FILOSOFIA della SCIENZA
Prof. Alessandro Di Caro
Il progetto del Tractatus di Wittgenstein concerne la conoscenza della realtà. Tuttavia la
realtà è ristretta al suo uso logico. Difatti il linguaggio, che concerne la logica, è il limite del
pensiero umano.
Cosicchè ciò che conosciamo attraverso l'uso del linguaggio non è il mostrare ma il dire.
Quindi il nostro approccio alla filosofia della scienza concerne la conoscenza del
linguaggio.
Che cos'è il linguaggio. Il linguaggio non è solo l'Inglese, l'Italiano, etc. ma anche le cifre
sen 1= 0 o la proposizione della logica [(p imp q) and p] imp q.
Wittgenstein introduce un confronto tra proposizione e immagine:" L'immagine
rappresenta la situazione nello spazio logico, l'esistenza e la non esistenza dello stato di
cose". Quindi, l'immagine 2 + 2 = 4 rappresenta la situazione nello spazio logico. Poichè
l'immagine = + 2 2
non rappresenta: "2.14 Ciò che costituisce l'immagine è il fatto che i suoi elementi sono in
una determinata relazione l'uno con l'altro".
Tuttavia, il linguaggio non può mostrare la realtà, ma solo la sua relazione proiettiva alla
realtà. Wittgenstein: " Alla proposizione appartiene tutto ciò che appartiene alla proiezione,
ma non il proiettato".
Perchè, ciò che può essere mostrato, non può essere detto.
Quindi, la filosofia della scienza differisce dalla scienza riguardo al linguaggio. La scienza
è fatta di pratiche individuali (gli esperimenti) ma anche il linguaggio collettivo; invece la
filosofia è essenzialmente linguaggio (teorie).
Allora , il nostro approccio di filosofia della scienza concerne la scienza della logica;
dunque è filosofia della logica.
Alessandro DI CARO, Oltre Wittgenstein, ,Transeuropa, Ancona 1996.
Altri documenti:
http://www.hd.uib.no/wab/sample/201a-1.htm
Bibliografia:
http://www.hd.uib.no/wab/wabhome.htm
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Lezioni di Filosofia della scienza
Sintesi dell'ultima lezione
Per domande, chiedi a
Di Caro
Il corso di questo anno tratta del linguaggio.
L'interesse per il linguaggio è soprattutto un interesse filosofico.
Ma anche la sociologia odierna guarda attraverso i mass-media con attenzione al
linguaggio.
L'attenzione al linguaggio nella filosofia comincia con nomi molto noti: Heidegger,
Gadamer.
Ma questo riferimento classico dimentica che è soprattutto in Wittgenstein che si specifica
e si chiarifica perchè il linguaggio diventa importante.
Noi non parliamo mai del linguaggio in generale.
Ci sono i linguaggi, al plurale.
Nè pensiamo mai che, per esempio, il linguaggio della matematica o della chimica possa
essere considerato linguaggio come l'italiano.
Per Wittgenstein invece ogni espressione dotata di significato è linguaggio.
Dunque è linguaggio la notazione matematica ma anche la notazione musicale non solo la
scrittura normale che traduce il linguaggio comune
Tuttavia ci deve essere qualcosa che unisce tutti i linguaggi.
Infatti non li potremmo chiamare linguaggi in generale se questo legame comune non ci
fosse.
Questo legame comune per Wittgenstein è la logica.
Al tempo di Wittgenstein - siamo agli inizi del 1900 - sembrava che la logica, con
Peano,Frege e Russell fosse l'elemento unico che fondava la matematica e la filosofia.
La crisi dei fondamenti della matematica aveva condotto gli studiosi, tra cui Peano e
Frege, a fondare la matematica sulla logica.
Ma solo Wittgenstein pensò che se filosofia e matematica sono fondate dalla logica,
significa che la logica può essere considerata la fonte generale di ogni significato.
Ci sono molteplici linguaggi.La matematica, la logica la notazione musicale.
Qual'è l'unità ultima di ogni linguaggio? Per Wittgenstein l'unità ultima del linguaggio
italiano, per esempio, non è la parola ma la proposizione.Questo dipende dal fatto che un
linguaggio deve essere articolato. In altri termini la serie di parole "tavolo il marrone è" non
rappresenta alcun significato anche se le parole sono corrette parole italiane. Anche la
pseudoproposizione matematica "2= + 4 2" non rappresenta alcun significato matematico.
Per rappresentare le parole devo essere articolate diversamente, corretttamente. Nel
primo esempio la corretta articolazione è "il tavolo è marrone" nella seconda "2+2=4". In
questo senso un linguaggio mostra la sua articolazione.Non è possibile infatti descrivere
l'articolazione di un linguaggio.Sappiamo che "il tavolo è marrone" è una proposizione
corretta perchè conosciamo altre innumerevoli proposizioni in cui la forma del linguaggio si
mostra in modo identico e in modo diverso.
La distinzione dire e mostrare. E' il primo fondamentale canone metodologico del
Tractatus e di tutta l'opera di Wittgenstein.Ciò che si può dire non si può mostrare e
viceversa.
La seconda proposizione del Tractaus afferma "Il mondo è la totalità dei fatti, non delle
cose". In questa apparentemente banale proposizione è condensato il discrimine tra dire e
mostrare. Un fatto non si può mostrare come invece si può fare per un oggetto (con molta
difficoltà invero, perchè anche la semplice indicazione, il mostrare ha bisogno di altri
riferimenti linguistici per poter essere chiara) il fatto di un incidente d'auto per esempio
deve essere descritto anche se nella descrizione invece di parole - per essere precisi impiego modellini di auto. In genere il mondo del comunicabile intersoggettivamente è il
mondo del dire non del mostrare. Il nostro mondo è attraversato - è - il mondo del dire. Il
mondo del dire è il mondo della comunicazione, di quello che si chiama anche
intersoggettività. Il mondo del mostrare è quello della nostra personale identità della
coscienza del mondo, etc, etc. Questo mondo si presenta al mondo del dire con quella
finestra vuota che è la parola "io" che può essere occupata, di volta in volta dagli
innumerevoli soggetti che parlano il linguaggio .
Qual'è l'unità costitutiva del linguaggio? La parola o la proposizione? La risposta di
Wittgenstein è: la proposizione. Questo dipende dal fatto che una proposizione per essere
significativa deve essere articolata. Se la parola avesse un qualche significato disgiunto
dalla proposizione anche la falsa proposizione "è il marrone tavolo" dovrebbe possedere
un significato. Invece solo la proposizione "il tavolo è marrone" ha significato non l'altra.
Ciò equivale a dire che solo all'interno della proposizione i nomi hanno significato.
La proposizione "è il marrone tavolo" è un non senso come ad esempio la
pseudoproposizione "abracadabra Socrate". Il senso dipende dunque dalla forma della
articolazione e in genere diciamo che questa articolazione dipende dalla forma soggetto predicato. Wittgenstein tuttavia non è affatto soddisfatto da questa semplice
caratterizzazione. Innanzitutto perchè questo modello - aristotelico - suppone un'ontologia
inaccettabile: i soggetti sarebbero individuali mentre invece i predicati sarebbero
universali. Ma la proposizione "la bontà appartiene a Socrate" inverte decisamente questa
collocazione. Wittgenstein preferisce dire che le parole sono incastrate l'una all'altra nella
proposizione come le maglie di una catena. Visto che è molto precario definire
analiticamente il senso di una proposizione, anche se possiamo dire che nella
proposizione i nomi sono punti e la proposizione è una freccia che definisce il senso,
Wittgenstein preferisce con un escamotage intuitivo parlare del senso come un dato
accertato al linguaggio ma che potrebbe anche essere definito come quello che può
diventare vero o falso. Ad esempio "il tavolo è marrone" è una proposizione che può
diventare vera e falsa - basta confrontarla con un'occhiata del mio io al mondo del
mostrare. ma - dall'interno del linguaggio - io so soltanto che è sensata perchè la
comprendo. Una proposizione insensata non la comprendo. E quindi non può diventare nè
vera nè falsa.
L'escamotage di Wittgenstein è di far veder il senso attraverso una bipolarità che
possiamo attacare alla proposizione sensata.La proposizione sensata "il tavolo è marrone"
puo anche essere scritta così V- "il tavolo è marrone" - F. Quindi la forma generale della
proposizione che non sappiamo come può essere se è sensata deve aver la possibilità di
esibire la doppia polarità V- -F. La forma generale della proposizione dovrebbe essere
quella a cui accenniamo quando indichiamo soggetto-predicato. Visto che non sappiamo
come può essere questa forma generale possiamo indicare per ora la proposizione così :
p e attaccare la polarità V-p- F. Questo escamotage permette a Wittgenstein di articolare
la rappresentazione delle tavole di verità.Se colleghiamo tutti i poli di p con tutti i poli di q
possiamo scrivere in modo
intuitivo
. E'
chiaro che questo modo di scrivere è la traduzione immediata delle cosidette tavole di
verità
pq
VV
VF
FV
FF
Se le proposizioni sono più di due si può tracciare il diagramma:
Che poi
conducono alle funzioni di verità, per esempio della congiunzione (in informatica and) quando le
due proposizioni sono vere allora la congiunzione è vera: ad esempio "Mario è intelligente e
studioso" diventa le due proposizioni p = Mario è intelligente; q = Mario è studioso. Se p e q sono
vere allora soltanto la risultante è vera.
pq
VVV
VFF
FVF
FFF
Oppure alla disgiunzione (in informatica or): ad esempio: sarai ammesso alla Facoltà di Sociologia
sia che tu abbia frequentato il liceo o anche le Magistrali. E' chiaro che se si possiede entrambi i
diplomi l'ammissione è sempre valida. Quindi c'è un solo caso che non va quando non si ha nè il
diploma di Liceo nè quello delle Magistrali.
pq
VVV
VFV
FVV
FFF
La terza funzione di verità è il famoso "if...then" o anche l'implicazione materiale che si definisce --> ed ha la seguente tavola di verità che definisce la frase,per esempio" Se Mario studia sarà
promosso". p q
VVV
VFF
FVV
FFV
Come è evidente quando le proposizioni sono 2 (p q) le righe sono 4. Quando la proposizione è
unica si ritorna ai due poli V-p-F.La negazione che ha a che fare con una sola proposizione ha la
seguente tavola di verità e il simbolo ~.
~p
FV
VF
Il modo di descrivere le funzioni di verità è anche un modo di decisione di proposizioni logiche: Se
osserviamo la proposizione
[(p-->q) ^ p] --> q si vede che essa è una tautologia applicando le tabelle dei veri e falsi.
VVVVVVV
VFFFVVF
FVVFFVV
FVFFFVF
Il modo consueto di dedurre- il metodo della deduzione naturale si differenzia dal metodo delle
tavole di verità perchè assume sempre la verità delle proposizioni affermate. La proposizione
appena verificata si può anche definire con la deduzione naturale in questo modo:
1° (p-->q)
2° p
-------------q
Sappiamo che (p-->q) è equivalente a ~(p ^ ~q)
Sostituiamo:
1° ~(p ^ ~q)
2° p
-------------q tesi
3° ~q Assunzione per assurdo della negazione della tesi
4° p seconda premessa
5°p^~q congiunzione di 4° e 5°
6° ~(p ^ ~q) prima premessa
8° Contraddizione tra la 5° e la 6°
9° Dunque l'assunzione (~q) è falsa ed è vera la q come si doveva dimostrare.
Come è facile verificare la deduzione naturale assume sempre la verità delle proposizioni, in questo
si differenzia dal principio di Wittgenstein.
Un'altro punto molto controverso della filosofia di Wittgenstein è la proposizione del
Tractatus 3.333, una proposizione che per quanto è dato ricercare non viene mai spiegata
con molta precisione.La proposizione recita così:
Una funzione non può essere suo proprio argomento, perchè il segno funzionale contiene
già un archetipo del suo argomento e non può contenere se stesso. Supponiamo infatti
che la funzione F(fx) possa essere il suo proprio argomento. Allora vi sarebbe dunque una
proposizione:«F(F(fx))» e, in essa, la funzione esteriore F e la funzione interiore F devono
avere significati differenti, poichè quella interiore ha la forma
phi (fx); quella esteriore, la forma psi (phi(fx)). Comune ad ambe le funzioni è solo la
lettera «F», che però, da sola, non designa nulla.Questo diventa subito chiaro se noi,
invece di :«F(Fu)», scriviamo «(Ephi):F(phiu).phiu = Fu». Con ciò si elimina il paradosso di
Russell.
Abbiamo reso con phi e psi il carattere greco corrispondente che non è malagevole usare
su Internet (la citazione si può trovare a p.58-59 del testo Oltre Wittgenstein).
Dobbiamo spiegare il paradosso di Russell.
Il paradosso di Russell è il famoso paradosso che aveva gettato il sistema logicomatematico di Frege nell' insicurezza. La questione è questa: Frege doveva fondare
logicamente la matematica. Sarebbe troppo lungo esaminare la ragione di questo
fondamento. Sta di fatto che Frege aveva pensato con la teoria degli insiemi di risolvere il
problema. Come si può distinguere un numero da qualcosa che numero non è. Semplice il
numero è un insieme che contiene sè stesso: ad esempio 3 sedie contengono anche il
numero tre. Invece l'insieme di tre sedie non è affatto una sedia. Dunque ci sono insiemi
che contengono se stessi e insiemi che non contengono se stessi
Insiemi che non contengono se stessi Insiemi che contengono se stessi
L'insieme di tre sedie non è una sedia
L'insieme di tre sedie contiene anche il numero 3
La domanda di Russell era: l'insieme di tutti gli insiemi che contengono se stessi contiene
sè stesso?Se proviamo a rispondere a questa domanda ci accorgiamo del paradosso
infatti abbiamo due soluzioni:
SI CONTIENE SE STESSO. Ma poichè
per definizione qui ci sono solo e soltanto
quegli insiemi che non contengono se
stessi vuol dire che non contiene sè stesso.
Dunque: NO
NO NON CONTIENE SE STESSO.Ma allora
proprio perchè qui ci sono tutti gli insiemi che
non contengono se stessi vuol dire che fa
parte di questi insiemi.Dunque:SI
Abbiamo volutamente messo in neretto la contraddizione SI-NO; NO-SI. Questo è il paradosso di
Russell che Frege non solo ammise come argomento logico che invalidava la sua costruzione ma
che contribuì a far conoscere, con lo spirito tipico dello scienziato che accetta la smentita delle sue
teorie.
Cosa intende Wittgenstein quando dice che il fatto che una funzione non è suo argomento: è una
dimensione che riesce a superare il pradosso di Russell? Qual'è il legame tra la proposizione 3.333 e
la soluzione data al suo stesso paradosso da Russell?
Wittgenstein vuol significare che, nel linguaggio una funzione non può essere suo argomento. Ad
esempio se io scrivo F(Fu) in cui u= Socrate è F=saggio, Posso dire Socrate è saggio, ma non posso
dire come invece vorrebbe indicare la funzione Socrate è saggio, è saggio. Posso dire al massimo
Socrate è saggio e tutto ciò che ho detto è saggio. Ma naturalmente il concetto di "saggezza" della
seconda frase è diversa dalla prima; conseguentemente i due simboli di funzione devono essere
diversi così ad esempio F(fu) o in qualsiasi altro modo. La simbologia con cui Wittgenstein spiega
queste differenze di notazione si legge esiste un predicato phi tale che la funzione che esprime la
funzione relativa al predicato con u e la funzione: che ha come argomento il predicato con u vegono
espresse entrambe con Fu. Si tratta di una chiarificazione notazionale che precisa l'uso scorretto
della simbologia che viola il fatto che una unzxine non può essere suo argomento. Con ciò
Wittgenstein conclude che in questa maniera si elimina il paradosso di Russell.
La soluzione del paradosso di Russell in effetti è la soluzione del paradosso relativo appunto alle
funzioni: se noi affermiamo che ogni funzione con un argomento incognito determina un insieme
dovremmo rappresentare l'insieme di tutti gli insiemi che comprendono sè stessi o l'insieme di ditti
gli insiemi che non comprendono sè stessi con una funzione che li raggruppa tutti e che quindi
come argomento ha la totalità di quegli insiemi. Ad esempio f(fx) attribuendo alla fx tra parentesi il
carattere di totalità.Russell nell'Introduzione ai Principia Mathematica vuol precisare in termini di
classi il valore della funzione. Ad esempio se la funzione è fx la classe definita da quella funzione è
x (fx) per cui il simbolo che comprende la totalità degli insiemi deve essere espresso (f {z(fz)}) in
questa maniera. Ma questa espressione è priva di significato. Potra essere utile confrontare il modo
di risoluzione del paradosso in termini di funzioni con quello più vicino alla nostra enunciazione
delle classi o degli insiemi. Quando noi diciamo che la totalità degli insiemi deve essere compresa
all'interno di sè stessa enunciamo il fatto che un insieme potrebbe appartenere a se stesso o che è lo
stesso che un elemento dell'insieme coicida con l'insieme stesso. Russell affermava che una tale
proposizione - che cioè un elemento di un insieme sia identico all'insieme stesso è senza significato.
La ragione matematica è come è noto il fatto che qualsiasi insieme porta accanto agli elementi
dell'insieme anche l'insieme vuoto. Tuttavia Russell continua la sua dimostrazione:
Un'altro passo molto difficile del Tractatus è il significato di serie e concetto formale.
Questo passo è stato ripreso, tra l'altro da Carnap nell'opera Sintassi logica del
linguaggio,(trad.it.Silva,Milano 1966,p.395).Carnap dice:
" 'Cosa' è una parola universale (ammesso che le designazioni di cose costituiscano un
genus). Nella serie di parola 'cane', 'animale','creatura vivente','cosa', ogni parola è un
predicato più comprensivo della precedente, ma soltanto l'ultima è un predicato universale.
Nella corrispondente serie di proposizioni,'Fido è un cane','... è un animale', '...una
creatura vivente','Fido è una cosa', il contenuto dominuisce progressivamente. L'ultima
proposizione, comunque, è fondamentalmente differente da quelle che le precedono in
quanto il suo L-contenuto è vuoto ed essa è analitica. Se in 'Fido è una cosa', 'Fido' viene
rimpiazzato da qualunque altra designazione di cose, ne risulta un'altra proposizione
analitica, se, invece, si rimpiazza 'Fido' con un'espressione che non è una designazione di
cose, ciò che ne risulta non è affatto una proposizione".
Carnap afferma che il modo di parlare che confonde il concetto cosa con un concetto
effettivo è un modo materiale di parlare.Carnap vuole distinguere il concetto "cosa" da un
concetto come "Fido". Orbene il primo, direbbe Wittgenstein è un concetto formale e il
secondo è un concetto vero è proprio. Ma a differenza di Carnap per Wittgenstein è molto
problematico affermare che "Fido è una cosa" è una proposizione analitica. E' una
proposizione analitica perchè nel predicato non c'è nulla di più che non ci sia nel sofggetto
o perchè è una tautologia? Ad ognuna di queste affermazioni si potrebbero opporre
osservazioni contrarie (non ultima l'inesistenza di vere e prorpie proposizioni analitiche Quine -). Ma non è questo l'atteggiamento di Wittgenstein.
Per Wittgenstein dire: 'Fido è una cosa' è come dire semplicemente:
Fido.
Il concetto formale cosa è già dato quando abbiamo introdotto la parola "Fido". In genere
dunque non c'è bisogno di introdurre concetti formali e concetti veri e proprii insieme. Ad
esempio non si può introdurre il concetto formale di funzione senza dare immediatamente
un esempio di funzione. Non posso introdurre Fa chè è una funzione con a come
argomento senza appunto descrivere "una" particolare funzione (quella precisamente che
ha come argomento a). Non posso presentare una funzione "generale" così: F( ) perchè
questo segno è del tutto senza senso.
. Si potrebbe descrivere la cosa come se fosse un racconto zen. Il maestro Chou chiede al
discepolo di portare l'indomani una cosa. Il discepolo porta una pietra. Il maestro dice "Ma
io non volevo una pietra, volevo una cosa" Invano il discepolo porterà libri, legni o spade, il
maestro Chou vuole quello che non si può avere empiricamente: il concetto formale di
cosa.
COSA, OGGETTO, FUNZIONE,COMPLESSO,NUMERO sono tutti concetti
formali.Wittgensteindice nel Tractatus:
"4.12721. Il concetto formale è già dato non appena è dato un oggetto che ricade sotto
esso. Dunque non si possono introdurre oggetti di un concetto formale e il concetto
formale stesso quali concetti fondamentali. Dunque non si possono introdurre quali
concetti fondamentali, ad esempio, il concetto di funzione ed anche funzioni speciali (come
Russell), o il cocetto di numero e numeri determinati". Un altro concetto alquanto difficile è
il significato di quello che Wittgenstein chiama concetto formale. Possiamo introdurre la
cosa sotto forma di un paradossale racconto zen :
«Il Maestro disse al Discepolo:" domani mi dovrai portare una cosa". IL Discepolo
l'indomani porta un bastone. Il Maestro ripete: "Ma io non volevo un bastone, volevo una
cosa". Il Discepolo porta l'idomani un libro. Il Maestro ripete:"Ma io non volevo un libro,
volevo una cosa". Il Discepolo porta l'idomani un frutto. Il Maestro ripete:"Ma io non volevo
un frutto, volevo una cosa". Il Discepolo porta l'idomani una ciotola. Il Maestro ripete:"Ma
io non volevo una ciotola, volevo una cosa".»
Potremmo ripeter il racconto all'infinito...
Il paradossale racconto zen sta ad indicare che la parola cosa non ha nella sua generalità
un'applicazione pratica. E' appunto un concetto formale.
Carnap nell'opera Sintassi logica del linguaggio commenta in maniera molto precisa e
scolastica cosa fosse il modo "materiale di parlare" che confonde concetti e concetto
formale. Dice Carnap "Nella [...] serie di proposizioni, 'Fido è un cane','... è un
animale','...una creatura vivente','Fido è una cosa', il contenuto diminuisce
progressivamente. L'ultima proposizione, comunque, è fondamentamente differente da
quelle che la predono in quanto il suo L-contenuto è vuoto ed essa è analitica. Se in 'Fido
è una cosa' 'Fido' viene rimpiazzato da qualunque altra designazione di cose, ne risulta
un'altra proposizione analitica, se, invece, si rimpiazza 'Fido' con un'espressione che non
è una designazione di cose, ciò che ne risulta non è affatto una proposizione" (Vedi
Carnap, trad.it.Silva,Milano 1966, p. 395).
Potremmo ricordare la definizione scolastica di proprsizione analitica, una proprosizione in
cui nel predicato non c'è nulla di più di quello che c'è nel soggetto, come diceva Kant. Ma
saremmo subito impegolati in una lunga discussione - via Quine - sull'esistenza o meno
delle proposizioni analitiche. Potremmo allora preferire dire che 'Fido è una cosa' è una
tautologia? Nemmeno questa via soddisfa, non solo perchè per Wittgenstein la tautologia
è unsinning non ha cioè il senso usuale delle proposizioni normali ma anche perchè
Wittgestein ha un altro argomento molto più logico e, diciamo pure, molto più
wittgensteiniano.
Dire 'Fido è una cosa' è come dire semplicemente 'Fido'.
Questa semplificazione mostra tuttavia che il concetto formale "cosa" è dato appena è
data una sua rappresentanza concettuale normale. In altri termini se diciamo 'Fido'
sottintendiamo che Fido appunto è una cosa. Il concetto formale appartiene soltanto al
dire non al mostrare. I concetti normali come bastone, pietra, libro appartengamo al dire
ma anche al mostrare. Il concetto formale "cosa" appartiene solo al dire. Ecco perchè il
Maestro zen aveva buon gioco nell'ingannare sempre il suo discepolo...
Questo tra l'altro ci fa strada nel capire che gli insiemi costituiti dagli oggetti del dire e
quelli del mostrare non sono biunivoci. Se fosse cosi' potremmo benissimo fare a meno
delle distinzione e usare solo il dire (questa certezza è un inganno: e la maggior parte dei
filosofi del linguaggio non si accorge di quest'inganno, sono infatti proprio gli empiristi che
credono all'assoluta identità tra dire e mostrare). Potremmo far capire meglio dicendo
appunto che il concetto "cosa" se viene trattato come un vero e proprio concetto
porterebbe a paradossi. Chiedersi anche se la parola "cosa" è in fin dei conti è una cosa (i
tratti di grafite) o anche che non è una cosa dà la stura a paradossi logici (abbiamo pronta
una versione del paradosso di Russell : L'insieme delle 'cose' che non sono delle cose
sono delle cose? ). Wittgenstein esprime chiaramente il significato di quanto detto
dicendo: "4.12721 Il concetto formale è già dato non appena è dato un oggetto che ricade
sotto esso. Dunque non si possono introdurre oggetti di un concetto formale e il concetto
formale stesso quali concetti fondamentali. Dunque, non si possono introdurre quali
concetti fondamentali, ad esempio, il concetto di funzione e anche funzioni speciali (come
Russell), o il concetto di numero e numeri determinati"
. C'è uno è determinato'altra caratteristica del concetto formale rispetto al concetto vero e
proprio. Il concetto vero e proprio è determinato, non così il concetto formale. La stessa
cosa si può dire per la serie formale che come è noto è impiegata da Wittgenstein in
4.1273 del Tractatus (Vedi il testo Oltre Wittgenstein per una spiegazione più
esauriente,pp.77-79)per indicare il concetto di successore.Gli elementi della serie formale,
non sono determinati, come invece quelli di altra serie. Gli elementi della serie formale
successore, pur avendo relazioni interne non sono determinati. Lo sono invece per
esempio gli elementi di una serie reale (le lettere dell'alfabate per esempio).
Passiamo ora ad altro argomento.
Sappiamo come operare con le tavole di verità, sappiamo anche per esempio che la serie
di segni
V
F
F
F
rappresenta la congiunzione. E che la serie di segni
V
V
V
F
rappresenta invece la disgiunzione. Così come la serie di segni
V
F
V
V
indica l'implicazione materiale, o filoniana.
Sappiamo che da questa serie di segni possiamo ricavare molte informazioni. Che cioè le
proposizione di base sono due (se la colonna avesse avuto 8 righe le proposizioni sarebbe state 3, se
fossero state sedici le proposizioni sarebbero state 4, e cosi' via secondo la formula 2n ). La colonna
dell'implicazione ci dice anche che essa è stata tratta dalla seguente matrice delle tavole di verità
(matrice scritta con il metodo della metà della metà)
VV
VF
FV
FF
E invece se l'implicazione materiale avesse avuto quest'aspetto
V
V
F
V
le matrici sarebbero state scritte così:
VV
FV
VF
FF
Ora è possibile tracciare in modo puramente meccanico tutte le possibili combinazioni dei veri e dei
falsi:
V V V V V V V V F F
F
F
F
F
F
F
V
V
V
V
F
F
F
F
V
V
V
V
F
F
F
F
V
V
F
F
V
V
F
F
V
V
F
F
V
V
F
F
V
F
V
F
V
F
V
F
V
F
V
F
V
F
V
F
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
Riconosciamo alcune funzioni la n.2 è la disgiunzione la n.8 è la congiunzione la n.5 è
l'implicazione materiale, la numero è p, la n.6 è q la numero 13 è~p, la n.11è ~q.I limiti di questa
tavola sono la n.1 (la tautologia) e la n.16 (la contraddizione). Esse sono per cosi' dire le cornici
della logica, infatti non hanno la bipolarità che vi è sempre nelle altre colonne.Esse sono unsinning
(non hanno cioè la doppia polarità; hanno un senso unico, come dire nessun senso).
Da questa tavola scopriamo l'esistenza di altre funzioni: ad esempio la disgiunzione alternativa (O
mangi la minestra o salti la finestra) che è la numero 10; abbiamo la doppia implicazione (la
numero 8).
uttavia esiste una funzione del tutto particolare la numero 15. Questa funzione ha la straordinaria
proprietà di formare tutte le altre funzioni. Essa può essere definita in questa maniera è vera soltanto
se le due proposizioni di base sono false:
p
|
q
V
F
V
V
F
F
F
F
V
F
V
F
E corrisponderebbe alla negazione di entrambe le basi connesse dalla congiunzione
~p
^
~q
F
F
F
F
F
V
V
F
F
V
V
V
In fatti si chiama negazione congiunta.Se ora applichiamo questa funzione a sè stessa otteniamo
altre funzioni: Ad esempio p|q|p|q dà origine alla funzione VVVF: infatti
p|q
|
p|q
F
V
F
F
V
F
F
V
F
V
F
V
Possiamo ottenere tutte e sedici le funzioni che abbiamo tracciato? Wittgenstein sembra crederlo
(ma con lui sembrano crederlo molti logici) quando dice "5.5 Ogni funzione di verità è un risultato
dell'applicazione successiva dell'operazione [...] a proposizioni elementari". Anzi questo punto per
lui è un evento assolutamente straordinario tanto che si lascia andare ad espressioni piuttosto
enfatiche del tutto estranee all'abituale stile, scarno fino alla laconicità :"Come può
l'onnicomprensiva logica, specchio del mondo, usare uncini e manipolazioni cosi' speciali? Solo
perchè essi si contessono tutti in un reticolato infinitamente fine, il grande specchio"
Ora Wittgenstein ha ragione, ma solo in parte: ci spieghiamo: l'operazione reiterata raggiunge dei
limiti (quelli della contraddizione e della tautologia vedi Oltre Wittgenstein,p. 96. Essa non è, per
usare un termine della logica matematica - termine beninteso applicato alla matematica un'operazione perfettamente ricorsiva. Si ottengono sì tutte le funzioni ma come aveva già notato la
Ascombe, in un testo molto vecchio dal punto di vista della pubblicazione ma ancora efficace,
attraverso un uso delle basi non ricorsivo (Cfr. Anscomb, An introduction to Wittgenstein's
Tractatus,Huchtinson & Co., LTD, London,1959,cap.10;trad.it., Ubaldini,Roma,1966,p.122).
Questo uso (che ha molteplici metodi di applicazione, infatti il mio uso non corrisponde a quello
della Ascombe) è documentato a p.96 Oltre Wittgenstein..
Questa circostanza, può lasciare un'ombra di dubbio sul "grande specchio" dell'intera logica. Ci
spieghiamo: è certo un risultato molto importante dal punto di vista logico e filosofico aver ridotto
tutte le operazioni di verità ad una sola funzione. Tuttavia prorpio per la non perfetta ricorsività di
quest'operazione nutriamo dei dubbi sulla possibile sua applicazione.
Sarebbe troppo lungo indicare i passaggi per cui la notazione congiunta che ricordiamo è indicata
con p|q viene trasformata da Wittgenstein nella seguente N(pq). Quando la notazione indica un
numero illimitato di proposizioni di base Wittgenstein usa la notazione Nseguita dalla x greca
racchiusa tra parentesi ). Precedentemente Wittgenstein aveva definito lo stesso segno in questa
maniera (---- V)(pq) :con i puntini voleva rappresentare il valore falso infatti questa
rappresentazione è meglio configurata quando si tratta di un numero indeterminato di proposizioni.
La notazione di Wittgenstein qui rivela tutta la sua utilità. Infatti quando procediamo ad avere una
funzione di verità da una tavola di verità siamo attrezzati bene per quanto riguarda un numero finito
di proposizioni.Ad esempio la congiunzione su due proposizioni viene tracciata dalle tavole di
verità:
p
^
q
V
V
V
V
F
F
F
F
V
F
F
F
Ma quando non sappiamo quante siano le proposizioni può essere utile cominciare cosi'
p
^
q
V
V
V
F
F
V
V
F
F
F
F
F
Infatti Wittgenstein con la notazione (---- V)(pq) pensa ad uno sviluppo di questo tipo:
V
V
V
V
.
.
F
F
V
V
V
.
.
F
V
F
V
V
.
.
F
F
F
V
V
.
.
F
.
.
.
.
.
.
F
.
.
.
.
.
.
F
.
.
.
.
.
.
F
F
F
F
F
.
.
V
Le perplessità permangono quando Wittgenstein scrive:"5.52 Se tutti i valori di § sono tutti i valori
d'una funzione fx per tutti i valori di x, allora N (§) = ~ (E x). fx" (Abbiamo reso così il
quantificatore esistenziale).
Apparentemente la notazione non rappresenterebbe nulla. In realtà se neghiamo entrambe le
espressioni ai due lati del segno di uguaglianza otteniamo per la prima espressione:
F
V
F
F
V
F
F
V
F
F
V
F
F
V
F
F
V
F
.
.
.
.
.
.
V
F
V
E negando l'altra espressione otteniamo (E x). fx. In effetti le due espressione sono identiche nel
senso che un quantificatore esistenziale è da intendersi come una disgiunzione indeterminata del
tipo fa v fb v fc v fd v fe ...
Quindi la notazione di Wittgestein è esatta.
Anzi potremmo approfondire la cosa cercando un corrispettivo della negazione congiunta in
riferimento al quantificatore universale (x). fx che come è noto è da intendersi come una
congiunzione indeterminata fa . fb . fc . fe . . . con i segni VFFFFFFFFFF...
Tuttavia per quanto tentiamo di operare non riusciamo ad ottenere nulla perchè negando l'ultima
espressione riotteniamo FFFFFFFFFFV.
E' stato Geach che ha proposto di risolvere la cosa negando prima le basi, in questa maniera:
~p
~q
~r
~s
~t
~u
|
F
F
F
F
F
F
V
V
F
F
F
F
F
F
F
V
F
F
F
F
F
V
V
F
F
F
F
F
F
F
V
F
F
F
F
V
F
V
F
F
F
F
C'è da dire che questa operazione è corretta fino ad un certo punto. In effetti si ottiene la
colonna finale VFFFFFFFFFF... che è appunto un modo per scrivere "Tutto" in quanto si
tratta della congiunzione indeterminata «fa.fb.fc.fe.............». Ma l'idea di negare prima
singolarmente le basi e che Gheach intende mostrare con la notazione N(x N (fx)) in cui
appunto negherebbe prima le basi N (fx) e poi la congiunzione indeterminata N(x) ha
lasciato perplessi molti commentatori (Vedi: P.Gheach,Wittgenstein's Operator N, in
"Analiys", 41,4, ottobre 1981, p.169 e la replica di R.Fogelin ,Wittgenstein's Operator N, in
"Analiys", 42, 1982,p.124 (Fogelin è il più informato commentatore dell'opera di
Wittgenstein) e il sostanziale accordo di S.Soames,Generality, truth functions, and
expressive capacity in The Tractatus, in "The Philosophical Rewiew", XCII,n.4,ottobre
1983, pp.573-589.).
Per questa ragione proponiamo una piccola verifica. La verifica di una proposizione di
questo tipo:« Tutti gli uomini sono mortali. Dunque Socrate che è uomo, è mortale».
Espresso in termini simbolici la frase tutti gli uomini sono mortali è fx in cui x è uomo e f è
mortale. Per cui (x) fx. Possiamo scrivere a= Socrate dunque fa vuol dire Socrate è
mortale. Per cui (x)fx ---> fa.
L'implicazione può essere scritta cosi': N(N(Np)q). Infatti
N
(N
(Np)
q)
V
F
F
V
F
V
F
F
V
F
V
V
V
F
V
F
4
3
1
2
La colonna finale - quella numerata 4 - riporta VFVV che è appunto la funzione di verità
dell'implicazione.Se ora sostituiamo alla p la notazione di Geach otteniamo:
N (N (N N(xN(fx)))
q))
V F
F
V
V
V F
V
F
F
V F
V
F
V
V F
V
F
F
5
2
1
3
4
La colonna 5 dice che il nostro calcolo è una tautologia. Questo conferma che la notazione
di Geach è esatta, non solo ma in questa maniera abbiamo eliminato ogni segno diverso
da N.
Veniamo ora ad un altro argomento: è quello definito dalla parola "tutto" e
"qualche".Queste parole figurano da sempre nell'ambito della logica.Il sillogismo di
Aristotele comincia, nella premessa maggiore e minore sempre con un termine generale o
uno particolare ad es.:
Tutte le donne sono belle
Alcune italiane sono donne
Alcune italiane sono belle
I rapporti che legano le frasi universali e particolari sono quelli di contrarietà e di contraddittorietà
secondo lo schema:
I Rapporti tra queste proposizioni tuttavia sembrano non essere calcolabili. Ad esempio si capisce
che negando la proposizione Tutte le donne sono belle si afferma o che Nessuna donna è bella o che
Non tutte le donne sono belle che vorebbe dire appunto che qualche donna soltanto è bella.Ma se
volessimo negare la particolare: Alcune donne sono non belle dovremmo dire: Non è vero che
alcune donne sono non belle (brutte), e la nostra affermazione si perde nei meandri degli inganni del
linguaggio perchè non potremmo assicurare di affermare la : Tutte le donne sono belle o la Nessuna
donna è bella.I logici non sanno caversela che con la deduzione naturale. Ad esempio per capire il
rapporto di equivalenza tra una universale e una particolare occorre questa lunga deduzione:
Per domande, chiedi a
Alessandro Di Caro