Colui che appare è il Signore “Nel credo di 1Cor 15 torna più volte il verbo “egli è apparso” e noi siamo abituati a parlare delle apparizioni di Gesù risorto. La parola è ambigua: può evocare un fantasma o, al contrario, suggerire una sorte di presenza fotografabile. La forma del verbo greco usato qui significa piuttosto “farsi vedere”: si insiste dunque sul fatto che Gesù ha l’iniziativa di manifestarsi a chi vuole e quando vuole. Il filosofo ebreo Filone, contemporaneo di Paolo, lo mostra bene; parlando della visione di Dio ad Abramo, scrive: “Non Abramo ha visto Dio, ma Dio si è fatto vedere ad Abramo”. L’uso della forma greca nella Bibbia è significativo. Nell’Antico Testamento è usata per le teofanie o manifestazioni di Dio (per esempio: Gn 12,7; 17,1; Gdc 13,31) dove si insiste sulla missione affidata più che su ciò che si è potuto “vedere”. E’ un modo di dire che l’invisibile si fa avvertire. Nel Nuovo Testamento Matteo, Marco e Luca usano questa forma nel racconto della trasfigurazione: Mosé ed Elia si fanno vedere (forse interiormente) ai discepoli. Luca la usa assai spesso: un angelo si fa vedere ai pastori (Lc 1,11) o a Gesù nell’agonia (Lc 22,43); lingue di fuoco appaiono alla Pentecoste (At 2,3); Gesù appare a Paolo sulla via [di Damasco] (i suoi compagni non vedono nulla! At 9,17) o in sogno (At 16,9); ecc. Un cantico antico parla di Gesù che si fa vedere agli angeli (1Tim 3,16) Tutto ciò c’invita ad essere prudenti: attraverso questa parola, i discepoli non pretendono dire che Gesù si manifesta in modo visibile, fotografabile. Insistono sull’iniziativa di Gesù e lasciano aperta la possibilità che queste apparizioni siano anzitutto esperienze interiori”. (E. Charpentier, Per leggere il Nuovo Testamento, op. cit., p. 42). “Nessuno ha mai detto di aver visto Gesù mentre risuscitava (le numerose rappresentazioni pittoriche sono, in questo senso, svianti). I discepoli affermano di aver visto “Gesù risorto”. A seconda dei casi, insistono su un aspetto o sull’altro, o su entrambi allo stesso tempo: “lo riconoscono”, è dunque proprio quello che hanno conosciuto prima della morte; ma non si tratta di un semplice ritorno alla vita precedente, perché Gesù è entrato nella vita definitiva: “è stato esaltato, glorificato, è salito al cielo, siede alla destra di Dio, costituito Signore”. Questo avvenimento non è percepibile che nella fede. Non si può vedere il risorto quando si vuole, come posso vedere oggi un amico: è lui che si fa vedere a chi vuole, dove vuole e quando vuole. I testimoni fanno dunque un’esperienza molto reale (che essi esprimono, per esempio, sotto questa forma: Gesù è capace di mangiare; vedi Lc 24), anche se sono i soli a farla: così i compagni di Paolo si accorgono che sta succedendo qualcosa a Paolo, ma non vedono il Cristo. L’uso dell’espressione “farsi vedere” può orientare verso un’esperienza reale ma tutta interiore… Ci si può chiedere: l’esperienza che il cristiano di oggi fa, e fondamentalmente diversa da quella che hanno fatto Tommaso e gli altri apostoli? Si possono dare risposte diverse. Eccone una. L’esperienza è fondamentalmente la stessa: se un non credente che ignora interamente il cristianesimo entrasse in un luogo nel quale i cristiani celebrano il culto, si accorgerebbe dai loro atteggiamenti che qualcosa sta avvenendo; interrogati, risponderebbero: Il Signore Gesù è presente tra noi, ci invita alla sua mensa e noi mangiamo con lui, l’ascoltiamo e gli parliamo… Questa risposta assomiglia in modo sorprendente ai racconti degli evangelisti. C’è tuttavia una differenza: in questi racconti si afferma che gli apostoli riconoscono Gesù; lo hanno riconosciuto durante la sua vita terrena e possono perciò verificare che l’esperienza del Risorto, che essi fanno ora, corrisponde a quella del Gesù terreno che avevano fatto prima. Ciò per noi è impossibile. Per verificare l’autenticità della nostra esperienza, dobbiamo confrontarla con quella degli apostoli. L’esperienza stessa non è certamente fondamentalmente diversa, ma il riferimento al passato che la autentica è diverso: per gli apostoli era la vita di Gesù, per noi è l’esperienza degli apostoli”. (E. Charpentier, Per leggere il Nuovo Testamento, op. cit., pp. 48ss.). In Gesù Cristo: un nuovo “Esodo” L’esodo (l’evento fondante del popolo d’Israele e dell’Antico Testamento) è allusivamente presente in quasi tutta la letteratura neotestamentaria e la sua simbologia illumina l’esperienza del Cristo e della Comunità Cristiana. La teologia neotestamentaria della redazione usa categorie e lessico esodici. Nel suo discorso storicosalvifico Stefano considera l’Esodo una componente fondamentale della storia della salvezza (At 7,9ss), mentre Paolo ad Antiochia di Pisidia lo presenta come prefigurazione della redenzione operata da Cristo (At 13,16-41). Il libro dell’Esodo è veramente la grande struttura teologica, simbolica, letteraria, su cui il cristianesimo ha confrontato e ha compreso la sua esperienza. (G. Ravasi, Esodo, in: Nuovo dizionario di Teologia Biblica, Ed. Paoline, Milano 1988, pp. 517s.). Dalla Liturgia della Veglia Pasquale Exultet Risplenda la luce ed esploda la nostra gioia. La storia degli uomini trova finalmente il suo senso. Il signore, risorto, non muore più. E anche noi viviamo con lui. Esulti il coro degli angeli, Esulti l’assemblea celeste, un inno di gloria saluti il trionfo del Signore risorto. Gioisca la terra inondata Da così grande splendore; la luce del Re eterno ha vinto le tenebre del mondo. Gioisca la madre Chiesa, splendente della gloria del suo Signore, e questo tempio tutto risuoni per le acclamazioni del popolo in festa. E’ veramente cosa buona e giusta esprimere con il canto l’esultanza dello spirito, e inneggiare al Dio invisibile, Padre onnipotente, e al suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore. Egli ha pagato per noi all’eterno Padre il debito di Adamo, e con il sangue sparso per noi ha cancellato la condanna della colpa antica. Questa è la vera Pasqua, in cui è ucciso il vero Agnello, che con il suo sangue consacra le case dei fedeli. Questa è la notte in cui hai liberato i figli di Israele, nostri Padre, dalla schiavitù dell’Egitto, e li hai fatti passare illesi attraverso il Mar Rosso. Questa è la notte in cui hai vinto le tenebre del peccato con lo splendore della colonna di fuoco. Questa è la notte che salva su tutta la terra i credenti nel Cristo dall’oscurità del peccato e dalla corruzione del mondo, li consacra all’amore del Padre e li unisce alla comunione dei santi. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro. O immensità del tuo amore per noi! O inestimabile segno di bontà: per riscattare lo schiavo, hai sacrificato il tuo Figlio! Davvero era necessario il peccato di Adamo, che è stato distrutto dalla morte del Cristo. Felice colpa, che meritò di avere un così grande redentore! Il santo mistero di questa notte sconfigge il male, lava le colpe, restituisce l’innocenza ai peccatori, la gioia agli afflitti. O notte veramente gloriosa, che ricongiunge la terra al cielo e l’uomo al suo creatore! In questa notte di grazia accogli, Padre Santo, il sacrificio di lode, che la Chiesa ti offre per mano dei suoi ministri, nella solenne liturgia del cero, frutto del lavoro delle api, simbolo della nuova luce. Ti preghiamo dunque, Signore, che questo cero, offerto in onore del tuo nome per illuminare l’oscurità di questa notte, risplenda la luce che mai si spegne. Salga a te come profumo soave, si confonda con le stelle del cielo. Lo trovi acceso la stella del mattino, quella stella che non conosce tramonto: Cristo, tuo Figlio, che risuscitato dai morti fa risplendere sugli uomini la sua luce serena e vive e regna nei secoli dei secoli. La vita cristiana, risurrezione anticipata S. Giovanni sviluppa poco il quadro della risurrezione finale, perché lo vede realizzato in anticipo già nel tempo presente. Lazzaro che esce dal sepolcro rappresenta in concreto i fedeli strappati dalla morte dalla voce di Gesù (Gv 11,25ss). Anche il discorso sull’opera di vivificazione del Figlio dell’uomo contiene affermazioni esplicite: “In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno” (Gv 5,25). Questa esplicita e decisa dichiarazione sintetizza l’esperienza cristiana, così come è espressa dalla prima Lettera di Giovanni: “Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte” (1Gv 3,14). Chiunque possiede questa vita non cadrà mai in potere della morte: “questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia”; “chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (Gv 6,50; 11,26). Certamente una simile certezza non sopprime l’attesa della risurrezione finale, ma trasforma fin d’ora una vita che è entrata nella sfera d’azione di Cristo. S. Paolo diceva già la stessa cosa sottolineando il carattere pasquale della vita cristiana, partecipazione reale alla vita di Cristo risorto. Sepolti con lui al momento del Battesimo, noi siamo pure risorti con lui, perché abbiamo creduto alla forza di Dio che lo ha risuscitato dai morti: “Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui anche siete stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti” (Col 2,12; Rm 6,4ss). La nuova vita in cui allora siamo entrati non è altro che la sua vita di risorto: “Ma Dio, ricco di misericordia, per il grande amore per il quale ci ha amati, da morti che eravamo per i peccati, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia infatti siete stati salvati. Con lui ci ha anche risuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù, per mostrare nei secoli futuri la straordinaria ricchezza della sua grazia mediante la sua bontà verso di noi in Cristo Gesù” (Ef 2,2s). Di fatto, da quel momento, ci è stato detto: “Svegliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà” (Ef 5,14). Questa certezza fondamentale dirige tutta l’esistenza cristiana. Domina la morale che ormai si impone all’uomo nuovo, nato in Cristo: “Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio” (Col 3,1). Essa è pure fonte della sua speranza. Infatti, se il cristiano attende con impazienza la trasformazione finale del suo corpo di miseria in corpo di gloria (Fil 3,10s. 20s), è perché possiede già il pegno di questo stato futuro (Rm 8,23; 2Cor 5,5). La risurrezione finale del cristiano non farà che manifestare chiaramente ciò che egli è già nella realtà segreta del mistero: “Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria” (Col 3,4).