TRIBUNALE DI SALERNO proc. n. 6241/07 R.G. Il Giudice designato dott. ANTONIO SCARPA; letto il ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato dal COMUNE DI SERRE (Salerno) nei confronti del COMMISSARIO STRAORDINARIO DI GOVERNO PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA, nonché della PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, per sentir inibire al COMMISSARIATO DI GOVERNO DELAGATO PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA ed alla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI l’allestimento e la messa in esercizio dell’impianto di stoccaggio temporaneo dei rifiuti nel sito individuato in Comune dall’ di Serre, località Valle della Masseria, Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3590 del 23 maggio 2007; letta altresì la memoria di costituzione all’udienza del 2 luglio 2007 STRAORDINARIO del DI COMMISSARIO GOVERNO PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA, nonché della PRESIDENZA MINISTRI, in cui DEL si CONSIGLIO eccepiva il difetto DEI di giurisdizione del Giudice ordinario, sussistendo la 1 giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in materia di pubblici servizi; la improponibilità dell’azione cautelare a contenuto inibitorio; il difetto del fumus boni iuris, trattandosi di un sito di stoccaggio di rifiuti, di natura essenzialmente temporanea, riconoscendosi dalle Amministrazioni resistenti la necessità di atti applicativi, ulteriori alla ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri, indispensabili per dettare le misure e le prescrizioni idonee all’attivazione negandosi i all’ambente paventati (non concretizzare del danni valendo il sito, e alla comunque salute ed automaticamente prospettato pregiudizio a né l’inserimento dell’impianto in una zona di protezione faunistica, né la qualificazione della medesima area come zona umida di importanza comunitaria, né la presenza assunta di ottanta abitazioni nelle vicinanze del sito, essendo comunque il centro abitato di Serre distante circa tre chilometri dall’impianto in fieri), stante anche la completezza dell’istruttoria compiuta dal Dipartimento della Protezione Civile al fine di individuare i siti potenzialmente idonei allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella Regione Campania; ancora, deducono le resistenti, il difetto del periculum in mora, essendo l’utilizzazione dell’area in questione 2 come sito di stoccaggio subordinata dall’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3590 del 23 maggio 2007 ad una duplice condizione, l’una afferente al mancato rispetto dei termini previsti per l’attivazione del sito di discarica in località Macchia Soprana, sempre nel medesimo Comune di Serre, l’altra sussistente ove mai, a seguito della chiusura della discarica nel comune di Villaricca (Napoli) e laddove non siano fruibili altri siti per le occorrenti discariche, l’utilizzo del sito di Valle della Masseria venga imposto dall’ “aggravarsi della situazione di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Campania “; lette ancora le comparse di intervento del 21 giugno 2007 del La Bufalina s.n.c. e della Impresa Agricola Romagnolo Gaetano, che, svolgendo in loco attività di produzione casearia e di allevamento del bestiame, lamentano anch’esse il rischio di danni alla salute, all’ambiente ed all’attività di impresa, e perciò aderiscono alla domanda cautelare proposta dal Comune di Serre; sentite le parti all’udienza del 2 luglio 2007, all’esito della quale il GD riservava la decisione; sciogliendo la riserva ivi assunta, si osserva. ----------------------------- 3 Va premesso - avendo entrambe le parti esplicitamente allegato la questione - come questo Tribunale, in distinto procedimento, abbia già pronunciato in data 28 aprile 2007 un’ordinanza concessiva di provvedimenti d‘urgenza ex art. 700 c.p.c., poi confermata dal tribunale in sede di riesame ex art. 669 terdecies c.p.c. con ordinanza del 1° giugno 2007. In quel provvedimento cautelare, il Tribunale, accogliendo la domanda proposta dal Comune di Serre avverso le medesime Amministrazioni convenute in questo giudizio, aveva ordinato “al Commissario Straordinario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania di astenersi dall’installare e dal porre in esercizio l’impianto di discarica dei rifiuti nel Comune di Serre, in località Valle della Masseria, come meglio individuato negli atti del presente procedimento, ed in particolare nell’ordinanza n. 14 del 24.1.07”. Merita al riguardo richiamo l’ultimo comma del novellato testo dell’art. 669 octies c.p.c., secondo cui “L’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un diverso processo.” 4 Dunque, (dovendosi l’autorità qui della misura “tanto intendere: cautelare anticipatoria quanto conservativa”) non è mai invocabile in un diverso processo. In sostanza, dopo la riforma voluta dalle legge n. 80/2005, i provvedimenti d’urgenza (come quelli nunciatori e, più ampiamente, anticipatori) rivelano una loro forza autonoma, proprio perché sono in grado di offrire tutela al richiedente pure prescindendo dal successivo giudizio di merito. La categoria dogmatica di riferimento è quella dei provvedimenti sommari semplificati esecutivi: il provvedimento cautelare anticipatorio, pur privo della capacità preclusiva del giudicato (essendo comunque passibile di modifica o di revoca, seppure nei limiti ridisegnati dal nuovo art. 669 decies c.p.c., e consentendosi a ciascuna delle parti di avanzare in qualsiasi momento la domanda di merito), è destinato a mantenere la sua efficacia esecutiva finché non si esaurisca il rapporto sostanziale sottostante, senza essere scalfito dal mancato inizio dalla causa di cognizione piena. In un certo senso, l’autorità che la l. n. 80/2005 riconosce sovverte alle misure cautelari convinzioni 5 anticipatorie interpretative precedentemente radicate. Anche i provvedimenti di accoglimento rafforzati dalla Riforma del 2005 si connotano, invero, per la inidoneità ad acquistare l’efficacia di cosa giudicata, ma essi non si rivelano più strutturalmente destinati ad essere sostituiti dalla sentenza di accoglimento della domanda, o posti nel nulla dal rigetto della domanda stessa, o dal mancato inizio o dalla mancata conclusione del giudizio di merito. L’ultimo comma dell’art. 669 octies c.p.c. sta pertanto proprio a dire che il provvedimento cautelare non può mai impedire che in un qualsiasi futuro processo una pronuncia di merito intervenga sullo stesso effetto giuridico; né può orientare i successivi processi vertenti su altri effetti giuridici, seppure collegati, a quello oggetto del medesimo cautelare, da un nesso di pregiudizialità, dipendenza o incompatibilità. Il “diverso processo”, che rimane insensibile all’autorità del preesistente cautelare, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 669 octies c.p.c., può peraltro ben essere altresì un nuovo procedimento cautelare tra le stesse parti, proprio come nel caso in esame. Tuttavia, il precedente provvedimento cautelare del 28 aprile 2007, pur non producendo affatto gli effetti 6 propri di un giudicato in questo diverso processo, ben potrà essere oggetto di libera valutazione e prudente apprezzamento a norma dell’art. 116 c.p.c., e così concorrere al convincimento di questo giudice, successivamente adito. L’ordinanza di accoglimento del 28 aprile 2007 avrà quindi in questo giudizio, in cui è stata ritualmente allegata, per lo meno efficacia di prova, o di elemento di prova documentale, in ordine alla situazione giuridica che ebbe a formare oggetto della prima pronuncia cautelare. Nessun dubbio sussiste peraltro circa l’autonomia della domanda cautelare oggetto del presente procedimento rispetto a quella definita col reclamo del 1° giugno 2007, trattandosi di azione che, sebbene corrente tra le stesse parti, fa qui valere un distinto petitum ed una distinta causa petendi, diverso essendo in particolare il periculum in mora che si intende neutralizzare, fondato su fatti asseritamene lesivi dei medesimi diritti (salute, ambiente salubre, identità socio- culturale ed economica della successivi ed collettività autonomi municipale), rispetto precedentemente esposti. ----------------------------- 7 a ma quelli Assume un rilievo centrale nelle difese delle Amministrazioni resistenti la questione del difetto di giurisdizione dell’AGO. La fattispecie si colloca indubbiamente in un quadro legislativo e giurisprudenziale animato da un decennio di turbolenze, sebbene tutte nobilmente animate dallo scopo di ampliare la tutela complessiva del cittadino nei confronti della P.A., ed ispirate dal criterio della concentrazione della materia giurisdizionale. Innegabile è al riguardo la volontà di unificare la tutela delle situazioni di diritto soggettivo in capo al giudice amministrativo quando questo è giudice esclusivo. A ciò da alcuni si arriva esasperando la antica teoria della degradazione, al punto da affermare che il solo fatto dell’esistenza del potere (e non già il suo legittimo esercizio) è idoneo a degradare qualsivoglia diritto, in maniera da rimettere amministrativo il cittadino anche per davanti al giudice fruire della tutela risarcitoria dei suoi diritti. L’assunto da verificare è il seguente. Poiché l'intero ciclo di gestione dei rifiuti (dalla raccolta allo smaltimento mediante conferimento in discarica) costituisce un'unica e complessa attività funzionalizzata, esercita che l'amministrazione (direttamente 8 o a mezzo pubblica di enti strumentali) al fine di soddisfare bisogni primari ed inalienabili (protezione dell'ambiente, igiene, salute), siccome avvertiti dalla collettività uti cives, è indiscutibile la natura di servizio pubblico (in senso soggettivo ed oggettivo) dell'attività in parola, con l'ulteriore conseguenza che le controversie in materia rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 33 d.lg. n. 80 del 1998, e successive modifiche ed integrazione introdotte con l'art. 7 l. n. 205 del 2000. Sicché sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ordine pure alla domanda di risarcimento dei danni alla salute correlati all’attivazione di un impianto di smaltimento dei rifiuti, restando perciò impedita anche la simmetrica tutela anticipatoria cautelare ante causam. Alla stessa conclusione si perverrebbe includendo la fattispecie in esame nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo in materia urbanistica, che pure concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio ai sensi dell'art. 34 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80 come sostituito dall'art. 7 l. 21 luglio 2000 n. 205 Restano tuttavia al riguardo opponibili i convincimenti che la Suprema Corte di Cassazione pare voglia ancora esprimere all’attualità. 9 La situazione di fatto indicata dal Comune ricorrente si riferisce all’allestimento e alla messa in esercizio di un impianto di stoccaggio temporaneo dei rifiuti. Il Comune di Serre teme che l'esercizio del sito di stoccaggio, per la distanza dal centro abitato, per l’inserimento in un’area umida, per la sussistenza di vincoli ambientali e idrogeologici, possa creare pregiudizio per la salute dei cittadini Il petitum sostanziale dell'azione, quindi, è costituito dalla richiesta di tutela del diritto alla salute. Secondo la Corte di Cassazione, con specifico riferimento al diritto alla salute, la protezione apprestata dall'ordinamento si estrinseca sia nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto, sia nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita, obbligando il responsabile al risarcimento del danno. Il diritto alla salute, infatti, appartiene a quel genere di diritti che non tollerano interferenze esterne che ne mettano in discussione l'integrità (Cass. 27 luglio 2000, n. 9398). Parimenti, la Corte Costituzionale ha ritenuto che, in tema di lesione della salute umana, è possibile il ricorso all'art. 2043 cod. civ., dovendosi provvedere non solo alla reintegrazione del patrimonio del 10 danneggiato, ma anche a prevenire e sanzionare l'illecito (Corte Cost. 30 dicembre 1987 n. 641). Il diritto alla salute, che la Costituzione con l'art. 32 proclama espressamente dell'individuo, avendo fondamentale perduto la diritto valenza assicurativa - corporativa propugnata nei primi anni dell'entrata in vigore della Carta costituzionale, è entrato da decenni a far parte della categoria dei diritti sociali a valenza erga omnes, ovvero della categoria dei diritti assoluti della personalità, acquistando, secondo le più recenti prospettive, il titolo per influire sulle relazioni private e limitare l'esercizio dei pubblici poteri. Con riferimento a quest'ultimo aspetto, nelle controversie che hanno per oggetto la tutela del diritto alla salute, garantito come fondamentale dall'art. 32 Cost., la Pubblica Amministrazione è priva di qualunque potere di affievolimento della relativa posizione soggettiva, ancorché agisca per motivi di interesse pubblico, né essa può pregiudicare indirettamente tale diritto, il quale appartiene a quella categoria di situazioni soggettive che non tollerano interferenze esterne che ne mettano in discussione l’integrità. La domanda di risarcimento del danno proposta da privati nei confronti della Pubblica Amministrazione 11 o di suoi concessionari per conseguire il risarcimento dei danni alla salute, quindi, andrebbe comunque devoluta al Giudice ordinario (Cassazione civile , sez. un., 08 novembre 2006, n. 23735; Cassazione civile , sez. un., 27 giugno 2006, n. 4908; Cassazione civile , sez. un., 21 marzo 2006, n. 6218; Cassazione civile , sez. un., 08 marzo 2006, n. 4908; ma arg. anche da Cassazione civile , sez. un., 09 marzo 2007, n. 5402). Non vale pertanto vale obbiettare che: con la soppressione del D.Lgs. 31 marzo 1988, n. 80, art. 33, comma 2, lett. e) ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, la sottrazione dall'ambito della giurisdizione esclusiva delle controversie in materia di pubblici servizi non ha più ragion d'essere; oppure, che nella specie non ricorrono le altre ragioni di sottrazione alla giurisdizione amministrativa per quanto riguarda controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi; o, ancora, che la controversia non è meramente risarcitoria, perchè è chiesta la condanna della pubblica amministrazione ad un facere o, infine, che nella specie la giurisdizione esclusiva ricorre in base allo stesso D.Lgs. n. 80 del 1988, art. 34, giacché l’allestimento di un sito di 12 stoccaggio dei rifiuti o attiene all'utilizzazione del territorio. La Cassazione al riguardo ricorda che la giurisdizione esclusiva oggi ha ragion d'essere a proposito dei pubblici servizi nei quali si manifesta il potere di supremazia della pubblica amministrazione (Corte costituzionale n. 204 del 2004) D’altro canto, nel presente giudizio non è proposta in via principale una domanda di condanna della pubblica amministrazione ad un facere. Infine, non ricorre neppure la giurisdizione esclusiva ai sensi del ripetuto D.Lgs. n. 80 del 1988, art. 34, come modificato dalla L. 21 luglio 2000, n. 205, art. 7, nel testo risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, perchè la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo in materia urbanistica e edilizia, prevista dal citato art. 34 ha, come presupposto oggettivo, il nesso tra atti e provvedimenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati, ed uso del territorio; nesso che nella fattispecie non ricorre. A base della domanda cautelare, del resto, non vi è la diretta impugnazione 13 dell’ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3590 del 23 maggio 2007. Neppure la giurisdizione del Giudice amministrativo potrebbe essere affermata in relazione al citato D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, nel testo vigente, poiché è soltanto nelle controversie devolute alla sua giurisdizione che il Giudice amministrativo può conoscere delle questioni relative al risarcimento del danno. Nella sostanza, nel sistema normativo conseguente alla l. 21 luglio 2000 n. 205, la tutela giurisdizionale risarcitoria contro l'agire illegittimo della p.a. spetta invero al giudice ordinario solo in casi marginali, quante volte appunto il diritto del privato non sopporti compressione per effetto di un potere esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti, quante volte l'azione della p.a. non trovi rispondenza in un precedente esercizio del potere, che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti richiesti per valere come atto o provvedimento e non come mera via di fatto. Pertanto, l'amministrazione deve essere convenuta davanti al giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l'azione risarcitoria costituisca reazione alla lesione di diritti incomprimibili, come proprio la salute o l'integrità 14 personale (Cassazione civile , sez. un., 13 giugno 2006, n. 13660; Cassazione civile , sez. un., 13 giugno 2006, n. 13659). Il profilo era vieppiù pacifico prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 80/1998, riconoscendo la giurisprudenza la pressoché costantemente giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla tutela della salute e della salubrità ambientale nel caso in cui l'attività pregiudizievole provenisse dalla Pubblica amministrazione, e ciò a prescindere dalla qualificazione o individuazione dell'attività come "servizio pubblico" (Pret. Roma, 26 ottobre 1989, in Giur. merito, 1991, p. 269; Pret. Ciriè, 25 marzo 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, p. 208; Pret. Monza, 19 luglio 1991, in Giur. it., 1992, I, 2, p. 132; Pret. Torino, 31 gennaio 1998, in Giur. it., 1998, p. 1148). I giudici di merito concedevano provvedimento inibitorio d'urgenza anzi il ex art. 700 c.p.c., con riferimento alla costruzione di un impianto, ove non potesse escludersi - ancorché non si fosse raggiunta alcuna prova sul piano scientifico - la pericolosità dell'impianto stesso, in ordine al quale l'ordine di non attivazione, pur in fase di costruzione, si raccomandasse anche per i tempi necessari per la conclusione del giudizio di 15 merito (Pret. Pietrasanta, ord. 8 novembre 1986, in Rass. giur. energia elettrica, 1988, p. 485); e quindi anche a tutela di un'ipotetica lesione del diritto alla salute, allorché lo stato delle conoscenze permettesse di pervenire, a tutto concedersi, ad un giudizio meramente probabilistico circa eventuali connessioni fra l’attività pericolosa esercitata dalla P:A e la salute umana.. La Cassazione, in particolare, aveva avuto occasione altresì di distinguere i profili della tutela del diritto soggettivo - salute dai limiti di sindacabilità dell'atto amministrativo, precisando: "La domanda con la quale il Comune denunci l'installazione da parte di altro ente pubblico di una discarica di rifiuti, assumendone la idoneità a ledere la salute e l'incolumità fisica dei cittadini, non si sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario in quanto si ricollega ad una posizione di diritto soggettivo quale è quello tutelato dall'art. 32 Cost., mentre l'eventuale interferenza delle pretese della parte attrice con gli atti amministrativi concernenti la contestata installazione non determina difetto di giurisdizione, ma rileva sotto il profilo dei limiti interni delle attribuzioni del detto giudice ordinario (divieto di annullare, modificare o revocare il provvedimento amministrativo, ai sensi dell'art. 4 16 legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E)". (Cass. civ., SS.UU., 17 novembre 1992, n. 12307). Sicché, ante D. lgs. 80/1998, nessuno dubitava del potere del giudice ordinario di occuparsi a pieno titolo di diritto alla salute, pur quando il medesimo fosse connesso esplicandosi ad tale un potere atto amministrativo, nella disapplicazione dell'atto. Ad avviso della dottrina, l’assetto della giurisdizione in ordine alla fattispecie simili a quelle di causa non sarebbe destinato a mutare neppure ove l’attività dannosa alla salute, attribuibile alla P:A:, sia riferibile alla materia del " servizio pubblico", come tale ricadente sotto la disciplina di cui all'art. 33, comma 2, lett. e), del D.Lgs. n. 80 del 1998, modif. dall'art. 7, comma 1, lett. a) della legge 205/2000. Si sostiene in proposito che un procedimento cautelare d'urgenza volto ad ottenere un provvedimento inibitorio di un'attività "inquinante" specifica (quale, nella specie, quella costituita dalla messa in esercizio di una discarica o di un sito di stoccaggio dei rifiuti) non rientri affatto ipso iure nella competenza per materia introdotta dall'art. 33, comma 2, lett. e), del D.Lgs. 80/1998. L'oggetto di simili contenziosi attiene piuttosto specificamente alla materia della salubrità ambientale e della salute 17 umana, nonché della proprietà privata, beni di primario rilievo costituzionale. Ciò, a priori, a prescindere dal giuoco diritti soggettivi/interessi legittimi. Nè sarebbe corretto ravvisare tra la materia di servizio pubblico e quelle della salubrità ambientale, della salute umana e della proprietà privata un rapporto di genus a species. Il Comune qui ricorrente non chiede l’interruzione o la soppressione del "servizio pubblico" di smaltimento dei rifiuti inerenti il sito di Valle della Masseria, né un miglior espletamento del "servizio pubblico", ovvero che tale "servizio pubblico" venga esercitato con differenti modalità. L’ente attore ha chiesto che la messa in esercizio del sito de quo venga consentito nel rispetto della cautela sanitaria . D’altro canto, si sostiene, l'istituzione di una ipotesi normativa di giurisdizione esclusiva significa che l'ambito di giurisdizione del giudice ordinario viene ridotto in favore di una correlativamente ampliata giurisdizione del giudice amministrativo; ma non significa introdurre, seppur parzialmente - ossia per talune materie - un sistema di riparto diverso da quello fondato sulla dicotomia diritto-interesse. Se si intendesse che ogni attività collegata al servizio pubblico sia come tale essa stessa servizio 18 pubblico, risulterebbe altrimenti difficile immaginare un'attività proveniente dalla pubblica amministrazione che non rientri nella suddetta categoria; con ciò trasformando il binomio pubblica amministrazione-servizio pubblico in un dogma insuperabile. Forse proprio per questo nelle sentenze richiamate della Corte di Cassazione si continua a far uso del tradizionale criterio di riparto di giurisdizione fondato sulla causa petendi, che nella specie individua la giurisdizionale competenza nel giudice ordinario. Sicché, in una domanda come quella in esame, non vi è alcuna ricaduta ope legis nella materia del "servizio pubblico" per il solo fatto di domandare di ordinare alla amministrazione di non allestire un impianto di stoccaggio di rifiuti potenzialmente lesivo dei valori considerati tollerabili o cautelativi della salute umana (arg da Cass. civile, SS.UU., 29 luglio 1995, n. 8300). Per la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in fattispecie analoghe a quelle per cui è causa si pronuncia, del resto, ancora in maniera abbastanza compatta la giurisprudenza di merito (cfr. Tribunale Teramo, 04 novembre 2005, in Riv. giur. ambiente 2006, 2 336; Tribunale Padova, 01 19 marzo 2005, in Riv. giur. ambiente 2005, 5 874; Tribunale Lucca, 14 aprile 2004, in Giur. merito 2004, 2069; Tribunale Venezia, 14 aprile 2003, in Riv. giur. ambiente 2003, 1069). Simile ratio ha talvolta in passato ispirato pure la giurisprudenza del Consiglio di Stato (Consiglio Stato , sez. VI, 04 giugno 2002, n. 2329, in Riv. giur. ambiente 2002, 966). ----------------------------- Sotto il profilo processuale, il procedimento cautelare d'urgenza è tipicamente caratterizzato da una domanda inibitoria, a presidio di una futura azione di merito meramente risarcitoria. Anche quanto a questo profilo, la giurisprudenza di merito ha sempre considerato che il giudice ordinario, competente a conoscere delle controversie nelle quali sia dedotta la lesione ad opera della P.A. o di altri enti pubblici del diritto assoluto della persona alla salute direttamente individuato dall'art. 32 Cost., possa adottare, in caso di accoglimento della domanda, i provvedimenti giurisdizionali idonei a salvaguardare il diritto sostanziale configurato, provvedimenti che ben possono assumere contenuto inibitorio ovvero 20 conformativo conseguente tanto della all'esecuzione attività del materiale provvedimento amministrativo, quanto della attività amministrativa non provvedimentale" (cfr. Trib. Roma, 30 dicembre 1999, in Corriere giur., 2000, p. 673, Trib. Roma, 20 dicembre 1999, in Riv. giur. circolaz. e trasp., 2000, p. 357). Com’è noto, il carattere dei provvedimenti cautelari, che il procedimento uniforme congegnato dalla l. n. 353/1990 maggiormente esaltava, era connesso alla loro strumentalità rispetto alla decisione definitiva. Il rilievo della strumentalità traspariva, in particolare, dai meccanismi di inefficacia del provvedimento cautelare in caso di mancato inizio della causa di merito nel termine fissato dal giudice, oppure in caso di estinzione del giudizio, o di dichiarazione di inesistenza del diritto cautelato (art. 669 novies c.p.c.); così come dalla revocabilità o modificabilità del provvedimento cautelare in ipotesi di mutamenti nelle circostanze (art. 669 decies c.p.c.), sottolineandosi il bisogno di un permanente modularsi della cautela in relazione all’evolversi della situazione di fatto o processuale, in maniera da preservare costantemente, pure dopo l’esaurimento della fase revisionale del reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c., l’adeguatezza della misura 21 applicata alla attuazione degli effetti della immanente tutela di merito. Altro elemento fisionomico dei provvedimenti cautelari, mantenuto, se non incentivato, a seguito della introduzione del procedimento cautelare uniforme ex artt. 669 bis ss. c.p.c., in uno a quello della strumentalità, appariva quello della provvisorietà. La provvisorietà di un provvedimento implica, in via d’approssimazione, che esso continui a produrre effetti sino a quando non sia emanato un ulteriore atto che ne comporti la revoca, salvi i casi in cui una norma ne sancisca espressamente la caducazione; ma, per altro verso, essa comporta che i predetti effetti debbano trovare la loro definitiva causa e giustificazione in un ulteriore provvedimento, questo sì definitivo, adottato all’esito del complessivo procedimento. Provvisorietà significa, inoltre, inidoneità del provvedimento a pregiudicare irrimediabilmente i diritti della parte soccombente, e pertanto “non decisorietà”. In tal senso, le misure cautelari non dovrebbero rivelarsi mai capaci, per loro stessa natura, di acquistare efficacia definitiva se non tempestivamente impugnate, essendo comunque destinate a rifluire nel provvedimento terminale deputato a dirimere la controversia in atto tra le 22 parti ed a regolare ineluttabilmente, con autorità di giudicato, il rapporto ivi dedotto; di tal che, sarebbe nella natura del provvedimento cautelare rimanere sostituito dalla sentenza di accoglimento della domanda o posto nel nulla dal rigetto della domanda o dal mancato inizio o dalla mancata conclusione del giudizio di merito. Ha storicamente messo, tuttavia, in crisi il postulato di provvisorietà degli effetti del provvedimento cautelare la categoria, di creazione dottrinale, dei provvedimenti cautelari anticipatori. La nozione descrive il novero di quelle misure cautelari il cui contenuto risulta integralmente anticipatorio degli effetti satisfattivi del diritto azionato. In sostanza, a fronte di provvedimenti miranti ad immunizzare l’istante dal pericolo di infruttuosità della sentenza di merito a cognizione piena, aventi perciò carattere prettamente conservativo, andrebbe isolata una specie di provvedimenti cautelari ispirati dall’esigenza di scongiurare la tardività delle tutela finale di merito, e perciò di carattere piuttosto anticipatorio della decisione di primo grado, svincolati dalla previsione di un’apposita fase di convalida e di durata indeterminata, seppur sempre inidonei a produrre giudicato. Dovendo il giudice della misura anticipatoria preoccuparsi - invece che 23 di dar sommaria cautela ad un diritto conseguire all’istante l’utilità di far sostanziale che attende, sembra inevitabile che egli si dedichi pressoché esclusivamente alla ricerca del fumus, trascurando il periculum, ovvero la qualificazione temporale del bisogno di tutela. Alcuni autori avevano avversato l’utilità concettuale di distinguere, nell’ambito della tutela cautelare, i provvedimenti anticipatori; traendo significativo conforto a tale avversione dall’unitario trattamento normativo riservato dalle norme sul procedimento cautelare ex artt. 669 bis e segg. c.p.c.. Anche quelle misure cautelari qualificate come anticipatorie erano infatti state assoggettate dal legislatore del 1990 alla generale sanzione di inefficacia in ipotesi di omesso tempestivo inizio del giudizio di merito, ovvero di estinzione dello stesso. Questa conclusione merita evidentemente di essere rivista alla luce delle novità apportate dalla legge 12 maggio 2005, n. 80, in sede di conversione del D. L. 14 marzo 2005, n. 35. Ci si riferisce soprattutto, ovviamente, al nuovo testo dell’art. 669 octies c.p.c., il quale prevede ora, nei commi aggiunti in calce, che le disposizioni sull’inizio o sull’estinzione del giudizio di merito, comportanti l’inefficacia della misura cautelare, non 24 si applicano ai provvedimenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c., né agli altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito, nonché ai provvedimenti emessi a seguito di denunzia di nuova opera o di danno temuto. Sfuma in tal modo, perciò, uno degli essenziali tratti distintivi della categoria dei provvedimenti cautelari: ai fini della qualificazione come cautelare di un dato provvedimento, non sovviene più decisivamente l’elemento della correlazione alla immediata instaurazione di un giudizio di merito, né più l’inettitudine a sopravvivere alla sua estinzione; mentre la destinazione a prevenire il pericolo di un pregiudizio al diritto controverso si rivela sembianza troppo generica per definire i provvedimenti cautelari, giacché propria di svariate misure sparse qua e là nell’ordinamento. Non può, invero, dimenticarsi come, almeno fino agli anni Ottanta dello scorso secolo, la dottrina processualistica italiana avesse ritenuto che un provvedimento cautelare in grado di anticipare pienamente i contenuti di quello principale avrebbe visto svanire la sua ratio essendi di strumentalità e provvisorietà, e quindi la stessa autonomia dell’oggetto della pretesa cautelare, che è, pur 25 sempre, la rimozione di un periculum qualificato, e mai la tutela immediata del rapporto sottostante. Sono facilmente ricavabili i motivi che hanno spinto dapprima il legislatore del processo societario, e poi quello del processo ordinario, a scardinare la fisionomia della strumentalità della tutela cautelare: si presume che l’istante, il quale abbia ormai pienamente conseguito dalla misura cautelare il bene della vita cui ambiva con la sua domanda, non possa avere più interesse alcuno a che venga duplicato l’accertamento giudiziale del suo diritto in sede di cognizione piena, non desiderando egli ormai nessuna altra attribuzione che quella delle spese di lite. Sebbene lo stesso ricorrente, appagato da un cautelare anticipatorio, non potrebbe comunque mai vedere adottate dal giudice della cautela le statuizioni ripristinatorie, restitutorie e risarcitorie prima della sentenza di merito. Per i provvedimenti d’urgenza o, lato sensu, anticipatori, non sembra quindi ormai corretto parlare nemmeno di “strumentalità attenuata” in relazione al giudizio di merito. Tale definizione potrebbe, invero, condividersi allorché il medesimo giudizio di merito 26 apparisse comunque ragionevolmente prevedibile, ma solo differito in un tempo non più predeterminato dalla legge, un pò come avveniva nei procedimenti di istruzione preventiva (anche qui, peraltro, prima del sopraggiungere dell’art. 696 bis c.p.c., che istituisce la consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite). La vera singolarità delle ultime Riforme è, piuttosto, come visto, quella di aver delineato i cautelari con idoneità anticipatoria quali mezzi di tutela giurisdizionale pienamente satisfattiva, ancorché estranei alla forza del passaggio in giudicato. Merita ancora qualche considerazione la generalizzata sottrazione proprio dei provvedimenti ex art. 700 c.p.c. al vincolo di strumentalità col processo di merito, operata, è da credere, in forza di presunzione della loro esclusiva idoneità ad anticipare l’assetto sostanziale della sentenza. In effetti, la relazione di diretta strumentalità con la tutela di merito è storicamente servita a non rendere i provvedimenti d’urgenza il veicolo di un’illimitata potestà giudiziale di ripristino della legalità. Di fatto, nei decenni trascorsi, l’art. 700 c.p.c. si era prestato ad un’utilizzazione sempre più intensa, in nome del crescente numero di bisogni 27 emergenti sprovvisti di forme di difesa processuale d’urgenza: sicché, da norma di chiusura, esso si era velocemente trasformato in asse portante della tutela cautelare, sovente atteggiandosi come unico effettivo mezzo procedimentale di garanzia in relazione ad esigenze neppure episodiche o marginali, ed anzi ricorrenti. In dottrina veniva così criticata la assoluta centralità accordata dai giudici al solo fumus boni iuris e la corrispondente progressiva atrofizzazione della verifica sul periculum in mora, ritenuto praticamente implicito sul presupposto della notoria lunghezza dei giudizi a cognizione piena: al punto che l’art. 700 c.p.c., sempre più preoccupato di supplire alle disfunzioni dei procedimenti ordinari, avrebbe subito un’anomala involuzione da “decisione strumentale al merito” in “decisione di merito anticipata”. L’errore consistito nell’aver elevato i provvedimenti d’urgenza in rimedio alternativo, e non meramente strumentale, rispetto alla sentenza definitiva si è annidato, dunque, proprio nella esaltazione delle capacità anticipatoria del mezzo cautelare atipico; ma tale capacità anticipatoria è oggi esaltata nell’art. 23, D. lgs. n. 5/2003 e nel rimodellato art. 669 octies c.p.c., che hanno quindi preferito 28 esasperare la sommarietà del procedimento d’urgenza. Inoltre, proprio il rigido nesso di strumentalità tra tutela d’urgenza e tutela ordinaria a cognizione piena, come tradizionalmente concepito dal nostro legislatore, aveva impedito, sino alle recenti Riforme, al giudice della fase cautelare l’adozione di statuizioni quantitativamente eccedenti rispetto a quelle che potesse poi rendere il giudice della sentenza, al più potendo l’ordinanza ex art. 700 c.p.c. ricorrere a misure o a modalità esecutive diverse da quelle tipiche della pronuncia di merito, purché votate a preservare la situazione sostanziale cautelanda. Già prima delle riforme, si contrapponevano, pertanto, gli orientamenti in ordine all’ampiezza del potere del giudice di congegnare la misura più adatta alle esigenze del ricorrente, e quindi in ordine ai contenuti possibili dell’ordinanza ex art. 700 c.p.c., tra chi privilegiava la funzione anticipatoria del rimedio, e per questo parametrava il tipo di ordine cautelare sulla base della specifica domanda del ricorrente, nonché dell’assetto che potesse determinare la futura sentenza; e chi, invece, esaltava la funzione assicurativa della cautela atipica, così prefigurando statuizioni d’urgenza pure di natura diversa da 29 quelle della susseguente pronuncia di merito, ed addirittura non vincolate all’ossequio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Viene peraltro unanimemente condiviso il richiamo all’art. 125 c.p.c., quale norma che descrive il minimum che ogni atto di parte deve avere, ovvero l’indicazione del giudice, delle parti, dell’oggetto, delle ragioni della domanda, delle conclusioni o dell’istanza e, infine, della sottoscrizione. Ma la soluzione più diffusa si spinge ben oltre, imponendo al ricorrente in sede cautelare di specificare anche quelle che saranno le sue conclusioni nella futura causa di merito, ovvero gli elementi di individuazione della domanda da proporsi nel giudizio di cognizione. A ciò indurrebbe sia la possibile portata anticipatoria della misura cautelare rispetto agli effetti della sentenza, sia l’esigenza di agevole individuazione del diritto di cui occorra scorgere il fumus, sia il riscontro di alterità, nelle regioni di fatto o di diritto, tra l’istanza riproposta e quella precedentemente rigettata, ai fini dell’art. 669 septies, comma, 1, c,p.c., sia, ancora, la presenza nel sistema dell’art. 693, comma 3, dell’istanza c.p.c. (che, di istruzione quanto al contenuto preventiva, prescrive l’esposizione sommaria delle domande o eccezioni 30 cui la prova è preordinata), sia, soprattutto, la necessità di dare governo al meccanismo di inefficacia per mancato inizio del procedimento di merito, di cui agli originari artt. 669 octies e 669 novies c.p.c.. Appare sino ad oggi consolidata, quindi, l’opzione ermeneutica che assegna alla domanda di provvedimenti cautelari il compito ineluttabile di descrivere appropriatamente la posizione di diritto sostanziale cautelando, ovvero le ragioni di fatto e gli elementi di diritto costitutivi dell’assunto fumus boni iuris, e di indicare i motivi dell’urgenza che rendono l’intervento giudiziale non differibile sino all’esito del giudizio ordinario di merito. Altra questione da rimeditare, alla luce delle ultime Riforme del procedimento cautelare, è quella dell’operatività, con riferimento alla tutela cautelare, del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato. Appare inconfutabile che spetti pur sempre al giudice la qualificazione giuridica del rapporto su cui la domanda è fondata, sicché anche per l’istanza cautelare vale il criterio generale secondo cui il giudice stesso ha il potere – dovere di definire la lite sulla base dei fatti prospettatigli, prescindendo dalla denominazione (eventualmente 31 erronea) che la parte abbia usato, ed anzi dando prevalente rilievo alle deduzioni e chiarificazioni fornite dall’attore, con il solo limite di non alterare il petitum e la causa petendi. Pertanto, quando nelle circostanze prospettate dal ricorrente siano da ravvisare gli estremi previsti per l’emanazione di provvedimenti cautelari tipici, compito inderogabile del giudice è quello di applicare le norme relative a quei provvedimenti, anche se l’esercizio della funzione giurisdizionale cautelare sia stato erroneamente richiesto con esplicito riferimento a diverso strumento. Però, le ragguardevoli conseguenze in ordine al modus procedendi che il comma 6 dell’art. 669 octies c.p.c. fa discendere dalla portata anticipatoria della misura richiesta, inducono a pretendere che il ricorso cautelare d’ora in poi prospetti le specifiche misure interinali da concedere, così non solo circoscrivendo la scelta del giudice, ma chiarendo pure se debba operare il “vecchio” nesso di strumentalità col giudizio di merito, oggi vigente per le sole cautele conservative, o, piuttosto, il nuovo regime di facoltatività della cognizione piena introdotto dapprima dal D. lgs. n. 5/2003, e poi dalla l. n. 80/2005. Altresì il nuovo testo dell’art. 669 decies c.p.c. depone per l’opportunità che la domanda 32 esponga i motivi che sorreggono il pericolo nel ritardo dell’intervento giudiziale, ed includa, poi, analiticamente il petitum cautelare che si vorrebbe accolto nell’ordinanza, visto che quel determinato provvedimento, infine assegnato, con le relative modalità esecutive, revocato (o potrà modificato) in o seguito per essere sopravvenuti mutamenti nelle circostanze, oppure per fatti anteriori, ma solo se conosciuti dall’istante successivamente al provvedimento. E’ dunque oggi vieppiù ammissibile che l’ordine ex art. 700 c.p.c. abbia un contenuto meramente inibitorio a presidio del diritto alla salute, volendosi, nella specie, Amministrazioni impedire di tenere alla il convenute comportamento (allestimento e messa in esercizio del sito di stoccaggio) in vista del quale è stata adottato l’O.P.C.M. n. 3590/2007. La domanda, per le ragioni su cui si fonda, afferma che il comportamento in parte già tenuto, preordinato com'è alla messa in esercizio del sito di deposito dei rifiuti, una volta che questo inizierà a funzionare, metterà in pericolo la salute dei cittadini di Serre e va quindi impedito: essa è dunque una domanda con cui è fatta valere una responsabilità da illecito, perché è in contrasto con la protezione 33 costituzionale del diritto alla salute un comportamento preordinato a determinarne la messa in pericolo. Non è peraltro necessario che il danno si sia verificato, perché il titolare del diritto possa reagire contro la condotta altrui, se essa si manifesta in atti suscettibili di provocarlo. Si dice invero che la protezione apprestata dall'ordinamento al titolare di un diritto si estrinseca prima nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto e poi nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita obbligando il responsabile al risarcimento del danno. Con specifico riferimento al diritto alla salute, sarebbe evidentemente incoerente affermare, da un lato, che esso non tollera interferenze esterne che ne mettano in discussione l'integrità, ma ammettere, dall’altro, che alla persona sia data la sola tutela del risarcimento del danno e non anche quella preventiva. nella sentenza Anche la Corte costituzionale, 30 dicembre 1987 n. 641, espressamente riconosceva che, in tema di lesione della salute umana, il ricorso all'art. 2043 cod. civ. debba essere in grado di provvedere non solo alla 34 reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ma anche di prevenire e sanzionare l'illecito. Conformemente, la Corte di Cassazione, preoccupandosi di contenere l'attribuzione di poteri autoritativi alla pubblica amministrazione, in maniera che non ne risulti compromesso il diritto alla salute, ha in più occasioni enunciato il principio per cui il privato può chiedere al giudice ordinario provvedimenti non di sola condanna al risarcimento del danno, ma anche di condanna ad un fare (Cass. Sez. Un. 20 febbraio 1992 n. 2092), in confronto della pubblica amministrazione o di concessionari di pubblici servizi. Perciò può essere chiesto al giudice di inibire all'amministrazione il comportamento costituito dal porre in esercizio un impianto che, iniziando a funzionare, possa determinare una situazione di messa in pericolo della salute (Cassazione civile , sez. III, 27 luglio 2000, n. 9893). Pertanto, rientra nei poteri del giudice ordinario accertare se, sulla base delle conoscenze scientifiche acquisite nel momento in cui si tratta di decidere sulla domanda, avuto riguardo anche alla situazione del caso concreto, vi sia pericolo per la conservazione dello esposizione al fattore 35 stato di salute nella inquinante di cui si tratta. Momento essenziale di tale accertamento, perché se positivo ad esso consegue che la condotta debba essere inibita, è che la condotta contraria, se lasciata svolgere, determinerà una situazione di esposizione al fattore inquinante suscettibile di compromettere la conservazione dello stato di salute. Che la situazione inquinante contenga (nella in sè di esposizione specie, tale deposito al fattore di rifiuti) potenzialità costituisce anch'esso un tratto essenziale del fatto da accertare e la potenzialità, come in ogni caso in cui si tratta di stabilire se in futuro potrà determinarsi un evento come conseguenza di un fatto presente, deve essere accertata considerando se sia da considerare dimostrato un numero di casi in cui l'evento si è prodotto, sufficiente ad autorizzare, in un giudizio che fosse compiuto ad evento avvenuto, la conclusione che il fatto costituisce la causa dell'evento. Questo consente già di precisare come, vagliato il fumus boni iuris della domanda di inbitoria cautelare proposta dal Comune di Serre, verrà da sé pure il riscontro del periculum in mora. Invero, il pregiudizio, che costituisce condizione per la concessione del provvedimento d’urgenza, è 36 doppiamente caratterizzato sotto il profilo temporale dall’art. 700 c.p.c.: deve, infatti, trattarsi di un pregiudizio imminente e che rischierebbe comunque di avverarsi durante il tempo occorrente per la tutela ordinaria del diritto. L’imminenza va riferita ad una situazione di pericolo per il diritto che sia oggettiva, involontaria, reale ed attuale. Essa fa pensare sia al probabile sopraggiungere in tempi rapidi di una diversa situazione di fatto, sia al perpetuarsi di una situazione dannosa già esistente ed altrimenti rimovibile soltanto al lontano epilogo della causa di merito: per questo è corretto intravedere in astratto nella cautela atipica tanto una funzione di tutela preventiva rispetto al verificarsi dell’evento lesivo, quanto una funzione repressiva volta a perseguire situazione pregiudizievoli ormai in atto o del tutto prodottesi. L’irreparabilità del pregiudizio si spiega, invece, non con riferimento alla natura assoluta del diritto da cautelare, né con riferimento alla infungibilità del bene che del diritto costituisce oggetto. Indubbiamente, il danno può definirsi irreparabile quando non sia integralmente rimediabile con le tecniche risarcitorie in equivalente pecuniario o con gli strumenti di reintegrazione in forma specifica: in queste ipotesi la durata del processo cagiona uno 37 scarto intollerabile tra gli effetti finali della decisione di merito e la soddisfazione completa del diritto dedotto in lite. Autorevoli critiche si sono, peraltro, levate avverso le considerazioni dell’irreparabilità del pregiudizio ex art. 700 c.p.c. basate esclusivamente sulla natura del diritto cautelando, e non anche, e prima, sulla persona del titolare del diritto, e quindi sulla effettiva funzione che il diritto è destinato ad assolvere nel caso singolo in relazione ad interessi meritevoli di tutela da parte dell’ordinamento. Questo non equivale a teorizzare una soggettivizzazione del pregiudizio, ma a reclamare la dovuta attenzione per la soddisfazione dell’interesse del titolare della situazione giuridica sostanziale da sottoporre a cautela. Su tali premesse interpretative, si reputa comunque in re ipsa irreparabile il pregiudizio arrecato ai diritti a contenuto ed a funzione non patrimoniale dalla perdurante loro insoddisfazione per tutto il tempo necessario all’emanazione di una sentenza. Ci si riferisce, ovviamente, ai diritti della personalità ed ai diritti costituzionalmente rilevanti (nome, immagine, onore, riservatezza, identità personale, professionalità, salute, ambiente, istruzione, libertà religiosa, ecc.), per i quali la restitutio in integrum risulta sempre difficoltosa e spesso inattuabile, e la 38 tutela deve, pertanto, orientarsi il più possibile proprio verso soluzioni preventive a contenuto inibitorio. Per questo, non potrà mai concludersi che il diritto alla salute debba prima essere esposto a compromissione (nel caso in esame, attendendo la verificazione delle situazioni di fatto che condizionano, in base all’OPCM n. 3590/2007, l’uso del sito di Valle della Masseria, quali la chiusura di altre discariche, oppure la non fruibilità di altri siti, contemporanea all’aggravamento dell’emergenza rifiuti in Campania), e soltanto poi possa trovare tutela, peraltro in forma repressiva, mediante condanna al risarcimento del danno. Tanto più che, essendo l’utilizzo del sito di Valle della Masseria correlato al generico aggravarsi della situazione di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti in Campania, rimane una profonda incertezza sul termine finale di tale regime di emergenza, che comprime la normale fruibilità dell’area. ----------------------------- Veniamo alla consistenza del fumus boni iuris. Le Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza 6 ottobre 1979, n. 5172, ebbero a statuire che il diritto alla salubrità dell'ambiente, aspetto del 39 generale diritto alla salute, è diritto fondamentale della persona umana, sia come individuo che come partecipe della collettività, e gode di piena tutela giurisdizionale anche nei confronti della pubblica amministrazione. Il collegamento, dell'art. 32 con l'art. 2 cost. attribuisce infatti al diritto alla salute un contenuto di socialità e di sicurezza, tale che esso si presenta non solo come mero diritto alla vita e all'incolumità fisica, ma come vero e proprio diritto all'ambiente salubre, che neppure la pubblica amministrazione può sacrificare o comprimere, anche se agisca a tutela specifica della salute pubblica. Da tale configurazione deriva ancora che il diritto alla salute nel suo duplice aspetto è tutelabile giurisdizionalmente davanti al giudice ordinario anche contro la pubblica amministrazione Dunque, a differenza di quando si parla di diritto all’ambiente, con la locuzione “ambiente salubre” si fa espresso riferimento al danno alla salute arrecato da fenomeni di inquinamento, cioè da fenomeni che incidono sulla salute fisica e psichica, quale effetto della violazione dell'integrità dell'ambiente. I due tipi di danno, conseguente alla lesione di interessi ontologicamente tra loro diversi, possono 40 coesistere, ma possono anche insorgere separatamente Vi è ancora un altro tipo di danno derivante al singolo per la violazione dell'integrità dell'ambiente, non accompagnato o seguito da lesione della integrità fisiopsichica, ma comportante tuttavia disagi alla vita, alla vivibilità, all'ordinato e usuale svolgimento delle abitudini proprie di ciascuno. Si tratta di danno, di natura economica (quale può essere, ad es., il danno derivante dalla perdita dell'abitazione, per l'abbandono delle zone inquinate, o per consentire la bonifica delle zone inquinate, per la sospensione o la riduzione dell'attività lavorativa) e di natura morale (quale può essere l'abbandono delle zone care alla memoria familiare, per la riduzione dell'attività ludica, ecc.). Tuttavia, da anni ormai il diritto all'ambiente salubre si è a poco a poco differenziato dagli altri tipi di danno provocato all’ - o derivante dall' - ambiente -, acquisendo una fisionomia sua propria. Resta da verificare se il diritto all'ambiente salubre sia un aspetto del più ampio diritto alla salute o se occorre guardarvi come ad un ulteriore nuovo diritto. In una pronuncia della Corte europea dei diritti dell'uomo (Lopez Ostra contro Spagna, del 9 41 dicembre 1994), proprio in un caso di immissioni di fumi e odori nocivi alla salute derivanti da un impianto di trattamento dei rifiuti, la Corte di Strasburgo ritenne che, anche se non lesive della salute, le immissioni comportavano una violazione della vita privata e familiare degli abitanti del luogo ove era situato l'impianto; di qui l'obbligo delle autorità amministrative di proteggere questo diritto, tutelato dall'art. 8 della Convenzione europea, e il diritto al risarcimento del danno della vittima, esposta per più di tre anni all'inquinamento atmosferico. La pronuncia è ritenuta dalla dottrina esemplare nel definire il diritto all'ambiente salubre e nel proteggere, in via riflessa, lo stesso "beneambiente". Nell’ottica accennata, il diritto alla salubrità dell'ambiente può ritenersi implicito nello stesso diritto alla salute, soprattutto quando "il significato del diritto alla salute non si esaurisca nella pretesa all'integrità fisica, ma reclami, in quanto necessario presupposto della sanità delle condizioni individuali, la "salubrità" della sfera sia pure esterna all'individuo, ma nella quale egli opera e vive". Il diritto all’ambiente salubre, inteso come "diritto alla vivibilità” può assumere anche natura collettiva, 42 e quindi appartenere agli enti esponenziali delle comunità interessate. In particolare, come visto, qui il Comune di Serre ha inteso denunciare un (per quanto ancora ipotetico e futuro) degrado della salubrità dell'ambiente, rappresentando che il futuro esercizio dell'impianto di stoccaggio dei rifiuti potrebbe, appunto, determinare l'insalubrità dell'ambiente. La domanda del Comune, allora, va intesa, proprio come denuncia di un pericolo alla salute dei cittadini insito nella messa in esercizio di un impianto, che potrebbe degradare la salubrità dell'ambiente. E non v'è dubbio che l'astratta titolarità di un tale interesse debba essere riconosciuta in capo ad un ente territoriale cui è, dal sistema, affidata la gestione del territorio. Anche la giurisprudenza amministrativa individua costantemente tra i soggetti legittimati ad agire in via oppositiva al provvedimento di localizzazione di una discarica il Comune nel cui territorio la discarica deve essere insediata, sotto il duplice profilo sia di ente esponenziale dei residenti sia di amministrazione titolare del potere pianificatorio in materia urbanistica, stante l'incidenza che la discarica ha, comunque, sul territorio. 43 Ciò detto sulla legittimazione del Comune, può tornarsi a riflettere su come la giurisprudenza abbia preferito creare un nuovo ed autonomo diritto all'ambiente salubre (pur contenendo la carta costituzionale riferimenti alla tutela del paesaggio,ex art. 9, o alla tutela della salute, ex art. 32), ricavabile dall'art. 2, inteso come norma aperta. I precedenti di Cassazione apripista risalgono entrambi alla fine degli anni Settanta. Cass. 9 marzo 1979, n. 1463 ricollegava la tutela del diritto all'ambiente salubre alla proprietà, nel senso che ne sarebbe titolare il soggetto proprietario di beni collocati nella zona che ha subito il danno ambientale. Cass. 6 ottobre 1979, n. 4172, estendeva invece ancor più il significato del diritto in esame, non fondandolo sul diritto di proprietà, ma direttamente sul diritto alla salute: "Dovendo preservarsi le condizioni indispensabili o anche solo propizie alla salute dell'uomo anche nei luoghi in cui si articolano le comunità sociali nelle quali si svolge la personalità, il diritto alla salute, piuttosto e oltre che come mero diritto alla vita e alla incolumità fisica, deve configurarsi come diritto all'ambiente salubre". La protezione assicurata dall'ordinamento a questo diritto è piena, attributiva di poteri di libera fruizione 44 di utilità, di libero svolgimento di attività e di esclusione degli ostacoli che all'una o all'altra si frappongano da parte di chicchessia, ivi compresa la pubblica Amministrazione. Il diritto soggettivo all’ambiente salubre, in quanto incorpora un valore costituzionalmente garantito tra i diritti fondamentali, è preordinato rispetto ad altri diritti riconosciuti e garantiti ma ad esso sottoordinati, come la proprietà, l'iniziativa economica, il buon andamento della pubblica Amministrazione. Secondo Cass. pen. 14 aprile 1991, in Nuova giur. civ. comm., 1991, I, 785, "il diritto alla salute è costituzionalmente fondamentale e deve essere inteso nella sua accezione più ampia, comprensiva anche della salubrità ambientale e della qualità della vita, sicché il conflitto tra interessi economici e industriali e l'interesse alla salubrità dell'ambiente non può che essere risolto in favore di quest'ultimo". Ai fini dell’imputazione della responsabilità civile per i danni all’ambiente salubre, appare da sconsigliare l’applicazione del regime ordinario. Non convince cioè la conclusione secondo cui la lesione del diritto all'ambiente salubre comporta una mera responsabilità per dolo o per colpa, con l'onere della prova a carico del danneggiato. 45 Il riferimento normativo più corretto appare invece quello all'art. 2050 c.c., nel senso che la lesione di un diritto soggettivo all'ambiente salubre importa responsabilità oggettiva di chi ha arrecato la lesione. Ad analoga conclusione è pervenuto l'ordinamento tedesco già nel 1991, con la disciplina sulla "responsabilità ambientale" (Umwelthaftungsgesetz), che introduceva una responsabilità di tipo oggettivo per i danni alla salute provenienti dall'inquinamento. La presunzione posta dall’art. 2050 c.c. è da intendersi quale finzione che, mediante un'eccezione al principio generale posto dall'art. 2697 c.c., determina una distribuzione dell'onere della prova diversa rispetto a quella valevole in tema di illecito civile per la regola generale di cui all'art. 2043 c.c., al fine di favorire il danneggiato, in ossequio al principio dogmatico di cd. vicinanza alla prova. La soluzione propugnata corrisponde ad una tendenza verso l’oggettivazione della responsabilità civile da contatto amministrativo qualificato; e prende atto della conclusione cui perviene certa dottrina circa l’applicabilità del regime di responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. anche 46 all'attività provvedimentale della pubblica amministrazione-autorità. Essendo l’attività legata alla messa in esercizio di un impianto di stoccaggio dei rifiuti un’attività pericolosa, potenzialmente idonea a ledere il diritto all’ambiente salubre, spetta a chi svolga o intenda svolgere tale attività dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, operando al riguardo il principio della colpa obiettiva, quale violazione della misura dello sforzo in relazione alle circostanze del caso concreto adeguato ad evitare che la attività provochi danno a terzi. Vertendosi in tema di provvedimento inibitorio d'urgenza ex art. 700 c.p.c., spetta dunque a chi voglie allestire l’impianto per l’esercizio dell’attività pericolosa smentire, anche sul piano scientifico, il dato della pericolosità dell'impianto stesso per la salute umana. Non potrebbe viceversa opinarsi, per quanto sopra più volte detto, che il diritto alla salute dei soggetti dell’impianto abitanti pericoloso nell’area debba di attivazione prima essere esposto a concreta ed attuale compromissione e soltanto poi possa trovare una tutela, a quel punto meramente riparatoria insoddisfacente. 47 e quindi del tutto Già la precedente ordinanza cautelare resa da questo Tribunale il 28 aprile 2007 aveva piuttosto richiamato la Valutazione di Impatto Ambientale effettuata su richiesta del Commissario per l’emergenza rifiuti - che prospettava i rischi di disastro ambientale correlati ad un eventuale sversamento incontrollato dei liquami di percolamento dei rifiuti nel corso del fiume Sele, distante poche centinaia di metri dal sito di Valle della Masseria. Del resto, il paventato pregiudizio ambientale imputabile al sito di deposito dei rifiuti non è valutabile se non attraverso accertamenti disposti da qualificati organismi, atti ad emettere analisi e riscontri tecnici ed a valutare il pregiudizio per il territorio, derivante dalla presenza di sostanze tossiche e nocive, anche in relazione alla loro concentrazione ed al terreno. Ad grado di assorbimento del esempio, gli stessi Giudici amministrativi compiono un sindacato "debole" sulle valutazioni tecniche in materia di tutela della salute, dell'ambiente e del paesaggio, ciò in conformità con la previsione dell'art. 17, l. n. 241 del 1990 che prevede la non surrogabilità delle valutazioni tecniche espresse da amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente. Raramente i 48 giudici amministrativi, anche quando ammettano la c.t.u., si spingono fino a verificare l'inattendibilità degli apprezzamenti tecnici delle P.A. in termini di esattezza e condivisibilità. Inoltre, nel corso di un procedimento cautelare, va considerato come l’espletamento di una consulenza tecnica pare ammissibile, ex art. 669 sexies, comma 1, c.p.c., solamente nei casi in cui sia effettuabile in tempo utile una sommaria indagine tecnica per preservare il diritto del ricorrente senza snaturate fini e struttura della tutela cautelare; laddove invece il bilanciamento degli interessi (nella specie, la tutela della salute delle persone abitanti vicino esigenze della all’impianto di stoccaggio e le P.A. legate al servizio di smaltimento dei rifiuti) non risulti così agevole, deve negarsi una idonea competenza istruttoria del giudice cautelare e rinviare tale incombenza alla fase della cognizione piena ed esauriente (cfr. Trib. Verona, ord. 9 marzo 1998, in Giur. mer. 1998, I, 618). E’ noto come le nuove conoscenze scientifiche e tecniche del settore, rovesciando una precedente equazione tra discariche dei rifiuti e tutela ambientale, sia a livello europeo sia a livello nazionale, abbiano 49 collocato gli impianti di smaltimento all'ultimo posto nella gerarchia dei metodi di gestione dei rifiuti (dopo prevenzione e recupero): in particolare, le discariche costituiscono la vera e propria extrema ratio, essendo oramai accertato il loro impatto negativo sull'ambiente nel quale si inseriscono (si veda, a livello europeo, già la Risoluzione del Consiglio U.E. 24 febbraio 1997 sulla strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti (97/C 76/01). Ne consegue che lo stabile collegamento con il territorio di localizzazione di un impianto di smaltimento, ove non siano esclusi i rischi di pericolosità dello stesso, dovrebbe considerarsi di per sé circostanza sufficiente per la inibitoria richiesta, senza che il ricorrente sia costretto ad addossarsi onerose quanto premature dimostrazioni di lesioni (concrete, immediate ed attuali) alla sfera giuridica propria e dei cittadini che rappresenta, lesioni, in realtà, che risultano sempre potenzialmente derivanti dalla costruzione e dall'attivazione dell'insediamento, anche soltanto sotto i profili della degradazione urbanistica, dell'aumento del traffico, della diffusione di odori e/o rumori molesti, con le inevitabili ricadute economiche in termini di svalutazione di immobili e aziende. Senza considerare i possibili inquinamenti 50 dell'aria, del suolo, delle acque sotterranee e superficiali, con conseguente compromissione della prospettata salubrità dell'ambiente di vita, ovvero i danni - anche soltanto all'immagine - a particolari attività economiche esercitate in prossimità dell'insediamento (si pensi, ad esempio, alle industrie alimentari o alle imprese agricole e di allevamento legittimamente del bestiame, intervenute quali quelle in questo procedimento). Ad avviso del Comune ricorrente, 80 famiglie abitano a 500 metri dall’area di attivazione del sito di stoccaggio; la circostanza è solo genericamente contestata dalle amministrazioni resistenti, che collocano invece il centro abitato (per come inteso dal D. lgs. n. 36/2003, a circa tre chilometri dal sito. Inoltre, l’area Valle della Masseria rientra pacificamente nell’Oasi del Sele – Serre Persano, istituita con DPGRC n. 4060/1076, dichiarata zona umida di importanza internazionale, e quindi affidata alla gestione del WWF dal 1981. Fino all'approvazione della l. n. 394 del 1991 la dottrina lamentava l'assenza di una fonte normativa disciplinante l'organizzazione unitariamente dei parchi l'istituzione naturali, statali e o regionali. Infatti, vi era un gruppo di normative 51 (leggi istitutive e regolamenti di esecuzione) relative all'istituzione di cinque parchi nazionali, oltre a disposizioni che disciplinavano i parchi naturali regionali. La dottrina aveva rilevato, pertanto, l'insoddisfacente sviluppo della legislazione italiana in materia di parchi naturali, che scontava insufficienze o ritardi collegati alla tardiva e incompleta (ambientale, chiarificazione urbanistico di e tutti socio i profili economico) coinvolti nella istituzione di parchi naturali e dal loro "impatto" sul coacervo di interessi (soprattutto economici) delle comunità insediate nell'area del parco. Le evidenziate mancanze di coordinamento della disciplina sui parchi non risultavano superate, ma addirittura accresciute, a seguito dell'emanazione prima del d.p.r. 15 gennaio 1972 n. 11 , e successivamente del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616. In particolare, a seguito del d.p.r. n. 616 del 1977, poiché la protezione della natura, l'istituzione dei parchi e riserve naturali e la tutela delle zone umide erano divenute riconducibili alla materia agricoltura e foreste e all'urbanistica. Solo con la l. n. 394 del 1991, il riferimento agli artt. 9 e 32, Cost. indica che la protezione della natura rientra nei compiti della Repubblica e, quindi, dello 52 Stato comunità, formato dallo Stato, dalle Regioni e dalle autonomie locali . La l. n. 394 del 1991 afferma, all'art. 1, comma 5, che "nella tutela e nella gestione delle aree naturali protette, lo Stato, le Regioni e gli enti locali attuano forme di cooperazione e di intesa ai sensi dell'art. 81 del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, e dell'art. 27 della l. 8 giugno 1990 n. 142". Al vertice della gestione delle aree protette è posta la Conferenza Stato-Regioni (art. 7, comma 1, d. legisl. n. 281 del 1997), che ha sostituito il Comitato delle aree protette, che è stato soppresso. La dottrina ha rilevato che al vertice degli interessi locali e nazionali, oltre che paesaggistici, naturalistici, scientifici , coinvolti nella gestione delle aree protette, si colloca, comunque, l'interesse alla protezione integrale dell'ambiente all'interno del loro territorio. Proprio per tale motivo è stato sostenuto che la l. n. 394 del 1991 si ispira in parte al principio biocentrico, in quanto in base alle disposizioni di quella legge, la natura "viene tutelata come valore in sé”, come sistema. Si precisa, meglio, che alcune disposizioni della l. n. 394 del 1991 tutelano "il valore della natura in sé (valore intrinseco)", 53 mentre altre norme riguardano "il valore della natura in relazione all'uomo" (valore ambientale). Dunque, la legge 6 dicembre 1991 n. 394. costituiva una legge cornice, o legge quadro, tipica attuazione del previgente art. 117 Cost., adottata in attuazione diretta degli articoli 9 e 32 della Carta fondamentale, al fine di dettare principi fondamentali per l'istituzione e la gestione delle aree naturali protette, e quindi di garantire e promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale del paese. In base a quella, legge, “non può porsi in dubbio che la ragione d'essere della delimitazione dell'area protetta risieda nell'esigenza di protezione integrale del territorio e conseguentemente, dell'eco-sistema ogni attività e umana che, di trasformazione dell'ambiente all'interno di un'area protetta, vada valutata in relazione alla primaria esigenza di tutelare l'interesse naturalistico, da intendersi preminente su qualsiasi indirizzo di politica economica o ambientale di diverso tipo, sicché in relazione all'utilizzazione economica delle aree protette non dovrebbe parlarsi di sviluppo economico sostenibile ossia dell'eco-sistema 54 di sfruttamento compatibile con esigenza di protezione, ma, con prospettiva rovesciata, di protezione sostenibile, intendendosi con tale terminologia evocare i vantaggi economici che la protezione in sé assicura senza compromissione di equilibri economici essenziali per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra interesse alla protezione integrale ed altri interessi solo negli stretti limiti in cui l'utilizzazione del parco non alteri in modo significativo il complesso dei beni compresi nell'area protetta” (così Consiglio di stato , sez. VI, 16 novembre 2004, n. 7472). Va detto che neppure la legge n. 394 del 1991 poneva un'incompatibilità assoluta fra aree protette ed interventi invasivi, quali l'attivazione e la realizzazione di discariche (cfr. art. 11 commi 3 e 4 della legge n. 394. Pare tuttavia immanente nella legge il principio generale che vuole garantita, per quanto possibile, in forma tendenziale, la conservazione integrale dell'area protetta, ammettendone l'alterazione solo in quanto non vi siano alternative possibili alla scelta adottata ed in quanto sia garantita una successiva bonifica e un ripristino dell'area. Il Trattato di Amsterdam ha introdotto tra gli obiettivi della politica ambientale dell'Unione europea (v. art. 6 del Trattato dell'Unione europea) il principio dello 55 sviluppo sostenibile. In forza di esso, lo sviluppo deve rispondere alla necessità delle generazioni presenti senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare le proprie esigenze. In base al principio dello sviluppo sostenibile, che secondo parte della dottrina, rappresenta peraltro più un principio etico che giuridico, un'attività economica può essere autorizzata soltanto se sia possibile dimostrare che essa rispetti l'ambiente, e cioè comporti un uso non irragionevole e cauto delle risorse naturali, che non pregiudichi la fruizione di tali risorse da parte delle generazioni future. Prima di procedere ad autorizzare un'attività economica è necessario, quindi, operare un bilanciamento tra gli interessi in gioco: l'interesse alla tutela dell'ambiente, e l'interesse all'iniziativa pubblica e privata. La Corte costituzionale ha affermato però che, poiché gli interessi ambientali sono da considerare primari ed assoluti essi non possono essere subordinati ad alcun altro interesse. Ne deriverebbe che nel bilanciamento tra l'interesse ambientale e l'interesse economico dovrebbe comunque prevalere il primo. Tale orientamento si fonda sulla considerazione dello stretto legame tra ambiente e salute dell'uomo: "l'ambiente è protetto come elemento determinativo 56 della qualità della vita. La sua protezione non persegue astratte finalità naturalistiche o estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini, secondo valori largamente sentiti; è imposta anzitutto da precetti costituzionali (art. 9 e 32 Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed assoluto". In tal senso, non può condividersi la lesione della salubrità dell’area protetta dell’Oasi del Sele – Serre Persano motivata unicamente sul presupposto della non fruibilità di altri siti per le occorrenti discariche. Si tenga conto che il sito in località Valle della Masseria, in base all’ O.P.C.M. n. 3590/2007, verrebbe utilizzato proprio come discarica in caso di mancato rispetto dei termini previsti per allestire l’altra discarica ricadente sempre nel Comune di Serre, in località Macchia Soprana (art. 1, comma 6); ed invece come sito di stoccaggio temporaneo di rifiuti laddove, chiusa la discarica di Villaricca,e non potendosi provvedere ad individuare altri siti per discariche, lo imponesse la emergenza della situazione della Regione Campania. Sicché potenzialmente, un comune che conta (dati Istat) 57 poco più di 3800 abitanti ed un numero di 1.658 abitazioni, posto fra i fiumi Sele e Calore, e compreso nel Parco del Cilento e Vallo di Diano, sarebbe chiamato ad ospitare una discarica per una volumetria abbancabile pari ad almeno 300 mila mc di rifiuti (in area Macchia Soprana), nonché un sito di stoccaggio temporaneo in Valle della Masseria, nel mezzo di un’area naturalistica protetta. ----------------------------- Va considerato come l’ ordinanza n. 3590/2007 della Presidenza del Consiglio dei Ministri rientri nell’ambito di previsione dell'art. 5 l. 24 febbraio 1992 n. 225 (recante l’Istituzione del Servizio nazionale della protezione civile), ed ha pertanto natura di ordinanza libera, categoria in cui sono compresi tutti amministrative i provvedimenti suscettibili di di autorità introdurre una disciplina divergente dall'ordine normativo che risultava in precedenza sulla base di disposizioni legislative. Tali ordinanze, immediatamente esecutive, diversamente dagli atti governativi con valore di legge, sono espressione di autonomia ed operano generalmente nel campo dell'attività amministrativa, ma, pur non avendo valore di legge, 58 sono, nel loro ambito, indipendenti e, nel loro contenuto, soggette comunque alla Costituzione ed ai principi generali dell'ordinamento, e non vincolate da altre norme preesistenti che non siano quelle espressamente indicate dalla fonte da cui traggono origine, il che giustifica, appunto, la loro denominazione di ordinanze libere. L’ordinanza è quindi espressamente frutto di una legislazione derogatoria, intesa a contrastare le situazioni emergenziali, competendo la deroga normativa alla Presidenza del Consiglio, che può avvalersi di delegati per l'attuazione degli interventi ( art. 5 comma 4 L. 225/92 cit. ). Tali provvedimenti, pur non contenendo disposizioni generali ed astratte, devono ciononostante formare oggetto della scienza diretta del Giudice, il quale non sarebbe in grado, diversamente, di accertare quali limitazioni siano state apportate nel caso concreto alla disciplina concessa normativa con generale. l’ordinanza L’autorizzazione n. 3590/2007al Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania all’uso del sito in località Valle della Masseria rende allora concreto ed attuale l’interesse del Comune di Serre ad agire in sede cautelare, allo scopo di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile 59 senza l'intervento del giudice, in modo da inibire comportamenti attuativi lesivi del diritto alla salubrità dell’ambiente municipale. ----------------------------- La difesa delle amministrazioni resistenti evidenzia come l’O.P.C.M. n. 3590/2007 imponga di dar rilievo, anche ai fini dell’azione cautelare proposta, tra la “discarica” e lo “stoccaggio”, stante il limite temporale massimo di quest’ultimo utilizzo. Al riguardo, si apprende dall’art. 183, DECRETO LEGISLATIVO 3 aprile 2006, n. 152, che la nozione di stoccaggio concerne le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'Allegato B alla parte quarta del decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell'Allegato C alla medesima parte quarta, mentre la nozione di deposito temporaneo descrive il raggruppamento dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti Si ricordi, per incidens, come il d.lg n. 22 del 1997 stabilisse che: «Dal 1° gennaio 2000 è consentito smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, i rifiuti individuati da specifiche norme tecniche ed i rifiuti 60 che residuano dalle operazioni di riciclaggio, di recupero e di smaltimento di cui ai punti D2, D8, D9, D10 e D11 di cui all'allegato B. Per casi di comprovata necessità e per periodi di tempo determinati, il presidente della regione, d'intesa con il Ministro dell'ambiente, può autorizzare lo smaltimento in discarica nel rispetto di apposite prescrizioni tecniche e delle norme vigenti in materia». Tale termine, rivelatosi eccessivamente ottimistico, è stato però prorogato più volte. In effetti, la nozione di discarica, almeno fino all'entrata in vigore del d.lg. n. 36 del 2003, era priva di Dall'ampia una chiara elaborazione definizione normativa. giurisprudenziale si ricavava che la discarica indicasse l'area adibita a smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di deposito sul suolo o nel suolo. Vale a dire un sito organizzato per il deposito dei rifiuti sulla terra o nella terra, e destinato allo stoccaggio definitivo degli stessi. La definizione giurisprudenziale tentava dunque di far chiarezza anche sul concetto di «stoccaggio provvisorio di rifiuti». Era stato tuttavia il D.Lgs. 22/1997 (decreto Ronchi), recependo la direttiva CE 75/442, in materia di rifiuti, così come modificata ed integrata 61 dalla direttiva CE 91/156, a riportare integralmente le definizioni di deposito preliminare e messa in riserva contenute rispettivamente negli allegati II A e II B della direttiva 75/442, ed a stabilire all'articolo 6, lettera l, che tali operazioni potessero cumulativamente essere denominate stoccaggio. Per il vero, il legislatore italiano non solo recepì dal testo comunitario le nozioni di "produttore", "detentore", "gestione", "smaltimento", "recupero" e "raccolta", ma aggiunse anche quelle di "luogo di produzione dei rifiuti", "stoccaggio", "deposito temporaneo", "bonifica", "messa in sicurezza", "combustibile da rifiuti" e "compost da rifiuti" (art. 6, D.Lgs. 22/1997). La nozione di stoccaggio veniva così definita dall'art. 6 lettera l) del decreto Ronchi: «stoccaggio: attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto d15 dell'allegato B, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di materiali di cui al punto R13 dell'allegato C». Non sono dunque considerabili discariche: « - lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o trattamento per un periodo inferiore a tre anni; - lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per un periodo inferiore ad 1 anno; 62 - gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di essere preparati per il successivo trasporto in un impianto di recupero trattamento o smaltimento» . Se ne deduce che le operazioni di deposito preliminare, se eseguite su rifiuti in attesa di smaltimento, possono essere effettuate solo per un anno, mentre oltre tale termine ricadranno nel regime delle discariche. Non è dato ritenere che tale temporaneità (o provvisorietà) dell’utilizzazione del sito di Valle della Masseria per il solo stoccaggio dei rifiuti, in attesa del successivo smaltimento, scongiuri i rischi di danni alla salute. La scienza dimostra come sia comunque impossibile evitare l’emissione di gas ed esalazioni mefitiche dai siti di stoccaggio dei rifiuti solidi urbani. Del resto, la maggior parte dei gas emessi dai rifiuti si origina già dalla decomposizione batterica, che non richiede una lunga permanenza degli stessi nel sito, giacché si verifica non appena rifiuti organici vengono attaccati dai batteri naturalmente presenti all'interno dei rifiuti e nel suolo utilizzato per coprire le discariche. Altri gas si formano invece per volatilizzazione e per reazioni chimiche (fenomeni anche essi ipotizzabili in caso di permanenza 63 infrannuale dei rifiuti nel sito di stoccaggio). Inoltre, maggiore è la quota organica di rifiuti, maggiore è la produzione di gas (anidride carbonica, metano, azoto, idrogeno solforato) prodotti dai batteri durante la decomposizione; e proprio le discariche più recenti producono maggiori quantità di gas derivanti dalla decomposizione batterica, dalla volatilità e dalle reazioni chimiche rispetto alle discariche più vecchie. Anche la presenza di umidità e quindi di condizioni di non saturazione aumenta la produzione di gas, in quanto incoraggia la decomposizione batterica. Non è quindi la differenza fra il concetto di discarica e quello di stoccaggio provvisorio a ridimensionare il fumus boni iuris spettante al Comune ricorrente. ----------------------------In definitiva: ritenuta l’ammissibilità di un ordine ex art. 700 c.p.c. avente un contenuto meramente inibitorio a presidio del diritto alla salute, volto ad impedire alla convenute Amministrazioni di tenere il comportamento di allestimento e messa in esercizio del sito di stoccaggio dei rifiuti in località valle della Masseria di Serre, già autorizzato con l’O.P.C.M. n. 3590/2007; 64 ritenuto che la specificità fondamentale del diritto cautelando non tolleri una postergazione della tutela cautelare verificazione al del momento danno, della effettiva bastando all’uopo l’allegazione di un comportamento oggettivamente preordinato a determinarne la messa in pericolo; ritenuta la meritevolezza di protezione del diritto all' “ambiente salubre” dell’ente municipale, con esso riferendosi al danno alla salute arrecato da fenomeni incidenti sulla salute fisica e psichica della popolazione, di cui il ricorrente costituisce ente esponenziale; ritenuto che l’attività legata alla messa in esercizio di un impianto di stoccaggio dei rifiuti concreti un’attività pericolosa, potenzialmente idonea a ledere il diritto all’ambiente salubre, sicché spetta a chi svolga o intenda svolgere tale attività (ovvero, nella specie, alle Amministrazioni resistenti) dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno, operando al riguardo il principio della colpa obiettiva; ritenuto come la prossimità al sito di insediamenti abitativi, la ricomprensione del medesimo sito di stoccaggio in un’area naturale, dichiarata zona umida di importanza internazionale, e la presenza nel medesimo territorio comunale di Serre già di 65 altra discarica di rifiuti per una volumetria pari ad almeno 300 mila mc, non consentano affatto, allo stato delle risultanze istruttorie, di dire scongiurato il fumus di pericolosità dell'impianto di stoccaggio in Valle della Masseria per la salubrità dell’ambiente; la domanda cautelare va accolta. ----------------------------In ragione della natura della causa e della estrema complessità delle questioni affrontate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese processuali sostenute nel procedimento cautelare. p.q.m letti gli artt. 669 octies e 700 c.p.c., accoglie la domanda ex art. 700 c.p.c. presentata dal COMUNE DI SERRE (Salerno) nei confronti del COMMISSARIO STRAORDINARIO DI GOVERNO PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA e della PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, nonché le domande adesive proposte da La Bufalina s.n.c. e della Impresa Agricola Romagnolo Gaetano, e per l’effetto inibisce al COMMISSARIO STRAORDINARIO DI GOVERNO PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA l’adibizione del sito in località Valle della Masseria 66 nel Comune di Serre all’esercizio di impianto di stoccaggio temporaneo di rifiuti; compensa per intero tra le parti le spese del procedimento cautelare. Salerno, 4 luglio ‘07 il Giudice designato Dott. Antonio Scarpa 67