cercatori di luce Nicodemo riconosce nelle parole di Gesù la

cercatori di luce
Nicodemo riconosce nelle parole di Gesù la dinamica dei segni, che già lo avevano abbagliato da lontano e
condotto verso quella casa; quei segni che non parlano alla testa ma al cuore. E lo rimandano ai suoi sogni e
bisogni. Ai suoi desideri. Nicodemo va da Gesù, ancorato alle sue certezze e alle sue ragioni, ma anche con la
nostalgia di ciò che lo ha avviato da giovane allo studio della Torah: la ricerca della verità, l’amore per il Signore.
Tenebre e luce, false certezze e umile bisogno di senso sono, quindi, metafora della duplice tendenza che abita il
cuore di Nicodemo come il cuore di ogni uomo. (…) Difendere le proprie illusorie certezze o aprirsi alla novità?
Nicodemo è chiamato a decidere. E noi con lui. Il suo cuore diviso chiede unità.
(Francesco Cacucci, “Rinascere all’amore. Il mistero di Nicodemo”, EDB, Bologna 2014, 19).
La proposta di catechesi ha l’obiettivo di aiutare i giovani e i giovanissimi a cercare le ragioni per credere, dentro
un cammino di ricerca del senso della vita, anche nel “buio della notte”, e abilitarli a decidersi nella prospettiva
dell’amore.
A partire dai brani riportati di seguito, si può organizzare una tavola rotonda per discutere e confrontarsi sul
tema. Sarebbe utile avvalersi della presenza di ospiti “esperti”, di un personaggio, cioè, che porti la propria
esperienza di ricerca. E’ importante che i giovani si preparino all’incontro leggendo alcuni dei testi seguenti in
modo da attivare un proficuo dibattito; si potrebbe aprire o intervallare l’incontro con la lettura di alcuni testi di
seguito riportati.
Una seconda forma di condurre l’incontro, magari con i giovanissimi, propone di consegnare, almeno una
settimana prima, i testi divisi per i diversi gruppi parrocchiali, con il compito di analizzarli e scegliere una
modalità creativa con cui presentarli nel giorno dell’incontro di catechesi. (ad es. attraverso una canzone, una
drammatizzazione, un’attività, ecc …)
Una terza forma può avvalersi dell’ausilio della filmografia suggerita.
Suggeriamo, che all’inizio dell’incontro i partecipanti ricevano un cartoncino colorato, formato cuore (è bene
prevedere colori diversi), sul quale, nel corso dell’incontro scriveranno una domanda che li abita o un
atteggiamento che favorisce le decisioni.
Al termine dell’incontro, durante l’ascolto della canzone “Io ci sto” (Sermig), ciascuno lancia il proprio
cartoncino e ne raccoglie un altro, lo legge, poi lo rilancia. Alla fine, ciascuno andrà a casa custodendo la
domanda di un altro giovane.
Per iniziare l’incontro con i giovanissimi proponiamo la seguente attività, denominata “Gioco degli Impulsi”. I
ragazzi si recano dagli educatori, ritirano un bigliettino-impulso, e, senza pensarci su due volte, svolgono il
compito affidatogli; quindi, tornano dagli educatori e ne ricevono un altro, e così fino al termine dell’attività.
Durante l’attività i ragazzi eseguiranno dei compiti senza pensarci e magari contro volontà. L’incontro di
catechesi evidenzierà l’importanza del cammino di ricerca.
Di seguito vengono riportati gli impulsi, che andranno scritti su diversi cartoncini per essere distribuiti:
Apri la finestra della stanza
Vai a bere l’acqua
Fa’ il giro della stanza
Va’ a lavarti le mani
Va’ al centro e mettiti ad urlare per 10 secondi
Davanti alla prima persona che incontri, canta una canzone
Va’ ad abbracciare una persona
Ridi per 5 secondi
Sali su una sedia e improvvisa un discorso
Prendi in braccio una persona e compi 10 metri
Dai il 5 a tre amici
Fa’ una carezza a un educatore
Saltella sul posto per 5 volte
Prendi un pallone e fa’ cinque palleggi
Va’ al centro della stanza e canta a squarciagola il ritornello della tua canzone preferita
Sdraiati per terra
Va’ dal don e digli una frase famosa
Va’ da un educatore e di’ la tabellina del 7
Fa’ un aeroplanino di carta e fallo volare
Va’ da un’educatrice e dille una frase gentile
1
Ma che vuol dire credere?
Guy Gilbert, “Il grido dei giovani”
Quando mi poni questa domanda, ti rispondo semplicemente: “Guardati attorno: chi ha fatto questa
meraviglia della creazione? Se ami la natura, se ami la bellezza, ti immergerai in qualcosa di straordinario. Non
c’è un solo fiore, né un filo d’erba, identico a un altro! Quale mago, quale orologiaio ha fatto questo?”. Certo,
c’è un sacco di gente che ti dice che tutto questo è il risultato di un’evoluzione straordinaria. E io ribatto:
“Qual è il principio primo di ogni cosa?”.
Inizierò con una storia divertente, ma interessante. Una sera ero a cena al ristorante con un ingegnere che si
era appassionato all’origine dell’uomo e della Terra. Mi diceva che l’uomo non discende affatto dalla scimmia,
è un teoria superata; discendiamo dai delfini, dalle balene, dagli sgombri, dalle sardine … Insomma
discendiamo dal mare. Io lo ascoltavo con grande interesse. Stavo giusto mangiando una trota alla mugnaia:
confesso che era così convincente che, dopo aver terminato la trota, mi pareva di aver divorato la mia
bisnonna! Quando ha finito il suo discorso, gli ho detto: “Tutto questo va benissimo, ma chi ha fabbricato
l’amore?”. Non mi ha risposto. Ho insisto: “Chi ha creato questo anelito straordinario ad amare ed essere
amati che noi tutti abbiamo?”. Dal piccolo che esce dal ventre della madre al vecchio che si spegne, la nostra
ragione di vita è l’amore. Io credo assolutamente, appassionatamente in Dio che ha creato tutto. Ma che,
soprattutto, ha creato l’Amore. Senza alcuna intenzione di convertirti al cattolicesimo, voglio dirti questa è la
mia fede. Nei primi tredici anni della mia vita, non mi sono veramente preoccupato di credere; sono stato
battezzato, ho fatto la prima comunione come tutti. L’idea di farmi prete mi è venuta, bruscamente, a tredici
anni. Mi ci sono voluti anni per capire perché ero stato chiamato a essere prete nella religione cattolica. L’ho
capito scoprendo a poco a poco due cose: in san Giovanni, sta scritto che “Dio è Amore”. E questo mi ha
subito sconvolto... “Dio ci ama. Dio ci ha creato per amore. Dio non attende che una cosa, che lo amiamo e
che gli diciamo il nostro amore”. Questo amore mi è stato rivelato da mio padre e mia madre, che hanno
amato me e i miei quattordici fratelli e sorelle in modo magnifico.
L’Amore di Dio mi è stato rivelato da un amore umano potentissimo, e io sono certo che la mia vocazione di
prete è nata grazie ad esso. Gli occhi pieni di tenerezza e di forza di mio padre e di mia madre mi hanno
segnato per sempre. Avendo scoperto nel Vangelo che Dio è Amore, e avendo visto viverlo nelle persone dei
miei genitori, non mi restava che una cosa da fare, nella mia vita: donare l’amore che avevo ricevuto.
Possiamo donare soltanto quello che abbiamo vissuto. Io ho ricevuto, nella mia infanzia e adolescenza, un
enorme fascio d’amore. Da cinquant’anni lo condivido senza posa con coloro che hanno avuto questa
fortuna. E’ la gioia e la forza della mia vita. Credo nell’amore … l’amore gratuito, misterioso, che mi spinge
verso ogni creatura per consolare, perdonare, portare misericordia, tollerare, accettarla com’è, grazie alla forza
invincibile di Colui che è Amore: Dio. Allora credere, per me, è prima di tutto credere in qualcuno che è al di
sopra di noi, che è amore, che è misericordia, che è giustizia. Qualcuno che io posso temere, che devo temere
e che, prima di tutto, amo. Questa dimensione supplementare che abbiamo noi cristiani è l’amore di Dio e
degli esseri umani come priorità. Noi crediamo innanzitutto che, prima di essere castigo, Dio è amore. E
vivere come persone amate da Dio cambia la vita. Credere cambia tutto.
A distanza di cinquant’anni da quando ho sentito questa chiamata di Dio, se qualcuno mi chiede: “Se non
fossi prete, vivresti come vivi?”, rispondo: “No”. Conosco un certo numero di educatori che ne hanno
abbastanza: alcuni sono stressati, altri in clinica psichiatrica, perché non riescono più a sopportare di vivere in
mezzo al dolore e alla sofferenza. E, se non avessi dei motivi per credere che al di là della sofferenza c’è la
resurrezione, mi sarei sparato un colpo alla testa già da un pezzo. Per me, credere è vitale: mi permette di
vivere la speranza, di vivere l’amore, di perdonare continuamente, di accettare l’altro e di vedere in lui un
figlio di Dio e un fratello di Gesù Cristo. Se non credessi, avrei mollato tutto parecchi tempo fa. Si sa bene
com’è fatto l’essere umano: è mutevole, infedele, duro. Se ci si basa soltanto sull’uomo, non si va molto
lontano. Credere è riporre la fiducia, la speranza, l’amore, in un Essere misterioso, straordinario, che ti segue
ovunque, che è amico, tuo confidente, e che puoi chiamare in qualsiasi momento perché sai che ti ama e ti
ascolta. Sono convinto che credere sia necessario. Quando qualcuno mi dice che non crede in Dio, rimango
regolarmente sconvolto, perché mi sembra impossibile. Impossibile di fronte alla meraviglia della intelligenza
umana, alla meraviglia di Internet, del cinema, della televisione, dei trasporti ecc. L’uomo può fare cose
assolutamente straordinarie! Il problema è che noi siamo limitati. Ci diciamo che c’è comunque Qualcuno più
grande di noi, più grande di quello che siamo, di quello che facciamo, di quello che pensiamo. Penso che
credere sia necessario. Ponendosi sempre due domande: “Chi sono?” e “Verso chi vado?”.
2
L’enigma della sofferenza
Guy Gilbert, “Il grido dei giovani”
Il tuo straziante interrogativo ritorna incessantemente: “Se Dio esiste davvero, perché tanti orrori? Milioni di
persone affamate, la sofferenza, le calamità naturali ecc …” Tento di rispondere, ma è difficile, perché anch’io
sono impotente di fronte a tutte le sofferenze che mi piombano addosso ogni giorno. Senza la mia assoluta
convinzione che Cristo è morto per me, chiamandomi a condividere la sua sofferenza, sono del tutto impotente.
E poi, misteriosamente, la luce della resurrezione che mi chiama verso l’Amore eterno risplende. Allora posso
affrontare tutto. Non perché sono un prete cattolico ti dirò di entrare a far parte della religione cattolica.
Nemmeno per sogno! Rispetto profondamente quello che vivi, quello che provi, quello che hai vissuto fin ad ora.
Posso però dirti che interessarti ad una spiritualità è importante. Sarà un lavoro che farai da solo. Se ti colpisce il
Buddismo, puoi leggere dei libri buddisti. Se ti appassiona l’Islam, leggi il Corano. Se ti interessa la persona di
Cristo, prendi in mano un Vangelo.
Quanto a me, proprio il vangelo mi ha dato le risposte più esaurienti, che non ho trovato altrove. Di qui la mia
scelta. Ho studiato tutte le grandi religioni: solo nel Vangelo e attraverso il Vangelo ho potuto trasformare,
sublimare la mia pulsione ad amare e a essere amato. La persona di Cristo mi ha sempre stupito, per il suo amore
immenso e perché ha donato la propria vita per noi. Senza amore, sono finito. La nostra religione mi dice che
l’amore è tutto. “Amate Dio e amatevi gli uni gli altri”.
E’ un’avventura grandissima, fantastica, straordinaria. Passare la vita ad amare un Essere Supremo e ad amare gli
altri come noi stessi è avvincente. Credo nell’amore di Dio. Credo nell’amore degli uomini. E’ la mia ragione di
vita. Mi auguro che tu trovi una ragione di vita nella religione che sceglierai. Dato che sei giovane, ovviamente sei
in ricerca. Cerca bene. Perché gli uomini più spirituali che ho conosciuto sono anche quelli che si sono dimostrati
i più forti nella vita. Di fronte alle avversità, alla sofferenza, alla morte, avevano una risposta che era stata data
loro dalla religione. Altrimenti, non si ha alcuna risposta, tutto risulta stupido e privo di significato.
Sono valide tutte le religioni? La mia risposta è sì: tutte la grandi religioni sono buone. Non parlo delle sette, che
considero pericolose. Sono valide le quattro religioni: quella degli ebrei, quella dei musulmani, quella dei buddisti
e quella dei cristiani. Dico soltanto che la mia pulsione ad amare e a essere amato l’ho trovata in Dio Amore, cioè
nel Dio dei Cristiani. Se già sei impegnato in una religione, come la vivi? Sei praticante, o ti definisci soltanto
credente? Si deve prendere tempo per alimentare e quindi praticare la propria fede. Tu sei studente. Sei bravo.
Ovviamente, mi dirai che con Dio non ci sono esami! E’ vero. Ma sappi che la tua religione la devi sviscerare. Più
ci sgobberai, più la conoscerai, più ti immergerai in Dio, e più’ questo ti aiuterà.
Che sguardo hai verso le altre religioni? Coltiva uno sguardo d’amore, di tenerezza e di tolleranza. E’ bello
studiare la religione dell’altro, ma non fermarti ai luoghi comuni. Devi cercare di conoscere gli assi portanti delle
altre religioni: è interessante. E poi, quando discorrerai con una persona appartenente a un’altra fede, l’altro sarà
felice di vedere che rispetti e cerchi di capire quello che vive. Non fare un cocktail di tutto. Ci sono molti giovani
che parlano contemporaneamente di reincarnazione e di resurrezione. I buddisti credono nella reincarnazione, i
cristiani nella resurrezione. Reincarnazione significa passare attraverso più stadi di vita prima di diventare un
essere perfetto. Noi cristiani non abbiamo che una sola vita. Io, Guy Gilbert, non ho che una sola vita. E un
giorno sarò giudicato da Dio in base ad essa.
Oggi c’è la tendenza a prendere qualcosa dal Buddismo, dall’Islam, dalla Torah, dal Vangelo. Tu hai bisogno di
un’ unica fede. Approfondiscila e va’ fino in fondo a quello in cui credi.
3
Pensieri di autori vari
Comprendete l’ora della tempesta e del naufragio, è l’ora della inaudita prossimità di Dio, non della sua
lontananza. Là dove tutte le altre sicurezze si infrangono e crollano e tutti i puntelli che reggevano la nostra
esistenza sono rovinati uno dopo altro, là dove abbiamo dovuto imparare a rinunciare, proprio là si realizza
questa prossimità di Dio, perché Dio sta per intervenire, vuol essere per noi sostegno e certezza. Egli distrugge,
lascia che abbia luogo il naufragio, nel destino e nella colpa; ma in ogni naufragio ci ributta su di Lui. Questo ci
vuole mostrare: quando tu lasci andare tutto, quando perdi e abbandoni ogni tua sicurezza, ecco, allora sei libero
per Dio e totalmente sicuro in Lui. Che solo ci sia dato di comprendere con retto discernimento le tempeste della
tribolazione e della tentazione, le tempeste d’alto mare della nostra vita! In esse Dio è vicino, non lontano, il
nostro Dio è in croce. La croce è il segno in cui la falsa sicurezza viene sottoposta a giudizio e viene ristabilita la
fede in Dio.
Dietrich Bonhoeffer
Signore mio Dio, non ho alcuna idea dove io stia andando.
Non vedo il cammino davanti a me.
Non posso sapere di sicuro dove andrà a finire.
E neppure conosco veramente me stesso,
e il fatto che io pensi stia seguendo la tua volontà
non significa che io lo stia veramente facendo.
Ma credo che il desiderio di farti piacere davvero ti piaccia.
E spero di avere questo desiderio in ogni mia azione.
Spero di non fare mai nulla al di fuori di questo desiderio.
E so che, se agirò così, tu mi guiderai per il giusto cammino,
anche se posso non saperne nulla.
Per questo avrò fiducia in te sempre
anche se potrà sembrarmi di essermi perso
e di trovarmi nell'ombra della morte.
Non avrò timore perché tu sei sempre con me, e non mi lascerai mai solo di fronte ai miei pericoli.
Thomas Merton
“La fede è un intreccio di luce e di tenebra: possiede abbastanza splendore per ammettere, abbastanza oscurità
per rifiutare, abbastanza ragioni per obiettare, abbastanza luce per sopportare il buio che c’è in essa, abbastanza
speranze per contrastare la disperazione, abbastanza amore per tollerare la sua solitudine e le sue mortificazioni.
Se non avete che luce, vi limitate all’evidenza; se non avete che oscurità, siete immersi nell’ignoto. Solo la fede fa
avanzare”.
In un articolo che sto leggendo m’imbatto in questa riflessione del teologo e autore spirituale francese Louis
Evely. Alcuni sono convinti che la fede sia solo luce, certezza, evidenza e ignorano che Abramo sale verso la
vetta del Moria armato, sì di fede, ma anche di paura e col cuore segnato dall’oscurità. Così sarà per Giobbe, il
credente che lotta con Dio. Se fosse solo evidenza, allora la fede sarebbe solo una variante della matematica o
della geometria. Se fosse solo tenebra, allora sarebbe l’anticamera della disperazione. Credere è, invece,
“avanzare” come dice Evely, è rischiare. E’ per questo suo intreccio di luce e di tenebra che la fede non ammette
il fanatismo, che è una sua orribile scimmiottatura, ma non cade neppure nel dubbio sistematico, riducendosi a
mera e sconsolata domanda. Quando, perciò, il cielo s’oscura, non temiamo di aver perso necessariamente la
fede; quando la luce è sempre e solo evidente, interroghiamoci sul Dio che stiamo seguendo, per non cadere
nell’illusione. Vorrei concludere ancora con Evely che così definisce la sua fede: “Grazie a quello che di Te
conosco, credo in Te per ciò che non conosco ancora, e, in virtù di quello che ho già capito, ho fiducia in Te per
ciò che non capisco ancora”.
Gianfranco Ravasi, “Tra luce e tenebra. Mattutino di Avvenire”, 23 ottobre 2014
4
Voglio ricopiare ancora una volta Matteo 6, 34: “Non siate inquieti per il domani, perché il domani avrà le sue
inquietudini; a ciascun giorno basta la sua pena”. Bisogna combatterle come pulci, le tante piccole
preoccupazioni per il futuro che divorano le nostre migliori forze creative. Ci organizziamo l’indomani nei nostri
pensieri ma poi va tutto in modo diverso, molto diverso. A ciascun giorno basta la sua pena. Si devono fare le
cose che vanno fatte e per il resto non ci si deve lasciar contagiare dalle innumerevoli paure e preoccupazioni
meschine, che sono altrettante mozioni di sfiducia nei confronti di Dio. (…) In fondo il nostro unico dovere
morale è quello di dissodare in noi stessi vaste aree di tranquillità, di sempre maggior tranquillità, fintanto che si
sia in grado d’irraggiarla anche sugli altri. (…) Se solo si potesse far capire alla gente che si può “lavorare” alla
propria pace interiore, e continuare a essere produttivi e fiduciosi dentro di noi malgrado le paure e le voci che
circolano. Che possiamo costringerci e inginocchiarci nell’angolo più remoto e tranquillo del nostro essere, e
rimanerci fintanto che su di noi non si stenda nient’altro che un purissimo cielo. Da ieri sera ho potuto di nuovo
sperimentare su me stessa quanto la gente soffra, è un bene doversene ricordare e dover reagire ogni volta. E poi,
continuare indisturbati a percorrere i vasti e sgombri paesaggi del proprio cuore.
Etty Hillesum, “Diario”, pp 221-222
Soffro la sproporzione. (…) E io mi ritrovo, come è scritto nel rotolo di Isaia, a calcolare con l’esiguità di un
palmo l’estensione dei cieli, a misurare con un cavo di mano le acque del mare, a pesare con una bilancia, la mia
piccola bilancia, montagne e colline. Soffro la sproporzione e vivo sulla pelle l’eccesso. Un eccesso che non mi
appartiene. Non sono rare, è bene confessarlo, nella vita le ore in cui ci chiediamo che senso abbia, se abbia un
senso, ciò che accade sotto i nostri occhi. O se non sia senza senso, nel Paese dell’insensatezza. Quasi ci toccasse
la sorte di andare, testa bassa, tra cose insensate.
Angelo Casati, “Sussulti di speranza. Un parroco si racconta”, Ancora 2009, p. 69
Ebbene, figurati che, in ultima analisi, questo mondo di Dio non l’accetto, pur sapendo che esiste, anzi non
l’ammetto per nulla. Non è Dio che non accetto, comprendi, ma il mondo da Lui creato, è il mondo di Dio che
non accetto e non posso risolvermi ad accettare. Mi spiego meglio: io sono convinto, al pari di un bimbo, che le
sofferenze saranno sanate e cancellate; che tutta l’umiliante commedia delle contraddizioni umane dileguerà
come un pietoso miraggio, come la poco nobile escogitazione di un essere imbelle e meschino, come un atomo
dello spirito umano euclideo; che in ultimo, alla fine del mondo e nel momento dell’eterna armonia, si compirà e
si rivelerà qualcosa di tanto prezioso che basterà per colmare tutti i cuori, per placare tutte le indignazioni, per
riscattare tutti i misfatti degli uomini, tutto il sangue da essi versato, basterà perché sia possibile non soltanto il
perdono, ma anche la giustificazione di quanto è accaduto fra gli uomini. E sia, avvenga pure e si riveli tutto
questo, io però non l’accetto e non lo voglio accettare. […]
Troppo poi si è esagerato il valore di quell’armonia, l’ingresso costa troppo caro per la nostra tasca. E, perciò mi
affretto a restituire il mio biglietto d’ingresso. E, se sono un galantuomo, ho l’obbligo di restituirlo al più presto
possibile. E così faccio. Non è che non accetti Dio, Aljòsa, ma Gli restituisco nel modo più rispettoso il mio
biglietto.
– Questa è una rivolta, – disse Aljòsa piano, con gli occhi a terra.
F. M. Dostoevskij, “I fratelli Karamazov”, Garzanti, Milano, 1979, vol. I, pagg. 251 e 260-262
Filmografia
7 Km da Gerusalemme di Claudio Malaponti, Italia 2006
La giusta distanza di Carlo Mazzacurati, Italia 2007
Documentari
Uno splendido disegno - La storia di Chiara Luce Badano
Stola e grembiule - la storia di don Tonino Bello
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