TRIBUNALE DI SALERNO
proc. n. 6241/07
R.G.
Il Giudice designato dott. ANTONIO SCARPA;
letto il ricorso ex art. 700 c.p.c. presentato dal
COMUNE DI SERRE (Salerno) nei confronti del
COMMISSARIO STRAORDINARIO DI GOVERNO
PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA,
nonché della PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI
MINISTRI, per sentir inibire al COMMISSARIATO
DI GOVERNO DELAGATO PER L’EMERGENZA
RIFIUTI IN CAMPANIA ed alla PRESIDENZA DEL
CONSIGLIO DEI MINISTRI l’allestimento e la
messa in esercizio dell’impianto di stoccaggio
temporaneo dei rifiuti nel sito individuato in Comune
dall’
di Serre, località Valle della Masseria,
Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri
n. 3590 del 23 maggio 2007;
letta altresì la memoria di costituzione all’udienza
del
2
luglio
2007
STRAORDINARIO
del
DI
COMMISSARIO
GOVERNO
PER
L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA, nonché
della
PRESIDENZA
MINISTRI,
in
cui
DEL
si
CONSIGLIO
eccepiva
il
difetto
DEI
di
giurisdizione del Giudice ordinario, sussistendo la
1
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in
materia
di
pubblici
servizi;
la
improponibilità
dell’azione cautelare a contenuto inibitorio; il difetto
del fumus boni iuris, trattandosi di un sito di
stoccaggio di rifiuti, di natura essenzialmente
temporanea, riconoscendosi dalle Amministrazioni
resistenti la necessità di atti applicativi, ulteriori alla
ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri,
indispensabili per dettare le misure e le prescrizioni
idonee
all’attivazione
negandosi
i
all’ambente
paventati
(non
concretizzare
del
danni
valendo
il
sito,
e
alla
comunque
salute
ed
automaticamente
prospettato
pregiudizio
a
né
l’inserimento dell’impianto in una zona di protezione
faunistica, né la qualificazione della medesima area
come zona umida di importanza comunitaria, né la
presenza
assunta
di
ottanta
abitazioni
nelle
vicinanze del sito, essendo comunque il centro
abitato di Serre distante circa tre chilometri
dall’impianto in fieri), stante anche la completezza
dell’istruttoria compiuta dal Dipartimento della
Protezione Civile al fine di individuare i siti
potenzialmente idonei allo smaltimento dei rifiuti
solidi urbani nella Regione Campania; ancora,
deducono le resistenti, il difetto del periculum in
mora, essendo l’utilizzazione dell’area in questione
2
come sito di stoccaggio subordinata dall’Ordinanza
del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3590 del
23 maggio 2007 ad una duplice condizione, l’una
afferente al mancato rispetto dei termini previsti per
l’attivazione del sito di discarica in località Macchia
Soprana, sempre nel medesimo Comune di Serre,
l’altra sussistente ove mai, a seguito della chiusura
della discarica nel comune di Villaricca (Napoli) e
laddove non siano fruibili altri siti per le occorrenti
discariche, l’utilizzo del sito di Valle della Masseria
venga imposto dall’ “aggravarsi della situazione di
emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti
nella Regione Campania “;
lette ancora le comparse di intervento del 21 giugno
2007 del La Bufalina s.n.c. e della Impresa Agricola
Romagnolo Gaetano, che, svolgendo in loco attività
di produzione casearia e di allevamento del
bestiame, lamentano anch’esse il rischio di danni
alla salute, all’ambiente ed all’attività di impresa, e
perciò aderiscono alla domanda cautelare proposta
dal Comune di Serre;
sentite le parti all’udienza del 2 luglio 2007, all’esito
della quale il GD riservava la decisione;
sciogliendo la riserva ivi assunta, si osserva.
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3
Va
premesso
-
avendo
entrambe
le
parti
esplicitamente allegato la questione - come questo
Tribunale, in distinto procedimento, abbia già
pronunciato in data 28 aprile 2007 un’ordinanza
concessiva di provvedimenti d‘urgenza ex art. 700
c.p.c., poi confermata dal tribunale in sede di
riesame ex art. 669 terdecies c.p.c. con ordinanza
del 1° giugno 2007. In quel provvedimento
cautelare, il Tribunale, accogliendo la domanda
proposta
dal
Comune
di
Serre
avverso
le
medesime Amministrazioni convenute in questo
giudizio,
aveva
ordinato
“al
Commissario
Straordinario di Governo per l’emergenza rifiuti in
Campania di astenersi dall’installare e dal porre in
esercizio l’impianto di discarica dei rifiuti nel
Comune di Serre, in località Valle della Masseria,
come meglio individuato negli atti del presente
procedimento, ed in particolare nell’ordinanza n. 14
del 24.1.07”.
Merita al riguardo richiamo l’ultimo comma del
novellato testo dell’art. 669 octies c.p.c., secondo
cui
“L’autorità del provvedimento cautelare non è
invocabile in un diverso processo.”
4
Dunque,
(dovendosi
l’autorità
qui
della
misura
“tanto
intendere:
cautelare
anticipatoria
quanto conservativa”) non è mai invocabile in un
diverso processo.
In sostanza, dopo la riforma voluta dalle legge n.
80/2005, i provvedimenti d’urgenza (come quelli
nunciatori e, più ampiamente, anticipatori) rivelano
una loro forza autonoma, proprio perché sono in
grado
di
offrire
tutela
al
richiedente
pure
prescindendo dal successivo giudizio di merito. La
categoria dogmatica di riferimento è quella dei
provvedimenti sommari semplificati esecutivi: il
provvedimento cautelare anticipatorio, pur privo
della capacità preclusiva del giudicato (essendo
comunque passibile di modifica o di revoca,
seppure nei limiti ridisegnati dal nuovo art. 669
decies c.p.c., e consentendosi a ciascuna delle
parti di avanzare in qualsiasi momento la domanda
di merito), è destinato a mantenere la sua efficacia
esecutiva finché non si esaurisca il rapporto
sostanziale sottostante, senza essere scalfito dal
mancato inizio dalla causa di cognizione piena.
In un certo senso, l’autorità che la l. n. 80/2005
riconosce
sovverte
alle
misure
cautelari
convinzioni
5
anticipatorie
interpretative
precedentemente radicate. Anche i provvedimenti
di accoglimento rafforzati dalla Riforma del 2005 si
connotano, invero, per la inidoneità ad acquistare
l’efficacia di cosa giudicata, ma essi non si rivelano
più strutturalmente destinati ad essere sostituiti
dalla sentenza di accoglimento della domanda, o
posti nel nulla dal rigetto della domanda stessa, o
dal mancato inizio o dalla mancata conclusione del
giudizio di merito.
L’ultimo comma dell’art. 669 octies c.p.c. sta
pertanto proprio a dire che il provvedimento
cautelare non può mai impedire che in un qualsiasi
futuro processo una pronuncia di merito intervenga
sullo stesso effetto giuridico; né può orientare i
successivi processi vertenti su altri effetti giuridici,
seppure collegati, a quello oggetto del medesimo
cautelare,
da
un
nesso
di
pregiudizialità,
dipendenza o incompatibilità.
Il “diverso processo”, che rimane insensibile
all’autorità del preesistente cautelare, ai sensi
dell’ultimo comma dell’art. 669 octies c.p.c., può
peraltro ben essere altresì un nuovo procedimento
cautelare tra le stesse parti, proprio come nel caso
in esame.
Tuttavia, il precedente provvedimento cautelare del
28 aprile 2007, pur non producendo affatto gli effetti
6
propri di un giudicato in questo diverso processo,
ben potrà essere oggetto di libera valutazione e
prudente apprezzamento a norma dell’art. 116
c.p.c., e così concorrere al convincimento di questo
giudice, successivamente adito. L’ordinanza di
accoglimento del 28 aprile 2007 avrà quindi in
questo giudizio, in cui è stata ritualmente allegata,
per lo meno efficacia di prova, o di elemento di
prova documentale, in ordine alla situazione
giuridica che ebbe a formare oggetto della prima
pronuncia cautelare.
Nessun dubbio sussiste peraltro circa l’autonomia
della domanda cautelare oggetto del presente
procedimento rispetto a quella definita col reclamo
del 1° giugno 2007, trattandosi di azione che,
sebbene corrente tra le stesse parti, fa qui valere
un distinto petitum ed una distinta causa petendi,
diverso essendo in particolare il periculum in mora
che si intende neutralizzare, fondato su fatti
asseritamene lesivi dei medesimi diritti (salute,
ambiente salubre, identità socio- culturale ed
economica
della
successivi
ed
collettività
autonomi
municipale),
rispetto
precedentemente esposti.
-----------------------------
7
a
ma
quelli
Assume un rilievo centrale nelle difese delle
Amministrazioni resistenti la questione del difetto di
giurisdizione dell’AGO.
La fattispecie si colloca indubbiamente in un quadro
legislativo e giurisprudenziale animato da un
decennio di turbolenze, sebbene tutte nobilmente
animate
dallo
scopo
di
ampliare
la
tutela
complessiva del cittadino nei confronti della P.A.,
ed ispirate dal criterio della concentrazione della
materia giurisdizionale. Innegabile è al riguardo la
volontà di unificare la tutela delle situazioni di diritto
soggettivo in capo al giudice amministrativo quando
questo è giudice esclusivo. A ciò da alcuni si arriva
esasperando la antica teoria della degradazione, al
punto da affermare che il solo fatto dell’esistenza
del potere (e non già il suo legittimo esercizio) è
idoneo a degradare qualsivoglia diritto, in maniera
da
rimettere
amministrativo
il
cittadino
anche
per
davanti
al
giudice
fruire
della
tutela
risarcitoria dei suoi diritti.
L’assunto da verificare è il seguente.
Poiché l'intero ciclo di gestione dei rifiuti (dalla
raccolta allo smaltimento mediante conferimento in
discarica) costituisce un'unica e complessa attività
funzionalizzata,
esercita
che
l'amministrazione
(direttamente
8
o
a
mezzo
pubblica
di
enti
strumentali) al fine di soddisfare bisogni primari ed
inalienabili
(protezione
dell'ambiente,
igiene,
salute), siccome avvertiti dalla collettività uti cives,
è indiscutibile la natura di servizio pubblico (in
senso soggettivo ed oggettivo) dell'attività in parola,
con l'ulteriore conseguenza che le controversie in
materia rientrano nella giurisdizione del giudice
amministrativo, ai sensi dell'art. 33 d.lg. n. 80 del
1998, e successive modifiche ed integrazione
introdotte con l'art. 7 l. n. 205 del 2000. Sicché
sussisterebbe la giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in ordine pure alla domanda di
risarcimento
dei
danni
alla
salute
correlati
all’attivazione di un impianto di smaltimento dei
rifiuti, restando perciò impedita anche la simmetrica
tutela anticipatoria cautelare ante causam.
Alla stessa conclusione si perverrebbe includendo
la
fattispecie
in
esame
nell’ambito
della
giurisdizione del giudice amministrativo in materia
urbanistica, che pure concerne tutti gli aspetti
dell'uso del territorio ai sensi dell'art. 34 d.lg. 31
marzo 1998 n. 80 come sostituito dall'art. 7 l. 21
luglio 2000 n. 205
Restano
tuttavia
al
riguardo
opponibili
i
convincimenti che la Suprema Corte di Cassazione
pare voglia ancora esprimere all’attualità.
9
La
situazione
di
fatto
indicata
dal
Comune
ricorrente si riferisce all’allestimento e alla messa in
esercizio di un impianto di stoccaggio temporaneo
dei rifiuti. Il Comune di Serre teme che l'esercizio
del sito di stoccaggio, per la distanza dal centro
abitato, per l’inserimento in un’area umida, per la
sussistenza di vincoli ambientali e idrogeologici,
possa creare pregiudizio per la salute dei cittadini
Il petitum sostanziale dell'azione, quindi, è costituito
dalla richiesta di tutela del diritto alla salute.
Secondo la Corte di Cassazione, con specifico
riferimento al diritto alla salute, la
protezione
apprestata dall'ordinamento si estrinseca sia nel
vietare agli altri consociati di tenere comportamenti
che contraddicano il diritto, sia nel sanzionare gli
effetti lesivi della condotta illecita, obbligando il
responsabile al risarcimento del danno. Il diritto alla
salute, infatti, appartiene a quel genere di diritti che
non tollerano interferenze esterne che ne mettano
in discussione l'integrità (Cass. 27 luglio 2000, n.
9398).
Parimenti, la Corte Costituzionale ha ritenuto che,
in tema di lesione della salute umana, è possibile il
ricorso all'art. 2043 cod. civ., dovendosi provvedere
non solo alla reintegrazione del patrimonio del
10
danneggiato, ma anche a prevenire e sanzionare
l'illecito (Corte Cost. 30 dicembre 1987 n. 641).
Il diritto alla salute, che la Costituzione con l'art. 32
proclama
espressamente
dell'individuo,
avendo
fondamentale
perduto
la
diritto
valenza
assicurativa - corporativa propugnata nei primi anni
dell'entrata in vigore della Carta costituzionale, è
entrato da decenni a far parte della categoria dei
diritti sociali a valenza erga omnes, ovvero della
categoria dei diritti assoluti della personalità,
acquistando, secondo le più recenti prospettive, il
titolo per influire sulle relazioni private e limitare
l'esercizio dei pubblici poteri.
Con riferimento a quest'ultimo aspetto, nelle
controversie che hanno per oggetto la tutela del
diritto alla salute, garantito come fondamentale
dall'art. 32 Cost., la Pubblica Amministrazione è
priva di qualunque potere di affievolimento della
relativa posizione soggettiva, ancorché agisca per
motivi
di
interesse
pubblico,
né
essa
può
pregiudicare indirettamente tale diritto, il quale
appartiene
a
quella
categoria
di
situazioni
soggettive che non tollerano interferenze esterne
che ne mettano in discussione l’integrità.
La domanda di risarcimento del danno proposta da
privati nei confronti della Pubblica Amministrazione
11
o
di
suoi
concessionari
per
conseguire
il
risarcimento dei danni alla salute, quindi, andrebbe
comunque
devoluta
al
Giudice
ordinario
(Cassazione civile , sez. un., 08 novembre 2006, n.
23735; Cassazione civile , sez. un., 27 giugno
2006, n. 4908;
Cassazione civile , sez. un., 21
marzo 2006, n. 6218; Cassazione civile , sez. un.,
08 marzo 2006, n. 4908; ma arg. anche da
Cassazione civile , sez. un., 09 marzo 2007, n.
5402).
Non vale pertanto vale obbiettare che: con la
soppressione del D.Lgs. 31 marzo 1988, n. 80, art.
33, comma 2, lett. e) ad opera della sentenza della
Corte costituzionale n. 204 del 2004, la sottrazione
dall'ambito
della
giurisdizione
esclusiva
delle
controversie in materia di pubblici servizi non ha più
ragion d'essere; oppure, che nella specie non
ricorrono
le
altre
ragioni
di
sottrazione
alla
giurisdizione amministrativa per quanto riguarda
controversie concernenti indennità, canoni ed altri
corrispettivi; o, ancora, che la controversia non è
meramente
risarcitoria,
perchè
è
chiesta
la
condanna della pubblica amministrazione ad un
facere o, infine, che nella specie la giurisdizione
esclusiva ricorre in base allo stesso D.Lgs. n. 80
del 1988, art. 34, giacché l’allestimento di un sito di
12
stoccaggio dei rifiuti o attiene all'utilizzazione del
territorio.
La
Cassazione
al
riguardo
ricorda
che
la
giurisdizione esclusiva oggi ha ragion d'essere a
proposito dei pubblici servizi nei quali si manifesta il
potere
di
supremazia
della
pubblica
amministrazione (Corte costituzionale n. 204 del
2004)
D’altro canto, nel presente giudizio non è proposta
in via principale una domanda di condanna della
pubblica amministrazione ad un facere.
Infine,
non
ricorre
neppure
la
giurisdizione
esclusiva ai sensi del ripetuto D.Lgs. n. 80 del
1988, art. 34, come modificato dalla L. 21 luglio
2000, n. 205, art. 7, nel testo risultante a seguito
della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del
2004, perchè la giurisdizione esclusiva del Giudice
amministrativo in materia urbanistica e edilizia,
prevista dal citato art. 34 ha, come presupposto
oggettivo, il nesso tra atti e provvedimenti delle
pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse
equiparati, ed uso del territorio; nesso che nella
fattispecie non ricorre.
A base della domanda cautelare, del resto, non vi è
la
diretta
impugnazione
13
dell’ordinanza
del
Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3590 del 23
maggio 2007.
Neppure la giurisdizione del Giudice amministrativo
potrebbe essere affermata in relazione al citato
D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 35, nel testo vigente,
poiché è soltanto nelle controversie devolute alla
sua giurisdizione che il Giudice amministrativo può
conoscere delle questioni relative al risarcimento
del danno.
Nella sostanza, nel sistema normativo conseguente
alla l. 21 luglio 2000 n. 205, la tutela giurisdizionale
risarcitoria contro l'agire illegittimo della p.a. spetta
invero al giudice ordinario solo in casi marginali,
quante volte appunto il diritto del privato non
sopporti compressione per effetto di un potere
esercitato in modo illegittimo o, se lo sopporti,
quante
volte
l'azione
della
p.a.
non
trovi
rispondenza in un precedente esercizio del potere,
che sia riconoscibile come tale, perché a sua volta
deliberato nei modi ed in presenza dei requisiti
richiesti per valere come atto o provvedimento e
non
come
mera
via
di
fatto.
Pertanto,
l'amministrazione deve essere convenuta davanti al
giudice ordinario in tutte le ipotesi in cui l'azione
risarcitoria costituisca reazione alla lesione di diritti
incomprimibili, come proprio la salute o l'integrità
14
personale (Cassazione civile , sez. un., 13 giugno
2006, n. 13660; Cassazione civile , sez. un., 13
giugno
2006, n. 13659).
Il profilo era vieppiù pacifico prima dell'entrata in
vigore del D.Lgs. 80/1998, riconoscendo
la
giurisprudenza
la
pressoché
costantemente
giurisdizione del giudice ordinario in ordine alla
tutela della salute e della salubrità ambientale nel
caso in cui l'attività pregiudizievole provenisse dalla
Pubblica amministrazione, e
ciò a prescindere
dalla qualificazione o individuazione dell'attività
come "servizio pubblico" (Pret. Roma, 26 ottobre
1989, in Giur. merito, 1991, p. 269; Pret. Ciriè, 25
marzo 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, p. 208; Pret.
Monza, 19 luglio 1991, in Giur. it., 1992, I, 2, p.
132; Pret. Torino, 31 gennaio 1998, in
Giur. it.,
1998, p. 1148).
I
giudici
di
merito
concedevano
provvedimento inibitorio d'urgenza
anzi
il
ex art. 700
c.p.c., con riferimento alla costruzione di un
impianto, ove non potesse escludersi - ancorché
non si fosse raggiunta alcuna prova sul piano
scientifico - la pericolosità dell'impianto stesso, in
ordine al quale l'ordine di non attivazione, pur in
fase di costruzione, si raccomandasse anche per i
tempi necessari per la conclusione del giudizio di
15
merito (Pret. Pietrasanta, ord. 8 novembre 1986, in
Rass. giur. energia elettrica, 1988, p. 485); e quindi
anche a tutela di un'ipotetica lesione del diritto alla
salute,
allorché
lo
stato
delle
conoscenze
permettesse di pervenire, a tutto concedersi, ad un
giudizio meramente probabilistico circa eventuali
connessioni fra l’attività pericolosa esercitata dalla
P:A e la salute umana..
La
Cassazione,
in
particolare,
aveva
avuto
occasione altresì di distinguere i profili della tutela
del
diritto
soggettivo
-
salute
dai
limiti
di
sindacabilità dell'atto amministrativo, precisando:
"La domanda con la quale il Comune denunci
l'installazione da parte di altro ente pubblico di una
discarica di rifiuti, assumendone la idoneità a ledere
la salute e l'incolumità fisica dei cittadini, non si
sottrae alla giurisdizione del giudice ordinario in
quanto si ricollega ad una posizione di diritto
soggettivo quale è quello tutelato dall'art. 32 Cost.,
mentre l'eventuale interferenza delle pretese della
parte attrice con gli atti amministrativi concernenti la
contestata installazione non determina difetto di
giurisdizione, ma rileva sotto il profilo dei limiti
interni delle attribuzioni del detto giudice ordinario
(divieto di annullare, modificare o revocare il
provvedimento amministrativo, ai sensi dell'art. 4
16
legge 20 marzo 1865, n. 2248, all. E)". (Cass. civ.,
SS.UU., 17 novembre 1992, n. 12307).
Sicché, ante D. lgs. 80/1998, nessuno dubitava del
potere del giudice ordinario di occuparsi a pieno
titolo di diritto alla salute, pur quando il medesimo
fosse
connesso
esplicandosi
ad
tale
un
potere
atto
amministrativo,
nella
disapplicazione
dell'atto.
Ad avviso della dottrina, l’assetto della giurisdizione
in ordine alla fattispecie simili a quelle di causa non
sarebbe destinato a mutare neppure ove l’attività
dannosa alla salute, attribuibile alla P:A:, sia
riferibile alla materia del " servizio pubblico", come
tale ricadente sotto la disciplina di cui all'art. 33,
comma 2, lett. e), del D.Lgs. n. 80 del 1998, modif.
dall'art. 7, comma 1, lett. a) della legge 205/2000.
Si sostiene in proposito che un procedimento
cautelare
d'urgenza
volto
ad
ottenere
un
provvedimento inibitorio di un'attività "inquinante"
specifica (quale, nella specie, quella costituita dalla
messa in esercizio di una discarica o di un sito di
stoccaggio dei rifiuti) non rientri affatto ipso iure
nella competenza per materia introdotta dall'art. 33,
comma 2, lett. e), del D.Lgs. 80/1998. L'oggetto di
simili contenziosi attiene piuttosto specificamente
alla materia della salubrità ambientale e della salute
17
umana, nonché della
proprietà privata, beni di
primario rilievo costituzionale. Ciò, a priori, a
prescindere dal giuoco diritti soggettivi/interessi
legittimi. Nè sarebbe corretto ravvisare tra la
materia di servizio pubblico e quelle della salubrità
ambientale, della salute umana e della proprietà
privata un rapporto di genus a species.
Il Comune qui ricorrente non chiede l’interruzione o
la
soppressione
del
"servizio
pubblico"
di
smaltimento dei rifiuti inerenti il sito di Valle della
Masseria, né un miglior espletamento del "servizio
pubblico", ovvero che tale "servizio pubblico" venga
esercitato con differenti modalità. L’ente attore ha
chiesto che la messa in esercizio del sito de quo
venga consentito nel rispetto della cautela sanitaria
.
D’altro canto, si sostiene, l'istituzione di una ipotesi
normativa di giurisdizione esclusiva significa che
l'ambito di giurisdizione del giudice ordinario viene
ridotto in favore di una correlativamente ampliata
giurisdizione del giudice amministrativo; ma non
significa introdurre, seppur parzialmente - ossia per
talune materie - un sistema di riparto diverso da
quello fondato sulla dicotomia diritto-interesse.
Se si intendesse che ogni attività collegata al
servizio pubblico sia come tale essa stessa servizio
18
pubblico, risulterebbe altrimenti difficile immaginare
un'attività
proveniente
dalla
pubblica
amministrazione che non rientri nella suddetta
categoria; con ciò trasformando il binomio pubblica
amministrazione-servizio pubblico in un dogma
insuperabile.
Forse proprio per questo nelle sentenze richiamate
della Corte di Cassazione si continua a far uso del
tradizionale criterio di riparto di giurisdizione
fondato sulla
causa petendi, che nella specie
individua la giurisdizionale competenza nel giudice
ordinario.
Sicché, in una domanda come quella in esame, non
vi è alcuna ricaduta ope legis nella materia del
"servizio pubblico" per il solo fatto di domandare di
ordinare alla amministrazione di non allestire un
impianto di stoccaggio di rifiuti potenzialmente
lesivo dei valori considerati tollerabili o cautelativi
della salute umana (arg da Cass. civile, SS.UU.,
29 luglio 1995, n. 8300).
Per la sussistenza della giurisdizione del giudice
ordinario in fattispecie analoghe a quelle per cui è
causa si pronuncia, del resto, ancora in maniera
abbastanza compatta la giurisprudenza di merito
(cfr. Tribunale Teramo, 04 novembre 2005, in Riv.
giur. ambiente 2006, 2 336; Tribunale Padova, 01
19
marzo 2005, in Riv. giur. ambiente 2005, 5 874;
Tribunale
Lucca, 14 aprile 2004, in Giur. merito
2004, 2069; Tribunale Venezia, 14 aprile 2003, in
Riv. giur. ambiente 2003, 1069). Simile ratio ha
talvolta in passato ispirato pure la giurisprudenza
del Consiglio di Stato (Consiglio Stato , sez. VI, 04
giugno 2002, n. 2329, in Riv. giur. ambiente 2002,
966).
-----------------------------
Sotto
il
profilo
processuale,
il
procedimento
cautelare d'urgenza è tipicamente caratterizzato da
una domanda inibitoria, a presidio di una futura
azione di merito meramente risarcitoria.
Anche quanto a questo profilo, la giurisprudenza di
merito ha sempre considerato che il giudice
ordinario,
competente
a
conoscere
delle
controversie nelle quali sia dedotta la lesione ad
opera della P.A. o di altri enti pubblici del diritto
assoluto della persona alla salute direttamente
individuato dall'art. 32 Cost., possa adottare, in
caso
di
accoglimento
della
domanda,
i
provvedimenti giurisdizionali idonei a salvaguardare
il diritto sostanziale configurato, provvedimenti che
ben possono assumere contenuto inibitorio ovvero
20
conformativo
conseguente
tanto
della
all'esecuzione
attività
del
materiale
provvedimento
amministrativo, quanto della attività amministrativa
non provvedimentale" (cfr. Trib. Roma, 30 dicembre
1999, in Corriere giur., 2000, p. 673, Trib. Roma,
20 dicembre 1999, in Riv. giur. circolaz. e trasp.,
2000, p. 357).
Com’è noto, il carattere dei provvedimenti cautelari,
che il procedimento uniforme congegnato dalla l. n.
353/1990 maggiormente esaltava, era connesso
alla loro strumentalità
rispetto alla decisione
definitiva. Il rilievo della strumentalità traspariva, in
particolare, dai meccanismi di inefficacia del
provvedimento cautelare in caso di mancato inizio
della causa di merito nel termine fissato dal giudice,
oppure in caso di estinzione del giudizio, o di
dichiarazione di inesistenza del diritto cautelato (art.
669 novies c.p.c.); così come dalla revocabilità o
modificabilità del provvedimento cautelare in ipotesi
di mutamenti nelle circostanze (art. 669 decies
c.p.c.), sottolineandosi il bisogno di un permanente
modularsi della cautela in relazione all’evolversi
della situazione di fatto o processuale, in maniera
da
preservare
costantemente,
pure
dopo
l’esaurimento della fase revisionale del reclamo ex
art. 669 terdecies c.p.c., l’adeguatezza della misura
21
applicata
alla
attuazione
degli
effetti
della
immanente tutela di merito.
Altro
elemento
fisionomico
dei
provvedimenti
cautelari, mantenuto, se non incentivato, a seguito
della introduzione del procedimento cautelare
uniforme ex artt. 669 bis ss. c.p.c., in uno a quello
della
strumentalità,
appariva
quello
della
provvisorietà. La provvisorietà di un provvedimento
implica, in via d’approssimazione, che esso continui
a produrre effetti sino a quando non sia emanato un
ulteriore atto che ne comporti la revoca, salvi i casi
in cui una norma ne sancisca espressamente la
caducazione; ma, per altro verso, essa comporta
che i predetti effetti debbano trovare la loro
definitiva causa e giustificazione in un ulteriore
provvedimento,
questo
sì
definitivo,
adottato
all’esito del complessivo procedimento.
Provvisorietà
significa,
inoltre,
inidoneità
del
provvedimento a pregiudicare irrimediabilmente i
diritti della parte soccombente, e pertanto “non
decisorietà”. In tal senso, le misure cautelari non
dovrebbero rivelarsi mai capaci, per loro stessa
natura, di acquistare efficacia definitiva se non
tempestivamente impugnate, essendo comunque
destinate a rifluire nel provvedimento terminale
deputato a dirimere la controversia in atto tra le
22
parti ed a regolare ineluttabilmente, con autorità di
giudicato, il rapporto ivi dedotto; di tal che, sarebbe
nella natura del provvedimento cautelare rimanere
sostituito dalla sentenza di accoglimento della
domanda o posto nel nulla dal rigetto della
domanda o dal mancato inizio o dalla
mancata
conclusione del giudizio di merito.
Ha storicamente messo, tuttavia, in crisi il postulato
di provvisorietà degli effetti del provvedimento
cautelare la categoria, di creazione dottrinale, dei
provvedimenti cautelari anticipatori. La nozione
descrive il novero di quelle misure cautelari il cui
contenuto risulta integralmente anticipatorio degli
effetti satisfattivi del diritto azionato. In sostanza, a
fronte di provvedimenti miranti ad immunizzare
l’istante dal pericolo di infruttuosità della sentenza
di merito a cognizione piena, aventi perciò carattere
prettamente conservativo, andrebbe isolata una
specie
di
provvedimenti
cautelari
ispirati
dall’esigenza di scongiurare la tardività delle tutela
finale di merito, e perciò di carattere piuttosto
anticipatorio
della
decisione
di
primo
grado,
svincolati dalla previsione di un’apposita fase di
convalida e di durata indeterminata, seppur sempre
inidonei a produrre giudicato. Dovendo il giudice
della misura anticipatoria preoccuparsi - invece che
23
di dar sommaria cautela ad un diritto conseguire
all’istante
l’utilità
di far
sostanziale
che
attende, sembra inevitabile che egli si dedichi
pressoché esclusivamente alla ricerca del fumus,
trascurando il periculum, ovvero la qualificazione
temporale del bisogno di tutela.
Alcuni autori avevano avversato l’utilità concettuale
di distinguere, nell’ambito della tutela cautelare, i
provvedimenti
anticipatori;
traendo
significativo
conforto a tale avversione dall’unitario trattamento
normativo riservato dalle norme sul procedimento
cautelare ex artt. 669 bis e segg. c.p.c.. Anche
quelle
misure
cautelari
qualificate
come
anticipatorie erano infatti state assoggettate dal
legislatore del 1990 alla generale sanzione di
inefficacia in ipotesi di omesso tempestivo inizio del
giudizio di merito, ovvero di estinzione dello stesso.
Questa
conclusione
merita
evidentemente
di
essere rivista alla luce delle novità apportate dalla
legge 12 maggio 2005, n. 80, in sede di
conversione del D. L. 14 marzo 2005, n. 35. Ci si
riferisce soprattutto, ovviamente, al nuovo testo
dell’art. 669 octies c.p.c., il quale prevede ora, nei
commi aggiunti in calce, che le disposizioni
sull’inizio o sull’estinzione del giudizio di merito,
comportanti l’inefficacia della misura cautelare, non
24
si applicano ai provvedimenti d’urgenza ex art. 700
c.p.c., né agli altri provvedimenti cautelari idonei ad
anticipare gli effetti della sentenza di merito,
nonché ai provvedimenti emessi a seguito di
denunzia di nuova opera o di danno temuto.
Sfuma in tal modo, perciò, uno degli essenziali
tratti distintivi della categoria dei provvedimenti
cautelari: ai fini della qualificazione come cautelare
di un dato provvedimento, non sovviene più
decisivamente l’elemento della correlazione alla
immediata instaurazione di un giudizio di merito,
né più l’inettitudine a sopravvivere alla sua
estinzione; mentre la destinazione a prevenire il
pericolo di un pregiudizio al diritto controverso si
rivela sembianza troppo generica per definire i
provvedimenti cautelari, giacché propria di svariate
misure sparse qua e là nell’ordinamento. Non può,
invero, dimenticarsi come, almeno fino agli anni
Ottanta
dello
scorso
secolo,
la
dottrina
processualistica italiana avesse ritenuto che un
provvedimento cautelare in grado di anticipare
pienamente i contenuti di quello principale avrebbe
visto svanire la sua ratio essendi di strumentalità e
provvisorietà,
e
quindi
la
stessa
autonomia
dell’oggetto della pretesa cautelare, che è, pur
25
sempre, la rimozione di un periculum qualificato, e
mai la tutela immediata del rapporto sottostante.
Sono facilmente ricavabili i motivi che hanno spinto
dapprima il legislatore del processo societario, e poi
quello del processo ordinario, a scardinare la
fisionomia della strumentalità della tutela cautelare:
si presume che l’istante, il quale abbia ormai
pienamente conseguito dalla misura cautelare il
bene della vita cui ambiva con la sua domanda,
non possa avere più interesse alcuno a che venga
duplicato l’accertamento giudiziale del suo diritto in
sede di cognizione piena, non desiderando egli
ormai nessuna altra attribuzione che quella delle
spese di lite. Sebbene lo stesso ricorrente,
appagato
da
un
cautelare
anticipatorio,
non
potrebbe comunque mai vedere adottate dal
giudice della cautela le statuizioni ripristinatorie,
restitutorie e risarcitorie prima della sentenza di
merito.
Per i provvedimenti d’urgenza o, lato sensu,
anticipatori, non sembra quindi ormai corretto
parlare nemmeno di “strumentalità attenuata” in
relazione al giudizio di merito. Tale definizione
potrebbe, invero, condividersi allorché il medesimo
giudizio
di
merito
26
apparisse
comunque
ragionevolmente prevedibile, ma solo differito in un
tempo non più predeterminato dalla legge, un pò
come avveniva nei procedimenti di istruzione
preventiva
(anche
qui,
peraltro,
prima
del
sopraggiungere dell’art. 696 bis c.p.c., che istituisce
la consulenza tecnica preventiva ai fini della
composizione della lite). La vera singolarità delle
ultime Riforme è, piuttosto, come visto, quella di
aver delineato i cautelari con idoneità anticipatoria
quali mezzi di tutela giurisdizionale pienamente
satisfattiva, ancorché
estranei alla forza del
passaggio in giudicato.
Merita
ancora
qualche
considerazione
la
generalizzata sottrazione proprio dei provvedimenti
ex art. 700 c.p.c. al vincolo di strumentalità col
processo di merito, operata, è da credere, in forza
di presunzione della loro esclusiva idoneità ad
anticipare l’assetto sostanziale della sentenza.
In effetti, la relazione di diretta strumentalità con la
tutela di merito è storicamente servita a non
rendere i provvedimenti d’urgenza il veicolo di
un’illimitata potestà giudiziale di ripristino della
legalità. Di fatto, nei decenni trascorsi, l’art. 700
c.p.c. si era prestato ad un’utilizzazione sempre più
intensa, in nome del crescente numero di bisogni
27
emergenti sprovvisti di forme di difesa processuale
d’urgenza: sicché, da norma di chiusura, esso si
era velocemente trasformato in asse portante della
tutela cautelare, sovente atteggiandosi come unico
effettivo mezzo procedimentale di garanzia in
relazione ad esigenze neppure episodiche o
marginali, ed anzi ricorrenti. In dottrina veniva così
criticata la assoluta centralità accordata dai giudici
al solo fumus boni iuris e la corrispondente
progressiva
atrofizzazione
della
verifica
sul
periculum in mora, ritenuto praticamente implicito
sul presupposto della notoria lunghezza dei giudizi
a cognizione piena: al punto che l’art. 700 c.p.c.,
sempre più preoccupato di supplire alle disfunzioni
dei
procedimenti
ordinari,
avrebbe
subito
un’anomala involuzione da “decisione strumentale
al merito” in “decisione di merito anticipata”.
L’errore consistito nell’aver elevato i provvedimenti
d’urgenza in rimedio alternativo, e non meramente
strumentale, rispetto alla sentenza definitiva si è
annidato, dunque, proprio nella esaltazione delle
capacità anticipatoria del mezzo cautelare atipico;
ma tale capacità anticipatoria è oggi esaltata
nell’art. 23, D. lgs. n. 5/2003 e nel rimodellato art.
669 octies c.p.c., che hanno quindi preferito
28
esasperare
la
sommarietà
del
procedimento
d’urgenza.
Inoltre, proprio il rigido nesso di strumentalità tra
tutela d’urgenza e tutela ordinaria a cognizione
piena, come tradizionalmente concepito dal nostro
legislatore,
aveva
impedito,
sino
alle recenti
Riforme, al giudice della fase cautelare l’adozione
di statuizioni quantitativamente eccedenti rispetto a
quelle che potesse poi rendere il giudice della
sentenza, al più potendo l’ordinanza ex art. 700
c.p.c. ricorrere a misure o a modalità esecutive
diverse da quelle tipiche della pronuncia di merito,
purché
votate
a
preservare
la
situazione
sostanziale cautelanda. Già prima delle riforme, si
contrapponevano, pertanto, gli orientamenti in
ordine all’ampiezza del potere del giudice di
congegnare la misura più adatta alle esigenze del
ricorrente, e quindi in ordine ai contenuti possibili
dell’ordinanza ex art. 700 c.p.c., tra chi privilegiava
la funzione anticipatoria del rimedio, e per questo
parametrava il tipo di ordine cautelare sulla base
della specifica domanda del ricorrente, nonché
dell’assetto che potesse determinare la futura
sentenza; e chi, invece, esaltava la funzione
assicurativa della cautela atipica, così prefigurando
statuizioni d’urgenza pure di natura diversa da
29
quelle della susseguente pronuncia di merito, ed
addirittura
non
vincolate
all’ossequio
della
corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Viene
peraltro unanimemente condiviso il richiamo all’art.
125 c.p.c., quale norma che descrive il minimum
che ogni atto di parte deve avere, ovvero
l’indicazione del giudice, delle parti, dell’oggetto,
delle ragioni della domanda, delle conclusioni o
dell’istanza e, infine, della sottoscrizione. Ma la
soluzione più diffusa si spinge ben oltre, imponendo
al ricorrente in sede cautelare di specificare anche
quelle che saranno le sue conclusioni nella futura
causa
di
merito,
ovvero
gli
elementi
di
individuazione della domanda da proporsi nel
giudizio di cognizione. A ciò indurrebbe sia la
possibile
portata
anticipatoria
della
misura
cautelare rispetto agli effetti della sentenza, sia
l’esigenza di agevole individuazione del diritto di cui
occorra scorgere il fumus, sia il riscontro di alterità,
nelle regioni di fatto o di diritto, tra l’istanza
riproposta e quella precedentemente rigettata, ai
fini dell’art. 669 septies, comma, 1, c,p.c., sia,
ancora, la presenza nel sistema dell’art. 693,
comma
3,
dell’istanza
c.p.c.
(che,
di istruzione
quanto
al contenuto
preventiva,
prescrive
l’esposizione sommaria delle domande o eccezioni
30
cui la prova è preordinata), sia, soprattutto, la
necessità di dare governo al meccanismo di
inefficacia per mancato inizio del procedimento di
merito, di cui agli originari artt. 669 octies e 669
novies c.p.c..
Appare sino ad oggi consolidata, quindi, l’opzione
ermeneutica
che
assegna
alla
domanda
di
provvedimenti cautelari il compito ineluttabile di
descrivere appropriatamente la posizione di diritto
sostanziale cautelando, ovvero le ragioni di fatto e
gli elementi di diritto costitutivi dell’assunto fumus
boni iuris, e di indicare i motivi dell’urgenza che
rendono l’intervento giudiziale non differibile sino
all’esito del giudizio ordinario di merito.
Altra questione da rimeditare, alla luce delle ultime
Riforme del procedimento cautelare, è quella
dell’operatività, con riferimento alla tutela cautelare,
del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il
pronunciato.
Appare inconfutabile che spetti pur sempre al
giudice la qualificazione giuridica del rapporto su
cui la domanda è fondata, sicché anche per
l’istanza cautelare vale il criterio generale secondo
cui il giudice stesso ha il potere – dovere di definire
la
lite
sulla
base
dei
fatti
prospettatigli,
prescindendo dalla denominazione (eventualmente
31
erronea) che la parte abbia usato, ed anzi dando
prevalente rilievo alle deduzioni e chiarificazioni
fornite dall’attore, con il solo limite di non alterare il
petitum e la causa petendi. Pertanto, quando nelle
circostanze prospettate dal ricorrente siano da
ravvisare gli estremi previsti per l’emanazione di
provvedimenti cautelari tipici, compito inderogabile
del giudice è quello di applicare le norme relative a
quei provvedimenti, anche se l’esercizio della
funzione
giurisdizionale
cautelare
sia
stato
erroneamente richiesto con esplicito riferimento a
diverso
strumento.
Però,
le
ragguardevoli
conseguenze in ordine al modus procedendi che il
comma 6 dell’art. 669 octies c.p.c. fa discendere
dalla portata anticipatoria della misura richiesta,
inducono a pretendere che il ricorso cautelare d’ora
in poi prospetti le specifiche misure interinali da
concedere, così non solo circoscrivendo la scelta
del giudice, ma chiarendo pure se debba operare il
“vecchio” nesso di strumentalità col giudizio di
merito,
oggi
vigente
per
le
sole
cautele
conservative, o, piuttosto, il nuovo regime di
facoltatività
della
cognizione
piena
introdotto
dapprima dal D. lgs. n. 5/2003, e poi dalla l. n.
80/2005. Altresì il nuovo testo dell’art. 669 decies
c.p.c. depone per l’opportunità che la domanda
32
esponga i motivi che sorreggono il pericolo nel
ritardo dell’intervento giudiziale, ed includa, poi,
analiticamente il petitum cautelare che si vorrebbe
accolto nell’ordinanza, visto che quel determinato
provvedimento, infine assegnato, con le relative
modalità
esecutive,
revocato
(o
potrà
modificato)
in
o
seguito
per
essere
sopravvenuti
mutamenti nelle circostanze, oppure per fatti
anteriori,
ma
solo
se
conosciuti
dall’istante
successivamente al provvedimento.
E’ dunque oggi vieppiù ammissibile che l’ordine ex
art. 700 c.p.c. abbia un contenuto meramente
inibitorio a presidio del diritto alla salute, volendosi,
nella
specie,
Amministrazioni
impedire
di
tenere
alla
il
convenute
comportamento
(allestimento e messa in esercizio del sito di
stoccaggio) in vista del quale è stata adottato
l’O.P.C.M. n. 3590/2007.
La domanda, per le ragioni su cui si fonda, afferma
che il
comportamento in parte già tenuto,
preordinato com'è alla messa in esercizio del sito
di deposito dei rifiuti, una volta che questo inizierà a
funzionare, metterà in pericolo la salute dei cittadini
di Serre e va quindi impedito: essa è dunque una
domanda con cui è fatta valere una responsabilità
da illecito, perché è in contrasto con la protezione
33
costituzionale
del
diritto
alla
salute
un
comportamento preordinato a determinarne la
messa in pericolo.
Non è peraltro necessario che il danno si sia
verificato, perché il titolare del diritto possa reagire
contro la condotta altrui, se essa si manifesta in atti
suscettibili di provocarlo.
Si dice invero che la protezione apprestata
dall'ordinamento al titolare di un diritto si estrinseca
prima nel
vietare agli altri consociati di tenere
comportamenti che contraddicano il diritto e poi nel
sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita
obbligando il responsabile al risarcimento
del
danno.
Con specifico riferimento al diritto alla salute,
sarebbe evidentemente
incoerente affermare, da
un lato, che esso non tollera interferenze esterne
che ne mettano in discussione l'integrità, ma
ammettere, dall’altro, che alla persona sia data la
sola tutela del risarcimento del danno e non anche
quella preventiva.
nella
sentenza
Anche la Corte costituzionale,
30
dicembre
1987
n.
641,
espressamente riconosceva che, in tema di lesione
della salute umana, il ricorso all'art. 2043 cod. civ.
debba essere in grado di provvedere non solo alla
34
reintegrazione del patrimonio del danneggiato, ma
anche di prevenire e sanzionare l'illecito.
Conformemente,
la
Corte
di
Cassazione,
preoccupandosi di contenere l'attribuzione di poteri
autoritativi
alla
pubblica
amministrazione,
in
maniera che non ne risulti compromesso il diritto
alla salute, ha in più occasioni enunciato il principio
per cui il privato può chiedere al giudice ordinario
provvedimenti non di sola condanna al risarcimento
del danno, ma anche di condanna ad un fare
(Cass. Sez. Un. 20 febbraio 1992 n. 2092), in
confronto della pubblica amministrazione o di
concessionari di pubblici servizi. Perciò può essere
chiesto al giudice di inibire
all'amministrazione il
comportamento costituito dal porre in esercizio un
impianto
che,
iniziando
a
funzionare,
possa
determinare una situazione di messa in pericolo
della salute (Cassazione civile , sez. III, 27 luglio
2000, n. 9893).
Pertanto, rientra nei poteri del giudice ordinario
accertare
se,
sulla
base
delle
conoscenze
scientifiche acquisite nel momento in cui si tratta di
decidere sulla domanda, avuto riguardo anche alla
situazione del caso concreto, vi sia pericolo per la
conservazione
dello
esposizione al fattore
35
stato
di
salute
nella
inquinante di cui si tratta.
Momento essenziale di tale accertamento, perché
se positivo ad esso consegue che la condotta
debba essere inibita, è che la condotta
contraria,
se lasciata svolgere, determinerà una situazione di
esposizione al fattore inquinante suscettibile di
compromettere la conservazione dello stato di
salute.
Che
la
situazione
inquinante
contenga
(nella
in
sè
di
esposizione
specie,
tale
deposito
al
fattore
di
rifiuti)
potenzialità
costituisce
anch'esso un tratto essenziale del
fatto da
accertare e la potenzialità, come in ogni caso in cui
si tratta di stabilire se in futuro potrà determinarsi
un evento come conseguenza di un fatto presente,
deve essere accertata considerando
se sia da
considerare dimostrato un numero di casi in cui
l'evento si è prodotto, sufficiente ad autorizzare, in
un giudizio che fosse compiuto ad evento avvenuto,
la conclusione che il fatto costituisce
la causa
dell'evento.
Questo consente già di precisare come, vagliato il
fumus boni iuris della
domanda
di inbitoria
cautelare proposta dal Comune di Serre, verrà da
sé pure il riscontro del periculum in mora.
Invero, il pregiudizio, che costituisce condizione per
la concessione del provvedimento d’urgenza, è
36
doppiamente caratterizzato sotto il profilo temporale
dall’art. 700 c.p.c.: deve, infatti, trattarsi di un
pregiudizio
imminente
e
che
rischierebbe
comunque di avverarsi durante il tempo occorrente
per la tutela ordinaria del diritto. L’imminenza va
riferita ad una situazione di pericolo per il diritto che
sia oggettiva, involontaria, reale ed attuale. Essa fa
pensare sia al probabile sopraggiungere in tempi
rapidi di una diversa situazione di fatto, sia al
perpetuarsi di una situazione dannosa già esistente
ed altrimenti rimovibile soltanto al lontano epilogo
della causa di merito: per questo è corretto
intravedere in astratto nella cautela atipica tanto
una funzione di tutela preventiva rispetto al
verificarsi dell’evento lesivo, quanto una funzione
repressiva
volta
a
perseguire
situazione
pregiudizievoli ormai in atto o del tutto prodottesi.
L’irreparabilità del pregiudizio si spiega, invece, non
con riferimento alla natura assoluta del diritto da
cautelare, né con riferimento alla infungibilità del
bene
che
del
diritto
costituisce
oggetto.
Indubbiamente, il danno può definirsi irreparabile
quando non sia integralmente rimediabile con le
tecniche risarcitorie in equivalente pecuniario o con
gli strumenti di reintegrazione in forma specifica: in
queste ipotesi la durata del processo cagiona uno
37
scarto intollerabile tra gli effetti finali della decisione
di merito e la soddisfazione completa del diritto
dedotto in lite. Autorevoli critiche si sono, peraltro,
levate avverso le considerazioni dell’irreparabilità
del
pregiudizio
ex
art.
700
c.p.c.
basate
esclusivamente sulla natura del diritto cautelando, e
non anche, e prima, sulla persona del titolare del
diritto, e quindi sulla effettiva funzione che il diritto è
destinato ad assolvere nel caso singolo in relazione
ad
interessi
meritevoli
di
tutela
da
parte
dell’ordinamento. Questo non equivale a teorizzare
una soggettivizzazione del pregiudizio, ma a
reclamare la dovuta attenzione per la soddisfazione
dell’interesse del titolare della situazione giuridica
sostanziale da sottoporre a cautela.
Su tali premesse interpretative, si reputa comunque
in re ipsa irreparabile il pregiudizio arrecato ai diritti
a contenuto ed a funzione non patrimoniale dalla
perdurante loro insoddisfazione per tutto il tempo
necessario all’emanazione di una sentenza. Ci si
riferisce, ovviamente, ai diritti della personalità ed ai
diritti costituzionalmente rilevanti (nome, immagine,
onore,
riservatezza,
identità
personale,
professionalità, salute, ambiente, istruzione, libertà
religiosa, ecc.), per i quali la restitutio in integrum
risulta sempre difficoltosa e spesso inattuabile, e la
38
tutela deve, pertanto, orientarsi il più possibile
proprio verso soluzioni preventive a contenuto
inibitorio.
Per questo, non potrà mai concludersi che il diritto
alla
salute
debba
prima
essere
esposto
a
compromissione (nel caso in esame, attendendo la
verificazione
delle
situazioni
di
fatto
che
condizionano, in base all’OPCM n. 3590/2007, l’uso
del sito di Valle della Masseria, quali la chiusura di
altre discariche, oppure la non fruibilità di altri siti,
contemporanea all’aggravamento dell’emergenza
rifiuti in Campania), e soltanto poi possa trovare
tutela, peraltro in forma repressiva, mediante
condanna al risarcimento del danno. Tanto più che,
essendo l’utilizzo del sito di Valle della Masseria
correlato al generico aggravarsi della situazione di
emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti
in Campania, rimane una profonda incertezza sul
termine finale di tale regime di emergenza, che
comprime la normale fruibilità dell’area.
-----------------------------
Veniamo alla consistenza del fumus boni iuris.
Le Sezioni Unite della Cassazione, nella sentenza
6 ottobre 1979, n. 5172, ebbero a statuire che il
diritto alla salubrità dell'ambiente, aspetto del
39
generale diritto alla salute, è diritto fondamentale
della persona umana, sia come individuo che come
partecipe della collettività, e gode di piena tutela
giurisdizionale anche nei confronti della pubblica
amministrazione. Il collegamento, dell'art. 32 con
l'art. 2 cost. attribuisce infatti al diritto alla salute un
contenuto di socialità e di sicurezza, tale che esso
si presenta non solo come mero diritto alla vita e
all'incolumità fisica, ma come vero e proprio diritto
all'ambiente salubre, che neppure la pubblica
amministrazione può sacrificare o comprimere,
anche se agisca a tutela specifica della salute
pubblica. Da tale configurazione deriva ancora che
il diritto alla salute nel suo duplice aspetto è
tutelabile giurisdizionalmente davanti al giudice
ordinario anche contro la pubblica amministrazione
Dunque, a differenza di quando si parla di diritto
all’ambiente, con la locuzione “ambiente salubre” si
fa espresso riferimento al danno alla salute
arrecato da fenomeni di inquinamento, cioè da
fenomeni che incidono sulla salute fisica e psichica,
quale
effetto
della
violazione
dell'integrità
dell'ambiente.
I due tipi di danno, conseguente alla lesione di
interessi ontologicamente tra loro diversi, possono
40
coesistere,
ma
possono
anche
insorgere
separatamente
Vi è ancora un altro tipo di danno derivante al
singolo per la violazione dell'integrità dell'ambiente,
non accompagnato o seguito da lesione della
integrità fisiopsichica, ma comportante tuttavia
disagi alla vita, alla vivibilità, all'ordinato e usuale
svolgimento delle abitudini proprie di ciascuno. Si
tratta di danno, di natura economica (quale può
essere, ad es., il danno derivante dalla perdita
dell'abitazione,
per
l'abbandono
delle
zone
inquinate, o per consentire la bonifica delle zone
inquinate, per la sospensione o la riduzione
dell'attività lavorativa) e di natura morale (quale può
essere l'abbandono delle zone care alla memoria
familiare, per la riduzione dell'attività ludica, ecc.).
Tuttavia, da anni ormai il diritto all'ambiente salubre
si è a poco a poco differenziato dagli altri tipi di
danno provocato all’ - o derivante dall' - ambiente -,
acquisendo una fisionomia sua propria.
Resta da verificare se il diritto all'ambiente salubre
sia un aspetto del più ampio diritto alla salute o se
occorre guardarvi come ad un ulteriore nuovo
diritto.
In una pronuncia della Corte europea dei diritti
dell'uomo (Lopez Ostra contro Spagna, del 9
41
dicembre 1994), proprio in un caso di immissioni di
fumi e odori nocivi alla salute derivanti da un
impianto di trattamento dei rifiuti, la Corte di
Strasburgo ritenne che, anche se non lesive della
salute, le immissioni comportavano una violazione
della vita privata e familiare degli abitanti del luogo
ove era situato l'impianto; di qui l'obbligo delle
autorità amministrative di proteggere questo diritto,
tutelato dall'art. 8 della Convenzione europea, e il
diritto al risarcimento del danno della vittima,
esposta per più di tre anni all'inquinamento
atmosferico. La pronuncia è ritenuta dalla dottrina
esemplare nel definire il diritto all'ambiente salubre
e nel proteggere, in via riflessa, lo stesso "beneambiente".
Nell’ottica
accennata,
il
diritto
alla
salubrità
dell'ambiente può ritenersi implicito nello stesso
diritto alla salute, soprattutto quando "il significato
del diritto alla salute non si esaurisca nella pretesa
all'integrità fisica, ma reclami, in quanto necessario
presupposto della sanità delle condizioni individuali,
la
"salubrità"
della
sfera
sia
pure
esterna
all'individuo, ma nella quale egli opera e vive".
Il diritto all’ambiente salubre, inteso come "diritto
alla vivibilità” può assumere anche natura collettiva,
42
e quindi appartenere agli enti esponenziali delle
comunità interessate.
In particolare, come visto, qui il Comune di Serre ha
inteso denunciare un (per quanto ancora ipotetico e
futuro)
degrado
della
salubrità
dell'ambiente,
rappresentando che il futuro esercizio dell'impianto
di
stoccaggio
dei
rifiuti
potrebbe,
appunto,
determinare l'insalubrità dell'ambiente. La domanda
del Comune, allora, va intesa, proprio come
denuncia di un pericolo alla salute dei cittadini insito
nella messa in esercizio di un impianto, che
potrebbe degradare la salubrità dell'ambiente.
E non v'è dubbio che l'astratta titolarità di un tale
interesse debba essere riconosciuta in capo ad un
ente territoriale cui è, dal sistema, affidata la
gestione del territorio.
Anche la giurisprudenza amministrativa individua
costantemente tra i soggetti legittimati ad agire in
via oppositiva al provvedimento di localizzazione di
una discarica il Comune nel cui territorio la
discarica deve essere insediata, sotto il duplice
profilo sia di ente esponenziale dei residenti sia di
amministrazione titolare del potere pianificatorio in
materia urbanistica, stante l'incidenza che la
discarica ha, comunque, sul territorio.
43
Ciò detto sulla legittimazione del Comune, può
tornarsi a riflettere su come la giurisprudenza abbia
preferito creare un nuovo ed autonomo diritto
all'ambiente salubre (pur contenendo la carta
costituzionale
riferimenti
alla
tutela
del
paesaggio,ex art. 9, o alla tutela della salute, ex art.
32), ricavabile dall'art. 2, inteso come norma aperta.
I precedenti di Cassazione apripista risalgono
entrambi alla fine degli anni Settanta.
Cass. 9 marzo 1979, n. 1463 ricollegava la tutela
del diritto all'ambiente salubre alla proprietà, nel
senso
che
ne
sarebbe
titolare
il
soggetto
proprietario di beni collocati nella zona che ha
subito il danno ambientale.
Cass. 6 ottobre 1979, n. 4172, estendeva invece
ancor più il significato del diritto in esame, non
fondandolo sul diritto di proprietà, ma direttamente
sul diritto alla salute: "Dovendo preservarsi le
condizioni indispensabili o anche solo propizie alla
salute dell'uomo anche nei luoghi in cui si articolano
le comunità sociali nelle quali si svolge la
personalità, il diritto alla salute, piuttosto e oltre che
come mero diritto alla vita e alla incolumità fisica,
deve configurarsi come diritto all'ambiente salubre".
La protezione assicurata dall'ordinamento a questo
diritto è piena, attributiva di poteri di libera fruizione
44
di utilità, di libero svolgimento di attività e di
esclusione degli ostacoli che all'una o all'altra si
frappongano da parte di chicchessia, ivi compresa
la pubblica Amministrazione.
Il diritto soggettivo all’ambiente salubre, in quanto
incorpora un valore costituzionalmente garantito tra
i diritti fondamentali, è preordinato rispetto ad altri
diritti riconosciuti e garantiti ma ad esso sottoordinati, come la proprietà, l'iniziativa economica, il
buon andamento della pubblica Amministrazione.
Secondo Cass. pen. 14 aprile 1991, in Nuova giur.
civ. comm., 1991, I, 785, "il diritto alla salute è
costituzionalmente fondamentale e deve essere
inteso nella sua accezione più ampia, comprensiva
anche della salubrità ambientale e della qualità
della vita, sicché il conflitto tra interessi economici e
industriali e l'interesse alla salubrità dell'ambiente
non
può
che
essere
risolto
in
favore
di
quest'ultimo".
Ai fini dell’imputazione della responsabilità civile per
i danni all’ambiente salubre, appare da sconsigliare
l’applicazione del regime ordinario. Non convince
cioè la conclusione secondo cui
la lesione del
diritto all'ambiente salubre comporta una mera
responsabilità per dolo o per colpa, con l'onere
della prova a carico del danneggiato.
45
Il riferimento normativo più corretto appare invece
quello all'art. 2050 c.c., nel senso che la lesione di
un diritto soggettivo all'ambiente salubre importa
responsabilità oggettiva di chi ha arrecato la
lesione.
Ad analoga conclusione è pervenuto l'ordinamento
tedesco già nel 1991, con la disciplina sulla
"responsabilità
ambientale"
(Umwelthaftungsgesetz),
che
introduceva
una
responsabilità di tipo oggettivo per i danni alla
salute provenienti dall'inquinamento.
La presunzione posta dall’art. 2050 c.c. è da
intendersi
quale
finzione
che,
mediante
un'eccezione al principio generale posto dall'art.
2697 c.c., determina una distribuzione dell'onere
della prova diversa rispetto a quella valevole in
tema di illecito civile per la regola generale di cui
all'art. 2043 c.c., al fine di favorire il danneggiato, in
ossequio al principio dogmatico di cd. vicinanza alla
prova.
La soluzione propugnata corrisponde ad una
tendenza verso l’oggettivazione della responsabilità
civile da contatto amministrativo qualificato; e
prende atto della conclusione cui perviene certa
dottrina
circa
l’applicabilità
del
regime
di
responsabilità di cui all’art. 2050 c.c. anche
46
all'attività
provvedimentale
della
pubblica
amministrazione-autorità.
Essendo l’attività legata alla messa in esercizio di
un impianto di stoccaggio dei rifiuti un’attività
pericolosa, potenzialmente idonea a ledere il diritto
all’ambiente salubre, spetta a chi svolga o intenda
svolgere tale attività dimostrare di avere adottato
tutte le misure idonee ad evitare il danno, operando
al riguardo il principio della colpa obiettiva, quale
violazione della misura dello sforzo in relazione alle
circostanze del caso concreto adeguato ad evitare
che la attività provochi danno a terzi. Vertendosi in
tema di provvedimento inibitorio d'urgenza ex art.
700 c.p.c., spetta dunque a chi voglie allestire
l’impianto per l’esercizio dell’attività pericolosa
smentire, anche sul piano scientifico, il dato della
pericolosità dell'impianto stesso per la salute
umana. Non potrebbe viceversa opinarsi, per
quanto sopra più volte detto, che il diritto alla salute
dei
soggetti
dell’impianto
abitanti
pericoloso
nell’area
debba
di
attivazione
prima
essere
esposto a concreta ed attuale compromissione e
soltanto poi possa trovare una tutela, a quel punto
meramente
riparatoria
insoddisfacente.
47
e
quindi
del
tutto
Già la precedente ordinanza cautelare resa da
questo Tribunale il 28 aprile 2007 aveva piuttosto
richiamato la Valutazione di Impatto Ambientale effettuata
su
richiesta
del
Commissario
per
l’emergenza rifiuti - che prospettava i rischi di
disastro ambientale correlati ad un eventuale
sversamento
incontrollato
dei
liquami
di
percolamento dei rifiuti nel corso del fiume Sele,
distante poche centinaia di metri dal sito di Valle
della Masseria.
Del resto, il paventato pregiudizio ambientale
imputabile al sito di deposito dei rifiuti non è
valutabile se non attraverso accertamenti disposti
da qualificati organismi, atti ad emettere analisi e
riscontri tecnici ed a valutare il pregiudizio per il
territorio, derivante dalla presenza di sostanze
tossiche e nocive, anche in relazione alla loro
concentrazione ed al
terreno.
Ad
grado di assorbimento del
esempio,
gli
stessi
Giudici
amministrativi compiono un sindacato "debole"
sulle valutazioni tecniche in materia di tutela della
salute, dell'ambiente e del paesaggio, ciò in
conformità con la previsione dell'art. 17, l. n. 241
del 1990 che prevede la non surrogabilità delle
valutazioni tecniche espresse da amministrazioni
preposte alla tutela dell'ambiente. Raramente i
48
giudici amministrativi, anche quando ammettano la
c.t.u., si spingono fino a verificare l'inattendibilità
degli apprezzamenti tecnici delle P.A. in termini di
esattezza e condivisibilità.
Inoltre, nel corso di un procedimento cautelare, va
considerato come l’espletamento di una consulenza
tecnica pare ammissibile, ex art. 669 sexies,
comma 1, c.p.c.,
solamente
nei casi in cui sia
effettuabile in tempo utile una sommaria indagine
tecnica per preservare il diritto del ricorrente senza
snaturate
fini e struttura della tutela cautelare;
laddove invece il bilanciamento
degli interessi
(nella specie, la tutela della salute delle persone
abitanti
vicino
esigenze
della
all’impianto di stoccaggio e le
P.A.
legate
al
servizio
di
smaltimento dei rifiuti) non risulti così agevole, deve
negarsi una idonea competenza istruttoria del
giudice cautelare e rinviare tale incombenza alla
fase della cognizione piena ed esauriente (cfr. Trib.
Verona, ord. 9 marzo 1998, in Giur. mer. 1998, I,
618).
E’ noto come le nuove conoscenze scientifiche e
tecniche del settore, rovesciando una precedente
equazione
tra
discariche
dei
rifiuti
e
tutela
ambientale, sia a livello europeo sia a livello
nazionale,
abbiano
49
collocato
gli
impianti
di
smaltimento all'ultimo posto nella gerarchia dei
metodi di gestione dei rifiuti (dopo prevenzione e
recupero): in particolare, le discariche costituiscono
la vera e propria extrema ratio, essendo oramai
accertato il loro impatto negativo sull'ambiente nel
quale si inseriscono (si veda, a livello europeo, già
la Risoluzione del Consiglio U.E. 24 febbraio 1997
sulla strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti
(97/C 76/01).
Ne consegue che lo stabile collegamento con il
territorio di localizzazione di un impianto di
smaltimento, ove non siano esclusi i rischi di
pericolosità dello stesso, dovrebbe considerarsi di
per sé circostanza sufficiente per la inibitoria
richiesta, senza che il ricorrente sia costretto ad
addossarsi
onerose
quanto
premature
dimostrazioni di lesioni (concrete, immediate ed
attuali) alla sfera giuridica propria e dei cittadini che
rappresenta, lesioni, in realtà, che risultano sempre
potenzialmente
derivanti
dalla
costruzione
e
dall'attivazione dell'insediamento, anche soltanto
sotto i profili della degradazione urbanistica,
dell'aumento del traffico, della diffusione di odori e/o
rumori
molesti,
con
le
inevitabili
ricadute
economiche in termini di svalutazione di immobili e
aziende. Senza considerare i possibili inquinamenti
50
dell'aria, del suolo, delle acque sotterranee e
superficiali, con conseguente compromissione della
prospettata salubrità dell'ambiente di vita, ovvero i
danni - anche soltanto all'immagine - a particolari
attività
economiche
esercitate
in
prossimità
dell'insediamento (si pensi, ad esempio, alle
industrie alimentari o alle imprese agricole e di
allevamento
legittimamente
del
bestiame,
intervenute
quali
quelle
in
questo
procedimento).
Ad avviso del Comune ricorrente, 80 famiglie
abitano a 500 metri dall’area di attivazione del sito
di stoccaggio; la circostanza è solo genericamente
contestata dalle amministrazioni resistenti, che
collocano invece il centro abitato (per come inteso
dal D. lgs. n. 36/2003, a circa tre chilometri dal sito.
Inoltre,
l’area
Valle
della
Masseria
rientra
pacificamente nell’Oasi del Sele – Serre Persano,
istituita con DPGRC n. 4060/1076, dichiarata zona
umida di importanza internazionale, e quindi
affidata alla gestione del WWF dal 1981.
Fino all'approvazione della l. n. 394 del 1991 la
dottrina lamentava l'assenza di una fonte normativa
disciplinante
l'organizzazione
unitariamente
dei
parchi
l'istituzione
naturali,
statali
e
o
regionali. Infatti, vi era un gruppo di normative
51
(leggi istitutive e regolamenti di esecuzione) relative
all'istituzione di cinque parchi nazionali, oltre a
disposizioni che disciplinavano i parchi naturali
regionali. La dottrina aveva rilevato, pertanto,
l'insoddisfacente sviluppo della legislazione italiana
in
materia
di
parchi
naturali,
che
scontava
insufficienze o ritardi collegati alla tardiva e
incompleta
(ambientale,
chiarificazione
urbanistico
di
e
tutti
socio
i
profili
economico)
coinvolti nella istituzione di parchi naturali e dal loro
"impatto" sul coacervo di interessi (soprattutto
economici) delle comunità insediate nell'area del
parco.
Le evidenziate mancanze di coordinamento della
disciplina sui parchi non risultavano superate, ma
addirittura accresciute, a seguito dell'emanazione
prima del d.p.r. 15 gennaio 1972 n. 11 , e
successivamente del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616. In
particolare, a seguito del d.p.r. n. 616 del 1977,
poiché la protezione della natura, l'istituzione dei
parchi e riserve naturali e la tutela delle zone umide
erano divenute riconducibili alla materia agricoltura
e foreste e all'urbanistica.
Solo con la l. n. 394 del 1991, il riferimento agli artt.
9 e 32, Cost. indica che la protezione della natura
rientra nei compiti della Repubblica e, quindi, dello
52
Stato comunità, formato dallo Stato, dalle Regioni e
dalle autonomie locali .
La l. n. 394 del 1991 afferma, all'art. 1, comma 5,
che "nella tutela e nella gestione delle aree naturali
protette, lo Stato, le Regioni e gli enti locali attuano
forme di cooperazione e di intesa ai sensi dell'art.
81 del d.p.r. 24 luglio 1977 n. 616, e dell'art. 27
della l. 8 giugno 1990 n. 142". Al vertice della
gestione delle aree protette è posta la Conferenza
Stato-Regioni (art. 7, comma 1, d. legisl. n. 281 del
1997), che ha sostituito il Comitato delle aree
protette, che è stato soppresso.
La dottrina ha rilevato che al vertice degli interessi
locali
e
nazionali,
oltre
che
paesaggistici,
naturalistici, scientifici , coinvolti nella gestione delle
aree protette, si colloca, comunque, l'interesse alla
protezione integrale dell'ambiente all'interno del
loro territorio.
Proprio per tale motivo è stato sostenuto che la l. n.
394 del 1991 si ispira in parte al principio
biocentrico, in quanto in base alle disposizioni di
quella legge, la natura "viene tutelata come valore
in sé”, come sistema. Si precisa, meglio, che
alcune disposizioni della l. n. 394 del 1991 tutelano
"il valore della natura in sé (valore intrinseco)",
53
mentre altre norme riguardano "il valore della
natura in relazione all'uomo" (valore ambientale).
Dunque, la legge 6 dicembre 1991 n. 394.
costituiva una legge cornice, o legge quadro, tipica
attuazione del previgente art. 117 Cost., adottata in
attuazione
diretta degli articoli 9 e 32 della Carta
fondamentale,
al
fine
di
dettare
principi
fondamentali per l'istituzione e la gestione
delle
aree naturali protette, e quindi di garantire e
promuovere, in forma coordinata, la conservazione
e la valorizzazione
del patrimonio naturale del
paese.
In base a quella, legge, “non può porsi in dubbio
che la ragione d'essere della delimitazione dell'area
protetta risieda nell'esigenza di protezione integrale
del
territorio
e
conseguentemente,
dell'eco-sistema
ogni
attività
e
umana
che,
di
trasformazione dell'ambiente all'interno di un'area
protetta, vada valutata in relazione alla primaria
esigenza di tutelare l'interesse naturalistico,
da
intendersi preminente su qualsiasi indirizzo di
politica economica o ambientale di diverso tipo,
sicché in relazione all'utilizzazione
economica
delle aree protette non dovrebbe parlarsi di
sviluppo
economico
sostenibile
ossia
dell'eco-sistema
54
di
sfruttamento
compatibile
con
esigenza
di
protezione,
ma,
con
prospettiva
rovesciata, di protezione sostenibile, intendendosi
con tale terminologia evocare i vantaggi economici
che
la
protezione
in
sé
assicura
senza
compromissione di equilibri economici essenziali
per la collettività, ed ammettere il coordinamento fra
interesse alla protezione integrale ed altri interessi
solo negli stretti limiti in cui l'utilizzazione del parco
non alteri in modo significativo il complesso dei beni
compresi nell'area protetta” (così Consiglio di stato ,
sez. VI, 16 novembre 2004, n. 7472).
Va detto che neppure la legge n. 394 del 1991
poneva un'incompatibilità assoluta fra aree protette
ed interventi invasivi, quali l'attivazione e la
realizzazione
di discariche (cfr. art. 11 commi 3 e
4 della legge n. 394.
Pare tuttavia immanente nella legge il principio
generale che vuole garantita, per quanto possibile,
in forma tendenziale, la conservazione integrale
dell'area protetta, ammettendone l'alterazione solo
in quanto non vi siano alternative possibili alla
scelta adottata ed in quanto sia garantita una
successiva bonifica e un ripristino dell'area.
Il Trattato di Amsterdam ha introdotto tra gli obiettivi
della politica ambientale dell'Unione europea (v. art.
6 del Trattato dell'Unione europea) il principio dello
55
sviluppo sostenibile. In forza di esso, lo sviluppo
deve rispondere alla necessità delle generazioni
presenti senza compromettere la capacità delle
generazioni future di soddisfare le proprie esigenze.
In base al principio dello sviluppo sostenibile, che
secondo parte della dottrina, rappresenta peraltro
più un principio etico che giuridico, un'attività
economica può essere autorizzata soltanto se sia
possibile dimostrare che essa rispetti l'ambiente, e
cioè comporti un uso non irragionevole e cauto
delle risorse naturali, che non pregiudichi la
fruizione di tali risorse da parte delle generazioni
future. Prima di procedere ad autorizzare un'attività
economica è necessario,
quindi, operare
un
bilanciamento tra gli interessi in gioco: l'interesse
alla tutela dell'ambiente, e l'interesse all'iniziativa
pubblica e privata. La Corte costituzionale ha
affermato però che, poiché gli interessi ambientali
sono da considerare primari ed assoluti essi non
possono
essere
subordinati
ad
alcun
altro
interesse. Ne deriverebbe che nel bilanciamento tra
l'interesse ambientale e l'interesse economico
dovrebbe comunque prevalere il primo. Tale
orientamento si fonda sulla considerazione dello
stretto legame tra ambiente e salute dell'uomo:
"l'ambiente è protetto come elemento determinativo
56
della qualità della vita. La sua protezione non
persegue
astratte
finalità
naturalistiche
o
estetizzanti, ma esprime l'esigenza di un habitat
naturale nel quale l'uomo vive ed agisce e che è
necessario alla collettività e, per essa, ai cittadini,
secondo valori largamente sentiti; è imposta
anzitutto da precetti costituzionali (art. 9 e 32
Cost.), per cui esso assurge a valore primario ed
assoluto".
In tal senso, non può condividersi la lesione della
salubrità dell’area protetta dell’Oasi del Sele –
Serre
Persano
motivata
unicamente
sul
presupposto della non fruibilità di altri siti per le
occorrenti discariche.
Si tenga conto che il sito in località Valle della
Masseria, in base all’ O.P.C.M. n. 3590/2007,
verrebbe utilizzato proprio come discarica in caso di
mancato rispetto dei termini previsti per allestire
l’altra discarica ricadente sempre nel Comune di
Serre, in località Macchia Soprana (art. 1, comma
6); ed invece come sito di stoccaggio temporaneo
di rifiuti laddove, chiusa la discarica di Villaricca,e
non potendosi provvedere ad individuare altri siti
per discariche, lo imponesse la emergenza della
situazione
della
Regione
Campania.
Sicché
potenzialmente, un comune che conta (dati Istat)
57
poco più di 3800 abitanti ed un numero di 1.658
abitazioni, posto fra i fiumi Sele e Calore, e
compreso nel Parco del Cilento e Vallo di Diano,
sarebbe chiamato ad ospitare una discarica per
una volumetria abbancabile pari ad almeno 300
mila mc di rifiuti (in area Macchia Soprana), nonché
un sito di stoccaggio temporaneo in Valle della
Masseria, nel mezzo di un’area naturalistica
protetta.
-----------------------------
Va considerato come l’ ordinanza n. 3590/2007
della Presidenza del Consiglio dei Ministri rientri
nell’ambito di previsione dell'art. 5 l. 24 febbraio
1992 n. 225 (recante l’Istituzione del Servizio
nazionale della protezione civile), ed ha pertanto
natura di ordinanza libera, categoria in cui sono
compresi
tutti
amministrative
i
provvedimenti
suscettibili
di
di
autorità
introdurre
una
disciplina divergente dall'ordine normativo che
risultava in precedenza sulla base di disposizioni
legislative.
Tali
ordinanze,
immediatamente
esecutive, diversamente dagli atti governativi con
valore di legge, sono espressione di autonomia ed
operano
generalmente
nel
campo
dell'attività
amministrativa, ma, pur non avendo valore di legge,
58
sono, nel loro ambito, indipendenti e, nel loro
contenuto, soggette comunque alla Costituzione ed
ai principi generali dell'ordinamento, e non vincolate
da altre norme preesistenti che non siano quelle
espressamente indicate dalla fonte da cui traggono
origine,
il
che
giustifica,
appunto,
la
loro
denominazione di ordinanze libere. L’ordinanza è
quindi espressamente frutto di una legislazione
derogatoria, intesa a contrastare le situazioni
emergenziali, competendo la deroga normativa alla
Presidenza del Consiglio, che può avvalersi di
delegati per
l'attuazione degli interventi ( art. 5
comma 4 L. 225/92 cit. ). Tali provvedimenti, pur
non contenendo disposizioni generali ed astratte,
devono
ciononostante
formare
oggetto
della
scienza diretta del Giudice, il quale non sarebbe in
grado, diversamente, di accertare quali limitazioni
siano state apportate nel caso concreto alla
disciplina
concessa
normativa
con
generale.
l’ordinanza
L’autorizzazione
n.
3590/2007al
Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella
Regione Campania all’uso del sito in località Valle
della Masseria rende allora concreto ed attuale
l’interesse del Comune di Serre ad agire in sede
cautelare, allo scopo di ottenere un risultato utile
giuridicamente apprezzabile e non conseguibile
59
senza l'intervento del giudice, in modo da inibire
comportamenti
attuativi
lesivi
del
diritto
alla
salubrità dell’ambiente municipale.
-----------------------------
La difesa delle amministrazioni resistenti evidenzia
come l’O.P.C.M. n. 3590/2007 imponga di dar
rilievo, anche ai fini dell’azione cautelare proposta,
tra la “discarica” e lo “stoccaggio”, stante il limite
temporale massimo di quest’ultimo utilizzo.
Al riguardo, si apprende dall’art. 183, DECRETO
LEGISLATIVO 3 aprile 2006, n. 152, che la nozione
di stoccaggio concerne le attività di smaltimento
consistenti nelle operazioni di deposito preliminare
di rifiuti di cui al punto D15 dell'Allegato B alla parte
quarta del decreto, nonché le attività di recupero
consistenti nelle operazioni di messa in riserva di
materiali di cui al punto R13 dell'Allegato C alla
medesima parte quarta, mentre la nozione di
deposito temporaneo descrive il raggruppamento
dei rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo
in cui gli stessi sono prodotti
Si ricordi, per incidens, come il d.lg n. 22 del 1997
stabilisse che: «Dal 1° gennaio 2000 è consentito
smaltire in discarica solo i rifiuti inerti, i rifiuti
individuati da specifiche norme tecniche ed i rifiuti
60
che residuano dalle operazioni di riciclaggio, di
recupero e di smaltimento di cui ai punti D2, D8,
D9, D10 e D11 di cui all'allegato B. Per casi di
comprovata necessità e per periodi di tempo
determinati, il presidente della regione, d'intesa con
il
Ministro
dell'ambiente,
può
autorizzare
lo
smaltimento in discarica nel rispetto di apposite
prescrizioni tecniche e delle norme vigenti in
materia». Tale termine, rivelatosi eccessivamente
ottimistico, è stato però prorogato più volte.
In effetti, la nozione di discarica, almeno fino
all'entrata in vigore del d.lg. n. 36 del 2003, era
priva
di
Dall'ampia
una
chiara
elaborazione
definizione
normativa.
giurisprudenziale
si
ricavava che la discarica indicasse l'area adibita a
smaltimento dei rifiuti mediante operazioni di
deposito sul suolo o nel suolo. Vale a dire un sito
organizzato per il deposito dei rifiuti sulla terra o
nella terra, e destinato allo stoccaggio definitivo
degli stessi.
La definizione giurisprudenziale tentava dunque di
far chiarezza anche sul concetto di «stoccaggio
provvisorio di rifiuti».
Era stato tuttavia il D.Lgs. 22/1997 (decreto
Ronchi), recependo la direttiva CE 75/442, in
materia di rifiuti, così come modificata ed integrata
61
dalla direttiva CE 91/156, a riportare integralmente
le definizioni di deposito preliminare e messa in
riserva contenute rispettivamente negli allegati II A
e II B della direttiva 75/442, ed a stabilire all'articolo
6,
lettera
l,
che
tali
operazioni
potessero
cumulativamente essere denominate
stoccaggio.
Per il vero, il legislatore italiano non solo recepì dal
testo
comunitario
le
nozioni
di
"produttore",
"detentore", "gestione", "smaltimento", "recupero" e
"raccolta", ma aggiunse anche quelle di "luogo di
produzione
dei
rifiuti",
"stoccaggio",
"deposito
temporaneo", "bonifica", "messa in sicurezza",
"combustibile da rifiuti" e "compost da rifiuti" (art. 6,
D.Lgs. 22/1997).
La nozione di stoccaggio veniva così definita
dall'art. 6 lettera l) del decreto Ronchi: «stoccaggio:
attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di
deposito preliminare di rifiuti di cui al punto d15
dell'allegato B, nonché le attività di recupero
consistenti nelle operazioni di messa in riserva di
materiali di cui al punto R13 dell'allegato C».
Non sono dunque considerabili discariche:
« - lo stoccaggio di rifiuti in attesa di recupero o
trattamento per un periodo inferiore a tre anni;
- lo stoccaggio di rifiuti in attesa di smaltimento per
un periodo inferiore ad 1 anno;
62
- gli impianti in cui i rifiuti sono scaricati al fine di
essere preparati per il successivo trasporto in un
impianto di recupero trattamento o smaltimento» .
Se ne deduce che le operazioni di deposito
preliminare, se eseguite su rifiuti in attesa di
smaltimento, possono essere effettuate solo per un
anno, mentre oltre tale termine ricadranno nel
regime delle discariche.
Non è dato ritenere che tale temporaneità (o
provvisorietà) dell’utilizzazione del sito di Valle della
Masseria per il solo stoccaggio dei rifiuti, in attesa
del successivo smaltimento, scongiuri i rischi di
danni alla salute.
La
scienza
dimostra
come
sia
comunque
impossibile evitare l’emissione di gas ed esalazioni
mefitiche dai siti di stoccaggio dei rifiuti solidi
urbani.
Del resto, la maggior parte dei gas emessi dai rifiuti
si origina già dalla decomposizione batterica, che
non richiede una lunga permanenza degli stessi nel
sito, giacché si verifica non appena rifiuti organici
vengono attaccati dai batteri naturalmente presenti
all'interno dei rifiuti e nel suolo utilizzato per coprire
le discariche. Altri gas si formano invece per
volatilizzazione e per reazioni chimiche (fenomeni
anche essi ipotizzabili in caso di permanenza
63
infrannuale dei rifiuti nel sito di stoccaggio). Inoltre,
maggiore è la quota organica di rifiuti, maggiore è
la produzione di gas (anidride carbonica, metano,
azoto, idrogeno solforato) prodotti dai
batteri
durante la decomposizione; e proprio le discariche
più recenti producono
maggiori quantità di gas
derivanti dalla decomposizione batterica, dalla
volatilità e dalle reazioni chimiche rispetto alle
discariche più vecchie. Anche la presenza di
umidità e quindi di condizioni di non saturazione
aumenta la produzione di gas, in quanto incoraggia
la decomposizione batterica. Non è quindi la
differenza fra il concetto di discarica e quello di
stoccaggio provvisorio a ridimensionare il fumus
boni iuris spettante al Comune ricorrente.
----------------------------In definitiva:
ritenuta l’ammissibilità di un ordine ex art. 700 c.p.c.
avente
un
contenuto
meramente
inibitorio
a
presidio del diritto alla salute, volto ad impedire alla
convenute
Amministrazioni
di
tenere
il
comportamento di allestimento e messa in esercizio
del sito di stoccaggio dei rifiuti in località valle della
Masseria di Serre, già autorizzato con l’O.P.C.M. n.
3590/2007;
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ritenuto che la specificità fondamentale del diritto
cautelando non tolleri una postergazione della
tutela
cautelare
verificazione
al
del
momento
danno,
della
effettiva
bastando
all’uopo
l’allegazione di un comportamento oggettivamente
preordinato a determinarne la messa in pericolo;
ritenuta la meritevolezza di protezione del diritto all'
“ambiente salubre” dell’ente municipale, con esso
riferendosi al danno alla salute arrecato da
fenomeni incidenti sulla salute fisica e psichica
della popolazione, di cui il ricorrente costituisce
ente esponenziale;
ritenuto che l’attività legata alla messa in esercizio
di un impianto di stoccaggio dei rifiuti concreti
un’attività pericolosa, potenzialmente idonea a
ledere il diritto all’ambiente salubre, sicché spetta a
chi svolga o intenda svolgere tale attività (ovvero,
nella
specie,
alle
Amministrazioni
resistenti)
dimostrare di avere adottato tutte le misure idonee
ad evitare il danno, operando al riguardo il principio
della colpa obiettiva;
ritenuto come la prossimità al sito di insediamenti
abitativi, la ricomprensione del medesimo sito di
stoccaggio in un’area naturale, dichiarata zona
umida di importanza internazionale, e la presenza
nel medesimo territorio comunale di Serre già di
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altra discarica di rifiuti per una volumetria pari ad
almeno 300 mila mc, non consentano affatto, allo
stato delle risultanze istruttorie, di dire scongiurato il
fumus di pericolosità dell'impianto di stoccaggio in
Valle della Masseria per la salubrità dell’ambiente;
la domanda cautelare va accolta.
----------------------------In ragione della natura della causa e della estrema
complessità delle questioni affrontate, sussistono
giusti motivi per compensare tra le parti le spese
processuali sostenute nel procedimento cautelare.
p.q.m
letti gli artt. 669 octies e 700 c.p.c.,
accoglie la domanda ex art. 700 c.p.c. presentata
dal COMUNE DI SERRE (Salerno) nei confronti del
COMMISSARIO STRAORDINARIO DI GOVERNO
PER L’EMERGENZA RIFIUTI IN CAMPANIA e
della
PRESIDENZA
DEL
CONSIGLIO
DEI
MINISTRI, nonché le domande adesive proposte
da La Bufalina s.n.c. e della Impresa Agricola
Romagnolo Gaetano, e per l’effetto inibisce al
COMMISSARIO STRAORDINARIO DI GOVERNO
PER
L’EMERGENZA
RIFIUTI
IN
CAMPANIA
l’adibizione del sito in località Valle della Masseria
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nel Comune di Serre all’esercizio di impianto di
stoccaggio temporaneo di rifiuti;
compensa per intero tra le parti le spese del
procedimento cautelare.
Salerno, 4 luglio ‘07
il Giudice designato
Dott. Antonio Scarpa
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