avvalersi delle rispettive professionalità e caratteristiche delle banche
fondatrici mantenendone l’autonomia e confluendone i vertici in un unico polo.
La Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde nasce nel 1823, in una delle più fiorenti regioni
dell'impero austriaco: la sua funzione primaria è quella di favorire la formazione del risparmio
nell’area lombarda. Durante la seconda metà del secolo XIX il Regno d'Italia muove i primi passi e
l'istituto allarga il suo campo di intervento al finanziamento delle attività rurali, imprenditoriali e
commerciali.
Agli albori del Novecento, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde ha già raggiunto una
notevole solidità, che la renderà presto un punto di riferimento irrinunciabile per le aziende alle
prese con la grave crisi della Grande Guerra. In quella congiuntura si consolida la spiccata
sensibilità sociale che è ancora oggi patrimonio ideale e operativo di Banca Intesa, esempio nel
secondo dopoguerra, il ruolo primario ricoperto dalla Cassa nella ricostruzione di Milano.
Gli anni Cinquanta, quelli del boom economico italiano, vedono accrescere l'impegno nel credito a
medio termine, soprattutto a favore delle imprese di minori dimensioni, attraverso la fondazione di
Mediocredito Lombardo.
A partire dagli anni Sessanta, l'istituto è ormai di fatto una banca commerciale e nel ventennio
successivo si assiste alla grande espansione territoriale di Cariplo in ambito nazionale ed
internazionale. Nel 1991, un'importante ristrutturazione conduce all'incorporazione della controllata
IBI e al conferimento da parte dell'Ente Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde dell'azienda
bancaria in una nuova società per azioni denominata Cariplo SpA.
L'Ente, a seguito del conferimento, assume la denominazione di Fondazione Cariplo e persegue
scopi di interesse pubblico e di utilità e solidarietà sociale.
Nel 1997 viene sottoscritto un accordo per l'integrazione tra Cariplo e Ambroveneto che darà vita a
Banca Intesa.
Il Banco Ambrosiano Veneto, nato nel 1989 dalla fusione fra Nuovo Banco Ambrosiano e Banca
Cattolica del Veneto, due banche ben radicate sul territorio con alle spalle più di cento anni di storia
e di attività, si è presto distinto in Italia per dinamicità, competenza e capacità di aggregazione di
altre realtà locali.
È di quegli anni (1991-1995) l'acquisizione del controllo di alcune banche, come la Banca Vallone
di Galatina, la Citibank Italia (successivamente denominata Banco Ambroveneto Sud), la Società di
Banche Siciliane, la Banca Massicana di Sessa Aurunca la Banca di Trento e Bolzano, che hanno
consentito all'Ambroveneto in breve tempo di proiettare l'esperienza maturata nelle regioni
settentrionali d'origine, soprattutto Lombardia e Triveneto, su tutto il territorio nazionale.
Contemporaneamente l'istituto rafforza la propria posizione sui mercati finanziari di tutto il mondo
con l'acquisto di Caboto, destinata a diventare una delle maggiori strutture di investment banking
europee.
Le esigenze dimensionali, sempre più sentite dal sistema bancario italiano ed internazionale, hanno
in seguito imposto all'Ambroveneto la ricerca di un partner qualificato per raggiungere quella massa
critica che consentisse all'istituto di giocare un ruolo rilevante su tutti i mercati.
In quest'ottica è da inquadrare la scelta operata nel 1997 di realizzare un'alleanza con Cariplo, la
maggiore cassa di risparmio a livello mondiale, con la quale ha dato costituzione a Banca Intesa nel
1° gennaio 1998: il nome Intesa fu scelto per definire una struttura federale unendo, sotto un unico
management, banche e società finanziarie che operavano in diversi segmenti del credito e, al tempo
stesso, mantenendo l’identità e le specifiche caratteristiche originarie delle stesse. ‘Intesa’ vuol
comunicare la fervida volontà di lavorare con altre istituzioni finanziarie interessate a partecipare ai
progetti futuri. Nel mese di maggio fu definita la nuova struttura federale del gruppo, che a giugno
presentò il piano industriale al mercato. La struttura del gruppo era divisa in quattro aree: banche
commerciali (Banco Ambrosiano Veneto, Cariplo, Banca Carime, Cassa di Risparmio di Parma e
Piacenza, Banca Popolare FriulAdria), società d’investimento (Caboto Holding Sim, Intesa Asset
Management e una rete di oltre 1200 consulenti finanziari), società finanziarie (Mediocredito
Lombardo, Intesa Leasing, Mediofacoring, Carivita e Setefi); servizi di supporto (Intesa Sistemi e
Servizi).
Il marchio Intesa venne rappresentato da un quadrato (forma perfetta, armoniosa ed equilibrata), nel
quale appare il disegno stilizzato di un acquedotto romano di colore blu a quattro archi. Si tratta di
una struttura storicamente costruita in pietra che portava l’acqua al popolo: la simbologia
rappresenta quindi solidità e sviluppo tecnologico, nonché vita, prosperità e, infine, unione di
culture e di genti (sinonimo di servizio).
Come opera socialmente utile, la figura dell’acquedotto è in linea con l’impegno e la responsabilità
del Gruppo nei confronti della società civile. La sua struttura richiama a testimonianza uno dei
primi esempi di vocazione internazionale dell’ingegno italico, tuttora presente in Italia e in molti
paesi europei. Nell’acquedotto scorre l’acqua con tutto il suo impeto che genera energia e sostegno
vitale, un sostegno stilizzato con una linea al di sopra degli archi che sottolinea ed evidenzia il nome
Intesa.
Il terzo grosso istituto del gruppo fu la Comit20, fondata nel 1894 a Milano con il concorso di
capitali tedeschi, austriaci e svizzeri, è stata per più di un secolo un'importante componente del
20
COMIT: acronimo di Banca Commerciale Italiana.
sistema bancario italiano e l'istituto con la maggiore presenza all'estero.
Dopo aver costituito, in compartecipazione con due banche francesi, un istituto per l'America del
Sud, nel 1911 Comit inaugura a Londra la prima filiale di una banca italiana in un paese straniero,
seguita subito dopo da quella di New York. Fino agli inizi degli anni '30, Comit aveva anche
operato come banca d'investimento, acquisendo partecipazioni in imprese industriali.
Nel 1933 l'IRI21 acquisisce il controllo della banca che, tre anni più tardi, con l'emanazione della
Legge Bancaria, diventa un'azienda di credito ordinario.
Evoluzione storica di Banca Intesa
1998
1° gennaio
2 gennaio
21 maggio
1° giugno
- Costituzione di Banca Intesa
- Acquisto della banca Cariplo dalla FondazioneCariplo
- Definita la nuova struttura federale del Gruppo
- Presentazione del piano industriale al mercato
1999
8 giugno
- Il Consiglio di Banca Intesa autorizza i contatti con la
Banca Commerciale Italiana(COMIT)
30 giugno - Il Consiglio di Banca Intesa approva l'aggregazione di
Comit secondo il modello federativo
- L'assemblea approva l'aumento di capitale per l'acquisto
17 agosto
del 70% di Comit
27 settembre - 15 ottobre - OPSC Intesa-Comit
2000
11 aprile
6 giugno
- Presentazione al mercato del nuovo modello divisione
- Parte l'integrazione con Comit, nominato il Comitato e
responsabili delle aree
28 luglio
- L'assemblea di Banca Intesa delibera l'incorporazione di
Ambroveneto, Cariplo e Mediocredito Lombardo
10 ottobre - I Consigli approvano l'incorporazione della Banca
Commerciale Italiana
17 novembre - Nominato il nuovo Consiglio di Banca Intesa
19 dicembre - Nomina del vertice operativo del Gruppo
- Banca Intesa incorpora Ambroveneto, Cariplo e
31 dicembre
Mediocredito Lombardo
2001
28 febbraio - L'assemblea di Comit approva la fusione per
incorporazione in Banca Intesa
1° marzo - L'assemblea di Banca Intesa approva la fusione con Comit
26 marzo - Approvazione del Master Plan 2001-2003
24 aprile - Firma dell'atto di fusione tra Banca Intesa e Comit
1° maggio - Nasce IntesaBci
2002
25 giugno
- Il Consiglio di Amministrazione approva la nuova
struttura organizzativa basata sulle Divisioni
9 settembre - Il Consiglio approva il piano di impresa 2003-2005
17 dicembre - L'assemblea straordinaria di IntesaBci delibera il
cambio di denominazione sociale in Banca Intesa Spa
21
Acronimo di Istituto per la Ricostruzione Industriale.
Qualche anno più tardi assieme al Banco di Roma e al Credito Italiano, la Comit è designata "Banca
di interesse nazionale", disponendo già di filiali in almeno trenta province. Con queste due banche,
negli anni successivi alla seconda guerra mondiale, Comit fonda Mediobanca, di cui deteneva
l'8,9% del capitale.
Negli anni Sessanta la banca di piazza della Scala accentua l'espansione della propria rete estera e,
in Italia, acquisisce il controllo del Banco di Chiavari e della Riviera Ligure e della Banca di
Legnano. Agli inizi degli anni Ottanta l'istituto fonda la Banca Commerciale Italiana of Canada e la
Banca Commerciale Italiana (Suisse). Nell'anno stesso del centenario della sua fondazione, la
Banca Commerciale Italiana viene privatizzata, a seguito di un'offerta pubblica di scambio,
promossa da Banca Intesa e perfezionata nel dicembre 1999, la Banca Commerciale Italiana viene
aggregata al nuovo gruppo.
La Comit22 si viene così a fondere con Banca Intesa e assume la denominazione di IntesaBci,
completando la trasformazione in banca "multispecialista", basata in particolare sullo sviluppo di
logiche e strumenti commerciali specifici per i diversi segmenti di clientela. Questa aggregazione
viene ad essere ottimale per entrambi gli istituti, con un notevole contributo da parte di Comit
nell’arricchimento della gamma di prodotti e servizi legata al know-how specifico nel settore del
credito, nel merchant banking23 e nel corporate finance24 di Banca Intesa, nella redistribuzione
degli sportelli, e nel miglioramento del posizionamento territoriale. In ottemperanza alle
disposizioni dell’Antitrust, furono ceduti 46 sportelli e nominati il nuovo Consiglio di Banca Intesa
e il vertice operativo del Gruppo. Con la nuova denominazione del gruppo si soddisfa l’esigenza di
comunicare l’integrazione senza spersonalizzare le due identità delle società d’origine: IntesaBci,
capitalizza l’elevata reputazione e conoscenza dell’acronimo BCI, con il quale Banca Commerciale
Italiana era conosciuta all’estero, trasmettendo messaggio di positività della valenza internazionale
della nuova banca.
Il Gruppo IntesaBci diventa il primo gruppo italiano nelle attività internazionali e la sua presenza
sul mercato mondiale veniva a stabilizzarsi già su oltre 40 paesi, in America del nord, America
Latina, Europa, Egitto, Asia, e Australia. IntesaBci operava attraverso numerose società partecipate
22
La Comit, notissima all'estero (unica banca italiana a sedere al tavolo delle più importanti banche europee), aveva
evidenti limiti in Italia, ai quali si poteva ovviare solo acquisendo altri istituti di credito nazionali. Dopo il tentativo di
acquisire il BAV la Comit puntava a Cariplo, all'epoca oggetto delle mire dello stesso piccolo BAV: senza tener conto
delle dimensioni, Bankitalia autorizzava quest'ultimo ad accorpare Cariplo in Banca Intesa.
23
Merchant banking: società finanziaria la cui attività consiste principalmente nell'assunzione di partecipazioni al
capitale di altre imprese, prevalentemente con l'obiettivo di favorirne la riorganizzazione aziendale, lo sviluppo
produttivo o il soddisfacimento delle esigenze finanziarie in vista del successivo smobilizzo.
24
Le principali attività di corporate finance si articolano in: 1)operazioni di finanza straordinaria: fusioni e acquisizioni,
joint-ventures e partnership, dismissioni e scissioni, 2)ristrutturazioni del passivo: analisi economico-finanziaria della
società/gruppo oggetto di ristrutturazione, elaborazione di scenari di riequilibrio finanziario, negoziazione con i
principali creditori, 3)ristrutturazioni societarie (LBO, MBO, scissioni, operazioni di carattere fiscale-successorio),
4)valutazioni di azienda stand-alone e al fine della determinazione di rapporti di cambio.
e una vasta rete di alleanze e joint-ventures, in relazione alle caratterisiche di ciascun mercato e al
tipo di attività da svolgere.
I continui mutamenti del mercato, le pressioni
di una concorrenza domestica internazionale
sempre più aggressiva e, infine, l’esigenza di maggiore integrazione fra tre istituti con modelli
aziendali ancora diversi, spingono il gruppo ad una nuova evoluzione verso una cultura aziendale
comune ed adeguata a sfide del tutto nuove.
Nel dicembre 2002 l’assemblea degli azionisti deliberò la modifica della denominazione sociale
nell’attuale Banca Intesa. Fu un passaggio importante nella crescita del gruppo sia dal punto di vista
strutturale che d’immagine. La nuova identità denominativa e visuale recupera dunque il concetto di
banca attraverso uno studio approfondito che ha portato al nuovo marchio, la cui caratteristica più
evidente è il nome Banca Intesa che esce dalla forma quadrata e si affianca al simbolo, acquisendo
vitalità propria. In questo modo l’identità della banca assume una fisionomia più concreta, forte ed
immediata. Nel nuovo logo viene ripresa la tradizione storica delle tre grandi banche che ne
compongono il gruppo mediante l’utilizzo dei rispettivi colori che si fondono tra loro attraverso
un’unica sfumatura, simbolo dell’unione e integrazione. Il processo di rinnovamento del gruppo non
si ferma però al solo restyling di marchio e filiali, ma coinvolge anche tutte le società controllate, i
cui marchi vengono armonizzati. Anche il resto dell’attività di Banca Intesa si rinnova per
consentire al Gruppo di migliorare ulteriormente la propria presenza sul mercato domestico. Banca
Intesa adotta una struttura organizzativa business-oriented, basata su sei aree di responsabilità: le
strutture centrali, quattro divisioni di business e l’area società prodotto. Questa soluzione favorisce
il miglior presidio nelle singole aree d’affari e la graduale specializzazione dei processi produttivi e
commerciali. Tutta la trasformazione rende chiaro il messaggio di personalizzazione dei servizi
offerti dal gruppo ai propri clienti: la competitività e la fiducia diventano la chiave di successo per
una reciproca crescita di qualità.
1.1.3 Tutti per uno
Intesa Sanpaolo25 nasce il 1° gennaio 2007 dalla fusione di due grandi realtà bancarie italiane Banca
Intesa e Sanpaolo IMI.
I primi passi verso il processo di integrazione
25
Il network del gruppo Intesa Sanpaolo è notevole. In Italia con 6050 sportelli, tra i quali 1382 in Lombardia, 774 in
Veneto, 591 in Piemonte. All’estero i paesi con maggior numero di sportelli sono la Slovacchia (237), la Serbia (159),
l’Ungheria (106), Croazia (227). Numerosi uffici di rappresentanza, in paesi come Marocco, Cina, Emirati Arabi Uniti,
Messico, Cile, Brasile.
iniziano il 26 agosto 2006 quando i Consigli di Amministrazione delle due banche approvano le
linee guida del progetto di fusione, ratificato poi il 12 ottobre e convalidato dalle rispettive
Assemblee Straordinarie il 1° dicembre dello stesso anno.
Il marchio di Intesa Sanpaolo è espressione della storia e dei valori di due protagonisti del settore
del credito in Italia - Banca Intesa e Sanpaolo IMI - che hanno deciso di unire le proprie energie e
risorse per dare vita al più grande gruppo bancario in Italia e uno dei maggiori in Europa.
Il logotipo rappresenta l'unione delle due denominazioni originarie collegate dal marchio,
raffigurato da un pittogramma quadrato (forma perfetta, armoniosa ed equilibrata) nel quale appare
il disegno stilizzato di un acquedotto romano, simbolo di solidità e sviluppo, nonché di vita e
prosperità, unione di culture e di genti. La figura dell'acquedotto è l'elemento che meglio esprime e
rappresenta la fusione delle due Banche - come tale è posizionato al centro del logotipo - dei valori
e impegni che ne ispirano l'azione.
Intesa Sanpaolo raccoglie l’eredità di due Gruppi che avrebbero potuto proseguire ognuno per la
propria strada, consolidando le rispettive posizioni, ma che hanno responsabilmente deciso di unirsi
Quota di mercato in
Italia (2)
Posizionamento
in Italia (2)
Impieghi
17,8%
1°
Depositi
18,1%
1°
Factoring
23,6%
1°
Risparmio gestito (3)
24,7%
1°
Interscambio estero (4)
26,5%
1°
Fondi Pensione (5)
30,6%
1°
Settore di attività
in un progetto impegnativo quanto
affacinante: dar vita a un gruppo
leader nel mercato italiano, con
capacità di incidere positivamente
sullo sviluppo del Paese. Oggi Intesa
Sanpaolo26 è tra le prime sei banche
europee.
Per
raggiungere
questi
obiettivi è stato scelto un sistema di
(2) Al 30 giugno 2008 (3) Fondi comuni
(4) Al 31 dicembre 2007 (5) Al 31 marzo 2008
governance innovativo e con una strut
tura manageriale di altissimo livello. La banca si colloca, per dimensioni, livello di prodotti, di
servizi, al centro della vita del Paese, con importanti responsabilità nei confronti di tutti i suoi
La fusione tra Sanpaolo e Intesa rappresenta un’opportunità unica sotto il profilo dellacreazione di valore per gli
azionisti, di accesso a prodotti e servizi a condizioni piùcompetitive per i clienti e di crescita professionale per i
dipendenti.
In particolare, l’integrazione proposta presenta caratteristiche estremamente attraenti sotto il profilo di:
– elevata complementarietà territoriale, con presenza distribuita su tutto il territorio nazionale, concentrata nelle aree più
ricche del Paese e con limitate sovrapposizioni;
– aumento dell’efficienza operativa, resa possibile dalle economie di scala conseguibili grazie alle dimensioni raggiunte;
– prevalenza della componente di retail domestico nelle attività di entrambe i Gruppi, che consente di massimizzare i
potenziali benefici dell’operazione con un rischio di esecuzione ridotto;
– compatibilità dei modelli organizzativi, caratterizzati sia per Sanpaolo che per Intesa dalla presenza di una capogruppo
operativa con funzioni di indirizzo e di controllo su banche locali e società specializzate su prodotti e servizi
specialistici;
– ampliamento delle alternative strategiche disponibili, grazie al raggiungimento di una dimensione internazionale
congiuntamente ad una solida leadership sul mercato domestico, che rappresenta un punto di partenza ideale per la
futura espansione all’estero, anche alla luce dell’esperienza di molti dei maggiori gruppi finanziari internazionali che si
sono affermati a partire da un solido radicamento nel proprio mercato nazionale di origine.
26
stakeholders. Il settore bancario probabilmente è uno dei settori a maggiore concorrenza, e questa
aumenterà anche perché il nostro mercato è sempre meno limitato all’ambito nazionale.
Intesa Sanpaolo risulta essere la banca con maggior diffusione sul territorio italiano. Leadership che
deriva, oltre dalle sue dimensioni, dalla capacità di interpretare e rispondere alle esigenze dei
territori nella quale è presente. Risponde a questa volontà la scelta di mantenere e valorizzare tutte
le entità del gruppo, che consentono alla banca di presentarsi sul mercato come cittadina a pieno
titolo di tutti i luoghi in cui opera.
1.2 Campioni nazionali
Nel 2006, in tutta Europa le banche sono state indirizzate verso operazioni forzate di Opa 27, per
cercare di resistere alla minaccia delle concorrenti Usa e per ridurre i costi.
Una banca francese, Bnp Paribas, ha acquistato il controllo della Banca Nazionale del Lavoro, una
banca olandese, Abn Ambro, ha preso il controllo di Antonveneta. La maggior banca italiana,
Unicredito, ha acquisito, a sua volta, il controllo di una grossa banca tedesca e di altri istituti in
Europa. Ciò è dovuto a due motivi tecnici e un motivo che potremmo definire ambientale che
inducono le banche a unirsi anche controvoglia. Il primo motivo tecnico deriva dall’accesa
competizione del mercato mondiale del denaro, che riduce sempre più i margini delle banche.
Occorre compiere operazioni di elevata dimensione per ottenere utili decenti, ciò viene ad essere
reso possibile solamente dalla disponibilità di notevoli risorse finanziarie e da elevate dimensioni
aziendali. La fusione è spesso auspicabile per dimezzare esosi costi dei sistemi elettronici attraverso
l’utilizzo di economie di scala fonte di risparmi ingenti.
Il motivo ambientale può essere definito da un epiteto:‘i grandi mangiano i piccoli’. In questa
situazione, il sistema bancario italiano può contare, oltre che su Unicredit, su due altre grandi
27
Offerta Pubblica di Acquisto si intende ogni offerta, invito ad offrire o messaggio promozionale finalizzato
all’acquisto in denaro di prodotti finanziari. Qualora l’acquisto venga realizzato consegnando, a titolo di corrispettivo,
altri prodotti finanziari, l’offerta pubblica viene definita di scambio.
Il soggetto che lancia un’offerta pubblica di acquisto o di scambio deve effettuare preventivamente un’apposita
comunicazione alla Consob (l’Autorità indipendente che vigila sui mercati italiani) allegando un documento, destinato
alla successiva pubblicazione, contenente le informazioni necessarie per consentire al pubblico di formarsi un giudizio
sull’OPA stessa. Tale comunicazione viene immediatamente diffusa al mercato e trasmessa alla società oggetto di OPA;
essa contiene l’indicazione degli elementi essenziali dell’offerta, delle finalità dell’operazione, delle garanzie e delle
eventuali modalità di finanziamento previste. Il documento di offerta potrà essere diffuso al pubblico solo a seguito del
controllo effettuato dalla Consob e sarà trasmesso senza indugio alla società i cui titoli sono oggetto dell’offerta.
La società oggetto dell’OPA è infatti tenuta a diffondere al pubblico un comunicato contente ogni dato utile per la
valutazione dell’offerta nonché il proprio giudizio in merito all’operazione. Tale comunicato fornisce inoltre
informazioni su eventuali patti parasociali, sull'andamento recente e le prospettive dell'emittente (ove non riportate nel
documento d'offerta), sui fatti di rilievo non indicati nell'ultimo bilancio o nell'ultima situazione infrannuale pubblicata.
Inoltre il comunicato rende nota l’eventuale decisione di convocare l’assemblea per l’autorizzazione di misure difensive
(ossia il compimento di atti o di operazioni che possano contrastare l’offerta).
L’offerta pubblica è irrevocabile e si rivolge a parità di condizioni a tutti i possessori degli strumenti finanziari che sono
oggetto dell’OPA stessa. Il principio della irrevocabilità dell’offerta non impedisce che l’offerta sia sottoposta a talune
condizioni purché le stesse siano specificate nel documento di offerta e non si tratti di condizioni meramente potestative
(ossia il cui verificarsi dipende esclusivamente da una scelta dell’offerente).
banche, Sanpaolo Imi e Banca Intesa per le quali sarebbe opportuno incrementare la loro
dimensione acquisendo una banca più piccola (Capitalia o Mps); nascerebbero così tre campioni
nazionali in grado di competere in Europa.
Il Sanpaolo Imi, inizialmente, si candida a giocare un ruolo di primo piano nel risiko bancario e tra
le ipotesi di aggregazione non esclude il dossier Capitalia. Se il pressing delle banche estere si fa
sentire soprattutto su Banca Intesa, dove il Credit Agricole ha quasi il 20%, anche il Sanpaolo deve
fare i conti con un partner ingombrante come lo spagnolo Santander Central Hispano. Tutte le
opzioni sono aperte.
Sono solo studi di fattibilità ma la dicono lunga su cosa bolle in pentola nel mondo bancario
italiano. Gli uffici che curano i servizi di IT28 di Banca Intesa stanno esaminando il funzionamento
degli analoghi servizi di Sanpaolo e viceversa. Nessun consulente in campo, nessun accordo, ma si
sta preparando il terreno, dando chiari messaggi al mercato, soprattutto al Mps (primo obiettivo
finora per Torino). Dall’altra parte Unicredit e Capitalia stanno facendo sul serio. E quindi ne
sarebbe antagonista di rilievo l’asse Intesa Sanpaolo.
Il risiko bancario dell’estate 2006, quindi, potrebbe essere prossimo a una svolta, con una mossa che
modificherebbe lo scenario preannunciato. Le due banche (Intesa da una parte, e San Paolo
dall’altra) avrebbero dato il via ad advisor di studiare un ipotesi di fusione tra le stesse.
Questo matrimonio, che tra i tanti era il meno probabile, oggi realizzabile, finirà per avere non
poche ripercussioni sulle scelte di altre grandi banche a livello nazionale ed europeo. La fusione
darà vita a un maxi-colosso bancario primo in Italia per sportelli e dipendenti e secondo per attività;
lascierà al di fuori Capitalia e Monte dei Paschi di Siena, disinnescando la mina vacante degli
spagnoli del Santander (che più volte avrebbe manifestato la volontà di mettere le mani su Torino).
Le nozze tra Milano e Torino, oltre a produrre il salto dimensionale auspicato più volte dalle
autorità (Draghi29), creerebbero un gruppo molto forte nel corporate e nell’asset management;
nell’investiment banking, che vede il Sanpaolo ben posizionato con il presidio dell’Imi, l’attività dei
due gruppi risulterebbe sostanzialemente complementare.
L’asse creditizio Banca Intesa/Sanpaolo Imi diviene finalmente realtà dopo settimane di trattattive
sottotraccia. La trama tessuta con il beneplacito del governo e della Banca d’Italia, può finalmente
tradursi nel più grande merger tra istituti italiani di tutti i tempi. Valutazione positiva della logica
28
L'IT, acronimo di Information Technology, indica l'uso della tecnologia nella gestione e nel trattamento
dell'informazione, specie nelle grandi organizzazioni. In particolare l'IT riguarda l'uso di apparecchi digitali e di
programmi software che ci consentono di creare, memorizzare, scambiare e utilizzare informazioni (o dati) nei più
disparati formati: dati numerici, testuali, comunicazioni vocali e molto altro.
29
Mario Draghi, economista e finanziere italiano, dal 16 gennaio 2006 è Governatore della Banca d'Italia, il primo con
un mandato a termine di sei anni, rinnovabile una sola volta.
industriale della fusione, attesa per i dettagli dell’operazione, e la definizione delle strategie di
governance.
La fusione presenta una solida logica industriale e offre il potenziale per la creazione di sinergie
significative e opportunità di crescita di lungo termine. Le motivazioni principali sono tre: la
crazione di un leader di mercato, il potenziale di notevoli sinergie dall’integrazione di una struttura
centralizzata e la razionalizzazione delle reti.
L’effetto sul sistema bancario è del tutto da verificare, ma a buon senso l’operazione può dare uno
scossone al processo di concentrazione innescando meccanismi di integrazione difensivi da parte
delle altre banche.
E’ possibile svolgere una serie di considerazioni per capire cosa Sanpaolo e Intesa si propongono
prima di effettuare un giudizio. Sotto il profilo industriale si porranno sicuramente problemi di
antitrust in alcune regioni del nord, con conseguente cessione di sportelli, ma nel resto dell’Italia
l’integrazione è assai meno problematica.
In Borsa i fuochi di artificio son alle battute finali, anche il gioco dell’aggiustamento del concambio
dovrebbe essere sostenzialmente terminato, con un rapporto su 1:3 circa. L’attenzione del mercato
sulla vicenda è però tutt’altro che svanito e il flusso delle notizie è destinato a guidare le quotazione
anche nei prossimi mesi. Già oggi si attende un chiarimento per la collocazione nel gruppo degli
asset assicurativi e di risparmio gestito e la compatibilità di Eurizon con Generali.
Da questa loro unione potrebbe nascere un nuovo, unico brand. Il piano di re-naming e
riorganizzazione potrebbe avere una ricaduta di 3-5 anni, tra riposizionamento e restyling delle
filiali. Il trend del settore è creare brand monolitici, ma il parametro decisivo sarà la nuova strategia
da adottare verso il mercato e il cliente finale.
1.3 La fusione
Venedì 25 agosto 2006 si è celebrata la fusione tra Banca Intesa e San Paolo-Imi, si è dato il via alla
creazione del primo gruppo bancario italiano che, a operazione conclusa varrà sessantamila miliardi
e avrà centomila dipendenti e 6200 sportelli. Sostanzialmente il gruppo Intesa-San Paolo-Imi
andrebbe a fronteggiare sul suolo nazionale l’altro “gigante”, l' Unicredit.
Nasce la superbanca tutta italiana30: è ormai una certezza la fusione «alla pari» tra Banca Intesa e
Sanpaolo Imi, che si candidano a entrare nell'empireo dei primi sei-sette istituti di credito in Europa.
Un gran passo più volte auspicato dal governatore della Banca d'Italia, Mario Draghi.
30
Intesa San Paolo, un gruppo bancario che incorpora una lunga lista di illustri banche (Istituto Bancario San Paolo di
Torino, Banca Commerciale Italiana, Cariplo, Banco Ambrosiano…) e ha una ricca gamma di banche controllate in
Italia e all’estero, opera con 96198 dipendenti e 7329 sportelli bancari (di cui 1179 all’estero). Un patrimonio netto di
51558 milioni di euro, ha registrato nel 2007 un risultato netto di 7250 milioni.
I primi commenti sono stati favorevoli, a cominciare da quello del premier Romano Prodi che si è
augurato ‘che questa operazione vada in porto perchè è una bella cosa per il sistema bancario’.
L'annuncio della fusione ha colto un po' tutti di sorpresa. All'inizio di agosto erano circolate voci di
incontri tra il presidente di Intesa, Giovanni Bazoli, e quello del Sanpaolo Imi, Enrico Salza. Ma
nessuno aveva pensato che sarebbero arrivati in tempi così brevi a definire un progetto.
Indiscrezioni di stampa hanno rilanciato le voci, e la Consob ha chiesto chiarimenti alle due banche
ricevendo una conferma al progetto di fusione. A cui mancherebbero, tuttavia, ancora diversi
passaggi.
I due board si riuniscono, quindi, il 26 agosto per discutere i termini dell'aggregazione, la struttura e
le regole della governance, con non poche complicazioni (dalla frammentazione dell'azionariato e
degli interessi tra Fondazioni, ai relativi localismi, azionisti privati ed esteri, ai valori del
concambio). Gli advisors, nominati da Intesa, sono Banca Leonardo e Merrill Lynch. Le sinergie
previste ammontano a oltre un miliardo, soprattutto nel corporate banking31, nell'asset management
e nell'investment banking e l'operazione dovrebbe chiudersi entro l'anno. Gli azionisti principali,
compresi i francesi di Crédit Agricole, numeri uno in Intesa con il 18%, hanno già assicurato il loro
sostanziale assenso. Il Crédit in cambio del ridimensionamento o dell'uscita di scena potrebbe
rilevare
seicento/settecento
sportelli
e
altri
asset
legati
al
credito
al
consumo.
Non si può dire lo stesso per gli spagnoli del Banco Santander (al 7,70% in Sanpaolo Imi), spiazzati
dalla mossa a sorpresa degli italiani e non poco irritati perché le loro mire espansionistiche in Italia
subirebbero un repentino ridimensionamento.
La decisione di adottare il sistema dualistico è parte integrante di quel progetto che ha portato, a
tempi di record, ai Consigli del 26 agosto 2006. Sin dall’inizio è parso rispondere alle particolari
esigenze che poneva la fusione tra ‘merger of equals’ offrendo una soluzione per la governance che
avrebbe consentito di procedere con velocità e determinazione nella realizzazione della fusione,
assicurando la più ampia e incisiva tutela di tutti gli obiettivi in gioco.
E’ una governance innovativa rispetto ai modelli societari sinora in uso in Italia che a quelli
sperimentati all’estero. Quella di Intesa San Paolo è un’esperienza pilota da tutti i punti di vista
progettata e realizzata in stretto contatto con la Banca d’Italia. La responsabilità del Consiglio di
Sorveglianza si concentra sul sistema dei controlli e sull’indirizzo strategico, coadiuvato dalla
31
Nell'attività di corporate e investment banking, con 53 centri dedicati a circa 21.000 clienti corporate, il Gruppo
Intesa Sanpaolo è protagonista assoluto. Con Banca IMI il Gruppo è l'operatore italiano di riferimento nell'investment
banking, in particolare nella finanza strutturata e nel project & acquisition finance, e nel capital markets, raggiungendo
una massa critica rilevante nelle attività di market making.
A livello internazionale Intesa Sanpaolo è presente in 34 Paesi a supporto dell'attività cross-border dei suoi clienti con
una rete specializzata costituita da filiali, uffici di rappresentanza e controllate che svolgono attività di corporate
banking. Gestisce rapporti con una rete di circa 4.000 banche corrispondenti.
Correspondent Banking gestisce le relazioni e gli accordi di cooperazione tra il Gruppo e le istituzioni finanziarie a
livello globale, con l'obiettivo principale di supportare le attività internazionali dei suoi clienti.
presenza di comitati con funzione di assicurare un’adeguata valutazione preventiva delle proposte e
la formulazione di osservazioni e pareri.
CONSIGLIO DI SORVEGLIANZA
Nominato dall'Assemblea degli Azionisti, ha la supervisione delle attività del Consiglio di Gestione. In
particolare responsabile per l'approvazione delle maggiori iniziative strategiche proposte dal Consiglio
di Gestione.
CONSIGLIO DI GESTIONE
Nominato dal Consiglio di Sorveglianza, è responsabile della gestione del Gruppo in accordo con le
linee guida strategiche definite dal Consiglio di Sorveglianza.
CONSIGLIERE DELEGATO
Nominato dal Consiglio di Gestione tra i suoi membri, è unico CEO con pieni poteri
Sul piano della governance la società sarà, quindi, di tipo duale, con un consiglio di sorveglianza e
uno di gestione32. Sarà l'attuale presidente di Intesa, Giovanni Bazoli a guidare il supervisory board,
mentre il consiglio di gestione (l'attuale cda) vedrà la leadership dell'attuale presidente del
Sanpaolo, Enrico Salza; unico, invece sarà il chief executive officer, Corrado Passera. A Torino ci
saranno la sede legale e la divisione retail e a Milano il quartier generale operativo e la struttura
corporate.
Adottato finora da pochi il sistema duale del consiglio di sorveglianza33 e del consiglio di gestione34
non taglia le poltrone ed esautora l’assemblea sociale.
Una novità rivoluzionaria per il nostro sistema bancario, la nascita del primo gruppo dal controllo
saldamente italiano che si sia posto in grado di competere a livello internazionale, ma anche che ha
deciso di adottare un sistema duale di gestione.
Intesa San Paolo ha scelto di adottare il ‘modello di amministrazione e controllo dualistico’, basato su un consiglio di
sorveglianza e un consiglio di gestione. Il consiglio di sorveglianza, oltre ad essere titolare dei compiti di controllo tipici
del collegio sindacale, è investito anche di taluni compiti tradizionalmente propri dell’assemblea degli azionisti e
funzioni di indirizzo e supervisione di tipo strategico, mentre il consiglio di gestione è titolare pieno ed esclusivo del
potere di gestione sociale e concorre, nell’ambito delle proprie distinte competenze, nell’esercizio della funzione di
supervisione strategica.
33
Il Consiglio di Gestione, da statuto, deve essere composto da un minimo di sette a un massimo di undici membri,
nominati dal Consiglio di Sorveglianza. I componenti durano in carica per un periodo non superiore ai tre esercizi. A
loro spetta la gestione dell’impresa in coerenza con gli obiettivi strategici.
34
Il Consiglio di Sorveglianza è composto da un minimo di quindici a un massimo di ventuno componenti nominati
dall’Assemblea mediante voto di lista, i quali durano in carica per tre esercizi. Oltre che alle materie riservate per legge,
lo statuto, prevede l’approvazione degli indirizzi strategici e programmatici, dei piani industriali e finanziari, nonché
delle operazioni strategiche di maggior rilievo economico-finanziario.
32
Alla classica suddivisione delle aziende italiane tra assemblea dei soci, consiglio di
amministrazione e collegio sindacale, i vertici dei due istituti di credito hanno preferito la nuova
modalità introdotta dalla legge del risparmio del 2003 e che si basa sull’esistenza di due organi di
governo: un consiglio di gestione, incaricato dell’amministrazione e della definizione di strategie di
business, e un consiglio di sorveglianza35 che, oltre ad approvare i bilanci per portarli all’assemblea
degli azionisti, svolge funzioni di controllo sull’operato del consiglio di gestione potendo deliberare
e attuare una supervisione qualificata sulle strategie proposte in via preliminare dall’altro organo, e
di cui può nominare, revocare e sostituire i membri. La rivoluzione in atto non è di poco conto. Il
modello di gestione dualistica messo in piedi dai vertici del nuovo polo bancario è assolutamente
innovativo, formalmente dualistico ma nella sostanza accentratore. E con un elemento che domina
sugli altri: l’assemblea dei soci viene sostanzialmente svuotata di ogni attribuzione operativa,
riservandosi solo quella di nominare/revocare i membri del consiglio di sorveglianza.
Il sistema dualistico viene dal diritto societario tedesco, che ha pensato di rendere, in questo modo,
più snella l’attività aziendale, le società divengono più flessibili, e il gruppo di comando decide più
in fretta. Alcune indiscrezioni ‘di corridoio’, hanno presupposto che, nel caso Intesa Sanpaolo, il
sistema duale36, sia stato scelto più per evitare una spinosissima decimazione delle poltrone di
potere, che per migliorare la gestione della società.
Il sistema non pare esportabile a tutte le realtà italiane. Dopo le fusioni, molti istituti di credito
stanno pensano al nuovo modello, che affianca la gestione alla sorveglianza. Ma le perplessità sulla
sua efficacia crescono. E i critici dicono: il sistema serve solo a duplicar le cariche, oltre che gli
stipendi.
35
Apparso necessario in relazione al numero dei componenti, che il Consiglio di Sorveglianza crei nel suo ambito
alcuni Comitati. Oltre a quelli Nomine e Remunerazione, assume particolare rilevanza il Comitato per il Controllo.
Il Comitato per il Controllo avrà quindi competenze propositive, consultive e istruttorie in materia di assetto dei
controlli sulla gestione dei rischi e sul sistema informativo contabile, nonché sul funzionamento dell’internal audit e
potrà procedere in qualsiasi momento ad atti di ispezione e di controllo nonché scambiare informazioni con gli organi di
controllo delle società del Gruppo in merito ai sistemi di amministrazione e controllo e all’andamento generale
dell’attività sociale.
Il Comitato Nomine avrà funzioni selettive e propositive in merito alle nomine dei componenti del Consiglio di
Gestione nonché del Presidente e del o dei Vice Presidenti di tale Organo.
Il Comitato Remunerazione avrà competenza propositiva e consultiva rispetto al Consiglio di Sorveglianza in materia di
remunerazione:
a) dei Consiglieri di Gestione, ivi inclusi il Consigliere Delegato e i Consiglieri investiti di particolari cariche;
b) del Presidente e dei Vice Presidenti del Consiglio di Sorveglianza;
c) nonchè dei Consiglieri di Sorveglianza a cui siano attribuite particolari cariche, poteri o funzioni dallo statuto o dal
Consiglio di Sorveglianza stesso.
36
Il nuovo modello di gestione, che viene a cancellare il consiglio d’amministrazione e il collegio sindacale per far
posto al consiglio di gestione con compiti manageriali, e a un consiglio di sorveglianza, che controlla l’operato dei
manager, oggi tenta Mediobanca, ma anche Sanpaolo-Intesa e il Banco Popolare di Verona e Novara. Più trasparenza,
maggiore salvaguadia degli interessi dei piccoli azionisti e conflitti di interesse sotto controllo; ma forse ci sono delle
motivazioni più pratiche, in un contesto di aggregazione porterebbero alla moltiplicazione delle poltrone e quindi un
accellerazione nella firma degli accordi.
La governance alla tedesca, riveduta e corretta e introdotta in Italia nel gennaio del 2004, piace più
alle superbanche che alle imprese. Alcuni tecnici manifestano perplessità sulla funzionalità e
sull’efficacia di questo sistema in Italia, avendo una cultura diversa. In Germania il modello dà
buoni frutti perché le funzioni del consiglio di gestione e di quello di sorveglianza son ben definite e
separate, l’amministratore delegato ha una grossa autonomia rispetto a quello italiano.
Il modello dualistico ha pregio di separare con chiarezza il ruolo di gestione da quello dei soci, ma
per valutare se funzionerà in Italia, si dovrà vedere l’impatto che avranno i patti parasociali che
potrebbero alterare alcuni dei meccanismi di funzionamento del consiglio di sorveglianza e del
consiglio di gestione37.
Indirizzi operativi su come e da chi va gestita una banca in Italia, da parte del governatore della
Banca d’Italia: un giudizio analitico e una precisa startegia evolutiva per le relazioni tra finanza
d’impresa e politica in un Paese, in cui, le banche sono ancora soci influenti di molte grandi
imprese, e le Fondazioni restano azioniste stabili di molti colossi bancari. La valutazione
pessimistica sull’adozione del nuovo modello dualistico da parte delle grandi banche è nota, e
legata alla creazione di complesse e affollate piramidi di governance. Difficoltà riguardo la chiara
distinzione di responsabilità, l’efficace dialettica interna, la corretta gerarchia di controllo.
Particolare possibilità di sovrapposizione e commistione di funzioni tra sorveglianza e gestione. Le
istruzioni di Draghi bandiscono una sorta di esame di maturità per la finanza italiana.
Dopo le prime tensioni seguite all’annuncio del matrimonio sull’asse Milano-Torino, avvenuto a
fine agosto, ora la strada appare in discesa. La nuova banca è nata anche in seguito all’invito del
governatore della Banca d’Italia Draghi, a velocizzare il consolidamento tra gli istituti di credito
italiani. Con questa operazione, dunque, da un lato il sistema si rafforza contro nuovi ingressi
dall’estero nell’azionariato delle banche italiane, dall’altro raccoglie forze per progettare
un’espansione più consistente sui mercati internazionali, com’è avvenuto in tempi recenti da parte
di Unicredito.
Se a Milano sembrano tutti favorevoli, a Torino ci sarebbe invece qualche perplessità.
Preoccupazioni sono state espresse dai sindacati, per l'impatto sull'occupazione (il gruppo avrebbe
centomila dipendenti); ma sembra esserci qualche incertezza soprattutto tra le fila dei soci. Da
37
Nel giugno del 2007 viene introdotto un nuovo assetto della governance di Intesa Sanpaolo guarda alle migliori
esperienze internazionali e separa rigorosamente la gestione dal controllo del rischio.
Sul ponte di comando del Gruppo arrivano quattro Chief Officer. I principali progetti strategici conseguenti alla fusione
vengono progressivamente realizzati, si stanno raggiungendo le sinergie di ricavo e di costo previste dai piani aziendali,
è imminente il consolidamento dell’integrazione. Tutto ciò comporta un ulteriore sviluppo dell’organizzazione del
Gruppo, che è stata definita migliorando ulteriormente la struttura di governance centrale sotto il profilo della
razionalizzazione e semplificazione e del rafforzamneto del sistema dei controlli. Lo scopo è duplice: da un lato,
favorire la diffusione di un’adeguata cultura del rischio, basata su tre livelli di difesa, assicurate rispettivamente dalla
gestione del business, dal controllo del rischio e dall’Audit interno; dall’altro rfforzare il coordinamento e i meccanismi
di cooperazione interfunzionale perfezionando nel contempo le strutture della governance.
ambienti della Compagnia di San Paolo, primo socio del nuovo gruppo, insieme a commenti
positivi è filtrata anche una certa cautela.
Il mercato ci crede, i giudizi degli analisti sono positivi; solo dai sindacati 38 di settore emergono
preoccupazioni, perché sono rare le integrazioni che non comportino sovrapposizioni ed
eliminazione di doppioni, e nel caso specifico si vocifera addirittura di quindici mila esuberi
(numeri, però, tutti da verificare). Intanto si precisano i contorni e i tempi di quel che accadrà.
Una grande casa di investimenti come Goldman Sachs calcola le sinergie in circa 800 milioni di
euro nel 2008, pari al 13% circa dell'utile netto del nuovo gruppo. Tuttavia, anche Goldman vede
come possibile nube all’orizzonte la definizione di efficaci accordi sulla governance.
Azionista
Azioni ordinarie
% di possesso su
capitale ordinario
Compagnia di San Paolo
943.225.000
7,960%
Carlo Tassara S.p.A.
697.548.241
5,886%
Crédit Agricole S.A.
659.542.636
5,566%
Assicurazioni Generali
601.201.246
5,075%
Fondazione Cariplo
554.578.319
4,680%
Fondazione C.R. Padova
e Rovigo
545.264.450
4,602%
Ente C.R. Firenze
400.287.395
3,378%
Fondazione C.R. in
Bologna
323.334.757
2,729%
Il giudizio cauto di Moody's, per la
quale bisognerà attendere i dettagli
prima di giudicare l'operazione. Un
rischio
è
che
‘compromessi’
si
su
scenda
a
assetti
e
governance per accontentare tutte le
parti in gioco. Tra gli interrogativi
anche
gli
sviluppi
per
l'asset
management, ovvero in primo luogo
Eurizon. D'altro canto, Banca Intesa
e Sanpaolo Imi hanno un rating identico nella pagella di Moody's (Aa3 sul lungo termine e P-1 sul
breve), quindi la fusione non ha conseguenze immediate per il merito di credito.
I consigli di amministrazione di Intesa e Sanpaolo Imi approveranno una fusione per
incorporazione delle banca torinese in quella milanese, benché non significhi annessione.
I due consigli diranno anche di sì al concambio39, questo sarà l’avvio di un processo da perfezionare
a metà dicembre con le due assemblee dei soci, chiamate a dare l’assenso definitivo, mentre per
gennaio o febbraio del prossimo anno ci sarà la quotazione in Borsa del nuovo gruppo unito.
38
Dal fronte sindacale confederale, cauto il commento del segretario della Cgil Epifani: «L'operazione richiede grande
attenzione perché la collocazione geografica delle due aziende tende a sovrapporsi. C’è anche il problema di come si
integreranno le attività bancarie e assicurative, perché i modelli delle due banche non sono corrispondenti».
39
La fusione avverrà con uno scambio di azioni, carta contro carta, a valori di mercato. Il concambio dovrebbe
collocarsi tra 3,1-3,3 azioni Intesa per una Sanpaolo Imi; i valori precisi saranno definiti dagli advisor, che
presenteranno ai board il documento con le linee guida dell'integrazione, la struttura del nuovo gruppo e le stime delle
sinergie. Si è consumato, intanto, il sorpasso: i 35,035 miliardi di euro di Banca Intesa sommati ai 30,187 del Sanpaolo
Imi in fase di fusione hanno totalizzato i 65,222 miliardi di capitalizzazione di Borsa, superando così l’Unicredito
Italiano (arretrato a 63,727) che è l’ex numero uno di settore in questa speciale classifica. Naturalmente potrebbe anche
essere un fatto episodico, visto che c’è stato un boom delle azioni Intesa e Sanpaolo al listino sull’onda della novità,
mentre il titolo Unicredit è parzialmente arretrato per ragioni sue indipendenti.
Il settore finanziario italiano ed europeo è stato caratterizzato negli anni recenti da un progressivo
processo di consolidamento e di incremento del grado di concentrazione determinato da fattori
quali:
– la progressiva adozione da parte delle Autorità di misure uniformi di governo e di vigilanza;
– i profondi mutamenti avvenuti nelle strutture di mercato (nei sistemi di regolamento
internazionali, nelle società-mercato, ecc) frutto anche delle opportunità rese disponibili
dall’innovazione tecnologica;
– la ricerca da parte degli operatori del conseguimento di una adeguata massa critica per ottenere
vantaggi competitivi in termini di struttura dei costi e di efficacia dell’azione commerciale.
In tale contesto, Sanpaolo e Intesa hanno dimostrato di sapere cogliere con successo le opportunità
di crescita interne ed esterne, giocando un ruolo da protagonisti nel processo di consolidamento del
sistema bancario italiano e divenendo due dei maggiori gruppi a livello nazionale.
L’unione consente al Gruppo un più ampio spazio d’azione espresso attraverso il Piano d’Impresa
2007-200940 che punta alla crescita sostenibile in tutte le aree di business e ad una grande creazione
di valore nei prossimi anni. Lo sviluppo delle attività avverrà conservando l’attuale mix di business.
Il Piano d’Impresa è basato sull’ottimizzazione di tutte le variabili gestionali: sviluppo dei ricavi, efficientamento dei
costi, ottimizzazione degli attivi e dei rischi. L’elemento qualificante è però la crescita sostenibile dei ricavi. Il risultato
netto del Gruppo nel 2006 rappresenta una solida base di partenza per il Piano d’Impresa.
40
Intesa Sanpaolo intende raggiungere i risultati di crescita previsti dal piano localizzandosi su cinque
obiettivi fondamentali: innovazione al servizio dei clienti, vicinanza alle imprese, supporto al
sistema Paese, centralità delle persone (professionalità), creazione di valore per gli azionisti.
Sul mercato domestico la banca dispone di una copertura territoriale unica in Italia per estensione e
per capillarità: il più grande network di sportelli, la possibilità di fare leva su marchi storici a livello
locale e su un forte marchio nazionale.
Ma Intesa Sanpaolo è una banca importante anche fuori dall’Italia, e all’estero si intende perseguire
uno sviluppo equilibrato. La solidità delle basi di partenza è dovuta anche ai risultati conseguiti da
Banca Intesa e Sanpaolo Imi nel 2006 e assunti come dato di riferimento per misurare l’entità della
crescita prevista dal Piano. A queste basi quantitative si aggiunge l’intenso e rapido lavoro
d’integrazione svolto nei primi mesi di vita di Intesa Sanpaolo, durante i quali sono state rispettate
tutte le scadenze prefissate per la fusione.
Con il Piano d’impresa 2007-2009, Intesa Sanpaolo si pone l’obiettivo di crescere in misura
significativa e in modo sostenibile assieme a tutti i propri stakeholders, obiettivo sintetizzato dalla
crescita attesa della redditività del Gruppo, sostenibile perché organica, basata su ipotesi di scenario
economico conservative e derivanti da tre fondamentali linee d’azione:

sviluppo di una base di ricavi ricorrenti;

gestione di costi e rischi orientata alla crescita e all’efficienza;

forti investimenti in risorse umane e tecnologie.
Oltre alla crescita organica, nei prossimi anni il nuovo Gruppo avrà ulteriori opzioni di crescita
straordinaria in diversi settori di attività. Il contenuto di molti progetti di sviluppo che sono allo
studio o in via di realizzazione non viene articolato nel Piano per evitare di mettere a rischio il
successo delle eventuali operazioni e, come detto sopra, i loro effetti non sono stati inclusi nelle
previsioni del Piano stesso. Tali opzioni riguardano:
-
acquisizioni di banche locali italiane per completare la copertura del territorio;
-
acquisizioni mirate in Europa.
Le linee guida di questi progetti sono le seguenti: il mantenimento dell’attuale mix di business, il
consolidamento della leadership domestica, lo sviluppo internazionale equilibrato, e la politica di
‘make or buy’ di prodotto orientata al cliente.
Il modello organizzativo sarà basato su una banca Capogruppo41 svolgente attività operativa,
direttamente o attraverso società controllate, con chiare responsabilità di gestione sul nuovo Gruppo
41
Come in precedenza illustrato il Gruppo Sanpaolo IMI nella sua configurazione attuale è infatti il risultato della
fusione tra l’Istituto Bancario San Paolo di Torino e l’Istituto Mobiliare Italiano, avvenuta nel 1998, e delle successive
integrazioni del Banco di Napoli nel 2000 e del Gruppo Cardine nel 2002. Il Gruppo è stato in grado di integrare con
integrato e su almeno quattro Business Unit/ Divisioni, costruite intorno a un concetto di esclusività
della relazione con i diversi segmenti di clientela:

Banca dei Territori (modello con attribuzione di ogni specifico terriorio a un singolo
marchio), con la responsabilità dei clienti Retail, Private e Pmi;

Corporate & Investiment Banking, con la responsabilità dei clienti Corporate e Financial
Institutions;

Enti Pubblici e Infrastrutture, con la responsabilità dei clienti Stato, Enti Pubblici, Enti
Locali, Sanità;

Banche Estere.
Il Gruppo risultante dalla fusione si collocherà tra i leader del sistema bancario europeo e sarà in
grado di competere nel settore dei servizi finanziari a livello sovra-nazionale, tramite un
rafforzamento di natura domestica che presenta cartteristiche uniche, anche dopo le cessioni
previste dall’accordo con Credit Agricole.
Il nuovo Gruppo, già prima delle sinergie, si collocherà tra i primissimi gruppi bancari
dell’eurozona con una capitalizzazione di mercato di oltre 72 miliardi di euro e sarà leader
indiscusso in Italia con circa 12 milioni di clienti e con una quota di mercato mediamente
nell’ordine del 20% in tutti i segmenti di attività, in linea con i valori delle banche leader nei
principali Paesi europei. In nuovo Gruppo sarà inoltre leader italiano nel settore Enti Pubblici e
Infrastrutture.
Pare che il risiko bancario42, avendo ormai perso i pezzi migliori, si stia focalizzando su un livello
maggiormente di dettaglio ma altrettanto strategico come quello della compravendita di sportelli.
successo e di valorizzare la molteplicità delle sue componenti, come dimostrato dall’adozione del modello di “Banca
Nazionale dei Territori”, che prevede il mantenimento e la valorizzazione dei marchi regionali.
Anche il Gruppo Intesa è il risultato di una serie di operazioni di integrazione completate con successo: nasce nel 1998
dall’integrazione di Cariplo e Ambroveneto, cui fa seguito nel 1999 l’ingresso nel Gruppo della Cassa di Risparmio di
Parma e Piacenza e della Banca Popolare FriulAdria e nel 1999 l’Offerta Pubblica di Scambio sul 70% della Banca
Commerciale Italiana, successivamente incorporata nel 2001.
42
La nuova superbanca da cento miliardi di capitalizzazione che nasce dalla fusione fra Unicredit e Capitalia, si
chiamerà Unicredit Group e sarà il secondo più grande gruppo bancario europeo, il primo italiano e il primo dell'area
Euro. Un gruppo che può contare su 9.200 sportelli, di cui circa 5.000 in Italia. Rimarranno in uso i nomi e i marchi
degli altri istituti coinvolti e i marchi degli sportelli saranno differenziati per aree geografiche: al nord Unicredit, al
Complici anche le cessioni obbligate da parte dell'Antitrust 43 nel post megafusioni, c'è stato e c'è
attualmente un discreto movimento sul fronte della compravendita delle filiali.
Così Intesa Sanpaolo ha distribuito a pioggia i suoi 189 sportelli, mentre Unicredit è in trattative
con un unico consorzio. All'estero HSBC si appresta a cedere un nutrito gruppo di sportelli di sue
controllate in Francia alla Banque Federale des Banques Populaires per 2,1 miliardi di dollari. Per
gli inglesi è un'ottima occasione per disinvestire da un mercato maturo e ottenere una notevolissima
liquidità da investire nel far east. Infine, tornando in Italia, c'è chi gli sportelli li mette su per conto
suo e non li acquista (magari lo ritiene maggiormente conveniente). E' Bnl che ha in previsione un
piano di espansione che parla di 50 nuove filiali all'anno da qui al 2012 , sfruttando il momento
centro Banca di Roma e Banco di Sicilia nell'isola. Il via libera è avvenuto in contemporanea dai cda delle due società, a
Roma e Milano e la fusione dovrebbe essere completata all'inizio dell'ultimo trimestre 2007.
La fondazione Cassa Risparmio Verona, Vicenza, Belluno e Ancona sarà il primo socio della superbanca che nascerà
dalla fusione di Capitalia in Unicredit con il 3,9%. Secondo grande azionista sarà Munich Re (3,7%). Subito dopo
vengono le altre grandi fondazioni storiche di piazza Cordusio come Crt (3,69%) e Carimonte (3,34%) mentre la
Fondazione Cassa di Risparmio di Roma avrà l'1,1%, la Manodori lo 0,9%, la Banco di Sicilia lo 0,6% e la Regione
Siciliana lo 0,62%. Allianz avrà invece il 2,42%, Abn l'1,88% e Fondiaria Sai lo 0,77% mentre la Lybian Arab Bank lo
0,56%. Infine Generali conterà su una quota dello 0,42%.
Cesare Geronzi, attuale presidente di Capitalia, ricoprirà la carica di vice presidente vicario e presidente del comitato
esecutivo del nuovo gruppo, e avrà la delega per le partecipazioni in Mediobanca, Generali, Rcs e Pirelli. Il nuovo
vertice vicario di Unicredit prevedrà un consiglio di amministrazione di 24 persone al posto degli attuali 23. Presidente
resterà il tedesco di HvB Dieter Rampl e amministratore delegato Alessandro Profumo. Il nuovo consiglio di
amministrazione di Unicredit avrà quattro posti riservati ai soci capitolini, che saranno coperti da Cesare Geronzi e dai
rappresentanti di Fonsai, Fondazione Manodori e Regione Sicilia.
43
Le banche italiane sono alle prese con un istruttoria appena aperta dall’antitrust, dovuta agli effetti della ostinazione
delle stesse, nel non attuare in pieno le disposizioni decretate da Bersani e gli stringenti chiarimenti contenuti
nell’ultima legge finanziaria in merito alla piena e gratuita trasferibilità dei mutui.
Il particolare curioso è dato dal fatto che, anche per effetto del processo di concentrazione in corso, ben quattro delle
banche messe sotto esame dall’Antitrust appartengono ad Unicredit Group (Unicredit, Banca di Roma, Bipop-Carire e
Banco di Sicilia), mentre le altre sono Intesa San Paolo, BNL, Monte dei Paschi di Siena, Antonveneta, UBI, Deutsche
Bank Italia, Carige, Banca Popolare di Milano e Banca Sella.
estremamente positivo che la banca controllata dai francesi di Bnp Paribas sta vivendo (con risultati
record). Insomma, adesso che i giochi ad alto livello sono fatti, ci si comincia a concentrare sui
driver di sviluppo ‘fondamentali’.
Con il solito ritardo dovuto alle diverse regole imperanti al di qua ed al di là dell’Oceano Atlantico,
iniziano finalmente a pervenire in questi giorni le radiografie dell’andamento dei conti delle banche
europee nel primo trimestre di questo anno che si manifesta sempre più come un anno funesto44,
conti, che, in particolare per le maggiori tra le banche francesi così come per le prime della classe
tra le italiane, sono proprio tutt’altro che esaltanti.
I vertici di Socgen, Credit Agricole, BNP Paribas, Unicredit Group ed Intesa San Paolo non si sono
potuti esimere dal mostrare, in tutta la sua evidenza, un calo dell’utile netto che in più di un caso è
equivalso al dimezzamento dello stesso, mentre nessuno ha cercato di nascondere a sé stesso ed agli
analisti che difficilmente il resto dell’anno si presenterà a tinte più rosa.
Per uno strano scherzo del destino, le minori flessioni del risultato netto registrate dalle tre banche
francesi si sono accompagnate, almeno per l’Agricole e Socgen, a mega svalutazioni legate alla crisi
dei mercati finanziari, mentre i due colossi italiani del credito continuano a segnalare criticità
minori su questo fronte, anche se la controllata tedesca di Unicredit Group, continua a destare non
poche preoccupazioni dalle parti di Piazza Cordusio. Dopo Unicredit, infatti, anche Intesa Sanpaolo
annuncia un primo trimestre con utili più che dimezzati. Pesa la crisi dei mercati finanziari, ma si
fan sentire anche gli oneri da integrazione e le minori plusvalenze, dopo le cessioni miliardarie
all’Agricole45.
44
Per le banche il 2007 è stato un anno alla grande: il risultato netto delle big è aumentao ancora del 26,8%. Ma il
grosso deriva dalle plusvalenze realizzate dalle cessioni di sportelli. I nodi cominciano a venire al pettine: il primo
trimestre del 2008 segna infatti una battuta d’arresto nella cavalcata dei profitti, che risultano in calo del 49%. Anche
qui però gioca l’effeto Intesa che nel primo scorcio del 2007 aveva ceduto partecipazioni in Cariparma e Friulandria. I
segni di rallentamento sono comunque visibili anche nel calo dei ricavi e nel risultato corrente, che crolla del 32%,
mentre le perdite su crediti salgono del 12%. Il grado di concentrazione del sistema ormai è elevato, dato che la quota
dei primi sei istitutiraggiunge il 60% in termini di crediti verso la clientela.
45
Nel contesto dell’operazione di aggregazione con Sanpaolo, di particolare importanza è stata la definizione dei
rapporti con il Crédit Agricole S.A., una delle più importanti banche francesi ed europee, azionista dal dicembre 1989 e
membro del Patto di Sindacato di Intesa. In data 11 ottobre 2006, Intesa e Crédit Agricole S.A. hanno firmato un
accordo (nel seguito anche “Accordo”) in relazione al Progetto di fusione tra il Gruppo Intesa e il Gruppo Sanpaolo
IMI. L’Accordo prevede:
a) la cessione a Crédit Agricole S.A. da parte di Intesa:
– dell’intera partecipazione detenuta nella Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza (pari al 100% del capitale) per un
corrispettivo in contanti di Euro 3,8 miliardi;
– dell’intera partecipazione detenuta nella Banca Popolare FriulAdria (pari al 76,05% del capitale) per un corrispettivo
in contanti di Euro 836,5 milioni;
– di 193 sportelli di Intesa individuati dalle parti - che verranno conferiti alle due predette banche controllate - per un
corrispettivo in contanti di Euro 1.330 milioni;
b) un’evoluzione della partnership tra Intesa e Crédit Agricole S.A. nel risparmio gestito;
c) il mantenimento degli attuali accordi nel credito al consumo - relativamente alla rete del Gruppo Intesa ante fusione per tre anni, al termine dei quali le parti riconsidereranno la struttura proprietaria di Agos. Sarà esercitabile un’opzione
call/put per la cessione a Crédit Agricole S.A. del 49% detenuto in Agos da Intesa.
Capitolo 2
Banca IMI
Introduzione
Questa parte dell’elaborato viene a definire l’attività, l’operatività di competenza, e la struttura di
Banca IMI. Partendo da una digressione storica sulle origini, legate in parte al Gruppo Intesa,
attraverso Banca Caboto, e in parte al Gruppo San Paolo (con Banca IMI, dalla quale la nuova
società prenderà denominazione), per arrivare a definire quella che oggi è una realtà leader nel
territorio nazionale.
Banca IMI, viene ad essere fonte per la redazione dei capitoli successivi, volti a cogliere, attraverso
la fase d’integrazione, i vantaggi competitivi derivanti: da una più elevata scala dimensionale, da
una integrazione operativa con i segmenti contigui, o complementari dell’intermediazione
mobiliare, e dalla disponibilità di idonee reti distributive. La potenziale rilevanza delle economie di
scala e di scopo è, peraltro, confermata dalla entità dei risultati conseguiti in molti recenti processi
di aggregazione e di diversificazione. La letteratura accademica non sembra, però, portare evidenza
conclusiva su queste economie.46
Ma tali argomentazioni, ci si soffermerà nell’ultima fase dell’elaborato, in questa parte risulterà
opportuno descrivere in maniera dettagliata, i contenuti di carattere strutturale-operativo del
soggetto in riguardo, senza effettuare verifiche, o riportare analisi in merito, ma concentrandosi
sulle strategie organizzative e sullo sviluppo di nuove competenze, che porterà, Banca IMI, ad
investire il ruolo di leader nel mercato italiano, e di principale competitors a livello internazionale.
2.1. L’attività di Banca IMI
Banca IMI, banca del Gruppo Intesa Sanpaolo attiva nell'Investment Banking e nei Capital Markets,
viene ad essere uno tra i principali intermediari finanziari italiani, nato dalla fusione tra Banca
Caboto e Banca IMI47, con una forte presenza nei collocamenti azionari e obbligazionari, nelle
operazioni di finanza straordinaria e nella negoziazione di titoli.
La sua mission si definisce: in operazioni di collegamento tra sistema delle imprese e mercato dei
capitali, nell’affiancamento delle aziende con soluzioni finanziarie efficaci e su misura, nell’offerta
di opportunità d'investimento, che soddisfino le aspettative degli investitori istituzionali, e nella
creazione di valore per i propri clienti.
Una tipica posizione al riguardo, è che risulta difficile nell’analisi econometria distinguere tra potenziali economie
tecniche e diseconomie organizzative, si veda in merito, Rainer Masera, La fusione San Paolo Imi nella prospettiva
italiana ed europea, Rivista Bancaria, Minerva Bancaria n.1, 1999.
47
Banca Caboto e Banca IMI: da sempre due tra le più importanti istituzioni della finanza italiana.
46
Oltre che in Italia, dove ha sede principale a Milano, ed uffici a Roma, Banca IMI48 è operativa a
Londra e a New York, tramite la succursale Banca IMI Securities Corp49.
Banca IMI, risulta essere un partner di riferimento per le aziende che intendono realizzare progetti
di quotazione, oppure, se già quotate, che devono soddisfare particolari esigenze finanziarie legate
al proprio capitale50. Infatti, sia le aziende di grandi dimensioni, come le imprese medio-piccole,
possono, in questo modo, sostenere la propria crescita attraverso il reperimento di capitali sul
mercato azionario, o cogliendo le opportunità del processo di quotazione in termini di visibilità,
trasparenza e competitività nel proprio mercato di riferimento.
Con un servizio di elevata professionalità in linea con i migliori standard internazionali, Banca IMI
fornisce servizi finanziari sul capitale azionario e assistenza alle società quotate anche nel periodo
di post-quotazione:

coordinamento e realizzazione di operazioni di privatizzazione;

coordinamento e realizzazione di quotazioni in borsa;

promozione, direzione e garanzia di aumenti di capitale di società quotate;

direzione di collocamenti azionari presso investitori istituzionali;

coordinamento della raccolta delle adesioni in occasione di Offerte Pubbliche di Acquisto o
di Scambio;

emissione e collocamento di strumenti equity linked, quali le obbligazioni convertibili;

organizzazione e coordinamento dell'attività di promozione e vendita dei titoli oggetto delle
operazioni, con riferimento sia alle offerte ad investitori istituzionali, che alle offerte a
pubblico;

coordinamento e guida dei consorzi di garanzia e collocamento, di volta in volta, costituiti
per l'esecuzione delle operazioni.
L'offerta di Banca IMI comprende anche il collocamento di emissioni obbligazionarie investment
grade e high yield, destinate ad un pubblico di investitori istituzionali oppure agli investitori privati.
Banca IMI, inoltre, si posiziona come la banca italiana più attiva nella distribuzione di eurobond ad
investitori istituzionali, e ha sviluppato una competenza specifica sugli emittenti italiani nelle
emissioni di debutto sull'Euromercato, nella consulenza, predisposizione e strutturazione di
48
Banca d'investimento italiana che opera sui mercati domestici ed internazionali con i propri uffici di Londra, Atene e
New York, offre una gamma completa di servizi alle banche, alle imprese, agli investitori istituzionali, agli enti ed alle
pubbliche amministrazioni.
49
Banca IMI Securities Corp. è un broker/dealer statunitense membro del NASDAQ, del NYSE e del CBOT, attivo
nella vendita cross border di strumenti finanzari agli investitori istituzionali. La società aderisce direttamente ai sistemi
di clearing americani DTC e NSCC e regola la propria attività in titoli governativi americani tramite la Bank of New
York.
50
Settore definito con il termine di corporate finance. Si veda, in merito, il capitolo precedente.
programmi EMTN51.
Alla capillare capacità distributiva in Italia, si affianca una sales force dislocata nella branch di
Londra e nella controllata di New York, per garantire una copertura globale dei mercati.
Banca IMI assiste la propria clientela nelle varie fasi dell'emissione obbligazionaria, attraverso il
debt syndication, che ha il compito di:
-
monitorare il mercato primario e secondario al fine di identificare eventuali opportunità di
funding per potenziali emittenti bancari, corporates, Repubblica Italiana, enti locali e
soprannazionali;
-
in operazioni in cui Banca IMI ha ottenuto il mandato, definire la strategia di marketing in
collaborazione al debt origination, gestire la fase di raccolta ordini da parte della clientela
istituzionale ed effettuare il lancio e pricing dell'operazione;
-
gestire la partecipazione di Banca IMI ad operazioni proposte da altri intermediari.
Il servizio di corporate broking finalizzato a garantire alle società quotate l'assistenza nei rapporti
con la comunità degli investitori e degli analisti finanziari, viene reso attraverso il monitoraggio del
mercato, la periodica pubblicazione di ricerca e l'organizzazione di incontri con gli investitori
istituzionali.
Banca IMI opera costantemente al fianco delle imprese per supportarle nell'individuazione e nella
realizzazione delle operazioni più complesse sul mercato dei capitali, nel fornire strumenti efficaci
ed innovativi per il finanziamento della loro crescita e sviluppo, nell’accompagnarle in tutte le fasi
del processo, dalla progettazione dell'operazione fino al suo finanziamento.
I grandi gruppi internazionali, le imprese italiane con esigenze di crescita o in fase di ricambio
generazionale, ed i fondi di private equity possono contare, da parte di Banca IMI, sul sostegno
completo nell'organizzazione, strutturazione e underwriting delle operazioni.
Banca IMI propone l'utilizzo della più opportuna combinazione di strumenti (acquisition debt,
capex financing52, working capital facilities, debito senior o subordinato), operando da anni con
successo sul mercato italiano e su quello internazionale, offrendo adeguate soluzioni per il
finanziamento di una vasta gamma di operazioni (es.: LBOs, MBOs, MBIs, public to private,
Corporate Acquisitions53).
Svolge attività di advisory e arrangement, assistendo i promotori dell'iniziativa, sin dalle prime fasi,
nella predisposizione del business plan, nella definizione ottimale del mix delle fonti di
finanziamento, nella valutazione della struttura societaria e legale più idonea. Vanta una lunga
Programma di emissioni obbligazionarie, denominato ‘Euro Medium Term Note Programme’.
Capex: acronimo di Capital Expenditure, Identifica i flussi di cassa in uscita generati dagli investimenti nella struttura
operativa.
53
Operazioni particolari di finanza per effttuare strategie di sviluppo e riorganizzazione delle società clienti (tra le più
conosciute il leverage by out e il merger by out sopramenzionati).
51
52
esperienza nell'organizzazione e underwriting dei finanziamenti, avendo iniziato questo tipo di
attività in Italia, ed essendo già presente sul mercato europeo e nell'area mediterranea.
Banca IMI è in grado di accompagnare i propri clienti dalla fase preliminare di scouting di mercato
e di studio di fattibilità, all'attività analitica e di due diligence, all'attività di structuring ed
ottimizzazione dell'operazione, all'attività negoziale e di gestione del closing; con lo scopo di
crescere nei moderni mercati dei capitali attraverso il M&A 54, individuando le migliori opportunità
presenti sul mercato, valutando i rischi connaturati a progetti di espansione geografica del business,
ridefinendo gli assets, per valorizzare al meglio un eventuale ricorso ai mercati finanziari.
Banca IMI si propone, inoltre, come partner finanziario di società immobiliari nell'ambito
dell'attività di riqualifica, valorizzazione e sviluppo di aree strategiche sul territorio italiano.
Sui mercati azionari italiani ed internazionali, Banca IMI si propone come partner efficiente,
competente e autorevole, che svolge in modo innovativo l'intera gamma di servizi: ricerca, vendita,
negoziazione, execution, settlement, sia per titoli cash che derivati.
Particolarmente apprezzata è l'attività di ricerca condotta sul mercato italiano dall'ufficio studi
equity, che ha ottenuto vari riconoscimenti per la sua qualità e completezza.
In Italia occupa stabilmente posizioni di vertice nella classifica ‘Assosim’, per volumi intermediati,
ed è considerata un intermediario di riferimento.
Nell'emissione di eurobond e di titoli fixed income55 in genere, Banca IMI è un operatore di
riferimento per ogni emittente, corporate o finanziario, gestisce l'intero processo, dall'origination e
strutturazione delle operazioni, alla sindacazione e distribuzione dei bonds.
Ricopre inoltre il ruolo di market maker56, sui mercati TLX ed EuroTLX, sui quali è possibile
negoziare oltre millesettecento strumenti obbligazionari indirizzati alle esigenze del segmento retail.
Sul mercato dei cambi rappresenta oggi un operatore di riferimento, infatti, l'integrazione con il
gruppo Intesa Sanpaolo è stato presupposto per la creazione di una struttura dall'esperienza
pluriennale nel trading e nella consulenza, per la clientela corporate ed istituzionale.
Il Gruppo, operando come market maker su spot, forward ed opzioni, utilizza tecnologie
all'avanguardia con i sistemi per il pricing e la gestione di derivati esotici, gestisce books di
54
Operazioni di merger and acquisition.
Circoscritti all’interno della famiglia dei titoli a reddito fisso.
56
E’ un intermediario finanziario che pubblica i prezzi di acquisto e di vendita dei titoli quotati in borsa, e di suo
possesso, permettendo a tutti gli altri investitori, di comprare o vendere a quei prezzi.
Quindi, un intermediario specializzato che fa il mercato e si impegna su una certa azione (o strumento finanziario) a
fare un prezzo di acquisto e di vendita.
Il ruolo del market maker è modificare continuamente i prezzi in base a ciò che accade.
55
volatilità su tutti i maggiori cross europei e mondiali, ha accesso al brokerage elettronico e
tradizionale nelle varie piazze finanziarie internazionali.57
Attiva sui mercati delle commodities, Banca IMI, dispone di un business avviato, con esperienza
maturata in ambito industriale e finanziario, dedicato alla negoziazione delle materie prime sui
mercati internazionali. L'accesso diretto ai principali mercati di derivati listati su commodities
(LME, NYMEX, ICE, CME, LIFFE) ed OTC permette ai trading systems di offrire una vasta
gamma di prodotti ritagliata alle esigenze della clientela corporate ed investor.
Banca IMI, si avvale, infine, della struttura di ricerca di Intesa Sanpaolo, per la mission di creare
valore svolgendo una costante attività di ricerca e analisi del contesto economico e finanziario,
mettendo a disposizione della propria clientela una gamma completa di previsioni e strategie di
investimento sul mercato azionario, dei titoli governativi, dei corporate bonds e dei mercati
emergenti.58
2.2.Costituzione Storica
2.2.1 Caboto Banca
Caboto nata nel 1948, nel 1992, è entrata nel Gruppo Ambroveneto, attraverso il quale è confluita
nel Gruppo Intesa nel 2001, concluderà il suo percorso nella fusione con Banca IMI, che porterà a
confluire le sue attività nella stessa.
Nel quadro della razionalizzazione delle attività di investment banking del Gruppo Intesa (nel
periodo precedente la fusione con Banca IMI), Caboto è stata ristrutturata mantenendo, ed
ampliando, le attività più significative del proprio core business, ed incorporando alcuni settori
strategici provenienti dalla Capogruppo.
Banca leader nei vari segmenti del mercato dei capitali, all'avanguardia grazie alle competenze e
all'esperienza acquisita, in grado di fornire al cliente un servizio competitivo e di qualità, attraverso
strumenti innovativi personalizzati, per soddisfare ogni tipo di esigenza connessa con il mercato
finanziario, rivolgendosi in modo specifico a:
-
clienti istituzionali;
-
clienti corporate;
-
reti distributive di banche e promotori finanziari.
A ciascun segmento viene proposta un'offerta mirata e articolata in base alle specifiche finalità e
necessità.
57
Per una maggiore comprensione in merito, si consiglia la lettura di, Hull J.C., Opzioni, futures e altri derivati, Il Sole
24 ore, Milano 2000.
58
Le precedenti informazioni trovano origine in, Leader Italiano di dimensione Europea [Gli elementi chiave
dell’operazione; Logica Industriale; Creazione di valore; Modello organizzativo e Corporate Governance],
documentazione interna, agosto 2006.
Caboto è banca attiva nei capital markets (le transazioni hanno come base le sale operative di
Milano e Londra, affiancandosi, a queste, due mercati per la negoziazione di prodotti OTC 59),
rivolgendosi ad investitori istituzionali, assicurazioni, istituti di credito, grandi imprese pubbliche e
private, emittenti sovranazionali, oltre che alle reti distributive bancarie e di promozione finanziaria.
Schema 2.1 - La Struttura Organizzativa di Caboto
Fonte: Volume storia dei grandi marchi, documentazione interna, 2004
Assiste i suoi clienti in ogni loro esigenza connessa con il mercato finanziario:
-
operazioni di mercato primario;
-
raccolta di capitale di debito;
-
market making e negoziazione, fixed income ed equity, cash e derivati;
-
gestione del rischio, tramite la creazione di strumenti derivati innovativi e tailor made60.
Caboto provvede a tutte le fasi della nascita di un nuovo strumento, dall'ideazione alla
distribuzione, mettendo così a frutto un know how esclusivo ed una esperienza pluridecennale, in
sinergia con altre componenti del Gruppo Intesa. 61
Il suo marchio viene ad essere, definitivamente, assorbito nella nuova Banca IMI, successivamente
alla fusione tra il Gruppo Intesa e il San Paolo di Torino.
59
I sistemi telematici RetLots e RetLots Exchange, dedicati rispettivamente a clienti istituzionali e alle reti distributive
di banche e promotori finanziari.
60
Riflette un ordine, in acquisto o in vendita, relativo a una singola serie di contratti basati su combinazione di
strumenti finanziari derivati.
61
Informazioni ricavate da, Storia Investimen Banking Divisione Corporate e Investment Banking Banca Caboto,
documentazione interna, 2008.
2.2.2 IMI - Istituto Mobiliare Italiano
L'IMI, Istituto Mobiliare Italiano, viene costituito come ente di diritto pubblico con gestione
autonoma, in data 13 novembre 1931.62
Presidente dell'IMI, dalla fondazione al 14 marzo del 1936, è il triestino Teodoro Mayer, il quale
nel discorso d'insediamento enuncia chiaramente l'intendimento di non impegnare l'Istituto in
operazioni di finanza straordinaria, quali sono quelle di salvataggio di aziende e banche, ma di
intervenire solo nei confronti di imprese con situazioni patrimoniali ed economiche
sostenibili.63
Nel secondo dopoguerra l'IMI partecipa al processo di ricostruzione del Paese, innanzitutto
assicurando la gestione delle risorse finanziarie derivanti dagli aiuti internazionali. Viene
individuato come partner italiano per l'amministrazione dell'Eximbank, il primo e fondamentale
prestito concesso dagli Stati Uniti all'Italia64.
Nel 1954, l’apertura della rappresentanza all'estero a Zurigo, seguita da Londra, Città del Messico e
Bruxelles.
Sulla base della grande esperienza acquisita nel settore nautico, assieme ad altre banche, nel 1962
l'IMI crea la ‘sezione autonoma del credito navale’ diventando leader nazionale degli impieghi di
medio termine del settore armatoriale.
Aderisce al pool di istituti che danno vita al Nuovo Banco Ambrosiano, da cui esce nel febbraio del
1985, cedendo la sua partecipazione.
Nel’83 l'IMI crea i primi fondi italiani e costituisce l'Imigest. Fra le sue creazioni spiccano inoltre
Fideuram Vita, da subito la quinta compagnia nazionale del settore, e Sige, per il trading e per il
listing borsisitco/aziendale.
L'Istituto, successivamente, si trasforma in Società per Azioni, primo passo verso l'Offerta pubblica
di vendita, del gennaio 1994 e, la quotazione nelle Borse di Milano e New York.
Nel 1998, nasce Banca d'Intermediazione Mobiliare (IMI), fulcro operativo dell'investment
banking. Nello stesso anno, il 31 luglio, viene approvata dalle rispettive Assemblee dei soci la
fusione tra IMI e Sanpaolo.65
62
Informazioni storiche da, Bosio R., Il Sanpaolo dal 1563, documentazione interna, settembre 2005.
L’istituto viene a sorgere con una mission molto discostante da quella attuale, si veda nuovamente, Rainer Masera, La
fusione San Paolo Imi nella prospettiva italiana ed europea, Rivista Bancaria, Minerva Bancaria n.1, 1999.
64
La designazione dell'Istituto come unico interlocutore nazionale di Eximbank da parte del governo americano è del 19
maggio 1947.
65
Per ulteriori approfondimenti si veda Rainer Masera, La fusione San Paolo Imi nella prospettiva italiana ed europea,
Rivista Bancaria, Minerva Bancaria n.1, gennaio 1999.
63
2.3 Caboto-Banca IMI: spin-off del corporate finance
Come potrebbe avvenire la fusione? Le indiscrezioni riferiscono di uno scorporo della divisione
corporate finance66, che confluirà in Intesa Sanpaolo.
Del resto, la banca guidata da Corrado Passera67, ha una struttura abbastanza snella nell’area del
corporate finance, mentre è storicamente ai primi posti nel settore dei grandi finanziamenti nelle
operazioni di fusione e acquisizione68, e nella finanza strutturata.
Banca IMI, invece, ha una struttura di corporate finance, più articolata, attiva sia in operazioni di
dimensioni elevate (è stata advisor e finanziatrice nell’acquisizione da parte dell’egiziano Naguib
Sawiris di Wind S.p.A.), sia in transazioni sul middle market.
Per numero di operazioni Banca IMI (pre fusione) si pone, infatti, subito dietro a Mediobanca come
advisory, e nel 2006, si è classificata al quinto posto della classifica di merger market, per numero
66
Per una definizione completa si veda il capitolo precedente.
Corrado Passera, amministratore delegato del Gruppo Intesa, nel periodo precedente alla fusione con il Gruppo San
Paolo.
68
Eredità passata della banca Comit, unica banca italiana a sedere al tavolo delle più importanti banche europee.
67
di operazioni realizzate, mentre Banca Intesa si è posizionata più indietro.
Lo scorporo e il successivo ingresso in Intesa Sanpaolo, dovrebbero, dunque, avvenire senza grandi
sovrapposizioni: la struttura si potrebbe presentare ai nastri di partenza come una delle più
agguerrite sul lato sia dell’advisory, sia dei finanziamenti. Più complesso dovrebbe invece essere il
matrimonio tra Caboto e Imi su altri fronti. Se si esclude l’investment banking, dovranno essere
fuse le strutture attive nel mercato dei capitali, nel trading e nelle Ipo 69, in questo caso qualche
sovrapposizione e duplicazione di cariche ci potrebbero dunque essere.
Un tema di riflessione è quello delle Ipo, sia Intesa sia Banca IMI sono ben strutturate in quest’area,
tuttavia, il tema sembra soffermarsi puramente su una questione di carattere logistico: da una parte
le nuove quotazioni vengono individuate dal corporate finance (dai banchieri d’affari), che le
propone agli imprenditori assistiti, dall’altra l’esecuzione delle quotazioni viene realizzata da una
specifica divisione della banca. Uno scorporo del corporate finance dentro Intesa Sanpaolo,
potrebbe dunque allontanare troppo la fase di origination delle Ipo da quella esecutiva, e su questo
tema sarebbero in corso alcune riflessioni da parte del management.
La nuova realtà avrà comunque numeri rilevanti: Banca Caboto, ha chiuso il bilancio al 31
dicembre 2005 con un utile netto di 71,7 milioni di euro, in aumento di circa il 60% rispetto al
valore registrato nell’esercizio precedente (44,9 milioni). Il risultato ha riflettuto il buon andamento
delle attività sia nei comparti azionario e obbligazionario, sia sul mercato primario italiano.
Banca Imi, che ha registrato invece nel 2005 un utile netto di 190,8 milioni, ha attualmente tre
direzioni operative: financial markets, investment banking e corporate banking&international
development.
La strategia del nuovo Gruppo sarà orientata alla crescita sostenibile e alla creazione di valore, da
conseguire sviluppando il rapporto di fiducia con gli stakeholders e mantenendo uno stretto
controllo su tutte le leve gestionali.
Le principali linee guida strategiche che permetteranno al nuovo Gruppo di raggiungere questi
obiettivi si possono riassumere nei seguenti punti:
– consolidare l'eccellenza nel rapporto con la clientela, attraverso una forte spinta
all'innovazione di prodotto/servizio, una copertura capillare del territorio nazionale e
l’esecuzione best practice operativo/gestionale;
–
conseguire e mantenere una chiara leadership di costo, grazie alle economie di scala nelle
fabbriche prodotto, nelle attività di servizio/supporto e alle sinergie nelle funzioni di
governo e di controllo;
69
Termine inglese stante per Initial Public Offering, ossia l'offerta al pubblico di titoli di una società che ricorre al
mercato dei capitali per la prima volta (in italiano OPV, Offerta Pubblica di Vendita).
–
valorizzare la crescita umana e professionale dei dipendenti, al fine di sviluppare la qualità e
la motivazione delle risorse umane. La creazione di un Gruppo leader in Italia e con
ambizioni di crescita a livello internazionale offrirà, infatti, nuove opportunità di sviluppo
professionale sia per i dipendenti attuali, sia per le nuove risorse;
–
supportare lo sviluppo del Paese, attraverso il finanziamento delle grandi opere ed il
supporto alla crescita delle aziende sia a livello nazionale che internazionale, lo sviluppo
delle realtà locali, l'innovazione e l'ammodernamento della pubblica amministrazione;
–
rafforzare significativamente la presenza estera, beneficiando del forte potenziale di crescita
delle banche estere già controllate nell'Europa Centro Orientale, e creando le condizioni per
sviluppare in futuro un’ulteriore significativa diversificazione geografica;
–
ottimizzare il profilo di rischio e la gestione del capitale, facendo leva sulla eccellente
qualità dell'attivo di Sanpaolo e Intesa, e su processi/strumenti sofisticati di gestione dei
rischi.
L'area corporate e investment banking70, avrà come missione il supporto ad uno sviluppo
equilibrato e sostenibile delle medie/grandi aziende e delle istituzioni finanziarie in un'ottica di
medio/lungo termine, su basi nazionali ed internazionali. In tale prospettiva la business unit si
posizionerà come ‘partner globale’, con una profonda comprensione delle strategie aziendali, e con
un’offerta completa di servizi di finanziamento, di consulenza finanziaria e di capital markets in
grado di sostenerle. Elemento qualificante della strategia di crescita del nuovo Gruppo, in
quest’area, sarà inoltre il continuo miglioramento della capacità di gestione del rischio attraverso la
combinazione delle migliori metodologie, strumenti e processi dei due Gruppi e una più completa
informazione sulla clientela.
70
La division corporate e investiment Banking comprende:
 la direzione relazioni corporate, incaricata di gestire le relazioni con la clientela large corporate (grandi
gruppi), e mid corporate (imprese con fatturato superiore ai 150 milioni) in Italia, nonché di sviluppare le
attività a supporto del commercio internazionale;
 la direzione rete estera, alla quale è stata assegnata la responsabilità delle filiali estere, degli uffici di
rappresentanza e delle società estere corporate (Société Européenne de Banque, Intesa San Paolo bank Ireland,
Banca Intesa France e ZAO Banca Intesa). Alla direzione sono demandati lo sviluppo e la gestione del
segmento rappresentato dalla clientela corporate estera e l’assistenza specialistica per il sostegno ai processi di
internazionalizzazione delle aziende italiane e per il sostegno all’export;
 la direzione financial institutions, cui compete la relazione con le istituzioni finanziarie italiane ed estere, la
gestione dei servizi transnazionali nell’ambito dei sistemi di pagamento, della custodia e del regolamento titoli,
di banca depositaria e corrispondente;
 Banca IMI, deputata all’attività di investment banking, ossia di realizzazione di prodotti di finanza strutturata e
di conseguenza nel campo del M&A per la clientela del Gruppo, e a quella di capital markets per i clienti del
Gruppo e gli operatori istituzionali nelle attività di market making;
 la Direzione merchant banking, che opera nel comparto del private equity anche tramite le società Private
Equity International (PEI) e Imi Investimeni;
 la Direzione Operations Finanza, che offre le funzioni specifiche di post trading e IT in area finanza.
Nel perimetro della Divisione rientrano inoltre l’attività di mediofactoring e quella di negoziazione per conto del
Gruppo (proprietary traing).
La divisione corporate e investiment banking, attraverso un approccio integrato che coniuga
commercial banking71, investiment banking (M&A e finanza strumentale) e merchant banking
(capitale a rischio a supporto della crescita delle aziende). Fra i suoi obiettivi anche il
consolidamento di eccellenze di prodotti nei capital markets, nei securities, e transaction services,
nel factoring e negli international trade services72.
Le priorità strategiche della divisione sono:
-
consolidamento nella gestione delle relazioni corporate attraverso:
o rafforzamento della copertura della clientela grazie
a un’ulteriore forte
specializzazione dei gestori per settore, tipologia di rischio e grado di inserimento sui
clienti;
o valorizzazione delle attuali forti penetrazioni della clientela attraverso il crossselling73 sui prodotti a più alto valore aggiunto;
o creazione di competenze distintive a livello globale in settori in cui la banca o il
sistema Paese hanno un posizionamento preferenziale;
71
Credito ordinario e specializzato nelle attività trasnazionali, si veda capitolo precedente.
Si veda per maggiori dettagli il paragrafo precedente.
73
E’ la strategia di spingere nuovi prodotti verso i clienti, basandosi, anche, sui loro acquisti passati. Ideata per
aumentare l'affidabilità nei confronti di una compagnia, e scongiurare il pericolo che i clienti possano cambiare
giudizio, e passare alla concorrenza.
72
-
rilancio nella rete estera a supporto delle relazioni con:
o posizionamento come banca di riferimento per l’internazionalizzazione delle aziende
italiane;
o sviluppo delle relazioni con i migliori corporate del mondo, in settori strategici per il
cross-selling;
o riorganizzazione della rete attraverso integrazione e ottimizzazione;
-
sviluppo della clientela financial institutions;
-
leadership in Italia nell’Investiment Banking (M&A e finanza strutturata), posizionandosi
come operatore di riferimento per le aziende italiane con:
o aumento nella penetrazione delle principali operazioni di M&A e di finanza
strutturata del Paese;
o lancio di prodotti dedicati per le financial institutions;
o sviluppo selettivo all’estero di prodotti/segmenti target e crescita nei mercati
emergenti;
-
rafforzamento delle attività di merchant banking, attraverso l’aumento dell’attività
d’investimento in private equity, real estate, mezzanine, venture capital, a supporto della
gestione delle più rilevanti situazioni del sistema economico italiano e dei paesi esteri
strategici;
-
consolidamento e potenziamento delle attività di factoring, con il rafforzamento della
posizione nel mercato italiano e lo sviluppo delle attività nei confronti dell’estero;
Si avrà dalla fusione tra Banca Imi e Banca Caboto, la valorizzazione del marchio IMI, e la
concentrazione nella nuova Banca IMI dell’attività sia di investiment banking che di capital market.
Priorità strategiche delle principali unità di business: essere leader nella gestione delle relazioni
corporate, rilanciare la rete estera, consolidare le attività di transaction service e sviluppare quelle
di trade service.
Raggiungere la leadership nella gestione delle relazioni corporate, che significa una crescita media
annua degli impieghi dell’8,4%74, comporta un ulteriore specializzazione dei gestori per settore,
tipologia di rischio, e in generale, un aumento della dedizione clientelare. Ma comporta, anche,
migliorare il cross-selling sui prodotti a più alto valore aggiunto e creare competenze distintive in
settori in cui la banca o il sistema Paese hanno un posizionamento preferenziale.
La divisione corporate e investiment banking gestisce grandi e importanti aziende in Italia e
all’estero. Rilanciare la rete estera a supporto delle relazioni implica in primo luogo sviluppare
relazioni con i migliori corporate del mondo e posizionarsi come banca di riferimento per
l’internazionalizzazione delle banche italiane. Per raggiungere questi obiettivi è necessario
riorganizzare l’attuale rete ex Intesa ed ex Sanpaolo attraverso l’integrazione delle piazze
sovrapposte.75
Nel campo dei transaction services si punta al consolidamento attraverso la razionalizzazione e
l’integrazione delle attività di banca depositaria, fund administration e custody, svolte all’interno
del Gruppo. Inoltre, si ricercano partnership con operatori internazionali per condividere
piattaforme operative e/o coperture commerciali a livello globale. Nel mondo dei trade services,
tutti i servizi dedicati alla gestione dei crediti dei clienti sia in Italia che all’estero, si può prevedere
una crescita media annua degli impieghi del 14,8%.
Quattro le direttrici da seguire: implementare soluzioni integrate per la gestione dei flussi di cassa e
a supporto di tutta la supply chain; sviluppare l’offerta di assistenza specialistica alle aziende nei
loro processi d’internazionalizzazione; ricercate accordi di collaborazione con un’ECA76.
Le unità di business della divisione hanno fra i loro obiettivi strategici anche lo sviluppo della
clientela financial institutions (crescita media annua degli impieghi del 6,9%), attraverso un
74
Queste le principali componenti dei risultati previsti per il periodo 2007-2009:
 proventi operativi in crescita del 7,4% medio annuo;
 oneri operativi stabili;
 cost/income in calo del 28,1% al 2009;
 attivo ponderato in crescita del 4,9% medio annuo;
 crediti alla clientela in crescita del 10,7% annuo;
 EVA in crescita del 15,8% medio annuo.
75
Determinante per i risultati della divisione corporate e investiment banking, è anche il rafforzamento del merchant
banking, attraverso l’aumento dell’attività d’investimento in private equity, venture capital e special situations.
76
Acronimo di Export Credit Agency: istituti statali di assicurazione di crediti all’esportazione creati allo scopo di
promuovere l’export, soprattutto attraverso l’assunzione di rischi legati alle transazioni commerciali con l’estero, come
ad esempio: rischi politici, rischi di trasferimento, rischi del credere e rischi di fabbricazione.
modello di copertura specialistico dei clienti a maggior potenziale, servizi di securities services,
prodotti dedicati, e allargando il business nell’Est Europa.
Infine, non meno strategico, il factoring in cui si punta a una posizione di leadership in Italia con
quote di mercato del 25,7% nel 2009, e allo sviluppo dell’attività con l’estero.
Raggiungere la leadership in Italia sia sull’investiment banking (M&A e finanza strutturata), sia
nelle attività di capital markets (penetrazione sulla clientela target al 70% nel 2009), è un ulteriore
obiettivo strategico, previsto per questa divisione.
In questo modo, la banca potrà posizionarsi come operatore di riferimento per le aziende italiane,
aumentando la penetrazione delle principali operazioni di M&A, e di finanza strutturata nel Paese,
attività che confluiranno nella nuova Banca IMI77, creata dalla fusione di Banca Caboto e Banca
IMI. 78
Nell’ambito della business unit, di cui è responsabile Gaetano Miccichè, assumerà il nome di Banca IMI SpA e
concentrerà tutte le attività legate ai mercati primari e secondari e tutte le attività di investiment banking. Avrà un
patrimonio di vigilanza superiore a 1200 milioni di euro, attività per 61 miliardi, un margine d’intermediazione
superiore ai 560 milioni di euro e un utile netto di circa 200 milioni. Dall’unione delle due banche d’investimento
nascerà un operatore di assoluta rilevanza in Italia nei capital markets e nell’investiment banking. La nuova società avrà
inoltre una posizione di assoluto rilievo nella finanza strutturata.
78
Dati forniti da, Leader Italiano di dimensione Europea [Gli elementi chiave dell’operazione; Logica Industriale;
Creazione di valore; Modello organizzativo e Corporate Governance], documentazione interna, agosto 2006.
77
Capitolo 3
I ratios
Introduzione
In questa parte dell’elaborato ci si pone l’obiettivo di definire i principali strumenti, fondamentali
per poter accedere ad una corretta interpretazione dei risultati conseguiti.
Di rilievo, viene ad essere, la conoscenza della struttura, e della consistenza intrinseca dei supporti
utilizzati, da parte di chi si appresta ad intraprendere un percorso di lettura dello studio in oggetto.
Si vuole, quindi, introdurre i principali indicatori reddituali di bilancio considerati, quali il ROE,
ROI, e ROA79, cercando di non precludere eventuali deficienze nell’utilizzo degli stessi, con lo
scopo di non tralasciare una criticità valutativa dei dati.
L’inserimento di ulteriori ratios legati al fattore efficienza, quali cost/income ratio e il rapporto
commissioni nette e margine d’intermediazione, vengono a rendere più completo il raffronto tra le
due fasi (pre e post fusione) in considerazione, cercando di definirne eventuali miglioramenti sulla
scala dei costi.
Una seconda parte, vuole, senza troppi approfondimenti (che verrebbero ad essere solamente
devianti rispetto agli scopi definiti), informare il lettore su accadimenti di carattere esogeno che
abbiano potuto essere influenzanti, sottolineandone la relativa importanza e i mezzi utilizzati per
uniformare, quando possibile80, la loro elaborazione al fine di renderne più significativa la
confrontabilità contabile negli anni.
3.1 Introduzione all’analisi di bilancio
L'analisi di bilancio mira a comprendere la gestione economica, finanziaria e patrimoniale di
un'azienda tramite lo studio del bilancio di esercizio e dei dati da questo ricavabili.
L'analisi può essere di due tipi:
-
statica: basata sullo studio di indici,
-
dinamica: detta analisi per flussi.
L'analisi risulta poi differente, a causa della differenza nel tipo e nel numero di informazioni
disponibili, a seconda che sia condotta da un analista interno, oppure da un analista esterno
all'organizzazione aziendale.
79
Di questi, successivamente, sarà monitorato lo scostamento nel periodo ante e post fusione di Banca IMI.
Si veda, ad esempio, la nuova redazione del bilancio secondo i principi contabili IAS-IFRS, introdotta con l’esercizio
contabile del 2005.
Per una maggiore trattazione, Capriglione F., Commentario al Testo Unico delle leggi in materia bancaria e creditizia,
Cedam, Padova 1994.
80
Il punto di partenza dell'analisi di bilancio è costituito dallo studio del sistema impresa nel caso
generale; l'equilibrio economico dell'impresa viene, infatti, raggiunto quando siano soddisfatte le
seguenti condizioni:

i ricavi conseguiti riescono a coprire i costi, ed assicurano una congrua remunerazione ai
fattori in posizione residuale,

si raggiunge un'adeguata potenza finanziaria.
Altro fattore critico da considerare per l’analisi di bilancio è il tempo: si distinguono, infatti, un
‘tempo economico-tecnico’, cioè il tempo necessario affinché venga attuata la produzione81, ed un
‘tempo monetario’, che dipende dalla posticipazione nell'incasso del fatturato a causa del sorgere
dei crediti verso i clienti.
Per raggiungere gli obiettivi di cui sopra bisogna attuare dei cicli produttivi che, facendo, ad
esempio, riferimento ad una impresa industriale, possono essere schematizzati e suddivisi in tre
distinte fasi:

acquisto dei fattori produttivi (materie prime, servizi, lavoro);

trasformazione di tali fattori (con la produzione di semilavorati);

vendita dei prodotti sul mercato.
Si arriva così a realizzare la grandezza fatturato che è grandezza fondamentale per il
raggiungimento dell'obiettivo aziendale del profitto.
In questa sezione, si vuole definire la struttura degli indicatori di bilancio di interesse fondamentale
nella trattazione successiva, con lo scopo di poter dare maggiore significatività e interpretabilità ai
dati calcolati, senza incorrere in eventuali discresie di comprensibilità, o di errata lettura delle
informazioni sotto esame. 82
3.2 Analisi per indici
3.2.1 La definizione
Gli indici, o quozienti, di bilancio sono grandezze calcolate come rapporti tra voci di conto
economico e/o stato patrimoniale, ottenute dai bilanci riclassificati relativi a un singolo esercizio, a
due o più esercizi consecutivi. Gli indici di bilancio adempiono alle seguenti finalità:
81

sono sintesi di grandi quantità di informazioni contabili,

sono utili ad un approfondito confronto:
Il quale dipenderà dalla tecnologia adottata, dal prodotto che si vuole ottenere ed inoltre dal mercato nell'ambito del
quale si sta operando.
82
Per approfondimenti, Frizzera B., Bilancio riclassificato e analisi per indici e flussi, Il Sole 24 ore, 2005.
1. tra dati di una stessa impresa relativi a esercizi diversi83 (si pensi al confronto degli
indici di bilancio tra due anni consecutivi e la quantità d’informazione);
2. tra dati di imprese diverse relativi agli stessi esercizi;
3. con dati di riferimento esterni assunti come valori medio-normali (valori
benchmark84) di impresa o di settore, ottenuti come:

valori medi di gruppi omogenei di imprese,

standard teorici o soggettivi.
Le informazioni fornite dagli indici di bilancio sono spesso imprecise. Le differenze nei valori di un
indice nel tempo e tra imprese possono avere molte spiegazioni: non basta un confronto meccanico
tra indici per concludere che un’impresa è in situazione migliore di un’altra. L’analisi degli indici
aiuta a porre le domande giuste, ma raramente fornisce le risposte, che richiedono una conoscenza
diretta ed approfondita dell’impresa.
Dopo aver riclassificato il bilancio d'esercizio è possibile calcolare una serie di indici che
consentono di analizzare:

la struttura del patrimonio dell'impresa, cioè la composizione delle fonti, degli impieghi e le
relative correlazioni (in questo caso di parla di indici strutturali);

la capacità dell'impresa di essere solvibile nel medio-lungo periodo (attraverso gli indici
definiti patrimoniali).

la capacità dell'impresa di raggiungere e mantenere un equilibrio finanziario nel breve
periodo (attraverso indici finanziari).

l'attitudine dell'impresa a conseguire risultati economici positivi nel tempo (con gli indici di
redditività).
3.2.2 La classificazione
Gli indici calcolati nella prassi sono numerosi, ci si soffermerà soltanto su quelli di uso più
comune.85
Possono esssere classificati in cinque categorie:
1. Indici di produttività/efficienza: segnalano quanto efficientemente l’impresa sta usando le
proprie attività;
83
Questa tipologia di confronto viene definita con la dicitura di confronto longitudinale, o su base storica.
Il benchmark è un parametro oggettivo di riferimento, costituito facendo riferimento ad indicatori finanziari elaborati
da soggetti terzi e di comune utilizzo, come possono essere gli indici azionari.
Il vantaggio principale del benchmark è nella valutazione del rischio di quel tipo d’investimento.
Altri vantaggi sono nella:
1. trasparenza: gli indici sono calcolati con regole chiare, semplici e replicabili autonomamente dagli investitori;
2. rappresentatività: gli indici sono rappresentativi di quel tipo di mercato;
3. replicabilità: gli indici sono replicabili con attività acquistabili direttamente sul mercato.
85
Si veda Mei G.O., Analisi di bilancio e sistemi di rapporti, [cap.3 Rapporti di efficienza economica, cap.4 La
scomposizione dei rapporti: la ricerca delle cause di variazione], Ed. Goliardiche 1990.
84
2. Indici di liquidità: indicano la capacità dell’impresa di far fronte alle uscite monetarie
previste e inattese.
3. Indici di leva: misurano il peso dell’indebitamento nella struttura finanziaria dell’impresa;
4. Indici di redditività: misurano il rendimento (o ritorno) sul capitale investito nelle attività
operative nette, o sul patrimonio netto;
5. Indici di sviluppo: misurano l’incremento (o il decremento) relativo delle principali poste
economiche e patrimoniali.
Per poter costruire un indice è fondamentale partire dal seguente schema in report form86:
FATTURATO COSTO MATERIE PRIME COSTO SERVIZI =
VALORE AGGIUNTO COSTO DEL PERSONALE =
MARGINE OPERATIVO LORDO (EBITDA) AMMORTAMENTI =
MARGINE OPERATIVO NETTO (REDDITO OPERATIVO O EBIT)
In tale prospetto va messa in evidenza la grandezza ‘valore aggiunto’, la quale rappresenta il
plusvalore che l'azienda consegue con la semplice attività di compravendita dei beni e dei servizi.
Sottraendo a tale valore il costo per il personale, che è il fattore interno più rilevante, si ottiene il
Margine Operativo Lordo87, e detraendo da quest'ultimo gli ammortamenti, effettuati dalla impresa
per recuperare, gradualmente attraverso quote annuali, i costi sostenuti anticipatamente per dotarsi
di un'adeguata struttura produttiva, che consenta di avviare i cicli produttivi, otteniamo il Margine
Operativo Netto88. Strumento per il raggiungimento del EBIT è il capitale investito, il quale è
costituito dalla somma dei valori della struttura produttiva, del magazzino e dei crediti.
86
In finanza il risultato ante oneri finanziari, o anche reddito operativo aziendale, è l'espressione del risultato aziendale
prima delle imposte e degli oneri finanziari. È molto utilizzato anche l'acronimo inglese EBIT, che deriva
dall'espressione Earnings Before Interests and Taxes.
L'EBIT, esprime il reddito che l'azienda è in grado di generare prima della remunerazione del capitale, comprendendo
con questo termine sia il capitale di terzi (indebitamento) sia il capitale proprio (patrimonio netto).
Nella formulazione degli indici di bilancio è utilizzato per ottenere il ROI (Return on Investment, dato da EBIT /
Capitale Investito Netto), espressione, appunto, della redditività dei capitali complessivamente investiti in azienda, a
prescindere dalla loro provenienza.
87
Il suo ben noto acronimo è MOL, indicato, nella terminologia inglese come EBITDA ovvero Earning Before Interest
Taxes and Depreciation/Admortisation.
88 Viene spesso associato al margine operativo netto (o MON), ma non coincide concettualmente con esso: oltre alle
componenti di reddito operative, esso ricomprende, infatti, gli oneri ed i proventi derivanti da gestioni accessorie (ad es.
la gestione di immobili ad uso civile per un'azienda manifatturiera), nonché i proventi finanziari derivanti dalla
cosiddetta gestione finanziaria attiva.
Il calcolo dell'EBIT può essere sintetizzato nella seguente formula:
EBIT = MON + PGA − OGA + PFIN
Qui di seguito tratteremo tre indici reddituali: ROI, ROE, ROA.89
3.2.2.1 Il ROI
Return on investment 90, indica la redditività e l'efficienza economica della gestione caratteristica, a
prescindere dalle fonti utilizzate91.
I maggiori difetti di tale indice sono due:
-
aumenta con il semplice susseguirsi degli esercizi, a causa della crescita su base annua
dell'ammortamento, che riduce la base contabile;
-
al denominatore viene ad esserci il valore di un fondo, mentre al numeratore, un flusso: per
rendere le due componenti omogenee è consigliabile utilizzare la semisomma del capitale
investito all'inizio del periodo considerato, e quello alla fine.
Per poter giudicare questo indice bisogna confrontarlo con il costo medio del denaro: se il ROI
risulta inferiore al tasso medio di interesse sui prestiti, la remunerazione del capitale di terzi farebbe
diminuire il Return on equity (ROE), si avrebbe, cioè, una leva finanziaria negativa92; viceversa, se
il ROI dell'azienda è maggiore del costo del denaro preso a prestito, farsi prestare denaro e usarlo
nell'attività produttiva porterebbe ad aumentare i profitti e migliorare i conti.
Quindi, questo primo indice di bilancio, può essere costruito con i dati acquisiti attraverso il
seguente rapporto:
Tale indice di bilancio riporta la redditività del capitale investito attraverso la gestione tipica
dell'azienda93, ed è dunque indice fondamentale per capire come sia gestita l'azienda
dove:
PGA = proventi delle gestioni accessorie
OGA = oneri delle gestioni accessorie
PFIN = proventi della gestione finanziaria attiva
In aziende che non hanno nè gestioni accessorie nè una gestione finanziaria attiva, l'EBIT coincide con il risultato
operativo o reddito operativo o margine operativo netto (MON).
89
Altro indice, in questo studio non trattato viene ad essere il leverage, definito come livello di indebitamento di una
azienda al fine di avere le disponibilità finanziarie necessarie allo sviluppo delle proprie strategie. Il ricorso al leverage
può seguire strade diverse, ad esempio: non distribuire gli utili, emettere delle nuove obbligazioni, oppure accedere a
finanziamenti strutturati, o meno. Esso rappresenta indirettamente la proporzione esistente tra risorse proprie, e risorse
di terzi, utilizzate per finanziare gli impieghi (proporzione che esprime la partecipazione del capitale proprio ai rischi
d'impresa). La sua diminuzione sta a significare la diminuzione dell'indebitamento.
90
L’acronimo è ROI, e sta per indice di redditività del capitale investito, o ritorno degli investimenti.
91
Esprime, cioè, quanto rende un euro di capitale investito in quell'azienda.
92
La conseguenza del chiedere a prestito capitali all’esterno porterebbe al peggioramento dei conti dell'azienda.
93
Il conto economico redatto secondo le disposizioni del codice civile consente un’analisi della redditività aziendale
solo approssimativa poiché: non distingue i componenti di reddito della gestione caratteristica da quelli della gestione
dall'imprenditore. Tale redditività dipende dall'intensità del fatturato, dai costi aziendali tipici e dal
capitale investito.
Altro rapporto con cui ricavare l’indice in riferimento, viene ad essere:
Risultato operativo al netto
delle imposte ( anno t)
ROI
=
Attività operative nette
(media anni t et –1)
Esprime il ritorno sull’investimento nella gestione operativa. È il ritorno netto che percepirebbero,
in teoria, gli azionisti se le attività operative fossero finanziate al 100% con patrimonio netto.
Un’ulteriore formula alternativa di calcolo del ROI è la seguente:
Risultato operativo + Proventi finanziari
(entrambi netti di imposte, anno t)
ROI =
Attività operative nette + Attività tesoreria +
Riserve strategiche liquidità (media anni t e t-1)
Nel caso in cui ROI94, e costo medio delle fonti esterne coincidano, si ha una sostanziale
indifferenza alle fonti di approvvigionamento (risulta, cioè, uguale il ricorso al capitale proprio
extracaratteristica; i componenti di reddito sono classificati per natura e non per destinazione, vale a dire in base alle
aree funzionali dell’azienda (industriale, commerciale e amministrativa).
Ai fini di una corretta analisi della situazione economica aziendale è importante valutare il contributo offerto da
ciascuna gestione alla formazione del risultato economico d’esercizio. A parità di risultato, non è infatti indifferente che
esso derivi dalla gestione caratteristica, oppure che sia frutto di investimenti nella gestione accessoria.
In senso economico il valore aggiunto è l’incremento di valore che un’azienda aggrega al valore dei beni e servizi che
acquista da altre aziende.
Il valore aggiunto viene ripartito tra i fattori della produzione che lo hanno determinato (lavoratori, finanziatori, Stato),
sotto forma di retribuzioni, interessi, imposte e l’impresa, sotto forma di autofinanziamento proprio (accantonamento a
riserva) e improprio (ammortamenti).
In ogni impresa si possono separare quattro tipi di attività o fenomeni di differente matrice gestionale:
1) la gestione tipica o caratteristica, che è costituita da tutte le operazioni destinate a raggiungere l’obiettivo
fondamentale per cui l’impresa stessa è stata creata;
2) la gestione finanziaria, che è rappresentata dalle operazioni di reperimento e d’impiego dei fondi occorrenti o
prodotti dall’attività aziendale;
3) la gestione patrimoniale, detta anche accessoria, che è costituita dall’amministrazione dei beni non strumentali per
l’esercizio della gestione tipica;
4) la gestione straordinaria, che è composta dagli eventi imprevedibili, nel loro verificarsi o nella misura degli effetti
prodotti, destinati ad alterare la situazione reddituale e patrimoniale dell’impresa.
Il margine o reddito operativo rappresenta il risultato della gestione caratteristica dell’impresa ed è uguale alla
differenza tra ricavi e costi dell’attività tipica aziendale. La conoscenza di esso consente di valutare la redditività a
livello caratteristico e di misurare gli effetti negativi dell’indebitamento.
94
Il ROI è uno degli indici di valutazione maggiormente usato nella pratica contabile delle aziende. Esso misura la
redditività del capitale complessivamente investito nell’impresa, tenendo in considerazione sia il capitale portato a titolo
di rischio sia quello sottoforma di debito in prestito. Le componenti, a cui si riferisce il Roi, appartengono alla gestione
operativa o tipica. In particolare, l’indice è uguale al rapporto tra il reddito operativo, e il capitale investito in azienda.
rispetto al capitale di credito), mentre nel caso in cui il ROI risulti maggiore del costo medio delle
fonti esterne, la remunerazione del capitale proprio cresce in maniera più che proporzionale (invece
con ROI minore, questa decresce).
Risulta, quindi, che, a parità di rendimento del capitale investito e di costi del capitale di terzi,
conviene all'impresa mantenere o raggiungere un maggiore livello di indebitamento: il minore
capitale investito avrà una redditività molto maggiore (cosiddetto ‘effetto leva’), ed i capitali, così
svincolati, potranno essere investiti in operazioni alternative sul mercato. Quando invece, a parità di
ROI, aumenta il costo del capitale di credito, aumenta parimenti la rischiosità, ed un'impresa,
fortemente indebitata, potrebbe sperimentare utili minori, se non addirittura delle perdite, rispetto ad
aziende che fanno minor affidamento al mercato dei capitali per la copertura del fabbisogno
finanziario, generato dal capitale investito.
Non è quindi possibile affermare l'esistenza di un rapporto ottimale fra capitale proprio e capitale di
credito, ma è necessario analizzare la situazione aziendale, in rapporto al mercato, caso per caso.
Il rapporto di redditività totale o ROI, vuole esprimere la redditività dell’investimento complessivo
aziendale. Perché l’azienda abbia successo, è necessario che l’attivo sia usato e mantenuto
costantemente entro i limiti produttivi95. Le relazioni tra i singoli investimenti vanno mantenute
entro i limiti, che, garantendo un reciproco rapporto di funzionalità, siano economicamente
contenuti entro i valori minimi.
L’analisi dell’economicità, oltre che in rapporto ai singoli elementi (determinazioni del lotto
economico per gli stocks, della dimensione ottimale del volume dei crediti verso clienti, gestione
monetaria, ecc.), va risolta anche in un’ottica globale.
Solo inquadrando il problema della dinamica aziendale complessiva si riuscirà a risolverlo
correttamente.
95
Il return on debts, invece, viene calcolato come rapporto tra il totale degli oneri finanziari e le risorse finanziarie di
terzi utilizzate nella gestione aziendale. Questo parametro stima il costo del denaro preso a prestito nel corso dell’anno,
e, se percentualizzato, è assimilabile ad un tasso di interesse passivo medio pagato dall’azienda.
Dunque se il ROD esprime il costo dei finanziamenti, mentre il ROI il loro rendimento globale, la differenza tra i due
indica se l’azienda è stata in grado di generare un reddito sufficiente per pagare gli interessi sui debiti. La differenza tra
ROI e ROD viene identificata con il termine effetto leva finanziaria in quanto consente di evidenziare in che modo
l’indebitamento concorre nella formazione del reddito aziendale.
Oltre al caso particolare in cui i due indici risultino identici (effetto leva nullo), vi possono essere altre due circostanze:
 se il ROI è maggiore del ROD significa che il reddito operativo ha permesso di coprire i costi derivanti dal
denaro preso a prestito ed esiste un ulteriore margine che va a favore dell’imprenditore. Se ne deduce che se
anche in futuro l’azienda potrà mantenere questi livelli di redditività, sarebbe conveniente ricorrere
ulteriormente ai finanziatori esterni: infatti per ogni lira di debito aggiuntivo, la differenza ROI-ROD va ad
incrementare il reddito netto (effetto leva positivo);
viceversa nel caso in cui il ROI risulti inferiore al ROD, l’azienda non è stata in grado di generare un reddito tale da
coprire gli oneri finanziari. Da un lato, l’imprenditore è costretto a rifondere la differenza, e dall’altro deve
assolutamente limitare il ricorso a finanziatori esterni se non vuole compromettere anche i futuri risultati gestionali
(effetto leva negativo).
Una visione settoriale non permetterà di mettere in luce i notevoli costi operativi connessi ad una
intensificazione di capitale; in particolare, non metterà, sufficientemente, in evidenza il problema
del reperimento dei fondi, e del costo dei finanziamenti suppletivi. L’indice di redditività totale è
sempre inferiore (o al limite, uguale) all’indice di redditività del capitale proprio. La ragione tecnica
è la seguente: dividiamo il medesimo ammontare di utile per l’attivo complessivo, che è superiore al
capitale proprio, in quanto, tra le fonti di finanziamento dell’attivo si annovera, di regola, anche il
complesso dei debiti.
Il ricorso al ROI lordo, che è il ROI tradizionale di chi opera in termini di margine operativo, può
essere utile nella soluzione di alcune ipotesi operative, come, ad esempio, individuare il massimo
tasso di indebitamento in relazione ad una prefigurata redditività e ad un costo di finanziamento
prestabilito; o tasso redditività minimo in relazione ad una struttura finanziaria prefissata.
In conclusione, affermare che il ROI è pari a un certo valore percentuale, di per se non significa
nulla, bisogna verificare quale sia il costo del denaro preso in prestito, ossia il tasso d’interesse sui
finanziamenti: se il ROI è inferiore al tasso medio d’interesse sui prestiti si avrebbe una leva
finanziaria negativa (farsi prestare capitali porterebbe a peggiorare i conti dell'azienda), viceversa,
se il ROI dell'azienda è maggiore del costo del denaro preso a prestito, farsi prestare denaro e usarlo
nell'attività produttiva porterebbe ad aumentare i profitti e migliorare i conti.
Dall’analisi del ROI si può comprendere come è gestita l’attività caratteristica, elemento essenziale
nell’analisi reddituale, in quanto l’attività tipica d’azienda dovrebbe rappresentare il focus
dell’attività imprenditoriale.
L’analisi dell’andamento dell’indice di redditività del capitale investito nella gestione caratteristica
non consente però di ricercare la causa dell’andamento di tale indice.
3.2.2.2 Il ROE
L’indice di redditività dei mezzi propri è uno tra i rapporti più conosciuti e generalmente usati dalle
aziende: è l’indice fondamentale, quello al quale viene spontaneo pensare quando si definisce la
redditività aziendale.
Il suo ammontare viene sovente predeterminato e funge, dunque, da obiettivo aziendale.
E’ inoltre utilizzato anche nelle indagini parametriche di redditività, cioè, indagini della redditività
di investimenti alternativi di capitale.
ROE = Risultato netto / Capitale proprio
Esprime la redditività complessiva dei mezzi propri, vale a dire quanti euro di utile netto l’impresa
ha saputo realizzare per cento euro di capitale di rischio.
Il valore del ROE, se elevato, influenza positivamente la capacità dell’impresa di reperire nuove
risorse a titolo di capitale proprio, per cui se la percentuale è aumentata rispetto all'anno precedente,
ciò può essere considerato positivamente ai fini dell' analisi.
In finanza aziendale, il Return On common Equity (ROE) è un indice di redditività del capitale
proprio. Rappresenta l'indice globale dei risultati economici dell'azienda. È una percentuale che
evidenzia il potenziale del capitale di rischio e la capacità dell'azienda di attrarre capitali (cioè
quanto rende il capitale conferito all'azienda).
Per poter dire se un dato valore di ROE è positivo o negativo, bisogna metterlo a confronto con il
rendimento di investimenti alternativi (BOT, CCT, depositi bancari, ecc.), cioè valutare il costo
opportunità dell'investimento nell'azienda in questione.
La differenza fra gli investimenti alternativi sicuri (BOT, CCT, ecc.) e il valore del ROE viene
definita ‘premio al rischio’, in quanto premia un investimento rischioso.
Se il premio al rischio fosse zero, non avrebbe senso investire nell'attività rischiosa (un'impresa), in
quanto è possibile ottenere la stessa remunerazione senza rischiare nulla.
Quindi, indica la redditività del capitale proprio e, da un punto di vista qualitativo, può essere
suddiviso in tre ulteriori indici secondo il seguente schema (detto schema Dupont, dall'azienda
americana che per prima lo utilizzò negli anni '20 del XX secolo):
Il ROE è quindi dato da ROI, rapporto di indebitamento e tasso di incidenza della gestione non
tipica sul MON96, ma non esiste un rapporto ottimale di valori fra questi indici poiché la situazione
aziendale deve essere valutata, a sistema, nel suo complesso.
Esiste, comunque, qualunque sia il rapporto tra capitale proprio e capitale di credito, una situazione
di neutralità, nella quale risulta la parità dei tre indici, cioè id =ROE=ROI, con
96
Il quale indica, in percentuale, quanta parte del MON è stata sottratta dagli oneri finanziari, dalle imposte e dalla
gestione straordinaria.
(Oneri finanziari anno t)
id =
Debiti strutturali + Debiti di tesoreria
(media anni t et-1)
Che esprime la stima grezza del tasso di interesse effettivo medio ponderato pagato sui debiti di
finanziamento.
Quindi, tenedo conto del fattore temporale:
Risultato netto dell'esercizio (anno t )
ROE =
Patrimonio netto (media anni t e t –1)
Viene a esplicitare il ritorno conseguito degli azionisti sull’investimento nel patrimonio netto
dell’impresa, quest’ultimo misurato in base al suo valore di bilancio.
Gli azionisti partecipano al risultato netto secondo due modalità: la distribuzione di dividendi e
l’incremento del valore del patrimonio netto per l’accantonamento a riserve degli utili non
distribuiti. Il ROE non è l' unica misura del rendimento conseguito dagli azionisti in un esercizio, e
non è nemmeno la più precisa: misura alternativa è il rendimento calcolato sul valore di mercato
delle azioni97.
Il ROE, definito come indice che esprime la redditività netta globale del capitale portato in azienda
a titolo di rischio, considera, conseguentemente, i risultati ottenuti nelle varie attività in cui
l’azienda opera (tipica, accessoria, finanziaria, straordinaria…). Poiché il valore al numeratore
comprende i risultati realizzati sulle diverse aree della gestione, l’indicatore può essere considerato
riassuntivo della economicità complessiva, cioè dell’efficienza e dell’efficacia con cui l’alta
direzione ha condotto l’intero processo gestionale.
Il ROE è, infatti, influenzato dalle scelte compiute nell’ambito della gestione caratteristica, ma
anche dalle decisioni relative alla gestione finanziaria, patrimoniale, accessoria e dalle disposizioni
fiscali.
Rappresenta, in modo sintetico, l’ammontare delle risorse generate dall’attività dell’impresa e ne
approssima il livello di autofinanziamento potenziale raggiungibile attraverso la ritenzione degli
utili netti; da questo punto di vista esprime il tasso di sviluppo degli investimenti sostenibile senza
modificare il coefficiente di indebitamento, a meno di dividendi o di altre variazioni del capitale
proprio.
97 Definito Price/Earning ( P/E ), è indicatore del rapporto fra il prezzo corrente di un titolo azionario e l'utile per
azione ( EPS ) realizzato negli ultimi dodici mesi.
Il valore del ROE98, se elevato, influenza positivamente la capacità dell’impresa di reperire nuove
risorse a titolo di capitale proprio, per cui non può che essere considerato positivamente ai fini della
nostra analisi.
Esprime la massima remunerazione che la gestione caratteristica è in grado di produrre su una base
percentuale di risorse finanziarie raccolte a titolo di debito, prescindendo dalle politiche fiscali o
dalle modalità di finanziamento. Infatti:

il numeratore considera il risultato della gestione caratteristica che quindi non tiene conto
delle gestioni straordinaria e fiscale e della gestione finanziaria;

il denominatore comprende le risorse di natura finanziaria raccolte dall’impresa sotto forma
di debito e di capitale di rischio.
Per quanto riguarda il numeratore, il reddito operativo è espressione della capacità della direzione di
gestire l’attività ‘tipica’ d’impresa, vale a dire di attuare opportune politiche di approvvigionamento
dei fattori produttivi, di trasformazione degli stessi, di commercializzazione dei prodotti finiti e di
gestione delle scorte, prescindendo dalle modalità di finanziamento e dalle politiche fiscali.
Il risultato ottenuto dalla gestione operativa verrà utilizzato per remunerare il capitale di debito,
attraverso gli oneri finanziari, e il capitale proprio, attraverso il reddito netto che residua.
Tale indice, identifica una situazione di equilibrio economico nel momento in cui la remunerazione
offerta dalla gestione operativa ai capitali investiti sia superiore al relativo costo.
Esiste una relazione tra ROE e ROI chiamata leva finanziaria99:
ROE = ROI + (ROI – (o.f. / C.C.)) x C.C. / PN
o.f. = oneri finanziari
C.C. = capitale di credito
PN = patrimonio netto
La differenza tra il ROI ed il costo del capitale di credito subisce un effetto moltiplicatore in ragione
del rapporto tra capitale di credito e capitale proprio.
Se il ROI è maggiore del costo del capitale di credito, il valore positivo, ampliato dal moltiplicatore,
si aggiunge al ROI e determina un ROE numericamente più consistente, per cui, in questo caso,
l’effetto moltiplicatore premia le imprese che avranno un rapporto tra mezzi di terzi e mezzi propri
nettamente sbilanciato a favore dell’indebitamento verso l’esterno.
Viceversa, nel caso di un gap negativo, l’effetto moltiplicatore attenua il danno alle imprese che si
98
Il valore soglia che può indicare un segnale di pericolo può essere individuato nel 2%. Valori di eccellenza possono
ritenersi quelli superiori al 5-6%.
99
Valori di tale indice al di sotto del 7% prefigurano una situazione di attenzione; valori che superano il 13-14%
possono considerarsi d’eccellenza.
sono comportate più prudentemente, cioè che hanno limitato l’acquisizione di finanziamenti di terzi
per utilizzare maggiormente capitali interni.
In conclusione, la sinteticità di questo ratio, rappresenta, contemporaneamente, la
caratteristica più positiva e il limite più evidente. Il fattore positivo, è dato dal fatto che, con
un semplice indice, l’analista riesce a valutare l’andamento reddituale globale dell’impresa,
circostanza che non potrebbe verificarsi dall’analisi dei valori assoluti.
Il limite è che si ha mancanza di analiticità intrinseca del ratio; un andamento positivo della
redditività del patrimonio netto non consente di esprimere immediatamente un giudizio positivo
sulla situazione reddituale dell’impresa, in quanto l’aumento del ROE, potrebbe dipendere
esclusivamente da fattori non caratteristici di natura occasionale. L’impresa, infatti, non può
fondare la produzione di reddito su elementi estemporanei, occasionali, o di natura straordinaria.
La sinteticità del ROE obbliga pertanto l’analista a sviluppare approfondimenti ulteriori sulla
redditività aziendale in modo da evidenziare l’andamento di ogni componente dell’economia
dell’impresa.
3.2.2.3 Il ROA
Il ROA (rapporto tra reddito operativo e totale attivo) misura l’efficienza nella gestione del
capitale, quindi la capacità dell’impresa di trarre profitto dagli investimenti.
Calcolato in funzione del risultato operativo, non risente della gestione finanziaria, ma è
influenzato solamente dai risultati delle politiche relative all’impiego dei fattori produttivi, ed
alle politiche di posizionamento sui mercati di sbocco. In linea di massima, questo indicatore
dovrebbe essere sempre elevato ed, essendo fortemente influenzato dal sistema di
appartenenza, è opportuno confrontarlo con i valori degli esercizi precedenti e con le imprese
dello stesso settore. Soprattutto se il valore di questo indicatore è basso oppure decrescente
nel tempo, per una sua maggiore comprensione può essere utile scinderlo nelle sue due
componenti.
Infatti, il ROA si compone dalla seguente equazione:
ROA = ROS x TURNOVER
dove naturalmente il ROS (acronimo di return on sales)100, indica la redditività delle vendite come
rapporto tra reddito operativo e vendite nette, mentre il turnover (o indice di rotazione, come
rapporto tra vendite nette e capitale investito) indica quante vendite sono state prodotte per ogni
euro investito in impresa.
Il ROA dipende, dunque, sia dai margini realizzati sui ricavi, sia dalla rotazione del capitale
investito, vale a dire dall’entità dei ricavi prodotti attraverso il capitale investito.
100
IL ROS e' costituito dal rapporto tra l'utile operativo e il fatturato. Indica la redditività operativa (derivante dalla
gestione caratteristica dell'impresa) delle vendite; più l'indice è elevato e cresce nel tempo, più la redditività è positiva e
le prospettive favorevoli.Considerando il suo aumento percentuale, l'azienda e' in crescita.
Questo indicatore può essere migliorato rafforzando il margine sulle vendite, oppure realizzando
maggiori volumi di vendita a parità di capitale investito. Se, per contro, il ROA risulta
insoddisfacente occorre capire se questo è il risultato di un basso margine sulle vendite oppure di un
basso volume di vendite rispetto al capitale investito, oppure di entrambi i fenomeni.
3.3 Altri indicatori
Oltre a questi ratios di carattere reddituali, viene ad essere di notevole importanza definire altri due
indicatori, che saranno utilizzati nello studio dei capitoli seguenti.
Gli indici in riferimento vengono a essere legati a fattori di efficienza dei costi, cioè vengono ad
indicare, attraverso una lettura comparata su più unità temporali, l’evoluzione della struttura dei
costi ed eventuale ottimizzazione degli stessi.
Sono stati presi in considerazione il cost/income ratio, definito come misura di efficienza simile al
margine operativo, ma di maggior utilizzo per analisi del settore finanziario (la differenza tra i due
indicatori sta nel fatto che un abbassamento del cost/income ratio viene ad essere identificato come
fattore di positività, quindi inversamente proporzionalmente all’andamento del margine operativo).
Tab.1 Andamento del cost/income ratio in alcuni Paesi del Nord Europa.
Primo
Indice
Semestre
Q2
Cost-income ratio % semestre
08/07
2007
2008
2008
08.07
Q1
Q4
2008 2007
Q3
Q2
2007 2007
Anno
intero
2007
Attività bancarie
Danimarca
49.6 49,6 49.1 49,1 - --
49.6
49,6
49.5
49,5
48.8
48,8
45.6
45,6
51.4
51,4
48.2
48,2
Attività bancarie
Finlandia
Attività bancarie
Svezia
Attività bancarie
Norvegia
Attività bancarie
Irlanda del Nord
Attività bancarie
Irlanda
Attività bancarie
Paesi Baltici
Attività bancarie
altri
Totale attività
bancarie
98.2 98,2 77.8 77,8 - --
114.4
114,4
84.9
84,9
83.2
83,2
77.1
77,1
79.7
79,7
79.1
79,1
54.9
54,9
60.1
60,1
63.9
63,9
65.5
65,5
51.3
51,3
67.6
67,6
60.0
60,0
55.8
55,8
62.6
62,6
71.6
71,6
76.1
76,1
60.0
60,0
74.0
74,0
58.5
58,5
54.6
54,6
58.1
58,1
75.2
75,2
79.7
79,7
58.8
58,8
65.0
65,0
56.0
56,0
54.2
54,2
60.9
60,9
73.4
73,4
82.4
82,4
49.3
49,3
66.7
66,7
63.4
63,4
60.2
60,2
63.4
63,4
116.3
116,3
85.0
85,0
59.0
59,0
69.8
69,8
57.3
57,3
56.3
56,3
61.9
61,9
87.2
87,2
84.0
84,0
56.8
56,8
66.7
66,7
58.8
58,8
55.4 55,4 58.1 58,1 - -61.3 61,3 64.4 64,4 - -67.8 67,8
100.7
100,7
- --
70.7 70,7 87.1 87,1 - -55.3 55,3 60.4 60,4 - -71.6 71,6 67.7 67,7 - -59.9 59,9 60.4 60,4 - --
Fonte: DanskeBank dati al Settembre 2008.
Altra caratteristica importante di questo indice è che non tiene conto dei costi di tipo fisso, quali gli
ammortamenti nel suo calcolo, ma solamente dei costi di carattere variabile.
Quindi, è misura impiegata per rappresentare l'efficienza nella gestione di una società finanziaria o
di una banca, ed è dato dalla formula seguente:
(totale spese amministrative + altre spese – altri proventi) / proventi totali.
Altro indicatore di importanza per l’elaborato seguente, viene ad essere il ratio margine di
interesse/margine di intermediazione101, che indica la percentuale dei ricavi derivante dall’attività di
un istituto di credito, e permette di capire in che misura la banca è esposta all’andamento dello
spread d’interesse e dei volumi d’intermediazione. Più l’indice è alto e più i ricavi dipendono
dall’attività tradizionale.
3.4 Influenza esogena su dati di bilancio
Si vuole a questo punto delineare gli eventuali fattori esogeni, influenti sui valori
contabili/amministrativi, sviluppatesi negli anni di esercizio in considerazione.
Non dilungandosi oltremodo su questa digressione, che risulterebbe solamente deviante rispetto i
reali presupposti di partenza, è possibile riassumere brevemente il contesto dal quale si vengono a
estrapolare i dati contabili per lo sviluppo dell’elaborato. Ci si sofferma, in maniera più incisiva,
sullo scenario macroeconomico attuale, il quale, oltre a caratterizzare gli ultimi dati di bilancio a
disposizione, fornisce la base per l’evoluzione futura, attraverso un’ottica di tipo revisionale.
Si può definire il decennio sotto osservazione, un decennio di notevole rilevanza dal punto di vista
del cambiamento.
Partendo dal fattore interno (fulcro dell’intero impianto elaborativo) di concentrazione societaria in
Banca IMI, delle precedenti due entità esistenti, principio di una strutturale variazione, non solo
sotto il profilo contabile/amministrativo ed ancor oggi in evoluzione; si concede primario rilievo
alla crisi su scala mondiale post 11 settembre 2001, per i suoi effetti sui dati reddituali, e
all’introduzione dei principi contabili internazionali (IAS-IFRS), per la nuova redazione del
bilancio, con le difficoltà di comparabilità dei dati su scala annuale che ne consegue.
101
Il margine d'intermediazione è una voce presente nel bilancio di una società bancaria, specificatamente nel conto
economico. È composta dalla somma algebrica di interessi attivi e passivi (margine d’interesse), rettifiche nette su
crediti(margine d’interesse rettificato), dividendi e altri proventi, ricavi netti per servizi, profitti e perdite da operazioni
finanziarie, altri proventi netti di gestione (margine d’intermediazione).
Comprende, quindi, oltre al risultato dell’attività tradizionale, gli utili e le perdite derivanti dalla negoziazione di titoli e
cambi, le commissioni e provvigioni, cioè, le commissioni nette sui finanziamenti concessi e ricevuti, le provvigioni
attive e passive, nonchè le altre commissioni nette.
Con ciò, non si viene a ricercare una scusante per eventuali discrepanze degli input elaborati, ma si
avverte solamente la presenza di accadimenti di eccezionale evenienza nel contesto studiato.
3.4.1 Periodo post-fusione
La situazione odierna del mondo bancario mondiale viene ad essere caratterizzata dall’effetto mutui
subprime, che diffusasi inizialmente negli Stati Uniti, (da qui sembra aver preso spinta per una
diffusione su larga scala), ha avuto risonanza in Europa, e in Italia, fin ad allora decisamente
estraniate da un tale contesto.
A fine estate del 2007, quindi, trapelò la notizia di un coinvolgimento, o meglio esposizione da
parte di istituti di credito italiano, quali Capitalia, Intesa-Sanpaolo, e non per ultima Unicredito, nel
sistema mutui high risk di origine statunitense. Divenirono sempre più frequenti i quesiti sulla
sostenibilità del sistema creditizio italiano di fronte a una crisi di tale entità, incanalata verso un
percorso di incrementazione del fattore rischio nel tempo.
I mercati sembrano trovare sollievo solo dall’adozione da parte degli organi centrali di gestione
monetaria di una politica restrittiva dei tassi d’interesse, tuttavia mantenendosi un sentiment di
fondo negativo, con le borse azionarie europee ai minimi del periodo.
Il tema subprime, pone l’obbligo, prima di addentrarsi nei meandri di tale argomentazione, di
soffermarsi sul concetto stesso di questo fenomeno. I mutui subprime vengono ad essere mutui,
vengono concessi da società specializzate, a soggetti con minori credenziali, non in grado di
dimostrare un’adeguata solidità finanziaria. Tali mutui, offerti a tassi più elevati rispetto a quelli di
mercato per far fronte al maggior rischio d’insolvenza intrinseco nella controparte, a causa del
costante aumento dei tassi d’ interesse che ne ha incrementato notevolmente il costo, hanno portato
i debitori a trovarsi in una situazione di default. Questi debiti contratti per i mutui subprime sono
stati, successivamente, cartolarizzati102 dagli istituti finanziari e quindi rivenduti sul mercato
sottoforma di obbligazioni ad alto rendimento (e di conseguenza high risk), acquistate da molti
investitori istituzionali di diverse nazionalità.
102
Securatization: è un'operazione finanziaria complessa con la quale si possono smobilizzare crediti omogenei aventi
caratteristiche di rientro diluito nel tempo (mutui ipotecari, mutui chirografari, credito al consumo, leasing finanziario,
sofferenze, ecc.) ottenendo liquidità immediata. I crediti vengono ceduti ad una società di nuova costituzione (Special
Purpose Vehicle o società veicolo) che, forte della proprietà di tali attività, emette dei titoli normalmente sottoscritti da
investitori istituzionali. Parte del rischio insito nel credito smobilizzato viene "ceduto" ai sottoscrittori dei titoli, ma la
gran parte di questo rimane in capo all'originator (l'istituto che ha erogato il credito).
In Italia il termine securitization viene tradotto con ‘cartolarizzazione o titolarizzazione dei crediti’, ma per dare una
definizione completa ed esauriente, soffermandosi, ma solo in prima analisi, sull’aspetto economico dell’istituto,
possiamo seguire la definizione che viene fornita dall’ABI: “La securitization è una tecnica finanziaria mediante la
quale i flussi di cassa derivanti da impieghi creditizi, mutui od altre classi di attivo predeterminate, vengono selezionati
ed aggregati al fine di costituire supporto finanziario e garanzia ai titoli (asset backed securities), rappresentativi di tali
classi di attivo, collocati nel mercato di capitali.
Fonti statistiche ci forniscono dati di profonda riflessione, quale l’elevata diffusione verificatasi
negli Stati Uniti, dove dal 1998 un mutuo su quattro viene ad essere considerato subprime. La crisi
in America, tuttavia, si è innescata nei primi mesi del 2007, quando la New Century Financial,
seconda società Usa specializzata nel settore dei mutui ipotecari ad alto rischio e quotata in borsa, è
ricorsa al Chapter 11103, riducendo a meno della metà la sua forza lavoro e tentando attraverso un
riassetto della struttura societaria di evitare il default. Altre società, in un secondo momento si sono
trovate nella stessa situazione, dovendo effettuare notevoli ridimensionamenti dell’organico e
subendo improvvisi crolli delle quotazioni azionare fino a quasi il totale del loro valore vigente.
Non appena furono lanciati i primi segnali di allarme da enti istituzionali, i grossi investitors
(banche d’affari e fondi d’investimento), avendo in portafoglio mutui subprime cartolarizzati
iniziarono freneticamente a venderli, provocando panic selling104 sui listini internazionali. Per
calmierare la crisi in atto, gli istituti di politica monetaria , quali la Fed, per il mercato statunitense,
e la Bce105, per quello europeo, vengono ad essere costrette ad iniettare più volte nel mercato ingenti
quantità di liquidità attraverso pronti contro termine106, con lo scopo di sostenere il mercato stesso
ed evitare ulteriori crolli repentini delle valutazioni borsistiche. Nel contempo la Fed è stata
costretta a provvedere ad un abbassamento dei tassi d’ interesse (che probabilmente verrà ad essere
seguito da ulteriori tagli futuri) con il presupposto di riportare stabilità nel settore.
La situazione sul territorio europeo sembra essersi evoluta in maniera non uniforme, con il territorio
italiano rimasto esente da scandali di carattere bancario, che si son manifestati, con risonanza
globale, in Gran Bretagna con la Northern Rock, o in Francia con Société Générale o in Germania
con Ikb. La motivazione di tale differenziazione sembra essere stata, da parte degli istituti di credito
103
Si fa riferimento alla procedura prevista dal capitolo 11 del Bankruptcy Code statunitense (equivalente alla nostra
legge fallimentare), finalizzata alla soluzione della crisi dell'impresa attraverso un piano di riorganizzazione e molto
simile al nostro concordato preventivo. Anche il chapter 11 è volto infatti al soddisfacimento dei creditori, ma
contemporaneamente alla conservazione dell'attività dell'impresa in crisi. Durante la procedura: a) il debitore mantiene
il possesso dei propri beni; b) i creditori non possono aggredire tali beni.
Il piano può avere il contenuto più vario, può prevedere il soddisfacimento integrale di alcuni creditori e parziale di altri
(salvo il diritto dei creditori garantiti di essere sempre soddisfatti interamente, nella misura della garanzia), e può
suddividere i creditori stessi in classi.
Una volta approvato dalla maggioranza dei creditori, il piano deve essere valutato dal tribunale ai fini
dell'omologazione. Se non sono state proposte opposizioni, il tribunale accerta solo che il debitore sia in buona fede e
che non siano state violate norme imperative.
In caso di opposizioni, il tribunale deve accertare anche che il piano sia realizzabile e che sia idoneo a soddisfare i
creditori più di quanto avrebbero ricevuto se il debitore fosse fallito.
L'omologazione chiude la procedura e libera il debitore da tutti i debiti antecedenti (cosiddetto discharge).
104
Termine indicante l’innesco di una fase di mercato fortemente ribassista, in corrispondenza della quale gli investitori
raggiungono il più alto grado di pessimismo, senza che gli indici soggetti al calo trovino livelli di supporto significativi
da cui poter mettere a segno un rimbalzo. Spesso si presenta nella fase finale di andamento ribassista dei mercati
finanziari.
105
La Banca centrale europea (BCE o European Central Bank - ECB - nella dizione inglese), affiancata nell’operatività
d’oltre oceano dalla Federal Reserve (abbreviata con FED), banca centrale degli Stati Uniti d'America.
106
Pronti contro termine: sono operazioni con le quali un venditore cede un certo numero di titoli (pronti) e si impegna,
nello stesso momento, a riacquistarne uguale quantità a un prezzo e ad una data (termine) predeterminati. L'operazione
consiste, quindi, in un prestito di denaro da parte dell'acquirente e un prestito di titoli da parte del venditore.
italiani, l’adozione di un processo di consolidamento al di fuori d'interferenze politiche, il costituire
una forte base di depositi, e la risicata gestione di prodotti derivati o statunitensi. Una riflessione è
d’obbligo sul fatto che la finanza americana sia deragliata in preda ad un processo "creativo" che ha
alimentato la proliferazione di prodotti scadenti e complessi piazzati su molteplici mercati mondiali,
mentre la capacità di solving da parte delle fasce più deboli della popolazione era inversamente
proporzionale all’incremento dei tassi d'interesse legati al rising inflation107. La crisi di liquidità e il
recente calo delle Borse hanno creato un effetto panico generalizzato, dove i banchieri italiani,
tuttavia, considerati più prudenti e meno aggressivi di quelli di Wall Street e della City, in un
mondo sempre più globale e complesso, caratterizzato dalla creazione di prodotti sempre più
sofisticati, definiti dalla capacità di saper inviduare lo step massimo di rischio assumibile per una
corretta gestione dello stesso. La regola aurea nell’operatività di mercato è legata all’inviduazione e
gestione ottimale del rischio attraverso l’incremento delle competenze e dei controlli.
Per quasi mezzo secolo i mercati interbancari sono stati considerati un esempio di efficienza e
autoregolamentazione. La liquidità risultava abbondante, i rischi di controparte considerati
irrilevanti, mentre le autorità monetarie riuscivano a governare il livello dei tassi lungo quasi
l’intera curva per scadenza. A ben guardare, tuttavia, alcune di queste caratteristiche risultano del
tutto peculiari rispetto agli altri mercati creditizi. Infatti, incomprensibilmente, i rischi di credito non
erano affatto prezzati giacchè intermediari deboli potevano indebitarsi alle stesse condizioni di
banche ben più grandi e solide, mentre i tassi su impeghi bancari non garantiti risultavano
schiacciati verso quelli offerti dalle banche centrali per prestiti ben collateralizzati.Con la crisi
finanziaria il mondo sembra essersi improvvisamente rovesciato giacchè i mercati interbancari son
divenuti il barometro della difficoltà del sistema. La liquidità si è rarefatta, le banche meno solide
faticano ad ottenere credito, o lo ottengono a tassi più alti delle banche con migliori rating, e
sopratutto i differenziali tra tassi a brevissima scadenza (overnight108) e quelli a un po’ più lunga si
sono aperti notevolmente, non rispecchiando più esclusivamente le aspettative circa il futuro
andamento dei tassi ufficiali. Le conseguenze di tutto ciò è che oggi le autorità monetarie riescono a
governare solo i tassi a brevissima scadenza e il differenziale fra tassi ufficiali e quelli interbancari
oltre la settimana si è molto ampliato. Seppure taluni di questi cambiamenti non fanno altro che
allineare i mercati interbancari agli altri mercati dei crediti, la loro dimensione è tavolta patologica e
merita un’accurata analisi. Ciò risulta tanto più vero se si pensa al ruolo di tali mercati nella
gestione delle tesorerie delle banche, quale parametro di riferimento sul quale son indicizzati un
notevole numero di strumenti finanziari. E’ comprensibile allora la preoccupazione degli operatori
107
Effetto inflazionistico del rialzo dei prezzi: implica una politica monetaria restrittiva.
Overnight rate, letteralmente "da un giorno all'altro", è il tasso di interesse che si riferisce ad un orizzonte temporale
della durata di un giorno. Tipicamente è il tasso interbancario applicato ad un prestito erogato oggi ed estinto domani.
108
nonché delle banche centrali che hanno dedicato un inusitato impegno a ripristinare il
funzionamento, senza per altro ottenere risultati significativi. I due punti di lettura della situazione
sono: per gli europei il divario (tassi interbancari/ufficiali) riflette un rischio di credito, per la Fed il
differenziale è legato alla carenza di capitale nelle banche. Nessuna delle due spiegazioni sembra in
grado di spiegare a pieno le anomalie riscontrate. I differenziali lungo la curva dei tassi interbancari
appaiono, in effetti, troppo ampi per giustificare rischi di controparte tutto sommato limitati nel
breve periodo. Esiste un’altra ragione che riguarda la gestione delle passività: tutte le banche
cercano di non indebitarsi a brevissimo termine per finanziare gli impieghi a più lungo termine, al
fine di evitare che shock di liquidità abbiano conseguenze disastrose sulla loro reputazione. Nessuna
banca vuole dichiarare al mercato e alla banca centrale di essere esposta troppo sul brevissimo
termine, ciò impedisce di effettuare arbitraggi che renderebbero la curva dei tassi interbancari più
piatta e vicina ai tassi ufficiali presenti e attesi. A questo tipo di situazioni non esistono soluzioni
semplici poiché, da un lato, non appare né corretto né opportuno abbandonare una più prudente
politica di gestione del passivo delle banche, dall’altro, non è pensabile che le autorità monetarie
possano controllare per via diretta tutta la curva dei tassi a breve. Solo il tempo permetterà di
riequilibrare gradualmente la struttura del passivo delle banche e di rendere la curva dei tassi
interbancari meno sensibile ai rischi di liquidità. Moody’s109 certifica ufficialmente lo stato di crisi
del sistema creditizio e soprattutto lascia intendere che turbolenze continueranno ad agitare i
mercati e la finanza per tutto l’anno. Nel secondo trimestre del 2008 la qualità del credito in Europa
è scesa ai minimi degli ultimi cinque anni. Colpa aumento inflazione e del rallentamento della
crescita economica, ossia uno scenario di stagflazione, se si aggiungono anche meno utili per le
aziende, ecco che per Moody’s, i rischi di fallimenti societari probabilmente aumenteranno. Se i
mutui subprime, hanno innescato una crisi che a detta di molti è la peggiore dal crollo di Wall Street
del 1929, anche perché nelle maglie del sistema si è aperta una falla, e qualcosa nei controlli non ha
funzionato.
Anche per gli istituti italiani che fino ad oggi sono rimasti ai margini della crisi subprime, il quadro
si è fatto più difficile, la ragione è semplice: sulla difficoltà di aumentare il capitale si è innestata
anche la crisi dei mercati azionari, che rende più complicato il processo di riduzione della leva
finanziaria. Gli istituti di credito continuano a perdere valore, ma ciò che preoccupa oggi è la
109
Moody's Corporation è una società con base a New York, che esegue ricerche finanziarie ed analisi su attività
commerciali ed istituzionali. L'azienda produce, inoltre, un omonimo rating per le attività che analizza, indice che
misura la capacità di solving per i crediti ricevuti in base ad una scala standardizzata, e suddivisa tra debiti contratti a
medio e lungo termine.
Moody’s vanta una posizione di rilievo nella finanza strutturata italiana, con una quota di mercato di oltre il 90% sin dal
1999 e l’assegnazione di rating a più di 400 tranche. Tra gli attivi interessati da operazioni di cartolarizzazione
figurano: crediti al consumo in bonis e in sofferenza, mutui ipotecari su immobili ad uso abitativo o commerciale,
contributi di previdenza sociale ed altri attivi del settore pubblico, contratti di leasing e crediti commerciali su
autoveicoli.
riduzione degli utili. Nel primo trimestre di quest’anno, i profitti dei cinque maggiori gruppi bancari
(Unicredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi, Ubi Banca) si sono ridotti di circa un terzo rispetto
allo stesso periodo del 2007. La redditività del settore nel 2007 non è stata sostenuta dall’operatività
ordinaria, ovvero dall’erogazione del credito e dalla domanda di finanziamenti, ma soprattutto da
operazioni straordinarie. Ma non solo una questione di numeri, la via d’uscita dalla fragilità
innestatasi nel sistema passa per un recupero della competitività e per una maggiore concorrenza. I
problemi aperti più pressanti riguardano la portabilità dei mutui, la commissione di massimo
scoperto, la trasparenza delle condizioni contrattuali. Ormai è concorrenza vera, combattuta in un
crescendo di pubblicità e colpi di scena. Le banche tradizionali riducono i costi, siamo entrati
nell’era della competizione anche nel settore dei servizi di credito retail, per privati e famiglie. La
chiave del successo per le banche sarà sempre più in funzione della volontà di avere rispetto e
capacià di collaborazione nei confronti del cliente. Gli istituti di credito sono messi a dura prova su
vari fronti: il primo è il rallentamento economico, crescita quasi azzerata e crisi mercati finanziari,
nel medio periodo si faranno sentire sugli utili delle banche; il secondo è politico, è stato
preannunciato un aumento delle tasse per le banche (Robin Tax110). Quindi capitalizzazione
dimezzata, redditività in calo almeno fino al 2010, e come se non bastasse la Robin Tax e la pesante
strigliata della Banca d’Italia sulla trasparenza. Però, la qualità del credito rimane stabile e le
sofferenze restano su livelli fisiologici.
La strategia delle banche, più che sull’aumento dei clienti, costosissimo, punta sull’aumento del
valore di chi ha già un rapporto in essere, quindi sull’incremento del numero di prodotti venduti. Le
banche, in futuro, a vantaggio del cliente, dovranno affrontare la loro politica sul fronte distributivo
e su quello produttivo: il risultato porterà a istituti più specializzati e con prezzi più bassi per la
clientela.
In questo contesto, Banca IMI registra, al trenta giugno 2008, un utile netto di 140 milioni, risultato
al quale ha contribuito in modo determinante il secondo trimestre dell’esercizio.
Nell’attività di investment banking, ha confermato il ruolo di assoluto standing sui mercati primari,
sia equity che debito, nonostante l’incertezza complessiva che ha gravato sui mercati internazionali,
precedentemente esposta.
‘Togliere qualcosa a chi ha più guadagnato dal boom del petrolio e delle intermediazioni bancarie, e darlo a chi ne è
rimasto più colpito: famiglie a basso reddito, alle prese con il caro carburante e con il mutuo’. Giulio Tremonti la spiega
così la Robin Tax: termine preso pari pari da Robin Hood, l’eroe che prendeva ai ricchi per dare ai poveri.
Il ministro seleziona però i suoi obiettivi: non le aziende che competono sui mercati, non i ricchi indiscriminatamente,
ma appunto petrolieri e banche. Chi cioè ha goduto di profitti in gran parte speculativi. Si tratta della tassa sulla
valorizzazione automatica delle scorte petrolifere. L’aliquota viene riportata, attraverso una specifica addizionale dal 27
al 33 per cento per le industrie oil e gas. La tassa servirà per anziani e fasce deboli, contribuendo al loro sostentamento
per ‘arrivare alla fine del mese’.
110
La conclusione dell’esercizio 2007 riporta un risultato netto di 210,7 milioni, in crescita dell’8%
rispetto al consuntivo proforma 2006 di Banca d’Intermediazione Mobiliare IMI e Banca Caboto.
Lo sviluppo del margine di intermediazione, cresciuto del 8% a 614 milioni, include i proventi
relativi alla valorizzazione della partecipazione detenuta in Borsa Italiana, nel quadro della sua
integrazione con London Stock Exchange, di 127 milioni.
Nel confronto con l’esercizio precedente, alla moderata crescita dei ricavi della prima metà del
2007 si contrappone una riduzione nella restante parte dell’anno.111 Depurando gli elementi di
stagionalità del trimestre estivo, tale diminuzione è da ascrivere principalmente alle turbolenze dei
mercati monetario e del credito, e alla profonda crisi di liquidità che ha fortemente segnato l’attività
sia degli Intermediari finanziari che della clientela istituzionale e retail.
Il pieno roll-out dell’integrazione, che ha coinciso con la fase più acuta di crisi dei mercati, ha
influenzato lo svolgimento delle attività di business nelle prime settimane post fusione. Si è deciso
pertanto di limitare la propensione al rischio, che è propria di una banca di investimento, per meglio
governare eventuali gap operative che potessero verificarsi nella nuova filiera complessiva.112
3.4.2 Periodo pre-fusione: dal 1999 al 2006
Nel corso del 2006 l’economia mondiale si è mantenuta su un sentiero di crescita sostenuto, mentre
la dinamica dell’inflazione, pur avendo mostrato una temporanea accelerazione nella prima metà
dell’anno, è rimasta sostanzialmente stabile.
Scenari di mercato particolarmente contrastati, in primis quello dei mercati azionari nei mesi di
maggio e giugno, non hanno impedito a Caboto di portare a termine importanti operazioni sui
mercati primari italiani, sia nel segmento del reddito fisso che in quello azionario.
Il consuntivo al 31 dicembre 2006 di Banca Caboto evidenzia il risultato netto di 90 milioni, in
aumento del 26% rispetto al corrispondente periodo dell’esercizio precedente. Tale miglior risultato
è interamente ascrivibile alla gestione caratteristica.113
La redditività netta espressa dalla Società riflette il continuo sforzo profuso nella riqualificazione
del modello organizzativo di business. Già iniziato nel precedente esercizio, il percorso strategico è
stato incentrato su una minor presenza diretta nei settori a bassa marginalità, su una crescente
focalizzazione e specializzazione delle business units e sulla ricerca di nuove opportunità in sinergia
con le strutture di relazione di Banca Intesa.
111
Dati ricavati da Relazione Semestrale al 30 giugno 2008, Banca IMI. Si veda tabella N.1 Dati di Sintesi in
appendice.
112
Per una lettura di maggiormente approfondita sugli argomenti espressi, si rimanda ai singoli articoli giornalistici, i
cui riferimenti sono riportati nella sezione bibliografica.
113
I dati contabili riportati, da qui a fine capitolo, hanno origine dalle pubblicazioni dei Bilanci d’esercizio, o Relazioni
Semestrali, delle singole società.
L’intero esercizio è stato caratterizzato da una crescita stabile dei ricavi, elemento distintivo rispetto
all’esercizio 2005 e a quelli precedenti, nei quali appare marcata la tipica stagionalità dei mesi estivi
e del mese di dicembre.
L’incremento registrato nel risultato delle attività ordinarie (di oltre il 600%) deriva, in primis, dalla
positiva evoluzione del risultato della gestione operativa sopra commentato, a cui ha fatto seguito,
una minore incidenza dei risultati della gestione non caratteristica.
Per Banca IMI, il 2006 è stato il primo anno di implementazione del Piano Industriale 2006-2008,
che dettaglia le linee guida operative atte ad assicurare l’esecuzione delle strategie ed il
raggiungimento degli obiettivi previsti dal Gruppo. Al fine di garantire l’efficace applicazione delle
linee guida, nel corso dell’anno è stato ridefinito l’assetto organizzativo della Banca teso a
semplificare l’articolazione delle strutture al fine di garantire una maggiore efficienza e
competitività nel mercato delle attività wholesale e nel supporto dell’attività di offerta di servizi
finanziari word class delle reti del Gruppo.
Nel primo semestre del 2005, l’economia mondiale si è mantenuta su un sentiero di sviluppo
sostenuto, seppur inferiore a quello che si era visto nella seconda metà del 2004.
L’economia italiana soffre di una profonda crisi strutturale che dall’industria si è estesa al settore
dei servizi e, probabilmente, alle costruzioni.
La ripresa economica dovrebbe consolidarsi nella seconda metà dell’anno, sostenuta da una
moderata accelerazione della domanda estera, cui dovrebbero seguire progressi sul fronte
dell’occupazione e sull’andamento dei consumi. Tuttavia, la crescita media annua sarà prossima
allo zero e sicuramente inferiore alle previsioni di consenso di fine 2004.
Lo scenario macro economico appena delineato ha influito significativamente sugli utili realizzati
da Caboto. Il contesto operativo descritto ha condotto alla formazione di un margine di
intermediazione pari a 105,5 milioni di euro, in lieve diminuzione rispetto ai 107,1 milioni del
primo semestre 2004. Le singole componenti del margine evidenziano:
(i)
la riduzione del margine di interesse, dovuta al finanziamento di più rilevanti posizioni
azionarie legate all’operatività su dividendi, mitigata da un maggior apporto del
portafoglio titoli a reddito fisso;
(ii)
l’aumento delle commissioni nette, trainate dai ricavi sui mercati primari (più che
raddoppiati, pari a circa 20 milioni) e da intermediazione per la clientela;
(iii)
il sostanziale aumento della componente dividendi, passati da 170 a 254 milioni, a
seguito della scelta direzionale di aumentare i volumi di operatività;
(iv)
il minor apporto complessivo dei profitti finanziari, in particolare dal comparto fixed
income.
I costi operativi, pari a 68,1 milioni di euro, si mostrano in significativa riduzione (– 6,2%) rispetto
ai 72,6 milioni del periodo precedente.
Il risultato operativo conseguito si colloca a 37,4 milioni, in aumento di circa 3 milioni. Il
cost/income ratio114 risulta in miglioramento, passando al 64,5% dal 68% circa del primo semestre
del 2004. Il risultato netto del periodo, influenzato in modo rilevante dalle componenti non
operative e dalla componente fiscale, è stato pari a 23,8 milioni di euro, con una diminuzione di
circa il 48% rispetto al valore registrato nell’esercizio precedente (45,7 milioni).115
In linea generale, il bilancio dell’esercizio 2005 ha beneficiato delle importanti transazioni portate a
compimento con successo dalla Banca nel corso dell’anno, quali il perfezionamento del più grande
leveraged buy-out realizzato in Europa ed il secondo a livello mondiale - l’acquisizione di Wind da
parte del gruppo riconducibile all’imprenditore egiziano Sawiris.
Poiché l’esercizio 2005 è il primo di applicazione degli IFRS, i dati comparativi del primo semestre
2004 sono stati rideterminati con l’applicazione degli IFRS, ad eccezione degli IAS 32 e 39, in
materia di rilevazione e valutazione delle attività finanziarie (crediti e debiti, titoli, altri strumenti
finanziari). Infatti, sulla base delle facoltà previste dagli stessi IFRS, la Banca ha optato per
l’applicazione degli IAS 32 e 39 a far data dal 1° gennaio 2005. La piena applicazione anche del
citato IAS 39 avrebbe determinato un aumento del reddito di periodo per il 2004 di Eur/mln 0,7, al
netto della componente fiscale di pertinenza.
A partire dall’esercizio 2005, la Capogruppo Sanpaolo IMI, quale società le cui azioni sono
ammesse alle negoziazioni in un mercato regolamentato UE (inoltre, tutte le banche, anche non
quotate), è tenuta alla redazione del bilancio consolidato conformemente ai principi contabili
internazionali116.
Il Parlamento e il Consiglio Europeo hanno approvato il regolamento che impone l’obbligo a tutte
le società comunitarie i cui titoli siano quotati su mercati regolamentati di redigere entro il 2005, i
loro conti consolidati conformemente ad un insieme unico di principi contabili, gli International
Accounting Standards (IAS, poi definiti IFRS), al fine di sviluppare un insieme unico di principi
contabili su scala mondiale. Questo regolamento nasce con la prospettiva di accelerare il processo
di uniformazione normativa per la costituzione di un mercato unico dei servizi finanziari, attraverso
una maggiore comparabilità di bilancio per società quotate. I principali cambiamenti apportati
Per un maggior dettaglio sull’indice si veda il capitolo precedente introduttivo all’analisi di bilancio.
Dati ottenuti da Relazione Semestrale al 30 giugno 2005, Banca Caboto. Si veda tabella N.7 Dati di Sintesi in
appendice.
116
Principi Contabili Internazionali” applicabili sono gli “International Accounting Standards” (o IAS, emessi fino al
luglio 2002), e gli “International Financial Reporting Standards” (o IFRS, emessi successivamente) “omologati” dalla
Commissione Europea secondo quanto previsto dal reg. 1606/2002 entro la data di riferimento della presente Relazione,
nonché i relativi documenti interpretativi SIC (emessi dallo Standard Interpretation Committee) e IFRIC (International
Financial reporting Interpretation Committee).
114
115
vengono a delinearsi su tre piani: comunicativo, gestionale, contabile; con differenze di maggior
rilievo, rispetto la normativa precedente, impostate sulle modalità di classificazione dei titoli.117
Nel 2004 si sono realizzate condizioni favorevoli alla crescita dell’economia mondiale. L’attività
produttiva ha continuato ad essere trainata dagli elevati ritmi di crescita degli Stati Uniti e dei Paesi
emergenti dell’Asia.
Nell’area euro la produzione è tornata ad espandersi; i risultati economici registrati appaiono
tuttavia modesti e il divario rispetto agli Stati Uniti si è mantenuto elevato, soprattutto a causa della
forte erosione di competitività e del deprezzamento del dollaro.
L’impatto negativo che ne è conseguito si è manifestato in maggior misura in Italia, dove la crescita
del PIL si è mantenuta al di sotto del potenziale e inferiore rispetto alla media europea; il tasso di
interesse reale ha continuato a ridursi e si colloca su livelli tra i più bassi mai registrati.
Gli effetti si sono visti sia sulle importazioni, la cui capacità di penetrazione è aumentata, sia sulle
esportazioni. Ma mentre queste ultime hanno ritrovato dinamismo nella parte centrale dell’anno, la
domanda interna ha mantenuto un andamento altalenante.
Caboto, in questo scenario, ha mantenuto al centro della propria strategia le esigenze di tutti i suoi
clienti, offrendo in sinergia con le strutture di Banca Intesa, un’ampia gamma di prodotti e servizi di
capital markets. Vuole mantenere e rafforzare la propria leadership in Italia, contribuendo alla
crescita dimensionale e competitiva dei mercati finanziari italiani, in un’ottica di servizio al Paese e
di una maggiore integrazione in Europa.
Il risultato netto dell’esercizio 2004 ammonta a 57,8 milioni di euro, diminuito di circa il 46%
rispetto al valore registrato l’anno precedente. Il margine d’intermediazione, pari a 151,4 milioni di
euro, si è ridotto del 35,7% rispetto al 2003.118
Il 2004 è stato un anno di significative realizzazioni, volte a perseguire un assetto aziendale più
efficiente e competitivo in un contesto di maggiore complessità di mercato. La trasformazione in
Banca, avvenuta il 1° gennaio 2004, ha consentito l’ampliamento dell’operatività di investment
banking e di accesso ai mercati della ex Caboto SIM.
Nel contempo, l’intervento di Banca IMI è stato improntato per un verso alla razionalizzazione
della struttura e delle iniziative di business e per altro all’adeguamento dei business process. Con
riferimento allo sviluppo del business, con particolare riguardo al potenziamento delle attività di
investment banking, si è registrata l’implementazione di nuovi sistemi di customer relationship
management unitamente all’ampliamento della gamma dei prodotti e servizi offerti agli investitori
Per ulteriori approfondimenti si veda Angelo Minafra, L’impatto dei nuovi principi contabili internazionali (IASIFRS) sulle aziende di credito, Banche e Banchieri N.5 2006.
118
Dati ottenuti da Bilancio 2004 Banca Caboto. Si veda tabella N.8 Dati di Sintesi in appendice.
117
istituzionali, con particolare riferimento a strumenti innovativi quali l’ulteriore sviluppo dello stock
lending ed alla contestuale implementazione di sistemi evoluti per la gestione del collaterale.
L’andamento dell’economia internazionale nel 2002 ha deluso le aspettative di inizio anno. La
ripresa economica è stata modesta e disomogenea nelle varie aree del mondo ed è apparsa sempre
più minacciata, con il passare dei mesi, dal crescere del rischio di guerra nel Golfo Persico. Il clima
di fiducia di famiglie e imprese ne ha risentito, provocando una modesta espansione di consumi e
investimenti.
Il prodotto interno lordo mondiale è cresciuto a ritmi leggermente superiori rispetto al 2001, ma ciò
non ha impedito che si riaffacciassero, nel secondo semestre, timori di ricaduta in recessione.
Il risultato delle attività di Investment Banking, per Banca IMI, è complessivamente superiore a
quello dello scorso esercizio, pur in presenza di condizioni di mercato ancora incerte che hanno
risentito degli effetti dell’11 settembre 2001 nella prima parte dell’anno e del rallentamento
dell’economia globale nella seconda parte. A fronte di una situazione di acuta incertezza registrata
sui mercati finanziari, si è evidenziata una notevole vivacità soprattutto nell’attività dell’area risk
management (con ricavi in aumento del +102% rispetto all’esercizio 2001), da cui sono derivati
risultati di particolare rilievo nel comparto equity e, nel complesso, superiori alle previsioni.
Nel 2002 Caboto ha confermato le proprie potenzialità quale operatore di riferimento nel mercato
dei capitali, conseguendo un risultato da valutarsi positivamente alla luce della difficile congiuntura
macroeconomica. Il Margine di intermediazione è in incremento del 21,3% (163,7 milioni di euro
contro 135 milioni di euro al 31 dicembre 2001). La crescita dei ricavi ha efficacemente supportato
il processo di sviluppo della Società, in concorso con una dinamica dei costi che è stata oggetto di
attento controllo.
La crisi ha assunto toni drammatici in Argentina. Il paese ha tentato per tutto l’anno di evitare la
svalutazione del peso e l’ammissione di insolvenza, ottenendo a tal fine ingenti finanziamenti
internazionali. Il tentativo di salvataggio coordinato dal Fondo Monetario Internazionale si è però
rivelato insufficiente a rimediare una situazione economica e finanziaria ormai compromessa. Dopo
una serie di misure che hanno soltanto aggravato la crisi economica, in dicembre l’esplosione di
disordini di piazza ha portato alla caduta del governo De La Rúa. Il calo degli utili, la crisi degli
investimenti e gli attentati dell’11 settembre non potevano che rendere il 2001 un anno disastroso
per i mercati azionari. A fine anno, i principali indici internazionali risultavano del 20% più bassi di
dodici mesi prima, nonostante il forte recupero realizzato a partire dal mese di settembre.
Il 2000 è iniziato all’insegna della crescita e della restrizione monetaria, e si è chiuso con timori di
recessione negli USA e l’inizio di una fase di politica monetaria espansiva. I mercati hanno seguito
questo violento cambiamento di scenario e di prospettive con correzioni ampie e profonde. Il
rallentamento della domanda mondiale, iniziato negli USA nella seconda metà dell’anno, ha anche
portato a un’inversione del principale shock esogeno alle economie industrializzate, cioè il forte
rialzo del prezzo del petrolio iniziato nel corso del ’99.
Capitolo 4
Analisi della Fusione
Introduzione
La competitività guida le fusioni con lo scopo di aumentare il potere di mercato, difendere la
posizione di mercato, guadagnare sinergie e/o economie di scopo, o ridurre i costi di transazione e
informazione.
Ambiente guida delle fusioni rappresenta il responso per regolare la crescita, e guadagnare l’accesso
a nuove tecnologie, e attendere superamento delle inefficienze del capitale di mercato. In termini
strategici, possiamo distinguere tra fusioni finanziarie difensive e offensive. Fusioni difensive si
sviluppano per preservare il core business della banca, e sopportare eventuale competizione esterna.
Fusioni offensive si sviluppano per estendere il range delle attività bancarie (penetrare nuove aree di
mercato, catturare nuovi clienti, insediare nuovi mercati). Molte fusioni, sono state portate in essere
con lo scopo di difendere i confini domestici, il territorio italiano ne è stato notevolmente
influenzato.119
La fusione deve identificare e realizzare lo scopo di ridurre i costi e incrementare i ricavi,
ristrutturare gli assets, e riconfigurare l’organizzazione, dimezzare le cariche manageriali
incrementare l’ammontare dei benefici da fusione.120
Tuttavia, oltre a ricercare le origini dell’onda delle fusioni nell’incremento della profittabilità
attraverso la diverficazione, lo sviluppo di economie di scala e la supremazia di mercato, queste
vanno correlate al progresso tecnologico (in particolare alla tecnologia comunicativa), alla
deregolamentazione, alla generale globalizzazione ed alle variazioni dei margini di competitività.
Il concetto di fusione è garante di due effetti principali: allargamento della quota di mercato dei
soggetti interessati, raggiungimento dell’efficienza in termini di riduzione dei costi.121 L’attività di
M&A risulta essere benevole per gli shareholders quando il consolidamento post-fusione ha
maggior valore che la somma delle due società ante fusione.
La ricerca della performance post fusione si è focalizzata sul miglioramento delle seguenti aree:
miglioramenti di efficienza, incremento del potere di mercato, maggior diversificazione.
119
Si veda Gary A. Dymsky, The global bank merger wave: implications for developing countries, The Developing
Economies,XL-4 (December 2002)
120
Si veda C.W. Anderson, D.A. Becher, e T.L. Campbell II, Bank merger, the market for bank CEOs and managerial
incentives, Journal of Financial Intermediation N.13 (2004)
121
Per un approffondimento sulla tematica: Elena Carletti Philipp Hartmann Giancarlo Spagnolo, Implications of the
Bank Merger Wave for Competition and Stability Mannheim University European Central Bank July/August 2002.
Cambiamenti nella struttura del mercato vengono a portare effetti sul mercato riducendo la
competizione.122 La letteratura definisce la maggior parte delle fusioni come risultato di obiettivi di
costo, mentre ricavi e diversificazione sono meno menzionati.
La letteratura sul valore aggiunto delle fusioni e acquisizioni bancarie, presenta un chiaro
paradosso: evidenze empiriche indicano chiaramente che sulla media questo valore non è
statisticamente significativo rispetto la performance dall’attività di fusione.123
Dopo questa breve riflessione sul concetto fusione bancaria, si vuole in questa fase finale
dell’elaborato venire ad affrontare una lettura critica degli indici ottenuti attraverso lo studio dei
bilanci, e relazioni semestrali di Banca Caboto e Banca IMI, nel periodo che va dal 1999 al 2008,
suddiviso in due archi temporali dal merger event.
La comparazione dei dati e le conclusioni proposte saranno sopportate da studi accademici
affrontati in materia di fusioni interbancarie in passato, di cui ne saranno citate le relative fonti.
Si cercherà di riportare, in principalmodo, tesi a favore della propria posizione, non mancando,
tuttavia, di sottolineare eventuali risultanze contrapposte, con lo scopo di lasciare una certa
autonomia al lettore in fase conclusiva.
4.1 Metodogie di studio
I comuni fattori riconosciuti che giustificano operazioni di M&A possono essere suddivisi in due
principali gruppi:

fattori legati al incremento del benessere degli shareholder;

fattori legati al beneficio esclusivo del management (private benefits).
All’interno del primo gruppo si vengono a identificare come primarie categorie, le economie di
scala e quelle di scopo, l’incremento del potere di mercato (definito monopolistic advantage), e altre
motivazioni di natura speculativa.
La creazione di valore come risultato di una M&A, è una questione ancora non totalmente definita,
molte controverse opinioni hanno sviluppato due distinti approcci di studio:
-
il primo basato su financial performances (maggiormente utilizzato con il suo
acronimo FB) utilizzando dati di bilancio;
122
il secondo event study methodology.124
La caduta della disponibilità del credito per imprese di piccole dimensioni dopo una fusione bancaria ne è spesso
conseguenza. Tuttavia, le fusioni bancarie hanno un effetto neutrale sulle piccole imprese nel lungo periodo, infatti,
alcuni studi hanno definito che il livello di credito a disposizione delle piccole imprese dopo tre anni dalla merger
sembra ritornare a valori normali.
Le fusioni bancarie, almeno dei primi anni, hanno riportato un calo della disponibilità del credito, creando problemi
sull’intero sistema economico.(Da James E. McNulty, Bank mergers and small firm finance : Evidence from lender
liability (2006))
123
Steven J. Pilloff Anthony M. Santomero, The Value Effects of Bank Mergers and Acquisitions The Wharton
Financial Institutions Center 1997.
L’approccio FP, cerca di definire la creazione di valore attraverso l’evoluzione dell’efficienza
societaria in un’operazione; la metodogia generale, invece, è legata allo studio dell’analisi dei
cambiamenti degli indicatori di profitability (come il Return on Equità, già affrontato nel capitolo
precedente), o cost ratios, oppure entrambi, prima e dopo l’operazione.125
Il secondo approccio è più standardizzato che il primo, ed è basato sull’analisi delle performance in
termini di valore azionario per entrambe le società (sia acquirente, che la target) nel periodo ex post.
La preferibilità nell’utilizzo del secondo approccio è legata a due considerazioni: la disponibilità e
la soggettività dei dati contabili da mettere sotto studio, e la necessità di verificare la creazione di
valore nel breve periodo attraverso gli scostamenti dei prezzi del mercato mobiliare.
Gli studi FP, sono stato oggetto di molti elaborati, tra i quali si ricordano Amel, Barnes, Panetta and
Salleo (2004), che appurarono esistenza di variabilità dal punto di vista dell’efficienza tra i risultati
di fusioni bancarie in Europa e in Nord America.
Cavallo and Rossi(2001), analizzarono le più recenti fusioni bancarie europee, trovando risultati
contrastanti rispetto agli studi precedenti, esistenza di significanti economie di scala e di scopo
indipendenti dalle dimensioni societarie.
Riguardo l’utilizzo degli studi FP per le fusioni del settore bancario in Italia, non sempre furono
raggiunti dei risultati univoci: Focarelli, Panetta e Salleo (2002), focalizzandosi sul periodo 19841996, suggerivano che gli obiettivi di acquisizione bancarie erano caratterizzati da elevati livelli di
costo. Pesic (2003), attraverso lo studio sull’analisi di sei principali fusioni di istituti di credito
italiani, concludeva che l’estensione dell’efficienza poteva essere osservata, contabilmente, su
distese scale temporali.
Infine si pone necessario, menzionare l’analisi di Resti e Siciliano (1999), che utilizzarono entrambi
gli approcci (FP ed event studies), rilevarono un significante incremento del valore dalla banca
target e miglioramento nell’efficienza di breve periodo per la stessa.
Uno studio di J.L. Thompson [1999]126, ha decretato che le fusioni abbassano i costi operativi, e
offrono benefici alla società nella forma di risorse reali per usi alternativi.
La metodogia generale adottata, viene ad essere quella di esaminare le performance delle società nel
periodo ante, e post fusione per verificare che il merger event abbia significativamente portato a
cambiamenti strutturali.
L’evidenza empirica può essere riassunta in quattro categorie:
1) stima della funzione di produzione della banca;
124
Il quale, legato a variazioni degli stock-prices, non saà oggetto di trattazione in questo contesto, per mancanza di dati
essenziali, essendo Banca IMI dipendente dalla quotazione borsistica della capogruppo Intesa Sanpaolo.
125
Si veda lo studio affrontato da Annalisa Caruso e Fabrizio Palmucci, Measuring value creation in bank mergers and
acquisitions, University of Bologna 2003.
126
J.L. Thompson, Horizontal Bank Mergers: Issues and Evidence, Liverpool John Moores University 1999.
2) l’analisi della frontiera efficiente;
3) esaminare i dati di bilancio;
4) event studies per monitorare la performance del prezzo di mercato.
Thompson [1999] effettua studi di fusioni tra il periodo da 1981 al 1993 usando la funzione di
produzione. Il problema con questo tipo di approccio è che la stima della produttività dipende in
maniera critica dalla specificazione della funzione di produzione. Thompson superara questo
problema sperimentando differenti forme di funzioni di produzione che portano a dei risultati
differenti.
Un approccio adottato è la funzione di produzione Cobb-Douglas nella sua forma base, la quale ci
permette di effettuare un confronto tra il prima e dopo fusione attraverso l’introduzione di una
variabile dummy127; dato che i benefici di una fusione vengono ad avere dei risvolti negli anni
successivi alla stessa.
La conclusione generale raggiunta è stata che le fusioni domestiche tra partner di stessa dimensione
incrementano in maniera significativa l’efficienza delle banche acquisite. Ciò non si riproponeva
per fusioni tra banche non simili dimensionalmente (detti takeovers), dove le performance dell’unità
di nuova istituzione mostra una tendenza al deterioramento.128
Passando allo studio dell’efficienza si ha come unità di misurazione la frontiera efficiente
(benchmark). La frontiera efficiente potrebbe essere suddivisa in due principali categorie, definite in
approccio parametrico e non parametrico.
Il principale approccio non parametrico è il Data Envelopment Analysis (DEA), che non impone
nessuna struttura sul processo di produzione in modo tale che la frontiera sia determinata solamente
dai dati. L’utilizzo di programmi lineari permettono la generazione di una serie di punti
rappresentanti la best-practice osservazione, e la frontiera efficiente deriva dalla combinazione
lineare di questi stessi. Spesso le costanti di reddito sono rapportate alla X-inefficiency come
misurazione della differenza tra i valori attuali e il best practice. Il problema con questo approccio è
che il residuo totale (il gap tra il valor reale e quello migliore) è definito dall’assunzione della Xinefficiencies, la quale potrebbe essere random influency. Da ciò si potrebbe definire che la stima
All’interno di un modello di regressione possono essere utilizzate delle variabili esplicative di tipo qualitativo
dicotomico, definite nella terminologia econometria dummy variables (o variabili di comodo). Queste variabili
esplicative possono aver natura qualitativa: sesso, localizzazione (centro, nord, sud), titolo di studio (diploma, laurea); e
l’effetto prodotto sulla variabile dipendente può essere valutato nel contesto tipico del modello di regressione.
Si tratta, quindi, di variabili indicatrici che assumono valore 1 (si ha D=1), se la caratteristica qualitativa è posseduta, e
valore 0 (si ha D=0), se non è posseduta (per una maggiore trattazione si veda Badi H. Baltagi, Econometrics, cap. 4.7
Dummy variables, 2nd Edition 2006).
128
Per ulteriori dati si veda J.L. Thompson, Efficacy of Bank Mergers: What Do We Know? (A Survey of the Evidence),
February 2000.
127
dell’efficienza da DEA dovrebbe essere inferiore a quella ottenuta da altri metodi, per provare a
comprimere il random error legato alla X-inefficiency.
Tuttavia, questi approcci aprono critiche simili all’approccio della funzione di produzione, quindi si
viene ad avere una struttura inappropriata.
Tre tipi di approcci non parametrici vengono ad essere utilizzati: Stochastic Frontier Approach,
Distribution Frontier Approach e il Thick Frontier Approach. Questi metodi differiscono dalla
metodogia precedente per il solo fatto che distinguono tra random errors e X-inefficiencies.
Nei vari studi erano state delineate alcune conclusioni con vari gradi di confidenza:
1. si viene ad avere un potenziale guadagno in efficienza;
2. le economie di scala applicate soprattutto a piccole banche;
3. i benefici da economie di scala sono abbastanza piccoli e dominati da economie tecniche;
4. le banche esibiscono un elevato range di efficienza tecnica;
5. le banche target vengono ad aver un grado di efficienza inferiore rispetto alle banche
acquirenti;
6. il fatto che le fusioni portino efficienza viene ad essere più volte contraddetto e perciò non
conclusivo.
Un altro approccio129, esamina i cambiamenti post fusione dal punto di vista contabile (ROA e
ROE), o costi operativi, misurato attraverso ratios su costi operativi o indici dell’efficienza della
banca (dove l’indice dell’efficienza è dato dai ricavi non da interessi diviso la somma dei ricavi da
interessi netti e ricavi non da interessi), relativi alla fase pre-fusione.
La fusione è assunta per generare performance se i cambiamenti sui dati di bilancio sono superiori
ai cambiamenti di banche comparabili che non sono legate all’attività di fusione.
I risultati di questi studi sono misti: Cornett e Tehranian (1992) e Spindtand Tarhan (1992), hanno
evidenziato un incremento nella fase post-fusione, mentre Berger and Humphrey (1992), Berger
(1997) non hanno individuato lo stesso. Tuttavia, queste conclusioni miste non sono sorprendenti
date le numerose difficoltà associate a questi studi.
Soffermandosi sul ROE e sul cost/income dei gruppi bancari italiani è possibile trarre delle
considerazioni conclusive:
-
devono migliorare sensibilmente il proprio rapporto cost to incombe al fine di
incrementare ancora la redditività complessiva e raggiungere soglie di eccellenza sia in
ambito nazionale che internazionale;
129
Joel F. Houston, Christopher M. James, Michael D. Ryngaert, Where do merger gains come from? Bank mergers
from the perspective of insiders and outsiders, Journal of Financial Economics N.60 (2001)
-
il mercato è in grado di attribuire alle banche indagate una componente di capitale
invisibile, non contabilizzata in bilancio.130
Le differenti opzioni strategiche e in particolare le operazioni di acquisizione e fusione che, in
quest’ultimo periodo, stanno rappresentando un elemento di grande interesse per il mercato
bancario italiano.
Tabella 1. Dati Cost/Income ratio e ROE dei maggiori gruppi bancari italiani, anno 2005
ISTITUTO
COST/INCOME
RATIO
ROE
61,33
16,74
Capitalia
69,8
12,51
Unicredit
56,9
7,32
San Paolo IMI
58,43
16,45
Mps
67,92
12,06
Banca Intesa
Fonte: Stefano dell’Atti, Vincenzo Pacelli, Prezzo e valore nelle banche. Un’analisi
empirica nei principali gruppi bancari italiani, Banche e Banchieri N.6, 2006
La capitalizzazione degli istituti di credito è destinata a crescere in breve tempo, una volta
perfezionata la non semplice fase di integrazione fra le strutture operative delle due banche e una
volta ottimizzate le potenziali sinergie (come è accaduto a Unicredit a seguito dell’operazione di
integrazione con HVB).
Avendo impostato le basi della trattazione, si dovrà nelle pagine seguenti verificare l’applicabilità di
tali assunti al caso in esame manifestandone eventuale contrarietà attraverso la lettura dei dati a
disposizione propri del caso Banca IMI.
Tuttalpiù, si ribadisce ancora una volta l’impossibilità di effettuare uno studio completo delle
metodogie sopramenzionate, non avendo a disposizione gli strumenti e le specifiche conoscenze
L’ammontare complessivo del patrimonio netto non fornisce una stima esatta del valore dell’impresa del suo capitale
economico. I fattori produttivi, siano essi di natura tangibile o intangibile stima ovvero il frutto di un processo di
negoziazione. Previsione delle potenzialità reddituali e dei rischi della banca.
Il capitale economico di un’impresa identifica l’insieme organizzato di tutti i fattori, tangibili e intangibili, che ne
costituiscono il patrimonio, stimare il valore del capitale economico significa attribuire un valore all’impresa nella sua
unitarietà. (Si veda Stefano dell’Atti, Vincenzo Pacelli, Prezzo e valore nelle banche. Un’analisi empirica nei principali
gruppi bancari italiani, Banche e Banchieri N.6 (2006)).
130
proprie solo a chi opera quotidianamente nel settore; ma ci sofferma ad un’analisi di comparazione
dei ratios reddituali e di costo, ottenuti nelle due fasi pre/ante fusione.
4.2 Tesi a confronto
Gli scettici argomentano che i benefici da fusione sono spesso illusori, tuttavia, le fusioni bancarie
possono incrementare la dimensione degli istituti di credito e nel frattempo il prestigio.
Tali eventi potrebbero essere a livello societario indesiderabili perché potrebbero portare ad
inefficienze di costo, ed eccessivi rischi operativi. Una motivazione potrebbe essere la volontà delle
banche di aumentare la loro posizione competitiva attraverso il consolidamento del mercato
domestico.
Le fusioni sono considerate essere un importante valore nella formazione di sinergie operative.
La realizzazione di sinergie dipende dalla possibilità di effettuare economie di scala o di scopo. Se
queste economie esistono, un’espansione della dimensione della banca dovrebbe essere
accompagnata da un meno che propozionale incremento dei costi.
Conseguentemente, si potrebbe ipotizzare che fusioni tra piccole e medie dimensioni potrebbero
beneficiare di economie di scala. La realizzazione di economie di scala e di scopo richiede
l’effettiva integrazione degli istituti di credito post fusione.
Gli indicatori di performance consistono nel monitorare la profitability e l’efficienza operativa.
Le misure tradizionali della profitability vengono ad essere return on equity (ROE) e return on
assets (ROA). L’analisi sugli istituti europei di Vander Vennet [1994]131, viene a rilevare
significative economie di scala, definita in un periodo temporale di tre anni prima e dopo la fusione,
che permette di eliminare gli eventi inusuali nel tempo e approssimare il tutto ad una performance
di lungo termine. Per ogni anno vengono calcolati gli indicatori di performance, l’anno della fusione
rimane fuori dall’analisi, essendo considerato un periodo di transazione.
I test indicano che alcuni degli indici hanno una distribuzione statistica normale non significativa,
comunque questo risultato non è comune a tutti.
L’andamento del ROA pre fusione degli istituti che sembra avere una varianza di 0,70%, e un
valore medio di 13,2%. Il ROE sembra viaggiare attorno a una media di 18,8%.
La differenza tra la media pre e post fusione dell’efficienza e del valore del profitto non sono
significative, quindi non c’è un evidente miglioramento di entrambi da attività di fusione.
Tuttavia, c’è la possibilità di miglioramenti dell’efficienza dei costi ottenuta da operazioni di
integrazione, senza che nessun evidente sinergia sia stata provata.
131
Si veda Rudi Vander Vennet, The effect of mergers and acquisitions on the efficiency and profitability of EC credit
institutions, Journal of Banking & Finance 20 (1996).
Un ipotesi, è che le banche targets vengano ad avere la possibilità di espandere il loro business
verso nuovi prodotti, clienti e settori.
Nelle fusioni domestiche di maggiore rilievo, le banche target esibiscono un inferiore performance,
ma gli acquirenti non riescono a rimediare alla situazione. Questo tipo di takeover chiaramente
fallisce per inefficienza portata alle banche.
Acquisizioni domestiche non possono essere spiegate dalla teoria dell’efficienza, potrebbe essere
invece guidate da motivazioni di potere di mercato, come l’acquisizione da parte di una banca di
grande dimensione su una piccola con lo scopo di consolidare la sua posizione sul mercato locale.
La combinazione di banche nelle fusioni domestiche portano ad ampliare le opportunità di ridurre
costi ridondanti attraverso opportune sinergie.
Gli istituti di credito vengono ad avere nel primo periodo un deterioramento delle performance
rispetto a quelle ante della fusione.
La fusione costituisce un punto di svolta: sia il livello di efficienza operativa e di profitto vengono
ad avere un significativo impatto, ed economie di scala manageriali e operative ne sono la più
probabile spiegazione, con il risultato è che l’upgrading dell’efficienza non risulta incrementare i
profitti, almeno non nel breve periodo.
La letteratura suggerisce che esiste una relazione tra il miglioramento dell’efficienza e le fusioni
bancarie. Molti recenti analisi hanno evidenziato un inutilizzo delle economie di scala da parte di
grossi istituti, sia negli USA (Berger and Mester, 1997; Berger and Humphrey, 1997), che in
Europa (Allen e Rai, 1996; Molyneux, 1996; Vander Vennet, 2001).
Resti (1998) ha riportato che le M&A in Italia sono causa di un incremento del livello di efficienza,
specialmente nel caso di piccole banche con considerabili sovrapposizioni di mercato. Alcuni studi
dinamici hanno esaminato le conseguenze sull’efficineza post-fusione potrebbero essere previste ex
ante. Se le condizioni legate a una specifica M&A possono essere identificate in modo da fornire
dati sull’efficienza ex-post, ciò potrebbe giovare a favore dei policy makers per le loro valutazioni
di mercato. Un certo numero di studi viene a comparare i profitability ratios bancari, come il ROE o
il ROA prima e dopo la M&A rispetto ad istituti bancari non soggetti a fusioni. Sono stati definiti
dei miglioramenti nei profitability ratios associati a operazioni di M&A (Cornett and Tehranian,
1992), altri studi non hanno riscontrato alcun miglioramento (Piloff, 1996; Akhavein, 1997).
Vander Vennet ]1996]132, ha usato indici di profitto e di costo per esaminare gli effetti sulle
performance post takeovers di 492 banche europee nel periodo dal 1988 al 1993. Fusioni
domestiche son caratterizzate da assenza di miglioramenti di performance post fusione, tuttavia si
ha un obiettivo di performance inferiore rispetto a quello prima della fusione. Un problema nel dare
132
Tratto da H.P. Huizinga J.H.M. Nelissen R. Vander Vennet, Efficiency Effects of Bank Mergers and Acquisitions in
Europe, 2001.
delle conclusioni dallo studio delle profitability ratios è che queste incorporano sia i cambiamenti
nel potere di mercato che di efficienza operativa. La combinazione dell’effetto nei tre anni è
abbastanza positiva, ma non di grandezza staticamente significativa. Tuttavia il processo di fusione
potrebbe deteriorare la qualità.
Economie di scala vengono spesso additate come principale motivo dietro un’operazione di fusione.
M&A, non solo potrebbero portare benefici dal punto di vista dimensionale, ma anche dal desiderio
di migliorare il livello dei costi e dell’efficienza, di conseguenza, nuove economie di scala (alcuni
studi si sono diretti verso la ricerca dell’esistenza di efficienza (X-efficiency) nelle banche europee).
Il primo metodo nell’esaminare l’impatto del M&A per gli istituti di credito, è comparare il grado di
efficienza ante e post fusione dei soggetti in considerazione. La stima del livello di efficienza
potrebbe dipendere dal numero di banche incluse nell’analisi per verificare i miglioramenti
economici. Comunque, i risultati definiscono una serie di variazioni trasversali, come il
miglioramento dell’efficienza per alcuni e la diminuzione per altri.
Tabella 1. Merger e acquisition domestiche e non su scala gloabale.
Fonte: H.P. Huizinga J.H.M. Nelissen R. Vander Vennet, Efficiency Effects of Bank Mergers and Acquisitions in
Europe, 2001.
Concludendo, si deduce solo un parziale supporto all’ipotesi di efficienza dei costi, la quale
supporta la tesi di un incremento dell’efficienza dei costi da fusioni bancarie, rispetto alla situazione
stand alone.
Nei termini della metodogia impiegata, lo studio dell’analisi degli effetti sulle banche europee
rispetto a variazioni delle performance, tendono a seguire due principali metodi empirici: comparare
le performance, prima e dopo fusione, oppure seguire il event study system, legato all’andamento
dei mercati finanziari.
Datta (1991), Chaterjee (1992), e Ramaswamy (1997), hanno studiato la situazione del settore
bancario, attraverso una varietà di indicatori finanziari per definire le strategie future delle banche
nei mercati domestici ed esteri all’interno della Comunità Europea. Questi indicatori includono
misure di performance finanziarie: strutture degli asset/debt, struttura del capitale, liquidità,
esposizione al rischio, profittabilità, innovazione finanziaria ed efficienza. Come variabile
dipendente, si misurano i cambiamenti di performance, legati allo scarto differenziale tra i due anni
ante/post fusione, del valore del ROE133. Si viene a considerare una finestra temporale di due anni
per tre ragioni principali: difficoltà nell’individuare l’impatto della singola fusione sui conti della
banca; nel lungo periodo gli effetti delle altre economie potrebbero portare a distorcere i risultati;
considerando periodi temporali lunghi la situazione viene ad essere maggiormente accentuata nel
caso delle fusioni internazionali. Quando la consolidazione domestica ha preso posto, le economie
di costo che derivano da fattori, quali i tagli delle strutture doppione e della divisione tecnologica,
sono più facili da ottenere.
Una strategia di controllo dei costi, che mostra un’enfasi nella minimizzazione dei costi per
relazionare i ricavi al reddito, è misurata dall’indice cost/income (C/I).
Le imprese caratterizzate da strategie diverse di controllo dei costi, comunque, potrebbero mostrare
una caduta nella performance se si optasse per la fusione (si veda Prahalad e Bettis, 1986, e
Altunbas, 1997). Come conseguenza, l’indice di cost/income si crede essere negativamente
correlato con l’indice di performance complessiva (ROE). Altri affermano che questo tipo di
relazione potrebbe essere non significativa nel lungo periodo, se un’efficienza di costo portasse ad
implementare la strategia di low cost estesa sull’impresa fusa.134
Una particolare valutazione reddituale è basata sulla ROE regression che mette in relazione l’andamento del
Price/Book Value ratio e il ROE di un campione di aziende quotate, sulla base della correlazione positiva che
normalmente intercorre fra il valore di quotazione delle investment banks e la redditività del patrimonio netto, espressa
dal rapporto tra reddito netto e patrimonio netto.
Per la valutazione delle Investment Banks polifunzionali: nel caso in cui la società da valutare sia multibusiness, si
ritiene più corretto misurare il valore aziendale di ogni singola Strategic Business Unit, ricostruendo il valore
complessivo per “somma delle parti”. Anche nelle delicate e mutevoli fattispecie di applicazione dei principi contabili
internazionali, emerge una necessità di valutare l’investment bank almeno con cadenza annuale, indipendentemente
dall’esistenza o meno di passaggi che ne interessino la proprietà. (Roberto Moro Visconti, Davide Rizzi, La valutazione
delle investiment banks: modelli di business e value drivers, Banche e Banchieri N.3 (2006))
134
Nel caso di un impatto positivo delle fusioni sulle performance delle banche coinvolte, ci si deve aspettare un
impatto negativo dal punto di vista del cost/income ratio e un positivo impatto contrapposto da parte del ROE. Ciò è
stato rilevato usando un unico database consistente di un report annuale di più di 800 banche austriache in un arco
temporale dal 1996 al 2002. (Studio a cura di Peter Egger, Franz R. Hahn, Endogenous Bank Mergers and Their Impact
on Banking Performance, WIFO Working Papers, No. 271 March 2006).
133
I risultati dall’analisi descrittiva mostrano che la figura statistica complessiva è più ampia,
generalmente banche più efficienti si fondono con banche più piccole, caratterizzate da minor
capitalizzazione ma maggior diversificazione delle risorse.
Fonte: Yener Altunbas e D. Marquès Ibáñe, Mergers and acuisitions and bank performance in Europe: The
role of strategic similarities, Working paper series N.398, ottobre 2004
Queste osservazioni non sono comunque sufficienti per concludere che i processi di aggregazione,
verificatisi nell’ultimo ventennio, abbiano causato aumenti complessivi di efficienza nei sistemi
bancari dei paesi coinvolti. La razionalità di tali processi pare, piuttosto, da ascriversi alla
progressiva unificazione dei mercati finanziari europei e statunitensi e alla conseguente reazione dei
singoli operatori a difesa dei loro spazi di competitività.
4.3 Lo studio finale
Nell’analisi seguente sono stati presi in considerazione alcuni indici reddituali, quali il ROE, ROI, e
ROA, dei quali ci si è soffermati lungamente nella prima parte dell’elaborato a descriverne
significatività, modalità operativa, consistenza; e due ratios legati all’efficienza dei costi, quali il
cost income ratio e il rapporto commissioni nette su margine d’intermediazione.
Attraverso lo studio dei bilanci e delle relazioni semestrali nell’arco temporale 1999-2008, sono
stati calcolati i valori di tali indicatori corrispondenti alle singole società preesistenti alla fusione
(dal 1999 al 2006), quali Banca IMI, facente parte del Gruppo San Paolo, e Banca Caboto, facente
capo a Banca Intesa, e quelli della nuova entità post merger event, nominata, cercando di
preservarne la visibilità, Banca IMI.
Si pone l’obbligo di visualizzare la consistenza nello specifico delle due entità ante fusione, per
poter, in seguito, attraverso la letteratura empirica, inquadrare la fusione in riferimento, all’interno
di schemi precedentemente stabiliti e definiti.
Soffermandosi, quindi, sulla struttura patrimoniale delle due società ante fusione, viene ad emergere
un patrimonio netto per Banca IMI (before merger), pressoché costante, non influenzato da
ricapitalizzazioni nell’arco temporale di riferimento (con un capitale sociale impostato sul valore di
180 milioni di euro), e con le maggiori variazioni legate alle oscillazioni delle riserve (ordinarie e
straordinarie), che lo portano a toccare il valore massimo (di oltre 600 milioni di euro), nella
Relazione Semestrale del 30 giugno 2007.
Passando ora al valore del patrimonio di Banca Caboto, salta subito in evidenza un andamento di
notevole crescita dello stesso. Nei primi anni (1999-2000), si viene ad avere un leggero scostamento
incrementativo del capitale sociale, che sembra assestarsi su tali valori fino al 2002; quando
l’istituto è oggetto ad una forte ricapitalizzazione, legata ad una fase di ristrutturazione di Caboto
SIM (diverrà Banca Caboto il primo gennaio del 2004), che porterà a triplicarne il valore.
Un continuo crescente accantonamento a riserve, dell’utile conseguito, ha creato un valore
patrimoniale da Relazione Semestrale del 30 giugno 2007, di circa 900 milioni di euro.
Da questo preliminare confronto, si può senza ombra di dubbio, definire una supremazia
patrimoniale da parte di Banca Caboto, e quindi identificarla come acquirente nell’operazione di
merger, rispetto al ruolo di società target prefissato per Banca IMI (pre-fusione).135
135
I dati di carattere contabile sono riportati dai, Bilanci di esercizio annuali e semestrali per Banca Caboto dal 1999 al
2006, Bilanci di esercizio annuali, semestrali per Banca IMI dal 1999 al 2008.
Tuttavia, visualizzando il conto economico di entrambe, ci si sofferma sull’ultima, sicuramente non
per importanza, delle sue voci, l’utile netto che è caratterizzato da una prevalenza costante, fin
dall’anno d’inizio della seguente ricerca, del risultato della struttura sanpaolina, avendo, tuttavia,
nel 2002 (anno della ricapitalizzazione per Banca Caboto), un netto decremento del differenziale
esistente. Nel periodo ante fusione, si viene ad avere un utile netto per Banca Caboto, da Relazione
Semestrale del 30/06/2007, di circa 50 milioni di euro, rispetto ai circa 75 di Banca IMI.
Tab.1. Analisi comparata dei quozienti reddituali e di efficienza ante/post fusione 136
Banca IMI
BILANCIO
(1)
31/12/1999
31/12/2000
31/12/2001
31/12/2002
31/12/2003
30/06/2004
31/12/2004
30/06/2005
31/12/2005
30/06/2006
31/12/2006
30/06/2007
ROE
18,5
13,88
-3,37
0,42
14,41
17,2
15,58
11,1
32,7
14,6
13,29
10,3
ROI
1,2
0,8
2,04
2,31
0,42
0,46
0,2
0,56
1,15
1,13
1,06
0,83
Banca Caboto
ROA
0,48
0,4
-0,04
-0,02
0,4
0,14
0,18
0,16
0,35
0,4
0,58
0,34
C/I Com/Mar
52,44
47,56
63,14
36,86
81,45
50,48
79,81
10,65
55,78
45,62
67,85
18,58
68,66
20,52
58,1
21,6
57,4
28,5
41,8
12,3
51,3
22,29
41,2
18,48
(2)
ROE
33,86
10,28
2,53
5,07
18,8
11,7
11,7
6,1
8,9
7,5
10,2
11
ROI
2,89
1,57
1,56
4,77
1,03
0,68
0,96
0,47
1,33
0,72
1,48
0,65
ROA
0,86
0,21
0,04
0,19
0,27
0,12
0,03
0,11
0,18
0,14
0,32
0,2
C/I
Com/Mar
34,28
49,12
66,86
71,56
78,7
40,52
75,26
19,85
43,9
10,08
67,8
22,5
91,9
22,5
64,5
34,5
75,8
34,4
63,9
28,5
61,1
22,7
48,8
20,6
Banca IMI (3)
BILANCIO
ROE
ROI
ROA
C/I
Com/Mar
31/12/2006(4)
30/06/2007(4)
13,4
1,7
0,45
54,7
22,2
14,2
0,98
0,28
48,7
19,1
31/12/2007
14,1
1,94
0,56
48,9
17,7
30/06/2008
17,8
0,87
0,33
37,9
16,7
I dati riportati al 30 giugno sono stati, per
maggiore comparabilità, annualizzati.
(2) Viene ad indicare il ratio composto al
numeratore da commissione nette e al
denominatore dal margine d’intermediazione.
(3) Ci si riferisce alla nuova Banca IMI,
istituto creatosi dopo la fusione.
(4) Sono riportati sui bilanci ufficiali con lo
scopo di aver un maggiore margine di
comparabilità dei dati..
(1)
Non dilungandosi oltre, nel verificare l’andamento di ulteriori singole voci di bilancio, avendo a
disposizione degli indici di bilancio di maggior rilievo e definizione, ci si sofferma, brevemente, nel
riportare i valori (appena presi in considerazione per acquirente e target) della nuova entità, forniti
dalla Relazione Semestrale 30 giugno 2008: un risultato netto di circa 150 mila euro, e un
I dati riportati nella Tabella 1, sono stati inseriti attraverso un sistema di approssimazione con l’unico scopo di
semplificare, al lettore, la visibilità della griglia, ed avere una maggiore confrontabilità con i valori riportati da
Relazioni annuali della Banca d’Italia. E’ stato ritenuto opportuno reinserire in appendice la tabella con approssimazioni
dati alla terza cifra decimale (utilizzati nei test conclusivi di carattere statico).
136
patrimonio netto di un milione e seicento mila euro. Entrambi sopportano la tesi della creazione di
un’entità di notevole portata, che viene ad inserirsi tra i maggiori competitors del mercato corporate
e investiment banking europeo137.
Avendo definito il quadro operativo generale, ci si sofferma sui dati ottenuti dalle singole unità
sotto osservazione per verificarne l’evoluzione sotto il profilo reddituale e di efficienza attraverso
un’indagine comparata di tipo dinamico sostenuta dai quozienti sopramenzionati.
Le prime riflessioni sui dati calcolati, vengono ad essere rivolte al quoziente di redditività dei mezzi
propri, il ROE, indice del grado di capacità dell’impresa di reperire sul mercato nuove risorse.
Non potendo effettuare un’analisi completa dei valori del ROE definiti nella Tabella 1, la quale
sarebbe stata opportuna nel verificare l’esistenza del ‘premio al rischio’138, attraverso lo
scostamento su base annua dal rendimento dell’investimento free risk, e definire, quindi,
l’attrattibilità dell’impresa sul mercato verso nuovi potenziali investitori, si è cercato di sopperire
alla maggiore
Tabella 2. Dati ROE banche italiane 1994-2002
Fonte: Relazione annuale Banca d’Italia (2003)
deficienza di questo quoziente reddituale (considerato essere obiettivo aziendale primario), definita
come mancanza di analiticità nel diversificare la gestione caratteristica da accadimenti di carattere
Come si è potuto appurare attraverso lo studio dei primi capitoli dell’elaborato.
Per maggiori dettagli sulla materia si veda, Frizzera B., Bilancio riclassificato e analisi per indici e flussi, Il Sole 24
ore, 2005.
137
138
estemporaneo e/o occasionale, attraverso l’affiancamento di ratios costitutivi (come il ROA),
secondo i principi dell’indagine parametrica139.
E’ stato ritenuto opportuno non entrare nel merito, riportando taluni fattori di carattere endogeno e/o
esogeni, avendone già ribadito l’importanza nei capitoli precedenti, cercando invece di focalizzarsi
esclusivamente sul merger event, come chiave di lettura del processo di comparazione tra i valori
ante/post fusione.
Iniziando ad analizzare i valori di Banca IMI per l’indice in riferimento (ROE), si nota un
andamento non del tutto in linea con i valori medi di settore, caratterizzato da un ratio, alla fine
degli anni novanta, maggiore rispetto alla media di quasi una decina di punti percentuali, e da un
capovolgimento dello stesso nel biennio 2001-2002, a causa di perdite d’esercizio in conto
economico.
Gli anni successivi sono definiti da una modesta positività del quoziente, in linea con la crescita del
mercato, legato a scostamenti annui che vengono a produrre un andamento oscillatorio e instabile,
non definendone, quindi, un trend preciso.
Anche i dati del ROE di Banca Caboto sembrano soffrire delle stesse problematiche. Dopo l’esploit
del 1999, dovuto ad una ridotta capitalizzazione, alla quale verrà fatto fronte nell’esercizio
successivo, una variabilità altalenante, viene a prendere la scena, con valori che raramente riescono
a superare la soglia del dieci per cento.
Paragonando i valori del ROE dei due soggetti, si individua un differenziale positivo, marcato negli
anni, a favore di Banca IMI (pre fusione), legato a un maggior livello di utile netto conseguito negli
esercizi in esame, ed ad una minor patrimonializzazione.
L’entità venutasi a creare, ha contribuito a favore di una stabilizzazione della redditualità dei mezzi
propri negli anni successivi alla fusione, incanalandone i valori verso un trend di costante rialzo.
Oltre a questi fattori di comune benessere per entrambe le società, ci si pone l’obbligo di
sottolineare un incremento dell’indice di diversi punti percentuali rispetto alla situazione stand
alone di Banca Caboto, non riportando alcun scostamento di rilievo per l’altra parte.
Il quoziente di redditività dell’investimento complessivo aziendale, per una maggiore
identificazione valorizzativa, viene comparato, su scala annua, con il rispettivo tasso medio degli
interessi su capitale di terzi, in maniera tale da poterne verificare la sostenibilità influitiva sul return
on equità. Tale analisi, in questo contesto, porterebbe, esclusivamente, a deviare il percorso
operativo fino a questo punto sostenuto, contrastando la condizione prefissata inizialmente, di
estraneità, nell’elaborazione dei dati, dal contesto esogeno.
139
Partendo dal presupposto di ottenimento del ROE dalla combinazione di tre elementi discostanti, quali il ROA, il
tasso indebitamento e un peso proporzionale, si viene a verificare la reale incidenza sulla gestione caratteristica.
Per Caboto, il ROI risulta essere, nei primi anni140, su valori di livello elevato, successivo è il
ridimensionamento, degli stessi, su margini attinenti all’unità, caratterizzato dalla variabilità di
trend verificatasi con il precedente indicatore di reddito. Per l’istituto di dominanza torinese141,
l’andamento del ratio viene ad essere caratterizzato da una variabilità conforme a quella non appena
definita, con scostamenti percentuali, tuttavia, meno rilevanti.
Correlato e dall’andamento similare, per entrambe le imprese pre fusione, risulta essere un altro
quoziente reddituali: sotto l’acronimo di ROA, indica l’efficienza nella gestione del capitale da
parte dell’impresa, definendone la capacità di creare profitto dall’investimento.
I due indicatori sono correlati da un’equazione che permette di identificare l’influenza della
gestione caratteristica (definita dal ROI), rispetto a quella patrimoniale e finanziaria, fornendo
indicazione utile per monitorare l’andamento della redditività operativa aziendale.142
Consequenzialmente alla fusione, si viene a verificare una comune stabilità di tendenza a rialzo per
il ROI, come si è stato descritto per il ROE, ed un contrastante risultato per l’andamento del ROA.
Mentre per Caboto si ripercuote l’effetto ‘tendenza a rialzo’, per Banca IMI, si viene a sottolineare
un calo dell’indice in oggetto, dovuto probabilmente a negatività della gestione finanziaria e
patrimoniale143 (molto probamente dovuta alla costituzione della new entità, ed assorbibile nel
medio periodo).
Dopo questo scursus sugli indicatori di redditualità, si pone l’obbligo di affrontare i parametri di
efficienza, che ne definiscono i tassi d’incidenza dei costi sulla struttura economica dell’azienda.
Due indici di costo vengono ad essere inquadrati nello studio effettuato: il cost/income ratio, e
l’indice commissioni nette su margine d’intermediazione144. L’andamento di entrambi risulta essere
relazionabile alla redditività netta del capitale proprio, la cui volatilità ne viene ad essere
imputabile, almeno in parte. Un modesto livello di return on equity, osservato, potrebbe, infatti,
essere parzialmente riconducibile ad elevati costi operativi interbancari.
L’indice di misurazione dell’efficienza della gestione bancaria, indicato con la locuzione di
cost/income ratio, sembra per entrambe venire ad avere un significativo ridimensionamento
140
Da questo momento, con tale locuzione si intende riferirsi ai primi anni dello studio in essere, dal 1999 al 2002.
Ci si riferisce, naturalmente, a Banca IMI (nella fase pre-fusione), appartenente al Gruppo San Paolo avente sede
fiscale/amministrativa a Torino.
142
Si consiglia, per una maggiore comprensione delle rilevazioni riportate, Mei G.O., Analisi di bilancio e sistemi di
rapporti, [cap.3 Rapporti di efficienza economica, cap.4 La scomposizione dei rapporti: la ricerca delle cause di
variazione], Ed. Goliardiche, 1990.
143
Essendo il ROI, dello stesso esercizio, in crescita rispetto ai valori precedenti, il decremento del return on asset,
viene ad essere imputabile ad una non corretta gestione finanziaria/patrimoniale, di tale consistenza da assorbirne la
positività della gestione caratteristica.
144
Il primo indicato con C/I, il secondo con Com/Mar, come da valori riportati in Tabella 1.
141
successivamente l’anno 2004, diminuendo di circa più di una decina di punti percentuali,
assestandosi sui valori medi di settore145.
Il merger event viene a creare una situazione, di risultato, contrapposta tra le due banche iniziali,
con Caboto che beneficia di un notevole decremento dell’indice, non comune a IMI, che ne subisce
un innalzamento, anche se solamente temporaneo, a suo svantaggio.
L’ultimo indicatore, dell’analisi in essere, misura quanto un istituto sia esposto all’andamento dello
spread d’interesse e dei volumi d’intermediazione, indicandone la percentuale dei ricavi rispetto la
totalità dell’operatività bancaria. L’andamento sembra riproporre quello dell’indice di costo
precedente, in entrambe le fasi, con valori, nella fase pre fusione, per entrambi gli istituti di entità
similare, e un successivo (nel post fusione) ridimensionamento graduale degli stessi.
Si pone l’obbligo di riassumere l’analisi dei dati elaborati, fin qui delineata, con lo scopo di rendere,
i risultati conseguiti, maggiormente comprensibili, e idonei alla corretta applicazione e
strumentalizzazione che seguirà nello studio. Per entrambi gli istituti, i tre indici reddituali riportano
dei valori, caratterizzati da variazioni di non uniforme valenza e consistenza negli anni, sottostanti
rispetto ai margini raggiunti da Banca IMI, conseguentemente la fusione. Eccezione viene a
rilevarsi per il valore del ROA di IMI (pre fusione), che risulta subire una svalutazione rispetto alle
percentuali della nuova struttura. Se non l’incremento dei quozienti, appena rilevato essere parziale
per gli indici sotto studio, sine die la stabilità del trend sembra essere fattore di valenza totalitaria
nella fase post fusione.
Il ridimensionamento, attraverso un decremento graduale, degli indicatori di efficienza riportati, si
allinea con le risultanze precedenti nel rilevare la positività dovuta alla fusione delle due entità.
Se si dovessero trarre delle conclusioni da quest’analisi, si potrebbe definire la fusione, tra Banca
IMI e Banca Caboto, un evento positivo per entrambe, caratterizzato da rivalutazioni sotto il profilo
reddituale e di efficienza dei costi.
Una maggiore valenza nella comparazione dei risultati, tuttavia, sembra essere riportata da Caboto,
la quale viene a beneficiare pienamente del nuovo contesto creatosi, riportando nei valori degli
indici calcolati dei notevoli margini di miglioramento.
La fase seguente, non si pone lo scopo di verificare empiricamente, attraverso l’analisi
econometrica, la validità dei risultati fin qui esposti, e nemmeno la presunzione di confutare
eventuali antitesi poste dalla letteratura accademica.
Si vuole, invece, cercare di indicare una direzione di studio attraverso la quale possano essere
sviluppate teorie e applicazioni idonee a incrementare le conoscenze specifiche della
materia.L’approccio utilizzato, viene ad essere di tipo statistico-econometrico, attraverso lo
145
Si veda Tabella 1, Andamento del cost/income ratio in alcuni Paesi del Nord Europa, Fonte: DanskeBank dati al
Settembre 2008, da capitolo precedente.
sviluppo della variabile casuale definita t di Student146, la quale permette, mediante uno studio, di
confrontare tra loro due situazioni diverse, tramite la stessa variabile condizionata da un evento.
Tab.3 Analisi statistico-econometrica per verifica significatività attraverso t di Student
Banca IMI
ROE
ROI
ROA
C/I
Com/Mar
Dataste
1
2
1
2
1
2
1
2
1
2
Numerosità campione
12
4
12
4
12
4
12
4
12
4
Media
13,634
14,875
1,0133
1,3725
0,2808
0,405
59,911
47,55
26,537
18,93
Dev. Standard
9,0867
1,9822
0,6331
0,5278
0,195
0,126
12,95
7,009
15,323
2,395
T
Gradi di libertà
0,2651
1,0164
1,1796
1,7948
0,9674
14
14
14
14
14
P (livello di significatività)
0,7948
0,3267
0,2578
0,0943
0,3497
ROE
ROI
ROA
C/I
Com/Mar
Banca Caboto
Dataste
1
2
1
2
1
2
1
2
1
2
Numerosità campione
12
4
12
4
12
4
12
4
12
4
8,6483
14,875
1,5092
1,3725
0,1508
0,405
64,4
47,55
31,403
18,93
4,91
1,9822
1,215
0,5278
0,097
0,126
15,978
7,009
16,448
2,395
Media
Dev. Standard
T
Gradi di libertà
P (livello di significatività)
2,4247
0,2143
4,2418
2,0086
1,4781
14
14
14
14
14
0,0294
0,8334
0,0008
0,0643
0,1615
E’ stata calcolata dal matematico inglese Gosset, che la pubblicò sotto lo pseudonimo di Student. Si tratta di una
famiglia di distribuzioni, a seconda del numero di gradi di libertà, che vale GdL = N-1, dove N è il numero di
osservazioni del campione.La distribuzione t di Student: con Z ed Y due variabili casuali indipendenti, con
146
Z  N 0,1 ed Y   n2 , dove con N 0,1 indichiamo la distribuzione normale standardizzata:
tn 
Z .
Y
n
La variabile casuale tn è chiamata variabile casuale t di Student con n gradi di libertà.
E’ importante ricordare che il parametro t è applicabile solo se è valido l’assunto che le varianze delle due popolazioni
siano uguali (principio di omoscedasticità delle varianze).
Se la varianza della popolazione non è nota la verifica d'ipotesi sulla media della popolazione si effettua sostituendo alla
varianza di universo la sua stima ottenuta a partire dallo stimatore varianza corretta del campione:
In questo modo la statistica test è:
la cui distribuzione è quella della T di Student con n-1 gdl. Per calcolare i limiti fiduciali della media, quindi, dobbiamo
valutare le tavole della distribuzione t di Student..
Quando la numerosità N (numero di misure/eventi) è minore di 30 è obbligatorio usare la variabile di Student.
Non entrando ulteriormente nel dettaglio della struttura applicativa di questa variabile, non essendo
in linea con gli obiettivi del seguente elaborato, ci sofferma nel definire, non approfonditamente, le
modalità operative per l’ottenimento delle risultanze in seguito espresse, con lo scopo di esulare dal
riportarne una mera elencazione.
Attraverso il calcolo della t di Student si viene a definire la significatività legata a un certo
accadimento rispetto alla situazione iniziale/neutra, in altri termini, se l’evento ha avuto valenza
influente sul contesto nel quale è stato applicato.147
I dati utilizzati in questo studio statistico sono esclusivamente attinti dalla Tab.1: i valori riportati
per gli indici ROE, ROI, ROA, C/I e Com/Mar, nel range temporale dall’anno 1999 al 2006 per
Banca IMI e Banca Caboto, dal 2006 a oggi per Banca IMI post fusione.
Viene ad essere opportuno soffermarsi sulla numerosità del campione osservato, che ha impedito
nella fase iniziale del lavoro di poter optare per l’utilizzo di strumenti di verifica empirica di
maggiore complessità. Di essenziale importanza, nello studio delle serie storiche, per definirne una
corretta interpretazione, risulta essere l’elevata disponibilità di dati.
Nel caso riportato, i dati a disposizione per i due istituti bancari nella fase che anticipa la fusione,
non vengono ad essere in numero elevato, ma si mantengono sull’ordine di una dozzina, in
tendenza, secondo il principio di corretta rapportabilità, con il ridotto quantitativo di valori post
merger. Una troppo ristretta distanza temporale a oggi, dal merger event, non permette di poter
accedere a un congruo campione di dati148, ed implica il dover ridurre la quantità del periodo
precedente, per ponderarne l’effetto sul valore finale.
Sono stati calcolati, come si può vedere da Tab.3, i test statistici per ognuno degli indici di entrambe
le banche iniziali, per verificarne la significatività rispetto ai dati a disposizione ottenuti dalla nuova
Banca IMI; cioè, si cerca di analizzare se la t-test, possa avvalorare le tesi definite,
precedentemente, attraverso il confronto prospettico degli indicatori di bilancio.
Una volta effettuato il calcolo del valore della variabile casuale t di Student149, per ogni indice
reddituale e di efficienza (ottenuto rapportando i valori per ognuna delle due entità iniziali a quelli
della new bank), si va a raffrontarla, in base al grado di libertà e al livello di significatività
prefissato, al valore critico150 stabilito.
147
La significatività studiata in questa tabella, si riferisce esclusivamente alla differenza delle medie sia per probabilità
del 5% (p<0.05), che del 1%(p<0.01). Per uno studio più dettagliato sull’argomento, Johnston J., Angeli F.,
Econometrica, , Milano 1996, e/o Baltagi B.H., Econometrics, 2006.
148
Uno degli scopi dell’elaborato: invitare a successive revisioni dell’elaborato, potendo disporre di una incrementale
numerosità di dati negli anni.
149
Vedasi in riferimento, Bagliano F.C., Benfratello L., Sembenelli A., Appunti di Econometria, Università di Torino
2006.
150
Vedasi Tabella 10, Valori critici della t di Student, in Appendice.
Le elaborazioni di calcolo per definire i t-test, che sono venute ad essere dieci, essendo due le entità,
Banca IMI e Banca Caboto, e cinque gli indici di riferimento, sono caratterizzate ugualmente da
quattordici gradi di libertà, e sono state verificate sia nel caso di un livello di significatività con
probabilità pari al 5%, che per 1%.
I valori dei t-test ottenuti per Banca IMI, definiscono una mancanza di significatività sia per gli
indici di reddito che di efficienza, in altri termini, le variazioni verificatesi attraverso l’attività di
fusione sembrano non essere indicative e avere carattere casuale per lo stesso istituto nel passaggio
pre/dopo fusione.
Per Banca Caboto si viene a definire una situazione dai differenti aspetti: se per alcuni indici, quali
il ROI, il C/I e il Com/Mar, il risultato viene ad essere sullo stesso piano di IMI; si ottengono dei
dati interessanti per ROE e ROA, i quali risultano essere significativi al t-test.
La significatività per il ROE risulta essere presente solamente per una probabilità del 5% (livello
significatività p<0.05), e non per 1%. Ciò significa che per una probabilità inferiore al 5% (ma non
all'1%), la differenza di accrescimento del ROE da post merger sia dovuta al caso.
La significatività nel calcolo del t-test per gli scostamenti del valore del ROA, risulta essere
presente, invece, in entrambe le percentuali di probabilità, definendo altamente significativi i
miglioramenti ottenuti dalla fusione.
Mentre per Banca IMI, il t-test non viene a riportare significatività legata all’attività di fusione,
riportando a fattori casuali le eventuali migliorie degli indici, per Banca Caboto, il t-test viene a
fornire una significatività relativa, circoscritta esclusivamente ad alcuni indici reddituali
(significatività per entrambi i livelli di probabilità per il ROA, solamente per il livello di p<0.05 per
il ROE), che ne confermano la positività garantita dal merger event.
Concludendo, la fusione delle due banche, affrontata attraverso lo studio di comparazione degli
indici reddituali e di efficienza di costo, viene a portare per le due entità preesistenti un plusvalore
derivato: da crescita dei quozienti reddituali e decremento dei tassi d’incidenza dei costi, e da
stabilità e costanza del trend di fondo degli stessi. Cercando di verificare attraverso un test
statistico, il legame della positività dei risultati ottenuti con il fattore fusione, si è scelto di optare
per il t-test, il quale viene a riportare una significatività parziale, circoscritta a solo alcuni indici
reddituali esclusivi di Banca Caboto.
La verifica statistica effettuata, che avvalora in parte la nostra ipotesi iniziale, non vuole avere un
carattere definitorio, ma porre la base per futuri studi empirici con lo scopo di confermare, o
nell’eventualità, confutare, le tesi apportate, predisponendo di un numero di dati crescente
proporzionalmente al numero di anni passati.