Gruppo 5: Affettività e celibato. Capacità di amare tutti con cuore indiviso.
Don Diego Righetti
Introduzione
L’introduzione che segue vuole appunto essere “quello che è”: una introduzione semplice,
non preoccupata di presentare in modo esaustivo l’argomento e neppure di aprire tutte le finestre e
le prospettive possibili sull’argomento. Il suo scopo è quello di avviare la riflessione su un tema di
cui tutti abbiamo esperienza e di porre qualche domanda che aiuti a problematizzarlo e sviscerarlo
attraverso il confronto di gruppo. Propongo uno schema stilizzato…
Il tema dell’affettività è forse tra i più intriganti: non ne parliamo volentieri perché tocca strati
profondi e personalissimi di ciascuno. Il mondo interiore dei sentimenti, degli affetti e di ciò che in
genere riguarda il “cuore” può facilmente generare perplessità…
SOSPETTO
Nel nostro ambiente, il termine “affettivo-affettività” porta con se un paio di accezioni che ne
condizionano il significato, in senso negativo o non immediatamente positivo. Anzitutto può
diventare sinonimo di irrazionalità: attaccamenti, cotte, investimenti, perdita della bussola… Qui
l’affettività è qualcosa di minaccioso che soggioga l’uomo, che lo rende schiavo, che lo fa diventare
“strano” (→ ma… sito innamorà?)…
In secondo luogo può essere sinonimo di
instabilità/precarietà: frutto di sentimento (instabile), di entusiasmo (che passa), di slanci (che
finiscono subito). Il riferimento è all’età adolescenziale, alla personalità “sentimentale”, che si sente
contrapposta alla maturità dell’adulto (dove prevale la volontà, la stabilità, l’impegno…)
L’affettività sembra quasi un fiume in piena da arginare: può accadere che l’affettività diventi più
problema da cui difendersi che risorsa da mettere in gioco, una dimensione che mette a rischio il
celibato, più che maturità degli affetti che nel celibato trovano una delle loro espressioni…
Anche sul piano spirituale, l’affettività rischia di caratterizzare più la preghiera e l’esperienza
spirituale del giovane che dell’adulto.
→ la preghiera, si dice, non necessariamente gratifica. E se manca il sentimento non per
questo è meno vera
→ la messa, si dice, ha i suoi ritmi, le sue regole: sono i bambini che battono le mani, o i
giovani, quando cantano “Osanna eh…”
→ il ministero, si dice, è abnegazione, sacrificio, dono di sé… Ma “ci si gode” anche a fare
il prete?
EPPURE…
L’affettività ha sempre recitato una parte decisiva nell’esperienza spirituale e pastorale dei grandi
santi. Si veda per esempio la vicenda di Teresa d’Avila - che organizza la sua vita spirituale attorno
al tema delle nozze mistiche - o Giovanni della Croce, di cui riporto le strofe finali del poema che
apre la sua opera “La notte oscura”. Il linguaggio è decisamente erotico…
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5. Notte che mi guidasti,
oh,
notte
più
dell’alba
compiacente!
Oh, notte che riunisti
l’Amato con l’amata,
mata nell’Amato trasformata!
6. Sul mio petto fiorito,
che intatto sol per lui tenea
serbato,
là si posò addormentato
ed io lo accarezzavo,
e la chioma dei cedri ei ventilava.
7. La brezza d’alte cime,
allor che i suoi capelli
discioglievo,
con la sua mano leggera
il collo mio feriva
e tutti i sensi mie in estasi
rapiva.
8. Là giacqui, mi dimenticai,
il volto sull’Amato reclinai,
tutto finì e posai,
lasciando ogni pensier
tra i gigli perdersi obliato.
Anche Ignazio di Loyola sfrutta il mondo dei sentimenti come una risorsa: si veda il capitolo del
discernimenti degli spiriti, o il ruolo della fantasia nelle meditazioni (composizione di luogo).
La maturità spirituale suppone e comprende una maturità anche dell’affettività, chiamata ad entrare
in sinergia con la ragione e la fede, nella prospettiva messa in piedi dalla chiamata al sacerdozio.
Non si può essere preti-orsi (ma nemmeno senza ratio…). Non essere “affettuosi” è proprio un
peccato:
S. Bernardo, Ufficio delle Letture del 15 settembre (Addoloratat): «Non meravigliatevi, o
fratelli, quando si dice che Maria è stata martire nello spirito. Si meravigli piuttosto colui
che non ricorda d'aver sentito Paolo includere tra le più grandi colpe dei pagani che essi
furono privi di affetto. Questa colpa è stata ben lontana dal cuore di Maria, e sia ben
lontana anche da quello dei suoi umili devoti».
Il testo cui s. Bernardo si riferisce è Rm 1,28-31, dove Paolo mette in luce che tra le conseguenze
del peccato vi è anche la “carenza affettiva” (Rm 1,31: senza cuore (traduzione CEI); sine
adfectione (Vulgata) ¥storgoj (testo greco → senza affezione naturale, non socievole, incapace di
amare).
Che il Verbo si sia fatto carne, significa che la rivelazione di Dio ci viene incontro primariamente
non come verità astorica e chimicamente pura, né come redenzione, ma come una persona in carne
e ossa, fatta di sentimenti e pensieri, di intuizioni e ragionamenti. Faccio una affermazione forte:
prima di essere maestro e salvatore, Cristo fu uomo: attraverso la sua umanità - fatta anche di
affettività - Cristo si fa riconoscere e ci fa fare esperienza della Verità e della Salvezza che egli è. A
Cristo si accede attraverso la carne; a Cristo si accede attraverso Gesù di Nazareth.
Cristo, dunque, rivela il Padre con tutto di sè: anche con le emozioni e i sentimenti che il Vangelo ci
racconta: il pianto, la collera, la commozione… E la fede si indirizza a tutto l’uomo: alla ragione,
alla volontà, agli affetti e ai desideri. A tutto l’uomo si rivolge, tutto lo impegna e tutto lo
promuove.
Un primo spunto allora va colto proprio nel recupero dell’affettività: in quale modo riportare questa
dimensione nella spiritualità, nel ministero, nella vita personale del prete, nel mio rapporto con
Gesù...
Bisogna anche ricordare che una visione troppo ottimistica dell’affettività è ingenua e ugualmente
dannosa a quella che la censura: i sentimenti non vanno messi in frigo, ma nemmeno lasciati alla
spontaneità (come del resto accade anche per l’intelligenza).
→ preti che non danno neppure la mano alle donne, per non rischiare
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→ preti che non si fanno problema a mettere un braccio intorno al collo delle ragazze, o che
indugiano in atteggiamenti ambigui, che non sono prudenti, che non hanno l’umiltà di
riconoscere che in tema di affettività siamo tutti “normali” e per niente messi al riparo
dall’Ordinazione…
Qui si apre il capitolo della crescita, della cura e dell’ascesi dell’affettività. In quali modi? In quale
stagione della vita? Con quali mezzi?
SIGNIFICATO DELL’AFFETTIVITÀ
Non è la dimensione istintuale, caratterizzata dalla coercizione. Non è la dimensione emotiva,
caratterizzata dalla reattività (dipende dalla causa che fa sorgere l’emozione). È il mondo dei
sentimenti, ossia del clima interiore associato in modo stabile nel tempo a determinate situazioni o
persone
→ amore, angoscia, odio, compassione, dedizione, amicizia…
L’affettività è una dimensione della struttura antropologica: non può essere ignorata, pena la disintegrazione. Essa deve entrare in sinergia con la vocazione, le mete e gli obiettivi che questa
disegna (altrimenti il ministero diventa un nemico da cui difenderci).
→ Gesù: gioisce “nello Spirito”; piange su Gerusalemme…
L’affettività porta carburante alla ragione (finalità): la sintonia delle due è l’unità interiore, la
maturità affettiva (quando godo di quello che faccio, quando lo faccio con passione anche se mi
costa, quando metto grinta-creatività-smalto-partecipazione nel ministero).
CELIBATO
Un’area specifica dell’affettività e caratterizzante la vocazione presbiterale è quella celibataria.
Celibato non è solo “il non potere esercitare una attività sessuale-genitale”, ossia non è solo una
mancanza, una sottrazione, una “impotenza” anche se voluta e liberamente scelta (celibato
osservante e continente ma non “casto”). Ha un ruolo positivo e una funzione specifica. Quale sarà?
Quali rapporti tra celibato e affettività? Che cosa dona al ministero? Come realizza la sessualità del
prete?
ALTRE DOMANDE
 Quanto la formazione iniziale mi ha preparato a viver bene la mia affettività- sessualità
nel celibato presbiterale?
 Carta d’identità e sfera affettivo-sessuale: quali relazioni? E quali attenzioni?
 Molti affermano che togliendo il celibato, ci sarebbero più vocazioni. Siete d’accordo?
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Lavori di gruppo
Chiarito il metodo (proposta e confronto nel piccolo gruppo) e la finalità (creare una occasione in
cui i preti possano fare esperienza di fraternità e di comunione presbiterale, riflettendo insieme
attorno a un tema), gli interventi hanno messo in luce i seguenti aspetti:
- i sentimenti sono una componente normale del nostro essere preti; non rimangono estranei alle
relazioni pastorali. Gestire l’affettività all’interno delle relazioni pastorali significa avere un
rapporto equilibrato verso tutti; provare sentimenti in maniera adulta. Una difficoltà è quella di
mettersi in gioco: saper rivelare quello che c’è dentro di noi all’altro. Tra preti si fatica ad entrare in
confidenza.
- l’affettività entra nella preghiera come capacità di confidenza e di amore con il divino. È
necessario avere un rapporto anche affettivo con il Signore; e la “ricarica” che offre la preghiera è
anche affettiva.
- la formazione iniziale mi ha sufficientemente introdotto a una gestione adulta dell’affettività;
tuttavia il vissuto concreto di questa dimensione si impara poco alla volta nel “commercio” con la
vita. Anche l’aiuto di una competenza psicologica non è da sottovalutare e talvolta aiuta a decifrare
e ordinare gli imput provenienti dal ministero. La fraternità tra preti è un aiuto in questo.
Bisogna tener conto che oggi l’affettività, nel suo formarsi e nel suo consolidarsi, si incontra con un
contesto sociale dove i generi non sono più così ben definiti. Questo può dar luogo al sorgere di un
“celibato ferito”.
- il clima culturale confonde un po’ le cose: oggi il concetto di mascolinità non è più così ben
definito. A questo si aggiunge anche l’imporsi di nuove risorse che domandano maggior
responsabilità di una volta (cfr. Internet) e il distacco dell’affettività dalla sessualità. Tra i preti e
nella Chiesa il tema della sessualità, nella concreta esperienza personale e ministeriale, è messo a
fuoco in maniera insufficiente; la riflessione non fa abbastanza i conti con il vissuto reale e sembra
rimanere agganciata ai grandi discorsi di fondo e a una visione disincarnata. La sicurezza dell’8/..
inoltre, non ci aiuta a vivere il celibato, che è segno di povertà e di incompletezza (Dio solo basta).
- la dimensione affettivo sessuale fa i conti - come tutta l’esperienza credente - con la realtà della
croce
- le crisi capitano perché perdiamo la capacità di relazionarci profondamente. Talvolta questo è
innescato dalla paura del giudizio e conduce a relazioni formali.
A MO’ DI CONCLUSIONE
Riassumendo questi e altri interventi, sembra di poter individuare tre atteggiamenti “virtuosi”:
1 - Sapersi rivelare (raccontare, confidare) e saper ascoltare
2 - Saper imparare: si cresce anche nell’affettività e nel celibato. È necessaria la pazienza e la capacità di
saper chiedere aiuto
3 - Saper condividere. La vita comune, il custodire e l’essere custoditi rimangono aiuti importanti
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