FILOSOFIA della SCIENZA Prof. Alessandro Di Caro Il progetto del Tractatus di Wittgenstein concerne la conoscenza della realtà. Tuttavia la realtà è ristretta al suo uso logico. Difatti il linguaggio, che concerne la logica, è il limite del pensiero umano. Cosicchè ciò che conosciamo attraverso l'uso del linguaggio non è il mostrare ma il dire. Quindi il nostro approccio alla filosofia della scienza concerne la conoscenza del linguaggio. Che cos'è il linguaggio. Il linguaggio non è solo l'Inglese, l'Italiano, etc. ma anche le cifre sen 1= 0 o la proposizione della logica [(p imp q) and p] imp q. Wittgenstein introduce un confronto tra proposizione e immagine:" L'immagine rappresenta la situazione nello spazio logico, l'esistenza e la non esistenza dello stato di cose". Quindi, l'immagine 2 + 2 = 4 rappresenta la situazione nello spazio logico. Poichè l'immagine = + 2 2 non rappresenta: "2.14 Ciò che costituisce l'immagine è il fatto che i suoi elementi sono in una determinata relazione l'uno con l'altro". Tuttavia, il linguaggio non può mostrare la realtà, ma solo la sua relazione proiettiva alla realtà. Wittgenstein: " Alla proposizione appartiene tutto ciò che appartiene alla proiezione, ma non il proiettato". Perchè, ciò che può essere mostrato, non può essere detto. Quindi, la filosofia della scienza differisce dalla scienza riguardo al linguaggio. La scienza è fatta di pratiche individuali (gli esperimenti) ma anche il linguaggio collettivo; invece la filosofia è essenzialmente linguaggio (teorie). Allora , il nostro approccio di filosofia della scienza concerne la scienza della logica; dunque è filosofia della logica. Alessandro DI CARO, Oltre Wittgenstein, ,Transeuropa, Ancona 1996. Altri documenti: http://www.hd.uib.no/wab/sample/201a-1.htm Bibliografia: http://www.hd.uib.no/wab/wabhome.htm PER SCARICARE IL FILE DEI GRAFOLOGI CLICCA QUI GRAFOLOGI Ora è Completo! Lezioni di Filosofia della scienza Sintesi dell'ultima lezione Per domande, chiedi a Di Caro Il corso di questo anno tratta del linguaggio. L'interesse per il linguaggio è soprattutto un interesse filosofico. Ma anche la sociologia odierna guarda attraverso i mass-media con attenzione al linguaggio. L'attenzione al linguaggio nella filosofia comincia con nomi molto noti: Heidegger, Gadamer. Ma questo riferimento classico dimentica che è soprattutto in Wittgenstein che si specifica e si chiarifica perchè il linguaggio diventa importante. Noi non parliamo mai del linguaggio in generale. Ci sono i linguaggi, al plurale. Nè pensiamo mai che, per esempio, il linguaggio della matematica o della chimica possa essere considerato linguaggio come l'italiano. Per Wittgenstein invece ogni espressione dotata di significato è linguaggio. Dunque è linguaggio la notazione matematica ma anche la notazione musicale non solo la scrittura normale che traduce il linguaggio comune Tuttavia ci deve essere qualcosa che unisce tutti i linguaggi. Infatti non li potremmo chiamare linguaggi in generale se questo legame comune non ci fosse. Questo legame comune per Wittgenstein è la logica. Al tempo di Wittgenstein - siamo agli inizi del 1900 - sembrava che la logica, con Peano,Frege e Russell fosse l'elemento unico che fondava la matematica e la filosofia. La crisi dei fondamenti della matematica aveva condotto gli studiosi, tra cui Peano e Frege, a fondare la matematica sulla logica. Ma solo Wittgenstein pensò che se filosofia e matematica sono fondate dalla logica, significa che la logica può essere considerata la fonte generale di ogni significato. Ci sono molteplici linguaggi.La matematica, la logica la notazione musicale. Qual'è l'unità ultima di ogni linguaggio? Per Wittgenstein l'unità ultima del linguaggio italiano, per esempio, non è la parola ma la proposizione.Questo dipende dal fatto che un linguaggio deve essere articolato. In altri termini la serie di parole "tavolo il marrone è" non rappresenta alcun significato anche se le parole sono corrette parole italiane. Anche la pseudoproposizione matematica "2= + 4 2" non rappresenta alcun significato matematico. Per rappresentare le parole devo essere articolate diversamente, corretttamente. Nel primo esempio la corretta articolazione è "il tavolo è marrone" nella seconda "2+2=4". In questo senso un linguaggio mostra la sua articolazione.Non è possibile infatti descrivere l'articolazione di un linguaggio.Sappiamo che "il tavolo è marrone" è una proposizione corretta perchè conosciamo altre innumerevoli proposizioni in cui la forma del linguaggio si mostra in modo identico e in modo diverso. La distinzione dire e mostrare. E' il primo fondamentale canone metodologico del Tractatus e di tutta l'opera di Wittgenstein.Ciò che si può dire non si può mostrare e viceversa. La seconda proposizione del Tractaus afferma "Il mondo è la totalità dei fatti, non delle cose". In questa apparentemente banale proposizione è condensato il discrimine tra dire e mostrare. Un fatto non si può mostrare come invece si può fare per un oggetto (con molta difficoltà invero, perchè anche la semplice indicazione, il mostrare ha bisogno di altri riferimenti linguistici per poter essere chiara) il fatto di un incidente d'auto per esempio deve essere descritto anche se nella descrizione invece di parole - per essere precisi impiego modellini di auto. In genere il mondo del comunicabile intersoggettivamente è il mondo del dire non del mostrare. Il nostro mondo è attraversato - è - il mondo del dire. Il mondo del dire è il mondo della comunicazione, di quello che si chiama anche intersoggettività. Il mondo del mostrare è quello della nostra personale identità della coscienza del mondo, etc, etc. Questo mondo si presenta al mondo del dire con quella finestra vuota che è la parola "io" che può essere occupata, di volta in volta dagli innumerevoli soggetti che parlano il linguaggio . Qual'è l'unità costitutiva del linguaggio? La parola o la proposizione? La risposta di Wittgenstein è: la proposizione. Questo dipende dal fatto che una proposizione per essere significativa deve essere articolata. Se la parola avesse un qualche significato disgiunto dalla proposizione anche la falsa proposizione "è il marrone tavolo" dovrebbe possedere un significato. Invece solo la proposizione "il tavolo è marrone" ha significato non l'altra. Ciò equivale a dire che solo all'interno della proposizione i nomi hanno significato. La proposizione "è il marrone tavolo" è un non senso come ad esempio la pseudoproposizione "abracadabra Socrate". Il senso dipende dunque dalla forma della articolazione e in genere diciamo che questa articolazione dipende dalla forma soggetto predicato. Wittgenstein tuttavia non è affatto soddisfatto da questa semplice caratterizzazione. Innanzitutto perchè questo modello - aristotelico - suppone un'ontologia inaccettabile: i soggetti sarebbero individuali mentre invece i predicati sarebbero universali. Ma la proposizione "la bontà appartiene a Socrate" inverte decisamente questa collocazione. Wittgenstein preferisce dire che le parole sono incastrate l'una all'altra nella proposizione come le maglie di una catena. Visto che è molto precario definire analiticamente il senso di una proposizione, anche se possiamo dire che nella proposizione i nomi sono punti e la proposizione è una freccia che definisce il senso, Wittgenstein preferisce con un escamotage intuitivo parlare del senso come un dato accertato al linguaggio ma che potrebbe anche essere definito come quello che può diventare vero o falso. Ad esempio "il tavolo è marrone" è una proposizione che può diventare vera e falsa - basta confrontarla con un'occhiata del mio io al mondo del mostrare. ma - dall'interno del linguaggio - io so soltanto che è sensata perchè la comprendo. Una proposizione insensata non la comprendo. E quindi non può diventare nè vera nè falsa. L'escamotage di Wittgenstein è di far veder il senso attraverso una bipolarità che possiamo attacare alla proposizione sensata.La proposizione sensata "il tavolo è marrone" puo anche essere scritta così V- "il tavolo è marrone" - F. Quindi la forma generale della proposizione che non sappiamo come può essere se è sensata deve aver la possibilità di esibire la doppia polarità V- -F. La forma generale della proposizione dovrebbe essere quella a cui accenniamo quando indichiamo soggetto-predicato. Visto che non sappiamo come può essere questa forma generale possiamo indicare per ora la proposizione così : p e attaccare la polarità V-p- F. Questo escamotage permette a Wittgenstein di articolare la rappresentazione delle tavole di verità.Se colleghiamo tutti i poli di p con tutti i poli di q possiamo scrivere in modo intuitivo . E' chiaro che questo modo di scrivere è la traduzione immediata delle cosidette tavole di verità pq VV VF FV FF Se le proposizioni sono più di due si può tracciare il diagramma: Che poi conducono alle funzioni di verità, per esempio della congiunzione (in informatica and) quando le due proposizioni sono vere allora la congiunzione è vera: ad esempio "Mario è intelligente e studioso" diventa le due proposizioni p = Mario è intelligente; q = Mario è studioso. Se p e q sono vere allora soltanto la risultante è vera. pq VVV VFF FVF FFF Oppure alla disgiunzione (in informatica or): ad esempio: sarai ammesso alla Facoltà di Sociologia sia che tu abbia frequentato il liceo o anche le Magistrali. E' chiaro che se si possiede entrambi i diplomi l'ammissione è sempre valida. Quindi c'è un solo caso che non va quando non si ha nè il diploma di Liceo nè quello delle Magistrali. pq VVV VFV FVV FFF La terza funzione di verità è il famoso "if...then" o anche l'implicazione materiale che si definisce --> ed ha la seguente tavola di verità che definisce la frase,per esempio" Se Mario studia sarà promosso". p q VVV VFF FVV FFV Come è evidente quando le proposizioni sono 2 (p q) le righe sono 4. Quando la proposizione è unica si ritorna ai due poli V-p-F.La negazione che ha a che fare con una sola proposizione ha la seguente tavola di verità e il simbolo ~. ~p FV VF Il modo di descrivere le funzioni di verità è anche un modo di decisione di proposizioni logiche: Se osserviamo la proposizione [(p-->q) ^ p] --> q si vede che essa è una tautologia applicando le tabelle dei veri e falsi. VVVVVVV VFFFVVF FVVFFVV FVFFFVF Il modo consueto di dedurre- il metodo della deduzione naturale si differenzia dal metodo delle tavole di verità perchè assume sempre la verità delle proposizioni affermate. La proposizione appena verificata si può anche definire con la deduzione naturale in questo modo: 1° (p-->q) 2° p -------------q Sappiamo che (p-->q) è equivalente a ~(p ^ ~q) Sostituiamo: 1° ~(p ^ ~q) 2° p -------------q tesi 3° ~q Assunzione per assurdo della negazione della tesi 4° p seconda premessa 5°p^~q congiunzione di 4° e 5° 6° ~(p ^ ~q) prima premessa 8° Contraddizione tra la 5° e la 6° 9° Dunque l'assunzione (~q) è falsa ed è vera la q come si doveva dimostrare. Come è facile verificare la deduzione naturale assume sempre la verità delle proposizioni, in questo si differenzia dal principio di Wittgenstein. Un'altro punto molto controverso della filosofia di Wittgenstein è la proposizione del Tractatus 3.333, una proposizione che per quanto è dato ricercare non viene mai spiegata con molta precisione.La proposizione recita così: Una funzione non può essere suo proprio argomento, perchè il segno funzionale contiene già un archetipo del suo argomento e non può contenere se stesso. Supponiamo infatti che la funzione F(fx) possa essere il suo proprio argomento. Allora vi sarebbe dunque una proposizione:«F(F(fx))» e, in essa, la funzione esteriore F e la funzione interiore F devono avere significati differenti, poichè quella interiore ha la forma phi (fx); quella esteriore, la forma psi (phi(fx)). Comune ad ambe le funzioni è solo la lettera «F», che però, da sola, non designa nulla.Questo diventa subito chiaro se noi, invece di :«F(Fu)», scriviamo «(Ephi):F(phiu).phiu = Fu». Con ciò si elimina il paradosso di Russell. Abbiamo reso con phi e psi il carattere greco corrispondente che non è malagevole usare su Internet (la citazione si può trovare a p.58-59 del testo Oltre Wittgenstein). Dobbiamo spiegare il paradosso di Russell. Il paradosso di Russell è il famoso paradosso che aveva gettato il sistema logicomatematico di Frege nell' insicurezza. La questione è questa: Frege doveva fondare logicamente la matematica. Sarebbe troppo lungo esaminare la ragione di questo fondamento. Sta di fatto che Frege aveva pensato con la teoria degli insiemi di risolvere il problema. Come si può distinguere un numero da qualcosa che numero non è. Semplice il numero è un insieme che contiene sè stesso: ad esempio 3 sedie contengono anche il numero tre. Invece l'insieme di tre sedie non è affatto una sedia. Dunque ci sono insiemi che contengono se stessi e insiemi che non contengono se stessi Insiemi che non contengono se stessi Insiemi che contengono se stessi L'insieme di tre sedie non è una sedia L'insieme di tre sedie contiene anche il numero 3 La domanda di Russell era: l'insieme di tutti gli insiemi che contengono se stessi contiene sè stesso?Se proviamo a rispondere a questa domanda ci accorgiamo del paradosso infatti abbiamo due soluzioni: SI CONTIENE SE STESSO. Ma poichè per definizione qui ci sono solo e soltanto quegli insiemi che non contengono se stessi vuol dire che non contiene sè stesso. Dunque: NO NO NON CONTIENE SE STESSO.Ma allora proprio perchè qui ci sono tutti gli insiemi che non contengono se stessi vuol dire che fa parte di questi insiemi.Dunque:SI Abbiamo volutamente messo in neretto la contraddizione SI-NO; NO-SI. Questo è il paradosso di Russell che Frege non solo ammise come argomento logico che invalidava la sua costruzione ma che contribuì a far conoscere, con lo spirito tipico dello scienziato che accetta la smentita delle sue teorie. Cosa intende Wittgenstein quando dice che il fatto che una funzione non è suo argomento: è una dimensione che riesce a superare il pradosso di Russell? Qual'è il legame tra la proposizione 3.333 e la soluzione data al suo stesso paradosso da Russell? Wittgenstein vuol significare che, nel linguaggio una funzione non può essere suo argomento. Ad esempio se io scrivo F(Fu) in cui u= Socrate è F=saggio, Posso dire Socrate è saggio, ma non posso dire come invece vorrebbe indicare la funzione Socrate è saggio, è saggio. Posso dire al massimo Socrate è saggio e tutto ciò che ho detto è saggio. Ma naturalmente il concetto di "saggezza" della seconda frase è diversa dalla prima; conseguentemente i due simboli di funzione devono essere diversi così ad esempio F(fu) o in qualsiasi altro modo. La simbologia con cui Wittgenstein spiega queste differenze di notazione si legge esiste un predicato phi tale che la funzione che esprime la funzione relativa al predicato con u e la funzione: che ha come argomento il predicato con u vegono espresse entrambe con Fu. Si tratta di una chiarificazione notazionale che precisa l'uso scorretto della simbologia che viola il fatto che una unzxine non può essere suo argomento. Con ciò Wittgenstein conclude che in questa maniera si elimina il paradosso di Russell. La soluzione del paradosso di Russell in effetti è la soluzione del paradosso relativo appunto alle funzioni: se noi affermiamo che ogni funzione con un argomento incognito determina un insieme dovremmo rappresentare l'insieme di tutti gli insiemi che comprendono sè stessi o l'insieme di ditti gli insiemi che non comprendono sè stessi con una funzione che li raggruppa tutti e che quindi come argomento ha la totalità di quegli insiemi. Ad esempio f(fx) attribuendo alla fx tra parentesi il carattere di totalità.Russell nell'Introduzione ai Principia Mathematica vuol precisare in termini di classi il valore della funzione. Ad esempio se la funzione è fx la classe definita da quella funzione è x (fx) per cui il simbolo che comprende la totalità degli insiemi deve essere espresso (f {z(fz)}) in questa maniera. Ma questa espressione è priva di significato. Potra essere utile confrontare il modo di risoluzione del paradosso in termini di funzioni con quello più vicino alla nostra enunciazione delle classi o degli insiemi. Quando noi diciamo che la totalità degli insiemi deve essere compresa all'interno di sè stessa enunciamo il fatto che un insieme potrebbe appartenere a se stesso o che è lo stesso che un elemento dell'insieme coicida con l'insieme stesso. Russell affermava che una tale proposizione - che cioè un elemento di un insieme sia identico all'insieme stesso è senza significato. La ragione matematica è come è noto il fatto che qualsiasi insieme porta accanto agli elementi dell'insieme anche l'insieme vuoto. Tuttavia Russell continua la sua dimostrazione: Un'altro passo molto difficile del Tractatus è il significato di serie e concetto formale. Questo passo è stato ripreso, tra l'altro da Carnap nell'opera Sintassi logica del linguaggio,(trad.it.Silva,Milano 1966,p.395).Carnap dice: " 'Cosa' è una parola universale (ammesso che le designazioni di cose costituiscano un genus). Nella serie di parola 'cane', 'animale','creatura vivente','cosa', ogni parola è un predicato più comprensivo della precedente, ma soltanto l'ultima è un predicato universale. Nella corrispondente serie di proposizioni,'Fido è un cane','... è un animale', '...una creatura vivente','Fido è una cosa', il contenuto dominuisce progressivamente. L'ultima proposizione, comunque, è fondamentalmente differente da quelle che le precedono in quanto il suo L-contenuto è vuoto ed essa è analitica. Se in 'Fido è una cosa', 'Fido' viene rimpiazzato da qualunque altra designazione di cose, ne risulta un'altra proposizione analitica, se, invece, si rimpiazza 'Fido' con un'espressione che non è una designazione di cose, ciò che ne risulta non è affatto una proposizione". Carnap afferma che il modo di parlare che confonde il concetto cosa con un concetto effettivo è un modo materiale di parlare.Carnap vuole distinguere il concetto "cosa" da un concetto come "Fido". Orbene il primo, direbbe Wittgenstein è un concetto formale e il secondo è un concetto vero è proprio. Ma a differenza di Carnap per Wittgenstein è molto problematico affermare che "Fido è una cosa" è una proposizione analitica. E' una proposizione analitica perchè nel predicato non c'è nulla di più che non ci sia nel sofggetto o perchè è una tautologia? Ad ognuna di queste affermazioni si potrebbero opporre osservazioni contrarie (non ultima l'inesistenza di vere e prorpie proposizioni analitiche Quine -). Ma non è questo l'atteggiamento di Wittgenstein. Per Wittgenstein dire: 'Fido è una cosa' è come dire semplicemente: Fido. Il concetto formale cosa è già dato quando abbiamo introdotto la parola "Fido". In genere dunque non c'è bisogno di introdurre concetti formali e concetti veri e proprii insieme. Ad esempio non si può introdurre il concetto formale di funzione senza dare immediatamente un esempio di funzione. Non posso introdurre Fa chè è una funzione con a come argomento senza appunto descrivere "una" particolare funzione (quella precisamente che ha come argomento a). Non posso presentare una funzione "generale" così: F( ) perchè questo segno è del tutto senza senso. . Si potrebbe descrivere la cosa come se fosse un racconto zen. Il maestro Chou chiede al discepolo di portare l'indomani una cosa. Il discepolo porta una pietra. Il maestro dice "Ma io non volevo una pietra, volevo una cosa" Invano il discepolo porterà libri, legni o spade, il maestro Chou vuole quello che non si può avere empiricamente: il concetto formale di cosa. COSA, OGGETTO, FUNZIONE,COMPLESSO,NUMERO sono tutti concetti formali.Wittgensteindice nel Tractatus: "4.12721. Il concetto formale è già dato non appena è dato un oggetto che ricade sotto esso. Dunque non si possono introdurre oggetti di un concetto formale e il concetto formale stesso quali concetti fondamentali. Dunque non si possono introdurre quali concetti fondamentali, ad esempio, il concetto di funzione ed anche funzioni speciali (come Russell), o il cocetto di numero e numeri determinati". Un altro concetto alquanto difficile è il significato di quello che Wittgenstein chiama concetto formale. Possiamo introdurre la cosa sotto forma di un paradossale racconto zen : «Il Maestro disse al Discepolo:" domani mi dovrai portare una cosa". IL Discepolo l'indomani porta un bastone. Il Maestro ripete: "Ma io non volevo un bastone, volevo una cosa". Il Discepolo porta l'idomani un libro. Il Maestro ripete:"Ma io non volevo un libro, volevo una cosa". Il Discepolo porta l'idomani un frutto. Il Maestro ripete:"Ma io non volevo un frutto, volevo una cosa". Il Discepolo porta l'idomani una ciotola. Il Maestro ripete:"Ma io non volevo una ciotola, volevo una cosa".» Potremmo ripeter il racconto all'infinito... Il paradossale racconto zen sta ad indicare che la parola cosa non ha nella sua generalità un'applicazione pratica. E' appunto un concetto formale. Carnap nell'opera Sintassi logica del linguaggio commenta in maniera molto precisa e scolastica cosa fosse il modo "materiale di parlare" che confonde concetti e concetto formale. Dice Carnap "Nella [...] serie di proposizioni, 'Fido è un cane','... è un animale','...una creatura vivente','Fido è una cosa', il contenuto diminuisce progressivamente. L'ultima proposizione, comunque, è fondamentamente differente da quelle che la predono in quanto il suo L-contenuto è vuoto ed essa è analitica. Se in 'Fido è una cosa' 'Fido' viene rimpiazzato da qualunque altra designazione di cose, ne risulta un'altra proposizione analitica, se, invece, si rimpiazza 'Fido' con un'espressione che non è una designazione di cose, ciò che ne risulta non è affatto una proposizione" (Vedi Carnap, trad.it.Silva,Milano 1966, p. 395). Potremmo ricordare la definizione scolastica di proprsizione analitica, una proprosizione in cui nel predicato non c'è nulla di più di quello che c'è nel soggetto, come diceva Kant. Ma saremmo subito impegolati in una lunga discussione - via Quine - sull'esistenza o meno delle proposizioni analitiche. Potremmo allora preferire dire che 'Fido è una cosa' è una tautologia? Nemmeno questa via soddisfa, non solo perchè per Wittgenstein la tautologia è unsinning non ha cioè il senso usuale delle proposizioni normali ma anche perchè Wittgestein ha un altro argomento molto più logico e, diciamo pure, molto più wittgensteiniano. Dire 'Fido è una cosa' è come dire semplicemente 'Fido'. Questa semplificazione mostra tuttavia che il concetto formale "cosa" è dato appena è data una sua rappresentanza concettuale normale. In altri termini se diciamo 'Fido' sottintendiamo che Fido appunto è una cosa. Il concetto formale appartiene soltanto al dire non al mostrare. I concetti normali come bastone, pietra, libro appartengamo al dire ma anche al mostrare. Il concetto formale "cosa" appartiene solo al dire. Ecco perchè il Maestro zen aveva buon gioco nell'ingannare sempre il suo discepolo... Questo tra l'altro ci fa strada nel capire che gli insiemi costituiti dagli oggetti del dire e quelli del mostrare non sono biunivoci. Se fosse cosi' potremmo benissimo fare a meno delle distinzione e usare solo il dire (questa certezza è un inganno: e la maggior parte dei filosofi del linguaggio non si accorge di quest'inganno, sono infatti proprio gli empiristi che credono all'assoluta identità tra dire e mostrare). Potremmo far capire meglio dicendo appunto che il concetto "cosa" se viene trattato come un vero e proprio concetto porterebbe a paradossi. Chiedersi anche se la parola "cosa" è in fin dei conti è una cosa (i tratti di grafite) o anche che non è una cosa dà la stura a paradossi logici (abbiamo pronta una versione del paradosso di Russell : L'insieme delle 'cose' che non sono delle cose sono delle cose? ). Wittgenstein esprime chiaramente il significato di quanto detto dicendo: "4.12721 Il concetto formale è già dato non appena è dato un oggetto che ricade sotto esso. Dunque non si possono introdurre oggetti di un concetto formale e il concetto formale stesso quali concetti fondamentali. Dunque, non si possono introdurre quali concetti fondamentali, ad esempio, il concetto di funzione e anche funzioni speciali (come Russell), o il concetto di numero e numeri determinati" . C'è uno è determinato'altra caratteristica del concetto formale rispetto al concetto vero e proprio. Il concetto vero e proprio è determinato, non così il concetto formale. La stessa cosa si può dire per la serie formale che come è noto è impiegata da Wittgenstein in 4.1273 del Tractatus (Vedi il testo Oltre Wittgenstein per una spiegazione più esauriente,pp.77-79)per indicare il concetto di successore.Gli elementi della serie formale, non sono determinati, come invece quelli di altra serie. Gli elementi della serie formale successore, pur avendo relazioni interne non sono determinati. Lo sono invece per esempio gli elementi di una serie reale (le lettere dell'alfabate per esempio). Passiamo ora ad altro argomento. Sappiamo come operare con le tavole di verità, sappiamo anche per esempio che la serie di segni V F F F rappresenta la congiunzione. E che la serie di segni V V V F rappresenta invece la disgiunzione. Così come la serie di segni V F V V indica l'implicazione materiale, o filoniana. Sappiamo che da questa serie di segni possiamo ricavare molte informazioni. Che cioè le proposizione di base sono due (se la colonna avesse avuto 8 righe le proposizioni sarebbe state 3, se fossero state sedici le proposizioni sarebbero state 4, e cosi' via secondo la formula 2n ). La colonna dell'implicazione ci dice anche che essa è stata tratta dalla seguente matrice delle tavole di verità (matrice scritta con il metodo della metà della metà) VV VF FV FF E invece se l'implicazione materiale avesse avuto quest'aspetto V V F V le matrici sarebbero state scritte così: VV FV VF FF Ora è possibile tracciare in modo puramente meccanico tutte le possibili combinazioni dei veri e dei falsi: V V V V V V V V F F F F F F F F V V V V F F F F V V V V F F F F V V F F V V F F V V F F V V F F V F V F V F V F V F V F V F V F 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 Riconosciamo alcune funzioni la n.2 è la disgiunzione la n.8 è la congiunzione la n.5 è l'implicazione materiale, la numero è p, la n.6 è q la numero 13 è~p, la n.11è ~q.I limiti di questa tavola sono la n.1 (la tautologia) e la n.16 (la contraddizione). Esse sono per cosi' dire le cornici della logica, infatti non hanno la bipolarità che vi è sempre nelle altre colonne.Esse sono unsinning (non hanno cioè la doppia polarità; hanno un senso unico, come dire nessun senso). Da questa tavola scopriamo l'esistenza di altre funzioni: ad esempio la disgiunzione alternativa (O mangi la minestra o salti la finestra) che è la numero 10; abbiamo la doppia implicazione (la numero 8). uttavia esiste una funzione del tutto particolare la numero 15. Questa funzione ha la straordinaria proprietà di formare tutte le altre funzioni. Essa può essere definita in questa maniera è vera soltanto se le due proposizioni di base sono false: p | q V F V V F F F F V F V F E corrisponderebbe alla negazione di entrambe le basi connesse dalla congiunzione ~p ^ ~q F F F F F V V F F V V V In fatti si chiama negazione congiunta.Se ora applichiamo questa funzione a sè stessa otteniamo altre funzioni: Ad esempio p|q|p|q dà origine alla funzione VVVF: infatti p|q | p|q F V F F V F F V F V F V Possiamo ottenere tutte e sedici le funzioni che abbiamo tracciato? Wittgenstein sembra crederlo (ma con lui sembrano crederlo molti logici) quando dice "5.5 Ogni funzione di verità è un risultato dell'applicazione successiva dell'operazione [...] a proposizioni elementari". Anzi questo punto per lui è un evento assolutamente straordinario tanto che si lascia andare ad espressioni piuttosto enfatiche del tutto estranee all'abituale stile, scarno fino alla laconicità :"Come può l'onnicomprensiva logica, specchio del mondo, usare uncini e manipolazioni cosi' speciali? Solo perchè essi si contessono tutti in un reticolato infinitamente fine, il grande specchio" Ora Wittgenstein ha ragione, ma solo in parte: ci spieghiamo: l'operazione reiterata raggiunge dei limiti (quelli della contraddizione e della tautologia vedi Oltre Wittgenstein,p. 96. Essa non è, per usare un termine della logica matematica - termine beninteso applicato alla matematica un'operazione perfettamente ricorsiva. Si ottengono sì tutte le funzioni ma come aveva già notato la Ascombe, in un testo molto vecchio dal punto di vista della pubblicazione ma ancora efficace, attraverso un uso delle basi non ricorsivo (Cfr. Anscomb, An introduction to Wittgenstein's Tractatus,Huchtinson & Co., LTD, London,1959,cap.10;trad.it., Ubaldini,Roma,1966,p.122). Questo uso (che ha molteplici metodi di applicazione, infatti il mio uso non corrisponde a quello della Ascombe) è documentato a p.96 Oltre Wittgenstein.. Questa circostanza, può lasciare un'ombra di dubbio sul "grande specchio" dell'intera logica. Ci spieghiamo: è certo un risultato molto importante dal punto di vista logico e filosofico aver ridotto tutte le operazioni di verità ad una sola funzione. Tuttavia prorpio per la non perfetta ricorsività di quest'operazione nutriamo dei dubbi sulla possibile sua applicazione. Sarebbe troppo lungo indicare i passaggi per cui la notazione congiunta che ricordiamo è indicata con p|q viene trasformata da Wittgenstein nella seguente N(pq). Quando la notazione indica un numero illimitato di proposizioni di base Wittgenstein usa la notazione Nseguita dalla x greca racchiusa tra parentesi ). Precedentemente Wittgenstein aveva definito lo stesso segno in questa maniera (---- V)(pq) :con i puntini voleva rappresentare il valore falso infatti questa rappresentazione è meglio configurata quando si tratta di un numero indeterminato di proposizioni. La notazione di Wittgenstein qui rivela tutta la sua utilità. Infatti quando procediamo ad avere una funzione di verità da una tavola di verità siamo attrezzati bene per quanto riguarda un numero finito di proposizioni.Ad esempio la congiunzione su due proposizioni viene tracciata dalle tavole di verità: p ^ q V V V V F F F F V F F F Ma quando non sappiamo quante siano le proposizioni può essere utile cominciare cosi' p ^ q V V V F F V V F F F F F Infatti Wittgenstein con la notazione (---- V)(pq) pensa ad uno sviluppo di questo tipo: V V V V . . F F V V V . . F V F V V . . F F F V V . . F . . . . . . F . . . . . . F . . . . . . F F F F F . . V Le perplessità permangono quando Wittgenstein scrive:"5.52 Se tutti i valori di § sono tutti i valori d'una funzione fx per tutti i valori di x, allora N (§) = ~ (E x). fx" (Abbiamo reso così il quantificatore esistenziale). Apparentemente la notazione non rappresenterebbe nulla. In realtà se neghiamo entrambe le espressioni ai due lati del segno di uguaglianza otteniamo per la prima espressione: F V F F V F F V F F V F F V F F V F . . . . . . V F V E negando l'altra espressione otteniamo (E x). fx. In effetti le due espressione sono identiche nel senso che un quantificatore esistenziale è da intendersi come una disgiunzione indeterminata del tipo fa v fb v fc v fd v fe ... Quindi la notazione di Wittgestein è esatta. Anzi potremmo approfondire la cosa cercando un corrispettivo della negazione congiunta in riferimento al quantificatore universale (x). fx che come è noto è da intendersi come una congiunzione indeterminata fa . fb . fc . fe . . . con i segni VFFFFFFFFFF... Tuttavia per quanto tentiamo di operare non riusciamo ad ottenere nulla perchè negando l'ultima espressione riotteniamo FFFFFFFFFFV. E' stato Geach che ha proposto di risolvere la cosa negando prima le basi, in questa maniera: ~p ~q ~r ~s ~t ~u | F F F F F F V V F F F F F F F V F F F F F V V F F F F F F F V F F F F V F V F F F F C'è da dire che questa operazione è corretta fino ad un certo punto. In effetti si ottiene la colonna finale VFFFFFFFFFF... che è appunto un modo per scrivere "Tutto" in quanto si tratta della congiunzione indeterminata «fa.fb.fc.fe.............». Ma l'idea di negare prima singolarmente le basi e che Gheach intende mostrare con la notazione N(x N (fx)) in cui appunto negherebbe prima le basi N (fx) e poi la congiunzione indeterminata N(x) ha lasciato perplessi molti commentatori (Vedi: P.Gheach,Wittgenstein's Operator N, in "Analiys", 41,4, ottobre 1981, p.169 e la replica di R.Fogelin ,Wittgenstein's Operator N, in "Analiys", 42, 1982,p.124 (Fogelin è il più informato commentatore dell'opera di Wittgenstein) e il sostanziale accordo di S.Soames,Generality, truth functions, and expressive capacity in The Tractatus, in "The Philosophical Rewiew", XCII,n.4,ottobre 1983, pp.573-589.). Per questa ragione proponiamo una piccola verifica. La verifica di una proposizione di questo tipo:« Tutti gli uomini sono mortali. Dunque Socrate che è uomo, è mortale». Espresso in termini simbolici la frase tutti gli uomini sono mortali è fx in cui x è uomo e f è mortale. Per cui (x) fx. Possiamo scrivere a= Socrate dunque fa vuol dire Socrate è mortale. Per cui (x)fx ---> fa. L'implicazione può essere scritta cosi': N(N(Np)q). Infatti N (N (Np) q) V F F V F V F F V F V V V F V F 4 3 1 2 La colonna finale - quella numerata 4 - riporta VFVV che è appunto la funzione di verità dell'implicazione.Se ora sostituiamo alla p la notazione di Geach otteniamo: N (N (N N(xN(fx))) q)) V F F V V V F V F F V F V F V V F V F F 5 2 1 3 4 La colonna 5 dice che il nostro calcolo è una tautologia. Questo conferma che la notazione di Geach è esatta, non solo ma in questa maniera abbiamo eliminato ogni segno diverso da N. Veniamo ora ad un altro argomento: è quello definito dalla parola "tutto" e "qualche".Queste parole figurano da sempre nell'ambito della logica.Il sillogismo di Aristotele comincia, nella premessa maggiore e minore sempre con un termine generale o uno particolare ad es.: Tutte le donne sono belle Alcune italiane sono donne Alcune italiane sono belle I rapporti che legano le frasi universali e particolari sono quelli di contrarietà e di contraddittorietà secondo lo schema: I Rapporti tra queste proposizioni tuttavia sembrano non essere calcolabili. Ad esempio si capisce che negando la proposizione Tutte le donne sono belle si afferma o che Nessuna donna è bella o che Non tutte le donne sono belle che vorebbe dire appunto che qualche donna soltanto è bella.Ma se volessimo negare la particolare: Alcune donne sono non belle dovremmo dire: Non è vero che alcune donne sono non belle (brutte), e la nostra affermazione si perde nei meandri degli inganni del linguaggio perchè non potremmo assicurare di affermare la : Tutte le donne sono belle o la Nessuna donna è bella.I logici non sanno caversela che con la deduzione naturale. Ad esempio per capire il rapporto di equivalenza tra una universale e una particolare occorre questa lunga deduzione: Per domande, chiedi a Alessandro Di Caro