"Al cor gentil rempaira sempre amore", Guido Guinizzelli Testo Poesia Al cor gentil rempaira sempre amore come l’ausello in selva a la verdura; né fe’ amor anti che gentil core, né gentil core anti ch’amor, natura: ch’adesso con’ fu ’l sole, sì tosto lo splendore fu lucente, né fu davanti ’l sole; e prende amore in gentilezza loco così propïamente come calore in clarità di foco. Foco d’amore in gentil cor s’aprende come vertute in petra prezïosa, che da la stella valor no i discende anti che ’l sol la faccia gentil cosa; poi che n’ha tratto fòre per sua forza lo sol ciò che li è vile, stella li dà valore: così lo cor ch’è fatto da natura asletto, pur, gentile, donna a guisa di stella lo ’nnamora. Amor per tal ragion sta ’n cor gentile per qual lo foco in cima del doplero: splendeli al su’ diletto, clar, sottile; no li stari’ altra guisa, tant’è fero. Così prava natura recontra amor come fa l’aigua il foco caldo, per la freddura. Amore in gentil cor prende rivera per suo consimel loco com’ adamàs del ferro in la minera. Fere lo sol lo fango tutto ’l giorno: vile reman, né ’l sol perde calore; dis’omo alter: «Gentil per sclatta torno»; lui semblo al fango, al sol gentil valore: ché non dé dar om fé che gentilezza sia fòr di coraggio in degnità d’ere’ sed a vertute non ha gentil core, com’aigua porta raggio e ’l ciel riten le stelle e lo splendore. Splende ’n la ’ntelligenzïa del cielo Deo crïator più che [’n] nostr’occhi ’l sole: ella intende suo fattor oltra ’l cielo, e ’l ciel volgiando, a Lui obedir tole; e con’ segue, al primero, del giusto Deo beato compimento, così dar dovria, al vero, la bella donna, poi che [’n] gli occhi splende del suo gentil, talento che mai di lei obedir non si disprende. Donna, Deo mi dirà: «Che presomisti?», sïando l’alma mia a lui davanti. «Lo ciel passasti e ’nfin a Me venisti e desti in vano amor Me per semblanti: ch’a Me conven le laude e a la reina del regname degno, per cui cessa onne fraude». Dir Li porò: «Tenne d’angel sembianza che fosse del Tuo regno; non me fu fallo, s’in lei posi amanza». Analisi, Breve Parafrasi e Spiegazione Questa famosa canzone del Guinizelli è considerata il manifesto, ossia la sintesi programmatica del “ dolce stil novo”, perché sviluppa gli elementi dottrinali della nuova poesia, la quale, anche se rielabora concetti già presenti qua e là nella tarda poesia provenzaleggiante, può considerarsi veramente nuova rispetto alla precedente produzione poetica. Infatti il “dolce stil novo dà ad essi, mediante la nuova definizione di nobiltà, un assetto più solido e coerente col carattere antifeudale della civiltà comunale. Inoltre si libera quasi di colpo degli artifici retorici e della fraseologia stereotipata della poesia cortese e cavalleresca, adoperando un linguaggio più aderente al sentimento, più limpido, caratterizzato da una musicalità più semplice e naturale, “dolce” appunto, come sottolinea il nome stesso dato al nuovo stile. Gli elementi dottrinali possono ridursi essenzialmente a due: il primo è che l’amore ha la sua sede naturale nel cuor gentile, cioè nell’animo nobile, che è tale non per ereditarietà di stirpe, ma per le congenite qualità naturali, o anche per la conquista individuale mediante la forza dell’intelligenza e della cultura; il secondo elemento è il concetto della donna che con la sua bontà e bellezza traduce in atto l’amore che potenzialmente risiede nel cuore gentile, esaltando le migliori qualità dell’uomo, liberandolo da ogni bassezza e impurità e perfezionandolo moralmente. Così operando sull’uomo, la donna assolve una funzione in certo qual modo analoga a quella di Dio, che risplende davanti all’intelligenza angelica: questa gli obbedisce, facendo ruotare il cielo a cui è preposta per l’attuazione dell’ordine universale da Lui voluto. Da queste due premesse deriva, come conseguenza, che l’amore non solo non è peccato, ma è anzi strumento di virtù e fonte di perfezionamento spirituale. La donna è una creatura angelica, anello di congiunzione tra Dio e l’uomo, sicché, quando dopo la morte l’anima sarà davanti a Dio giudice, che rimprovererà per aver dato una sembianza divina ad un amore effimero, terreno, essa potrà serenamente rispondergli di non aver peccato: la donna amata aveva l’aspetto di un angelo appartenente al suo regno…. Si attua così in questa canzone la perfetta conciliazione tra l’amore terreno e l’amore divino, il riscatto totale dell’amore da ogni condanna morale, la risoluzione di un problema etico che tanto aveva travagliato il pensiero medievale. Nella prima stanza, il poeta afferma, con la perentorietà di un assioma, l’identità di amore e cuore gentile, perché, essendo stati creati dalla natura nello stesso istante, sono tra loro inscindibili, come è inscindibile la luce dal sole e il calore dalla fiamma. In cuore gentile, nobile, si rifugia sempre, come alla sua sede naturale, l’amore, così come l’uccello si rifugia in un bosco tra il verde della vegetazione (a la verdura), né la natura creò l’amore prima di un cuore gentile, né il cuore gentile prima dell’amore: perché, non appena apparve il sole, subito ci fu, apparve lo splendore della luce, né lo splendore di essa apparve prima del sole; l’amore prende il suo posto (loco) nell’animo nobile così naturalmente come il calore nello splendore (clarità) del fuoco. Nella seconda stanza il poeta riafferma l’identità di amore e cuore gentile: l’amore è connaturato al cuore gentile, così come la virtù, ossia la capacità di creare effetti magici, è connaturata alla pietra preziosa. Ma come il sole rende preziosa la pietra dopo averla liberata da ogni impurità, così la donna, facendolo innamorare di sé con la sua bellezza, libera l’uomo da ogni bassezza e traduce in atto quella gentilezza o nobiltà d’animo che egli ha ricevuto in potenza dalla natura. La fiamma dell’amore si rivela (s’aprende) nell’animo nobile , così come la virtù, ossia la capacità di produrre effetti magici (dovuta, secondo la credenza medievale, agli influssi celesti) si rivela nella pietra preziosa, perché dalla stella non discende in essa la particolare virtù (valor) prima che il sole non l’abbia resa gentil cosa, cioè pura, libera da ogni impurità; dopo che il sole ha tratto da essa, con la sua potenza, ciò che in essa è impuro (vile), la stella le infonde il valore (ossia la capacità di operare miracolosamente): così la donna, simile alla stella nel suo operare (a guisa di stella), innamora il cuore che dalla natura è stato creato eletto, puro e nobile, sicché la donna sta al cuor gentile, puro per natura, come la stella sta alla pietra preziosa, purificata dal sole. Nella terza stanza il poeta ribadisce ancora il concetto dell’identità di amore e cuor gentile: l’amore sta nel cuor gentile come la fiamma sulla sommità della torcia o come il diamante sta nella miniera di ferro, mentre una natura bassa o volgare è contraria all’amore, così come l’acqua, per la sua freddezza, è contraria al fuoco. L’amore risiede in un cuor gentile per la stessa ragione, o legge di natura, per la quale la fiamma sta sulla sommità della torcia (doplero, cero a due stoppini): vi splende a suo piacere (al su diletto), luminosa (clar), sottile, cioè tesa verso l’alto: non vi starebbe in un modo diverso tanto è sdegnosa di disporsi diversamente. Una natura cattiva, cioè un animo volgare, respinge l’amore così come l’acqua per la sua respinge il fuoco che è caldo. L’amore ancora prende dimora in cuor gentile, perché è il luogo più ad esso affine, come il diamante nel minerale del ferro. Nella quarta stanza il poeta chiarisce che la gentilezza, o nobiltà d’animo, non è quella di nascita, ma quella che si realizza per meriti personali, indipendentemente dalla propria origine. Il sole colpisce il fango continuamente, per tutto il giorno: tuttavia il fango resta tale, una cosa vile, né il sole perde il suo valore. Dice un uomo superbo: ” Io sono (torno) nobile perché discendo da nobile famiglia (per schiatta)”; io paragono lui al fango il gentil valore, ossia la nobiltà della sua famiglia, la paragono al sole: perché l’uomo non deve credere che la nobiltà sia fuori del cuore, sia cioè una qualità estrinseca allo spirito e quindi priva di meriti personali, consistente unicamente in un privilegio di erede, se l’erede non ha il cuore nobile per virtù personale. Nella quinta stanza il poeta presenta il secondo elemento dottrinale del “dolce stil novo”, quello della donna – angelo, anche questa volta ricorrendo ad un paragone ricavato dalla scienza e dalla filosofia del tempo. Come Dio, risplendendo davanti all’Intelligenza celeste, ispira immediatamente il desiderio di obbedirgli, di eseguire cioè il compito affidatole di far ruotare il cielo a cui è preposta, così la donna, risplendendo agli occhi dell’uomo gentile, gli ispira il desiderio di non distogliersi mai dall’obbedirle, suscitando in lui, con la propria bellezza, l’amore per la virtù ed il bene. Dio creatore - dice il poeta – splende nella Intelligenza angelica del cielo più di quanto Risplenda il sole ai nostri occhi, ed essa facendo girare il cielo, prende a obbedire a Lui, perché attua i suoi disegni; e come segue immediatamente il felice compimento, cioè la felice attuazione del giusto disegno di Dio, che è quello dell’ordine e dell’armonia universale, così la bella donna in verità, dopo che risplende agli occhi del suo innamorato dotato di animo nobile, dovrebbe ispirargli il desiderio di non distogliersi mai dall’obbedire a lei. L’ultima stanza costituisce una sorta di suggello alla concezione della donna angelo. Con un colpo d’ala il poeta si trasferisce in cielo ed immagina che dopo la morte la sua animasi trovi davanti a Dio giudice. Allora, dice alla donna amata, egli saprà come giustificare davanti a Dio il suo amore per lei. O donna, quando la mia anima dopo la morte starà davanti a Lui, Egli mi dirà: “ Che presunzione avesti sulla terra? Oltrepassasti il cielo e arrivasti fino a me e prendesti Me come termine di paragone in un amore frivolo, perché le lodi, gli inni cioè di devozione, si addicono soltanto a Me e alla regina (la Madonna) del vero regno, che è il Paradiso, per le cui virtù svanisce ogni inganno del demonio”. Allora io potrò dire: “ La donna che ho amato aveva l’aspetto di un angelo, di una creatura soprannaturale che appartenesse al Tuo regno, cioè il Paradiso; perciò non fu peccato per me, se io riposi il mio amore in lei. Metrica Canzone di sei stanze di dieci versi ciascuna, formate da fronte di quattro endecasillabi a rima alternata e da sirma di endecasillabi e settenari, con rime, secondo lo schema ABAB; cDcEdE. L’ultima stanza (l’unica che non rispetti la tradizione siciliana delle strofe capfinidas: ma tra la III e la IV il legame è nel solo significante ferro/fere) ha funzione di congedo.