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Omelia nella Messa in Coena Domini
Lodi, Cattedrale, 5 aprile 2007
Cari fratelli e sorelle, carissimi ragazzi, comunicandi e cresimandi,
con la suggestiva s. Messa nella Cena del Signore diamo inizio questa sera alla solenne
commemorazione liturgica del Mistero pasquale, ovvero della passione, morte e
risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo.
In questa celebrazione facciamo memoria di due grandi doni di Gesù alla sua Chiesa:
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il dono dell’Eucaristia
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il dono del sacerdozio ministeriale
Questi doni sono il grande “tesoro” affidato da Gesù alla Chiesa - e attraverso di essa a
tutta l’umanità - prima di passare da questo mondo al Padre. Su questi doni la Chiesa si è
edificata nel corso dei secoli, questi doni anche oggi continuano ad essere, se così
possiamo dire, tra i pilastri fondamentali su cui essa si erge.
Le tre letture appena ascoltate ci parlano di questi doni.
Anzitutto il dono dell’Eucaristia, il Sacramentum Caritatis, così come è chiamata da Papa
Benedetto XVI nell’Esortazione apostolica postsinodale del 22 febbraio scorso, il
sacramento che alimenta la nostra fede, la fede dei sacerdoti, dei consacrati, delle
famiglie cristiane fondate sul sacramento del matrimonio.
È san Paolo che ci ricorda quanto Gesù ha fatto “nella notte in cui veniva tradito”.
Sapendo che ormai la sua ora era giunta, Gesù celebra la sua ultima cena con gli apostoli
e in questo contesto istituisce l’Eucaristia. Con questa cena Gesù conclude l’Antica
Alleanza che veniva celebrata con il banchetto dell’agnello – come ci ha ricordato la I
lettura dal libro dell’Esodo –; e con l’istituzione dell’Eucaristia inaugura la Nuova
Alleanza.
Gesù è il nuovo Agnello, che con il suo sangue liberamente versato sulla croce stabilisce
una nuova e definitiva Alleanza. Ecco l’Eucaristia, sacramentale presenza della carne
immolata e del sangue versato dall’Agnello che è Gesù.
Gesù istituendo l’Eucaristia nel contesto dell’ultima cena ha anticipato profeticamente la
sua morte in croce. Tale è il suo significato, come ben ci ricorda ancora s. Paolo: “Ogni
volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la
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morte del Signore finché egli venga”. L’Eucaristia è frutto di questa morte. La ricorda
costantemente. La rinnova di continuo.
Ma l’Eucaristia non è solo memoriale della morte di Gesù in croce, lo è anche della sua
risurrezione. Celebrando l’Eucaristia, infatti, noi “annunziamo la morte del Signore,
proclamiamo la sua risurrezione, nell’attesa della sua venuta”. L’Eucaristia è, dunque,
attualizzazione della Pasqua di Cristo: della sua morte e della sua risurrezione, del
mistero cioè della nostra redenzione. Ecco perchè il Triduo pasquale della passione,
morte e risurrezione, si apre ogni anno con la s. Messa in Coena Domini: perchè è
l’Eucaristia che racchiude in sè questo mistero, perchè è l’Eucaristia che rende vivo e
presente per noi questo mistero.
Cari fratelli e sorelle, sono duemila anni che la Chiesa celebra l’Eucaristia, e non si è
ancora stancata, non può stancarsi e non ha ancora cambiato, non può cambiare.
L’Eucaristia che noi celebriamo è quella stessa che celebrava Paolo, e a cui fa riferimento
nella seconda lettura, scrivendo ai cristiani di Corinto. E il motivo per cui pur passando i
secoli l’Eucaristia rimane, perché non l’abbiamo inventata noi, non l’abbiamo desiderata
e costruita noi, ma ci viene donata, un dono del Signore, l’offerta che il Signore ci fa di
Se stesso per sempre, in modo che il legame con Lui rimanga in perpetuo. E siccome la
Chiesa non può vivere se non del Signore, la Chiesa non può vivere se non della
Eucaristia. Scrive san Paolo: «Fratelli, io infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia
volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane [e,
dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: «Questo è il mio corpo, che è per voi; fate
questo in memoria di me» (1 Cor 11, 23-24).
Tra poco riascolteremo, attraverso la voce del Vescovo e dei sacerdoti, queste stesse
parole di Gesù ricordate da Paolo ed è come se anche noi fossimo presenti nel Cenacolo
con il Signore Gesù: Lui è qui presente come lo fu quella sera, Lui è qui che si dona
ancora, come fece quella sera. Gesù si dona nei segni del pane e del vino che diventano il
suo Corpo e il suo Sangue mediante le parole pronunciate dal ministro ordinato (vescovo
– sacerdote). Solo il ministro ordinato ha questa “potestas”. Ci domandiamo perché?
E veniamo così al secondo dono di Gesù alla Chiesa di cui facciamo memoria in questa
celebrazione: il dono del sacerdozio ministeriale.
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Nella lettera ai sacerdoti per il Giovedì santo 2004 scriveva il Papa Giovanni Paolo II di
v.m.: “Nell'Ultima Cena siamo nati come sacerdoti…Siamo nati dall'Eucaristia. Quanto
affermiamo della Chiesa intera, che cioè «de Eucharìstia vivit», possiamo ben dirlo del
Sacerdozio ministeriale: esso trae origine, vive, opera e porta frutto «de Eucharistia» (dall’Eucaristia) – (cfr Conc. Trid. Sess. XXII, can.2: DSc 1752). Non esiste Eucaristia
senza Sacerdozio, come non esiste Sacerdozio senza Eucaristia….Il ministero ordinato
abilita il presbitero ad agire “in persona Christi” e culmina nel momento in cui egli
consacra il pane e il vino, ripetendo i gesti e le parole di Gesù nell'Ultima
Cena….«Mistero della fede», proclama il sacerdote dopo la consacrazione. Mistero della
fede è l'Eucaristia, ma, per riflesso, mistero della fede è anche il Sacerdozio stesso. Il
medesimo mistero di santificazione e d'amore, opera dello Spirito Santo, per il quale il
pane e il vino diventano il Corpo e il Sangue di Cristo, agisce nella persona del ministro
al momento dell'Ordinazione sacerdotale. Esiste, pertanto, una specifica reciprocità tra
l'Eucaristia e il Sacerdozio, reciprocità che risale al Cenacolo: si tratta di due
Sacramenti nati insieme, le cui sorti sono indissolubilmente legate fino alla fine del
mondo”.
Da queste splendide parole del “grande” Papa Giovanni Paolo II comprendiamo il senso
più vero del sacerdozio ministeriale: esso non è una semplice funzione, una sorta di
“ruolo dirigenziale” nella vita della Chiesa, ma è una missione evangelica, che il Signore
affida ad alcuni uomini da lui scelti per perpetuare la sua presenza nel mondo, soprattutto
attraverso la celebrazione dell’Eucaristia, fino alla fine dei tempi.
L’Eucaristia, come il sacerdozio, è un dono di Dio; e come la Chiesa non può vivere
senza l’Eucaristia così essa non può vivere senza sacerdoti. Per questo tutti i cristiani,
mentre da una parte sono chiamati a ringraziare costantemente Dio per il dono
dell'Eucaristia e del Sacerdozio, dall'altra non
possono non sentirsi impegnati nel
compito di pregare e di ben operare perché non manchino mai sacerdoti nella Chiesa. Lo
dicevamo questa mattina ai preti, nella Messa Crismale, lo ripetiamo questa sera nella
Messa in Coena Domini. Non è mai sufficiente il numero dei presbiteri per far fronte alle
crescenti esigenze dell'evangelizzazione e della cura pastorale dei fedeli. E per di più oggi
i preti sono pochi, rispetto ai tempi andati.
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Sì, le vocazioni sono un dono di Dio da implorare incessantemente. Accogliendo l'invito
di Gesù, occorre pregare il Padrone della messe perché mandi operai nella sua messe (cfr
Mt 9,38). Scriveva ancora Giovanni Paolo II nella sopra citata Lettera ai sacerdoti: “È la
preghiera, avvalorata dall'offerta silenziosa della sofferenza, il primo e più efficace
mezzo della pastorale vocazionale. Pregare è mantenere fisso lo sguardo su Cristo,
fiduciosi che da Lui stesso, unico Sommo Sacerdote, e dalla sua divina oblazione,
scaturiscono in abbondanza, per l'azione dello Spirito Santo, i germi di vocazione
necessari in ogni tempo alla vita e alla missione della Chiesa. Sostiamo nel Cenacolo
contemplando il Redentore che nell'Ultima Cena istituì l'Eucaristia e il Sacerdozio. In
quella notte santa Egli ha chiamato per nome ogni singolo sacerdote di tutti i tempi. Il
suo sguardo si è rivolto a ciascuno, sguardo amorevole e preveniente, come quello che si
posò su Simone e Andrea, su Giacomo e Giovanni, su Natanaele, quando stava sotto il
fico, su Matteo, seduto al banco delle imposte. Gesù ha chiamato noi e, per molteplici
strade, continua a chiamare tanti altri ad essere suoi ministri.
Dal Cenacolo Cristo non si stanca di cercare e di chiamare: sta qui l'origine e la
perenne sorgente dell'autentica pastorale delle vocazioni sacerdotali. Di essa, Fratelli,
sentiamoci i primi responsabili, pronti ad aiutare quanti Egli intende associare al suo
Sacerdozio, perché rispondano generosamente al suo invito”.
Eucaristia e sacerdozio sono, dunque, i due grandi doni di Gesù alla Chiesa di cui
facciamo memoria in questa s. Messa.
Al ricordo di questi doni la Chiesa unisce pure il ricordo del comandamento dell’amore
evocato dal gesto della Lavanda dei piedi. Nel brano di Vangelo l’evangelista Giovanni
annota: Gesù, “dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine” (Gv
13,1). In cosa consista questo amore sino alla fine, Gesù lo esprime mediante il gesto
della Lavanda dei piedi, che non è da interpretare solo come gesto di umiltà, ma
innanzitutto come gesto di servizio; lavando i piedi ai Dodici Gesù rivela che amare
significa servire l’altro, prendersi cura di chi ci sta accanto, volere il bene dell’altro,
anche di chi può averci fatto del male, saper perdonare, sapersi riconciliare.
Dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli, annota ancora l’evangelista Giovanni, Gesù
aggiunge: "Vi ho dato l'esempio…" (Gv 13,15); "Anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni
gli altri" (Gv 13,14). Cari fratelli e sorelle, sentiamole rivolte a noi queste parole di Gesù.
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Imitare l’amore di Gesù non è facile, ma è l’unica via che rende autentica la nostra
partecipazione all’Eucaristia. Gesù nella sua ultima cena ha istituito il rito eucaristico
come segno del suo amore di dedizione totale ai fratelli; chi celebra questo rito, in primo
luogo i sacerdoti, non può non vivere il servizio fraterno, il dono della vita per l’altro,
l’amore fino all’estremo. "Vi ho dato l'esempio…" (Gv 13,15); "Anche voi dovete lavarvi
i piedi gli uni gli altri" (Gv 13,14). Cari ragazzi, cresimandi e comunicandi che vivrete tra
poco il gesto della Lavanda dei piedi, in questo momento sentite rivolte a voi queste
parole di Gesù. Ricordatevi che questo gesto è un gesto carico di significato: è un atto
d’amore che vi invita ad essere attenti agli altri, ad amare gli altri, a volere il bene delle
persone che vi stanno accanto. Penso ai vostri gruppi di catechesi, ai vostri oratori, alle
vostre scuole, penso alle associazioni sportive e di apostolato, penso innanzitutto alle
vostre famiglie, che devono essere luoghi e comunità di amore, di amicizia, di preghiera,
quella preghiera in famiglia che tanto abbiamo raccomandato nel Piano Pastorale sulla
trasmissione e sulla educazione della fede.
A voi, e a tutti gli adulti presenti dico: questa sera mettiamoci alla scuola di Gesù che
dona se stesso nell’Eucaristia, che lava i piedi ai suoi discepoli, per imparare da Lui a
volerci bene, ad essere attenti, generosi, solidali nei confronti degli altri. Per questo vi
invito a fermarvi qualche momento qui in Cattedrale, dopo la conclusione della s. Messa,
per l’adorazione eucaristica. Come afferma il Santo Padre il Papa Benedetto XVI nella
già citata Esortazione apostolica postsinodale l’adorazione eucaristica è l’atto personale
di incontro con il Signore dal quale e solo dal quale può maturare la missione sociale che
nell’Eucaristia è racchiusa e che vuole rompere le barriere che ci separano gli uni dagli
altri (cfr n. 66).
Per intercessione di Maria santissima “donna eucaristica” (cfr Giovanni Paolo II Ecclesia
de Eucharistia) lo Spirito Santo ravvivi in noi questa sera la fede e la devozione verso il
Sacramentum caritatis, ( l’Eucaristia ) attraverso il quale il Signore Gesù vieni incontro
ad ogni uomo assetato di verità e di libertà.
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