Editing Federica Benerecetti 1/7/13 L’IMPERO DI ALESSANDRO MAGNO E LA NASCITA DELLA CIVILTÀ ELLENISTICA (360-30 a.C.) 1. DAL DECLINO TERRITORIALE DELLA PÓLIS ALL’AFFERMAZIONE DELLO STATO 1.1 Il crollo della pólis La faziosità del mondo greco L’esperienza delle città-Stato ebbe in Grecia una durata di tempo limitata. I conflitti tra le póleis si protrassero per quasi un secolo (dal 431 al 338 a.C.), a causa: della costante faziosità interna al mondo greco; del rifiuto delle singole città di sottomettersi al potere di una di esse; dell’aspirazione a una libertà assoluta. Questi fattori impedirono la formazione di uno Stato unitario in grado di garantire una pace interna e determinarono il crollo delle maggiori potenze. Atene, Sparta e infine Tebe avevano tentato con le Leghe di creare un organismo politico federale sovranazionale, ma il tentativo era fallito sostanzialmente perché le Leghe non erano fondate su basi paritarie ma sul predominio di una città egemone sulle altre. Solo lo sfruttamento di risorse esterne, infatti, permetteva alla pólis, che era un centro di consumo e non di produzione, di garantire l’uguaglianza dei cittadini: così l’uguaglianza degli spartiati era possibile solo con lo sfruttamento di iloti e perieci, quella dei cittadini ateniesi con lo sfruttamento degli alleati-sudditi della Lega delio-attica. Le conseguenze della guerra Lo stato di guerra quasi permanente causò alla lunga trasformazioni letali per le póleis. La difesa della città, che fino alla fine del V secolo a.C. era stata affidata a cittadini soldato, era passata via via nelle mani di soldati professionisti, per lo più mercenari, in grado di adottare nuove tecniche di combattimento sempre più perfezionate, come la fanteria leggera e lo schieramento obliquo, quest’ultimo adottato per la prima volta da Epaminonda nella battaglia di Leuttra. Gli eserciti mercenari risultavano però poco affidabili, perché pronti a cambiare padrone e passare al servizio del migliore offerente; inoltre, mantenerli era troppo costoso per le piccole póleis, che divennero quindi facile preda dei ricchi sovrani che potevano permettersi eserciti professionisti anche di grandi dimensioni. Le guerre determinarono l’impoverimento dei piccoli e medi proprietari terrieri e favorirono l’accumulo di ricchezza di pochi, che investirono le ingenti risorse nell’acquisto di terra e nella creazione di vasti latifondi. Si accentuarono di conseguenza le disparità sociali e si verificò un notevole decremento demografico. Le spese di guerra determinarono una grave crisi nelle finanze dello Stato, che non riuscì più a mantenere i cittadini poveri. A peggiorare la situazione intervennero frequenti carestie, mentre l’afflusso di metalli nobili, che i Persiani prima e i Macedoni poi fecero affluire in Grecia per attirare, con la corruzione, le città dalla propria parte, produsse inflazione e perdita di potere d’acquisto delle valute cittadine. Con le guerre, infine, aumentò inevitabilmente il numero degli schiavi, e ciò determinò minori opportunità di impiego per i cittadini liberi. Nuovi conflitti e nuovi poteri La crisi provocò conflitti sociali, rivolte, contrasti armati tra opposte fazioni, massacri e trasformazioni radicali nella vita politica. Infatti, i cittadini costretti a lavorare per vivere non potevano più permettersi di partecipare alle assemblee, perché lo Stato non garantiva più la 1 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 distribuzione della ricchezza come faceva un tempo. I più ricchi sopperivano alle carenze dello Stato con le proprie risorse, finanziando le distribuzioni gratuite di grano, la celebrazione di feste, la costruzione di edifici pubblici, il funzionamento di terme e palestre. Ma in cambio ottenevano fama e potere e il controllo incondizionato delle assemblee cittadine. Con un processo inverso rispetto alle origini, il potere delle póleis passò dal popolo alle nuove oligarchie e addirittura alcuni personaggi particolarmente famosi ottennero onori quasi divini. La pólis stava via via rinunciando ai principi di uguaglianza e libertà che ne erano alla base e si avviava a cadere in potere di monarchie e tirannidi. Il primo Stato territoriale ellenico Il passaggio dalle città-Stato alla creazione di uno Stato territoriale avvenne in Grecia in modo traumatico, perché le póleis, che per circa mezzo millennio avevano costituito l’unica forma politica concepibile in Grecia, furono costrette a sottomettersi a uno Stato-etnico, rimasto per secoli ai margini della civiltà greca: la Macedonia. Il regno macedone era già uno Stato territoriale centralizzato dominato da una monarchia, ed era quindi più vicino alla forma politica tipica del mondo orientale, definito “barbaro” dai Greci, piuttosto che al mondo occidentale delle póleis. SCHEDA GEOSTORIA La Macedonia La Macedonia è una regione situata nel nord-est della penisola balcanica. A metà del IV secolo a.C. si estendeva dall’Illiria a ovest, al monte Olimpo a sud, fino al confine con la Tracia a est. Fu il re Filippo II a superare tali confini: estese lo stato inglobando parte della Tracia a est e parte dell’Illiria a ovest, e occupò a sud la penisola Calcidica. La Macedonia consisteva in una fertile pianura attraversata da molte catene di colline e su tre lati circondata da monti ricchi di miniere d’oro, d’argento e di pietre preziose. Su questi monti trovavano rifugio molti animali feroci, tra cui persino leoni (Erodoto, VII, 125), che arrecavano spesso danni gravi alle mandrie e alle greggi, che nel paese erano numerose. L’economia della regione era infatti basata principalmente sulla pastorizia e sull’agricoltura. Molto abbondante era il legname fornito dai boschi montani, a cui attingevano anche gli Ateniesi per la costruzione della loro flotta. I passaggi naturali che attraversano il territorio macedone avevano fornito, nei secoli precedenti, l’accesso a popolazioni in movimento che in parte si stanziarono convivendo nella regione. Pertanto il popolo che abitava la Macedonia risultava di varia composizione: tribù tracie e illiriche, cui si erano aggiunti, soprattutto nelle zone più meridionali e sulle coste, gruppi di Elleni. Il resto dei Greci, quindi, considerava i Macedoni quasi dei barbari, cioè Greci solo a metà; il loro stesso nome, Macedoni (letteralmente “montanari”), li indicava come rozzi e arretrati, ai margini della cultura greca. 1.2 La Macedonia si affaccia alla storia (IV secolo a.C.) Una civiltà diversa Ciò che differenziava maggiormente la Macedonia dal resto della Grecia era la sua forma di governo. La vita cittadina era infatti quasi inesistente, la maggioranza della popolazione era costituita da contadini liberi, legati da rapporti di tipo tribale con l’aristocrazia guerriera, che deteneva il potere. Dalle file dell’aristocrazia era scelto il re, che governava come un primus inter pares (“primo tra pari”), cioè in posizione di parità con gli altri nobili, definiti hetáiroi, cioè compagni del re e non sudditi, ai quali il re doveva render conto; la monarchia macedone risultava quindi simile a quella omerica. L’avvicinamento al mondo greco La storia della Macedonia fino alla metà del IV secolo a.C. è di scarsa rilevanza storica e si può sintetizzare in tre tappe. 2 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Il paese era inoffensivo e la sua presenza non si fece sentire fino alle guerre persiane (prima metà del V secolo a.C.), quando il re di Macedonia Alessandro I divenne un intermediario, anche se piuttosto ambiguo, tra l’impero persiano e le póleis greche. Fu in quel periodo che la Macedonia fu ammessa a partecipare alle Olimpiadi ed ebbe in questo modo riconosciuta la propria appartenenza alla civiltà ellenica. L’avvicinamento verso il mondo greco si accentuò con la guerra del Peloponneso (seconda metà del V secolo a.C.), quando il re Perdicca II si alleò ora con Atene, ora con Sparta, cercando di trarre vantaggio da questa alternanza. Il suo successore, il re Archelao, rafforzò il potere regio nei confronti dell’aristocrazia, rendendolo più saldo. Il modello ateniese lo indusse poi a trasformare la sua corte di Pella, la capitale macedone, in un centro di cultura greca in cui convennero molti intellettuali e artisti, tra i quali il poeta tragico Euripide. Durante il periodo dell’egemonia tebana, un giovane discendente della famiglia reale, Filippo, fu trattenuto per tre anni come ostaggio a Tebe; egli ne approfittò per imparare le tattiche militari dei tebani. Dopo un periodo di contese dinastiche per la successione al trono, nel 359 a.C. fu proprio Filippo, a soli 25 anni, a ottenere il regno, col titolo di Filippo II. Egli ridusse all’obbedienza la nobiltà e ne fece il nerbo dell’esercito, potenziando la cavalleria e sostituendo i reparti oplitici con un corpo scelto di fanteria pesante, la falange macedone. Sarisse La falange macedone era celebre per le sue sarisse, lunghissime lance, considerate dai nemici arme micidiali in grado di sfondare lo schieramento opposto. L’ascesa di Filippo II (359 a.C.) La politica di Filippo II inizialmente mirò a rafforzare i confini settentrionali del regno contro la minaccia delle tribù illiriche e tracie; riuscì anche a sottrarre ad Atene la città di Anfipoli e le miniere del Pangeo. Poi un’ennesima guerra scoppiata tra diverse città greche per il controllo del santuario di Delfi fornì a Filippo l’occasione per intromettersi in maniera decisiva nelle faccende greche, presentarsi come difensore di Delfi ed entrare a far parte a pieno titolo dell’Anfizionia delfica. Quando però Filippo II conquistò e distrusse la città di Olinto nella penisola Calcidica, che apparteneva alla sfera politica ateniese, Atene si rese conto del pericolo che ormai il re macedone costituiva. 1.3 La reazione di Atene La politica di Demostene (351-338 a.C.) Negli anni in cui Filippo II irruppe nell’area geopolitica di influenza ateniese, le altre città greche erano ormai ai margini, mentre Atene, malgrado la perdita del suo impero e il drammatico periodo di conflitti sociali interni, rimaneva la sola pólis che avesse ancora il potere di contrastare le grandi potenze che si affacciavano sull’Egeo. L’oratore Demostene, che raggiunse i vertici della politica ateniese proprio negli anni 351-348, in concomitanza con l’espansione di Filippo, ebbe la capacità di elaborare e di non perdere mai di vista un disegno politico che mirava a dare ad Atene un ruolo di potenza, come un secolo prima aveva fatto Pericle. Ma doveva fare i conti con le tensioni interne della città, di cui la più aspra era quella tra cittadini poveri e ricchi possidenti terrieri. La situazione internazionale, inoltre, era diversa da quella dell’epoca periclea, perché Filippo II aveva imposto tempi rapidi alla sua politica di espansione, mentre ad Atene il meccanismo decisionale dell’assemblea democratica ostacolava la possibilità di prendere decisioni immediate. Era così impossibile prevenire le mosse di Filippo e contrastarle adeguatamente. La situazione economico-sociale ad Atene (IV secolo a.C.) Atene, per di più, era ormai al collasso finanziario: le entrate ammontavano a 130 talenti e ne servivano 300 solo per amministrare lo Stato. 3 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Questa pesante situazione economica rendeva più aspro lo scontro tra démos e proprietari terrieri. Molti contadini, cui le guerre avevano devastato i campi, caduti in povertà avevano perso le loro terre, che erano finite a incrementare i latifondi dei ricchi. Si diffuse l’abitudine, da parte dello Stato, di mantenere a proprie spese la massa di cittadini impoveriti attraverso le liturgie e le confische ai ricchi. Questi ultimi reagivano con ogni mezzo a queste confische, all’obbligo delle liturgie, ai processi intentati contro di loro: spesso nascondevano i capitali, frenando in questo modo gli investimenti e la crescita dell’economia. Corrompere i politici, specie se amministravano denaro, era facile e numerose erano le controversie relative alle proprietà. I processi inoltre divennero all’ordine del giorno e l’attività dei tribunali si fece così intensa che gli oratori, gli “avvocati” di allora, assunsero un ruolo determinante anche nell’attività politica, tanto che uno studioso ha definito l’Atene della metà del IV secolo a.C. la “repubblica degli avvocati”. Al contrario, i cittadini più poveri si allontanavano sempre di più dalla politica e la lasciavano nelle mani dei ricchi e degli uomini più in vista. Filomacedoni e antimacedoni Nonostante il vero nemico per il démos ateniese non fosse quindi Filippo II ma i possidenti terrieri, ad Atene nacque un partito antimacedone, capeggiato dall’oratore Demostene. Per Demostene, che vedeva in Filippo II un pericolo per la sopravvivenza di Atene e addirittura dell’intera civiltà delle póleis, la prima difficoltà consisteva nel convincere il popolo a intraprendere una guerra contro di lui. Per farlo egli scrisse numerose orazioni (tra cui le famose Filippiche indirizzate contro Filippo), cioè discorsi che egli teneva in assemblea, essenzialmente per orientare il popolo più che per proporre decisioni precise. Demostene sperava di ripetere contro Filippo II il gioco delle alleanze, con Tebe da un lato e con la Persia dall’altro, già sperimentato nell’ultima fase della guerra del Peloponneso. Egli si ispirava proprio a quei modelli del passato, da Pericle ad Alcibiade, che avevano reso potente Atene: e questo determinò la sua grandezza ma anche il suo limite. Demostene, infatti, non teneva conto dei tempi nuovi in cui viveva, non considerava che erano cambiati i rapporti di forza, che l’impero persiano era in crisi e un’alleanza con la Persia non poteva contrastare la capacità di Filippo II di penetrare nel mondo greco. Gli avversari filomacedoni di Demostene, perciò, ritenevano più opportuno accordarsi con Filippo II e sostenevano che a spingere l’oratore ateniese, e addirittura a finanziare la sua politica, fosse proprio il Gran Re, preoccupato dell’espansione macedone. È tuttavia altrettanto probabile che gli avversari di Demostene, tra cui l’oratore Eschine, fossero finanziati dallo stesso Filippo, come accusava Demostene. I filomacedoni facevano però apparire la denuncia di Demostene come un allarmismo infondato, e successivamente, quando ormai erano evidenti le mire di Filippo su Atene, sostenevano che era stata proprio la politica provocatoria dell’oratore a causare l’ostilità del re. La battaglia di Cheronea e la vittoria di Filippo (338 a.C.) Nel 340 a.C. Filippo mosse guerra contro Atene. Demostene spinse la sua città a finanziare, a costo di enormi sacrifici, la guerra e promosse un’alleanza con varie città greche, tra cui Tebe, alla quale, pur di averla come alleata, riconobbe la supremazia e la guida dell’esercito. Ma nel 338 a.C., a Cheronea, gli alleati furono sconfitti con una sola battaglia. Il disegno di Demostene, preparato per anni, crollava tra l’esultanza dei suoi avversari. Eppure l’orazione funebre per i caduti fu affidata proprio a Demostene, che in quella battaglia aveva combattuto come oplita. La città riconosceva così che, anche se perdente, la scelta di Demostene era stata quella giusta. La risposta di Filippo alla vittoria fu mite: egli aspirava a porsi come stato guida della Grecia, non come oppressore. Perciò costituì un’alleanza di tutte le póleis riunite nella Lega panellenica di Corinto, di cui si pose a capo per riproporre la ormai tradizionale guerra contro l’impero persiano. 4 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Questa politica avrebbe dovuto accreditarlo come difensore della civiltà greca contro il barbaro; ma mentre preparava la spedizione, Filippo fu assassinato in una congiura di familiari con cui era in discordia da tempo. Era l’anno 336 a.C. Gli succedeva il giovanissimo figlio Alessandro, di soli vent’anni. 2. LE CONQUISTE DI ALESSANDRO E L’IMPERO MACEDONE 2. 1 Le prime leggendarie imprese di Alessandro il Grande Quando Filippo II fu ucciso nel 336 a.C., Alessandro, sebbene così giovane, seppe contrastare i pericoli che incombevano sul suo regno. Fece uccidere un parente che aspirava a contendergli il trono; assediò e distrusse Tebe che si era ribellata al presidio macedone, spinta dalle orazioni con cui Demostene cercava ancora di sollevare l’intera Grecia contro il nemico, e vendette ben 30.000 cittadini tebani come schiavi. Solo i templi e i discendenti di Pindaro, il grande poeta tebano, furono risparmiati dalla distruzione: segno che Alessandro intendeva dare di sé l’immagine di uomo pio e amante della cultura greca. Lo dimostrò con maggior forza quando, preparata la spedizione progettata dal padre contro l’impero persiano, attraversò l’Ellesponto, raggiunse le rovine di Troia e fece un sacrificio in onore di Achille, che restava il suo modello. Come lui, Alessandro in battaglia combatteva impavidamente, sempre in prima fila per infondere coraggio ed entusiasmo nei soldati, e fu per questo fu più volte ferito. Box Tra storia e letteratura Molte notizie sulla vita e la personalità di Alessandro sono riferite nell’opera Vite parallele dello storico greco Plutarco, vissuto tra il I e il II secolo a.C. Il giovane Alessandro, nato il 21 luglio del 356 a.C., era stato educato, per volere del padre Filippo II, da un grande filosofo greco, Aristotele, il quale riuscì a tenere a freno il carattere impulsivo e focoso del ragazzo, incline agli eccessi e spinto da una grande ambizione e da un profondo coraggio, tratti ereditati dal padre, ma anche incline all’avventura e alla curiosità per le cose misteriose e straordinarie. Quando cominciò a leggere, ancora giovanissimo, i poemi omerici, nacque in lui il desiderio vivissimo di emulare il più forte degli eroi dell’Iliade, Achille. Il cavallo del re Filippo se ne accorse quando Alessandro, vedendo un cavallo della famosa razza di tessali, chiamati bucefali (“testa di bue”) perché marcati con una testa di bue su una spalla, tanto focoso da non lasciarsi domare da nessuno, scommise che lui ce l’avrebbe fatta. Il padre accettò la scommessa ridendo. «Subito egli corse verso il cavallo, lo prese per la briglia, lo fece volgere contro il sole, perché aveva capito, a quanto pare, che rimaneva agitato vedendo muoversi dinnanzi a sé l’ombra che proiettava sul terreno. Per un poco poi egli corse al fianco del cavallo trottante e intanto lo accarezzava, quando lo vide eccitato e sbuffante, tranquillamente depose la clamide e con un balzo gli si mise in sella saldamente. Per un poco tenne saldo il morso con le briglie, senza dar colpi e senza strattonarlo, e contenne il cavallo; poi quando vide che esso si era rabbonito e anelava alla corsa, lasciò andare le briglie e ormai lo incitava con voce sempre più alta e dando anche di piede. Filippo e i suoi rimasero dapprincipio silenziosi e preoccupati; quando però quello voltò il cavallo e ritornò gioioso e fiero, tutti alzarono un grido di giubilo; il padre, così si narra, addirittura pianse di gioia, e quando Alessandro smontò, lo baciò sulla testa dicendogli: «Figlio, cercati un regno che ti si confaccia: la Macedonia è infatti piccola per te». (Plutarco, Vite parallele, Alessandro e Cesare, 6, trad. di Domenico Magnino). La morte del padre gli diede la possibilità di realizzare il suo consiglio, e il focoso destriero, che fu per tutti il Bucefalo per eccellenza, divenne il cavallo di battaglia di Alessandro, lanciato nelle 5 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 imprese più ardite. Egli lo amava tanto che, quando l’animale morì dopo la battaglia contro Poro, alla bella età di trent’anni, secondo Plutarco, il re gli riservò grandi onori funebri, con la celebrazione di sacrifici e di giochi in suo onore, e addirittura la fondazione, nel nord dell’India, di una città chiamata Bucefalia. 2.2 La conquista dell’impero persiano La spedizione contro l’impero persiano (334-331 a.C.) L’attacco all’impero persiano progettato da Filippo, dopo una lunga e accurata preparazione, fu condotto con grande rapidità dal giovane Alessandro, che dimostrò qualità eccezionali di strategia e tattica militare. Partito nella primavera del 334 a.C. con 30.000 soldati e 5.000 cavalieri, di cui una parte costituita da Greci al comando di generali macedoni, Alessandro, sbarcato in Asia e superata Troia, in soli tre anni conquistò tutto l’impero persiano di Dario III, attraverso una lunga serie di tappe vittoriose. La battaglia di Granico e la liberazione della Ionia (334 a.C.) Nel 334 a.C., raggiunto il fiume Granico, l’esercito macedone vide i 40.000 soldati nemici (di cui 20.000 erano mercenari greci) che lo aspettavano sulla riva opposta del fiume. Contro il prudente consiglio del generale Parmenione, Alessandro condusse l’esercito al di là del fiume, si scontrò con l’esercito persiano e ne vinse la valorosa resistenza, sfuggendo al colpo mortale di un persiano grazie all’intervento dell’amico Clito, comandante della sua guardia del corpo. La vittoria gli aprì le porte delle città greche della costa ionica, che lo accolsero come liberatore; solo Mileto e Alicarnasso dovettero essere prese d’assalto. La flotta persiana perse così il sostegno delle navi che garantivano all’impero i rifornimenti attraverso l’Egeo. Nell’inverno, Alessandro congedò una parte dei soldati che, tornando in patria, narrarono le straordinarie imprese del loro re e spinsero molti cittadini ad arruolarsi nell’esercito macedone. La conquista dell’Anatolia e la battaglia di Isso (333 a.C.) Nel 333 a.C., Alessandro conquistò alcune regioni dell’Anatolia, raggiunse Gordio, antica capitale della Frigia, dove sciolse il famoso nodo che legava il giogo al carro del re Gordio: secondo un’antica profezia, chi fosse riuscito a sciogliere il nodo sarebbe diventato il re del mondo. Nella primavera assoggettò, verso est, l’Anatolia centrale e raggiunse la Cilicia, dove, informato che il re persiano Dario III si avvicinava con un esercito sconfinato, occupò lo strategico passo che conduceva verso Isso. Qui sconfisse l’esercito di Dario, nel quale combatterono valorosamente 30.000 mercenari greci. La battaglia, a lungo incerta, fu vinta grazie all’attacco della cavalleria macedone, guidata da Alessandro, contro la guardia del corpo del re. Lo stesso Dario rischiò di essere catturato e si salvò a stento fuggendo verso l’interno dell’impero, abbandonando al nemico il tesoro imperiale, la madre, la moglie e numerosi figli, che Alessandro fece prigionieri ma che trattò con molta generosità. Scheda Tra storia e letteratura Come sciogliere un nodo Come fece Alessandro a sciogliere il nodo di Gordio, tanto inestricabile che nessuno c’era mai riuscito? «La maggior parte degli storici afferma che Alessandro, non essendo in grado di sciogliere quel nodo perché i capi delle corde erano nascosti e tra loro aggrovigliati in più giri, lo tagliò con la spada e apparve allora che molti erano i capi. Aristobulo invece racconta che gli riuscì molto facile scioglierlo perché dal timone che teneva stretto il giogo egli sfilò la cosiddetta spina, e in tal modo estrasse il giogo». (Plutarco, op. cit., 18). La conquista dell’Egitto (332 a.C.) 6 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Prima di sferrare un nuovo attacco contro Dario, Alessandro preferì conquistare le regioni sudoccidentali dell’impero: la Siria, dove si impadronì dei ricchissimi tesori di Damasco, la Fenicia, dove assediò per sette mesi Tiro, che poi nell’agosto del 332 a.C. fu rasa al suolo. Frattanto Dario gli fece diverse proposte di pace, promettendo di cedergli l’Asia Minore e di dargli in sposa una delle sue figlie, in cambio della parte orientale del suo impero. Ma al generale Parmenione che gli consigliava: «Fossi Alessandro, io accetterei», la leggenda vuole che Alessandro abbia risposto: «Anch’io, se fossi Parmenione» (Plutarco, op. cit., 29, 8-9). Quindi rifiutò e nell’autunno conquistò la Palestina ed entrò in Egitto dove fu accolto con gioia dagli abitanti, stanchi del dominio persiano. Alessandro ricambiò l’accoglienza rispettando le tradizioni egizie: attraversò il deserto libico per visitare il celebre santuario del dio Ammone, che i Greci identificavano con Zeus, dove si fece riconoscere come discendente del dio e si presentò al popolo come erede degli antichi faraoni. Alla foce del Nilo fondò una nuova città, cui dette il nome di Alessandria, destinata a diventare la capitale della cultura ellenistica. Il faraone Alessandro Gli egizi riconoscevano l’autorità del faraone solo in quanto lo consideravano di origine divina. Niente di più lontano dalla mentalità greca. Eppure, quando Alessandro giunse in Egitto, capì che solo presentandosi agli egiziani come un dio sarebbe stato accolto quale legittimo sovrano: perciò fece in modo di essere proclamato figlio di Ammone-Ra, il re di tutti gli dèi egizi. Sedotto dalla splendida civiltà egizia, egli ne adottò la mentalità e le forme di potere teocratico: volle farsi raffigurare nel tempio di Luxor accanto ad altri faraoni e adorare come un dio. La battaglia di Gaugamela e la conquista dell’impero persiano (331 a.C.) Nella primavera del 331 a.C. Alessandro ritornò in Asia, raggiunse l’Assiria e a ottobre, a Gaugamela, con meno di 50.000 uomini sconfisse il milione di soldati che costituivano l’esercito persiano. Innumerevoli tesori furono predati nel campo persiano. Dario dovette ancora una volta fuggire e da allora cominciò il crollo vero e proprio del suo impero: i satrapi in gran parte si consegnarono ad Alessandro, che lasciò loro il governo, privandoli solo del potere militare affidato a generali macedoni, le popolazioni dell’impero lo accolsero con favore, affascinate da un sovrano che adottava la pompa orientale e mostrava rispetto per le loro tradizioni. Alessandro procedeva spedito: raggiunse la capitale invernale dei re persiani, Susa, dove si impadronì del tesoro di Stato, poi conquistò Persepoli, dov’erano i sepolcri dei re di Persia, e anche qui si impadronì di enormi tesori «e per rimuovere oggetti preziosi e oro furono necessarie diecimila coppie di muli e cinquemila cammelli» (Plutarco, op.cit., 37,4). Dario in fuga nella Battriana fu invece tradito dai suoi stessi satrapi: uno di essi lo arrestò e si fece proclamare re. Alessandro corse a punire i satrapi ribelli, che uccisero il re Dario e lo abbandonarono sulla strada. Alessandro lo fece seppellire a Persepoli con onori funebri degni del re, di cui si presentava come erede. Ai confini del mondo (327-326 a.C.) I rapporti di Alessandro, ormai padrone dell’Asia, con il suo seguito militare si stavano facendo sempre più tesi, a causa della lunga lontananza dalla patria; tuttavia egli intendeva proseguire nelle sue imprese. Nel 327 a.C. domò numerose rivolte e rafforzò il possesso delle province settentrionali con la fondazioni di diverse città, molte delle quali chiamate con il medesimo nome di Alessandria, dove furono invitati a vivere coloni greci. Dopodiché finalmente Alessandro poté avviare la spedizione in India, da lungo tempo progettata, perché riteneva, seguendo l’opinione comune, che poco al di là dell’Indo il mondo finisse con l’“oceano orientale” ed egli avrebbe raggiunto così il confine estremo della terra e sarebbe diventato “il re del mondo”. Aveva un esercito di 120.000 uomini, in parte macedoni, in parte greci istruiti nell’arte militare macedone. Al suo passaggio i popoli si sottomettevano spontaneamente o erano rapidamente conquistati. Raggiunse quindi il confine con la Cina e poi scese a sud verso la valle dell’Indo. 7 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Qui regnava il re Poro che si oppose ad Alessandro con un forte esercito, molti elefanti e carri da guerra. Alessandro lo vinse (326 a.C.), ma lo trattò con tale generosità da renderselo fedele alleato. Si fermò a lungo nella regione fondando altre città. 2.3 La fine dell’avventura Il lento ritorno in patria Alessandro intendeva procedere oltre, ma incontrò la fiera resistenza dei propri soldati, stremati dalla fatica, dal caldo torrido, dalle malattie e dalla fame che uccisero i tre quarti dell’esercito. Nel novembre del 326 a.C. fu costretto a tornare in patria: fece costruire una grande flotta su cui furono imbarcati alcuni soldati che, al comando dell’ammiraglio Nearco, navigarono dalla foce dell’Indo fino al golfo Persico; altri marciarono per 60 giorni attraverso il deserto sabbioso e infuocato della Gedrosia (a metà strada tra l’India e la penisola arabica), fra gli stenti e le sofferenze, finché raggiunsero la regione del golfo Persico, dove approdò anche Nearco e i due gruppi si riunirono. Poi Nearco con la flotta proseguì la navigazione sull’Eufrate, mentre l’esercito si diresse verso la costa mediterranea. Alessandro, invece, si avviò a marce forzate verso la Persia, dove giunse inaspettato. Soddisfacendo le richieste della popolazione, punì i governatori che avevano oppresso i sudditi convinti che il re non sarebbe mai più tornato dall’India; provvide a riorganizzare il suo enorme impero e cercò di eliminare ogni ostacolo alla fusione tra i popoli che lo abitavano e i conquistatori. La politica lungimirante e incompresa di Alessandro Il sogno di Alessandro era quello degli antichi sovrani orientali: unificare tutto il mondo allora conosciuto sotto un unico impero che, per il suo carattere universale, fosse in grado di garantire la pace e la concordia di tutti i popoli. Il re macedone sapeva che per realizzare il suo sogno occorreva amalgamare le popolazioni fino a farne un unico popolo ben coeso. Pertanto: sin dalla preparazione, Alessandro volle dare alla sua impresa un carattere non solo militare ma anche culturale: portò quindi con sé scienziati e cartografi, per registrare nuove conoscenze, filosofi e storici che narrassero e tramandassero ai posteri le sue imprese, medici e uomini di cultura che gli fornissero saggi consigli; favorì gli scambi culturali; trattò con umanità e rispetto i re vinti (si pensi a Dario e a Poro) e cercò di garantire ai popoli sottomessi equità e buon governo, favorendone lo sviluppo; adeguò le proprie scelte ai popoli orientali conquistati, adottandone usi e costumi, come la proskynesis, cioè la prostrazione dei sudditi a terra davanti al sovrano. Un tale atteggiamento, abituale per i popoli orientali, risultò però inaccettabile ai Greci, che lo consideravano indegno di un uomo libero; favorì i matrimoni misti; tentò di immettere nell’esercito macedone e nella guardia speciale del re soldati persiani addestrati alla maniera macedone, elargendo ricompense uguali per tutti, ma l’opposizione dei Macedoni lo costrinse a creare strutture militari separate; si propose di ampliare ulteriormente l’impero con la conquista dell’Arabia, la circumnavigazione dell’Africa, la conquista dell’Italia, fino a ottenere finalmente la realizzazione del suo sogno: l’impero universale. Le scelte politiche di Alessandro e soprattutto l’imposizione di onori divini alla sua persona e l’adozione di altri costumi, sul modello orientale, suscitarono nel mondo greco reazioni ostili al suo progetto. Già alcuni anni prima era stata scoperta una congiura contro di lui, a cui pare avesse partecipato anche un suo vecchio consigliere e generale. Perciò alla morte prematura e improvvisa di Alessandro nel 323 a.C., nacque il sospetto che egli fosse stato avvelenato e la madre mandò a morte parecchia gente. La sua morte sconvolse tutti i sudditi dell’impero. Tra storia e letteratura 8 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Le nozze di Alessandro Per promuovere la fusione dei popoli dell’impero, Alessandro organizzò a Susa, nel 324 a.C., una grande cerimonia in cui si celebrarono nozze di massa. Ottanta ufficiali sposarono nobili persiane e migliaia di soldati ammogliati con donne asiatiche furono premiati. Egli stesso aveva sposato Roxane, una principessa della Battriana quando, durante la sua marcia verso l’India, aveva conquistato quel regno. Nella cerimonia a Susa sposò anche una figlia di Dario III, Statira, e un’altra principessa persiana. Come spiega Plutarco: «Quanto alla vicenda con Rossane [il cui nome significa “piccola stella”], che egli vide giovane e bella mentre partecipava alle danze durante un banchetto, fu una vicenda d’amore, ma parve convenire perfettamente alla sua azione politica. Infatti i barbari furono incoraggiati dal matrimonio che stringeva con loro uno stretto legame, e si affezionarono oltremodo ad Alessandro, perché, controllatissimo in questo campo, egli non volle neppure avvicinare questa donna, la sola che lo vinse, senza la sanzione della legge [cioè prima di averla sposata]» (Plutarco, 47, 7-8). La morte del sovrano intemperante (323 a.C.) Sulle cause della malattia che in soli dieci giorni portò alla morte Alessandro sono state fatte, tuttavia, anche altre congetture: alcuni sostennero, ad esempio, che si trattasse di malaria, anche se gli storici moderni hanno supposto che Alessandro soffrisse di una malattia al fegato, causata dai suoi eccessi nel bere, narrati anche dagli storici antichi. Famoso l’episodio che vide Alessandro uccidere, in un momento di rabbia, dove l’ebbrezza gli fece perdere il controllo, la sua guardia del corpo e suo miglior amico, Clito, che gli aveva salvato la vita nella battaglia del Granico. Quando ritornò in sé, Alessandro cadde in una depressione profonda da cui si riprese a stento. È probabile quindi che l’abuso dell’alcol alla fine abbia intaccato irrimediabilmente la sua salute. Alessandro comunque aveva realizzato, come sognava da ragazzo, imprese degne del divino Achille e morì giovane proprio come lui, a soli 33 anni. Ben presto su Alessandro, che per la sua grandezza fu chiamato Magno, cioè “Grande”, sorsero leggende che ne fecero un mito destinato a sopravvivere nei secoli. 4 I REGNI ELLENISTICI (ca 323-30 a.C.) 2.4 Dopo Alessandro: i regni ellenistici (ca 323-30 a.c.) La lotta per la successione (323-300 a.C.) Alla morte di Alessandro la moglie Roxane aspettava un figlio e fu forse per lui che il re aveva lasciato a un fidato generale l’anello imperiale. Subito però si scatenò tra i generali del re, i diàdochi (“successori”), una feroce lotta per la successione al trono. Il figlio di Alessandro nacque pochi mesi dopo e fu chiamato Alessandro IV, ma i generali non vedevano di buon occhio che il trono passasse al figlio di una donna straniera. Nel 311 a.C. quindi il ragazzo fu ucciso insieme alla madre. La lotta per la successione durò più di vent’anni, finché l’impero si sfaldò definitivamente e intorno al 300 a.C. risultava ormai diviso in diverse monarchie indipendenti, i cosiddetti regni ellenistici. Il carattere ellenizzante che Alessandro aveva imposto al suo impero, infatti, malgrado lo sfaldamento politico, sopravvisse e i regni che ne seguirono furono dominati dall’elemento grecomacedone, sia pure con l’apporto decisivo dell’elemento asiatico, in particolare persiano. Il regno di Macedonia e la decadenza delle póleis (323-146 a.C.) Il regno di Macedonia, superate le aspre lotte dinastiche, raggiunse la sua massima potenza intorno alla metà del III secolo a.C., sotto il re Antigono Gonata. Egli, consapevole che il suo regno era profondamente ellenizzato, contrariamente agli altri sovrani ellenistici, non volle che la sua persona fosse divinizzata ma, anzi, preferì incarnare il modello del re-filosofo, esaltato nel secolo precedente da Platone, e farsi portavoce degli antichi valori di fronte all’intera Grecia, che sperava di inglobare. 9 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Ma le póleis greche, ancora nel III secolo a.C., difendevano ostinatamente la propria libertà. Non si trattava più delle gloriose póleis del passato, Sparta, Atene o Tebe, ma di federazioni di città fino ad allora marginali che cercavano di contrastare il potere dei regni ellenistici e in particolare della Macedonia, mostrando quanto radicata fosse in tutte le stirpi greche l’aspirazione all’indipendenza politica e alla libertà dei cittadini. A tal fine, le póleis si unirono in due leghe: la Lega etolica costituita dalle città delle regioni settentrionali della Grecia; la Lega achea che riuniva le città del Peloponneso, esclusa Sparta. Erano veri e propri stati confederali, nati dall’unione di più póleis, che, senza rinunciare alla propria autonomia, si davano magistrature ed esercito comuni, a cui affidavano gli interessi di carattere generale, come la politica estera o la soluzione dei conflitti tra le póleis. Il successore di Antigono Gonata al regno di Macedonia, tuttavia, alla fine del III secolo a.C., riuscì a sottomettere quasi tutte le póleis greche, anche perché erano ormai in piena decadenza e i gruppi oligarchici delle varie città preferivano appoggiarsi al re macedone per contrastare le rivolte dei ceti popolari ridotti in miseria. Finché, a metà del II secolo a.C., di fronte all’avanzata romana, la Macedonia intraprese invano ben tre guerre che, nel 146 a.C., sancirono la vittoria di Roma e la trasformazione della Macedonia e della Grecia intera in provincia romana. Finiva così la splendida vicenda secolare della libertà della Grecia. Il piccolo e intraprendente regno dell’Epiro Sulla costa occidentale della penisola balcanica assunse una certa importanza una regione marginale, l’Epiro. Nel III secolo a.C. ne divenne re Pirro, che tentò la scalata al trono di Macedonia. La sua aspirazione era quella di ricreare un impero sul modello di quello di Alessandro; del resto il suo coraggio, il suo ardore militare, il suo fare cavalleresco, persino il suo aspetto ricordavano Alessandro Magno. Per di più, egli sosteneva di discendere da Neottolemo-Pirro figlio di Achille. Il suo tentativo però fallì, sconfitto dalla resistenza del re di Macedonia. Bloccato verso est, Pirro si diresse allora verso occidente, chiamato in aiuto dalla colonia greca di Taranto contro la nascente potenza di Roma: il sogno di Pirro era quello di creare un impero almeno verso occidente. Dopo dieci anni di guerra, nel 272 a.C. dovette rinunciare anche a questo miraggio: sarebbe toccato a Roma ricreare l’impero di Alessandro. L’immenso regno di Siria (ca 323-189 a.C.) Il regno di Siria fu il più esteso dei regni ellenistici: copriva le terre dalle coste del Mediterraneo fino all’Asia centrale e all’Indo: vi abitavano 30 milioni di persone. Era un territorio immenso e difficile da controllare, nonostante l’intensa colonizzazione a cui fu sottoposto. I sovrani che discendevano da Seleuco, generale di Alessandro, e perciò definiti Seleucidi, favorirono la fondazione di nuove città greche, ma anche la fusione tra i diversi popoli dell’immenso regno. Antioco, il figlio di Seleuco che era succeduto al padre nel 280 a.C., ingrandì ulteriormente i confini del regno. La capitale fu posta ad Antiochia, sulle coste siriane, una delle più importanti metropoli commerciali del mondo, che rivaleggiava per ricchezza e traffici commerciali con Alessandria. Ma a poco a poco il regno si andò sfaldando, finché nel 189 a.C., ormai decaduto, subì la sconfitta da parte dei Romani. I regni nati dallo sfaldamento del regno di Siria Le regioni orientali inglobate nel regno di Siria mal tolleravano il dominio straniero: alcune province si staccarono e verso il 250 a.C. si creò, sull’altopiano iranico, un nuovo regno indipendente di cultura ellenistico-orientale, il regno dei Parti (248 a.C. – 226 d.C.) una popolazione di origine iranica che si era stanziata a sud-est del mar Caspio e che avrebbe dato vita a un nuovo impero destinato successivamente a scontrarsi con Roma fino al III secolo d.C. 10 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 All’estremità orientale, si rese indipendente anche il regno della Battriana che, a partire dal III secolo a.C., creò un’originale fusione tra l’elemento greco e quello indiano e, posto com’era in una posizione di passaggio, svolse un ruolo di mediazione tra la cultura occidentale e quella indiana. Il regno fu abbattuto da incursioni di popoli nomadi nel I secolo a.C. A occidente, nella penisola anatolica, ben presto si rese autonomo anche il regno di Pergamo, una potenza militare, ma anche un centro culturale importante. La capitale Pergamo era dotata di una ricca biblioteca che rivaleggiava con quella di Alessandria e favorì la diffusione della pergamena in concorrenza con il papiro egizio. Nel 133 a.C., il suo ultimo re, Attalo III, lasciò in eredità ai Romani il suo regno, per evitare che fosse conquistato con la forza da Roma, che a quel tempo aveva ormai preso possesso di quasi tutti i territori appartenuti all’impero di Alessandro. PERGAMENA La pergamena, che prende il nome dalla città di Pergamo, è un particolare materiale scrittorio che si ottiene facendo macerare pelle d’agnello nella calce. Quindi la si raschia, la si tende bene e la si lascia essiccare. Risulta più resistente del papiro e si conserva più a lungo. Il regno d’Egitto, il più longevo regno ellenistico (ca 323-30 a.C.) I successori di Alessandro in Egitto, della dinastia ellenistica dei Tolomei, che discendevano da Tolomeo figlio di Lago e generale di Alessandro, seguirono la strada intrapresa dall’imperatore, incoraggiarono lo stanziamento dei Greci nelle città, che assunsero un carattere decisamente greco, e si posero come i veri eredi dell’imperatore. L’Egitto poté così essere ellenizzato senza perdere le proprie millenarie tradizioni e divenne uno dei più grandi regni ellenistici, il maggior produttore di grano del Mediterraneo, crocevia di commerci tra Africa, Europa e Asia, nonché centro della cultura mondiale. La sua capitale era Alessandria, la città fondata da Alessandro, dove il suo corpo fu trasportato e sepolto in un magnifico mausoleo. Fu il regno che più a lungo rimase in vita, conquistato da Roma solo nel 30 a.C. La sua ultima regina, Cleopatra, dopo essere stata sconfitta da Ottaviano, futuro imperatore di Roma, si suicidò, probabilmente per non essere trascinata sul carro del vincitore e rivelare così la propria semplice natura umana, smentendo l’antica tradizione egizia che vedeva nel faraone una figura divina. 3. I TRATTI DELLA CIVILTÀ ELLENISTICA Una nuova parola, una nuova civiltà (323-30 a.C.) Con il 323 a.C. si apre una nuova epoca storica, l’età ellenistica. La parola “ellenismo”, che deriva da “ellenico” ed è stata coniata nell’Ottocento dallo storico tedesco J. G. Droysen, indica una trasformazione della cultura greca, cioè ellenica, dovuta alla sua enorme espansione nell’impero creato da Alessandro. L’intento del sovrano macedone, come abbiamo visto profondamente ellenizzato, era proprio quello di ellenizzare il mondo intero, cioè di diffondere la cultura greca e nello stesso di fonderla con le altre antichissime culture orientali, superando in questo modo la distinzione tra greci e “barbari”. Malgrado la morte del re e lo sfaldamento dell’impero, l’intento comunque sortì i suoi effetti e creò un mondo nuovo, destinato, una volta assimilato dal mondo romano, a fondare la nostra civiltà. L’ellenismo si suole far finire con la conquista romana dell’Egitto nel 30 a.C., ma in realtà continua con la fase ellenistico-romana. Un nuovo potere 11 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 La fusione tra cultura occidentale e quella orientale si manifesta innanzitutto nelle nuove forme del potere. Nei regni ellenistici le classi dirigenti provenivano tutte dal mondo greco-macedone, ma i sovrani erano divinizzati e avevano un potere autocratico, assoluto, di stampo orientale, e governavano coadiuvati da una folta burocrazia, affidata a cittadini greci immigrati a cui il re concedeva notevoli privilegi. Autocrazia Autocrazia indica il potere assoluto che trova in se stesso (in greco autós) la propria legittimazione. Città, non più póleis Per favorire l’immigrazione di Greci e Macedoni era necessario creare quell’ambiente cittadino cui essi erano da sempre abituati. Alessandro in persona aveva fondato, secondo la tradizione, ben 70 città, avviando quella che è considera la terza colonizzazione greca. Programmata e organizzata, la nuova ondata migratoria era costituita non solo da contadini in cerca di nuove terre, ma soprattutto da membri delle classi dirigenti alla ricerca di un’ascesa sociale presso le corti dei sovrani. Le città, fondate spesso in punti strategici, da cui partivano le vie carovaniere, pur mantenendo l’antica struttura con agorà, templi e teatro, non erano però politicamente autonome, non avevano un’assemblea cittadina ed erano amministrate dall’alto: non erano quindi più delle póleis. Anche il numero degli abitanti superava di gran lunga quello delle antiche póleis: Alessandria giungeva al mezzo milione di abitanti e Antiochia a 300.000. Un ginnasio in Afghanistan Una testimonianza che la civiltà greca con i suoi stili di vita si diffuse a tutto l’impero è fornita dal ritrovamento di un ginnasio, la classica scuola-palestra greca, nell’Afghanistan settentrionale. Qui?? un’epigrafe informa che sulla colonna di un tempio erano state incise 140 sentenze morali, ricopiate da una colonna presente a Delfi, che si trova a 6000 km (altri dicono 4000, controllare) di distanza. Sviluppo economico e nuove disparità La società ellenistica accentuò quei meccanismi economici e sociali che avevano causato la decadenza delle póleis. L’afflusso nelle casse dei nuovi regni ellenistici delle enormi quantità di metalli preziosi che i persiani avevano accumulato favorì la coniazione di grandi quantitativi di monete, con conseguenze diverse: - da un lato si produsse inflazione e impoverimento dei ceti meno abbienti, - dall’altro permise la diffusione della circolazione di monete, la creazione di banche, l’ampliamento degli affari e del mercato che favorì lo sviluppo dell’artigianato e del commercio. Determinante in questo processo fu la diffusa urbanizzazione di cui abbiamo appena parlato. Nelle campagne i contadini non beneficiarono dei cambiamenti e, anzi, videro scemare le loro entrate, perché aumentò l’impiego di mano d’opera servile nei latifondi e si estese la produzione agricola su vasta scala con cui i piccoli proprietari non potevano competere. La disponibilità di masse di schiavi ne permise l’impiego capillare anche nelle imprese artigiane, a scapito dei liberi cittadini che così non trovavano lavoro né in campagna né in città. Una nuova lingua A favorire lo sviluppo di una cultura comune fu certamente la lingua. Il popolo dominante impose il greco, nella forma ionica-attica, ma a contatto con le altre numerose lingue dell’impero, la lingua classica subì notevoli cambiamenti: si persero le varianti dei diversi dialetti greci, che sopravvissero solo nelle opere dei letterati, e si assimilarono termini e forme di altre lingue. Nacque così la koiné (diálektos), la “lingua comune”, che divenne la lingua ufficiale dell’amministrazione e del 12 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 commercio, lo strumento essenziale della comunicazione tra genti tanto diverse dal Mediterraneo fino all’Indo. Fu utilizzata, ad esempio, dai primi storici romani, dal sovrano indiano Ashoka sulla stele bilingue in cui proclamava la sua conversione al Buddhismo, e poi dai primi cristiani per diffondere la loro fede. Il nuovo mondo La lingua comune, lo sviluppo dei commerci e delle comunicazioni, la sete di conoscenza di un’epoca sostanzialmente pacifica e l’attrazione esercitata dai finanziamenti destinati dai sovrani alla ricerca spinsero molti intellettuali, artisti, scienziati e tecnici a spostarsi da un punto all’altro dell’impero. La cultura, che in epoca classica era cittadina e aveva un unico centro propulsore, Atene, ora diventava sovranazionale e policentrica. Se Atene mantenne il primato nella ricerca filosofica, centri culturali più ampi si svilupparono in Asia Minore, Siria ed Egitto, dove sorsero straordinarie biblioteche Cambiò anche il concetto di cittadinanza, che non poteva più essere relegato all’appartenenza ad una città, perché gli uomini si sentivano ormai cosmopoliti, “cittadini del mondo” (cosmos), non più soltanto polítai, cittadini di una pólis. Si venne a creare una società multietnica e multiculturale, in cui la diversità era considerata fonte di scambi, stimolo alla ricerca e spinta al progresso. Fu perciò una società tollerante, che non modificò il suo atteggiamento neppure quando passò nell’orbita dei Romani, a loro volta altrettanto culturalmente tolleranti. SCHEDA CULTURA E IDENTITA’ L’individuo e la ricerca della felicità La perdita dell’identità di cittadino di una pólis, con la conseguente perdita di un ruolo politico e sociale portò all’individualismo, a chiudersi nel proprio privato nella personale ricerca della felicità. Se Aristotele, il maestro di Alessandro, ancora nel IV secolo definiva l’uomo un “animale politico”, che si realizzava come uomo solo nell’ambito della pólis, con la nascita dell’impero si svilupparono correnti filosofiche che propugnavano il distacco dalla politica, ormai ridotta alla vita di corte o all’impiego nella burocrazia statale, per indicare la via della pace interiore. Questi principi venivano insegnati in vere e proprie scuole di filosofia, le principali delle quali sorsero ad Atene. L’epicureismo Il filosofo ateniese Epicuro (341-270 a.C.) ad Atene, nella scuola chiamata il “Giardino”, insegnava ai discepoli, definiti “epicurei”, che la partecipazione alla vita politica è fonte di preoccupazioni e li esortava perciò, con l’imperativo lathe biósas, “vivi nascosto”, a isolarsi dall’attività pubblica. Il saggio non deve lasciarsi sconvolgere dalle passioni, dal dolore, dalla paura della morte e neppure dal timore degli dei, che sono perfetti, vivono lontani dall’imperfezione della materia e si disinteressano perciò degli uomini. L’uomo deve ricercare il piacere, inteso come “assenza di dolore”, soddisfacimento dei bisogni naturali e necessari (come mangiare e bere nella giusta misura) e consapevolezza dei beni che la vita offre e di cui si deve godere con moderazione, senza desiderare ciò che non è “naturale e necessario”. Lo stoicismo Zenone, nato a Cizio nell’isola di Cipro (332-263 a.C.), fondò, sempre ad Atene, la scuola stoica, che prese il nome dalla stoà poikíle, il “portico dipinto” sotto il quale il filosofo tenne le prime lezioni. Egli vi insegnava ad agire seguendo ragione. Il comportamento dell’uomo deve quindi essere guidato dalla ragione, non dagli istinti, i desideri e le passioni che sfuggono al controllo razionale. Intento del saggio deve essere quello di raggiungere l’atarassìa, l’imperturbabilità dell’anima, e l’apátheia, l’“apatia” o “assenza di passioni” di fronte a qualsiasi situazione o evento, anche tragico. Il saggio non è legato a nessuna polis in particolare, neppure alla propria, e si 13 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 definisce cittadino del mondo, perché segue la legge del kosmos e riconosce tutti gli uomini come suoi concittadini. Scheda Generi e generazioni Una nuova donna Le nuove filosofie diedero spazio e nuova dignità alla donna. Gli epicurei ammisero le donne alle proprie scuole, gli stoici riconoscevano una comune natura umana anche a schiavi e donne, i cinici, un’altra scuola filosofica sosteneva che uomini e donne hanno le stesse virtù, metteva in discussione l’istituto della famiglia e il matrimonio e proponeva addirittura la comunanza delle donne. La perdita di potere politico dei cittadini aveva infatti determinato un ridimensionamento del potere maschile nell’ambito della famiglia, nuove regole sul matrimonio e un nuovo ruolo della donna. I matrimoni non erano più regolati da interessi economici familiari, la dote non era più determinante, e la donna senza un marito non doveva più essere affidata a un tutore, come in età classica. La donna poteva quindi ereditare in prima persona, acquistare e vendere proprietà, persino adottare dei figli. La nuova morale era influenzata anche dalla cultura orientale, in cui le donne godevano di alcuni diritti impensabili in Occidente. In Egitto le donne potevano addirittura governare, purché sposassero il fratello: il caso più famoso è quello di Cleopatra. Ma anche la madre di Alessandro Magno, Olimpiade, in assenza del figlio ebbe un ruolo di potere. Molte donne acquisirono grandi ricchezze e intervennero a migliorare, con donazioni e lasciti, le condizioni di vita dei concittadini, ristrutturarono edifici pubblici, istituirono feste religiose con giochi e distribuzioni di viveri e denaro al popolo. La cultura stessa cominciò a diffondersi nel mondo femminile, sia pure in percentuale molto limitata rispetto a quello maschile, e ci sono pervenuti esempi di poetesse, filosofe e donne intellettuali. Naturalmente si trattava solo di piccoli passi avanti, dal momento che certe discriminazioni erano destinate a perdurare nei secoli. Nuovi bisogni, nuovi culti Se la religione della pólis era essenzialmente “politica” e rispondeva ai bisogni della città piuttosto che a quelli individuali, ora gli individui sentivano il bisogno di un rapporto personale e privato con la divinità. Già in età classica si erano diffusi i culti misterici, come quelli orfici, dionisiaci ed eleusini, che prevedevano associazioni di fedeli, iniziati al culto, che si riunivano in luoghi privati e spesso nascosti per celebrare riti misteriosi, che dovevano restare segreti. Finora erano rimasti marginali, ma ora acquistavano nuovo vigore. A richiamare masse di fedeli erano in particolare le religioni esoteriche, portatrici della promessa di salvezza (sotería), di una vita oltre la morte, di una resurrezione, come il culto egizio di Iside e Osiride o quello della grande madre Cibele, originario dell’Asia Minore. In questi culti rivolti a divinità sofferenti, l’uomo riconosceva la propria sofferenza e nella loro ciclica resurrezione trovava la speranza per la propria personale rinascita. La possibilità di comunicazione e i viaggi favorirono anche il sincretismo religioso, cioè la fusione delle varie dottrine e pratiche religiose in forme nuove. SCHEDA PER TABLET STORIA ARTE CON GALLERY DI IMG Il barocco ellenistico L’interesse per l’individuo e i suoi drammi interiori, la crisi psicologica e spirituale non potevano risparmiare l’arte, che ruppe l’equilibrio classico e si espresse in forme altamente drammatiche. I rilievi dell’altare di Pergamo o il gruppo scultoreo di Laocoonte e i suoi figli avviluppati nelle spire di due enormi serpenti esprimono – con la varietà nell’atteggiamento e la tensione dei corpi 14 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 sconvolti dal dolore – i drammi degli individui coinvolti nella rappresentazione. Accanto alla volontà di suscitare pietà, si nota anche quella di stupire con soluzioni ardite, come la complessità delle composizioni, gli intrecci e i grovigli di linee ondeggianti e sinuose, la ricerca di forti contrasti chiaroscurali. Sono queste caratteristiche a far parlare di barocco ellenistico, così simile a quello che si impose nel Seicento europeo. D’altro canto, occorre sottolineare un altro aspetto dell’arte ellenistica: rivolta ormai alla sfera del privato, come tutta la cultura ellenistica, anche la scultura e la pittura pongono una nuova attenzione alla realtà quotidiana, che determina il realismo nella rappresentazione di soggetti finora esclusi, un bambino, un mendicante o una donna ubriaca, animali domestici, piccole cose di ogni giorno. Il centro del mondo culturale Alessandro aveva fondato la città di Alessandria, alla foce del Nilo, per lasciare un’impronta del suo passaggio in Egitto. ma la città divenne in breve, per merito dei Tolomei, anche la capitale della cultura ellenistica. Famosissimo era il suo museo, cioè il «luogo sede delle Muse», dee delle arti e del sapere, che uno dei Tolomei fondò per raccogliervi, per la prima volta, tutto il patrimonio letterario e scientifico dei greci. Il museo non era destinato al pubblico ma agli studiosi, era un centro di ricerca e di studio, di produzione del sapere, di diffusione della cultura greca e di raccordo tra culture diverse, grazie ai dotti, letterati e scienziati di tutte le nazionalità, che vi lavoravano stipendiati dal re. Gli studiosi potevano usufruire di un osservatorio astronomico e di una straordinaria biblioteca, in cui si conservavano migliaia di volumi scritti su papiro (la pianta da cui, sin dalla più lontana antichità, in Egitto si ricavava una speciale carta). Tra gli altri sapienti, la tradizione parla di 70 dotti ebrei che tradussero la Bibbia in greco, quella che oggi è nota come la “Bibbia dei Settanta”. Si era infatti stabilita nella città una comunità ebraica che aveva assorbito la cultura greca e che ancora oggi sopravvive in Egitto. Dalla cultura orale a quella scritta Proprio la diffusione delle biblioteche, “luoghi dove si conservano libri”, dimostra che la trasmissione del sapere non era ormai più orale, ma avveniva tramite il libro, la scrittura e la lettura. Le biblioteche divennero centri propulsori di cultura, proprio perché la cultura era cambiata. Se la cultura orale era essenziale alla vita della città, in epoca ellenistica la cultura si chiuse nei palazzi del potere, nelle biblioteche, nel museo; gli uomini di cultura non erano più coinvolti nelle attività politiche come Socrate o Tucidide, ma erano specialisti della cultura, intellettuali, che studiavano e lavoravano sui libri, sui testi scritti. Non è un caso che proprio in età ellenistica e nell’ambito della biblioteca alessandrina nacque la filologia. Filologia Letteralmente “l’amore per la parola”, è la disciplina che cerca di stabilire il testo originario di un’opera, “purificandola” dai fraintendimenti, gli errori, le modifiche apportate nell’opera dalle varie trascrizioni operate nel corso del tempo. Per ricostruire il testo più fedelmente possibile si confrontano le copie, ci si avvale dello studio grammaticale e stilistico del testo. Scheda Cultura e identità La letteratura come gioco Il primo a teorizzare l’idea dell’“arte per l’arte”, cioè di un’arte fine a se stessa, e a disprezzare la poesia rivolta alla massa fu un poeta, Callimaco, vissuto all’inizio del III secolo a.C. È l’epoca in si creò una frattura tra la letteratura colta, l’unica ad essere considerata arte, e la letteratura popolare finalizzata all’intrattenimento di massa. La scissione rispecchiava la frattura che si era ormai creata nella cultura e nella società. 15 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Callimaco fu poeta di corte, erudito, grammatico e filologo, operò nella biblioteca di Alessandria e alla corte dei Tolomei, scrisse poesie raffinate, erudite, fatte di sottili giochi stilistici e infarcite di riferimenti colti, anche se spesso proprio per questo risultano poesie fredde, prive di slancio emotivo. Con la sua opera Callimaco impose un nuovo modello di poeta, destinato a trasmettersi al mondo romano e alla cultura successiva. L’apporto più originale di un altro grande poeta ellenistico, Teocrito (315- 260 ca a.C.), nato a Siracusa, ma trasferito ad Alessandria d’Egitto, è rappresentato dalla produzione bucolica che dava forma ad una nuova sensibilità nei confronti della natura. Si tratta di una poesia che tratteggia situazioni di vita agreste, amori campestri e gare di canto tra pastori dall’animo sensibile e delicato, scenari naturali idealizzati nella forma del locus amoenus, che sarebbe diventato un topos letterario immortale. Ma era una poesia per niente realistica, che descriveva la natura esotica e lontana della Sicilia, una natura idealizzata per permettere una fuga dalla realtà cittadina al dotto pubblico della cosmopolita Alessandria. L’incredibile sviluppo delle scienze Anche la ricerca scientifica, finanziata dai sovrani, registrò straordinari progressi. Nomi che circolano ancora oggi nelle scuole, come Archimede o Euclide, appartenevano a matematici ellenistici, a cui dobbiamo scoperte fondamentali. Il trattato di geometria di Euclide (330-260 a.C.), intitolato Elementi, fu usato come testo di insegnamento fino al XIX secolo. Dall’anatomia alla medicina, dalla geografia alla cartografia, dall’astronomia all’arte della navigazione, moltissime furono le scienze che progredirono incredibilmente in età ellenica. L’avanzamento degli studi matematici, influenzati dalle antichissime conoscenze babilonesi, egizie e persiane, permise anche prodigiose invenzioni con una tecnologia avanzatissima, che stupisce ancora oggi. Furono invenzioni destinate ad abbellire i palazzi dei potenti, a stupire i loro ospiti o a suscitare la meraviglia dei visitatori, come l’enorme Colosso di Rodi, una delle sette meraviglie o l’altissimo Faro di Alessandria, il primo faro della storia a illuminare un porto e guidare le navi. L’assenza di un’idea di progresso Tuttavia, sia pure con qualche eccezione, come il Faro, che aveva un’utilità pratica, la tecnologia non fu finalizzata a usi pratici (in agricoltura, ad esempio, non fu sfruttata neppure l’invenzione di una trebbiatrice) e tanto meno al progresso, innanzitutto perché non esisteva nel mondo antico l’idea del progresso. Nella mentalità degli antichi infatti: lo sviluppo dell’umanità dallo stadio selvaggio aveva raggiunto l’apice con la nascita delle città e lì si fermava; il benessere dell’uomo non era raggiungibile attraverso il progresso della scienza e della tecnologia ma attraverso il controllo dell’uomo sui propri desideri, basato sul senso del limite. Solo accettando i propri limiti, insomma, l’uomo antico poteva raggiungere il benessere e la felicità, non sfruttando all’infinito la natura attraverso un progresso illimitato. Scheda Tra storia e matematica Archimede di Siracusa (287-212 a.C.), il più grande matematico dell’antichità, discepolo di Euclide, elaborò il “principio di Archimede”, la cui scoperta gli fece esclamare il famoso «Èureka», “ho trovato” e gli permise di calcolare il peso specifico degli elementi. Elaborò la formula per il volume della sfera. Lo studio dei principi matematici della leva gli permise di costruire una leva in grado di sollevare con pochissimo sforzo una nave a pieno carico e trasportarla dal mare sulla terraferma. Inventò la vite continua o “vite di Archimede” e la cohlea Archimedis, un meccanismo in cui l’acqua sale in forza del movimento rotatorio, che egli usò, mentre si trovava in Egitto in occasione di un’inondazione del Nilo, per prosciugare i terreni invasi dal fiume e che è ancora in 16 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 uso oggi in Egitto. L’applicazione pratica delle teorie matematiche alla costruzione di macchine e la loro realizzazione fanno di Archimede anche il più grande ingegnere dell’antichità. 4. L’ASIA OLTRE I GRECI Il secolo dei grandi imperi La seconda metà del I millennio a.C. fu l’epoca dei grandi imperi. L’impero di Alessandro, infatti, non era l’unico a occupare i vasti territori asiatici. Altri imperi dominavano nello stesso periodo l’Asia meridionale e orientale. Tutti furono caratterizzati dalla fioritura della cultura sotto il patrocinio dei vari re e imperatori: dalla scienza all’ingegneria, dall’astronomia alla filosofia, dall’arte alla letteratura, tutte le forme culturali raggiunsero livelli molti alti e una diffusione che non si era mai vista prima. In India, la dinastia dei Maurya (325-185 a.C.) Quando Alessandro Magno, conquistato l’immenso impero persiano e vinto il sovrano indiano Poro, fu costretto a tornare indietro, l’India, si sganciò dall’influenza greco-macedone sotto la guida di Chandragupta. Egli, preso il potere, fondò la dinastia dei Maurya (325-185 a.C.) e creò un impero esteso a quasi tutta la penisola indiana, esclusa la punta meridionale in cui si erano rifugiate le popolazioni preindoeuropee all’epoca delle invasioni degli Arii. Il sovrano più illustre della dinastia indiana dei Maurya, Ashoka, salito al trono nel 268 a.C., si convertì al buddhismo e diffuse i suoi principi in tutto l’impero. Organizzò l’impero con una struttura centralizzata, controllata da un enorme apparato burocratico e militare, e pose la capitale a Pataliputra, costruita all’incrocio di vie che mettevano in comunicazione le regioni nordorientali con il bacino meridionale del Gange. Era una città assai più estesa della contemporanea Alessandria o di quanto sarebbe diventa Roma nel II secolo d.C. Protetta dal Gange e dai suoi affluenti, come fossero fossati difensivi, aveva mura lunghe 50 km, dotate di 570 torri, un palazzo imperiale meravigliosamente decorato e circondato da lussuosi giardini ricchi di uccelli di ogni genere. Ma dopo la morte di Ashoka iniziò una lenta decadenza, finché l’ultimo imperatore della dinastia Maurya fu assassinato nel 185 a.C. Seguirono cinque secoli di disordini con l’avvicendamento di regni diversi, spesso impegnati a lottare contro le popolazioni nomadi dell’Asia centrale. Ne rimane memoria nel poema nazionale indiano, il Mahabharata, lungo più di centomila versi, libro sacro dell’Induismo e insieme enciclopedia del sapere indiano. L’impresa di unificare un territorio così vasto venne attuata nuovamente da un altro grande impero, l’impero Gupta nel III secolo d.C., che viene definito come “l’età d’oro dell’India antica”. Anche quest’impero, come quello dei Maurya, ebbe intensi contatti commerciali con l’impero romano. La nascita dell’impero cinese In Cina lo Stato centralizzato si era sviluppato a partire dal 1500 a.C., ma nel V e IV secolo a.C., il cosiddetto periodo dei “Regni Combattenti”, continue lotte tra i signori feudali avevano creato dei veri e propri regni, divenuti sempre più potenti. Fino al 221 a.C., però, l'impero cinese propriamente detto non esisteva ancora, poiché i vari regni estendevano il loro controllo solo su una parte della Cina. Il vero e proprio impero fu fondato alla fine del III secolo a.C. dalla dinastia dei Chin (da cui il Paese prese il nome) e fu il più longevo della storia (cadde solo un secolo fa, nel 1912, travolto da una rivoluzione). All’inizio del III secolo i Chin, signori di uno di questi regni, abbatterono il sistema feudale e riuscirono a conquistare tutti gli altri regni, creando un unico Stato centralizzato, che divenne il vero e proprio impero cinese. Tuttavia, i contrasti sociali interni produssero una guerra civile che si concluse con l’ascesa al potere della dinastia degli Han. Dopo aver pacificato i conflitti interni, la dinastia Han, succeduta nel 202 a.C. a quella dei Chin, dovette affrontare sia i problemi interni sia le continue razzie di una popolazione, gli Hsiung Nu, da identificare probabilmente con quelli che noi conosciamo come Unni. 17 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Per difendere i confini settentrionali dalle invasioni, gli Han continuarono la costruzione della Grande Muraglia, già avviata dai Chin, e allargarono il proprio dominio dalle regioni del Fiume Giallo a quelle del Fiume Azzurro (o Chang Jiang). Qui i cinesi scoprirono, oltre al riso, che divenne fondamentale nella loro alimentazione, anche il gelso, l’albero su cui si impiantano i bachi da seta. Appresero quindi dalle popolazioni dell’Asia meridionale le tecniche per ricavare il prezioso filato e da allora ne divennero i principali produttori ed esportatori, utilizzando come intermediari con l’occidente proprio il popolo degli Hsiung Nu. Fu con questo commercio che cominciarono i contatti, seppure indiretti, col mondo occidentale. Solo a cavallo tra I secolo a.C. e I d.C. i cinesi vinsero gli Hsiung Nu, in un trentennio si aprirono faticosamente la via attraverso l’Asia centrale e giunsero fino al mar Nero, scavalcando anche l’intermediazione dei Parti, tramite i quali fino a quel momento la seta era giunta fino ai Romani. Dopo un periodo di grande splendore, la dinastia Han crollò a causa di una rivolta contadina, nel 184 d.C. La Cina si apre al mondo Sotto la dinastia Han, la Cina conobbe un periodo di grande espansione economica che richiese l’ampliamento delle vie di comunicazione. Si costruì un’ampia rete di canali navigabili e si allargò la rete viaria, con strade larghe fino a 23 metri, a tre corsie, di cui la centrale destinata ai corrieri postali e ai funzionari in servizio. Ogni 5 km si trovavano stazioni per il cambio dei cavalli, scuderie, locande per il riposo dei viaggiatori. Le carovane viaggiavano attraverso il regno della Bactriana e la sua capitale Samarcanda, fino ad arrivare a Damasco in Siria e ad Alessandria d’Egitto: era la famosa via della seta, perché il prodotto più prezioso che vi si trasportava era proprio la seta cinese. Le carovane la percorreranno per molti secoli. Caratteri dell’impero cinese L’impero cinese mantenne intatte le sue caratteristiche per millenni: una rigida divisione in classi sociali, un forte potere centralizzato, unito a un complesso apparato burocratico. Per mantenere stabile la società e impedire pericolose rivolte, la dinastia Han rivalutò e diffuse il Confucianesimo come culto delle antiche tradizioni. Scheda tra storia e filosofia Le teorie elaborate tre secoli prima dal filosofo Kong fu-tzu (“maestro Kong”), noto in Occidente come Confucio (551-479 a.C.), non costituivano una religione, ma piuttosto un sistema etico basato su una serie di principi come l’onestà, la lealtà e la sincerità, il primato dell’attività intellettuale su quella manuale (tanto che i mandarini, i funzionari cinesi, si facevano crescere le unghie in misura così accentuata da non poter svolgere alcun lavoro con le mani), la totale subordinazione delle donne, ma soprattutto il rispetto della tradizione e l’ubbidienza verso gli anziani e i superiori, che di fatto determinarono un’immobilità sociale durata secoli. Una cultura all’avanguardia Proprio sui principi di Confucio si basavano gli insegnamenti dell’università voluta dalla dinastia Han, che poteva ospitare 30.000 studenti e formava la classe di colti funzionari e letterati, su cui poggiava la struttura dell’intero Stato cinese. Anche la tecnologia fece progressi straordinari. Nel I secolo d.C. uno scienziato cinese costruì la prima sfera armillare, un modello della sfera celeste, azionato ad acqua, e il primo sismografo. Anche la medicina era all’avanguardia: un medico cinese scoprì un anestetico che permetteva di operare i pazienti in anestesia totale, e sono stati rinvenuti aghi sottilissimi, dell’epoca Han, utilizzati probabilmente per l’agopuntura, una forma di cura ancora oggi in uso. 18 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Dida foto sistemare la dida controllando Territori e radici Lunga 6350 km, la Grande Muraglia fu eretta a partire dal III secolo a.C.; venne più volte modificata e ampliata. A intervalli regolari di circa 200 m sorgono fortificazioni e torri sulle quali, in caso di pericolo, le sentinelle accendevano un fuoco che dava l’allarme di torre in torre, trasmettendolo così anche a grandissima distanza. LABORATORIO Ironia e sarcasmo per i cinici All’inizio del IV secolo a.C. era stata fondata ad Atene una scuola filosofica sulla piazza di Cinosarge (il cui nome significa “il cane agile”), che fu definita cinica. Affermava che la conoscenza è impossibile, che il saggio deve perseguire la felicità con vari mezzi: l’atarassia e l’apatia, la fuga dalla vita politica, la liberazione dalle consuetudini sociali e l’autosufficienza. La vita del saggio deve essere fondata sulle rinunce, sulla liberazione da ogni vincolo e da ogni comodità della vita civile, come testimoniava Diogene di Sinope, vissuto all’epoca di Alessandro. Figlio di un banchiere, egli sacrificò tutto per raggiungere l’ideale cinico, conducendo una vita proprio “da cani”, come indicava il nome della filosofia cui aderiva, e criticando in modo radicale, dissacrante, il sistema di vita e la cultura dell’epoca. Di lui si dice che dormisse in una botte, fornito solo di un catino per mangiare e una ciotola per bere, e andasse in giro, vestito solo di un mantello estate e inverno, con una lanterna accesa anche di giorno, perché, affermava ad alta voce, «Io cerco l’uomo», un uomo che conducesse una vita “naturale” fino a prendersi gioco del comune senso del pudore. Sulla sua scelta di vita si raccontavano vari aneddoti come quello di Plutarco che riportiamo. I Greci si riunirono sull’Istmo [di Corinto, durante la prima visita di Alessandro in Grecia nel 336 a.C.] e decisero di far guerra ai Persiani sotto la guida di Alessandro come capo supremo. Molti politici e molti filosofi vennero a felicitarsi con lui, ed egli sperava che anche Diogene di Sinope, che stava a Corinto, avrebbe fatto lo stesso. Ma siccome il filosofo, che aveva scarsissima considerazione per Alessandro, se ne stava tranquillo nel Craneo [sobborgo orientale di Corinto], il re in persona andò da lui e lo trovò che stava disteso al sole. Al giungere di tanti uomini egli si levò un poco a sedere e guardò fisso Alessandro. Questi lo salutò e gli rivolse la parola chiedendogli se aveva bisogno di qualcosa; e quello: «Scostati un poco dal sole». A tale frase si dice che Alessandro fu così colpito e talmente ammirò la grandezza d’animo di quell’uomo, che pure lo disprezzava, che mentre i compagni che erano con lui, al ritorno, deridevano il filosofo e lo schernivano, disse: «Se non fossi Alessandro io vorrei essere Diogene» (Plutarco, op, cit., 14) Un altro esempio di filosofo cinico, Cratete di Tebe (365-285), discepolo di Diogene, è quello riferito da Diogene Laerzio (erudito greco vissuto nel III secolo d.C.) nelle sue Vite dei filosofi. Ad Alessandro che gli chiedeva se volesse che la sua città natale fosse ricostruita, rispose: «E a che servirebbe? Forse un altro Alessandro la distruggerà» Vite dei filosofi (93). Comprensione 1. La proposta di portare guerra alla Persia dimostra che ancora nella seconda metà del IV secolo a.C. i greci erano ostili ai persiani. Quando era cominciata questa ostilità? Come mai le città si rivolsero ad Alessandro? 2. Perché Alessandro desiderava incontrare Diogene? 3. Perché invece Diogene aveva scarsissima considerazione per Alessandro? Spiegalo sulla base della sua filosofia e delle sue scelte di vita. 19 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 4. Perché Diogene è ritratto mentre prende il sole sdraiato a terra? Perché la sua risposta colpisce tanto Alessandro? 5. Nel secondo passo, qual è la città natale di Cratete? 6. Spiega il senso della risposta che il filosofo dà ad Alessandro. Esercizi di scrittura 1. Quali elementi ha in comune la filosofia cinica con le altre filosofie che si svilupperanno in età ellenistica? Scrivi un breve testo espositivo. MATERIALE PER TABLET Matematici geniali Eratostene di Cirene (273-192 a.C.), bibliotecario di Alessandria, sulla base delle scoperte effettuate nel corso delle spedizioni di Alessandro, disegnò una carta del mondo conosciuto, che rimase alla base della geografia per secoli, e riuscì a stabilire, sulla base di calcoli puramente matematici, la circonferenza terrestre, in 44.000 km, un numero che si avvicina alla circonferenza stabilita oggi, con strumenti sofisticati, in poco più di 40.000 km. Egli escogitò anche il famoso “crivello di Eratostene” per calcolare i numeri primi. Arato di Soli (271-213 a.C.) descrisse poi le costellazioni e l’astronomo Aristarco di Samo (310230 ca a.C.) studiò il sistema solare, stabilì che la Terra ruota intorno al proprio asse e gira intorno al Sole, anche se poi a prevalere, cinque secoli dopo, fu la teoria di Tolomeo (II secolo d.C.) che, sulla base del calcolo delle orbite di tutti i pianeti, stabilì che era il Sole a girare intorno alla Terra, una teoria destinata ad essere seguita fino al XVI secolo e a causare non pochi problemi agli scienziati che sostenevano il contrario, come Copernico e Galileo. Il trattato di Tolomeo, vissuto anch’egli ad Alessandria, passò alla storia con il titolo di Almagesto. Per calcolare i movimenti reciproci dei pianeti egli inventò anche l’astrolabio. In un Trattato di geografia calcolava longitudine e latitudine delle principali località allora conosciute. Inoltre, la conoscenza delle teorie babilonesi permise maggiore esattezza nelle misurazioni del tempo e dello spazio: il giorno fu diviso in 24 ore e il cerchio in 360 gradi. Matematica ad uso dei navigatori Le conoscenze geometriche e astronomiche permettevano ai capitani di lungo corso di calcolare la posizione della nave in mare, anche senza coste in vista e prima che si diffondesse l’uso della bussola, inventata a quanto pare dai cinesi. Pitea di Marsiglia riuscì così a superare le Colonne d’Ercole e a raggiungere il mare del Nord dove “la notte era lunga sei mesi” – probabilmente la mitica isola di Thule, la più lontana terra settentrionale, da identificare con l’Islanda o con la Norvegia. Fu la più grande impresa di un navigatore greco, ma il libro in cui egli la narrava, Sull’oceano, incontrò la diffidenza che spesso i racconti dei pionieri suscitano nei lettori. Si riscoprì anche la rotta che dall’Africa orientale portava alle coste indiane sfruttando i monsoni. Così le navi scendevano lungo il mar Rosso, navigavano in mare aperto nell’oceano Indiano fino all’India e rifornivano il mercato di Alessandria d’Egitto e di tutto il Mediterraneo di seta, spezie e delle preziose merci orientali. Alla base dell’anatomia I medici si avvantaggiarono del superamento dei divieti religiosi contro la dissezione dei cadaveri e lo studio dell’anatomia fece un balzo in avanti: Erofilo di Calcedonia (273-193 a.C.) scoprì l’importanza delle pulsazioni cardiache per diagnosticare le malattie, descrisse il fegato e l’apparato digerente, in cui distinse alcuni tratti dell’intestino e diede loro nomi, come duodeno, usati ancora oggi; studiò il sistema nervoso e l’occhio, in cui riconobbe la retina. Ma poi le accuse di empietà rivolte da più parti agli studi di anatomia bloccarono la ricerca fino al XVI secolo. 20 Editing Federica Benerecetti 1/7/13 Tecnologia senza progresso Erone, matematico alessandrino vissuto intorno alla metà del III secolo a.C., costruì l’eolipila, una specie di macchina a vapore a rotazione; una fontana con un dispositivo pneumatico che, grazie alla pressione atmosferica, produceva un getto d’acqua verticale; la famosa “fontana di Erone” che collegava la porta con l’altare di un tempio, in modo che, quando i sacerdoti accendevano il fuoco per i sacrifici, la porta, tramite un motore a vapore, si apriva automaticamente tra lo stupore dei fedeli; la diottra, uno strumento di rilevamento topografico; una macchinetta che distribuiva una bevanda con l’introduzione di una moneta e i famosissimi autómata, figurine e bambole in grado di muoversi da sé, come dice la parola, che furono utilizzate in teatro e nei luoghi di culto. Anche ragioni economiche aiutano a spiegare perché la tecnologia non fosse sfruttata praticamente: non esisteva un mercato di massa in cui imporre strumenti tecnologicamente avanzati: le classi alte, le uniche in grado di acquistarli, consideravano il lavoro manuale un’attività degradante e non sfruttavano le invenzioni per migliorare e aumentare la produzione, ma solo come sfoggio di ricchezza e lusso; non esisteva insomma nel mondo antico la mentalità imprenditoriale e capitalistica che sarà invenzione dell’Europa moderna; le macchine-uomo, gli schiavi, erano di gran lunga più economiche dei costosi marchingegni degli scienziati, erano disponibili in gran quantità, persino più precise delle macchine tecnologiche e potevano essere usate per gli scopi più diversi. Per di più una volta crollate le monarchie ellenistiche sotto i colpi dell’impero romano, gli studi non ottennero più i finanziamenti necessari, perché i Romani erano insensibili alla speculazione astratta e non vedevano neppure essi un’utilità pratica nei complicati congegni tecnologici. Macchine da guerra Eppure alcune macchine avevano una destinazione d’uso: erano le macchine belliche, come la catapulta e gli arieti giganteschi, utilissimi nella “poliorcetica”, l’arte “di espugnare le città”. Eppure l’helepolis, la torre per la “conquista della città”, alta 40 metri, montata su una piattaforma mobile, dimostra ancora una volta come l’interesse degli scienziati fosse soprattutto teorico, perché la torre era praticamente inutilizzabile, visto che occorrevano 3000 uomini per manovrarla. Straordinariamente efficaci erano invece le macchine belliche costruite da Archimede per il tiranno di Siracusa Dionisio che lottava per difendere la città dall’attacco delle navi romane: particolari gru che sollevavano le imbarcazioni facendole rovesciare, l’architronito, un cannone ad aria compressa, forse solo attribuito ad Archimede. Ma probabilmente l’idea che lo scienziato riuscisse persino a incendiare a distanza le navi nemiche con l’uso di specchi ustori è falsa, perché se ne trova notizia solo in scrittori di epoca molto più tarda. 21