Alle origini della logica occidentale. Con la sua seconda navigazione1 Platone aveva superato i limiti della ricerca impostata dai filosofi naturalisti (ritrovare le cause della realtà in elementi naturalici) fornendoci le basi ontologiche (le idee sono criterio di giudizio ma anche causa delle cose: l’uomo esiste poiché partecipa, ontologicamente, dell’idea di Umanità) e metafisiche non sviluppate nel pensiero socratico, ma rimanendo sostanzialmente fedele al suo maestro e alla concezione del dialogo come luogo nel quale emerge la verità. Molti filosofi del novecento fanno coincidere con l’opera platonica la vera nascita del logos, inteso come strategia psico-storica dell’Occidente, che porta a un sapere scientifico, un sapere che renda possibile il dominio della realtà da parte dell’uomo attraverso un discorso razionale. Certo, con Platone la filosofia non è ancora sistema, indica piuttosto l’atteggiamento di chi ragiona, di chi pone premesse fondate, di chi non segue procedimenti affrettati: è dialogo, è amore di sapere, non sapienza. Il filosofo con la stessa forza di amore che lega due esseri umani, tende alla verità: la bellezza delle idee che attira l'amore intellettuale del filosofo, è anche il bene dell'uomo (kalokagathia). Il fine della vita umana diventa la visione delle idee e la contemplazione della verità. Una verità e una visione perduta, l'uomo non desidererebbe con tanta forza questa verità se non l'avesse mai vista, se non fosse certo che esiste. In questo senso, non solo si desidera quella che non si ha, ma di più si può affermare: si desidera soltanto quello che non si ha più, che si è perso. L’orfismo e il pitagorismo2, si saldano con la concezione platonica per spiegare che c’è qualcosa che ho perso, di cui sono diventato improvvisamente povero alla nascita, e verso cui tendo poiché l’amo: ed infatti Eros, dio greco dell'amore e della forza, è figlio di Poros e Penia, ossia di Ricchezza e Povertà. In realtà il significato greco di Poros rimanda più alla ricchezza di vie d’uscita, all’espediente, che alla ricchezza in senso lato, e se pensiamo alla nascita come ad un improvviso impoverimento dell’anima rispetto al suo stato di precedente ricchezza (la visione dell’idea), capiamo lo sforzo teorico dell’ultimo Platone che individua un’altra via (sacrificando Parmenide, ma non Socrate) che può condurre l’anima alla realtà ultima: questa via è la Dialettica. La critica di Aristotele all’ontologia della differenza di Platone, ovvero al suo dualismo, aveva fatto emergere delle aporie (senza via d’uscita) nella teoria delle idee, al punto da doverla “revisionare” e rendere più “logica” e coerente: la Dialettica diviene scienza delle idee, un metodo (che in greco significa altresì “via”), una tecnica del dialogo3 filosofico (Fedro) che nel Sofista viene messa a punto organicamente fino a divenire un procedimento logico con delle caratteristiche salienti4. L’amante-filosofo ricerca, povero, ma ricco di espedienti logici e, come un vero amante un può possedere totalmente l’amata, così la scienza non può dominare la realtà, ma al massimo raggiungere “una migliore comprensione dell’idea studiata” (cfr. manuale). Da questo punto in poi le strade di Platone e Aristotele si dividono e mostrano notevoli differenze: a) Aristotele non pone tra i propri interessi centrali la tematica mistico-religiosa e opera un netto distacco da quel clima orfico-pitagorico che tanto aveva influenzato il pensiero platonico; b) sì affida totalmente alla forza del logos, del discorso razionale, senza più appoggiarsi al fascino persuasivo del mito; c) non si interessa alle scienze matematiche ma sviluppa notevolmente lo studio delle scienze empiriche che era rimasto estraneo alle ricerche del maestro; d) abbandona, anche dal punto di vista letterario, la forma filosofica del «dialogo» per impostare il modulo del trattato nel quale le conoscenze vengono ordinate tematicamente e, in ogni sede, esaurientemente svolte e fissate. Andando più a fondo nell’analisi delle differenze si giunge a cogliere la radice di questo fondamentale cambiamento nello « stile » di pensiero. Aristotele rifiuta la dialettica come scienza poiché ritiene che questa si fondi, per sua stessa definizione, sullo scontro tra opinioni e vada alla ricerca più del consenso che della verità. In questa critica vi è un elemento di continuità con la posizione antisofistica di Platone, il quale intendeva certamente la dialettica come ragione discorsiva e non come esercizio retorico, ma è presente anche una definitiva chiusura nei confronti del dialogo socratico-platonico sostituito con la scienza della dimostrazione la quale non richiede alcun dibattito tra opinioni ma, esclusivamente, un estremo rigore interno. Dal punto di vista metafisico la sostanziale differenza tra i due autori è nel rifiuto aristotelico del dualismo platonico. Aristotele riconosce al maestro il merito di aver sottolineato la presenza nella L’opera di ricerca filosofica è un persuadere le anime (Fedone); Platone fa esplicito riferimento alla metafora della seconda navigazione. Con questo termine i greci indicavano la navigazione a remi, più faticosa di quella a vela (prima navigazione) e utilizzata in caso di necessità (come la mancanza di vento). La seconda navigazione è proprio l’uso dei lògoi, che pongono una sostanziale differenza e frattura tra pensiero-parola e realtà. Platone, ben lungi dall’essere il filosofo della scienza forte e dottrinaria che per molti anni gli è stata erroneamente attribuita, ha scoperto, di fatto, l’impossibilità di raggiungere una verità piena ed incontrovertibile. 2 Platone elabora la famosa dottrina della reminiscenza, secondo la quale l’apprendere è un ricordare (anàmnesis). Tale dottrina si rifà alla credenza religiosa propria dell'orfismo e del pitagorismo secondo la quale quando il corpo muore, l'anima si reincarna in un altro corpo, poiché è immortale. Platone sfrutta tale mito fondendolo con l'assunto fondamentale che esistano delle Idee che hanno caratteristiche opposte agli enti fenomenici: sono incorruttibili, ingenerate, eterne, non soggette a mutamento 3 Il dialogo si svolge attraverso due momenti: 1)determinazione e definizione di una certa idea (il ti estì di Socrate); 2) divisione dell’idea nelle sue articolazioni interne. 4 La tecnica dialettica “consisterà nel definire un’idea mediante successive identificazioni e diversificazioni, attraverso un processo di tipo “dicotomico”, che avanza dividendo per due un’idea, sino a giungere ad un’idea indivisibile” (Abbagnano, cfr manuale) 1 realtà di un elemento formale ma non accetta i caratteri che a esso sono stati attribuiti: 1) porre le idee (o forme) in un altro luogo rispetto alla realtà sensibile apre il complesso problema del raprporto tra i due « mondi» e richiede la presenza di un terzo elemento che li possa conciliare; 2) ad aumentare il distacco contribuisce la pretesa platonica, presente almeno in alcuni dei suoi scritti, di far corrispondere a ogni cosa una singola idea. Da ciò deriva la difficoltà di postulare l’esistenza di idee di cose non esistenti (come ad esempio le qualità) a di aprire un processo all’infinito che produca tante realtà sovrasensibili quante sono le differenze esistenti tra le singole cose. La duplicazione ideale degli enti è dunque, a parere di Aristotele, una metafora di carattere poetico che riproduce e complica i problemi già esistènti nell’analisi della realtà del mondo sensibile. Egli preferisce ammettere la presenza di una dimensione intellegibile nell’unica realtà esistente. LA LOGICA COME « SCIENZA DELLA DIMOSTRAZIONE » Aristotele ammette l’esistenza di un’unica realtà e, all’interno di essa, di numerosi ambiti che richiedono una metodologia specifica. Fondamentale per l’analisi di qualsiasi oggetto è il rigore della forma della conoscenza e questo compito è svolto dall’analitica (o logica) che studia il linguaggio e le sue articolazioni. Quella di Aristotele è una logica formale (che non entra cioè in merito al contenuto) ma, allo stesso tempo, si presuppone in essa una corrispondenza tra linguaggio e realtà (in continuità con Parmenide e Platone). In ogni proposizione è possibile distinguere un soggetto (con il quale si indica la « sostanza» in questione) e un predicato (corrispondente a un «attributo » della sostanza); ogni volta che noi ci chiediamo «che cos’è » qualcosa, rispondiamo facendo riferimento a una di queste 10 categorie logiche (sostanza, quantità, qualità, relazione, agire, patire, luogo, tempo, avere, giacere) alle quali qualsiasi termine deve poter essere riportato e che, come vedremo, corrispondono a quelle ontologiche. Le categorie sono indefinibili poiché, elementi primi della logica, non hanno nulla che le preceda e a cui possano essere ricondotte; altrettanto indefinibili sono gli individui (es. Luigi, quella mela, ecc.) poiché sono particolari e non assimilabili a categorie generali (Luigi è un uomo ma, spiegando cos’è un uomo non spiego totalmente chi è Luigi). Possiamo definire solo i termini che stanno tra le categorie e gli individui (non «sostanza » né «Luigi » ma uomo) e sono essi che noi utilizziamo nei giudizi e nelle proposizioni. Definire un termine significa indicare con precisione l’oggetto cui si riferisce ed è possibile solo facendo riferimento al genere prossimo e alla differenza specifica: l’uomo è un animale (questo è il genere prossimo nel quale è inserito poiché, ad esempio, «vivente » sarebbe ancora troppo ampio) razionale (questa è la differenza specifica poiché, ad esempio. l’essere «bipede » non è proprio solo dell’uomo). Ogni definizione è valida o non valida, mai vera o falsa poiché, in realtà, il predicato non aggiunge nulla al soggetto ma semplicemente, ne esplicita l’essenza correttamente o meno. Proposizioni e sillogismi Il problema della «verità », che per Aristotele concerne solo il linguaggio e non la realtà, compare invece con le proposizioni poiché, in esse, si afferma o si nega un concetto rispetto a un altro: la proposizione «oggi nel cielo splende il sole » unisce concetti che possono essere collegati anche nella realtà o possono non esserlo (il cielo potrebbe essere nuvoloso e il sole non splendervi) dunque può essere «vera » o «falsa ». Quello che noi chiamiamo «ragionamento» compare però solo quando giungiamo a connettere tra di loro più proposizioni e, secondo Aristotele, ciò avviene secondo una struttura necessaria denominata sillogismo e corrispondente al ragionamento perfetto. La «perfezione » del sillogismo consiste nel fatto di essere un meccanismo che, se ben impostato, porta a conclusioni necessariamente vere: abbiamo in esso una premessa maggiore (es. Se tutti gli uomini sono mortali), una premessa minore (e se Socrate è un uomo) e una conclusione (allora Socrate è mortale) che, evidentemente, risulta dalle precedenti proposizioni senza richiedere alcuna « dialettica » di opinioni diverse. Il punto fondamentale che rende « perfetto » il sillogismo è la concatenazione tra le proposizioni e, quando questa è corretta, si parlà di sillogismo valido, ma il fatto che sia « valido » non significa che esso sia anche «vero ». poiché potrei aver posto delle premesse false e, correttamente, aver dedotto delle false conclusioni. Sorge così il problema di come sia possibile fondare le premesse per ottenere un sillogismo «scientifico: i. le premesse devono essere vere e prime (non devono richiedere alcuna dimostrazione); 2. sono conoscibili attraverso due processi, opposti a quello deduttivo che caratterizza il sillogismo, chiamati induzione (dal particolare all’universale attraverso una visione istantanea legata all’esperienza) e di intuizione (immediata visione intellettiva che coglie i principi primi). I principi logici fondamentali Ogni singola disciplina scientifica avrà delle premesse e principi propri ottenuti con il procedimento induttivo o intuitivo ma vi saranno anche alcuni assiomi comuni a tutte: 1. il principio di identità, che esprime la necessità che ogni contenuto mentale abbia un’identità con se stesso. In realtà non viene formulato da Aristotele poiché, pur sotteso a tutta la sua logica, è un prodotto del pensiero medievale; 2. il principio di non contraddizione, che asserisce l’impossibilità di affermare dello stesso soggetto (nello stesso tempo e nello stesso rapporto) due predicati contraddittori; 3. il principio del terzo escluso (tertium non datur), secondo il quale non è possibile che ci sia un termine medio tra due contraddittori (proprio perché escludendosi non ammettono altre possibilità). L’evidente scopo di questi principi generali è quello di evitare il «gioco linguistico», tipico della retorica e della sofistìca, nell’ambito della verità scientifica e di non cadere negli errori caratteristici del linguaggio comune. Ancora sulle differenze tra Platone e Aristotele… Quella che in termini storici possiamo chiamare "filosofia platonica" - ovvero il corpus di idee e di testi che definiscono la tradizione storica del pensiero platonico - è sorta dalla riflessione sulla politica. Come scrive Alexandre Koiré: "tutta la vita filosofica di Platone è stata determinata da un avvenimento eminentemente politico, la condanna a morte di Socrate". Occorre tuttavia distinguere la "riflessione sulla politica" dall'"attività politica". Non è certo in quest'ultima accezione che dobbiamo intendere la centralità della politica nel pensiero di Platone. Come egli scrisse, in tarda età, nella Lettera VII del suo epistolario, proprio la rinuncia alla politica attiva segna la scelta per la filosofia, intesa però come impegno "civile". La riflessione sulla politica diventa, in altre parole, riflessione sul concetto di giustizia, e dalla riflessione su questo concetto sorge un'idea di filosofia intesa come processo di crescita dell'Uomo come membro della polis. Fin dalle prime fasi di questa riflessione, appare chiaro che per il filosofo ateniese risolvere il problema della giustizia significa affrontare il problema della conoscenza. Da qui la necessità di intendere la genesi del "mondo delle idee" come frutto di un impegno "politico" più complessivo e profondo, in epoca di crisi democratica destinata ad accentuarsi e a spegnere la fiaccola della filosofia come impegno civile, infatti: “Gli anni che separano Platone da Aristotele sono relativamente pochi. Eppure il tempo in cui Aristotele si trova a vivere è già profondamente diverso da quello del maestro. La crisi della polis, al di là delle utopie platoniche, appare ormai irreversibile e tutti i tentativi di arginarla finiscono per naufragare di fronte alla pressione della potenza macedone, che nella metà del IV secolo dà inizio al progressivo asservimento della Grecia e alla corrosione della libertà della polis. In questa mutata situazione il cittadino greco, non più direttamente coinvolto nelle faccende del governo ed inglobato in un più vasto organismo statale del quale altri reggono le fila, perde quella passione per la politica che aveva costituito anche la molla del platonismo. Da ciò l’emergere di altri interessi, soprattutto conoscitivi ed etici che costituiranno, come vedremo, una delle caratteristiche dell’età ellenistica. Questa diversa atmosfera storica, politica e culturale risulta chiaramente percepibile dall’insieme delle circostanze e degli interessi che caratterizzano la vita di Aristotele.” (Abbagnano) Queste mutate condizioni politiche, ci aiutano a introdurre alcune differenze di fondo tra Platone e Aristotele. Aristotele ha sempre rifiutato di credere che la filosofia possa essere nata da cause oggettive, materiali, dalle contraddizioni della vita sociale. Per lui la metafisica era nata dall'esigenza di conoscere, a prescindere dalla realtà concreta. Paradossalmente, in questo Aristotele è più conservatore di Platone, il quale, pur avendo affermato un essere assai lontano dalla realtà (in quanto doveva essere la realtà a modellarsi sulle idee e non queste a riflettere la realtà), aveva però intenzione, sul piano etico-politico, di costituire un progetto significativo. Viceversa, Aristotele, che pur senza volerlo ha saputo mostrare un senso della realtà più spiccato (anche se non in senso storico, politico e sociale), sembra piuttosto assomigliare a un positivista come Comte, o a un filosofo della scienza estraneo alla politica (come il Kant della prima Critica). Nella metafisica di Aristotele la definizione dell'essere diventa una questione di "linguaggio". Il linguaggio (la logica anzitutto) permette di osservare l'essere da diversi punti di vista, i quali però sono tutti riconducibili a uno solo: quello di sostanza. Essere e sostanza coincidono, ma è la sostanza, in ultima analisi, che decifra l'essere. Ogni aspetto del reale partecipa dell'entità dell'essere solo nella misura in cui il filosofo è in grado di individuarne la sostanza. Se Platone era in un certo senso totalitario sul piano politico5, Aristotele lo diventa su quello ontologico (il che, in un certo senso, è peggio). Nel dare un maggiore risalto alla realtà fisica (rispetto a quanto aveva fatto Platone), Aristotele nega che una realtà la cui sostanza non sia individuabile dal filosofo, possa partecipare all'essere. L'essere diventa ora un'entità conoscibile solo in maniera logico-speculativa. Con Aristotele, non è più l'essere che, in forza della propria oggettività, ha qualcosa da "rivelare" all'uomo. Anzi, neppure l'uomo è più disposto ad ascoltare, ad osservare la realtà contemplandone il mistero. Sembrerebbe che dopo i Sofisti non sia più possibile veramene una pratica della filosofia come attività disinteressata, se è vero che in Platone essa diventa impegno civile per il cambiamento politico e invece in Aristotele diventa conoscenza per la conoscenza: qualcuno potrebbe obiettare 5 Ma cfr intervista a Vegetti su EMSF-RAI: Platone, soprattutto dalla tradizione di carattere liberale, è stato considerato colui che ha inventato una società chiusa, una società autoritaria e tirannica. Pensiamo a Popper, che lo ha definito come colui che avrebbe dato luogo a tutte le forme di tirannia e di dispotismo. Lei è d'accordo con questa interpretazione ? In Platone c'è sicuramente un aspetto fondamentale che si situa all'esatto opposto della tradizione liberale e democratica occidentale moderna. Per lui il punto di vista della comunità veniva sempre prima rispetto al punto di vista dell'individuo. Se infatti solo una comunità giusta poteva produrre individui giusti, l'individuo era considerato come strumentale rispetto alla comunità, che aveva il ruolo decisivo. Da questo punto di vista il pensiero di Platone si pone certamente agli antipodi rispetto a quel pensiero liberale che lo ha accusato di arcaismo, di spirito tribale, di immaginare la città molto più come un clan o una tribù che non come un aggregato di individui autonomi e liberi. Sembra dunque lecito ritenere che il pensiero platonico fosse totalitario. Per Platone solo un gruppo ristretto di uomini, i filosofi, conoscitori del bene, avevano il diritto e il dovere di trasformare la città e di governarla, mentre agli altri spettava solo il dovere di seguire le indicazioni dei filosofi. D'altra parte è vero anche che Platone, proprio in virtù del fatto che pose l'orizzonte dei valori, ovvero il bene, sempre al di là di ogni esistente dato, creò una possibilità di critica, liberatrice e libertaria, rispetto all'esistente. Infatti, se il bene non coincide mai con una data situazione, neppure con quella che i filosofi potrebbero realizzare, perché il bene non si attua mai compiutamente nella realtà, allora ogni situazione è provvisoria, è precaria, è criticabile, è trasformabile. Da questo punto di vista, dunque, non credo che Platone possa considerarsi un pensatore totalitario, in quanto aprì una radicale possibilità di critica dell'esistente in ogni suo aspetto o momento, in base alla quale anche il governo dei filosofi poteva essere criticato. A tal proposito vale la pena ricordare che Platone non è stato soltanto criticato dal pensiero liberale, ma è stato anche visto con simpatia da forme di pensiero rivoluzionario. che smette comunque di essere un’attività disinteressata se la si interpreta come attività capace di rispondere all’esigenza di padroneggiare, in un certo senso, la realtà con la logica formale. Resta il fatto che. Almeno nelle intenzioni, Aristotele pensa che il compito della filosofia non debba essere quello che le aveva assegnato Platone. Questi pensava che la filosofia dovesse servire alla ricostruzione della città, assolvendo una funzione non solo conoscitiva ma anche etico-politica; Aristotele, invece, afferma letteralmente che la filosofia è "inutile", nel senso che è l'attività più alta dell'uomo ed è pura conoscenza. La conoscenza viene perseguita solo in virtù di se stessa: conosciamo per conoscere. Di seguito alcune caselle di testo elaborate da studenti sulle differenze tra i due filosofi: prova anche tu ad elaborarne una tua… ANALOGIE: - Sia Aristotele che Platone rimangono legati alla metafisica - Parlano tutti e due di Essere - Entrambi scrivono testi filosofici - entrambi parlano di perfezione in un mondo solo che Aristotele la identifica nel mondo lunare dotato di modo circolare mentre Platone parla di Iperuranio - entrambi usano la dialettica - entrambi parlano di etica e SOMMO BENE che in P si concretizza proprio nell'idea di Bene mentre per Aristotele l'etica è la scienza che indirizza l'agire dell'uomo, ogni fine indirizza ad un altro fine finché non si arriva al fine ultimo, il sommo bene, che consiste nel realizzare le proprie capacità al massimo. le virtu aristoteliche sono etiche ovvero che guidano le azioni dell'uomo e dianoetiche che derivano dalla razionalità dell'anima in generale. - entrambi parlano di anima DIFFERENZE: - La metafisica per Aristotele è astratta senza scopi pratici, per Platone tutto il suo sistema è metafisico - Platone vuole costituire un progetto sia nel campo etico che politico, mentre Aristotele ha più forte il senso della realtà - Aristotele parla di Sinolo (unione sostanza e materia) ogni cosa è sinolo e non copia come avrebbe detto Platone: per Platone, infatti, l'essenza della cosa è l'idea la materia e copia imperfetta dell'idea - A. Divide l'essere in categorie, Platone no - Platone parla di Demiurgo che plasma la materia Aristotele parla di Dio come motore immobile che pensa ma non fa nulla, ma le due idee sono molto differenti - L'Essere non è più grande dell'uomo per A. è infatti l'uomo che gli attribuisce caratteristiche. - Gli scritti di Aristotele sono alcuni pubblici altri privati e nn sono dialogici come quelli di Platone - Concezione dell'universo - Aristotele non usa la dialettica riferita alle idee,come Platone, ma hai concetti universali - Essenza per Aristotele risponde alla domanda "che cos’è?" e costituisce la vara natura della cosa, per Platone essa si identifica con le idee - Platone parla di una realtà riconducibile ad un unico genere: l'essere, l'uno, il Bene, il Bello, Aristotele parla invece di CATEGORIE - Aristotele pensa che è "soltanto inutile per un re essere un filosofo, ma anche uno svantaggio...", Platone parla di filosofo Re o Re = filosofo...la loro concezione politica quindi si differenzia - Aristotele non parla di STATO IDEALE come Platone nella sua Repubblica, ma analizza i tipi di stato esistenti - Aristotele impronta la sua ricerca filosofica più sul piano della biologia e della filo naturale, mentre Platone invece fa molta importanza alla matematica - L'anima di A non poteva esistere senza il corpo (sinolo), per Platone l'anima è indipendente: vedi mito delle biga alta Per A ci sono due tipi di enti: 1. Enti artificiali = non hanno movimento 2. Enti naturali = possiedono il movimento il divenire I Primi quindi possono muoversi solo se mossi da altri enti o per accidente. Né deriva che gli enti artificiali nn sono soggetti alle 4 cause a cui sono sottoposti invece gli enti naturali. Aristotele è stato sempre affiancato a Platone, essendo stato suo discepolo per vent ’anni; ma in realtà tra i due filosofi vi sono più differenze che somiglianze: 1 Platone è poliedrico, gli interessi sono di tipo morale e religioso verso la ricerca della “saggezza”, Aristotele invece ha interessi scientifici, e ricerca la “sapienza”. 2 Platone ha un pensiero verticista e gerarchico in quanto cerca di salire a livello politico,morale e religioso; Aristotele no ha un pensiero verticista ma orizzontale in quanto tutte le cose stanno sullo stesso piano a livello di conoscenza 3 Platone ha una concezione dualistica secondo cui esistono un essere fisico e uno metafisico; Aristotele afferma che esiste un’enciclopedia del conoscere, tutto ha lo stesso valore e la conoscenza è sempre dell’essere, quindi è una concezione monistica. 4 Platone fa un filosofare sempre soggetto a cambiamento, la sua è una filosofia aperta; Aristotele invece ha un pensiero organico e sistematico, ma forse perché abbiamo solo le opere scolastiche 5 Platone concepisce una natura astratta in quanto ha più interessi nell’essere fisico, Aristotele ha interessi scientifici e predilige la fisica 6 Aristotele crede che conosciamo le idee ma a differenza di Platone non crede che vivano in un altro mondo, bensì che siano la struttura e la forma intrinseca della realtà. Aristotele arriva a questo perché crede che concretamente le idee non spiegano il mondo fisico, non c’è rapporto tra idee e mondo fisico secondo Platone. Quindi le idee sono nella realtà o nell’iperuranio?? Secondo Aristotele Platone cade in continue contraddizioni. Secondo Aristotele invece conosciamo le idee ma a differenza del maestro Aristotele le concepisce all’interno del mondo fisico, quindi non disprezza la teoria del maestro ma la immerge nel mondo fisico (materia e forma). Le idee secondo lui sono una componente della realtà fisica, e non sono più il vero essere ma una parte principale dell’essere(realismo moderato).Afferma che ci sono tante idee quanti sono gli aspetti dell’essere; e divide le scienze in tre gruppi: 1 scienze “teoretiche” che studiano aspetti dell’essere ma hanno in comune l’essere come necessità, quindi aspetti tutti necessari 2 scienze “pratiche”riguardano la possibilità e studiano l’agire dell’uomo e sono due: morale e politica 3 scienze “poetiche” riguardano sempre la possibilità e studiano il frutto dell’agire umano: le arti e i mestieri umani. Le scienze “teoretiche” sono la metafisica, la fisica , la matematica. La tua elaborazione