Studio Legale Spagnolo ASSOCIAZIONE TRA PROFESSIONISTI LA DECORRENZA DEL TERMINE DI PRESCRIZIONE NELLA RESPONSABILITA’ DA FATTO ILLECITO. (Brevi note a margine di Cass. Civ., sez. II, 28 gennaio 2004, n. 1547) A cura degli avv. ti Santo Spagnolo e Pietro Recupero CASSAZIONE CIVILE SEZIONE II 28 GENNAIO 2004 N. 1547 “Una corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c. non consente nel caso del danno da responsabilità contrattuale di procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale, rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere, se non nelle ipotesi di impedimento legale al detto esercizio e non anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge o regolate con gli istituti della sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi di impedimento di fatto al qual genere va ricondotta l’ignoranza del titolare, colpevole o meno che essa sia, salvo derivi da un comportamento doloso della controparte come desumibile dalla ratio dell’art. 2941, n. 8 c.c.”. ***** Svolgimento del processo Con atto di citazione 8.05.1996, O. B. e S. F. – premesso che il B. era stato sottoposto nel 1971 e nel 1983 a distinti interventi chirurgici per l’asportazione di cisti nell’epididimo del testicolo destro in esito ai quali il flusso degli spermatozoi era rimasto interrotto; che ad analogo intervento sul testicolo sinistro il B. era stato sottoposto nel 1985 ad opera di F. C.; che anche tale intervento aveva provocato, a sua volta, l’interruzione del flusso degli spermatozoi dall’interessato testicolo; che al B. era rimasta così preclusa la capacità di procreare; che l’ultimo intervento era stato effettuato senza previo accertamento degli effetti interruttivi dei precedenti interventi sul flusso degli spermatozoi, senza ricorso alla pratica dell’aspirazione in luogo di quella dell’asportazione, senza la necessaria informazione al paziente dei rischi ai quali sarebbe andato incontro; che con tale comportamento il professionista aveva leso il loro diritto all’integrità psico – fisica, alla procreazione e alla serenità familiare – convenivano in giudizio F. C. innanzi al tribunale di Palermo onde sentirlo condannare a risarcirli dei danni subiti. 2 www.studiolegalespagnolo.it Costituendosi F. C. chiedeva rigettarsi la domanda eccependo in via preliminare l’intervenuta prescrizione del diritto al risarcimento ex adverso azionato e, nel merito, l’insussistenza della colpa professionale addebitatagli. Chiamata in giudizio dal C. per essere tenuto indenne dalle avverse pretese in virtù del contratto di assicurazione si costituiva la U. s.p.a. eccependo anch’essa la prescrizione e comunque l’infondatezza della pretesa attorea. Con sentenza 10.03.1999, l’adito Tribunale – ritenuto che gli attori avessero fatto valere una responsabilità della controparte per inesatto adempimento nell’esecuzione di uno specifico contratto di prestazione d’opera professionale; che, in tale ipotesi, dovesse trovare applicazione il termine ordinario decennale di prescrizione; che, eseguitosi l’intervento il 14.05.1985, tale termine era già scaduto all’epoca del primo atto di costituzione in mora, risalente al 15.02.1996; che, nella specie, non potesse ravvisarsi una diversa decorrenza, in particolare a far tempo dagli accertamenti diagnostici eseguiti ne novembre del 1994, pur stante la natura occulta della lesione sostenuta dagli attori; che, infatti, non si erano verificati né un’obiettivizzazione successiva né un aggravamento obiettivante della lesione né una modificazione dell’evento lesivo o delle sue conseguenze ma solo era mutato nel tempo l’interesse dello stesso B all’accertamento della propria fertilità; che, pertanto, atteso il quadro clinico complessivo il B avrebbe potuto acquisire tempestiva conoscenza della lesione facendo eseguire in epoca precedente, secondo un criterio di ordinaria diligenza, i medesimi esami clinici con i quali era stata tardivamente accertata la situazione dedotta in giudizio – in accoglimento dell’eccezione preliminare di prescrizione, rigettava la domanda. Avverso tale decisione O. B. e S. F. proponevano gravame cui resistevano F. C. e la U. eccependo anche il difetto di titolarità attiva del rapporto in capo alla F in quanto non ancora coniugata con il B all’epoca del preteso illecito. Decidendo con sentenza non definitiva 17.07.2000 sulle sole questioni preliminari della prescrizione e della titolarità della rapporto in capo al F. , la Corte d’Appello di Palermo – ritenuto che gli attori non avessero inteso escludere con gli atti introduttivi del primo e del secondo grado di giudizio l’esercizio dell’azione extra - contrattuale unitamente a quella contrattuale e che il concorso di entrambe fosse ammissibile, essendosi dedotto un medesimo fatto lesivo, ad un tempo, di uno specifico vinculum iuris e del generale precetto neminem laedere; che, venuta meno una delle due azioni per ragioni ad essa relative, come la prescrizione, fosse rimasta, tuttavia, ferma l’altra, fondata sui medesimi presupposti di fatto e parimenti intesa al risarcimento del danno, soggetta al distinto termine di prescrizione ad essa proprio; che l’insorgenza del credito per danno da fatto illecito ex art. 2947 c.c. possa anche coincidere temporalmente non con l’azione lesiva ma con la manifestazione esteriore delle sue 3 www.studiolegalespagnolo.it conseguenze, dalla quale, pertanto, decorre il termine di prescrizione; che, nella specie, tale manifestazione potesse essere ravvisata solo negli accertamenti clinici fatti eseguire nel novembre del 1994 dal B. cui nessuna negligenza poteva essere imputata, essendo la lesione occulta e non ipotizzabile, atteso il mantenimento della normale capacità sessuale; che la titolarità attiva della rapporto in capo alla F. non potesse essere negata, essendo pacifica la risarcibilità della lesione dei diritti riflessi eziologicamente legata al fatto illecito – accoglieva in parte qua il gravame e con separata ordinanza disponeva la prosecuzione del giudizio. Avverso tale decisione proponevano distinti ricorsi per cassazione il C e la U. Resistevano con controricorso il B. e la F. MOTIVI DELLA DECISIONE Si duole il C con il primo motivo – denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2935, 2043, 2947, 2697 c.c. nonché omessa , insufficiente e contraddittoria motivazione – che la Corte territoriale, recependo l’opinione giurisprudenziale per la quale, in caso di danno rimasto occulto, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dal momento dell’esteriorizzazione di esso, abbia omesso di considerare come non di meno, ex art. 2935 c.c. la prescrizione inizi a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e tale decorrenza non possa essere ostacolata da un mero impedimento di fatto, quali sono l’ignoranza del titolare circa l’esistenza del diritto o l’incuria dello stesso nell’accertarsene; abbia attribuito rilevanza a fatti assuntivamente ostativi al decorso della prescrizione ex adverso non provati e, comunque, non riconducibili alle ipotesi di impossibilità legale; abbia, tra l’altro, in difetto di riscontri probatori, ritenuto controparte impossibilitata a percepire l’evento sino al 1994 nonostante avesse contratto matrimonio nel 1990 ed omesso di considerare come, attese la storia clinica specifica e la particolare preparazione professionale della controparte stessa, questa non potesse ignorare, se non per sua colpa, il proprio stato di impotentia generandi. … Omissis … A sua volta, la ricorrente incidentale si duole con il primo motivo – denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2236 e 2043 c.c. – che la Corte territoriale, nonostante fosse incontroversa la natura contrattuale del rapporto dedotto in giudizio e del danno nell’ambito dello stesso riconducibile, quindi l’applicabilità al caso di specie dell’ordinaria prescrizione decennale, abbia, equivocando su di un richiamato precedente giurisprudenziale, introdotto nel giudizio la diversa ipotesi del danno extracontrattuale e la consequenziale tesi della decorrenza della prescrizione solo dall’esteriorizzazione del danno in ragione del coordinamento degli artt. 2947 e 2935 c.c. … Omissis … 4 www.studiolegalespagnolo.it Posto, dunque, che, nel caso in esame, la responsabilità per danni dedotta in giudizio non poteva essere riqualificata in appello come aquiliana e che, comunque, sostanzialmente tale non era, alla pretesa risarcitoria fatta valere, in quanto rapportata ad una responsabilità contrattuale, altro regime prescrizionale non poteva trovare applicazione che quello desumibile dal combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c., per il quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere e si compie nel termine di dieci anni da esso, e non, invece, quello desumibile dal combinato disposto degli artt. 2935 e 2947 c.c. Solo per tale ultima ipotesi, attinente al danno da responsabilità aquiliana e che per quanto sopra esposto non ricorre nella specie, il rigore dei ristretti limiti temporali stabiliti, per l’ipotesi di danno rimasto ignoto al soggetto leso, è temperato nell’interpretazione datane con l’indirizzo giurisprudenziale richiamato ed applicato dalla Corte territoriale, dallo spostamento del dies a quo di decorrenza della prescrizione dal momento del verificarsi del fatto lesivo e, quindi, dall’insorgenza del diritto a quella della manifestazione esteriore della lesione e, quindi, della cognizione dell’esistenza del diritto e della possibilità del suo esercizio. Una corretta applicazione del combinato disposto degli artt. 2935 e 2946 c.c. non consente, per contro, nel diverso caso del danno da responsabilità contrattuale quale quello che ne occupa, di procrastinare il dies a quo di decorrenza della prescrizione decennale, rispetto al momento in cui il diritto può essere fatto valere, se non nell’ipotesi di impedimento legale al detto esercizio e anche, salve le eccezioni espressamente stabilite dalla legge e regolate con gli istituti della sospensione e dell’interruzione, nell’ipotesi di impedimento di fatto (Cass. 27 febbraio 2002, n. 2913; Cass. 16 luglio 2001, n. 9618; Cass. 15 marzo 2001, n. 3796; Cass. 19 novembre 1999, n. 12825; Cass. 3 giugno 1997, n. 4939) al qual genere va ricondotta l’ignoranza del titolare, colpevole o meno che essa sia (Cass. 11 dicembre 2001, n. 15622; Cass. 3 maggio 1999, n. 4389; Cass. 25 novembre 1997, n. 11809; Cass. 18 settembre 1997, n. 9291; Cass. 7 maggio 1996, n. 4235) salvo derivi da un comportamento doloso della controparte come desumibile dalla ratio dell’art. 2941 n. 8 c.c. D’altra parte, la stessa sopra ricordata tesi per la quale il termine di prescrizione di cui all’art. 2947 c.c. non potrebbe e non dovrebbe decorrere dalla data del fatto illecito – o, come è stato meglio chiarito, dalla data del prodursi del danno quale conseguenza del fatto illecito considerato nel suo integrale verificarsi di causa ed effetto - bensì solo dal momento in cui il danneggiato ha conoscenza del danno non sembra meritevole d’adesione. Il legislatore, nel prevedere espressamente all’art. 2947 c.c. che “il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito si prescrive in cinque anni dal giorno in cui il fatto si è verificato”, all’evidenza ha concepito il danno quale conseguenza immediata e diretta di un comportamento illecito ed ha ritenuto di far decorrere la prescrizione dal giorno in cui, a seguito 5 www.studiolegalespagnolo.it del detto comportamento, quella conseguenza si è verificata, onde, giusta quanto già evidenziato da questa Corte, non sembra consentito all’interprete di sostituire a proprio arbitrio l’inequivoca volontà come manifestata dal legislatore e pretendere di introdurre, in materia, ulteriori distinguo (Cass. 10 febbraio 1995, n. 1490). Le possibilità di interpretazione della norma trovano, invero, il loro insuperabile limite nell’imprescindibile esigenza di rispettare il dettato dell’art. 12 delle disp. prel. c.c. che, nell’imporre una gradualità d’utilizzazione degli strumenti ermeneutici, pone al primo posto quello letterale, integrato da quello razionale riferito alla singola norma, anzi di consentire, ma unicamente nelle ipotesi di lacuna, il ricorso a quelli della similitudine e dell’analogia, ai quali solo segue quello sistematico anch’esso per applicazioni successive dal particolare al generale. Ora, per quanto attiene all’art. 2947 c.c., la formulazione letterale della norma non consente di ravvisare in essa elementi dubbi o lacune che possano giustificare l’elaborazione d’ipotesi non previste e suscettibili di diversa regolamentazione, anche perché, se costituisce ius receptum che l’essenziale ratio dell’istituto della prescrizione debba essere ravvisata nell’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, è palese come con tale esigenza si ponga in insanabile contrasto la pretesa di far decorrere la prescrizione de qua non dalla data, certa, in cui il fatto dannoso si è verificato ma dal momento, diverso ed assolutamente incerto, in cui il danneggiato possa aver avuto conoscenza del danno e del suo diritto di farlo valere. Ne è esempio il caso sub iudice: il B (nato nel 1954) ha subito l’operazione della quale si discute all’età di ventinove anni (1985), si è sposato all’età di trentaquattro anni (1990) e, secondo la sua tesi, dopo altri sei anni (1996) avrebbe accertato il danno; ma si sarebbe potuto sposare in qualsiasi epoca successiva ed avrebbe, quindi, potuto accertare il danno a distanza non di oltre dieci ma di oltre venti anni e più, con la conseguenza che il dedotto rapporto nascente dalla pretesa responsabilità per fatto illecito (qui solo ipotizzata come tale, dacché si è già visto trattarsi di responsabilità contrattuale), ove si aderisse alla criticata tesi, resterebbe di fatto indefinitamente in vita, con tutte le conseguenze giuridiche agevolmente ipotizzabili, contro ogni logica e contro l’esigenza di definizione dei rapporti entro un tempo ragionevole e determinato sottesa all’istituto della prescrizione. … Omissis… Nel caso di specie, comunque, trattandosi di responsabilità contrattuale ed alla prescrizione dei diritti dalla stessa scaturenti per il danneggiato potendo costituire ostacolo solo impedimenti legali e non anche ostacoli di mero fatto quale l’ignoranza del diritto, è indiscutibile che la prescrizione si sia verificata. … Omissis … Se può essere vero, infatti, che gli esami clinici intesi all’accertamento della potentia generandi 6 www.studiolegalespagnolo.it non rientrino tra quelli routinari o abituali, è, tuttavia, pur vero che il complesso delle patologie sofferte e dei consequenziali interventi subiti dal B questi avrebbe dovuto indurre – secondo criteri di ordinaria prudenza e diligenza in rapporto alla propria salute ed anche, anzi a maggio ragione, in vista del contraendo matrimonio e della responsabilità che il mancato accertamento di un’eventuale impotentia generandi e la mancata informazione al riguardo avrebbero potuto essergli rimproverate dal coniuge – a sottoporsi agli opportuni test diagnostici. … Omissis … Aggiungasi, ancora, che il B è un medico e che, pertanto, quella medesima mancanza di diligenza e di prudenza che – per sola ipotesi, atteso quanto sopra rilevato, - sarebbe stata scusabile nell’uomo comune, diviene inescusabile per il soggetto munito di specifiche competenze in materia, dacché la capacità di valutare le situazioni deve essere accertata non in senso assoluto ma avendo riguardo al soggetto interessato, per il che l’appartenenza dello stesso ad una determinata categoria sociale e, soprattutto, professionale caratterizzate da cultura generale e cognizioni tecnico – scientifiche particolari, non può non rendere maggiore il livello di coscienza dell’onere di normale diligenza e prudenza richiestogli. In definitiva i ricorsi vanno accolti per quanto di ragione e l’impugnata sentenza va annullata, senza rinvio, peraltro, dacché, essendosi trattate questioni di solo diritto e non essendo necessari ulteriori elementi di giudizio in fatto, questa Corte può decidere nel merito, ex art. 384 c.p.c., constatando, come ha fatto, l’intervenuta prescrizione del diritto fatto valere dagli originari attori e rigettando, di conseguenza, l’appello dagli stessi proposto avverso la sentenza di primo grado che era pervenuta sostanzialmente, alla medesima conclusione. … Omissis … ****** 7 www.studiolegalespagnolo.it LA RESPONSABILITA’ DA FATTO ILLECITO ED IL RELATIVO TERMINE DI DECORRENZA DELLA PRESCRIZIONE1 IL CASO Nel 1996 i coniugi X convenivano in giudizio il proprio medico per sentirlo condannare al risarcimento di tutti danni subiti a seguito di un intervento chirurgico eseguito sul marito. Il sanitario costituitosi chiedeva il rigetto della domanda, tra l’altro, per avvenuta prescrizione del diritto. Il Tribunale di Palermo con sentenza del 1999, ritenuto che gli attori avessero agito in via contrattuale, accoglieva l’eccezione del convenuto affermando che, essendo stato eseguito l’intervento nel lontano 1985, il termine di prescrizione decennale della relativa azione era abbondantemente trascorso alla data della prima messa in mora risalente al 1996. Affermava il Tribunale che, nel caso di specie, non potesse ravvisarsi un diverso termine di decorrenza della prescrizione, in particolare a partire dal 1994 - periodo in cui il marito si sottopose per la prima volta a test clinici per accertare la propria fertilità – poiché non si era verificato né un aggravamento oggettivo della lesione né una modificazione dell’evento lesivo né, ancora, una obiettivizzazione successiva: quello che, con il tempo, era cambiato, secondo il giudice palermitano, era soltanto l’interesse del marito all’accertamento della propria fertilità. In argomento cfr. Paolo Vitucci, sub art. 2935, in P. Schlesinger (a cura di), Commentario al Codice Civile, Milano 1999, 73; Federico Roselli e Paolo Vitucci, Prescrizione e Decadenza, in Trattato di Diritto Privato, diretto da P. Rescigno, XX, Torino 1984, 361; Giuseppe Panza, Prescrizione, in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, XIV, Torino 1997, 226; Paolo Gallo, Prescrizione e 1 8 www.studiolegalespagnolo.it La Corte d’appello di Palermo, investita del gravame, riformava la decisione di I grado ritenendo che gli attori avessero agito in giudizio facendo valere congiuntamente sia la responsabilità contrattuale del medico che quella extracontrattuale e che, quindi, una volta venuta meno per prescrizione la prima, rimaneva in vita la seconda soggetta ad un diverso la Corte, termine di decorrenza della prescrizione. In particolare accogliendo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, nel caso di responsabilità derivante da fatto illecito, il termine di prescrizione può anche iniziare a decorrere non dal momento della lesione ma da quello della manifestazione esteriore del danno, ritenne che la relativa azione non fosse prescritta. Avverso tale decisione i convenuti proponevano ricorso per cassazione. La Suprema Corte, nell’accogliere l’impugnazione, statuiva che: a) la responsabilità fatta valere dagli attori era di tipo contrattuale; b) ad essa, quindi, doveva applicarsi il diverso regime di prescrizione previsto dal combinato disposto degli art. 2935 e 2946 c.c. secondo cui il termine decennale di prescrizione decorre dal momento in cui il diritto può essere fatto valere; c) una corretta applicazione di tali norme non consentiva di procrastinare il termine di decorrenza della prescrizione se non nei casi di impedimento legale a detto esercizio e salve le eccezioni previste espressamente dalla legge; In ogni caso, affermava la Corte che, anche se si fosse trattato di una ipotesi di responsabilità extracontrattuale, non poteva decadenza in diritto comparato, in Digesto delle Discipline Privatistiche, Sezione Civile, XIV, Torino 1997, 248. 9 www.studiolegalespagnolo.it condividersi il principio, espresso da una parte della giurisprudenza, secondo cui il termine di prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno. La decorrenza del termine di prescrizione. Effetto sospensivo dell’ignoranza incolpevole del titolare del diritto. La pronuncia che si annota segna una svolta importante nella complicata questione della decorrenza del termine prescrizionale nella responsabilità da fatto illecito2. Per tali ipotesi, l’art. 2947 c.c. stabilisce che il diritto al risarcimento dei danni si prescrive in cinque anni dalla data del fatto. Dal canto suo l’art. 2935 c.c., norma generale in materia di decorrenza del termine di prescrizione, prevede che esso “comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere…”. L’interpretazione di queste due norme, com’è noto, è stata oggetto di un vivace ed acceso dibattito tra quanti hanno ritenuto che il termine di prescrizione di un diritto iniziasse a decorrere dal momento in cui se ne determinava la lesione (c.d. teoria della violazione) e quanti, invece, hanno ritenuto che tale termine cominciasse a decorrere soltanto in un momento successivo allorché fosse possibile agire in giudizio a difesa del diritto violato (c.d. teoria della realizzazione). L’accoglimento dell’una o dell’altra teoria non è scevro da profonde implicazioni pratiche con riferimento ai quei casi particolari in cui non esiste piena coincidenza tra il momento in cui, a seguito della condotta umana, si determina la lesione di un diritto ed il momento in cui tale lesione si esteriorizza e diventa conoscibile da parte del danneggiato. Qualche autore ha addirittura affermato che essa riconduce “il sistema della prescrizione in accordo con se stesso”. Così, Pier Giuseppe Monateri in Danno e Responsabilità, 2004, 392. 2 10 www.studiolegalespagnolo.it Lo stesso problema si pone, inoltre, in tutti quei casi in cui, pur esistendo un danno e pur essendo lo stesso conosciuto, colui che lo ha subito non è in grado di accertarne il responsabile3 oppure nelle ipotesi in cui il diritto non può essere fatto valere a causa di una norma successivamente dichiarata incostituzionale4. Se, infatti, si fa decorrere il termine prescrizionale dal momento della scoperta del danno, cioè dal momento in cui il danneggiato si rende conto di aver subito una lesione, si rischia di soggettivizzare oltre misura il sistema di tutela dei diritti ancorandolo a parametri troppo fluidi ed incerti, senza contare inoltre che l’esercizio dell’azione risarcitoria potrebbe essere temporalmente differito oltre ogni ragionevole certezza. Se, al contrario, si rimanesse ancorati ad una lettura restrittiva dell’art. 2947 c.c. si rischierebbe di negare la tutela giuridica dei diritti nei casi di ignoranza incolpevole circa l’esistenza del diritto stesso o della sua lesione. Mediare tra le opposte esigenze tuttavia non è compito semplice tant’è vero che la stessa giurisprudenza dominante, per venire incontro alle istanze di tutela dei danneggiati, ha dovuto abbandonare, più o meno coscientemente, l’interpretazione letterale In senso negativo, Cass. Civ., sez. I, 12 marzo 1994, n. 2429: “La disposizione dell’art. 2935 c.c., secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal momento in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far valere il diritto e, quindi, alle cause impeditive di ordine generale dell’esercizio del diritto medesimo – quali una condizione sospensiva non ancora verificatasi o un termine non ancora scaduto- con la conseguenza che l’impossibilità di fatto di agire in cui venga a trovarsi il titolare del diritto (nell’ipotesi per incertezza nell’individuazione del debitore) non è idonea ad impedire il decorso della prescrizione”. 4 Esclude tale possibilità, Cass. Civ., sez. lav., 27 gennaio 1993, n. 986: “Il vizio di illegittimità costituzionale non ancora dichiarato costituisce una mera difficoltà di fatto all’esercizio del diritto assicurato dalla norma depurata dall’incostituzionalità e, pertanto, non impedisce il corso della prescrizione (art. 2935 c.c.), restando esclusa la possibilità di far decorrere il termine prescrizionale dalla pubblicazione della pronuncia d’incostituzionalità, ancorché meramente ablativa ma cosiddetta additiva, atteso che anche tale sentenza non è creatrice di una nuova norma ma solo liberatrice di un contenuto normativo già presente, sia pure in nuce, nella disposizione dichiarata costituzionalmente illegittima”. 3 11 www.studiolegalespagnolo.it dell’art. 2947 c.c. per accogliere una lettura della norma alla luce delle principi generali in materia di illecito aquiliano (art. 2043 c.c.) e di decorrenza del termine prescrizionale (art. 2935 c.c.). Sotto tale profilo si è affermato che tra l’art. 2947 c.c. e l’art. 2935 c.c. non esiste un rapporto di specialità; le due disposizioni si collocano invece su piani diversi in quanto la prima attiene alla determinazione del termine prescrizionale applicabile ad una delle tante ipotesi che il legislatore ha assoggettato a prescrizione più breve rispetto a quella ordinaria, mentre l’altra disciplina la decorrenza della prescrizione con riferimento a qualsiasi termine applicabile. Secondo tale orientamento, dunque, il diritto al risarcimento del danno non sorge per effetto della sola condotta illecita dell’agente ma per effetto del danno ad essa eziologicamente collegato. In altri termini il concetto di fatto di cui all’art. 2947 c.c. viene interpretato come comprensivo non soltanto del fatto materiale, costituito dal comportamento illecito del danneggiante, ma anche dell’evento, consistente nella modificazione della realtà esteriore e del danno ingiusto collegato all’evento. Se dunque il danno, nonostante la condotta illecita, non si è ancora verificato, non sorge alcun diritto al risarcimento e quindi nessun termine di prescrizione inizia a decorrere. A tal fine tuttavia non è sufficiente la semplice oggettiva realizzazione del danno, la sua ontologica esistenza ma è necessaria una sua esteriorizzazione, conoscibilità ed acquisto di rilevanza giuridica da parte del danneggiato5. Questo, comunque, non vuol Cfr. Cass. Civ., sez. III, 9 maggio 2000, n. 5913: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito sorge non dal momento in cui l’agente compie l’illecito o dal momento in cui il fatto del terzo determina ontologicamente il danno all’altrui diritto, bensì dal momento in cui la produzione del danno si manifesta all’esterno divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile”. In senso conforme, Cass. Civ., sez. lav. 29 agosto 2003, 12666; 5 12 www.studiolegalespagnolo.it significare che la semplice ignoranza del danneggiato circa l’esistenza del danno subito possa precludere il decorso della prescrizione in quanto gli stati di ignoranza meramente soggettiva costituiscono un impedimento di fatto e come tale irrilevante. Tale orientamento, in atto dominante, è stato, tuttavia, sottoposto a vivaci critiche da una parte della dottrina la quale è giunta a conclusioni diametralmente opposte rilevando che “la prescrizione non decorre dal momento del verificarsi del danno né tanto meno dal momento in cui il danno si manifesta alla vittima ma dal giorno in cui è stato compiuta l’azione o l’omissione donde il danno è disceso6. L’orientamento in esame, a tal fine, valorizza sia un’interpretazione strettamente letterale dell’art. 2947 c.c. sia la funzione essenziale della prescrizione. Sotto quest’ultimo profilo si fa rilevare che il codice civile del 1942 ha introdotto all’art. 2947 c.c. una prescrizione breve del diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito per ragioni legate alla necessità di provare per testimoni gli elementi costitutivi della Cass. Civ., 28 luglio 2000, n. 9927; Cass. Civ., sez. II, 4 gennaio 1993, n. 13; Tribunale Roma, 8 gennaio 2003 in Foro It. 2003, I, 622; Contra Cass. Civ., sez. III, 10 ottobre 1992, n. 11094: “Nel caso in cui il notaio che ha rogato l’atto pubblico di trasferimento di un immobile ometta di verificare la libertà del bene, il termine di prescrizione del diritto dell’acquirente al risarcimento del danno subito a causa di un’ipoteca, gravante a sua insaputa, sull’immobile stesso, decorre dalla data di stipulazione dell’atto pubblico perché è in questo momento che la posizione dell’acquirente è pregiudizievolmente incisa dall’ipoteca esistente sul bene esposto all’esecuzione forzata per il soddisfacimento del credito garantito ed è da questo momento che l’acquirente può, conseguentemente, far valere la sua pretesa risarcitoria, costituendo i successivi esborsi seguiti alla sospensione dei pagamenti da parte del terzo debitore, originario datore di ipoteca ed alla minaccia, da parte del creditore garantito, di esecuzione sul bene ipotecato, solo ulteriori aggravamenti incidenti sul “quantum” da risarcire ma del tutto ininfluenti sul già iniziato decorso della prescrizione, al pari della circostanza dell’ignoranza dell’acquirente dato che il principio che esclude la decorrenza della prescrizione nel tempo in cui il diritto non può essere fatto valere (art. 2935 c.c.) si riferisce solo alle cause giuridiche impeditive dell’esercizio di tale diritto e non anche ai semplici ostacoli di fatto, tra i quali l’ignoranza (colpevole o meno) del titolare in ordine alla sussistenza del diritto”. 6 Cfr. Pier Giuseppe Monateri in Danno e Responsabilità, cit. 13 www.studiolegalespagnolo.it fattispecie e alla conseguente difficoltà che il decorso di un notevole lasso di tempo possa in essi scemare il ricordo dei fatti. La soluzione criticata, quindi, “determina sicuramente uno svantaggio per la difesa e i diritti ad essa connessi costringendo ciascuno a dover mantenere la memoria e le prove per qualsivoglia attività per un periodo indefinito di tempo” poiché il manifestarsi del danno può, nel caso concreto, dipendere da una serie di fattori sottratti all’influenza umana. Tale soluzione, inoltre, si pone, secondo l’orientamento da ultimo esposto, in contrasto con la stessa interpretazione letterale dell’art. 2947 c.c. Si è affermato, infatti, che tale norma, nel fissare la decorrenza del termine di prescrizione, si riferisce testualmente al fatto illecito e non al danno. Invero, l’art. 2043 c.c. distingue nettamente tra fatto doloso o colposo e danno ingiusto, così come la stessa distinzione si ritrova nell’art. 2947 c.c. dove si parla di “diritto al risarcimento del danno” derivante da “fatto illecito”. In ambedue le norme esiste dunque una contrapposizione tra danno e fatto. Questo significa che il legislatore quando ha utilizzato il termine fatto per segnare l’inizio della prescrizione ha voluto fare riferimento al momento in cui si verifica l’azione o l’omissione causatrice dell’evento dannoso. Si tratta, ad avviso della dottrina in esame, di una norma speciale rispetto a quella generale dell’art. 2935 c.c. giustificata dalla particolare funzione della prescrizione nell’ambito della responsabilità civile da fatto illecito che, come appunto si è detto, è fondata su ragioni di carattere probatorio e di certezza giuridica. In altri termini, com’è stato efficacemente sostenuto, posto il carattere di specialità dell’art. 2947 c.c. rispetto all’art. 2935 c.c., “sarà giocoforza ammettere che nel caso dell’azione di risarcimento il legislatore ha agganciato la decorrenza della prescrizione al compimento degli elementi della fattispecie da cui deriva il danno, ma 14 www.studiolegalespagnolo.it non al manifestarsi del danno”. CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE È intuito che, alla base degli orientamenti da ultimo esposti, vi siano delle profonde ragioni di ordine pratico: ragioni collegate da un lato ad una esasperata soddisfazione delle istanze di tutela dei danneggiati, dall’altra ad una rigida sottomissione al significato letterale dell’art. 2947 c.c. Né l’uno né l’altro degli orientamenti in questione sembrano, tuttavia, effettivamente convincenti poiché o troppo estensivi – finendo per soggettivizzare oltremodo la tutela dei diritti agganciandola a parametri troppo incerti e fluidi7 – oppure troppo restrittivi – ponendo seri problemi di costituzionalità delle norme interpretate8. Sotto quest’ultimo profilo emerge chiaramente la differenza tra colui che deliberatamente e coscientemente omette di agire in giudizio per far valere un diritto e colui che, invece, non può agire Valga per tutte, Cass. Civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645 cit: “Il termine di prescrizione al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo inizia a decorrere, a norma dell’art. 2947, comma 1, c.c., non dal momento in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno all’altrui diritto o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui la malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche”. Nel caso di specie la Suprema Corte ha addirittura ritenuto che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno cominciasse a decorrere dal momento in cui, instaurato il giudizio per il risarcimento ed ammessa la CTU medica, il danneggiato ha avuto modo di scoprire il nesso di causalità tra la malattia lamentata e il trattamento sanitario subito con conseguente sua addebitabilità ad un terzo determinato (nella fattispecie il Ministero della Sanità). 8 Sotto tale profilo cfr. Tribunale di Termini Imerese, 9 dicembre 2002, in Foro It. 2003, 924: “Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2935 c.c., nella parte in cui fa decorrere il termine di prescrizione anche nell’ipotesi in cui il titolare si trovi nell’impossibilità di mero fatto di esercitare il diritto dipendente da incolpevole ignoranza circa l’esistenza del diritto o l’identità del titolare del corrispondente obbligo, in riferimento agli art. 3 e 24 della Costituzione. Non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 2941 c.c., nella parte in cui non prevede fra le cause di 7 15 www.studiolegalespagnolo.it non avendo conoscenza dell’esistenza del diritto o del soggetto contro cui farlo valere. Come è stato efficacemente sostenuto “non si comprende come possano agire in giudizio coloro che ignorano di essere titolari di un diritto nonostante il diritto esista e possa essere giuridicamente fatto valere… non appare coerente con la norma costituzionale un’interpretazione che si risolve nella negazione di fatto della tutela giurisdizionale a soggetti che senza alcuna colpa siano rimasti ignari del loro diritto e che quindi non avrebbero mai potuto attivarsi tempestivamente per farlo valere davanti ad un giudice…”9 Emerge, quindi, in maniera palese l’esigenza di mediare tra le opposte soluzioni e la necessità di trovare un giusto punto di equilibrio, non dimenticando tuttavia che funzione principale del meccanismo prescrizionale è quella di assicurare la certezza dei rapporti giuridici. Il problema che si pone è quindi quello di selezionare attraverso un criterio oggettivo le ipotesi in cui l’ignoranza del titolare circa l’esistenza del diritto o la possibilità di farlo valere abbia efficacia per così dire sospensiva della decorrenza del termine prescrizionale ed ipotesi che, invece, integrando dei meri impedimenti di fatto di carattere soggettivo rimangono interni alla sfera giuridica del danneggiato. Si tratta quindi di trovare un giusto punto di equilibrio tra le ragionevoli istanze di tutela dei danneggiati ed il principio generale di certezza dei rapporti giuridici. A nostro avviso, tale equilibrio può essere raggiunto attraverso un’adeguata valorizzazione del concetto di attualità dell’interesse ad agire e del principio di buona fede alla stregua del quale valutare se il sospensione della prescrizione l’ignoranza incolpevole del titolare del diritto, in riferimento agli art. 3 e 24 della Costituzione”. 9 Cfr. Tribunale di Termini Imerese, ord. 9 dicembre 2002, cit. 16 www.studiolegalespagnolo.it difetto di conoscenza sia ingiustificato e dipeso dalla violazione del generale dovere di diligenza e informazione gravante sulla generalità dei consociati. Posto, dunque, che il momento in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.), coincide con quello in cui diventa attuale la possibilità e l’interesse al suo esercizio10, tale attualità presuppone a sua volta che il titolare del detto diritto sia a conoscenza della sua esistenza e della possibilità di farlo valere oppure non ne sia venuto a conoscenza per sua colpa. Il concetto di colpa che tuttavia viene in considerazione non coincide con la colpa soggettiva bensì con quella oggettiva intesa quale inosservanza della normale diligenza in relazione a precisi ed obiettivi canoni sociali e professionali di condotta. In altri termini, quindi, vi sarà ignoranza colpevole - e quindi non sospensiva del termine prescrizionale - tutte le volte in cui essa, alla stregua del generale principio di buona fede e rapportata alla normale diligenza - non appaia tale da giustificare il sacrificio del principio generale della certezza del diritto. Al contrario, a nostro avviso, tale principio potrebbe e dovrebbe subire una compressione quando l’ignoranza del titolare del diritto non sia colpevole ovvero sia dipesa da una serie di fattori oggettivi che avrebbero reso impossibile la conoscenza non solo al suo titolare ma a qualsiasi altro individuo accorto e diligente che si fosse trovato nella medesima situazione. In questo modo, il corso della prescrizione non subirebbe interruzioni dipendenti da meri stati soggettivi ma verrebbe ad essere impedito soltanto da eventi estranei alla sfera giuridica del danneggiato e a lui non imputabili per negligenza o trascuratezza. Ci si rende conto tuttavia che la soluzione proposta si pone in 10 Cfr., in tal senso, Roselli e Vitucci, op. cit., 398 ss 17 www.studiolegalespagnolo.it stridente contrasto con la lettera dell’art. 2947 c.c. che, come detto, colloca il termine di decorrenza della prescrizione nel momento di verificazione del fatto inteso come condotta illecita. Ciò nondimeno, e al tempo stesso, ci si accorge che l’interpretazione letterale della norma non è soddisfacente e difficilmente potrebbe sopravvivere ad un’eventuale questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 24 Cost. In questo contesto l’unica via d’uscita rimarrebbe, a nostro avviso, quella legislativa. De iure condendo, infatti, il legislatore potrebbe intervenire inserendo tra le cause di sospensione della prescrizione ex art. 2941 c.c. quella derivante da ignoranza incolpevole dell’avente diritto. Così il termine di prescrizione continuerebbe a decorrere sempre dal momento in cui si verifica il fatto illecito ma esso rimarrebbe sospeso fino a quando il danneggiato non sia in grado, utilizzando la diligenza dell’uomo medio e alla luce del generale principio di buona fede, di avvedersi dell’esistenza del proprio diritto e della possibilità di farlo valere contro un terzo determinato. Del resto questa soluzione non è nuova ma si ritrova anche in alcune normative di carattere settoriale in cui appunto la prescrizione viene fatta decorrere dal momento in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile11. Sotto questo profilo merita di essere segnalata, anche per le implicazioni che essa potrebbe avere sulla disciplina generale della decorrenza del termine di prescrizione, la normativa prevista in materia di risarcimento dei danni conseguenti ad incidenti nucleari e a prodotti difettosi. L’art. 23, comma 1, della l. 21 dicembre 1962, n. 1860 (“impiego pacifico dell’energia nucleare”) così come novellato dal d.p.r. 10 maggio 1975, n. 519 dispone, infatti che “le azioni per il risarcimento dei danni alle cose e alle persone dipendenti da incidenti nucleari si prescrivono nel termine di tre anni dal giorno in cui il danneggiato abbia avuto conoscenza del danno e dell’identità dell’esercente responsabile oppure avrebbe dovuto ragionevolmente esserne venuto a conoscenza”. Nello stesso senso l’art. 13, comma 1 e 2, del d.p.r. 24 maggio 1988, n. 224 (recante “attuazione della direttiva CEE 85/374 in materia di responsabilità da prodotti difettosi”) stabilisce al primo 11 18 www.studiolegalespagnolo.it comma che “il diritto al risarcimento si prescrive in tre anni dal giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza del danno, del difetto e dell’identità del responsabile”; mentre al secondo comma che “nel caso di aggravamento del danno, la prescrizione non comincia a decorrere prima del giorno in cui il danneggiato ha avuto o avrebbe dovuto avere conoscenza di un danno di gravità sufficiente a giustificare l’esercizio di un’azione giudiziaria”. Le norme da ultimo citate vengono spesso utilizzate in dottrina e giurisprudenza per giustificare un’interpretazione estensiva delle norme sulla decorrenza del termine di prescrizione. Cfr., in giurisprudenza, Cass. Civ., sez. III, 21 febbraio 2003, n. 2645; in dottrina, tra gli altri, P. Vitucci, sub art. 2935, in Commentario al Codice Civile, cit. 19 www.studiolegalespagnolo.it