La decorrenza del termine di prescrizione nella responsabilità da

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Studio Legale Spagnolo
ASSOCIAZIONE TRA PROFESSIONISTI
LA DECORRENZA DEL TERMINE DI PRESCRIZIONE
NELLA RESPONSABILITA’ DA FATTO ILLECITO.
(Brevi note a margine di Cass. Civ., sez. II, 28 gennaio 2004, n. 1547)
A cura degli avv. ti Santo Spagnolo e Pietro Recupero
CASSAZIONE CIVILE
SEZIONE II
28 GENNAIO 2004 N. 1547
“Una corretta applicazione del combinato disposto degli artt.
2935 e 2946 c.c. non consente nel caso del danno da
responsabilità contrattuale di procrastinare il dies a quo di
decorrenza della prescrizione decennale, rispetto al momento
in cui il diritto può essere fatto valere, se non nelle ipotesi di
impedimento legale al detto esercizio e non anche, salve le
eccezioni espressamente stabilite dalla legge o regolate con
gli istituti della sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi di
impedimento di fatto al qual genere va ricondotta l’ignoranza
del titolare, colpevole o meno che essa sia, salvo derivi da un
comportamento doloso della controparte come desumibile
dalla ratio dell’art. 2941, n. 8 c.c.”.
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Svolgimento del processo
Con atto di citazione 8.05.1996, O. B. e S. F. – premesso che il B. era stato sottoposto nel 1971
e nel 1983 a distinti interventi chirurgici per l’asportazione di cisti nell’epididimo del testicolo
destro in esito ai quali il flusso degli spermatozoi era rimasto interrotto; che ad analogo
intervento sul testicolo sinistro il B. era stato sottoposto nel 1985 ad opera di F. C.; che anche
tale intervento aveva provocato, a sua volta, l’interruzione del flusso degli spermatozoi
dall’interessato testicolo; che al B. era rimasta così preclusa la capacità di procreare; che
l’ultimo intervento era stato effettuato senza previo accertamento degli effetti interruttivi dei
precedenti interventi sul flusso degli spermatozoi, senza ricorso alla pratica dell’aspirazione in
luogo di quella dell’asportazione, senza la necessaria informazione al paziente dei rischi ai quali
sarebbe andato incontro; che con tale comportamento il professionista aveva leso il loro diritto
all’integrità psico – fisica, alla procreazione e alla serenità familiare – convenivano in giudizio
F. C. innanzi al tribunale di Palermo onde sentirlo condannare a risarcirli dei danni subiti.
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Costituendosi F. C. chiedeva rigettarsi la domanda eccependo in via preliminare l’intervenuta
prescrizione del diritto al risarcimento ex adverso azionato e, nel merito, l’insussistenza della
colpa professionale addebitatagli.
Chiamata in giudizio dal C. per essere tenuto indenne dalle avverse pretese in virtù del contratto
di assicurazione si costituiva la U. s.p.a. eccependo anch’essa la prescrizione e comunque
l’infondatezza della pretesa attorea.
Con sentenza 10.03.1999, l’adito Tribunale – ritenuto che gli attori avessero fatto valere una
responsabilità della controparte per inesatto adempimento nell’esecuzione di uno specifico
contratto di prestazione d’opera professionale; che, in tale ipotesi, dovesse trovare applicazione
il termine ordinario decennale di prescrizione; che, eseguitosi l’intervento il 14.05.1985, tale
termine era già scaduto all’epoca del primo atto di costituzione in mora, risalente al 15.02.1996;
che, nella specie, non potesse ravvisarsi una diversa decorrenza, in particolare a far tempo dagli
accertamenti diagnostici eseguiti ne novembre del 1994, pur stante la natura occulta della
lesione sostenuta dagli attori; che, infatti, non si erano verificati né un’obiettivizzazione
successiva né un aggravamento obiettivante della lesione né una modificazione dell’evento
lesivo o delle sue conseguenze ma solo era mutato nel tempo l’interesse dello stesso B
all’accertamento della propria fertilità; che, pertanto, atteso il quadro clinico complessivo il B
avrebbe potuto acquisire tempestiva conoscenza della lesione facendo eseguire in epoca
precedente, secondo un criterio di ordinaria diligenza, i medesimi esami clinici con i quali era
stata tardivamente accertata la situazione dedotta in giudizio – in accoglimento dell’eccezione
preliminare di prescrizione, rigettava la domanda.
Avverso tale decisione O. B. e S. F. proponevano gravame cui resistevano F. C. e la U.
eccependo anche il difetto di titolarità attiva del rapporto in capo alla F in quanto non ancora
coniugata con il B all’epoca del preteso illecito.
Decidendo con sentenza non definitiva
17.07.2000 sulle sole questioni preliminari della
prescrizione e della titolarità della rapporto in capo al F. , la Corte d’Appello di Palermo –
ritenuto che gli attori non avessero inteso escludere con gli atti introduttivi del primo e del
secondo grado di giudizio l’esercizio dell’azione extra - contrattuale unitamente a quella
contrattuale e che il concorso di entrambe fosse ammissibile, essendosi dedotto un medesimo
fatto lesivo, ad un tempo, di uno specifico vinculum iuris e del generale precetto neminem
laedere; che, venuta meno una delle due azioni per ragioni ad essa relative, come la
prescrizione, fosse rimasta, tuttavia, ferma l’altra, fondata sui medesimi presupposti di fatto e
parimenti intesa al risarcimento del danno, soggetta al distinto termine di prescrizione ad essa
proprio; che l’insorgenza del credito per danno da fatto illecito ex art. 2947 c.c. possa anche
coincidere temporalmente non con l’azione lesiva ma con la manifestazione esteriore delle sue
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conseguenze, dalla quale, pertanto, decorre il termine di prescrizione; che, nella specie, tale
manifestazione potesse essere ravvisata solo negli accertamenti clinici fatti eseguire nel
novembre del 1994 dal B. cui nessuna negligenza poteva essere imputata, essendo la lesione
occulta e non ipotizzabile, atteso il mantenimento della normale capacità sessuale; che la
titolarità attiva della rapporto in capo alla F. non potesse essere negata, essendo pacifica la
risarcibilità della lesione dei diritti riflessi eziologicamente legata al fatto illecito – accoglieva in
parte qua il gravame e con separata ordinanza disponeva la prosecuzione del giudizio.
Avverso tale decisione proponevano distinti ricorsi per cassazione il C e la U.
Resistevano con controricorso il B. e la F.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Si duole il C con il primo motivo – denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2935,
2043, 2947, 2697 c.c. nonché omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione – che la Corte
territoriale, recependo l’opinione giurisprudenziale per la quale, in caso di danno rimasto
occulto, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dal momento dell’esteriorizzazione di
esso, abbia omesso di considerare come non di meno, ex art. 2935 c.c. la prescrizione inizi a
decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e tale decorrenza non possa essere
ostacolata da un mero impedimento di fatto, quali sono l’ignoranza del titolare circa l’esistenza
del diritto o l’incuria dello stesso nell’accertarsene; abbia attribuito rilevanza a fatti
assuntivamente ostativi al decorso della prescrizione ex adverso non provati e, comunque, non
riconducibili alle ipotesi di impossibilità legale; abbia, tra l’altro, in difetto di riscontri
probatori, ritenuto controparte impossibilitata a percepire l’evento sino al 1994 nonostante
avesse contratto matrimonio nel 1990 ed omesso di considerare come, attese la storia clinica
specifica e la particolare preparazione professionale della controparte stessa, questa non potesse
ignorare, se non per sua colpa, il proprio stato di impotentia generandi.
… Omissis …
A sua volta, la ricorrente incidentale si duole con il primo motivo – denunziando violazione e
falsa applicazione degli artt. 2236 e 2043 c.c. – che la Corte territoriale, nonostante fosse
incontroversa la natura contrattuale del rapporto dedotto in giudizio e del danno nell’ambito
dello stesso riconducibile, quindi l’applicabilità al caso di specie dell’ordinaria prescrizione
decennale, abbia, equivocando su di un richiamato precedente giurisprudenziale, introdotto nel
giudizio la diversa ipotesi del danno extracontrattuale e la consequenziale tesi della decorrenza
della prescrizione solo dall’esteriorizzazione del danno in ragione del coordinamento degli artt.
2947 e 2935 c.c.
… Omissis …
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Posto, dunque, che, nel caso in esame, la responsabilità per danni dedotta in giudizio non poteva
essere riqualificata in appello come aquiliana e che, comunque, sostanzialmente tale non era,
alla pretesa risarcitoria fatta valere, in quanto rapportata ad una responsabilità contrattuale, altro
regime prescrizionale non poteva trovare applicazione che quello desumibile dal combinato
disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c., per il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno
in cui il diritto può essere fatto valere e si compie nel termine di dieci anni da esso, e non,
invece, quello desumibile dal combinato disposto degli artt. 2935 e 2947 c.c.
Solo per tale ultima ipotesi, attinente al danno da responsabilità aquiliana e che per quanto sopra
esposto non ricorre nella specie, il rigore dei ristretti limiti temporali stabiliti, per l’ipotesi di
danno rimasto ignoto al soggetto leso, è temperato nell’interpretazione datane con l’indirizzo
giurisprudenziale richiamato ed applicato dalla Corte territoriale, dallo spostamento del dies a
quo di decorrenza della prescrizione dal momento del verificarsi del fatto lesivo e, quindi,
dall’insorgenza del diritto a quella della manifestazione esteriore della lesione e, quindi, della
cognizione dell’esistenza del diritto e della possibilità del suo esercizio.
Una corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c. non consente, per
contro, nel diverso caso del danno da responsabilità contrattuale quale quello che ne occupa, di
procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale, rispetto al momento in cui
il diritto può essere fatto valere, se non nell’ipotesi di impedimento legale al detto esercizio e
anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge e regolate con gli istituti della
sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi di impedimento di fatto (Cass. 27 febbraio 2002, n.
2913; Cass. 16 luglio 2001, n. 9618; Cass. 15 marzo 2001, n. 3796; Cass. 19 novembre 1999, n.
12825; Cass. 3 giugno 1997, n. 4939) al qual genere va ricondotta l’ignoranza del titolare,
colpevole o meno che essa sia (Cass. 11 dicembre 2001, n. 15622; Cass. 3 maggio 1999, n.
4389; Cass. 25 novembre 1997, n. 11809; Cass. 18 settembre 1997, n. 9291; Cass. 7 maggio
1996, n. 4235) salvo derivi da un comportamento doloso della controparte come desumibile
dalla ratio dell’art. 2941 n. 8 c.c.
D’altra parte, la stessa sopra ricordata tesi per la quale il termine di prescrizione di cui all’art.
2947 c.c. non potrebbe e non dovrebbe decorrere dalla data del fatto illecito – o, come è stato
meglio chiarito, dalla data del prodursi del danno quale conseguenza del fatto illecito
considerato nel suo integrale verificarsi di causa ed effetto - bensì solo dal momento in cui il
danneggiato ha conoscenza del danno non sembra meritevole d’adesione.
Il legislatore, nel prevedere espressamente all’art. 2947 c.c. che “il diritto al risarcimento del
danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è
verificato”, all’evidenza ha concepito il danno quale conseguenza immediata e diretta di un
comportamento illecito ed ha ritenuto di far decorrere la prescrizione dal giorno in cui, a seguito
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del detto comportamento, quella conseguenza si è verificata, onde, giusta quanto già evidenziato
da questa Corte, non sembra consentito all’interprete di sostituire a proprio arbitrio l’inequivoca
volontà come manifestata dal legislatore e pretendere di introdurre, in materia, ulteriori
distinguo (Cass. 10 febbraio 1995, n. 1490).
Le possibilità di interpretazione della norma trovano, invero, il loro insuperabile limite
nell’imprescindibile esigenza di rispettare il dettato dell’art. 12 delle disp. prel. c.c. che,
nell’imporre una gradualità d’utilizzazione degli strumenti ermeneutici, pone al primo posto
quello letterale, integrato da quello razionale riferito alla singola norma, anzi di consentire, ma
unicamente nelle ipotesi di lacuna, il ricorso a quelli della similitudine e dell’analogia, ai quali
solo segue quello sistematico anch’esso per applicazioni successive dal particolare al generale.
Ora, per quanto attiene all’art. 2947 c.c., la formulazione letterale della norma non consente di
ravvisare in essa elementi dubbi o lacune che possano giustificare l’elaborazione d’ipotesi non
previste e suscettibili di diversa regolamentazione, anche perché, se costituisce ius receptum che
l’essenziale ratio dell’istituto della prescrizione debba essere ravvisata nell’esigenza di certezza
dei rapporti giuridici, è palese come con tale esigenza si ponga in insanabile contrasto la pretesa
di far decorrere la prescrizione de qua non dalla data, certa, in cui il fatto dannoso si è verificato
ma dal momento, diverso ed assolutamente incerto, in cui il danneggiato possa aver avuto
conoscenza del danno e del suo diritto di farlo valere.
Ne è esempio il caso sub iudice: il B (nato nel 1954) ha subito l’operazione della quale si
discute all’età di ventinove anni (1985), si è sposato all’età di trentaquattro anni (1990) e,
secondo la sua tesi, dopo altri sei anni (1996) avrebbe accertato il danno; ma si sarebbe potuto
sposare in qualsiasi epoca successiva ed avrebbe, quindi, potuto accertare il danno a distanza
non di oltre dieci ma di oltre venti anni e più, con la conseguenza che il dedotto rapporto
nascente dalla pretesa responsabilità per fatto illecito (qui solo ipotizzata come tale, dacché si è
già visto trattarsi di responsabilità contrattuale), ove si aderisse alla criticata tesi, resterebbe di
fatto indefinitamente in vita, con tutte le conseguenze giuridiche agevolmente ipotizzabili,
contro ogni logica e contro l’esigenza di definizione dei rapporti entro un tempo ragionevole e
determinato sottesa all’istituto della prescrizione.
… Omissis…
Nel caso di specie, comunque, trattandosi di responsabilità contrattuale ed alla prescrizione dei
diritti dalla stessa scaturenti per il danneggiato potendo costituire ostacolo solo impedimenti
legali e non anche ostacoli di mero fatto quale l’ignoranza del diritto, è indiscutibile che la
prescrizione si sia verificata.
… Omissis …
Se può essere vero, infatti, che gli esami clinici intesi all’accertamento della potentia generandi
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non rientrino tra quelli routinari o abituali, è, tuttavia, pur vero che il complesso delle patologie
sofferte e dei consequenziali interventi subiti dal B questi avrebbe dovuto indurre – secondo
criteri di ordinaria prudenza e diligenza in rapporto alla propria salute ed anche, anzi a maggio
ragione, in vista del contraendo matrimonio e della responsabilità che il mancato accertamento
di un’eventuale impotentia generandi e la mancata informazione al riguardo avrebbero potuto
essergli rimproverate dal coniuge – a sottoporsi agli opportuni test diagnostici.
… Omissis …
Aggiungasi, ancora, che il B è un medico e che, pertanto, quella medesima mancanza di
diligenza e di prudenza che – per sola ipotesi, atteso quanto sopra rilevato, - sarebbe stata
scusabile nell’uomo comune, diviene inescusabile per il soggetto munito di specifiche
competenze in materia, dacché la capacità di valutare le situazioni deve essere accertata non in
senso assoluto ma avendo riguardo al soggetto interessato, per il che l’appartenenza dello stesso
ad una determinata categoria sociale e, soprattutto, professionale caratterizzate da cultura
generale e cognizioni tecnico – scientifiche particolari, non può non rendere maggiore il livello
di coscienza dell’onere di normale diligenza e prudenza richiestogli.
In definitiva i ricorsi vanno accolti per quanto di ragione e l’impugnata sentenza va annullata,
senza rinvio, peraltro, dacché, essendosi trattate questioni di solo diritto e non essendo necessari
ulteriori elementi di giudizio in fatto, questa Corte può decidere nel merito, ex art. 384 c.p.c.,
constatando, come ha fatto, l’intervenuta prescrizione del diritto fatto valere dagli originari
attori e rigettando, di conseguenza, l’appello dagli stessi proposto avverso la sentenza di primo
grado che era pervenuta sostanzialmente, alla medesima conclusione.
… Omissis …
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LA RESPONSABILITA’ DA FATTO ILLECITO ED IL
RELATIVO
TERMINE
DI
DECORRENZA
DELLA
PRESCRIZIONE1
IL CASO
Nel 1996 i coniugi X convenivano in giudizio il proprio medico
per sentirlo condannare al risarcimento di tutti danni subiti a seguito
di un intervento chirurgico eseguito sul marito. Il sanitario costituitosi
chiedeva
il
rigetto
della
domanda,
tra
l’altro,
per
avvenuta
prescrizione del diritto.
Il Tribunale di Palermo con sentenza del 1999, ritenuto che gli
attori avessero agito in via contrattuale, accoglieva l’eccezione del
convenuto affermando che, essendo stato eseguito l’intervento nel
lontano 1985, il termine di prescrizione decennale della relativa
azione era abbondantemente trascorso alla data della prima messa in
mora risalente al 1996.
Affermava il Tribunale che, nel caso di specie, non potesse
ravvisarsi un diverso termine di decorrenza della prescrizione, in
particolare a partire dal 1994 - periodo in cui il marito si sottopose
per la prima volta a test clinici per accertare la propria fertilità –
poiché non si era verificato né un aggravamento oggettivo della
lesione né una modificazione dell’evento lesivo né, ancora, una
obiettivizzazione successiva: quello che, con il tempo, era cambiato,
secondo il giudice palermitano, era soltanto l’interesse del marito
all’accertamento della propria fertilità.
In argomento cfr. Paolo Vitucci, sub art. 2935, in P. Schlesinger (a cura di),
Commentario al Codice Civile, Milano 1999, 73; Federico Roselli e Paolo Vitucci,
Prescrizione e Decadenza, in Trattato di Diritto Privato, diretto da P. Rescigno, XX,
Torino 1984, 361; Giuseppe Panza, Prescrizione, in Digesto delle Discipline
Privatistiche, Sezione Civile, XIV, Torino 1997, 226; Paolo Gallo, Prescrizione e
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La Corte d’appello di Palermo, investita del gravame, riformava
la decisione di I grado ritenendo che gli attori avessero agito in
giudizio
facendo
valere
congiuntamente
sia
la
responsabilità
contrattuale del medico che quella extracontrattuale e che, quindi,
una volta venuta meno per prescrizione la prima, rimaneva in vita la
seconda
soggetta
ad
un
diverso
la
Corte,
termine
di
decorrenza
della
prescrizione.
In
particolare
accogliendo
l’orientamento
giurisprudenziale secondo cui, nel caso di responsabilità derivante da
fatto illecito, il termine di prescrizione può anche iniziare a decorrere
non dal momento della lesione ma da quello della manifestazione
esteriore del danno, ritenne che la relativa azione non fosse
prescritta.
Avverso tale decisione i convenuti proponevano ricorso per
cassazione.
La Suprema Corte, nell’accogliere l’impugnazione, statuiva che:
a)
la responsabilità fatta valere dagli attori era di tipo
contrattuale;
b)
ad essa, quindi, doveva applicarsi il diverso regime di
prescrizione previsto dal combinato disposto degli art.
2935 e 2946 c.c. secondo cui il termine decennale di
prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può
essere fatto valere;
c)
una corretta applicazione di tali norme non consentiva di
procrastinare il termine di decorrenza della prescrizione se
non nei casi di impedimento legale a detto esercizio e
salve le eccezioni previste espressamente dalla legge;
In ogni caso, affermava la Corte che, anche se si fosse trattato
di
una
ipotesi
di
responsabilità
extracontrattuale,
non
poteva
decadenza in diritto comparato, in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione
Civile, XIV, Torino 1997, 248.
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condividersi il principio, espresso da una parte della giurisprudenza,
secondo cui il termine di prescrizione comincia a decorrere dal
momento in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno.
La
decorrenza
del
termine
di
prescrizione.
Effetto
sospensivo dell’ignoranza incolpevole del titolare del diritto.
La pronuncia che si annota segna una svolta importante nella
complicata questione della decorrenza del termine prescrizionale nella
responsabilità da fatto illecito2.
Per tali ipotesi, l’art. 2947 c.c. stabilisce che il diritto al
risarcimento dei danni si prescrive in cinque anni dalla data del fatto.
Dal canto suo l’art. 2935 c.c., norma generale in materia di
decorrenza del termine di prescrizione, prevede che esso “comincia a
decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere…”.
L’interpretazione di queste due norme, com’è noto, è stata
oggetto di un vivace ed acceso dibattito tra quanti hanno ritenuto che
il termine di prescrizione di un diritto iniziasse a decorrere dal
momento in cui se ne determinava la lesione (c.d. teoria della
violazione) e quanti, invece, hanno ritenuto che tale termine
cominciasse a decorrere soltanto in un momento successivo allorché
fosse possibile agire in giudizio a difesa del diritto violato (c.d. teoria
della realizzazione).
L’accoglimento dell’una o dell’altra teoria non è scevro da
profonde implicazioni pratiche con riferimento ai quei casi particolari
in cui non esiste piena coincidenza tra il momento in cui, a seguito
della condotta umana, si determina la lesione di un diritto ed il
momento in cui tale lesione si esteriorizza e diventa conoscibile da
parte del danneggiato.
Qualche autore ha addirittura affermato che essa riconduce “il sistema della
prescrizione in accordo con se stesso”. Così, Pier Giuseppe Monateri in Danno e
Responsabilità, 2004, 392.
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Lo stesso problema si pone, inoltre, in tutti quei casi in cui, pur
esistendo un danno e pur essendo lo stesso conosciuto, colui che lo
ha subito non è in grado di accertarne il responsabile3 oppure nelle
ipotesi in cui il diritto non può essere fatto valere a causa di una
norma successivamente dichiarata incostituzionale4.
Se, infatti, si fa decorrere il termine prescrizionale dal momento
della scoperta del danno, cioè dal momento in cui il danneggiato si
rende conto di aver subito una lesione, si rischia di soggettivizzare
oltre misura il sistema di tutela dei diritti ancorandolo a parametri
troppo fluidi ed incerti, senza contare inoltre che l’esercizio dell’azione
risarcitoria
potrebbe
essere
temporalmente
differito
oltre
ogni
ragionevole certezza.
Se, al contrario, si rimanesse ancorati ad una lettura restrittiva
dell’art. 2947 c.c. si rischierebbe di negare la tutela giuridica dei
diritti nei casi di ignoranza incolpevole circa l’esistenza del diritto
stesso o della sua lesione.
Mediare tra le opposte esigenze tuttavia non è compito semplice
tant’è vero che la stessa giurisprudenza dominante, per venire
incontro
alle
istanze
di
tutela
dei
danneggiati,
ha
dovuto
abbandonare, più o meno coscientemente, l’interpretazione letterale
In senso negativo, Cass. Civ., sez. I, 12 marzo 1994, n. 2429: “La disposizione
dell’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal momento in
cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far
valere il diritto e, quindi, alle cause impeditive di ordine generale dell’esercizio del
diritto medesimo – quali una condizione sospensiva non ancora verificatasi o un
termine non ancora scaduto- con la conseguenza che l’impossibilità di fatto di agire
in cui venga a trovarsi il titolare del diritto (nell’ipotesi per incertezza
nell’individuazione del debitore) non è idonea ad impedire il decorso della
prescrizione”.
4
Esclude tale possibilità, Cass. Civ., sez. lav., 27 gennaio 1993, n. 986: “Il vizio di
illegittimità costituzionale non ancora dichiarato costituisce una mera difficoltà di
fatto all’esercizio del diritto assicurato dalla norma depurata dall’incostituzionalità e,
pertanto, non impedisce il corso della prescrizione (art. 2935 c.c.), restando esclusa
la possibilità di far decorrere il termine prescrizionale dalla pubblicazione della
pronuncia d’incostituzionalità, ancorché meramente ablativa ma cosiddetta additiva,
atteso che anche tale sentenza non è creatrice di una nuova norma ma solo
liberatrice di un contenuto normativo già presente, sia pure in nuce, nella
disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima”.
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dell’art. 2947 c.c. per accogliere una lettura della norma alla luce
delle principi generali in materia di illecito aquiliano (art. 2043 c.c.) e
di decorrenza del termine prescrizionale (art. 2935 c.c.).
Sotto tale profilo si è affermato che tra l’art. 2947 c.c. e l’art.
2935 c.c. non esiste un rapporto di specialità; le due disposizioni si
collocano invece su piani diversi in quanto la prima attiene alla
determinazione del termine prescrizionale applicabile ad una delle
tante ipotesi che il legislatore ha assoggettato a prescrizione più
breve
rispetto
a
quella
ordinaria,
mentre
l’altra
disciplina
la
decorrenza della prescrizione con riferimento a qualsiasi termine
applicabile.
Secondo tale orientamento, dunque, il diritto al risarcimento del
danno non sorge per effetto della sola condotta illecita dell’agente ma
per effetto del danno ad essa eziologicamente collegato. In altri
termini il concetto di fatto di cui all’art. 2947 c.c. viene interpretato
come comprensivo non soltanto del fatto materiale, costituito dal
comportamento illecito del danneggiante, ma anche dell’evento,
consistente nella modificazione della realtà esteriore e del danno
ingiusto collegato all’evento. Se dunque il danno, nonostante la
condotta illecita, non si è ancora verificato, non sorge alcun diritto al
risarcimento
e
quindi
nessun termine
di prescrizione
inizia a
decorrere.
A tal fine tuttavia non è sufficiente la semplice oggettiva
realizzazione del danno, la sua ontologica esistenza ma è necessaria
una sua esteriorizzazione, conoscibilità ed acquisto di rilevanza
giuridica da parte del danneggiato5. Questo, comunque, non vuol
Cfr. Cass. Civ., sez. III, 9 maggio 2000, n. 5913: “Il termine di prescrizione del
diritto al risarcimento del danno da fatto illecito sorge non dal momento in cui
l’agente compie l’illecito o dal momento in cui il fatto del terzo determina
ontologicamente il danno all’altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione
del danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e
riconoscibile”. In senso conforme, Cass. Civ., sez. lav. 29 agosto 2003, 12666;
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significare che la semplice ignoranza del danneggiato circa l’esistenza
del danno subito possa precludere il decorso della prescrizione in
quanto gli stati di ignoranza meramente soggettiva costituiscono un
impedimento di fatto e come tale irrilevante.
Tale
orientamento, in atto
dominante,
è
stato, tuttavia,
sottoposto a vivaci critiche da una parte della dottrina la quale è
giunta a conclusioni diametralmente opposte rilevando che “la
prescrizione non decorre dal momento del verificarsi del danno né
tanto meno dal momento in cui il danno si manifesta alla vittima ma
dal giorno in cui è stato compiuta l’azione o l’omissione donde il
danno è disceso6.
L’orientamento
in
esame,
a
tal
fine,
valorizza
sia
un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 2947 c.c. sia la
funzione essenziale della prescrizione.
Sotto quest’ultimo profilo si fa rilevare che il codice civile del
1942 ha introdotto all’art. 2947 c.c. una prescrizione breve del diritto
al risarcimento del danno derivante da fatto illecito per ragioni legate
alla necessità di provare per testimoni gli elementi costitutivi della
Cass. Civ., 28 luglio 2000, n. 9927; Cass. Civ., sez. II, 4 gennaio 1993, n. 13;
Tribunale Roma, 8 gennaio 2003 in Foro It. 2003, I, 622;
Contra Cass. Civ., sez. III, 10 ottobre 1992, n. 11094: “Nel caso in cui il notaio che
ha rogato l’atto pubblico di trasferimento di un immobile ometta di verificare la
libertà del bene, il termine di prescrizione del diritto dell’acquirente al risarcimento
del danno subito a causa di un’ipoteca, gravante a sua insaputa, sull’immobile
stesso, decorre dalla data di stipulazione dell’atto pubblico perché è in questo
momento che la posizione dell’acquirente è pregiudizievolmente incisa dall’ipoteca
esistente sul bene esposto all’esecuzione forzata per il soddisfacimento del credito
garantito ed è da questo momento che l’acquirente può, conseguentemente, far
valere la sua pretesa risarcitoria, costituendo i successivi esborsi seguiti alla
sospensione dei pagamenti da parte del terzo debitore, originario datore di ipoteca
ed alla minaccia, da parte del creditore garantito, di esecuzione sul bene ipotecato,
solo ulteriori aggravamenti incidenti sul “quantum” da risarcire ma del tutto
ininfluenti sul già iniziato decorso della prescrizione, al pari della circostanza
dell’ignoranza dell’acquirente dato che il principio che esclude la decorrenza della
prescrizione nel tempo in cui il diritto non può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) si
riferisce solo alle cause giuridiche impeditive dell’esercizio di tale diritto e non anche
ai semplici ostacoli di fatto, tra i quali l’ignoranza (colpevole o meno) del titolare in
ordine alla sussistenza del diritto”.
6
Cfr. Pier Giuseppe Monateri in Danno e Responsabilità, cit.
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fattispecie e alla conseguente difficoltà che il decorso di un notevole
lasso di tempo possa in essi scemare il ricordo dei fatti.
La soluzione criticata, quindi, “determina sicuramente uno
svantaggio per la difesa e i diritti ad essa connessi costringendo
ciascuno a dover mantenere la memoria e le prove per qualsivoglia
attività per un periodo indefinito di tempo” poiché il manifestarsi del
danno può, nel caso concreto, dipendere da una serie di fattori
sottratti all’influenza umana.
Tale soluzione, inoltre, si pone, secondo l’orientamento da
ultimo esposto, in contrasto con la stessa interpretazione letterale
dell’art. 2947 c.c.
Si è affermato, infatti, che tale norma, nel fissare la decorrenza
del termine di prescrizione, si riferisce testualmente al fatto illecito e
non al danno. Invero, l’art. 2043 c.c. distingue nettamente tra fatto
doloso o colposo e danno ingiusto, così come la stessa distinzione si
ritrova nell’art. 2947 c.c. dove si parla di “diritto al risarcimento del
danno” derivante da “fatto illecito”. In ambedue le norme esiste
dunque una contrapposizione tra danno e fatto. Questo significa che il
legislatore quando ha utilizzato il termine fatto per segnare l’inizio
della prescrizione ha voluto fare riferimento al momento in cui si
verifica l’azione o l’omissione causatrice dell’evento dannoso.
Si tratta, ad avviso della dottrina in esame, di una norma
speciale rispetto a quella generale dell’art. 2935 c.c. giustificata dalla
particolare funzione della prescrizione nell’ambito della responsabilità
civile da fatto illecito che, come appunto si è detto, è fondata su
ragioni di carattere probatorio e di certezza giuridica.
In altri termini, com’è stato efficacemente sostenuto, posto il
carattere di specialità dell’art. 2947 c.c. rispetto all’art. 2935 c.c.,
“sarà giocoforza ammettere che nel caso dell’azione di risarcimento il
legislatore
ha
agganciato
la
decorrenza
della
prescrizione
al
compimento degli elementi della fattispecie da cui deriva il danno, ma
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non al manifestarsi del danno”.
CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
È intuito che, alla base degli orientamenti da ultimo esposti, vi
siano delle profonde ragioni di ordine pratico: ragioni collegate da un
lato ad una esasperata soddisfazione delle istanze di tutela dei
danneggiati, dall’altra ad una rigida sottomissione al significato
letterale dell’art. 2947 c.c.
Né l’uno né l’altro degli orientamenti in questione sembrano,
tuttavia, effettivamente convincenti poiché o troppo estensivi –
finendo
per
soggettivizzare
oltremodo
la
tutela
dei
diritti
agganciandola a parametri troppo incerti e fluidi7 – oppure troppo
restrittivi – ponendo seri problemi di costituzionalità delle norme
interpretate8.
Sotto quest’ultimo profilo emerge chiaramente la differenza tra
colui che deliberatamente e coscientemente omette di agire in
giudizio per far valere un diritto e colui che, invece, non può agire
Valga per tutte, Cass. Civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645 cit: “Il termine di
prescrizione al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio
una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma
dell’art. 2947, comma 1, c.c., non dal momento in cui il terzo determina la
modificazione che produce il danno all’altrui diritto o dal momento in cui la malattia
si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può
essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o
colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle
conoscenze scientifiche”. Nel caso di specie la Suprema Corte ha addirittura
ritenuto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cominciasse a
decorrere dal momento in cui, instaurato il giudizio per il risarcimento ed ammessa
la CTU medica, il danneggiato ha avuto modo di scoprire il nesso di causalità tra la
malattia lamentata e il trattamento sanitario subito con conseguente sua
addebitabilità ad un terzo determinato (nella fattispecie il Ministero della Sanità).
8
Sotto tale profilo cfr. Tribunale di Termini Imerese, 9 dicembre 2002, in Foro It.
2003, 924: “Non è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2935 c.c., nella parte in cui fa decorrere il termine di
prescrizione anche nell’ipotesi in cui il titolare si trovi nell’impossibilità di mero fatto
di esercitare il diritto dipendente da incolpevole ignoranza circa l’esistenza del
diritto o l’identità del titolare del corrispondente obbligo, in riferimento agli art. 3 e
24 della Costituzione. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità
costituzionale dell’art. 2941 c.c., nella parte in cui non prevede fra le cause di
7
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non avendo conoscenza dell’esistenza del diritto o del soggetto contro
cui farlo valere.
Come è stato efficacemente sostenuto “non si comprende come
possano agire in giudizio coloro che ignorano di essere titolari di un
diritto nonostante il diritto esista e possa essere giuridicamente fatto
valere…
non
appare
coerente
con
la
norma
costituzionale
un’interpretazione che si risolve nella negazione di fatto della tutela
giurisdizionale a soggetti che senza alcuna colpa siano rimasti ignari
del loro diritto e che quindi non avrebbero mai potuto attivarsi
tempestivamente per farlo valere davanti ad un giudice…”9
Emerge, quindi, in maniera palese l’esigenza di mediare tra le
opposte soluzioni e la necessità di trovare un giusto punto di
equilibrio, non dimenticando tuttavia che funzione principale del
meccanismo prescrizionale è quella di assicurare la certezza dei
rapporti giuridici.
Il problema che si pone è quindi quello di selezionare attraverso
un criterio oggettivo le ipotesi in cui l’ignoranza del titolare circa
l’esistenza del diritto o la possibilità di farlo valere abbia efficacia per
così dire sospensiva della decorrenza del termine prescrizionale ed
ipotesi che, invece, integrando dei meri impedimenti di fatto di
carattere
soggettivo
rimangono
interni
alla
sfera
giuridica
del
danneggiato.
Si tratta quindi di trovare un giusto punto di equilibrio tra le
ragionevoli istanze di tutela dei danneggiati ed il principio generale di
certezza dei rapporti giuridici.
A nostro avviso, tale equilibrio può essere raggiunto attraverso
un’adeguata valorizzazione del concetto di attualità dell’interesse ad
agire e del principio di buona fede alla stregua del quale valutare se il
sospensione della prescrizione l’ignoranza incolpevole del titolare del diritto, in
riferimento agli art. 3 e 24 della Costituzione”.
9
Cfr. Tribunale di Termini Imerese, ord. 9 dicembre 2002, cit.
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difetto di conoscenza sia ingiustificato e dipeso dalla violazione del
generale dovere di diligenza e informazione gravante sulla generalità
dei consociati.
Posto, dunque, che il momento in cui il diritto può essere fatto
valere (art. 2935 c.c.), coincide con quello in cui diventa attuale la
possibilità e l’interesse al suo esercizio10, tale attualità presuppone a
sua volta che il titolare del detto diritto sia a conoscenza della sua
esistenza e della possibilità di farlo valere oppure non ne sia venuto a
conoscenza per sua colpa.
Il concetto di colpa che tuttavia viene in considerazione non
coincide con la colpa soggettiva bensì con quella oggettiva intesa
quale inosservanza della normale diligenza in relazione a precisi ed
obiettivi canoni sociali e professionali di condotta.
In altri termini, quindi, vi sarà ignoranza colpevole - e quindi
non sospensiva del termine prescrizionale - tutte le volte in cui essa,
alla stregua del generale principio di buona fede e rapportata alla
normale diligenza - non appaia tale da giustificare il sacrificio del
principio generale della certezza del diritto.
Al contrario, a nostro avviso, tale principio potrebbe e dovrebbe
subire una compressione quando l’ignoranza del titolare del diritto
non sia colpevole ovvero sia dipesa da una serie di fattori oggettivi
che avrebbero reso impossibile la conoscenza non solo al suo titolare
ma a qualsiasi altro individuo accorto e diligente che si fosse trovato
nella medesima situazione.
In questo modo, il corso della prescrizione non subirebbe
interruzioni dipendenti da meri stati soggettivi ma verrebbe ad essere
impedito
soltanto
da
eventi
estranei
alla
sfera
giuridica
del
danneggiato e a lui non imputabili per negligenza o trascuratezza.
Ci si rende conto tuttavia che la soluzione proposta si pone in
10
Cfr., in tal senso, Roselli e Vitucci, op. cit., 398 ss
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stridente contrasto con la lettera dell’art. 2947 c.c. che, come detto,
colloca il termine di decorrenza della prescrizione nel momento di
verificazione del fatto inteso come condotta illecita. Ciò nondimeno, e
al tempo stesso, ci si accorge che l’interpretazione letterale della
norma non è soddisfacente e difficilmente potrebbe sopravvivere ad
un’eventuale questione di legittimità costituzionale per violazione
dell’art. 24 Cost.
In questo contesto l’unica via d’uscita rimarrebbe, a nostro
avviso, quella legislativa. De iure condendo, infatti, il legislatore
potrebbe intervenire inserendo tra le cause di sospensione della
prescrizione
ex
art.
2941
c.c.
quella
derivante
da
ignoranza
incolpevole dell’avente diritto.
Così il termine di prescrizione continuerebbe a decorrere
sempre dal momento in cui si verifica il fatto illecito ma esso
rimarrebbe sospeso fino a quando il danneggiato non sia in grado,
utilizzando la diligenza dell’uomo medio e alla luce del generale
principio di buona fede, di avvedersi dell’esistenza del proprio diritto e
della possibilità di farlo valere contro un terzo determinato.
Del resto questa soluzione non è nuova ma si ritrova anche in
alcune normative di carattere settoriale in cui appunto la prescrizione
viene fatta decorrere dal momento in cui il danneggiato ha avuto o
avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell’identità
del responsabile11.
Sotto questo profilo merita di essere segnalata, anche per le implicazioni che
essa potrebbe avere sulla disciplina generale della decorrenza del termine di
prescrizione, la normativa prevista in materia di risarcimento dei danni conseguenti
ad incidenti nucleari e a prodotti difettosi. L’art. 23, comma 1, della l. 21 dicembre
1962, n. 1860 (“impiego pacifico dell’energia nucleare”) così come novellato dal
d.p.r. 10 maggio 1975, n. 519 dispone, infatti che “le azioni per il risarcimento dei
danni alle cose e alle persone dipendenti da incidenti nucleari si prescrivono nel
termine di tre anni dal giorno in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del
danno e dell’identità dell’esercente responsabile oppure avrebbe dovuto
ragionevolmente esserne venuto a conoscenza”. Nello stesso senso l’art. 13,
comma 1 e 2, del d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224 (recante “attuazione della direttiva
CEE 85/374 in materia di responsabilità da prodotti difettosi”) stabilisce al primo
11
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comma che “il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il
danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e
dell’identità del responsabile”; mentre al secondo comma che “nel caso di
aggravamento del danno, la prescrizione non comincia a decorrere prima del giorno
in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di
gravità sufficiente a giustificare l’esercizio di un’azione giudiziaria”.
Le norme da ultimo citate vengono spesso utilizzate in dottrina e giurisprudenza per
giustificare un’interpretazione estensiva delle norme sulla decorrenza del termine di
prescrizione. Cfr., in giurisprudenza, Cass. Civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645;
in dottrina, tra gli altri, P. Vitucci, sub art. 2935, in Commentario al Codice Civile,
cit.
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