Storia dei paesi dell’Est Europa dell’Est o Europe dell’Est? Nei primissimi anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale, l’Europa dell’Est era una realtà facilmente definibile. L’espressione indicava l’insieme di Stati occupati direttamente o meno dall’Armata Rossa negli ultimi mesi di guerra, che erano diventati democrazie popolari, cioè Stati “in cui il potere appartiene al popolo, l‘industria pesante, i trasporti, le banche allo Stato, e la forza dirigente è costituita dalle classi lavoratrici con in testa quella operaia”. Questi otto Stati, insieme all’URSS formano quello che era definito ‘blocco sovietico’. L’Europa dell’Est non coincide con la definizione geografica del termine: si pensi alla Polonia, definita tale a causa del suo sistema politicoeconomico, ma che si trova nel cuore dell’Europa, o alla Grecia, realmente posta ad est ma non considerata facente parte del gruppo. Confine tra mondo occidentale ed Europa dell’Est era la “cortina di ferro“, termine in seguito bandito perché poco diplomatico. Ciò non toglie che questa ‘cortina’ sia stata una realtà tangibile,frontiera minata e sorvegliata che divideva due mondi differenti e che i berlinesi hanno avuto il triste privilegio di possedere al centro della città. L’Europa dell’Est è anche l’Europa del Patto di Varsavia -tranne la Jugoslavia che non volle mai farne parte, e l’Albania, che si ritirò- cioè un’Europa caratterizzata dalla presenza dell’Armata Rossa. Questa unità apparente apparve nel tempo sempre più illusoria. Dopo quarant’anni di regime socialista, le diversità nazionali e le tradizioni culturali e religiose sono comunque rimaste intatte. (Parte prima) IL PESO DEL PASSATO L’insediamento dei popoli. La protostoria. Il popolamento dei territori oggi definiti Europa orientale risale ad epoca remotissima,ma le nostre conoscenze a riguardo sono poche,poiché queste regioni sono vissute senza quasi nessun contatto con le grandi civiltà mediterranee. Ad eccezione dei Protofinnici,che arrivarono in piccoli gruppi nel I millennio a.C. , le prime popolazioni conosciute dell’Europa orientale sono tutte Indoeuropee. Durante il III millennio, gli indoeuropei vivevano nelle steppe che si estendono dai Carpazi fino al sud dell’Ural. Alla fine del III millennio la maggior parte di essi iniziò a disperdersi e a differenziarsi. Durante il II millennio alcuni entrarono anche a contatto con le civiltà mediterranee, che assimilarono e che furono la base della civiltà greca e romana. Tuttavia la stragrande maggioranza degli Indoeuropei si stabilì in zone lontane dal mondo mediterraneo. Ellenizzazione e romanizzazione dei Balcani e dei paesi danubiani. Fin dal I millenio a.C. i Greci cercarono di assicurarsi il controllo delle regioni montuose poste a nord del loro paese, riuscendoci nel V e IV secolo a.C. Attraverso queste colonie la civiltà greca penetrò lentamente nei Balcani. Quando Roma subentrò ai Greci in questa regione, a partire dal II secolo a.C. il 1 destino della parte meridionale dell’Est europeo venne strettamente legato a quello di Roma per molti secoli. All’inizio del II secolo a.C. il contrasto tra l’Europa orientale rimasta libera e quella sottomessa a Roma si presentava strettamente marcato. Da un lato, vi erano tribù nomadi disorganizzate, divise. Dall’altro, invece, vi erano territori ben amministrati, con città in pieno sviluppo e la cui creazione era stata voluta da Roma sia per scopo militare che per difendere la cultura latina. Nelle campagne, la romanizzazione rimase più o meno superficiale, a seconda delle regioni. L’effetto più duraturo dell’occupazione romana fu l’introduzione del Cristianesimo a partire dall’inizio del III secolo, ma che si diffuse durante il IV e V secolo principalmente nelle regioni vicine alla Grecia e al litorale dalmata. La prima ondata delle grandi invasioni ( II - V secolo ). A partire dal III secolo, l’Impero romano dovette periodicamente subire le razzie dei barbari. Qui hanno inizio le “grandi invasioni”, che oggi sarebbe meglio definire come “migrazioni di popoli”. I primi attacchi cominciarono nel 180 con la morte di Marco Aurelio. Nel momento in cui l’Impero si indebolì a causa di tensioni interne, la situazione diventò più critica, avvenendo anche una trasformazione del mondo barbaro: le tribù germaniche, per molto tempo isolate tra loro, cominciarono ad unirsi costituendo vere federazioni di popoli. Tra il 235 e il 270, approfittando delle difficoltà che tormentavano il mondo romano, i Germani moltiplicarono i loro attacchi. Con Costantino, l’Impero romano sembrò ritrovare una certa calma e concluse alcuni trattati con i capi barbari, rendendo i loro popoli dei federati: in cambio di terre e viveri essi si impegnavano a difendere le terre danubiane e renane e a fornire soldati. Tuttavia a partire dal 370, l’entrata in scena degli Unni, provenienti dall’Asia, mise fine a quasi un secolo di pace. Dopo aver provocato la migrazione di Ostrogoti e Visigoti verso ovest, gli Unni diventarono padroni incontrastati di tutte le steppe e le pianure comprese tra il Turkestan e i Carpazi. A poco a poco, il territorio dell’attuale Ungheria divenne centro dell’impero degli Unni. Quando Attila diventò il capo dell’impero, per circa 30 anni gli Unni compirono razzie inizialmente verso l’Impero d’Oriente, poi verso i regni barbari d’Occidente. Qui, nonostante l’unione esistente tra Romani e barbari, non fu loro impedito di arrivare sino alle mura di Roma. Con la morte di Attila, che comportò in pochissimo tempo la disgregazione dell’Impero, si chiude il primo periodo di migrazioni di popoli. La seconda ondata delle grandi invasioni ( VI - VII secolo ). Alla fine del V secolo fecero la loro comparsa nell’Europa dell’Est nuovi invasori, venuti dalle steppe dell’Asia centrale, gli Avari. Sotto molti aspetti somigliavano agli Unni, essendo anch’essi cavalieri nomadi che parlavano una lingua prototurca. Il loro impero si estese senza però riuscire a superare il Danubio. Anche Bisanzio riuscì, non senza difficoltà, a contenere la loro pressione. Questa momentanea sparizione degli Avari permise agli Slavi di guadagnarsi il loro posto nella storia. La fine del VI secolo segnò l’inizio dell’espansione slava verso sud. All’inizio del VII secolo gran parte dei Balcani era dominata dagli Slavi e le popolazioni locali furono parzialmente slavizzate. L’VIII secolo è stato anche testimone dell’arrivo in Europa dei Bulgari, di origine turca, i quali si slavizzarono poco a poco venendo in contatto con le popolazioni dei Balcani, costituendo uno Stato slavo-bulgaro. La fine dell’epoca delle invasioni. Nel IX secolo si assistette inizialmente a una stabilizzazione dei popoli migratori e alla formazione dei primi principati slavi, in cui il livello di organizzazione variava, però, da un popolo all’altro. I meno organizzati erano i Protopolacchi, che non si erano praticamente allontanati dall’habitat slavo primitivo. All’epoca delle loro migrazioni, gli Slavi erano ancora pagani, per cui Bisanzio e Roma fecero a gara per cristianizzarli. Roma integrò nella sua zona di influenza gli Sloveni e i Croati, mentre Bisanzio ottenne maggiore successo nei Balcani. Negli ultimissimi anni dei IX secolo, un nuovo popolo, quello ungaro, si stabilì nell’Europa centro-orientale. Originari della regione dell’Ural, gli Ungari si trovarono 2 insediati nelle steppe dell’Ucraina meridionale. L’occupazione del paese che sarebbe poi diventato l’Ungheria si realizzò senza troppe difficoltà, anche per il loro numero. In tal modo all’inizio del X secolo, i popoli i cui discendenti costituiscono le popolazioni attuali dell’Europa centrale e orientale si trovavano già sul posto, tranne i Romeni che erano ancora nomadi con le loro greggi lungo i confini albano-macedoni. La nascita degli Stati nazionali ( X - XIII secolo ). L’insediamento degli Ungari in Europa centrale pose fine alla lunga serie di migrazione di popoli. A partire da quel momento i popoli dell’Europa centro-orientale cercheranno di organizzarsi in Stati nazionali ben strutturati: la maggior parte di essi vi riuscirà tra il X e il XIII secolo. La formazione dei primi stati nel X secolo. - La zona di influenza germanica. Il governo reale germanico, ancora forte nel IX secolo, si era a poco a poco indebolito e, accanto ai signori feudali, l’unica forza era la Chiesa. Nel VIII e nel IX secolo vescovadi furono creati nelle frontiere, partendo dai quali i missionari si spostavano verso est per convertire i popoli ancora pagani che vi abitavano, riuscendoci in genere tramite la conversione dei loro capi, che comportava quella dell’intero popolo, come avvenne per Cechi, Polacchi e Ungari. Nel X secolo, il ducato di Boemia si costituì definitivamente, governato dalla famiglia principesca dei Przemyslidi. Alcuni missionari riuscirono a convertite il duca Venceslao, ma il paganesimo aveva ancora radici profonde,come provò l’assassinio del duca da parte del fratello Boleslao - la vittima verrà canonizzata. Boleslao I “il Crudele” finì per accettare il cristianesimo e accettò di dichiararsi vassallo del re di Germania Ottone I, divenuto nel 926 imperatore. Divenuto quindi feudo dell’impero, il ducato di Boemia si ritrovò sullo stesso piano degli altri feudi imperiali, e tranne alcuni obblighi feudali, era quasi indipendente. Durante il regno di Boleslao II “il Pio”, la religione cristiana trionfò definitivamente con la creazione del vescovado di Praga nel 937. Ciò rese la Boemia a tutti gli effetti parte dell’Occidente cristiano. Allo stesso tempo il principe Mieszko, della famiglia dei Piast, capo di una delle numerose tribù slave risiedenti nelle pianure della Vistola, fece di Poznan il centro di una Confederazione di tribù, il cui territorio da allora fu chiamato “Polska” - pianura-. Mieszko I (960-992) influenzato dai missionari tedeschi e dalla moglie,sorella del duca di Boemia Boleslao, fu battezzato nel 966. Da questo momento egli favorì la diffusione del cristianesimo in Polonia e formò un vescovado a Poznan.Suo figlio, Boleslao “il Valoroso” continuerà l’unificazione delle tribù polacche. La conversione degli Ungari fu più difficile. Le loro incursioni che durarono tutta la prima metà del X secolo, furono fermate a Lech nel 955.In questa battaglia il re di Germania Ottone I inflisse agli Ungari una bruciante sconfitta. A partite da allora l’influenza delle popolazioni slave favorì la sedentarizzazione degli Ungari, che grazie alle azioni dei vescovi si integrarono sempre più nella comunità cristiana d’Occidente. Il capo si convertì insieme al figlio che prese il nome cristiano di Stefano e sposò la figlia del duca di Baviera. Con Stefano I il paese diventò uno stato cristiano. Nel natale dell’anno 1000 Papa Silvestro II inviò a Stefano la corona reale. Forte di tale indipendenza Stefano organizzò la Chiesa d’Ungheria, e per completare l’opera d’evangelizzazione si rivolse ai monaci benedettini che fondarono numerose abbazie. -La zona di influenza bizantina. Nel X secolo, la dinastia macedone che regnava a Costantinopoli si ritrovò a fronteggiare difficoltà sempre maggiori in Asia, a causa dell’espansione araba. Perciò i popoli dei Balcani, in teoria sottoposti a Bisanzio, ne approfittarono per diventare indipendenti. I Croati avevano creato un regno indipendente sia da Bisanzio che dai Franchi, con il 3 riconoscimento ufficiale del loro principe da parte dell’imperatore Basilio II come re di Croazia e Dalmazia, un sovrano cristiano la cui Chiesa rimase legata a Roma. Furono i Bulgari che riuscirono meglio degli altri nel tentativo di costituire uno Stato indipendente nei confronti di Bisanzio. Gli altri popoli balcanici non fecero storia durante il X secolo: sempre vassalli più o meno docili del popolo confinante di volta in volta più potente,ovvero Bulgari e Bisanzio. Il X secolo ha costituito un periodo fondamentale per la formazione e l’avvenire delle nazioni dell’Europa centrale e orientale. Dove la Chiesa romana riuscì a insediarsi presso popoli “barbari”, essa facilitò la formazione di Stati duraturi e indipendenti dall’Impero germanico.Invece dove dominò la influenza della Chiesa d’Oriente insieme all’Impero Bizantino, fu ancora a lungo ostacolata la formazione di Stati slavi indipendenti. Diversità dei destini dall’XI al XIII secolo. Il contrasto tra gli Stati occidentalizzati e i popoli dei Balcani soggetti all’influenza di Bisanzio permarrà e si accentuerà in questo periodo. Consolidamento degli Stati occidentalizzati. -La Boemia dei Przemyslidi. Feudo dell’Impero, il ducato di Boemia si organizzò progressivamente. Gli stretti legami che univano la Boemia all’Impero facilitarono la penetrazione delle influenze germaniche. Sin dall’XI secolo, sacerdoti,monaci e mercanti tedeschi si stabilirono nel paese, coesistendo con i cittadini cechi. Alla fine del XII secolo si assistette a un arrivo massiccio di artigiani e mercanti tedeschi nelle città boeme. Tuttavia i centri urbani avevano conservato una maggioranza di popolazione ceca, ma l’élite culturale e finanziaria era molto spesso tedesca. Tale dualismo perdurò senza difficoltà fino a quando però l’imperatore assegnò la reggenza a Ottone di Brandeburgo, che fu sentito come un’imposizione dai cechi. La dinastia nazionale dei Przemyslidi terminò all’inizio del 1300 con l’assassinio di Venceslao III. -La Polonia dei Piast. Unitamente ai grandi signori feudali, le città costituivano una forza sempre più importante. Anche se Cracovia si affermerà come capitale del paese solo dopo l’XI secolo, le altre città si svilupperanno molto presto anche con funzione commerciale. Nell’XI secolo, come era accaduto in Boemia, l’arrivo dei coloni tedeschi modificò la composizione etnica delle città e diede un grande impulso alle attività artigianali e commerciali. La parte più colta della popolazione tedesca fornì alle città le classi dominanti e anche parte del clero, svolgendo anche un ruolo importante nello sfruttamento delle risorse del sottosuolo. Nel XIII secolo Danzica, sulla foce del Vistola, era il porto da cui partivano verso l’Occidente i cereali, legno, minerali e nel quale arrivavano prodotti tessili. Le pianure del nord della Polonia furono costantemente minacciate sia dalle popolazioni prussiane rimaste pagane, sia dai Cavalieri Teutonici. Alla fine del XIII secolo lo Stato polacco riuscì ad affermare la sua indipendenza ma le sue strutture non erano solide come quelle boeme. Nel 1300 la borghesia tedesca di Cracovia offrì la corona al re di Boemiaa Venceslao II, senza che ciò provocasse grandi reazioni nel paese. -L’Ungheria sotto i primi successori di santo Stefano. Dopo la morte di santo Stefano, l’Ungheria conobbe, per circa mezzo secolo, successivi sconvolgimenti, di cui cercò di approfittare l’imperatore Enrico III. Dopo che la situazione si era stabilizzata, e col governo di Ladislao, fu completata la cristianizzazione del paese. Per contrastare i signori feudali che avevano approfittato del momento di debolezza, Ladislao si alleò alle città accordando lo statuto di “libere città reali”. Al di là delle frontiere , san Ladislao alla morte del cognato re di Croazia,occupò tale territorio - che rimase all’Ungheria fino al 1918. Nel XII secolo l’influenza bizantina in Ungheria andò estendendosi , ma alla fine del secolo essa ritrovò forza e potenza col re Bela III che, nonostante fosse educato alla corte di 4 Costantinopoli, confermò l’orientamento Occidentale del paese. Come accadde in Polonia e Boemia , egli incoraggiò la venuta dei coloni tedeschi, che fece insediare soprattutto in Transilvania. Dopo la morte di Bela III, il potere reale conobbe un periodo di indebolimento a favore dei grandi signori feudali. I Balcani di fronte a Bisanzio. Nell’XI secolo e durante la maggior parte del XII, serbi, bulgari, albanesi e valacchi saranno sudditi più o meno docili di Bisanzio, sia dal punto religioso che politico, ma approfittando nel 1180 del vuoto per la successione reale di Bisanzio le popolazioni soggette diventeranno indipendenti. -La nascita dello Stato serbo. Per molto tempo i serbi vissero divisi in due principati patriarcali di Rascia e di Zeta. Nel 1170 il primo principato estese il suo dominio sull’altro. Dall’imperatore di Bisanzio la Serbia ottenne il riconoscimento dell’indipendenza. -Il secondo impero bulgaro. Dopo le vittorie di Basilio II, i bulgari furono rigidamente soggetti al dominio di Bisanzio e integrati nell’Impero, potendo solo conservare l’autonomia dal punto di vista religioso. L’elemento bulgaro fu a mano a mano indebolito dall’insediamento, nelle città, di ebrei e armeni. L’invasione dei tartari e le sue conseguenze. Nei primi anni del XII secolo, unificati da Gengis Khan, i tartari - popolo turco mongolo originario dell’Asia centrale, costruirono un vasto impero che andava dalla Cina alle steppe dell’Ucraina. A partire dal 1240 i tartari compirono una serie di razzie verso ovest. Non riuscirono ad entrare a Cracovia ma sconfissero l’esercito ungherese, devastando il territorio e uccidendo, arrivarono poi fino alla Croazia e tornarono in Ucraina non prima, però, di avere devastato sulla via del ritorno, città e campagne della Transilvania. L’invasione tartara portò dei cambiamenti nella composizione etnica della popolazione del regno ( più del 15% degli ungheresi era di origine straniera). Altra conseguenza della loro invasione fu il vuoto lasciato nelle pianure della riva settentrionale del basso Danubio. Numerosi Valacchi ne approfittarono per insediarvisi e qui nacque il primo embrione dello Stato valacco - romeno, con la formazione del principato di Valacchia. All’inizio del XIV secolo, nonostante le difficoltà incontrate, le monarchie occidentalizzate di Boemia, Polonia e Ungheria erano ormai ben organizzate politicamente ed il loro modello feudale prendeva esempio da quello occidentale. Tuttavia all’inizio del XIV secolo, le dinastie nazionali che erano state l’origine della formazione di questi Stati si esaurirono. Ciò spiega gli interventi stranieri, in particolare quella del Sacro Romano Impero germanico, pur senza mettere in discussione l’esistenza di tali Stati. Nei Balcani, anche se erano stati raggiunti certi livelli d’indipendenza,dovuti anche all’indebolimento di Bisanzio, la situazione era ancora fragile, anche per l’arrivo di un nuovo pericolo dall’Asia Minore, i turchi ottomani. Il tempo del disgregamento (XIV-XVI secolo). A partire dal 1300, i contrasti già esistenti tra le monarchie occidentalizzate e i principati balcanici, soggetti più o meno strettamente all’egemonia politica di Bisanzio e alla Chiesa ortodossa, si accentuarono e radicalizzarono, mentre nei Balcani la minaccia ottomana si profilava all’orizzonte ed incideva su pesantemente su tutta l’Europa cristiana. Umanesimo, Rinascimento e crisi nelle monarchie occidentalizzate (XIV-XV secolo). -La prosperità della Boemia e dell’Ungheria nel XIV secolo. L’arrivo sul trono sia della 5 Boemia che dell’Ungheria, di due dinastie d’origine francese dopo l’estinzione di quelle nazionali, portò un notevole dinamismo, che si tradusse in cultura ed economia. Mentre gli Stati dell’Europa occidentale erano coinvolti all’inizio della Guerra dei Cent’anni e travagliati da difficoltà economiche e sociali per la grande peste, la Boemia e l’Ungheria conobbero invece una vera età dell’oro. Dopo la morte dell’ultimo dei Przemislidi, la Boemia ritrovò nel 1310 stabilità con l’elezione di Giovanni il Cieco, figlio del conte Enrico di Lussemburgo, che introdusse la cultura francese e italiana in un paese dove aveva sempre dominato l’influenza tedesca. Giovanni morì in una battaglia durante la Guerra dei Cent’anni. Il suo successore e figlio Carlo IV fece della Boemia uno Stato potente, la cui influenza politica e culturale si estese su tutta l’Europa centrale. Colto, amante delle arti e delle lettere, fu il prototipo di umanista e fece venire alla sua corte molti eruditi italiani. Carlo IV fondò l’Università di Praga, la prima non germanica dell’Europa centrale. Praga, la capitale, si sviluppò notevolmente, e, sede di un arcivescovado, renderà la Chiesa boema del tutto indipendente dalla tutela dell’alto clero tedesco. L’organizzazione dello Stato era una monarchia appoggiata dall’aristocrazia e dall’alto clero. Ma i poteri della nobiltà furono nettamente limitati dalla “Maiestas Carolina”, vero e proprio codice che stabiliva gli attributi della Corona e dei nobili. Carlo IV estese i suoi territori e, eletto imperatore nel 1355, fece della Boemia il cuore del Sacro Romano Impero Germanico, senza sofferenza dei cechi dato che il loro idioma rimase lingua ufficiale del regno. La Bolla d’Oro del 1356 precisò i diritti dei differenti corpi dell’Impero: ognuno dei sette principi dell’Impero, tra cui il re di Boemia, diventava padrone di se stesso, il che confermava la sovranità di fatto del Regno di Boemia, mentre l’imperatore conservava il potere giudiziario supremo. La prosperità del regno era al suo culmine. Oltre a Praga, anche le altre città erano importanti centri commerciali. Lo sfruttamento delle miniere- soprattutto piombo e argento- si sviluppò, e la moneta di Praga era molto quotata. Questa età dell’oro si concluse con la morte di Carlo IV, da cui scaturì una grande crisi politica, economica e religiosa, che doveva pesare gravemente nel futuro del paese. -Il primo Rinascimento in Ungheria sotto la dinastia angioina ( 1307- 1382). Dopo sei anni di crisi interna, nel 1307 la Dieta offrì la corona d’Ungheria al candidato sostenuto dal papa, Carlo Roberto d’Angiò, che regnava già a Napoli e in Croazia. Il suo regno fu un periodo in cui venne riassestato un paese in cui i signori feudali avevano acquistato un eccessivo potere. Carlo Roberto li sottomise e riorganizzò anche l’esercito, che mescolava nobili e soldati di carriera pagati dal re. Suo figlio Luigi il Grande si sforzò di consolidare il potere reale. Affiancò alla Dieta, rappresentante della nobiltà, il Consiglio del re, allargato con l’ingresso dei rappresentanti del clero e delle città. Durante la dinastia angioina, l’Ungheria divenne la più grande potenza del mondo danubiano. La sua moneta, il fiorino, ne fu la prova inequivocabile. Nel XIV secolo, un quarto dell’oro prodotto nel mondo conosciuto proveniva dall’Ungheria. Con più di tre milioni d’abitanti, questo era tra gli Stati più popolati dell’Europa centrale,soprattutto dopo che, alla morte dell’ultimo Piast, la Polonia scelse come suo re Luigi il Grande. Il regno dei sovrani angioini corrispose in Ungheria all’apparizione di un primo rinascimento. Gli italiani presenti in tutte le città vi introdussero la loro cultura e le loro tecniche. Anche in Ungheria, il re Luigi creò due università nazionali. -Ombre e luci nella Polonia del XIV secolo. Paradossalmente la Polonia, che conservò la dinastia nazionale dei Piast fino al 1382, conobbe nel XIV secolo una situazione meno brillante di quella dei vicini meridionali. Le difficoltà iniziarono nel 1300, quando la rivolta dei borghesi di Cracovia eliminò momentaneamente la dinastia nazionale a vantaggio del re boemo Venceslao II. Tuttavia un Piast, Ladislao I il Breve, condusse e vinse una battaglia contro il rivale ceco,facendosi incoronare re nel 1305 e riunendo il paese. Di tali conflitti dinastici approfittarono i paesi vicini, appropriandosi di vari territori. Durante il regno di Casimiro III la Polonia si rimise in sesto. Egli, cognato di Carlo Roberto, migliorò l’organizzazione interna del suo regno e, come i suoi predecessori, favorì l’immigrazione straniera, tedesca e agli ebrei occidentali che trovarono qui asilo sicuro. Essendo morto senza figli, la sua corona andò all’erede più prossimo, il nipote Luigi il Grande d’Ungheria, che 6 regnò fino al 1382. -La Boemia in crisi. A partire dall’ultimo quarto del XIV secolo, il regno di Boemia entrò in un lungo periodo di difficoltà che durerà circa un secolo. Già con Carlo IV la Boemia aveva conosciuto eresie di ogni tipo, promulgate dal popolino tedesco e ceco, che reclamava un ritorno alla Bibbia. Le critiche contro la Chiesa si radicalizzarono, in rapporto col movimenti olandesi. Dopo la morte di Carlo IV, il successore Venceslao IV appoggiò l’alto clero, i grandi signori, la piccola nobiltà rovinata dalla crisi e il popolo minuto che prestarono sempre più orecchio alle parole dei predicatori riformisti. Apparve in tale contesto la figura di Jan Hus. Studente all’università di Praga,divenuto sacerdote e docente della facoltà di teologia, nel 1402 cominciò le sue predicazioni rivolgendosi in ceco e prendendo violentemente posizione contro la ricchezza della Chiesa e la simonia. Tuttavia quando l’arcivescovo lanciò un anatema, Hus ed i seguaci ruppero ogni rapporto con la Chiesa ufficiale, col re e una parte di nobili che fino ad allora gli era stata accanto. Per contro il suo ascendente aumentò tra il popolo. Jan Hus pubblicò una serie di testi in latino e in ceco, fin quando produsse la prima traduzione della Bibbia in ceco.Ciò gli costò anche una convocazione dal Concilio di Costanza, in cui egli difese con veemenza le sue posizioni. La morte di Jan Hus sul rogo nel 1415 e quella del suo discepolo l’anno dopo provocarono in Boemia violenti tumulti,insurrezioni di contadini e rivolte nelle città. Gli amici di Hus organizzarono una vera “Chiesa parallela”. La morte improvvisa di Venceslao IV nel 1419 provocò la rottura tra gli ussiti e la Corona: la Dieta di Boemia rifiutò di riconoscere re l’imperatore Sigismondo. Gli ussiti ed i loro sostenitori cercarono di organizzare una “repubblica” mentre l’alta nobiltà e maggior parte dei tedeschi si schierò con Sigismondo. La crisi religiosa si mutò in conflitto sociale, sfociando in uno scontro tra tedeschi e cechi. Le guerre ussite devastarono la Boemia e la Moravia fino a che finalmente i negoziati tra il re Sigismondo e la Dieta di Boemia produssero, nel 1436, il compromesso dei Compacta: il culto cattolico era ristabilito in Boemia ma gli utraquisti coloro che facevano la comunione sotto le due specie di pane e vino - erano riconosciuti come “i veri e fedeli figli della Chiesa”. Nonostante la ristabilita pace religiosa, il paese era ormai in rovina. Le idee ussite ottennero successo al di fuori dei confini, soprattutto in Ungheria. Anche se fallì, il movimento ussita riuscì a indebolire la posizione della Chiesa cattolica in Boemia; mise fine alla pacifica coesistenza di tedeschi e cechi e fu l’inizio di un patriottismo ceco che si espresse tramite il culto di Hus, elevato ad eroe nazionale. Opponendosi ai cattolici, i nostalgici di Jan Hus si unirono nel movimento dell’Unità dei fratelli,che dal 1460 si organizzò come una vera a propria chiesa in cui si fondevano fede e umanesimo. Così com’era avvenuto all’epoca di Sigismondo, la Boemia e l’Ungheria ebbero lo stesso sovrano, ma rispetto alla Boemia indebolita dai conflitti religiosi, l’Ungheria fedele alla Chiesa Romana risaltava come un’oasi di pace nel cuore dell’Europa. - L’apogeo dell’Ungheria indipendente ( 1458 - 1490 ). Dopo la morte di Luigi il Grande, la corona ungherese era passata alla figlia maggiore del defunto re, Maria , sposa dell’imperatore Sigismondo. Nel regno di quest’ultimo e dei suoi successori il destino dell’Ungheria fu legato a quello dell’Impero e della Boemia. Alla morte di Ladislao ( re di Boemia col nome di Ladislao I ) la Dieta ungherese nel gennaio del 1458 rifiutò il candidato degli Asburgo, l’imperatore Federico III, a vantaggio di un re nazionale, Mattia Hunyadi. Il re Mattia, più frequentemente indicato col nome di Mattia Corvino dal momento che nello stemma della famiglia appare un corvo in ricordo del villaggio d’origine della sua famiglia, fu uno dei più grandi sovrani dell’Europa del XV secolo. Durante il suo regno la fedeltà a Roma gli valse, da parte del papa, l’incarico di guidare una nuova crociata contro gli ussiti di Boemia. Disponendo di forze ben armate e agguerrite, grazie all’Armata nera costituita da mercenari ben pagati e sostenuti dai nobili cechi cattolici, il re d’Ungheria condusse dal 1468 numerose campagne militari in Boemia. Durante la Dieta di Brno Mattia fu eletto re di Boemia e si fece incoronare nel 1470. Ma la morte di re Giorgio di Podebrady nel 1471 rimise tutto in discussione e la corona di Boemia passò al principe polacco Vladislao Jagellone. Ciò non toglie che egli continuò la sua 7 politica espansionistica: Mattia infatti nel 1485 strappò Vienna a Federico III. L’Ungheria di Mattia Corvino era all’epoca uno degli Stati più grandi d’Europa. Similmente ai principi italiani del suo tempo, Mattia aveva accolto alla sua corte degli umanisti. L’influenza italiana divenne forte quando nel 1476, il re Mattia sposò Beatrice d’Aragona, figlia del re di Napoli. L’insegnamento si sviluppò notevolmente, ma ciò non toglie che gli studenti ungheresi andassero a studiare nelle università straniere di Vienna, Cracovia, Padova, Parigi. Mattia fondò a Buda una biblioteca reale, la Corvina, che raccoglieva circa un migliaio di volumi, principalmente manoscritti greci e latini. Gli Ottomani nell’Europa dell’Est (XIV-XVI secolo). L’entrata in scena dei turchi ottomani all’inizio del XIV secolo doveva non solo accentuare i contrasti esistenti tra i Balcani e le monarchie occidentalizzate, ma anche portare alla costituzione di un pericolo permanente per tutta l’Europa centro - danubiana. -Gli inizi della potenza ottomana. La decadenza dell’Impero bizantino, iniziata nel 1204 all’epoca della conquista di Costantinopoli da parte della Quarta Crociata, continuava con un pericolo proveniente dall’Asia. Sino alla fine del XIII secolo, l’Asia Minore fu governata da turchi selgiuchidi, che però verso il 1300 furono soppiantati da altri turchi venuti dall’Asia centrale, gli ottomani, il cui nome deriva dal loro capo Othoman, che insieme al figlio Orkhan costituì in Asia un potente Stato musulmano. Gli ottomani tolsero ai greci le ultime postazioni in Asia, con la conquista di Nicea e Nicomedia. Davanti al pericolo ottomano, gli imperatori non si misero alla testa della resistenza, anzi cercarono accordi con i nuovi arrivati. Gli Stati slavi dei Balcani non erano, di regola, abbastanza potenti per resistere davvero agli ottomani, e solo i serbi disponevano di una certa forza. -L’apogeo della potenza serba. La dinastia dei Nemanjidi, che fondò lo stato serbo all’inizio del XIII secolo, riusciva a mantenere l’indipendenza del principato, allontanando la Serbia dalla crisi che aveva tormentato i Balcani. La Serbia, che aveva esteso la sua influenza in Macedonia e in Bulgaria, con Stefano IX Du###an conobbe il suo vero apogeo. Fu allora che la Serbia si rese indipendente dalla tutela religiosa del patriarca di Costantinopoli, e nel 1346 l’arcivescovo di Pec fu elevato al rango di “patriarca di tutti i serbi” e sarà eletto da soli vescovi serbi. Durante il regno di Du ###an l’amministrazione del paese migliorò, e il codice univa in sé il diritto bizantino e usanze serbe, dando una solida struttura alla giustizia. L’organizzazione sociale su base feudale si incrinò. Nonostante la sua potenza, lo Stato serbo non era però in grado di opporsi agli ottomani. -I Balcani nelle mani dei turchi. Murad I evitando di attaccare frontalmente Bisanzio, sferrò i suoi colpi contro gli Stati slavi dei Balcani. La Serbia dal 1370 entra in un periodo difficile, caratterizzato dal disgregamento del paese. La Bulgaria era all’epoca molto debole. Murad I attaccò prima i Serbi: nel 1371 la Serbia meridionale cadde senza resistere, mentre quella settentrionale resistette a lungo finchè Murad I , che morì in battaglia , nella pianura di Kosovo sbaragliò nel 1389 l’esercito del principe serbo Lazzaro, fatto prigioniero e decapitato. Capitolata in seguito la Bulgaria, i turchi si diressero verso il Danubio. L’Occidente impiegò molto per reagire. Solo l’imperatore Sigismondo re d’Ungheria lanciò una crociata alla quale parteciparono contingenti tedeschi, ungheresi, valacchi e 10000 uomini mandati dal Re di Francia. La crociata terminò con la sanguinosa sconfitta di Nicopolis, il 28 settembre 1396. Il nuovo sultano, Bajazet, era quindi padrone dei Balcani ma la sua minaccia venne momentaneamente allontanata dal conflitto che scoppiò tra esso e il khan mongolo. Il giogo turco incontrò forti resistenze da parte degli albanesi, pastori isolati nelle montagne, e che avevano subito le dominazioni di Bisanzio,dei Bugari,dei Serbi e dal XV secolo, degli ottomani. Guidati da un nobile diventato funzionario turco, Giorgio Castriota (Skander-Beg) , le tribù albanesi si 8 ribellarono e il loro capo si proclamò nel 1443 principe d’Albania. Intanto Giovanni Hunyadi , inizialmente sconfitto in Serbia, organizzò sui confini ungaro-serbi un sistema di fortezze dominato dalla piazzaforte di Belgrado, di cui i serbi gli avevano affidato la difesa. Dopo la conquista di Costantinopoli di Maometto II il 29 maggio 1453, i turchi scatenarono una grande offensiva contro l’Occidente. Su richiesta del papa Callisto III, Hunyadi organizzò la difesa di Belgrado riuscendo a respingere gli attacchi turchi. L’Ungheria era diventata, con la battaglia di Belgrado, il baluardo della Cristianità. -L’assalto finale dei turchi. Dopo la morte di Mattia Corvino, le regioni che aveva appena riconquistato (Serbia, Valacchia, Bosnia e Moldavia) furono riprese dai turchi. La Valacchia divenne uno stato vassallo del sultano, seguita poi dalla Moldavia. I turchi si spinsero ancora verso occidente, impadronendosi infine della fortezza di Belgrado nel 1521. In Ungheria il successore di Mattia Corvino e Wladislaw II Jagiellone, Luigi II, si appellò invano ai sovrani d’Occidente: il re di Francia era alleato ai turchi e l’imperatore Carlo V era in guerra contro di lui e si trovava nel mezzo delle crisi religiose che tormentavano allora la Germania. Quando i turchi invasero l’Ungheria, Luigi II disponeva di pochissime truppe da opporre. Durante la battaglia di Mohacs, il 29 agosto del 1526, l’esercito d’Ungheria fu completamente sbaragliato e Luigi II morì, insieme alla libertà dell’Ungheria. Solo la monarchia degli Asburgo, ben riorganizzata da Carlo V, poteva fermare i turchi. Gli Asburgo di fronte ai turchi e alla Riforma. Mohacs fu la fine delle monarchie nazionali indipendenti dell’Europa centrale. Due erano le potenziali potenze in grado di arginare il pericolo turco, di cui la Francia di Francesco I era alleata ai turchi. Toccava perciò al Sacro Romano impero assicurare la difesa del mondo cristiano, non riconquistando le terre perdute, ma cercando ormai di salvare il salvabile. -Le conseguenze di Mohacs. La sconfitta dell’esercito ungherese e la morte del re Luigi II a Mohacs provocarono da un lato che l’Ungheria fosse alla mercè degli eserciti turchi,che dopo aver ottenuto il pagamento di onerosi tributi tornarono alle basi di partenza nei Balcani, e dall’altro che i troni di Boemia e d’Ungheria si trovassero vacanti in seguito alla morte di Luigi II. In Boemia la Dieta si era pronunciata a favore del cognato del defunto re , l’arciduca Ferdinando d’Asburgo, fratello dell’Imperatore Carlo V. In Ungheria invece una Dieta dominata dalla piccola nobiltà designò come re il voivoda di Transilvania, Giovanni Szapolyai. Un’altra Dieta invece tenuta dall’alta nobiltà scelse, contro il candidato nazionale, quello tedesco, ovvero Ferdinando, già eletto re di Boemia. Egli,oltre i suoi legami di parentela col re defunto - il chè gli dava una certa legittimità - dava una garanzia maggiore di sicurezza, avendo alle spalle tutte le forze di Carlo V. L’Ungheria quindi aveva due re sostenuti da due parti del paese e che cercarono entrambi di neutralizzare il nemico turco. Lo sfaldamento dell’Ungheria dopo Mohacs aveva anche messo in evidenza il problema transilvano : la Transilvania, fino al XVI secolo parte integrante del regno d’Ungheria, aveva un voivoda, rappresentante del re,che ne spiegava la lontananza geografica rispetto al centro dello stato. Con Giovanni Szapolyai la Transilvania si organizzò come un principato indipendente, con la sua Dieta e da questo momento, per due secoli, essa cercherà di affermarsi come Stato Ungherese indipendente dagli Asburgo. -Riforma e Controriforma nell’Europa centrale. La progressiva avanzata dei turchi nella zona danubiana coincise cronologicamente con la frattura dell’unità cristiana nell’Europa centrale, provocata dalla Riforma protestante. Già dal XV secolo l’unità morale e religiosa era stata messa in discussione con la diffusione delle eresie di Wycliff e Jan Hus. All’inizio del XVI secolo la fragile pace 9 religiosa in Boemia fu spezzata dalla predicazione e dagli scritti di Lutero e discepoli. Le sue idee, espresse pubblicamente nelle 95 tesi, rimettevano in discussione la dottrina della Chiesa sulla salvezza dell’anima e l’autorità del papa e della gerarchia. Tali idee, condannate da Roma, ebbero una grande eco immediatamente, scatenando aspre polemiche. In Boemia e in Ungheria la dottrina luterana fu ben accolta alla corte di Luigi II e ciò facilitò un certo riavvicinamento tra tedeschi e cechi, un tempo divisi dalle idee ussite. All’inizio in Ungheria, Lutero, in quanto tedesco, fu accolto con minore favore, eccetto che dalle comunità di tedeschi delle città. Quando cominciò a diffodersi nella sua variante calvinista, ottenne maggiore successo. Nell’Ungheria rimasta sotto il governo asburgico e soprattutto nelle regioni dominate dai turchi, le idee di Calvino si diffusero in fretta: i turchi ne facilitavano infatti l’espansione in quanto indebolivano gli Asburgo. Il papato non era ovviamente rimasto inattivo di fronte alle divisioni della Cristianità in occidente, in un momento in cui l’Islam si insediava solidamente nei paesi danubiani. Gli Asburgo, tradizionale difensori del cattolicesimo, non avevano rinunciato ad estirpare il protestantesimo dai loro possedimenti ereditari, se necessario con la forza. Il papato invece riteneva utile agire con la persuasione e alla Riforma protestante cercò di opporre la Riforma cattolica, cioè la Controriforma. Elaborata dal Concilio di Trento dal 1545 e diffusa dai Gesuiti, essa riguadagnerà un certo numero di posizioni perdute da Roma, principalmente nella Germania meridionale , Austria, Boemia, Ungheria e Polonia. Alla fine del XVI secolo il cattolicesimo, benché sempre minoritario, si trovava, nonostante ciò, in una posizione migliore rispetto a quella del secolo passato. La riconquista sarà comunque lunga e la Riforma cattolica darà frutti solo nel XVIII secolo. In Ungheria, la tolleranza regnò a lungo e la Controriforma fu più tardiva e molto più tollerante anche nel XVII secolo, quando si impose nettamente. -La lotta contro i turchi. All’inizio del 1529 i turchi ricomparvero in Ungheria, beneficiando del grande aiuto del re nazionale Szapolyai. Nell’agosto di quell’anno a Mohacs, dove Luigi II era morto in battaglia, il re Giovanni Szapolyai rese omaggio al sultano Solimano II, consegnando l’Ungheria ai turchi. Solo l’Ungheria occidentale rimase sotto il dominio degli Asburgo. L’atteggiamento di Giovanni Szapolyai fu sconvolgente e Ferdinando sfruttò la situazione a proprio vantaggio, ma disponeva di forze militari limitate e non poteva contare sull’appoggio di Carlo V, in lotta con Francesco I. Perciò Ferdinando I dovette venire a patti. Proprio come il suo rivale transilvano, si dichiarò vassallo del sultano. I due re compresero che la loro rivalità era vantaggiosa solo per i turchi e nel 1538 conclusero la pace di Nagyvarad: alla morte di Giovanni Szapolyai la corona sarebbe tornata agli Asburgo. Alla morte di Ferdinando I, il successore Massimiliano fu il solo a portare la corona di re d’Ungheria , mentre il figlio di Giovanni Szapolyai , Giovanni Sigismondo, rimase principe di Transilvania e vassallo sia del re che dei turchi. In Transilvania, dopo la morte di Giovanni Sigismondo tutti i principi eletti dalla Dieta riconobbero agli Asburgo il diritto prioritario sul principato. Gli Asburgo, volendo mettere in pratica sin da subito tale proprietà, col successore di Massimiliano, Rodolfo, intervennero in Transilvania dove, con la scusa di combattere i turchi, il principe di Valacchia Michele il Coraggioso si era impadronito del territorio e lo uccisero. Alla fine del XVI secolo la posizione degli Asburgo, difensori del cattolicesimo e campioni della lotta contro l’Islam in Ungheria, si era ormai consolidata, tanto da poter seriamente valutare la possibilità di scacciare definitivamente i turchi dal bacino danubiano. Un porto di pace: la Polonia del XV e del XVI secolo. -La Polonia dei primi Jagelloni (1382 - 1572). Alla morte di Luigi d’Angiò, la Polonia si trovò di nuovo con un problema di successione. Il re lasciava una figlia, Hedwige, che venne promessa 10 in sposa al granduca lituano Jagellone. Proclamata a dieci anni regina nel 1384, Hedwige unì il suo trono a quello del marito che fu battezzato e ricevette il nome cristiano di Ladislao. Durante il loro regno si realizzò l’unione tra il regno di Polonia e il granducato di Lituania, in cui venne fondato il vescovado di Vilnius, che permise ai lituani di sfuggire al controllo dei Cavalieri Teutonici, sconfitti il 15 luglio 1410 nella battaglia di Grünwald, e di recuperare così uno sbocco sul Mar Baltico. Ciononostante i Cavalieri Teutonici costituivano una minaccia costante per la Polonia, controllandone ancora intere campagne e città. Dopo la morte di Ladislao II, l’unione polacco-lituana venne mantenuta. Il figlio Ladislao III partecipò alla lotta contro i turchi e morì in battaglia. Il fratello, Casimiro IV Jagellone, iniziò la lotta contro i Cavalieri Teutonici. Al momento della pace di Torun, Casimiro IV recuperò la Pomerania, permettendo alla Polonia di ritrovare l’importante sbocco del porto di Danzica. Durante il regno di Casimiro IV, i polacchi -lituani scacciarono i Tartari dall’Ucraina occidentale e occuparono Kiev. Durante il governo dei primi Jagelloni la Polonia era diventata dunque un ampio stato. Le città, un tempo popolate da stranieri, diventarono a poco a poco polacche, come Cracovia, capitale anche culturale del paese, con la sua università fondata nel 1364 e dove nel XV secolo si distinguevano valenti teologi, matematici e astronomi,tra i quali Kopernik. Col regno di Casimiro Jagellone, l’organizzazione statale si perfezionò. Egli fissò le regole per il funzionamento della Dieta, costituita da due assemblee, il Senato e la Camera dei Nunzi, ed eletta dalla nobiltà:nasceva così il principio per il quale per ogni cambiamento in materia di diritto pubblico o privato, era necessario comune consenso delle due camere. -Il secolo d’oro della Polonia. I successi militari dei primi Jagelloni resero la Polonia una grande potenza indipendente dal Sacro Romani Impero e dai Cavalieri Teutonici, e permisero al paese di conoscere,durante il XVI secolo, un’era di pace favorevole alla fioritura e allo sviluppo di una brillante civiltà. La stabilità delle istituzioni si rafforzò anche grazie all’assenza di problemi di successione. Il terzo successore di Casimiro Jagellone, Sigismondo I, regnò abbastanza a lungo da preparare la strada all’eredità della corona. Fece riconoscere il suo solo figlio come re di Polonia e granduca di Lituania e con l’Unione di Lublino del 1569 fece della Polonia e della Lituania una repubblica unita e indivisibile, in cui ogni parte aveva proprie leggi e proprio esercito. Questa Polonia era uno stato multinazionale,con maggioranza di polacchi ma anche di tedeschi,soprattutto nelle città, lituani e cechi. In Polonia la Riforma luterana si affermò all’inizio soprattutto in settentrione,dove maggiore era la concentrazione di tedeschi. In un primo momento re Sigismondo I cercò di reagire, ma poco dopo si istaurò un regime di tolleranza. Come in Ungheria, i tedeschi seguirono i principi luterani, mentre i polacchi le idee di Calvino. Dal momento che ormai la tolleranza era la regola ufficiale, la Chiesa cercò di riconquistare le posizioni perdute in modo pacifico. Il vescovo Hosius fu il principale artefice della Riforma cattolica. Partecipò al Concilio di Trento e fece stabilire in Polonia i gesuiti. Importante fu anche l’opera del predicatore Skarga. Il clima di tolleranza fu favorevole allo sviluppo dell’umanesimo e del progresso scientifico. Il re Sigismondo,che aveva sposato la principessa italiana Bona Sforza, fu un mecenate colto, protettore delle arti e delle lettere. L’università di Cracovia conobbe in questo periodo il momento di massimo splendore. Innegabile era la ricchezza economica della Polonia, che nel XVI secolo era il granaio d’Europa attraverso la prospera Danzica esportava i suoi cereali nell’Europa intera. -I successi della Controriforma. La morte di Sigismondo Augusto, ultimo Jagellone, spezzò in Polonia il tentativo di una monarchia ereditaria. La piccola nobiltà, la Szlachta, impose la partecipazione diretta di tutti i nobili all’elezione reale. La Dieta affidò la corona al fratello del re di Francia, Enrico di Valois, che però rimase per poco tempo al trono, tornando a regnare in Francia dopo la morte del fratello. Allora Stefano Bathory, principe di Transilvania sostenuto dalla Szlachta, si impose sull’avversario, candidato voluto dai magnati, l’asburgico Massimiliano. Pur tollernate, egli appoggiò la Controriforma e moltiplicò i fondi per i Gesuiti, che arrivarono a gestire l’università di Vilnius.Nonostante il successo della Riforma Cattolica, non vi furono persecuzioni. I protestanti 11 conservarono le proprie chiese e scuole, celebri grazie all’operato dell’umanista italiano Socini, di cui i seguaci, i Sociniani, fondarono una vera e propria comunità protestante, in seguito sciolta dalla Controriforma. La Polonia era tornato un paese cattolico. Alla fine del XVI secolo l’Europa orientale era del tutto smembrata. I Balcani e parte dell’Ungheria erano in mano ai turchi. La restante parte dell’Ungheria e il regno di Boemia erano diventato asburgici. Solo la Polonia aveva saputo conservare la propria indipendenza. L’Europa dell’Est tra gli Asburgo, i turchi e la Russia. Dall’insediamento dei turchi in Europa centrale e orientale, i popoli di queste regioni, non più padroni dei propri destini, divennero sudditi dei turchi, o si poserò sotto la protezione asburgica. I polacchi per due secoli riusciranno a conservare la propria indipendenza, che terminerà quando le mire di conquista dei vicini si realizzeranno nell’epoca delle spartizioni. I balcani durante la dominazione ottomana. A partire dalla fine del XIV secolo, i popoli balcanici caddero sotto il dominio ottomano, essenzialmente politico, che non venne esercitato ovunque ugualmente. Alcuni popoli beneficiarono di una relativa autonomia, mentre altri erano sottomessi severamente. Caratteristiche comuni del dominio turco erano ,invece , ad esempio, le guarnigioni insediate in città e punti strategici, o i tributi da pagare in segno di dipendenza. I turchi erano ovunque numeramente inferiori alle popolazioni autoctone e non cercarono quasi mai di convertire i sudditi alla religione mussulmana, anche se ci furono casi di conversione, per lo più spontanei o dettati da opportunismo. -I popoli privilegiati. Tra i popoli soggetti ai turchi, albanesi e abitanti di Moldavia e Valacchia godettero di una situazione particolarmente favorevole. Gli albanesi, ad eccezione di un momento di ribellione con Skander-Beg, diventarono leali sudditi dei turchi. A partire dal XVI secolo l’Albania divenne una terra mussulmana, che forniva ai turchi funzionari, ufficiali e soldati. Invece, per quanto riguarda Valacchia e Moldavia, nonostante i tentativi di resistenza dei rispettivi principi, dal XV secolo furono entrambe vassalle della Turchia. Il governo turco non era oppressivo: si traduceva principalmente nel versamento di un tributo annuo , il peshkesh, in cambio del quale i turchi davano protezione alle frontiere contro i nemici esterni. La nobiltà locale conservò il diritto di eleggere il principe, ma i turchi avevano quello di opporre il veto. La Chiesa romena, approfittando della tolleranza dei turchi, conobbe un periodo di espansione.Riuscì a liberarsi dall’influenza del Patriarcato di Costantinopoli e anche i testi liturgici furono tradotti in romeno. Durante il XVIII secolo i turchi, duramente provati dalla riconquista dell’Ungheria da parte degli Asburgo e preoccupati dai progressi dello stato russo, rafforzarono il loro controllo sui principati danubiani, provvedimento che fece appellare i romeni allo zar Pietro il Grande . Con la pace di Kuciuk-Kainardji i turchi si impegnarono a rispettare i privilegi dei principati danubiani e riconobbero allo zar il diritto di protezione sui cristiani ortodossi dell’impero ottomano. Quindi alla dominazione ottomana si aggiungeva ormai la “protezione” russa. -I popoli oppressi. La Bulgaria ebbe una sorte meno favorevole.I Bulgari avevano dimostrato una capacità di resistenza di gran lunga maggiore rispetto ai romeni e per questo furono trattati più durezza e il loro territorio,confinante col centro dell’impero,fu sottoposto a un rigidissimo controllo. Con la conquista la nobiltà bulgara fu eliminata e le sue terre espropriate e consegnate ai funzionari turchi. I contadini bulgari cambiarono padroni ma continuarono a pagare ai nuovi signori ed eseguire 12 per loro conto i lavori nelle corvée. I giovani bulgari erano periodicamente consegnati ai dominatori, perché entrassero a far parte dei Giannizzeri. La religione ortodossa fu tollerata ma allo scopo di controllarla, i turchi affidarono a vescovi greci il compito di dirigere il clero bulgaro. Nelle regioni di frontiera i turchi attuarono conversioni forzate. Nelle regioni di montagna fu mantenuta una sporadica resistenza da parte di gruppi di fuorilegge. La sorte dei serbi della Serbia propriamente detta furono dure: soggetti ad un rigido regime di occupazione militare, le loro terre divennero proprietà del sultano, che le trasformò in feudi militari ereditari o attribuiti a vita a funzionari turchi. Come in Bulgaria, i contadini divennero fittavoli dei turchi e le famiglie dovettero fornire periodicamente l’esercito di reclute per il corpo dei Giannizzeri. La Chiesa serba fu l’anima della resistenza. Dopo il fallimento delle rivolte del 1688-1690, migliaia di serbi guidati dal patriarca di Pec fuggirono in Ungheria (di qui l‘origine della popolazione serba nel meridione dell‘Ungheria) e i turchi consegnarono il clero serbo alla Chiesa greca, rivelatasi ancora una volta efficiente agente del potere turco. I serbi residenti invece nelle regioni montuose di Crna Gora, il Montenegro, riuscirono a conservare la propria indipendenza.Non esitarono nei secoli ad attaccare i turchi, da soli o con l’aiuto di Austria e Venezia. I serbi della Bosnia si convertirono in gran numero all’Islam, il che procurò loro una relativa tranquillità. Il consolidamento della monarchia asburgica nella zona danubiana. All’inizio del XVII secolo gli Asburgo d’Austria oltre al titolo imperiale, avevano aggiunto possedimenti ereditari le corone di Boemia e d’Ungheria. Perciò il loro impero rappresentava un solido bastione costruito intorno ad una dinastia cattolica, dalla quale si realizzerà la lenta riconquista delle regioni occupate dai turchi. -Il trionfo della Controriforma in Boemia. La Controriforma fu attiva soprattutto grazie al’opera missionaria ed educativa dei Gesuiti. Ferdinando di Stiria, in seguito divenuto Ferdinando II, ex allievo di un collegio gesuita, volle stabilire l’unità religiosa dei suoi Stati e sin dalla sua ascesa al trono, cercò di limitare i privilegi dei protestanti. In Boemia e poi nel Sacro Romano Impero, ciò scatenò una guerra di religione, detta dei Trent’anni (1618 - 1648), che riaccese antichi dissapori tra la casa d’Austria e la Francia, che per indebolire gli Asburgo, sosteneva i protestanti tedeschi e consolidava l’alleanza turca. La guerra prese origine da un conflitto tra l’arcivescovo di Praga, che aveva fatto chiudere un tempio e proibito l’esercizio del culto, e i protestanti cechi, di cui i rappresentanti , i “difensori della Fede”, convocarono un’assemblea, proibita però dai governatori. Una delegazione protestante guidata da un nobile di origine tedesca, il conte di Thurn, si recò al Palazzo Reale, dove, dopo un incontro tempestoso, i due governatori , nobili cechi cattolici, ed il loro segretari, furono gettati dalla finestra. La Defenestrazione di Praga segnò l’inizio di quel conflitto che per trent’anni devastò l’Europa centrale. Durante la guerra, la Dieta escluse dalla successione al trono la famiglia Asburgo,decise l’espulsione immediata dei Gesuiti e la confisca dei loro beni, scegliendo come re un principe tedesco calvinista, Federico I, che ricevette il sostegno della maggioranza dei principi protestanti dell’impero. Allora Ferdinando II si appoggiò alla Lega cattolica e a Praga l’esercito protestante di Federico I subì una grave sconfitta. Tale battaglia, di “Montagna Bianca”, rappresentò la vittoria della Controriforma. I vinti furono puniti e un tribunale straordinario condannò a morte 27 capi della ribellione, tra cui il rettore dell’università di Praga. Il cattolicesimo ridiventò religione di Stato e il protestantesimo venne bandito e i pastori espulsi. Chi non abiurò fu mandato in esilio. La pacificazione della Boemia, che ebbe una nuova costituzione, non pose fine alla guerra. Gli eserciti di Ferdinando II, guidati dal ceco e cattolico generale Wallenstein, fecero guerra ai principi 13 protestanti tedeschi. Col successore Ferdinando III il regime divenne più liberale. La Pace di Westfalia pose fine, nel 1648, alla Guerra dei Trent’anni: il potere imperiale ne uscì indebolito ed il principio di “cujus regio eius religio” fece del sovrano il capo della religione dei suoi sudditi. Dopo il 1650 la Boemia si riprese a poco a poco dal disastro e fu integrata alla monarchia degli Asburgo. L’economia, basata sull’agricoltura, ritrovò prosperità. A fine secolo, tramite l’azione dei Gesuiti, Moravia e Boemia erano ridiventati paesi cattolici.Essi possedevano collegi che formavano le future classi dominanti. La Riforma Cattolica, per colpire l’immaginazione dei fedeli usò ogni mezzo, anche l’arte: il barocco, con la sua sontuosità ed il suo fasto fu un prezioso elemento ausiliario nella conquista delle anime. -Gli Asburgo, l’Ungheria e i turchi. Nonostante la partecipazione ungherese a tutte le guerre condotte dall’Impero, nel XVIII secolo i paese conobbe un periodo di incontestabile prosperità. Maria Teresa si interessò ai problemi d’insegnamento,fondando a Vienna, per formare i giovani nobili dell’Impero, il Theresianum, vivaio di diplomatici e amministratori. Il francese divenne lingua di cultura. Per ripopolare il paese dopo le guerre del secolo precedente, si era fatto appello a coloni stranieri,soprattutto tedeschi, e furono accolti profughi serbi e romeni,fuggiti dai turchi. La politica di Maria Teresa mirava a realizzare un unico impero, pur mantenendo i privilegi propri dell’Ungheria. Suo figlio, Giuseppe II, despota illuminato e di idee razionaliste, abolì il servaggio, pose fine al regime dei monopoli commerciali, ma provocò forti proteste della Dieta ungherese quando volle fare del tedesco la lingua ufficiale dei suoi Stati. Alla sua morte terminarono questi tentativi, e nonostante la lealtà della Dieta verso la dinastia, il sentimento del particolarismo nazionale stava già rinascendo.La dinastia asburgica costituiva una solida struttura, centralizzata ed efficiente e abbastanza elastica da non risultare oppressiva. Riuscì anche a scacciare i turchi dalla zona del medio Danubio. Il motto della dinastia, AEIOU - Austriae Est Imperare Orbi Universo - poco si conciliava con il sentimento nazionale che qua e là andava manifestandosi. Declino e morte della Polonia. La Polonia di Sigismondo III Vasa dava l’impressione di essere uno Stato potente, ma alla morte del re, la debolezza istituzionale dello Stato polacco e le diversità etniche e religiose dovute alle conquiste precedenti si manifestarono davanti ai pericoli esterni. Infatti, vicino alla Polonia, la Prussia, la Svezia e la Russia erano diventate forze da non sottovalutare. Al momento dell’ascesa al trono, Giovanni Casimiro dovette fronteggiare la rivolta dei cosacchi d’Ucraina, che dopo aver sconfitto l’esercito reale si posero sotto protezione dello zar di Russia Alessio. La guerra russo-polacca che ne derivò portò alla spartizione dell’Ucraina tra i belligeranti. Nello stesso periodo la Polonia era coinvolta nella Prima Guerra del Nord e il territorio fu invaso dagli svedesi il cui sovrano Carlo X cercò di divenire re di Polonia. Con la pace di Oliva nel 1660 la Polonia dovette rinunciare alla sua sovranità sulla Boemia. Con Jan Sobieski per un breve periodo sembrò che la Polonia si potesse risollevare. La vittoria del re contro i turchi a Vienna nel 1683 diede una certa fiducia al paese, ma le dispute nella Dieta impossibilitarono una riorganizzazione dello stato. Gli scontri violenti per la successione al trono dopo la morte di Sobieski fecero intervenire i paesi confinanti e la Francia. L’elettore di Sassonia, Augusto II, sostenuto da Austria e Russia, fu eletto re, ma l’alleanza conclusa in tale occasione con Pietro il Grande, portò la Polonia al fianco della Russia nella Seconda Guerra del Nord contro gli svedesi alleati dei turchi. Carlo XII di Svezia invase la Polonia e fece eleggere un nuovo re, Stanislaw Leczynski. La sconfitta di Carlo XII a Poltava, permise ad Augusto II di recuperare il trono ma solo grazie alla benevolenza di Pietro il Grande, il cui esercito aveva liberato Varsavia. La Polonia uscì da questa guerra in rovina e la Russia si rivelò un vicino pericoloso, data la volontà di Pietro il Grande di avere un contatto diretto con l’Occidente. Anche la formazione dello Stato prussiano costituiva un nuovo 14 pericolo, poiché le terre polacche lungo il baltico ne ostacolavano una continuità geografica. La minaccia dell’indipendenza polacca fu chiara quando alla morte di Augusto II la Dieta elesse re il candidato nazionale Leczynski,suocero del re di Francia Luigi XV, mentre Austria e Russia sostenevano il figlio del re defunto. L’esercito russo entrò a Varsavia e fece eleggere Augusto III da una minoranza di nobili. La successione al trono sfociò in una guerra europea che culminò con l’elezione di Augusto III. Durante il suo regno la Polonia conobbe una relativa pace. Abbandonò la politica di tolleranza religiosa che le fu tipica nei secoli precedenti e dissidenti religiosi furono esclusi dalle cariche pubbliche. Ciò fornì un pretesto ai paesi confinanti per intervenire, la Prussia a difendere i protestanti, la Russia gli ortodossi. Alla morte di Augusto III, Caterina II di Russia e Federico II di Prussia videro un’ottima occasione per intervenire. Influenzata dalla famiglia Czartoryski, la Dieta elesse re Stanislaw Poniatowski e l’esercito russo sopraggiunse per sostenere il nuovo sovrano. I Czartoryski speravano nella creazione di un esercito permanente,nell’abolizione del liberum veto nella realizzazione di riforme salvifiche per il paese e tali tentativi di riforma peoccuparono moltissimo Caterina II, che si avvicinò alla Prussia. Russia e Prussia pretesero fosse ristabilito il liberum veto con un ultimatum. Circa un centinaio di nobili reagirono e realizzarono, nel 1768, vicino alla frontiera austriaca, la Confederazione di Bar, per la fede e la libertà. La Russia reagì provocando una rivolta dei contadini ortodossi ucraini, con cui vennero massacrati migliaia di polacchi. I confederati si appellarono alla Francia, che spinse i turchi a dichiarare guerra alla Russia. Le sconfitte turche portarono l’Austria ad avvicinarsi alla Prussia e alla Russia, non volendo che i russi si introducessero in Turchia così come avevano fatto in Polonia. Il risultato fu l’accordo di San Pietroburgo del 25 luglio 1772, che portò alla Prima Spartizione della Polonia “per timore che lo stato polacco si disgregasse totalmente. La Dieta polacca resistette un anno prima di ratificare il trattato e cedette solo dopo l’occupazione del paese a opera degli eserciti delle potenze interessate alla spartizione. La Polonia sussisteva in quanto Stato, ma era strettamente sorvegliata dai suoi vicini e priva di qualunque libertà d’azione. Il re Stanislaw Augusto diventò un sovrano protetto. CONCLUSIONI … Grande fu l’importanza del fattore religioso e il peso che ha avuto nei destini dei popoli che attualmente costituiscono l’Europa orientale, molto più importante della stessa lingua. Lo scisma del 1054, che separò Costantinopoli da Roma e terminò con la divisione della Cristianità tra cattolici e ortodossi, stabilì una prima fattura a cui si aggiunse, nel XVI secolo, un’altra divisione provocata dalla diffusione della riforma protestante. I popoli slavi dei Balcani non poterono dar vita a stati indipendenti e organizzare una vera difesa contro i turchi perché la Chiesa ortodossa era troppo legata all’Impero bizantino. Fra tutte queste popolazioni, sia che fossero soggette ai turchi, sia che fossero riuscite a conquistare o difendere la loro indipendenza, fu la religione il principale sostegno dell’identità nazionale. Già in questo periodo il mondo dell’Est europeo appariva diviso in tre settori: - i Popoli Balcanici, che conservarono una struttura patriarcale e riuscirono solo eccezionalmente a costituirsi in Stati, per cui per lunghi anni il loro destino era quello di essere solo popoli vassalli o dipendendti dai loro vicini più potenti. - i Popoli del Medio Danubio, sudditi delle corone di Boemia e Ungheria, mescolanze di varie nazionalità che presto si organizzarono in Stati Nazionali, grazie all’appoggio e alle influenze dell’Occidente e la Chiesa romana e, nella storia, associati ai possedimenti degli Asburgo. 15 - la Polonia, che nonostante i suoi enormi potenziali, cadde nell’anarchia e fu cancellata dalla carta geografica, causa istituzioni deboli, guerre intestine e assenza di frontiere naturali difendibili, tutte circostanze che i paesi confinanti seppero ben sfruttare. 16 (Parte seconda) IL RISVEGLIO DEI POPOLI I segni precursori. A partire dagli ultimi anni del XVIII secolo, la storia dell’Europa centro-orientale è stata dominata dal conflitto tra le nazioni, che cominciavano a risvegliarsi e a prendere coscienza del loro particolarismo, e gli Stati tradizionali, nati dalle strutture politiche dell’Antico Regime. A un’Europa degli Stati, che si era progressivamente costituita a partire dal XVI secolo e che si era solennemente affermata al Congresso di Vienna, nel 1815, va sostituendosi un’Europa delle Nazioni, nate però spesso contro la loro stessa volontà, create dalla rivalità tra le grandi potenze. La genesi dell’idea di nazione. Alla fine del XVIII secolo i popoli dell’Europa dell’Est avevano delle strutture politiche di origine per lo più straniera, risultato di un’adesione a cui giunsero sotto la pressione di circostanze storiche o risultato di una conquista. All’epoca, quattro Stati si spartivano il governo dei popoli dell’Europa centro-orientali: a nord-ovest il Regno di Prussia, ad est l’impero russo, nei Balcani l’impero ottomani e nella zona danubiana la Casa d’Austria. Per quanto riguarda la Prussia, la Russia e l’Impero ottomano, i popoli conquistati avevano nei confronti di questi stati un rapporto tra vincitori e vinti, mentre i legami tra la monarchia austriaca e i sudditi si fondavano sulla fedeltà alla dinastia Asburgo e su una incontestabile comunanza di interessi. A partire dalla fine del XVIII secolo vi fu una presa di coscienza del sentimento nazionale, realizzata dalle élites, dal clero, dagli ambienti intellettuali. Il fenomeno si era manifestato all’inizio nell’Europa occidentale e più in particolare in Francia, grazie all’influenza delle idee filosofiche. Durante tutto il XVIII secolo i filosofi francesi avevano elaborato varie teorie sul rapporto tra Stato e popolo,innanzi tutto rifiutando qualunque idea di monarchia di diritto divino. La Rivoluzione francese e la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino contribuirono allo sviluppo dell’idea di nazione e del diritto dei popoli all’autodeterminazione. L’idea che i popoli dovessero avere il diritto di scegliere il loro destino era stata largamente diffusa dai rivoluzionari. Tale idea, vista dall’Est europeo, sembrava promettere un’indipendenza per i popoli sottomessi. Le idee francesi pervennero in un momento in cui nell’Europa centro-orientale, riscoprivano pian piano il passato nazionale ed imparavano le lingue nazionali, che l’uso delle lingue colte aveva relegato al livello di dialetti riservati ai contadini. La rinascita culturale, unita all’influenza dell’Illuminismo francese, svolse un ruolo fondamentale nel risveglio dei popoli dell’Europa centroorientale. Le prime manifestazioni di questo risveglio si produssero in Polonia nel 1794 con la rivolta di Kosciuszko. Malgrado il suo fallimento e la scomparsa dello stato polacco, i patrioti polacchi prestarono attenzione a tutto ciò che proveniva dalla Francia.Ecco perché le prime vittorie di Napoleone I su Russia e Prussia furono viste con grande entusiasmo. In Ungheria, l’influenza della Rivoluzione francese e delle sue idee sul diritto dei popoli a disporre di se stessi fu accolta con minore entusiasmo che in Polonia. Solo gli elementi più radicali degli ambienti intellettuali cominciarono ad agitarsi. Tra gli slavi del Sud della monarchia degli Asburgo l’influenza francese penetrò attraverso la conquista militare.Il loro risveglio culturale diede vita a movimenti tra gli slavi dell’impero ottomano, che si sviluppò più lentamente. All’inizio del XIX secolo dappertutto le nazioni cominciavano a prendere coscienza della propria originalità le une nei confronti delle altre, riscoprendo la propria 17 lingua, cultura e tradizione. La discussione era ormai aperta tra color che rimanevano sostenitori delle strutture politiche tradizionali e quelli che sostenevano il principio delle nazionalità, secondo cui i popoli con stessa cultura hanno diritto all’indipendenza se lo desiderino, purché occupino un territorio nettamente delimitato. Il Congresso di Vienna e le sue conseguenze immediate. Il 22 settembre 1814 si aprì a Vienna un congresso a cui parteciparono tutti i rappresentanti degli Stati europei.Esso, che aveva luogo dopo vent’anni di guerra tra la Francia e il resto dell’Europa, mirava anche a ricostruire politicamente e territorialmente l’Europa. Riunito dall’imperatore d’Austria Francesco II, e presieduto dal suo cancelliere Metternich, si concluse quasi un anno dopo con la firma dell’Atto finale. Si fronteggiarono due gruppi di Stati: Prussia e Russia che cercavano di ottenere maggiori vantaggi territoriali; Austria e Regno Unito, che tendevano soprattutto a mantenere un certo equilibrio tra le potenze. Dinanzi al movimento delle nazionalità gli atteggiamenti erano diversi: la Russia era ostile per la Polonia, ma non nell’impero ottomano. Metternich non era contrario a priori, ma riteneva che si sarebbero dovuti creare non Stati-Nazione ma Confederazioni di Stati. La sorte della Polonia fu soggetta a lunghe discussioni, poiché si trovava strettamente legata a quella della Sassonia, in cui il sovrano si era alleato con Napoleone ed era stato, a quell’epoca, designato come sovrano del granducato di Varsavia. Il trattato segreto, nel Gennaio del 1815, tra Austria, Francia e Inghilterra, portò alla riconferma del re di Sassonia nei suoi stati, in nome del principio di legittimità. La Polonia rimase con l’assetto delle spartizioni precedenti. Lo zar Alessandro di Russia divenne re di Polonia, ormai provata delle sue province occidentali e della Lituania. L’aristocrazia polacca, proprietaria della maggioranza delle terre, amministrava il paese sotto la sorveglianza della Russia. Il Congresso non mutò nulla per quanto riguarda i Balcani. L’impero ottomano conservò teoricamente la sua integrità territoriale ma,di fatto, la sua autorità era stata fortemente compromessa nell’epoca napoleonica , durante le guerre tra russi e turchi. I possedimenti ereditari della monarchia degli Asburgo che si trovavano nella media valle del Danubio vennero confermati nelle loro frontiere precedenti al 1792. La Boemia venne a far parte della Confederazione Germanica, che sostituiva il Sacro Romani Impero, mentre l’Ungheria no, a causa dell’esistenza di una sua propria costituzione. Il congresso segnò il trionfo delle grandi potenze che imposero le loro idee sui piccoli stati, e del principio di legittimità su quello di nazionalità. Poco dopo la fine del congresso, gli imperatori di Austria ,Prussia e Russia conclusero un trattato che formò la Santa Alleanza, col quale i tre monarchi si promettevano eterna fraternità,assistenza e soccorso. Il trattato era aperto a tutti, ma tra i maggiori Stati europei solo il Regno Unito non vi aderì. L’opera del Congresso di Vienna fu molto duratura, e nonostante le sue imerfezioni, garantì all’Europa circa mezzo secolo di pace. Il risveglio dei popoli balcanici. L’esempio dato dai serbi e l’autonomia di fatto che erano riusciti ad ottenere con la loro lotta ebbero un’immensa eco in tutti i Balcani, che tolleravano sempre meno il dominio di un impero ottomano che presentava gravi segni di debolezza. Inoltre i popoli cristiani dei Balcani sapevano di essere più o meno sostenuti dall’esercito. In effetti la Russia aveva manifestato l’interesse che nutriva per le comunità ortodosse dei Balcani. L’Austria non era indifferente e con la Russia prese in considerazione un progetto di spartizione dei Balcani, che però non ebbe seguito. Per entrambi i paesi, i Balcani rappresentavano una zona di grande interesse, che aumentò notevolmente quando nel 1821 si ebbe la ribellione della Grecia contro il giogo ottomano. La rivolta venne preparata dalle numerose società 18 patriottiche che si erano formate in Grecia nei primi anni del XIX secolo. La proclamazione dell’indipendenza nel gennaio 1822 e i massacri di Chio nei quali molte migliaia di greci furono massacrate dai turchi, provocarono una tale emozione che le potenze si decisero ad intervenire tutte insieme. L’impero ottomano dovette cedere e riconoscere l’indipendenza della Grecia. Tale ribellione risultò molto utile per gli altri popoli dei Balcani. Il tragico destino della Polonia. Il Congresso di Vienna aveva ratificato la scomparsa dello Stato polacco a causa delle ambizioni dei suoi vicini. Ognuna delle tre parti in cui era stata divisa la Polonia conduceva un’esistenza distinta: la situazione nei territori polacchi annessi alla Prussica si presentava sotto un aspetto particolare, data l’eterogeneità della popolazione: le campagne della Possanza erano per lo più popolate da polacchi, mentre le città come Manica e Bydgoszcz avevano popolazioni e culture tedesche. La situazione era più o meno lo stessa nella Polonia austriaca, ma lì la diversità etnica si basava sulla coesistenza di due popolazioni slave, di cui una polacca e cattolica e una rutena e ortodossa o uniate. Questa opposizione etnica era parallela a un’altra, di tipo sociale: l’aristocrazia, la popolazione urbana e il clero erano polacchi, mentre la maggioranza dei contadini era rutena. L’aristocrazia e il clero polacco si adattarono molto bene alla tutela dell’Austria, che lasciò alle sue province un’ampia autonomia. In Russia lo zar Alessandro I sembrava mostrare una certa benevolenza nei confronti della Polonia;il paese venne amministrato da polacchi, ma il ruolo della Dieta perse progressivamente di importanza. Con il conte Lubecki, che diresse il paese fino al 1821, il paese ebbe una certa prosperità, che si tradusse in un aumento della produzione agricola e nella creazione delle prime industrie di manufatti. L’università di Varsavia fu scossa più volte dall’agitazione patriottica degli studenti, che comportò alla sua perioda chiusura. L’esercito polacco, sorvegliato molto da vicino dalle autorità russe, era anch’esso uno dei focolai più attivi del patriottismo. All’inizio degli anni venti i rapporti tra lo zar ed i suoi sudditi polacchi cominciarono a guastarsi. Quando la Dieta denunciò più volte gli abusi dell’amministrazione, lo zar la richiamo severamente all’ordine e poi le proibì di pubblicare le sue deliberazioni. Nacquero varie associazioni segrete dove si facevano progetti per l’avvenire. Abdicato Alessandro I, e rinunciato il figlio maggiore al trono, lo occupò il minore Nicola I. Nicola I applicò in Polonia la stessa politica assolutistica che conduceva in Russia. La Dieta polacca non venne più convocata. Quando, nel 1830, Nicola I si decise a riconvocarla, le elezioni risultarono favorevoli a una maggioranza di opposizione. La classe politica polacca, eletta dalla nobiltà e dalla borghesia, era divisa in due tendenze: i Bianchi, attendisti, speravano che lo zar attuasse delle riforme e cercavano di evitare qualunque azione che potesse sfociare in un’insurrezione; i rossi, invece, ammiratori della Rivoluzione francese, tributavano un culto particolare a Kosciuszko, l’eroe della rivolta del 1794. Quando si seppe che lo zar voleva inviare truppe polacche contro il Belgio in rivolta, due giovani ufficiali prepararono, alla scuola dei cadetti di Varsavia, un complotto che mirava ad assassinare il vicerè Costantino e far scoppiare una sollevazione generale, ma il complotto venne scoperto ed il vicerè potè lasciare in tempo la città. Il partito Bianco, per evitare lo scontro, formò un Consiglio e affidò il comando delle truppe polacche al generale Chlopicki, che pregò il vicerè di rientrare a Varsavia. Al suo rifiuto, il Consiglio si trasformò in Governo Provvisorio. Il generale Chlopicki assunse il ruolo di dittatore e chiese allo zar il ritito delle truppe russe dalla Polonia, la convocazione della Dieta e la restituzione dei territori antichi al paese. La risposta dello zar fu negativa, e Nicola I pretese una sottomissione totale. I Bianchi, preoccupati, lasciarono il governo provvisorio, mentre i Rossi prendevano la direzione del governo. Quest ultimo cercò di coinvolgere la Francia e a Parigi fu fondato un comitato generale polacco, ma il governo di Luigi Filippo, ancora non del tutto sicuro della propria autorità, rifiutò di impegnarsi. Tuttavia numerosi ufficiali francesi partirono per la Polonia, pur a titolo privato. La Prussia, preoccupata, chiuse 19 le frontiere e diede aiuto allo zar. L’esercito polacco, ovvio, ottenne qualche successo, ma non poteva resistere di fronte al maresciallo Paskévich. Già alla fine del luglio 1831, Varsavia i trovò quasi del tutto accerchiata. Gli elementi più radicali dell’insurrezione cercarono di continuare la lotta, ma dopo un lungo bombardamento d’artiglieria, Varsavia dovette capitolare. Una dura repressione si abbattè sul paese. Il maresciallo Paskévich fu nominato governatore di Polonia. A Varsavia fu costruita una cittadella per sorvegliare la capitale. I capi dell’insurrezione che caddero in mano ai russi vennero impiccati, e migliaia di polacchi furono deportati in Siberia. La Costituzione fu abolita e sostituita dallo Statuto organico. L’università di Varsavia fu chiusa e proibito ai polacchi di studiare a Cracovia. La Chiesa cattolica venne strettamente controllata e quella uniate, considerata filopolacca, fu riunita a quella ortodossa. Col passar del tempo, invece di attenuarsi la repressione aumentò. La Polonia venne divisa in dieci dipartimenti, ognuno dei quali governato da un generale russo. Le province polacche della Prussia e dell’Austria continuarono ad apparire regioni privilegiate agli occhi dei polacchi di Russia. Il risveglio delle nazionalità nella monarchia austriaca. Nella monarchia degli Asburgo, durante il regno di Francesco II e Ferdinando,la conduzione degli affari di governo fu affidata al cancelliere Metternich, che garantì bene o male una pax tra le diverse nazioni dell’impero. Questo sistema si basava sui legami di fedeltà che univano i vari popoli alla dinastia regnante, su una burocrazia ben funzionante e sulla forza della Chiesa cattolica. A partire dal 1815 il risveglio del sentimento nazionale si diffuse e molto rapidamente la rinascita culturale sfociò nel confronto politico.Gli effetti della prima rivoluzione industriale portarono a un sensibile sviluppo delle classi urbane, più aperte alle idee e maggiormente pronte a mettere in discussione le istituzioni dell’epoca. Nonostante ciò, furono gli intellettuale e gli elementi liberali delle classi dirigenti a capeggiare i diversi movimenti nazionali. - Il movimento nazionale tra gli slavi dell’impero. All’interno della monarchia austriaca, gli slavi rappresentavano il 40% della popolazione dell’impero. Tra quelli del Nord, furono gli intellettuali cechi di Boemia a svolgere il ruolo più importante nel risveglio del sentimento nazionale, che si manifestò anche attraverso la riscoperta del passato ceco. Da sottolineare, la creazione del Museo nazionale di Praga. Si assistette anche allo sviluppo delle scienze storiche, il cui studio ebbe particolare impulso grazie a Frantisek Palacky, che nella sua Storia della nazione ceca in dieci volumi, volle insegnare ai suoi compatrioti il loro passato, spesso esagerando sulle opposizioni tra cehi e tedeschi. Tuttavia, in questo periodo, il movimento nazionale ceco non mirava alla distruzione della monarchia asburgica, ma ad una modifica delle strutture in un contesto federale. Nello stesso periodo si assistette ad una lenta presa di coscienza tra gli intellettuali slovacchi, che , poco numerosi ed isolati tra i Carpazi, non avevano mai fatto parlare di sé. Gli slovacchi vennero a stabilirsi in numero sempre maggiore nelle città, ed i più colti si associarono alle principali correnti di pensiero. Alcuni tra essi, consci del particolarismo rispetto ai vicini cechi e ungheresi, cercarono di dotarsi di una lingua letteraria. Tra gli Slavi del Sud, il rinnovamento nazionale cercò di attenuare soprattutto le divisioni che separavano i serbi ortodossi dai croati e dagli sloveni cattolici. Tre scrittori in particolare diedero vita ad un rinnovamento culturale e furono i creatori di una lingua letteraria , il serbo-croato, che col tempo, insieme ai dialetti locali, si sostituì al tedesco e all’italiano, che sino ad allora erano state le lingue di cultura. -Il rinnovamento nazionale in Ungheria. All’inizio del XIX secolo, il rinnovamento nazionale era già a buon punto in Ungheria e si diffuse ulteriormente tra il 1815 e il 1848, grazie ad una straordinaria produzione letteraria. Tale rinnovamento ebbe conseguenze politiche, e Metternich cominciava a mal sopportare lo statuto particolare dell’Ungheria. Fece apparizione una vera stampa 20 politica, divisa in due tendenze, una moderata, con il giornale Popolo dell’Est del conte Szechenyi, e l’altra, più radicale, con la Gazzetta di Pest, di Lajos Kossuth. Tali tendenze si trovavano nei piani proposti dalla Dieta: i moderati volevano trasformare l’Ungheria in una monarchia parlamentare di tipo britannico senza però rompere i legami con l’impero. Il conte di Szechenyi era consapevole della consistenza degli interessi economici che univano i diversi popoli dell’area danubiana e pose soprattutto l’accento sulla necessità di modernizzare l’Ungheria. Nel campo opposto, i riformisti più radicali erano guidati dall’avvocato Kossuth, fondatore della Gazzetta di Pest, in cui reclamava la separazione del paese dal resto dell’impero. Kossuth divenne anche, in Dieta, il più accanito sostenitore del nazionalismo ungherese, facendosi difensore della legge che faceva dell’ungherese la lingua ufficiale dello Stato. Per l’Impero austriaco, tali risvegli nazionali sarebbero potuti sfociare in disordini, tanto più che diverse erano le popolazioni che al suo interno stavano prendendo coscienza della diversità rispetto alle altre. L’impero, negli anni quaranta, venne a trovarsi in una svolta cruciale: lasciare proseguire senza intervenire e rischiare uno scontro tra diverse nazionalità, oppure, come riteneva Metternich, mantenere intatta la monarchia ad ogni costo. 1848 - La primavera dei popoli: successo e fallimento delle rivoluzioni. La rivoluzione parigina del 1848, conclusasi con la proclamazione della repubblica, si tradusse ovunque tranne che in Gran Bretagna e in Russia, in disordini rivoluzionari più o meno grandi. L’Europa attraversava un periodo di difficoltà economiche e tensioni sociali a causa di cattivi raccolti, diminuzione di surplus agricolo e indebolimento della nascente industria. Nelle campagne vi era miseria, nelle città aumentava la disoccupazione. Tutto ciò sfociò in un inasprimento delle lotte politiche. I nazionalismi si esasperarono, ma non ovunque né con uguale intensità. L’apparente calma della Polonia. Le varie parti in cui fu divisa la Polonia non furono ugualmente interessate al clima di agitazione. I polacchi di Prussia parteciparono alle manifestazioni a favore della libertà. All’inizio i liberali ottennero soddisfazione: il re di Prussia promise una Costituzione. I deputati polacchi eletti all’Assemblea Costituente cercarono di far sì che le promesse fatte fossero mantenute, ma invano, poiché il fallimento del movimento rivoluzionario di Berlino e la riconquista del paese da parte dell’esercito nel dicembre 1848 , posero fine alle speranze liberali. I polacchi d’Austria, da parte loro, non presero parte ai dosordini, ma fu comunque organizzato un Consiglio nazionale polacco, al quale le autorità austriache favorirono la creazione di un Consiglio nazionale ruteno. Nel complesso, nei territori austriaci regnò la calma. Il settore polacco posto sotto il controllo russo rimase in apparenza del tutto calmo nel 1848, a causa della rigida sorveglianza a cui era sottoposto. Nonostante ciò, nei loro cuori, i polacchi si sentivano vicini a tutti quelli che lottavano per la libertà. L’agitazione nell’Impero ottomano. Nell’impero ottomano, nel 1848 né Bulgari né serbi parteciparono ai disordini che si verificarono negli altri paesi europei. Solo i romeni di Moldavia e Valacchia manifestarono a favore della libertà, soprattutto gli intellettuali, gli studenti e parte della nobiltà. In Moldavia fu creato un Comitato 21 rivoluzionario ma i russi, che tenevano acquartierate alcune truppe, schiacciarono il movimento d’accordo con le autorità turche. I membri vennero tutti arrestati. In Valacchia, invece, il movimento rivoluzionario fu più importante: oltre ad un certo numero di riforme, i rivoluzionari chiesero l’unione dei due principati. L’hospodar di Valacchia, Bibescu, sembrava esserne favorevole, se non fosse che si opponesse fermamente a tutto ciò che potesse limitare la sua autorità. Dopo che Bucarest, l’11 Giugno, si sollevò, Bibescu, dopo aver concesso ciò che i liberali chiedevano, abdicò e venne formato un governo provvisorio. Tuttavia ben presto apparvero delle divisioni tra radicali e moderati, i quali volevano formare una repubblica che riunisse tutti i romeni, compresi quelli della Transilvania. Temendo la situazione, i russi e i turchi si misero d’accordo per fronteggiarla. I numerosi proscritti si rifugiarono all’estero, soprattutto a Parigi, dove si sforzarono di di inreressare il governo francese alla causa romena. Napoleone III non rimase sordo a lungo al loro appello. Le rivoluzioni nell’impero degli Asburgo. Il carattere autoritario di Metternich e la diffusione del sentimento nazionale nell’impero,insieme alle notizie provenienti da Parigi, creavano le condizioni per un’eventuale esplosione. -La prima ondata rivoluzionaria. La prima eco del successo della rivoluzione parigina fu a Praga: l’11 marzo 1848 i liberali di Boemia,tedeschi e cechi insieme, organizzarono una pubblica riunione, dopo la quale fu formato il Comitato di San Venceslao, che elaborò un programma di rivendicazioni da presentare al governo di Vienna. La petizione giunse nel pieno dei disordini, di fronte all’aumentare dei quali, l’imperatore invitò l’anziano cancelliere Metternich a dimettersi: il 14 marzo Metternich presentò le sue dimissioni e partiva per l’esilio. Il 15 marzo l’imperatore acconsentì a tutte le rivendicazioni, abolì la censura, formò una guardia civica e convocò un’Assemblea costituente. Il movimento si estese a macchia d’olio. Da Praga a Vienna i disordini si estesero all’Ungheria. Qui, mentre la Dieta era riunita a Pozsony, il 5 marzo la folla invase la sala della riunione e obbligò i deputati a votare un documento indirizzato all’imperatore, in cui però egli veniva chiamato re , non già imperatore. L’imperatore-re promise di soddisfare gli ungheresi ma nell’attesa i deputati precedettero in tutta autonomia ad una serie di riforme, conosciute col nome di Leggi organiche del 1848: furono aboliti i privilegi del regime feudale, fu proclamata l’uguaglianza e la libertà di stampa. Gli studenti il 15 marzo manifestarono e resero pubblica una dichiarazione in dodici punti, in cui venivano esposte le loro rivendicazioni, poi andarono a liberare i detenuti politici. Temendo che i disordini si estendessero, il re Ferdinando cedette a tutte le rivendicazioni degli ungheresi. Nominò suo fratello Stefano vicerè ( palatino ) e quest’ultimo ricevette il giuramento dal primo governo ungherese autonomo, presieduto dal magnate liberale Batthyanyi. Da quel momento in poi la Dieta si sarebbe riunita non a Pozsony, ma a Pest, che divenne centro politico del paese. Ma la situazione non era chiara e i liberali si erano divisi tra moderati, favorevoli a un rapporto leale con la corona, e radicali, desiderosi di cambiare totalmente le strutture politiche e sociali dell’impero. Inoltre, le rivendicazioni delle molteplici nazionalità che formavano l’impero, risultarono ben presto contraddittorie e sfociarono in violente lotte interne. I radicali ungheresi, volendo fare dell’Ungheria uno Stato nazionale indipendente, si scontravano con le aspirazioni dei popoli non ungheresi che vivevano all’interno delle frontiere. I croati furono i primi a mostrarsi preoccupati del carattere nazionale della rivoluzione ungherese. I deputati croati proclamarono l’indipendenza della Croazia e, poiché il governo ungherese rifiutò di riconoscerla, dichiararono guerra all’Ungheria il 16 agosto. Anche gli slovacchi, tra cui scrittori, sacerdoti, insegnanti, votarono una mozione in cui si chiedeva l’autonomia per le regioni dell’Ungheria dove vivevano degli slovacchi, e i serbi avanzarono rivendicazioni analoghe. Il governo ungherese, per il quale il comportamento delle suddette nazionalità era ancor più scandaloso in quanto queste -tranne gli slovacchi- erano venute autonomamente in Ungheria per trovare rifugio. 22 -Nazionalismo tedesco e ceco in Boemia - Moravia. L’atteggiamento del governo imperiale di fronte all’agitazione delle nazionalità fu esitante, principalmente poiché c’erano urgenti motivi da risolvere: in Italia, con i sostenitori dell’unità, poi in Boemia, nello scontro tra nazionalisti tedeschi e patrioti cechi. Le vittorie dell’esercito imperiale in Italia e in Boemia restituirono fiducia al governo. La Corte ne approfittò per dare appoggio ai croati, che avevano appena dichiarato guerra all’Ungheria. Rispondendo all’appello di Kossuth, ma maggior parte dei soldati ungheresi andò a mettersi al servizio del governo nazionale. Le prime vittorie croate e l’appoggio semi-ufficiale dato dal governo imperiale provocarono una crisi in Ungheria. Il palatino Stefano si dimise. L’avanzata minacciosa dei croati alimentò il patriottismo dei deputati ungheresi che il 22 settembre nominarono Kossuth Presidente del Comitato di Difesa. I croati si trovavano a sessanta km dalla capitale,quando la Guardia Nazionale li fermò. La patria era salva, ma gli elementi moderati del Parlamento, preoccupati per le violenze commesse dagli estremisti, iniziarono a prendere le distanze: la rottura era ormai definitiva. -Kossuth e la guerra d’indipendenza ( 1848 - 1849 ). A partire dall’ottobre 1848, Kossuth era diventato il vero padrone del paese. Il suo esercito respinse inizialmente i croati verso ovest. Il ministro della guerra imperiale volle far marciare contro gli ungheresi alcuni reggimenti di origine italiana, che però si rifiutarono. Dopo le barricate al centro di Vienna, parte di studenti e operai favorevoli agli ungheresi, la Corte abbandonò Vienna e si rifugiò in Boemia. Il vecchio imperatore Ferdinando rinunciava al trono gli succedeva il nipote appena 18enne Francesco Giuseppe, che lasciò chiaramente intendere che voleva ristabilire l’ordine dei suoi Stati, pur conscio dei problemi esistenti. Kossuth fece subito sapere che l’Ungheria non avrebbe riconosciuto il nuovo sovrano fiche egli non avesse prestato giuramento alla Costituzione. Il governo imperiale rispose con un’offensiva militare generalizzata contro l’Ungheria. Il governo di Kossuth e ciò che restava del parlamento ungherese, si rifugiarono a Debrecen. Approfittando della situazione, i romeni di Transilvania e i serbi si sollevarono e si abbandonarono a massacri nei confronti della popolazione ungherese. Il 14 aprile 1849 a Debrecen, su iniziativa del deputato radicale madarosi, il parlamento proclamò l’indipendenza dell’Ungheria e dichiarò decaduta la Casa degli Asburgo. A questo punto, l’imperatore Francesco Giuseppe accettò gli aiuti dello zar di Russia. In luglio l’esercito russo comandato da Paskévich invase l’Ungheria. Kossuth cercò di ottenere l’appoggio delle popolazioni allogene, ma troppo tardi: queste, per pronunciarsi, aspettavano l’esito della guerra. Nella battaglia di Segesvàr, la Guardia Nazionale fu sconfitta e Kossuth si rifugiò in Turchia, lasciando il potere al generale Gorgey. A questo punto l’Ungheria venne sottoposta ad un regime di occupazione militare. Coloro che avevano partecipato all’insurrezione furono puniti da tribunali militari: il principe Batthyanyi, capo del primo governo ungherese, fu fucilato, tredici generale, i martiri di Arad, vennero giustiziati. In totale vi furono un centinaio di esecuzioni e migliaia di condanne a pene detentive più o meno lunghe. La rivoluzione ungherese, iniziata gioiosamente nel marzo 1848, si concluse nel sangue nell’agosto 1849 e fu la più lunga di tutte quelle che scossero l’Europa alla metà del XIX secolo. I suoi capi, animati da un patriottismo romantico, avevano provocato una violenta reazione nelle popolazioni allogene d’Ungheria. A breve le rivoluzioni del 1848 erano ovunque fallite e l’operato del Congresso di Vienna sembrava intatto, ma il problema dei rapporti tra le differenti nazioni era ormai posto. Alla ricerca di nuove strutture. Malgrado il loro fallimento, le rivoluzioni del 1848 - 1849 avevano lasciato un segno profondo nei popoli dell’Europa orientale e dovunque i governi avevano preso coscienza dell’importanza del 23 movimento delle nazionalità, che diventò un elemento importante della politica estera delle grandi potenze. Le potenze e la questione d’Oriente. A partire dal 1859, la presenza di un impero ottomano indebolito diventò uno degli interessi principali delle cancellerie europee. Bisognava smembrare l’impero ottomano o adoprarsi affinchè rimanesse integro? Le grandi potenze erano in disaccordo sul da farsi. Certamente erano consapevoli dell’esistenza di nazioni cristiane oppresse che aspiravano a liberarsi della tutela turca, ma spesso i governi avevano come obiettivo principale la difesa dei propri interessi. Lo zar si sentiva solidale con i cristiani ortodossi dei Balcani, nella maggior parte slavi, poiché il suo obiettivo era l’accesso diretto al Mediterraneo.Napoleone III, in nome del principio delle nazionalità, era favorevole all’emancipazione dei popoli balcanici, ma solo se in totale accordo con gli inglesi. All’epoca il governo britannico auspicava il mantenimento dell’integrità del territorio ottomano, poiché voleva evitare l’arrivo dei Russi nel Mediterraneo orientale. L’impero austriaco, sembrava optare per il mantenimento dello status quo. La prima seria crisi internazionale scoppiò nel 1853 e sfociò nella Guerra di Crimea. L’origine di deve a Gerusalemme per il problema della sorveglianza dei Luoghi Santi. Nel 1853 lo zar Nicola I inviò a Costantinopoli una missione guidata dal principe Menshikòv, per ottenere dal sultano il diritto di garantire la protezione dei cristiani ortodossi dell’impero ottomano, minacciati dall’espansione di religiosi di rito latino. Il sultano, sull’appoggio degli inglesi, rifiutò di acconsentire a questa richiesta. I russi reagirono inviando truppe in Moldavia e in Valacchia. Il sultano dichiarò guerra alla Russia; la Francia e il Regno Unito si allearono con lui nel marzo 1854. L’Austria, rimase neutrale. La Guerra di Crimea durò circa due anni e si concluse con la sconfitta della Russia. Il Trattato di Parigi del 1856 cercò di conciliare il principio del mantenimento di integrità territoriale dell’impero ottomano con gli interessi delle popolazioni balcaniche: la Serbia vedeva riaffermata la propria autonomia, e questo statuto era esteso alla Moldavia e alla Valacchia, per le quali Napoleone propose l’unione in uno Stato romeno unitario,ma alla quale proposta non acconsentirono le altre potenze. Il compromesso fu che Moldavia e Valacchia avrebbero formato i Principati Uniti, con una stessa legislazione, pur rimanendo Stati distinti. Napoleone III e la questione d’Oriente dopo il Congresso di Parigi. Napoleone III continuò in segreto la sua politica a favore dell’unità romena. I consoli francesi consigliarono alle assemblee di Moldavia e di Valacchia di eleggere lo stesso hospodar, e così fu quando nel gennaio del 1859 fu eletto Alexandru Ion Cuza, che assunse subito il titolo di principe di Romania. L’Europa e il sultano riconobbero la situazione: era nato lo Stato romeno. Le tensioni all’interno del paese non mancarono nella nuova Romania: Cuza fu obbligato a ritirarsi, poiché gli si rimproverava di esercitare una dittatura (mentre invero la ragione del complotto era la conduzione del principe, di una politica sociale avanzata a favore dei ceti popolari, che le classi conservatrici non accettavano,perché avrebbe rischiato di indebolire la potenza politica ed economica dei grandi proprietari). Napoleone III favorì l’ascesa al trono di Carlo, cugino per via paterna del re di Prussia Guglielmo I, e attraverso la madre, dello stesso Napoleone III. Quando Carlo fece il suo ingresso a Bucarest, fu riconosciuto dal sultano come principe ereditario di Romania - i suoi discendenti regneranno sul paese fino al 1947. Le illusioni polacche. 24 La Polonia russa era rimasta tranquilla al momento delle rivoluzioni del 1848, perché il paese era soggetto a un regime di occupazione militare che rendeva inutile qualunque tentativo di azione. La morte nel 1855 dello zar Nicola I fu accolta con sollievo dai polacchi: il nuovo zar, suo figlio Alessandro II, era considerato relativamente aperto alle idee liberali, ma aveva comunque ricordato ai polacchi che intendeva continuare la politica del padre e allo stesso tempo aveva nominato vicerè di Polonia il principe Gorciakov, molto meno autoritario del suo predecessore. Il clima di relativa libertà che cominciò a instaurarsi in Polonia favorì la rinascita di una certa forma di vita politica. La Società Agronomica, che riuniva parecchie migliaia di proprietari terrieri, diventò rapidamente il punto di aggregazione dell’opposizione liberale nazionale, che aspirava a creare una Polonia indipendente, unita alla Russia solo nella persona di un sovrano comune. Tuttavia, a fronte di questi liberali che formavano il Partito bianco, gli oppositori più radicali, quelli del Partito rosso, provenienti dalla piccola nobiltà, dal mondo studentesco, e dal popolino, reclamarono l’indipendenza totale del paese nell’ambito delle sue frontiere storiche. I patrioti polacchi erano persuasi che Napoleone III avrebbe agito nella lotta per la loro indipendenza, sapendo che egli fosse un grande sostenitore del principio delle nazionalità. Le prime manifestazioni in Polonia iniziarono il 29 novembre 1860, anniversario della sollevazione di Varsavia nel 1860. Questa volta l’esercito russo reagì sparando alla folla: ci furono alcuni morti. Alessandro II sembrò esitare circa la politica da seguire in Polonia, e cambiò più volte vicerè. Il capo liberale Wielopolski si sforzò di cercare un accordo con lo zar e fu subito accusati dai rossi di tradimento. La situazionè precipitò il 22 gennaio 1863, quando il Comitato centrale Rivoluzionario lanciò un appello per l’insurrezione generale. Alla fine del mese di aprile tutta la Polonia era in stato di insurrezione e il Comitato Centrale diventato Governo Provvisorio, fece appello alle potenze straniere: Napoleone III scrisse personalmente allo zar per chiedergli di ristabilire la Costituzione del 1815. La risposta dello zar fu negativa. Gran Bretagna e Austria intervennero allo stesso modo, mentre la Prussia diede il suo totale appoggio allo zar, chiudendo le frontiere ai polacchi. Truppe polacche, reclutate in fretta nella febbrile atmosfera dell’insurrezione, si sforzarono nel paralizzare i movimenti dell’esercito russo, ma la lotta era ineguale. In Polonia, l’esercito del generale Berg accerchiò Varsavia, che capitolò. I membri del governo provvisorio furono arrestati, condannati a morte e impiccati nel 1864. Il russo divenne la lingua obbligatoria dell’amministrazione e dell’università. La Chiesa cattolica, da sempre custode delle tradizioni nazionali, conobbe anch’essa una dura repressione: i vescovi furono tutti deportati in Siberia, la maggiorparte dei conventi fu chiusa. La Polonia aveva pagato duramente il suo desiderio di emancipazione. Dall’Austria all’Austria-Ungheria ( 1850 - 1867 ). L’imperatore Francesco Giuseppe, come aveva lasciato intendere nel proclama risalente alla sua ascesa al trono, cercò di trovare una soluzione ragionevole ai problemi delle aspirazioni liberali e dei movimenti nazionali, senza però indebolire le prerogative della Corona né nuocere agli interessi superiori dell’impero. Dopo Schwarzenberg, il potere fu affidato ad Alessandro Bach per dieci anni, che furono caratterizzati dal ritorno di un regime autoritario, nella tradizione di Metternich. Il governo ripristinò l’antica alleanza con la Chiesa cattolica, ed il Concordato con Pio IX conferì ad essa una posizione privilegiata, soprattutto in quanto era attribuito alla Chiesa l’insegnamento alla gioventù. Il governo Bach riprese la politica di germanizzazione dei popoli dell’impero: le diversi province furono massicciamente dotate di funzionari germanofoni che imposero il tedesco come lingua nell’istruzione e nell’amministrazione, ma per accattivarsi allo stesso tempo il mondo contadino, mantenne le conquiste sociali della rivoluzione. La resistenza passiva praticata dai non tedeschi dell’impero portò Francesco Giuseppe ad impugnare di persona le redini degli affari pubblici. Nel marzo 1860 egli riunì il Gran Consiglio dell’Impero, in cui si distinguevano due correnti politiche di pari importanza: quella unitaria, 25 favorevole alla trasformazione dell’impero in uno stato liberale, e quella federalista, che chiedeva la restaurazione degli antichi Stati storici. Francesco Giuseppe, desideroso di conciliare l’unità dell’impero con la diversità delle popolazioni, pubblicò un Diploma di stampo federalista: in ogni paese dell’impero, una Dieta eletta avrebbe detenuto parte del potere legislativo, tutte le nazionalità erano poste su un piede di parità e ogni cittadino aveva accesso a qualsiasi impiego, la lingua locale sarebbe divenuta quella ufficiale. Alcuni mesi dopo Francesco Giuseppe completò il Diploma con una Patente di stampo di centralizzatore, il chè causò gravi scontenti tra gli ungheresi. Alla seduta della Dieta del maggio 1861, Ferenc Deàk, capo dell’opposizione dopo l’esilio di Kossuth, reclamò il ritorno alla stretta applicazione della Costituzione. La situazione rimase bloccata per quattro anni , ma nel 1865 Francesco Giuseppe riprese i contatti con l’opposizione ungherese, annunciando che bisognasse stabilire l’antica Costituzione, pur salvaguardando gli interessi dell’impero. Deàk si richiarò pronto a negoziare e fu firmato l’accordo, noto col nome di Compromesso austro - ungarico, formato due documenti: lo Statuto costituzionale, concernente l’Austria e le sue dipendenze, il Patto costituzionale, stipulato tra Francesco Giuseppe e l’Ungheria. I possedimenti degli Asburgo formeranno da adesso una Doppia monarchia, ma le due parti di essa saranno unite dallo scettro di un monarca comune, imperatore a Vienna e re a Budapest. In Ungheria la Dieta comprendeva due Assemblee, la Camera Alta e quella Bassa, e a differenza di Vienna, in Ungheria il governo era responsabile davanti alle Assemblee. L’imperialregio esercito era comune, con il tedesco come lingua di comando, ma sia l’Austria che l’Ungheria disposero di un esercito territoriale, reclutato localmente e con l’idioma nazionale come lingua di comando. Il problema che adesso si sarebbe posto, era l’accettazione o meno delle altre nazionalità presenti all‘interno dell‘impero, della gestione dell’impero affidata ai due gruppi più numerosi, ungheresi e tedeschi, fatto , questo, che li allontanava dal potere nel caso avessero rifiutato il quadro giuridico del 1867. L’esperienza austro - ungarica ( 1867 - 1918 ). All’interno dell’impero alcuni credevano che il compromesso del 1867 fosse solo la prima tappa di un processo che avrebbe portato alla creazione di un vero e proprio sistema federale, altri invece, principalmente in Ungheria fra i nostalgici di Kossuth, ritenevano che il compromesso fosse solo un ripiego. All’esterno gli atteggiamenti erano molto differenti: i nazionalisti tedeschi si mostrarono sin dall’inizio ostili a qualunque evoluzione di un sistema federale, che avrebbe indebolito la loro posizione all’interno dell’impero. I dirigenti russi, consapevoli dell’importanza numerica delle popolazioni slave all’interno della monarchia austro - ungarica, erano molto sensibili al vantaggio che la Russia avrebbe tratto dallo staccare gli slavi dall’Austria - Ungheria, attirandoli verso i giovani Stati slavi dei Balcani, satelliti della Russia. In Francia, anche se ufficialmente ci si mostrava neutrali nei confronti dell’Austria - Ungheria, alcuni, tra docenti universitari, uomini politici di sinistra e ambienti anticlericali, vedevano nella monarchia asburgica uno Stato conservatore e clericale, ed in nome dell’amicizia franco - russa, ci si dimenticò o si fece finta, che nell’Europa dell’inizio del 1900, le nazionalità più oppresse nell’Est europeo si trovavano proprio in Russia, dove polacchi, popolazioni baltiche, ucraini e i popoli del Caucaso erano sottoposti a una massiccia politica di russificazione. La realtà etnica dell’Austria - Ungheria. Era la parte austriaca dell’impero, la Cisleitania, a offrire all’osservatore la maggior varietà sul piano delle popolazioni. Alcune province erano esclusivamente popolate da tedeschi (come la provincia di 26 Salisburgo ). Altre erano di stragrande maggioranza tedesca. La Carinzia e la Stiria, benchè con una popolazione tedesca maggioritaria, avevano anche un’importante minoranza slovena. La capitale, Vienna, era una città a grande maggioranza tedesca, ma vi erano rappresentanti di tutte le nazionalità. A sud delle popolazioni germanofone, cominciava il dominio degli italiani e degli slavi del Sud : solo italiani nel Trentino, italiani e sloveni nella provincia di Gorizia, croati, italiani e sloveni in Istria. In linea generale, nelle province meridionali della Cisleitania, gli italiani dominavano nelle città e gli slavi nelle campagne, ma l’esodo da quest’ultime favoriva la statizzazione progressiva dei centri urbani. Nei paesi della Corona di San Venceslao, le popolazioni tedesche erano riunite in gruppi compatti in tutte le zone montuose della periferia, dove si presentavano maggiormente sia nelle campagne che nelle città. Per contro, il loro numero era molto inferiore nelle città della Boemia e della Moravia, dove i cechi erano in maggioranza. In Slesia, le popolazioni erano molto mescolate tra polacchi, cechi e tedeschi. La Galizia aveva una popolazione a maggioranza polacca, e gli ebrei erano presenti in particolare nelle zone urbane, soprattutto a Lwow. Sul piano religioso, la Cisleitania era più omogenea: più di 4/5 degli abitanti erano cattolici romani, il che era un fattore di coesione importante. Dopo di loro vi erano i cattolici uniati, gli ortodossi e i protestanti. Gli ebrei rappresentavano quasi il 5% della popolazione totale, e molto numerosi a Vienna. In Transleitania, cioè nei paesi della Corona di Santo Stefano, la ripartizione delle nazionalità era più armoniosa: gli ungheresi, il 54% della popolazione, escludendo la Croazia - Slavonia, che godeva di uno statuto particolare, erano presenti ovunque, e la loro maggioranza non si trovava in alcune città come Pozsony, dove i tedeschi erano poco superiori agli ungheresi. I tedeschi, circa due milioni, erano in ogni grande città del paese. I romeni, circa tre milioni, erano poco più della metà della popolazione della Transilvania e del Banato: vivevano principalmente nelle campagne e nei villaggi, insediandosi col tempo nelle città. Gli Slovacchi, circa due milioni, vivevano principalmente tra le montagne del nord -ovest dell’Ungheria, ma a partire dal XIX secolo, a causa della pressione demografica, si stabilirono nelle valli verso il Danubio. Nella Croazia - Slavonia la popolazione si presentava più omogenea che nell’Ungheria propriamente detta. I croati erano ovunque maggioritari, tranne nella parte orientale in cui si erano rifugiati i serbi nel XVIII secolo. Fiume costituiva un corpus separato dell’Ungheria: la popolazione, all’origine croata, aveva nel XIX secolo ricevuto numerosi apporti italiani provenienti dall’Istria e da Trieste. Sul piano religioso, l’insieme dei paesi della Corona di Santo Stefano, inclusa la Croazia Slavonia, presentava una diversità piuttosto notevole: i cattolici romani, più del 52% della popolazione, erano in maggioranza, seguiti da protestanti, luteranesi e calvinisti, ortodossi e uniati. Gli ebrei rappresentavano il 5% della popolazione ed erano soprattutto presenti a Budapest. Nel 1908 l’annessione della Bosnia - Erzegovina aggiunse alla popolazione un ‘ulteriore numero di slavi, con una maggioranza di ortodossi, una minoranza mussulmana e cattolica. Il funzionamento del sistema. Malgrado le diversità linguistiche e religiose, la Doppia monarchia formava un insieme che, imperfezioni a parte, per circa 50 anni funzionò piuttosto bene. La coesione di questo sistema si basava sulla persona del sovrano. Francesco Giuseppe suscitò verso la dinastia un sentimento di lealtà che rimase tale sino alla sua morte. Il suo regno, le sue sventure familiari, gli provocarono il rispetto e anche l’affetto dei suoi sudditi. Altro fattore di coesione era la religione cattolica, che riuniva attorno all’imperatore popoli diversi. Al di fuori della Chiesa cattolica le altre religioni cristiane potevano anche svolgere un ruolo di inquadramento spirituale. L’imperialregio esercito costituiva anch’esso un elemento supplementare per suddetta unione di popoli. Il tedesco, l’unica lingua militare ammessa, rafforzava la coesione. Inoltre le cariche di comando più elevate non erano riservate agli ufficiali appartenenti alle nazionalità “dominanti” e solo la competenza garantiva promozioni. L’amministrazione, efficiente e non corrotta, e la burocrazia, erano altri elementi collanti. Chiunque 27 aveva competenze necessarie poteva fare una brillante carriera e i membri di differente nazionalità erano posti su un piede di parità, e lo Stato non chiedeva di rinunciare alla propria lingua madre, ma semplicemente di avere anche una conoscenza di tedesco o ungherese (che ci si trovasse in Cisleitania oppure in Transleitania). Unica era anche la comunanza di interessi dei diversi popoli, nella vita politica come in quella economica. La mobilità della popolazione da una regione all’altra, o da campagna a città, favoriva la mescolanza, ed i matrimoni misti erano molto frequenti. La monarchia austro - ungarica costituiva un insieme economico coerente, formato da regioni con risorse complementari sia nel settore agricolo che in quello industriale. Una fitta rete di vie di comunicazione assicurava facili contratti sia per terra che per mare. L’Austria - Ungheria non fu mai uno Stato razzista. Accanto a tedeschi e ungheresi, che costituivano il pilastro dell’impero, le altre nazionalità hanno goduto di libertà molto più grandi di quelle dei loro fratelli di razza che vivevano oltre le frontiere. Le prospettive future per la monarchia austro - ungarica alla vigilia della Prima Guerra Mondiale. Nel 1914 nessuno in Austria - Ungheria pensava seriamente a distruggere l’impero dall’interno. I “contestatori” si rendevano conto dei vantaggi che offriva quell’insieme coerente e valido ai suoi abitanti. Ciò a cui aspiravano i capi politici delle nazionalità più consapevoli era il federalismo, ma si scontravano con quelli che godevano dei vantaggi delle situazioni acquisite. Venne elaborata tutta una serie di progetti allo scopo di riformare l’impero negli ultimi anni che precedettero la guerra. Nel 1906 un romeno di Transilvania, Popovici, pubblicò un’opera in cui immaginava la suddivisione dell’impero in tante province autonome quante erano le nazionalità. L’arciduca Francesco Ferdinando non nascondeva il suo desiderio di trasformare l’impero nel momento in cui sarebbe succeduto allo zio. Il principe cercava di rendere più stretti i legami ideologici e spirituali che potevano unire i diversi popoli e il cristianesimo sociale poteva essere un fattore di riavvicinamento tra le popolazioni. Ostile a chi mostrava un eccesso di nazionalismo, il suo ideale era quello di garantire a tutti i popoli dell’impero un’espansione culturale in una società più giusta e organizzata. Per realizzare tali obiettivi, Francesco Ferdinadno optava per una politica di pace,sapendo che, senza un lungo periodo di pace, non si sarebbe potuto trasformare e salvare l’impero sul quale pesavano le mire congiunte della Germania e della Russia. Ecco perché nel 1914 egli era diventato l’uomo da abbattere. Il risveglio della nazione polacca (1870 - 1914). Dopo le due sconfitte del 1830-1831 e del 1863, la Polonia venne sottoposta ad un regime straordinario e una politica di massiccia russificazione. La maggior parte dei capi dell’insurrezione del 1863 era stata giustiziata e i partecipanti esiliati in Siberia. La stessa Chiesa cattolica era stata privata dei suoi capi e la maggior parte dei monasteri era stata chiusa. Malgrado la chiusura dei collegi e delle scuole di lingua polacca e nonostante le proibizioni, la lingua nazionale rimase viva e il suo insegnamento clandestino permise alle nuove generazioni di mantenere la loro identità. La Polonia russa si era industrializzata a partire dal 1870 e la popolazione urbana era aumentata. L’aristocrazia era ancora molto potente nelle campagne, ma nelle città le nuove classi assumevano un ruolo sempre maggiore nel movimento nazionale. Le idee di Karl Marx si diffusero velocemente ed esistevano due gruppi socialisti clandestini: il Partito socialdemocratico di Polonia e di Lituania, e il Bund ( Lega generale dei 28 lavoratori ): orientati verso la lotta rivoluzionaria contro il regime zarista e il sistema economico e sociale, alcuni militanti tennero a Parigi nel 1892 un congresso da cui nacque un nuovo movimento socialista, il Partito socialista polacco di Limanowski. Questo partito disponeva di un giornale clandestino redatto da un giovane militante, Pilsudski, il quale in seguito si stabilì in Galizia e da lì inondò la Polonia russa di pubblicazioni socialiste clandestine. Anche la borghesia polacca dispose di un’organizzazione politica: il Partito nazionaldemocratico, di opposizione moderata. Gli avvenimenti del 1904-1905 in Russia, ebbero una grande eco in Polonia e i socialisti di diverse tendenze organizzarono scioperi e attentati contro i funzionari russi. I nazionaldemocratici cercarono di ottenere almeno una certa autonomia per la Polonia. L’annuncio di Nicola II della concessione di una costituzione venne salutato con gioia. Le elezioni per la prima Duma nel 1906, nonostante l’invito dei socialisti ad astenersi portarono alle votazioni i polacchi, che espressero la loro preferenza per i moderati, che ottennero tutti i seggi, ma il quale atteggiamento di pacatezza e buona volontà non si dimostrò produttivo. Anzi, venne loro rifiutata l’autonomia e la nuova legge elettorale tolse ai polacchi metà dei seggi. Tuttavia dopo la rivoluzione del 1905 i polacchi recuperarono una parte delle libertà perdute dopo il 1830, non ancora sufficienti però, per placare il popolo. Nelle province amministrate dalla Prussia la sorte delle popolazioni polacche ebbe alti e bassi: i cattolici polacchi dovettero subire le vessazioni delle autorità e a partire dal 1886 Bismarck inaugurò una politica di germanizzazione delle province un tempo polacche, creando una Commissione di colonizzazione per permettere ai tedeschi che avessero voluto insidiarsi di acquistare terre con l’aiuto dello Stato. Al Reichstag di Berlino i 15 deputati che ne facevano parte denunciavano tale politica di colonizzazione ma invano. Nel 1914 quindi, i polacchi di Prussia, anche se più liberi dei loro compatrioti di Russia, erano ugualmente consapevoli della necessità di realizzare l’unione dei polacchi in uno Stato unico e indipendente. La Galizia austriaca rimase il centro più attivo della lotta per l’indipendenza. Jozef Pilsudksi organizzò gruppi d’azione clandestini che nel 1910 ufficializzò con la copertura di “Società di tiro al fucile”. Si costruì in tal modo una vera forza armata polacca e una Commissione provvisoria di governo si teneva pronta in caso fosse scoppiata una guerra contro la Russia. I Balcani, posta in gioco delle rivalità tra le grandi potenze. Gli inizi della rivalità austro - russa nei Balcani (1870 - 1878). Verso il 1870 l’area balcanica era per la maggior parte dominata dall’impero ottomano. Dall’inizio dei XIX secolo alcuni popoli erano riusciti a liberarsi, come i serbi, i montenegrini e i romeni, ma per quanto riguarda bulgari, albanesi, serbi di Macedonia e della Bosnia - Erzegovina, questi erano ancora sotto il dominio turco. I ripetuti interventi delle potenze nei Balcani avevano acresciuto le speranze di questi popoli, ma il Regno Unito si opponeva, soprattutto se ciò fosse risultato vantaggioso per i Russi. La Russia, e un po’ meno l’Austria - Ungheria, erano interessate a ciò che accadeva nei Balcani, ufficialmente per liberare le popolazioni cristiane, in realtà perché per la Russia i Balcani erano la strada che conduceva alla libera navigazione, per la monarchia austro-ungarica perché costituvano il prolungamento geografico dell’impero. Tale divergenza di interessi si era trasformata in accesa rivalità a partire dagli anni 70. Allora, i patrioti bulgari iniziarono a mostrarsi più attivi. Parte di essi viveva in esilio in Romania e da lì si preparava alla rivolta: in contatto con i membri di un Comitato centrale della rivoluzione bulgara,costituito clandestinamente in territorio bulgaro, il loro tipo di azione si limitava alla diffusione di scritti sovversivi e all’organizzazione di attentati terroristici. Il governo russo sosteneva le aspirazioni del popolo bulgaro. Nel 1870 era stato raggiunto un primo risultato concreto: la 29 Chiesa bulgara ottenne la sua indipendenza nei confronti del patriarcato di Costantinopoli. Le autorità austro - ungariche non si interessavano per nulla alla Bulgaria, ma al contrario a tutto ciò che accadeva in Bosnia -Erzegovina, il cui territorio confinava sia con la Dalmazia austriaca che con la Serbia e il Montenegro autonomi. Nella primavera del 1875 l’imperatore Francesco Giuseppe effettuò un viaggio d’ispezione in Dalmazia e Croazia e le popolazioni della Bosnia - Erzegovina interpretarono il viaggio come un’incitazione a sollevarsi contro i turchi, il quale impero attraversava una grave crisi politica e finanziaria. Nel luglio 1875 le esazioni dei funzionari turchi provocarono un’insurrezione in un villaggio serbo dell’Erzegovina. In poche settimane i disordini si estesero a tutta la provincia. I turchi reagirono duramente massacrando parte della popolazione civile, ma l’insurrezione si estese a macchia d’olio. Le grandi potenze intervennero presso il sultano e si scatenò una reazione nazionalista in cui vennero uccisi il console di Francia e Germania e molestati alcuni residenti europei. Nel luglio 1876 la Serbia e il Montenegro si unirono alla lotta, aspirando a dividersi la Bosnia - Erzegovina. I serbi furono rapidamente sconfitti dai turchi, i montenegrini riportarono qualche vittoria. Dinanzi all’estensione dei disordini l’Austria - Ungheria e la Russia si accordarono in previsione di un eventuale intervento: l’ovest sarebbe spettato all’Austria - Ungheria, l’est alla Russia. A Costantinopoli i britannici preoccupati di non irritare turchi, si accontentavano di vaghe promesse di riforme. La politica equivoca dei turchi fece sì che la Russia le dichiarasse guerra nell’aprile 1877, e nel 1878 i turchi chiesero un armistizio, firmando in seguito il Trattato di Santo Stefano. Gli Stati già autonomi diventavano pienamente indipendenti, veniva creata una Grande Bulgaria autonoma sotto l’influenza russa e come previsto, l’Austria - Ungheria si vedeva affidare l’amministrazione della Bosnia - Erzegovina. Il Regno unito, e in misura minore l’Austria - Ungheria, reagirono all’appropriazione russa dei Balcani. Il ministro inglese Disraeli minacciò di intervenire e garantì ai turchi il suo appoggio. Al Congresso di Berlino, suggerito da Bismarck, la Russia tornò sui propri passi: Romania, Serbia e Montenegro rimasero indipendenti, pur dovendo rinunciare ad alcune ultime acquisizioni. La Grande Bulgaria venne frantumata: il sud rimase ai turchi, il nord-ovest divenne principato autonomo. Per le popolazioni interessate, il Congresso di Berlino fu causa di costernazione. Le relazioni tra Vienna e San Pietroburgo ne risentirono. Né bulgari né serbi erano soddisfatti: i serbi a causa della presenza dell’Austria Ungheria nella Bosnia - Erzegovina ,che significava perdere la speranza di accedere al litorale adriatico ; i bulgari, le cui perdite di vita erano state notevoli, perché le loro aspirazioni non erano state soddisfatte. Ancora una volta le grandi potenze avevano deciso la sorte dei popoli balcanici. L’evoluzione interna degli Stati Balcanici fino alla crisi del 1908. -La Romania. L’ascesa al trono del principe Carlo di Hohenzollern segnò l’inizio dell’indipendenza in Romania. Un’Assemblea Costituente votò una Costituzione che fece della Romania una monarchia costituzionale, con un parlamento bicamerale. All’epoca della guerra russoturca il Parlamento romeno approfittò delle circostanze favorevoli per proclamare, nel maggio 1877, l’indipendenza totale del paese. L’esercito rumeno partecipò, a fianco dei russi, alla guerra di liberazione della Bulgaria. Poco dopo il principe Carlo divenne re con il nome di Carol I. Il suo lungo regno corrisponde con l’entrata della Romania nella scena internazionale. La maggior parte della classe politica e l’insieme della popolazione manifestò, in questo periodo, un intransigente nazionalismo, che si palesò nell’irredentismo. Erano considerate irredente la Bessarabia e la Transilvania. I legami tra gli ambienti intellettuali della Romania e quelli della Transilvania erano assicurati dalla Lega culturale. Altra forma di nazionalismo romeno fu l’antisemitismo, facilitato da una legislazione che del resto contravveniva con le disposizioni del Congresso di Berlino, che aveva riconosciuto l’uguaglianza di diritti per tutti gli abitanti dei paesi diventati indipendenti. Durante questo periodo ebbero luogo centinaia di pogrom nel paese, con la complicità delle autorità, proprio in un paese che era considerato il bastione della civiltà occidentale in Oriente. Quanto al regime sociale della Romania, era molto 30 arcaico: la maggior parte della popolazione era formata da contadini poveri, gli appezzamenti disponibili erano insufficienti davanti al rapido aumento della popolazione, le tasse sulle terre aumentavano e si verificarono due grandi rivolte di cui l’ultima, quella del 1907, fu repressa con estrema brutalità. Negli ultimi anni del XIX secolo, la nascita di un’industria basata sulle attività estrattive e sulla trasformazione dei prodotti agricoli, portò alla creazione del Partito socialdemocratico dei lavoratori di Romania, che lottò in difesa degli operai e delle loro durissime condizioni di lavoro. La Rivoluzione russa del 1905 rafforzò il movimento socialista che si riorganizzò col nome di Partito socialdemocratico, di ispirazione marxista. -La Serbia e il Montenegro. All’indomani del Congresso di Berlino la Serbia era un piccolo paese con strutture arcaiche. Senza accesso al mare, priva di ferrovie, la Serbia era costituita da un’immensa società contadina di piccoli e medi proprietari terrieri. Le poche industrie erano specializzate nella trasformazione di prodotti agricoli. Una lunga tradizione di lotte incessanti contro l’occupante turco aveva inasprito il carattere dei contadini serbi, dei quali la lotta per la liberazione non era ancora completata. Alcuni erano ancora sudditi dei turchi, altri dell’Austria - Ungheria, e la Serbia si interessava ad essi. Dal XIX secolo la Serbia era stata governata dai principi della famiglia Obrenovic. Michele, che durante i suoi viaggi in Europa occidentale, aveva preso coscienza del ritardo nello sviluppo del paese, ebbe a cuore la sua modernizzazione, ma i cambiamenti avvennero nell’ambito di un regime totalitario. Dopo il suo assassinio per mano di un sostenitore della dinastia avversaria, il potere ritornò al suo erede più prossimo, il nipote Milan, con cui la Serbia si dotò di istituzioni liberali. La Costituzione del 1869 trasformò il Paese in uno Stato Costituzionale dove erano garantite le libertà fondamentali. La vita politica era animata da due partiti, quello liberale, di fatto conservatore, favorevole all’alleanza con l’Austria, e quello radicale, difensore dei contadini poveri e propenso al riavvicinamento con la Russia. Il divorzio del re creò un nuovo motivo di conflitto con i sudditi, dato che la regina Natalia, di origine russa, godeva di molta popolarità. Davanti allo scontento sempre più grande, il re fece adottare una nuova costituzione più liberale. Poi abdicò a favore del figlio Alessandro I di dodici anni , per il quale venne organizzata una reggenza. Le lotte politiche ripresero con estrema violenza e la crisi fu momentaneamente risolta con l’annuncio di Alessandro I, di assumere personalmente la conduzione della politica nazionale. Le aspettative dei radicale nel giovane re furono preso deluse, perché questi abolì l’ultima Costituzione, tornando a quella precedente e meno liberale. Il rafforzarsi dei legami con l’Austria - Ungheria suscitò uno scontento crescente. Nella notte dal 10 all’11 giugno 1903 una congiura militare, capeggiata dal fratello dell’ex marito della regina, si concluse col massacro del re, della consorte e di tutti i familiari Obrenovic. Il parlamento eleggeva re Pietro Karagjeorgjevic della famiglia rivale, col nome di Pietro I. Egli aveva trascorso maggior parte della sua vita all’estero e la sua ascesa al trono segnò una svolta decisiva per la Serbia: si affermò l’orientamento politico pro-russo e alle elezioni i radicali ottennero una schiacciante maggioranza. Poiché l’Austria Ungheria aveva reagito con la chiusura delle frontiere ai prodotti agricoli serbi, essi furono acquistati dalla Francia. Con il colpo di Stato di Belgrado, la Russia aveva cancellato la sua sconfitta di Berlino. Nel Montenegro, minuscolo Stato, l’evoluzione fu pacifica. Il principe Nicola cercò di modernizzare il paese, ponendo fine al sistema patriarcale e tribale che aveva caratterizzato la nazione. I progressi economici portarono alla formazione di un partito socialista, mentre i ceti colti daranno vita ad un partito liberale favorevole all’unione con la Serbia. Nicola I, proclamatosi re, concesse ai sudditi una Costituzione, ma in realtà conservò i pieni poteri.Infatti i montenegrini erano nella maggior parte dei casi più favorevoli a Belgrado che al proprio re. -Gli inizi della Bulgaria indipendente. Il Congresso di Berlino aveva creato un principiato bulgaro autonomo, tributario dell’impero ottomano. Conformemente alle disposizioni stabilite a Berlino, i russi furono incaricati di gettare le basi dell’amministrazione del principato bulgaro. All’Assemblea costituente, nonostante l’opposizione dei conservatori, la maggioranza liberale votò una Costituzione che attribuiva i poteri fondamentali a un’Assemblea nazionale, eletta a suffragio 31 universale. La carica di capo di Stato venne affidata al principe Alessandro di Battemberg, nipote acquisito dello zar. Alessandro godendo dell’appoggio dei russi, si sforzò di stabilire in Bulgaria un potere personale. La Costituzione venne sospesa. I russi credettero di poter fare della giovane Bulgaria un principato vassallo, ma Alessandro, geloso della sua nuova autorità, ebbe ogni interesse a difendere l’indipendenza del suo paese: i rapporti con lo zar si interruppero e i consiglieri russi furono espulsi. Dopo 5 secoli di dominazione turca, il popolo bulgaro ritrovava la sua unità nell’ambito di uno Stato indipendente. Tuttavia la Bulgaria unificata rimaneva fragile: la Turchia non aveva riconosciuto questo atto di forza e la Serbia prese l’iniziativa attaccandolo. L’esercito serbo fu sconfitto senza difficoltà. Una Conferenza internazionale, tenutasi a Costantinopoli, riconobbe l’unione dei due principati bulgari. Questa vittoria non fu apprezzata dallo zar, il quale reggimento si impadronì del palazzo principesco e obbligò Alessandro ad abdicare. Il popolo bulgaro reagì e il presidente dell’Assemblea nazionale, Stambulov, richiamò il sovrano che rientrò nella capitale, ma il governo russo pretese l’abdicazione. Stambulov, padrone del potere e forte dell’appoggio popolare, divenne portavoce del nazionalismo bulgaro. Egli doveva trovare un principe che potesse regnare sulla Bulgaria. Dopo lunghi negoziati con le potenze straniere, la scelta cadde sul principe Ferdinando di Sassonia, la cui elezione al trono fu considerata da tutti gli osservatori, un successo dell’Austria - Ungheria. Il governo russo rifiutò per molto tempo di riconoscere il nuovo principe. La Russia , che aveva contribuito all’emancipazione della Bulgaria nella speranza di farne uno stato subordinato, aveva per due volte ricevuto no smacco. Durante i primi anni del regno di Ferdinando, fu Stamburo a esercitare il potere, fino alle dimissioni, dopo le quali fu assassinato. Accanto ai partiti tra tradizionali si poterono notare, alla fine del secolo, nuove formazioni politiche: il Partito socialdemocratico e l’Unione Agraria, che nel mondo contadino era molto conosciuta. La Bulgaria, non bisogna dimenticare, si trovava ancora sotto la tutela teorica dell’impero ottomano. L’ambiguità tra autonomia e indipendenza si risolse nel settembre 1908 , quando sfruttando le difficoltà interne dell’impero ottomano, il principe Ferdinando proclamò l’indipendenza del regno di Bulgaria. All’inizio del XX secolo tre Stati balcanici erano diventati padroni del proprio destino. La politica estera separava e opponeva questi Stati: alcuni erano protetti dall’ Austria Ungheria ( Bulgaria) , altri si trovavano sotto la tutela russa ( Romania, Montenegro e Serbia ). Questa era la riproduzione su scala ridotta, nell’Europa balcanica, delle divisioni delle potenze europeee tra Intesa e Triplice, che era non priva di pericoli e dalla quale, la minima tensione poteva generare in un conflitto. La polveriera balcanica (1908 - 1914). -Il problema macedone. Il Congresso di Berlino aveva lasciato la Macedonia ai turchi. Bulgari e serbi sostenevano entrambi di avere eccellenti ragioni per rivendicarne il territorio. La Macedonia prima della conquista turca, apparteneva all’impero bizantino. All’inizio del XX i macedoni erano divisi in tre nazionalità principali: greci, serbi e bulgari. Accanto alle tre nazionalità dominanti, che costituivano circa 4/5 della popolazione, si notava anche la presenza di una moltitudine di popoli diversi: albanesi e valacchi nelle regioni montuose, turchi, armeni ed ebrei nelle città. L’emancipazione della Bulgaria aveva suscitato in Macedonia grandi speranze. L’influenza bulgara si rafforzò quando venne costituito l’Orim (Organizzazione Rivoluzionaria Interna Macedone), che organizzò qua e là dei gruppi di resistenza clandestina. All’inizio del secolo, tutta la zona interna era in uno stato di insurrezione. Le grandi potenze erano divise a proposito della questione macedone: il Regno Unito auspicava grandi riforme in Macedonia, l’Austria - Ungheria e la Russia si accordarono per non intervenire e per limitarsi a chiedere al sultano delle riforme. La neutralità del governo bulgaro in tale questione provocò dissensi all’interno dell’Orim, che si frazionò su basi etniche. Alcuno rivoluzionari macedoni si rivolsero a Belgrado e fondarono un gruppo socialista macedone favorevole a una federazione balcanica, in cui ci sarebbe dovuta essere una repubblica macedone indipendente. Gli altri 32 rimasero fedeli alla Bulgaria. La questione macedone divenne un motivo supplementare di scontro tra la Serbia e la Bulgaria. - La crisi della Bosnia del 1908. Dal 1878 l’Austria - Ungheria amministrava la Bosnia Erzegovina. Per meglio garantire la propria autorità, l’amministrazione austro-ungarica si appoggiò a elementi cattolici e mussulmani, mentre la popolazione ortodossa manifestava la sua simpatia verso i serbi. All’inizio del 1908 l’Austria - Ungheria aveva concluso col sultano un accordo per la concessione della costruzione di una ferrovia che unisse la Bosnia alla Macedonia.Tale progetto suscitò grande diffidenza e i russi, alleati con i serbi, progettarono insieme alla Francia un intervento a favore dei macedoni. Tali avvenimenti provocarono nell’impero ottomano una reazione nazionalista: i Giovani turchi ribellandosi imposero al sultano una costituzione liberale. Tale disordine portò in Macedonia, Serbia, Bulgaria e Grecia un’ondata di speranza, dal momento che indeboliva l’impero ottomano. Per evitare la Serbia approfittasse della situazione, il governo austro-ungherese decise l’annessione della Bosnia - Erzegovina, alla quale la Serbia voleva protestare, ma non avendo l’appoggio della Russia, dovete riconoscere la nuova situazione. Il rancore della Serbia contro l’Austria - Ungheria era immenso e non avrebbe tardato a manifestarsi. -Le guerre balcaniche nel 1912-1913. La rivoluzione turca del 1908 aveva indebolito l’impero ottomano. I Giovani turchi, padroni dello Stato, vollero ristabilire l’ordine dovunque, e lo fecero in modo molto brutale, in nome dell’unità dell’impero.Armeni,greci, macedoni e bulgari della Tracia ne furono le vittime principali. Gli albanesi, che erano stati leali sudditi del sultano, avevano sostenuto il movimento dei Giovani turchi, ma alla fine del XIX secolo iniziava a farsi sentire un certo nazionalismo. Nel 1908 gli albanesi avevano sperato di ottenere uno statuto autonomo e avevano formato un’organizzazione politica con a capo Ismail Beg.Negli anni seguenti scoppiarono sommosse anti-turche in Albania. L’impero ottomano era indebolito da un conflitto armato con l’Italia, a tal punto che gli Stati balcanici decisero di intervenire per liberare la Macedonia. Si formò una Lega Balcanica dei popoli cristiani destinata a scacciare i turchi dall’Europa orientale. Ognuno dei membri (Bulgaria, Serbia, Grecia) doveva fornire un contingente militare per la lotta comune. I turchi si resero conto di ciò che si andava tramando e rafforzavano il loro dispositivo militare. Fu il Montenegro a dichiarare per primo guerra alla Turchia. La Prima Guerra Balcanica aveva inizio. Nei giorni che seguirono la Turchia reagì duramente,ma la coalizione balcanica riportarono sin da subito vittoria. Durante la loro avanzata, i greci e i serbi erano penetrati in territorio albanese e Ismail Beg, che temeva le ambizioni dei paesi della Lega Balcanica, decise di portare la questione albanese dinnanzi all’opinione internazionale. Si recò infatti a Londra, dove era in corso una Conferenza degli ambasciatori delle grandi potenze e qui dopo lunghi negoziati, si stabilì che la Turchia avrebbe conservato in Europa solo Costantinopoli e i suoi immediati dintorni. Veniva creata un’Albania indipendente e quanto alla Macedonia, bulgari, greci e serbi dovevano accordarsi per spartirsela. Tra gli alleati della Lega, tale spartizione provocò contestazioni. I bulgari infatti scatenarono un’offensiva contro gli antichi alleati,che si accordavano per non consegnare loro la maggior parte del bottino, che si rivelò un fallimento per la Bulgaria. Questa Seconda Guerra Balcanica si concluse con la pace di Bucarest, La Turchia recuperò quella parte definita oggi “Turchia europea”. Le Guerre Balcaniche lasciarono tracce profonde negli antichi alleati del 1912. Sul piano demografico le perdite di vita furono numerose, in questa guerra fratricida. La spartizione dei territori strappati ai turchi provocò rancori soprattutto tra i bulgari, che si credevano mal ricompensati. Sul piano internazionale, i progressi della Serbia preoccupavano l’Austria - Ungheria , e la condotta serba era sempre più aggressiva. Si erano esacerbati nazionalismi e rivalità fra popoli vicini, fratelli di razza, se non di religione. I popoli balcanici non si rendevano conto che padroni del loro destino non erano più loro ma chi si riuniva a San Pietroburgo, Vienna, Parigi o Londra. 33 La Prima Guerra Mondiale. A est, l’imperialismo russo nei confronti dei Balcani e di Costantinopoli si scontrava, dal 1908, con gli interessi dell’Austria - Ungheria, preoccupata dalle conseguenza che avrebbe potuto avere la propaganda anti-austriaca condotta dopo Belgrado tra i suoi sudditi slavi. L’annessione della Bosnia Erzegovina da parte dell’Austria - Ungheria nel 1908 e le Guerre Balcaniche avevano esacerbato le rivalità e gli antagonismi tra i popoli dei Balcani. I protagonisti delle guerre balcaniche erano integrati in due sistemi di alleanza che raggruppavano le grandi potenze: la Serbia e il Montenegro erano sostenuti dalla Russia,alleata alla Francia, che aveva normalizzato le sue relazioni con il Regno Unito. Dall’altro lato la Bulgaria cercava l’appoggio dell’Austria - Ungheria, che era strettamente legata con l’impero tedesco e, in misura minore, con l’Italia. (alleanza chiamata Triplice). In Romania, il popolo romeno era francofilo e irredentista, ma in re Carol era un sostenitore dell’orientamento tedesco. Durante l’anno che trascorse tra la pace di Bucarest e lo scoppio della prima Guerra Mondiale, le relazioni austro-serbe peggiorarono. Le società serbe nazionaliste raddoppiarono l’attività nella loro propaganda anti-austriaca . Il gruppo clandestino più importante fu quello della Mano nera, che intratteneva stretti legami con gruppi di giovani terroristi pro-serbi, e che organizzò un attentato in Bosnia - Erzegovina. I terroristi, forniti di armi serbe, approfittarono della visita dell’arciduca Francesco Ferdinando e di sua moglie Sofia per agire. Il 28 Giugno 1914 i coniugi caddero sotto i colpi dello studente Gavrilo Princip e dei suoi complici. Uccidendo Francesco Ferdinando, gli assassini miravano non solo al principe ereditario d’Austria - Ungheria, ma soprattutto a un uomo che non nascondeva la sua intenzione di condurre una politica a favore degli slavi dell’impero, allo scopo di ricongiungerli. Ciò avrebbe però posto fine a tutte le speranze della Russia di creare nei Balcani una zona in cui esercitare la sua egemonia. L’attentato di Sarajevo scatenò una crisi gravissima internazionale, che sfociò in una guerra: a Vienna, dopo lunghi dibattiti tra chi sosteneva la necessità di un attacco militare immediato e chi invece temeva una violenta reazione da parte della Russia,l’Austria - Ungheria inviò a Belgrado un ultimatum che avrebbe dovuto essere accettato totalmente nello spazio di quarantotto ore. Il governo serbo lo rifiutò e l’Austria - Ungheria ruppe subito ogni relazione diplomatica, dichiarando il 28 luglio 1914 guerra alla Serbia. Il governo russo si mobilitò a sua volta e da quel momento ogni Stato agì come se volesse verificare l’efficacia delle sue alleanze. Il governo tedesco chiese con un ultimatum alla Russia di porre fine ai suoi preparativi di guerra e alla Francia di proclamare la propria neutralità. La risposta negativa di San Pietroburgo portò a una guerra quasi generale. Il gioco di alleanze aveva trasformato il conflitto austro-serbo in una guerra europea. I popoli dell’Europa dell’Est erano diventati la posta in gioco delle grandi potenze. Le popolazioni di questa parte dell’Europa si trovavano divise in due campi opposti, ma le linee di demarcazione non erano sempre molto definite. In un campo come nell’altro i popoli rimasero fedeli alla bandiera sotto la quale combattevano. Per guadagnare i polacchi alla causa russa, la Russia rivolse loro un appello promettendo la ricostruzione della Polonia in uno Stato autonomo e contemporaneamente l’Austria Ungheria organizzava, con i contingenti polacchi del suo esercito, una Legione destinata a liberare la Polonia dal giogo russo. Nel campo dell’Intesa, fu soprattutto la Serbia a sostenere la maggior parte del peso della guerra. Apparentemente fino all’inizio del 1918 le sorti della guerra sembrarono evolversi a favore degli imperi centrali. La Romania fu sconfitta dopo sei settimane di combattimenti e il suo territorio fu totalmente occupato dagli eserciti tedesco, austro-ungarico e bulgaro. L’esercito serbo, rifugiatosi a Corfù, era ridotto all’impotenza, il Montenegro aveva rinunciato a combattere. La volontà di pace ad ogni costo manifestata da Lenin e dai bolscevichi dopo la Rivoluzione d’ottobre portò alla pace separata, firmata dalla Russia sovietica a Brest-Litovsk. I russi rinunciarono a tutti i possedimenti occidentali (Finlandia,le repubbliche baltiche, la Polonia, l‘Ucraina e parte della Bielorussia ) . A prima vista, gli imperi centrali sembravano trovarsi in una posizione di forza all’inizio del 1918. Molti tra 34 coloro che, in Austria - Ungheria, avevano auspicato l’unione di tutti gli slavi del Sud all’interno di un impero rinnovato, concentrarono le loro speranze nel giovane imperatore Carlo, succeduto a Francesco Giuseppe. Molti si aspettavano dal nuovo imperatore profondi mutamenti. Un vento di speranza sembrò allora soffiare nell’impero. In realtà, la fine della guerra era ben lungi dall’essere certa. Le potenze dell’Intesa disponevano ancora di molte possibilità. L’entrata in guerra degli Stati Uniti, la partecipazione della Grecia a fianco dell’Intesa, dell’Italia, della Romania, mostravano che nulla era ancora definitivamente deciso. Croati e serbi, che avevano lasciato l’impero all’inizio della guerra, formarono a Londra un Comitato jugoslavo, che ebbe rapporti con il governo serbo quando quest’ultimo si stabilì a Corfù. Questi contatti portarono alla Dichiarazione di Corfù, sottoscritta dal capo del governo serbo Pasic. Il documento prevedeva che, in caso di vittoria da parte dell’Intesa, gli sloveni si unissero ai serbi per formare uno Stato jugoslavo sotto la dinastia Karagjeorgjevic, ma ciò era un atto isolato. La maggior parte degli slavi del Sud dell’impero non vedeva altra via d’uscita se non la permanenza nell’ambito della monarchia asburgica rinnovata. Ancora più importante fu l’azione degli emigrati cechi: uno dei capi dell’opposizione, il professore Masaryk, aveva lasciato Praga e poi, attraverso l’Italia, raggiunto la Francia e l’Inghilterra. Per sua iniziativa venne costituito in Francia un Consiglio nazionale. L’idea di uno Stato cecoslovacco cominciò a farsi strada. Fu un gran parte grazie all’azione degli emigrati cechi di Parigi e di Londra che le offerte di pace separata avanzate dall’imperatore Carlo al governo francese furono respinte dai paesi dell’intesa. Gli emigrati cechi riuscirono a convincere gli alleati al punto che lo smembramento dell’Austria - Ungheria fu inserito tra gli scopi bellici dell’Intesa. I capi politici polacchi in patria collaboravano con gli imperi centrali, per ottenere, nel caso questi avessero vinto la guerra, la creazione di uno Stato polacco, ma all’estero i polacchi emigrati giocavano la carta degli alleati, allo scopo di ottenere da loro gli stessi vantaggi se la vittoria non fosse stata dell’Intesa. I capi delle nazionalità non ancora del tutto indipendenti attuarono anch’essi, per tutta la durata della guerra, una politica di doppio gioco. Il 1918 rappresentò per i popoli dell’Europa centrale e orientale una svolta decisiva nella storia. I paesi dell’Intesa divennero rapidamente accesi difensori della ricostituzione di una Polonia indipendente, ancora più facilmente visto che non dovevano tenere a bada l’alleato russo, ormai uscito dalla guerra. Per iniziativa della Francia e dell’Italia si tenne a Roma il Congresso delle nazionalità oppresse, che si concluse con il voto di una mozione favorevole allo smembramento dell’Austria - Ungheria e all’emancipazione delle nazionalità slave, romene e italiane. Se gli imperi centrali avessero vinto, l’Austria - Ungheria avrebbe dominato l’Europa danubiana e balcanica. Quanto alla Polonia, avrebbe riconquistato la sua indipendenza o almeno una larghissima autonomia. Se invece avessero vinto la guerra le potenze dell’Intesa, l’Austria - Ungheria sarebbe stata smembrata in tanti paesi quante erano le nazionalità che lo componevano. La Polonia avrebbe costituito uno Stato indipendente con funzioni cuscinetto tra la Germania e la Russia sovietica. Il successo degli alleati sul fronte occidentale rovesciò rapidamente la situazione. In poche settimane la speranza cambiò campo. Nell’autunno del 1918 la vittoria delle potenze dell’Intesa sembrava essere quella delle popolazioni sui monarchi. La vittoria dell’Intesa poteva essere considerata anche quella del principio delle nazionalità su quello di legittimità. Tre grandi imperi, quello degli Asburgo, degli Hohenzollern e dei Romanov, erano crollati. I popoli che avevano vissuto al loro interno e che ora stavano per diventare i padroni del proprio destino sarebbero stati capaci di accollarsi pienamente questa pesante eredità e di stabilire tra loro relazioni di buon vicinato? Oppure gli antagonismi e le rivalità nazionali avrebbero preso il sopravvento? 35 (Parte terza) IL TEMPO DEGLI SCONTRI I cambiamenti politici nell’Europa centrale e orientale all’indomani della Prima Guerra Mondiale. La sconfitta degli imperi centrali e dei loro alleati provocò la caduta dei governi e dei regimi che avevano retto questi Stati durante la guerra, mentre i capi delle nazionalità emancipatesi cercavano di creare Stati indipendenti. Tra i popoli vinti, l’agitazione sfociò in rivoluzione. La prima ondata rivoluzionaria nei paesi vinti. -La rivoluzione bulgara. Il primo paese coinvolto nella sconfitta fu la Bulgaria. Fin dal 18 settembre 1918, per evitare l’accerchiamento delle truppe dell’esercito d’Oriente, l’esercito bulgaro ripiegò verso il territorio nazionale. La notizia di questo arretramento provocò agitazione, un certo numero di reggimenti si ammutinò. Gli ammutinati si impadronirono della città di Radomir, il governo di Sofia inviò subito una delegazione al comando dell’esercito d’Oriente per ottenere la conclusione di un armistizio, mentre agli ammutinati di Radomir inviò i due capi agrari Stambolijski e Daskalov: il primo si sforzò di riportare alla calma gli ammutinati, mentre il secondo, insieme al suo interesse per le nuove idee bolsceviche, approfittò delle circostanze per unirsi agli insorti, capeggiare una Repubblica di Radomir e tentare di marciare sulla capitale. La folla da lui raccolta resistette pochi giorni e fu fermata alle porte di Sofia. L’armistizio firmato prevedeva il ritiro di tutte le forze bulgare all’interno delle frontiere del 1913, l’occupazione di una parte del paese e il diritto di passaggio per le forze armate dell’Intesa. Lo zar Ferdinando abdicò a favore del figlio Boris III. La sconfitta, le difficoltà economiche di ogni tipo, l’aumento dei prezzi, crearono tra la popolazione un clima favorevole all’agitazione rivoluzionaria. Gli elementi più radicali, come il Partito socialista bulgaro, adottarono le tesi bolsceviche. Prudentemente il re Boris lasciò governare gli agrari per evitare il peggio e Stambolijski divenne capo del governo. - La rivoluzione in Austria - Ungheria. La notizia della capitolazione della Bulgaria ebbe una vasta eco in Austria - Ungheria. L’imperatore Carlo in un Manifesto annunciò ai suoi sudditi che l’impero sarebbe divenuto uno Stato federale in cui ogni gruppo etnico avrebbe fondato la sua comunità politica. In esso lanciava anche un appello a tutti i popoli perché dessero il loro contributo alla realizzazione di questa impresa. Le misure annunciate nel Manifesto imperiale garantivano ai cechi, slovacchi, sloveni ed altri slavi del Sud la realizzazione di una gran parte delle loro aspirazioni. Purtroppo il Manifesto dell’imperatore arrivava troppo tardi: i capi dei vari gruppi nazionali, che vedevano arrivare la sconfitta e le conseguenze che ne sarebbero inevitabilmente derivate, rifiutarono di aderire e optarono per l’indipendenza. In Boemia, i deputai cechi organizzati in un Consiglio nazionale concordarono sull’idea della Cecoslovacchia indipendente richiesta da Masaryk e Benes e dichiararono, in risposta al Manifesto imperiale, che l’unica soluzione era l’indipendenza totale. A Praga la folla scese per le strade e la repubblica venne proclamata nell’entusiasmo, senza restrizioni da parte delle autorità ufficiali, che comunque avrebbero potuto ristabilire l’ordine perché possedevano mezzi potenti, ma anzi l’amministrazione imperiale trasmise i suoi poteri in modo quasi ufficiale alle autorità provvisorie. L’esempio dato da Praga fu contagioso in Zagabria e Slovenia. La situazione era diversa in Transleitania: in Ungheria, un deputato del Partito dell’indipendenza, si era pubblicamente proclamato “amico dell‘Intesa” e aveva chiesto la pace immediata. I membri del partito e alcuni 36 socialisti formarono un Consiglio nazionale allo scopo di preparare l’indipendenza dell’Ungheria.Il popolo ungherese però, ad eccezione della popolazione operaia di Budapest, sensibile a socialismo e pacifismo, rimaneva fedele al potere. Fu per questo che la coppia imperiale soggiornò nel paese per qualche giorno, ed ebbe l’impressione che nulla fosse ancora perduto. Ma presto Budapest fu scossa da gravi disordini: il rifiuto dei soldati ungheresi di combattere nelle Dolomiti contro gli italiani, per essere invece portati in Ungheria, minacciata a est dall’esercito d’Oriente, portò a manifestazioni nella capitale ungherese e la polizia urbana sparò alla folla che di dirigeva verso la sede del governo. Seguirono, in seguito, scioperi nelle fabbriche e nelle officine. La sera del 30 ottobre la folla si impadronì degli edifici governativi: allora il comandante della piazza si rassegnò a consegnare il potere al consiglio nazionale. Il giorno dopo, Mihàly Karolyi venne insignito dall’Impero al compito di presidente del Consiglio ungherese, mentre la folla gli conferì i pieni poteri. Gli Ungheresi che speravano in Karolyi si erano creati molte illusioni: una grande Ungheria non era possibile, perché ovunque le popolazioni allogene si pronunciavano per la propria indipendenza. L’impero degli Asburgo scricchiolava dappertutto e ognuna delle sue comunità etniche avevano scelto la strada dell’indipendenza. Due erano ancora i punti fissi: l’esercito e l’imperatore. Il primo si ritirò dalla scena il 4 novembre, il secondo, invece, l’11 novembre, quando l’imperatore Carlo annunciò la sua intenzione di rinunciare a qualsiasi partecipazione negli affari di Stato. L’indomani veniva proclamata a Vienna la Repubblica d’Austria. La situazione tra i vincitori. La sconfitta degli imperi centrali e la frammentazioni dell’impero austro-ungarico ebbero conseguenze apparentemente benefiche per i popoli e gli Stati che se ne erano separati o che se ne erano allontanati. -Il trionfo delle piccole nazioni: la Serbia e la Romania. La Serbia, che aveva sostenuto il peso della guerra dalla fine del luglio 1914 e aveva subito perdite umane e materiali notevoli, usciva ingrandita da questa dura prova. A Belgrado, la politica panserba di Pasic aveva trionfato. La piccola Serbia del 1914 aveva riunito sotto l’autorità del proprio sovrano gli slavi del Sud. Anche il Montenegro, che aveva combattuto accanto alla Serbia, decise di unirsi ad essa al seguito del voto favorevole della sua Assemblea Nazionale. Il vecchio re di Serbia Pietro I affidò al figlio Alessandro la direzione di uno Stato che ormai portava il nome di Regno dei serbo-croati e sloveni, prima di diventare Jugoslavia. I rappresentanti croati e sloveni che avevano accettato l’idea di unirsi ai serbi avevano pensato di attuare questa unione su di una base egualitaria, nell’ambito di una federazione. Il nuovo Stato riuniva al suo interno nazionalità diverse: accanto ai sei milioni di serbi ortodossi vivevano ormai più di quattro milioni di croati e un milione e mezzo di sloveni, tutti cattolici e di tradizioni occidentali. La coesistenza di popoli così vicini nella lingua ma diversi nella religione, nelle tradizioni e a livello di sviluppo culturale ed economico, si sarebbe però rivelata presto molto difficile. La Romania, che aveva ripreso la lotta accanto ai paesi dell’Intesa al momento dell’offensiva dell’esercito d’Oriente, risultò così tra i paesi vittoriosi. I Consigli Nazionali romeni manifestarono chiaramente il loro desiderio di riunirsi alla Romania. Tuttavia bisognò aspettare la risoluzione finale della conferenza di pace perché le frontiere fossero definitivamente stabilite. - La nascita dello Stato cecoslovacco. A Praga, il Consiglio Nazionale aveva immediatamente proclamato la repubblica. Il vecchio capo dell’opposizione formò un governo provvisorio. Il 14 novembre, un’Assemblea Nazionale provvisoria si riunì a Praga: composta da 201 deputati cechi e 69 slovacchi, solo quelli cechi erano in effetti rappresentativi, poiché designati in funzione delle rispettive forze dei diversi partiti, mentre quelli slovacchi erano designati in modo arbitrario. L’Assemblea Nazionale provvisoria, in cui non sedeva nessun rappresentante delle minoranze nazionali, dichiarò decaduti gli Asburgo e designò presidente della repubblica il professor Tomas Masaryk. Poi dedicò la sua attenzione alla discussione di un progetto di Costituzione, adottata nel 1920. 37 -La difficile rinascita della Polonia. La dichiarazione di Wilson prevedeva la creazione di una nazione polacca indipendente con accesso al mare. Fin dall’inizio della guerra, i polacchi dell’Austria Ungheria avevano costituito unità militari, che combattevano sotto la bandiera polacca, le Legioni, che erano al comando di Pilsudksi. I capi delle Legioni avevano anche rivolto ai polacchi di Russia un appello all’insurrezione. Dopo le vittorie della grande offensiva austro-tedesca le cose cambiavano, poiché tutto il territorio della Polonia russa si trovò liberato. I polacchi credettero che gli imperi centrali avrebbero loro reso l’indipendenza, ma questi esitavano a pronunciarsi. Fu solo nel 1916 che i governi tedesco e austro-ungarico annunciarono, in un manifesto, la loro intenzione di formare con i territori polacchi di Russia un regno di Polonia indipendente. Le Legioni polacche furono messe a disposizione di un Consiglio di Stato provvisorio di cui era membro Pilsudski. Ora la Russia, in piena rivoluzione, non costituiva più una minaccia per i polacchi, ma la Germania rischiava a breve di rappresentare un nuovo pericolo. A parire da quel momento le autorità polacche provvisorie rappresentarono una certa resistenza rispetto alle esigenze degli occupanti tedeschi. Quando il governatore tedesco di Varsavia volle porre a capo delle Legioni polacche ufficiali tedeschi, la maggior parte degli ufficiali polacchi presentò le dimissioni e fu subito arrestata. In Russia, i polacchi della Duma rimasti sul posto, avevano preferito prendere contatto con gli Alleati. Un Consiglio Nazionale in Esilio venne anche costituito a Parigi. Dinnanzi al pericolo che avrebbe costituito l’adesione dei polacchi alla causa degli Alleati, gli imperi centrali mostrarono maggiore comprensione nei loro confronti, anche se la competenza dell’amministrazione polacca era delle più limitate. Quando la sconfitta degli imperi centrali apparve certa, i polacchi decisero di agire. Il Consiglio di Reggenza dichiarò l’indipendenza del paese e formò un governo di unione nazionale, costituito da socialisti e nazionaldemocratici . Il crollo degli imperi centrali accelerò il processo di Costituzione di uno Stato polacco indipendente. A Varsavia, il Consiglio di Reggenza affidò il comando di tutte le forze armate polacche a Pilsudski, che era stato appena liberato, e che fu così nominato generale per la circostanza e allo stesso tempo Capo di Stato. Il suo compito non era facile: la Polonia esisteva solo sulla carta, non aveva frontiere definite né moneta unica né leggi comuni, minacciata sia a ovest che a est. Pilsudski prima di tutto gettò le basi di un’amministrazione e di un esercito nazionale. Desideroso però di dedicarsi solo ai suoi compiti militari, affidò ad altri gli incarichi ricevuti. Qualche giorno dopo, l’Assemblea si riunì e votò una Costituzione provvisoria, riconfermando Pilsudski nelle sue funzioni. Lo Stato polacco, dopo essere stato cancellato per 130 anni, rinasceva dopo una lunga guerra della quale era stata spesso il campo di battaglia. -L’ardua lotta degli albanesi per la libertà. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, l’Albania aveva appena ottenuto l’indipendenza. Il giovane stato, neutrale, diventò presto soggetto delle mire dei greci, italiani, e serbi. Dopo le sconfitte serbe, il sud si trovò occupato dagli italiani e dai francesi, mentre a nord dalle truppe austro-ungariche. Gli albanesi persero 70000 uomini durante le occupazioni, e il paese fu devastato. Alla fine del conflitto fu convocato a Durazzo un Consiglio da cui nacque un governo provvisorio presieduto da Thuran Pascià , che immediatamente si recò a Parigi per sostenere la causa dell’Albania. In Albania, l’atteggiamento degli italiani che ne volevano fare un protettorato, provocò una viva reazione patriottica: si dichiarò decaduto il governo di Durazzo, considerato sottomesso all’Italia, e riaffermata la volontà di indipendenza del popolo albanese, riconosciuta soltanto col suo ingresso nel 1920 alla Società delle Nazioni. I tentativi di bolscevizzazione dell’Europa centro-orientale. Dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, la Russia era retta da un Consiglio dei Commissari del Popolo, presieduto da Lenin. I nuovi dirigenti della Russia sovietica volevano estendere la loro esperienza in altri paesi, in particolare Trotski. Alcuni dei prigionieri di guerra provenienti dagli imperi centrali o dalle nazioni alleate, impressionati da ciò che avevano visto in Russia nel 1917, divennero 38 propagandisti delle idee bolsceviche. I partiti socialisti europei si chiedevano se rimanere fedeli alla tradizione parlamentare oppure fare la rivoluzione e instaurare la dittatura del proletariato. I sostenitori del modello bolscevico si riunirono a Mosca, con la presidenza di Lenin, gettando le basi per la III Internazionale. -La repubblica ungherese dei consigli e il suo fallimento (marzo-agosto 1919). L’Ungheria fu il primo Stato dell’Europa centro-orientale in cui si ebbe un esperimento bolscevico di una certa durata. Presto il governo Karolyi si trovò a fronteggiare molte difficoltà. La situazione economica era disastrosa, le tensioni sociali favorirono le azioni degli estremisti, riunisti intorno al giornalista socialista Bela Kun. Egli seppe far aderire alla sua causa molti dei socialisti delusi dall’impotenza del governo Karolyi e organizzò con loro il Partito comunista ungherese. Un tentativo fallito di sollevamento lo fece arrestare ma l’episodio fu presto dimenticato, soprattutto a causa della delusione delle aspirazioni in Karolyi, la cui immagine era sempre più offuscata. A Karolyi fu infatti consegnato un ultimatum secondo il quale gli ungheresi dovevano evacuare nuovi territori, nonostante la convenzione dell’armistizio. Deluso, Karolyi si ritirò decidendo di consegnare il potere “nelle mani del proletariato ungherese”. Bela Kun e i suoi amici erano così i padroni del paese. La repubblica ungherese dei consigli era perciò nata. Fu costituito, sotto la presidenza di Bela Kun, un consiglio del commissari del popolo, formato da comunisti e socialisti. Iniziò la nazionalizzazione delle banche e delle industrie, la separazione tra Chiesa e Stato. Gli avversari del regime furono braccati dalla Ceka ungherese, i Ragazzi di Lenin, e furono sommariamente condannati. Preoccupato di difendere la nazione e la rivoluzione da nemici esterni, Bela Kun cosituì un’Armata Rossa . Ma i romeni diedero un colpo di grazia all’esperienza comunista in Ungheria, invadendola e saccheggiandola. La marcia dei romeni verso Budapest provocò la partenza di Bela Kun e dei suoi sostenitori. La situazione ungherese era catastrofica: l’economia era rovinata, vi fu un blocco economico provocato dai paesi vicini. Inoltre il territorio era diviso sotto il controllo dei romeni ad est e al centro, mentre sotto l’esercito nazionale a sud e a ovest. Dopo le ferme proteste dell’Intesa, i romeni evacuarono da Budapest e dal resto del paese, lasciando all’esercito dell’ammiraglio Horthy il territorio. La controrivoluzione aveva vinto, ma il paese era dissanguato e rovinato. -Il fallimento del bolscevismo bulgaro. La maggior parte dei socialisti bulgari scelse di aderire alla III Internazionale a partire dal 1919, trasportando il partito in un Partito comunista bulgaro. Il movimento comunista godette del totale appoggio dei sindacati e al momento delle prime elezioni dopo la guerra ottenne numerosi seggi. La III Internazionale si sforzò di sostenere con tutte le forze il Partito comunista bulgaro, per fare della Bulgaria il punto di contatto con Mosca nei Balcani. Dopo un’ondata di scioperi nei trasporti pubblici e nell’industria, Stambolijski, il capo agrario sostenuto da Boris III, forte dell’appoggio del re, incaricò i contadini di garantire l’ordine e di ostacolare un eventuale sciopero generale. Per il momento l’agitazione comunista cessò. Come in Ungheria, il tentativo di bolscevizzazione era fallito. -La guerra russo polacca. La Polonia aveva una frontiera in comune con la Russia sovietica e il tracciato di questo confine era ancora molto impreciso nel 1919. Dall’aprile all’agosto 1919, il generale Pilsudski contrattaccò violentemente e riprese ai sovietici Brest-Litovsk e la maggior parte della Bielorussia. Gli Alleati erano divisi sul problema dei confini polacchi. Gli inglesi optavano per la Linea Curzon, proposta da un diplomatico britannico, che corrispondeva approssimativamente all’antico confine orientale del Regno del Congresso. La Francia invece, temendo l’espansione del bolscevismo nell’Europa orientale, si mostrava più aperta nei confronti della posizione polacca. Trotski non nascondeva la sua ostilità nei confronti del nuovo regime polacco. Il generale Pilsudski, per contrastare i suoi progetti, decise di dare appoggio al capo ucraino che si era rifugiato in Polonia dopo la vittoria dell’Armata Rossa in Ucraina. L’esercitò polacco attaccò in Ucraina ma la reazione dell’Armata Rossa fu fulminea e furono rioccupate le terre conquistate da Pilsudski. I russi rifiutarono la proposta di una mediazione britannica, mentre a Varsavia un governo di unione nazionale chiese ai 39 russi un armistizio. Solo l’Ungheria si mostrò disposta ad aiutare la Polonia. Nonostante la resistenza accanita dei polacchi, i sovietici proseguivano nell’avanzata finché Pilsudski, deciso a resistere, lanciò una controffensiva che capovolse le sorti della guerra: il “miracolo della Vistola” significò una rovinosa ritirata per l’Armata Rossa. Il governo polacco accettò di trattare e i negoziati si conclusero con il Trattato di Riga. La Polonia storica era quasi ricostituita, ma la Lituania non ne faceva parte. Il nuovo statuto dell’Europa orientale. All’inizio della guerra, i dirigenti dell’Intesa non avevano previsto niente di preciso sulle modificazioni territoriali da realizzare nell’Europa danubiana e orientale. Nessuno pensava di distruggere l’impero austro - ungarico, considerato elemento di stabilità. Al massimo, si pensava a qualche modifica nelle frontiere. Nessuno aveva un’idea precisa nemmeno per quanto riguarda la Polonia. Per quanto riguarda l’impero ottomano, la Russia non nascondeva la sua intenzione di occupare Costantinopoli. Ma quando iniziò la conferenza della pace, alle grandi potenze rimaneva da ratificare la creazione degli Stati nazionali formatisi negli ultimi giorni di guerra e mantenere le promesse fatte nei trattati di alleanza o alle diverse minoranze. I problemi particolari di ogni Stato e i dettagli su nuove frontiere vennero analizzati da commissioni speciali. Una volta approntati i trattati, i paesi vinti furono invitati a firmarli. Fu così che vennero firmati successivamente quello di Versailles con la Germania nel giugno 1919, quello di Saint-Germain con l’Austria nel settembre del 1919, quello di Neuilly con la Bulgaria nel novembre dello stesso anno e quello di Trainon con la Bulgaria nel giugno 1920. I trattati. I trattati conclusi tra le “potenze alleate associate” e i paesi vinti furono imposti, non negoziati. E essi vennero subiti dagli Stati, ma mai accettati, gravando così sull’evoluzione dei rapporti tra gli ex vincitori e gli ex vinti. La sorte degli Stati vinti. -Le frontiere orientali della Germania. Fu dal lato orientale che le perdite tedesche risultarono molto sensibili. Il Trattato di Versailles doveva stabilire il tracciato della frontiera tra la Germania e la nuova Polonia. La Germania dovette lasciare alla Polonia la provincia di Poznania, a maggioranza di popolazione polacca, e parte della Prussia occidentale, che però sfociava su una costa che non disponeva di alcun porto attrezzato, per cui la conferenza di pace decise di fare di Danzica e dintorni una città libera, sotto il controllo della Società delle Nazioni. Così i tedeschi, maggioritari a Danzica, si trovarono staccati dal Reich senza nemmeno essere uniti alla Polonia, e ciò era un’evidente causa di potenziali incidenti e conflitti. Territorio che provocò contestazioni fu l’Alta Slesia, ricca di minerali, rivendicata da entrambe le potenze. Un plebiscito assegnò il territorio alla Germania, ma i polacchi si sollevarono, guidati da un ex deputato al Reichstag, per cui la Società delle Nazioni diede i due terzi del territorio alla Germania mentre il resto andava alla Polonia. La Germania aveva perso in totale circa 4 milioni di abitanti. -L’Austria e l’Ungheria. La nuova Austria aveva dovuto rinunciare alle antiche acquisizioni della Casa d’Asburgo. Queste, popolate da slavi, romeni o italiani, contenevano però anche circa 4 milioni di germanofoni. L’Austria lasciò all’Italia la parte meridionale del Tirolo, a noi promessa per ragioni strategiche e in spregio al reale desiderio della popolazione. Nella regione di Klagenfurt invece, la popolazione si pronunciò al plebiscito esprimendosi a favore dell’Austria, ma il risultato di queste 40 elezioni e tutt’oggi fortemente contestato da sloveni, croati e serbi. Il Trattato di Saint-Germain attribuì il territorio confinante ad Ovest con l’Ungheria all’Austria,ma durante il plebiscito eletto a Sopron e dintorni, gli elettori si pronunciarono a favore dell’Ungheria, che rimase così ungherese. L’Ungheria fu estremamente penalizzata dal Trattato di Trianon, che le sottrasse 2/3 del suo millenario territorio. L’Ungheria diventava uno Stato dalla popolazione omogenea, in cui erano presenti solo due minoranze rilevanti, quella tedesca e quella slovacca, ma più di tre milioni di ungheresi si trovarono inseriti negli Stati vicini, definiti Stati successori. Si sostituiva così il problema delle nazionalità con quello delle minoranze nazionali. - La Bulgaria. La Bulgaria perse, col Trattato di Neuilly, i modesti vantaggi territoriali ottenuti a seguito delle Guerre Balcaniche. A conclusione del conflitto, tutta la popolazione dello Stato era bulgara. La perdita più dolorosa fu quella del litorale egeo, assegnato alla Grecia, e che negava alla Bulgaria il suo unico accesso al mare. In tutti i territori ceduti la popolazione era a maggioranza bulgara. Anche in questo caso, la pace imposta ai vinti era lontana dal basarsi sul principio del diritto dei popoli a decidere della propria sorte. I beneficiari dei trattati. -La Polonia resuscitata. La Polonia resuscitata copriva un territori meno esteso di quello dell’antica Polonia degli Jagelloni, ma più ampio della Polonia odierna, risultando il paese più popolato dell’Europa centro-orientale. In questo nuovo Stato, i polacchi rappresentavano circa il 65% della popolazione totale, con accanto ruteni, ebrei, tedeschi e bielorussi. Per contro ancora numerosi polacchi risiedevano all’interno delle nuove frontiere della Germania e della Cecoslovacchia. -La Cecoslovacchia. A differenza della Polonia, la Cecoslovacchia era una creazione del tutto artificiale, e il territorio fu formato della giustapposizione di tre regioni distinte. Il regno di Boemia e il principato di Moravia, sui quali a lungo regnarono gli Asburgo, con una popolazione formata per 2/3 da cechi e per il resto da tedeschi, ne costituivano la parte occidentale. Secondo elemento che componeva tale Stato era la Slovacchia, il cui territorio aveva fatto parte del regno d’Ungheria dal X secolo. Infine la Cecoslovacchia si fece assegnare la Rutenia Carpatica, già ungherese e la cui popolazione, a maggioranza rutena, si era stabilita in quella zona dal XIII secolo. Il Trattato di Trianon aveva chiaramente previsto che venisse concesso uno statuto autonomo a questa regione, ma nulla si fece sino al 1938. La Cecoslovacchia divenne così uno Stato multinazionale con una popolazione di cui il 40% non era né ceco né slovacco. -La grande Romania. I Trattati di Saint-Germain e di Trianon risultarono molto vantaggiosi anche per la Romania. Le furono incorporate la Bessarabia, tolta alla Russia, la Bucovina, nata dall’Antica Cisleitania , e la Transilvania, tolta all’Ungheria. La definizione della nuova frontiera ungaro-romena provocò violente discussioni: una striscia di territorio larga circa 20km fu attribuita alla Romania, nonostante la popolazione fosse ad ampia maggioranza ungherese, di modo che lo Stato romeno potesse disporre di una strada ferrata. All’antico Stato con una popolazione romena omogenea, veniva a sostituirsi una Grande Romania, in cui le popolazioni allogene costituivano più di un terzo degli abitanti. - Il regno dei serbi, croati e sloveni. Anche il regno di Serbia ebbe grandi vantaggi dai trattati di pace. Col nome di regno dei serbi, croati e sloveni, poi con quello di Jugoslavia, formò un vasto Stato con una popolazione costituita per la maggior parte da slavi del Sud, ma con minoranze nazionali pari al 15% della popolazione totale. All’antico territorio serbo si aggiunsero la Slovenia e la Dalmazia, la Croazia - Slavonia e la Bosnia-Erzegovina. Tre constatazioni possono farsi riguardo all’opera di ricostruzione degli Stati dell’Europa centroorientale alla fine della prima Guerra Mondiale: 41 - non furono i popoli a decidere del proprio destino, ma la loro sorte fu stabilita dalle grandi potenze in funzione di interessi politici ed economici. I vinti vennero trattati molto duramente e paradossalmente, fu la Germania che patì meno di tutti. - il principio del diritto dei popoli di decidere del proprio destino, che era servito a legittimare la guerra condotta dall’Intesa, venne applicato in modo estremamente arbitrario. Le nuove frontiere politiche coincidevano solo eccezionalmente con quelle etniche: salvo alcuni casi estremamente limitati, le popolazioni non furono mai consultate. - infine non era stato previsto nulla per realizzare un minimo di intesa e di cooperazione economica fra Stati che per lungo tempo avevano formato un insieme economico coerente. Lotte politiche e conflitti interni (1919 - 1939). Gli Stati dell’Europa centro-orientale nati o rinnovatisi dopo la Prima Guerra Mondiale presentavano sensibili differenze per quanto riguarda le strutture politiche all’interno delle quali si erano evoluti. Tali diversità non devono però dar dimenticare l’esistenza di alcune costanti riscontrabili nella maggior parte di questi paesi. Le costanti della vita politica. L’evoluzione degli Stati dell’Europa orientale fu condizionata dall’Unione Sovietica. La Rivoluzione d’Ottobre del 1917 esercitò una grande influenza: il bolscevismo fu una minaccia per tutte le nazioni, una prima volta quando l’Ungheria divenne una repubblica sovietica, e una seconda volta quando l’Armata Rossa penetrò nel cuore della Polonia. Dovunque, tranne che in Cecoslovacchia, i partiti comunisti vennero messi al bando e passarono alla clandestinità. Molti dei loro dirigenti fuggirono in URSS e lì attesero con pazienza che la situazione volgesse a loro vantaggio. Altri, meno fortunati, come Bela Kun, vi trovarono la morte durante le purghe staliniste. Ovunque, tranne che in Cecoslovacchia, l’attività sindacale fu controllata dallo Stato se non totalmente proibita. Il potere era esercitato in modo autoritario e i capi di Stato non esitarono mai a ricorrere alla forza per far applicare la loro concezione del potere. La centralizzazione fu norma in Polonia, Romania e soprattutto Cecoslovacchia e gli abusi di questo orientamento provocarono contestazioni che favorirono tendenze centrifughe e separatiste. La crisi economica che colpì duramente questi paesi e l’influenza delle ideologie fasciste comportarono ovunque la comparsa di movimenti estremisti, ispirati ai modelli italiano e tedesco, godendo anche dell’aiuto finanziario proveniente da Roma o da Berlino. Le diversità nazionali. -Un sostituto di democrazia “all‘occidentale”: la Cecoslovacchia. La Cecoslovacchia era un caso unico e raro in questa parte dell’Europa. Almeno in apparenza, era il solo paese governato secondo le norme delle democrazie occidentali, provenienti anche da una Costituzione per la quale il potere legislativo era affidato ad un’Assemblea Nazionale bicamerale ed eletta a suffragio universale. I membri del parlamento eleggevano il presidente della repubblica, che era il capo del potere esecutivo, era eletto per sette anni, disponendo di poteri estesi, come quello di designare il presidente del Consiglio e i ministri, ma era anche capo dell’esercito. La vita politica fu caratterizzata, in primo luogo, dalla molteplicità dei partiti nazionali cecoslovacchi, che erano più di una ventina e di dividevano i voti degli elettori. Accanto ai partiti nazionali vi erano i rappresentanti degli autonomisti slovacchi,i diversi partiti tedeschi, ungheresi, che potevano dare un contributo per fare o disfare un governo. Il problema che compromise la vita politica della prima repubblica cecoslovacca fu quello dei rapporti fra le due 42 nazionalità dominanti dello Stato. L’unione di cechi e slovacchi avrebbe dovuto portare alla formazione di uno Stato federale nel quale cechi e slovacchi avrebbero goduto degli stessi diritti e avrebbero avuto gli stessi doveri. Ma fin dal termine del conflitto, la parte slovacca del paese fu trattata come zona di conquista e i “liberatori” si comportarono più come conquistatori che come fratelli. L’anticlericalismo del nuovo regime ferì gravemente gli slovacchi, molto legati alla propria fede cattolica. La parte slovacca del paese fu posta sin da subito sotto l’autorità di funzionari cechi. Il clero locale cominciò a combattere: l’abate Hlinka si recò a Parigi per cercare di difendere i diritti dei suoi compatrioti dinnanzi alla conferenza di pace, ma l’influenza dei dirigenti di Praga era così forte, che a Parigi l’abate Hlinka fu espulso. Di ritorno nel suo paese, egli organizzò un movimento autonomista in un Partito populista slovacco, che ebbe l’appoggio della Chiesa cattolica slovacca. Il partito inizio ben presto ad ottenere ampi consensi, fino alla vittoria schiacciante del 1938. I sostenitori di una Slovacchia autonoma erano ampiamente maggioritari. Il desiderio di autonomia non era, come cercava di dimostrare il governo di Praga, un’esigenza di pochi clericali oscurantisti, bensì l’aspirazione di tutto un popolo. Masaryk riconosceva che gli slovacchi preferivano la precedente “oppressione ungherese” ai “liberatori” cechi e sin dall’inizio il governo scelse di mantenere gli slovacchi nello Stato con l’uso della forza. Gli slovacchi vennero sistematicamente allontanati da ogni carica importante, e per controllare i “fratelli inferiori” furono stabiliti in Slovacchia migliaia di coloni cechi. Ma Praga si era costruita una tale fama di democraticità presso influenti giornalisti della stampa francese e anglosassone, da risultare quasi immacolata, mentre invece la Slovacchia rimaneva sotto ogni profilo una colonia dello Stato cecoslovacco, sfruttata a esclusivo vantaggio ceco. -La Polonia: dalla democrazia parlamentare alla dittatura militare. Dopo le elezioni all’Assemblea Costituente, la Polonia si dotò di una Costituzione provvisoria che affidò il potere a un presidente della repubblica. Fin dall’inizio il capo dello Stato, che esercitava contemporaneamente le funzioni di comandante in capo delle forze armate, si trovò a disporre di poteri considerevoli. Dopo discussioni fra la destra guidata dal populista Witos, favorevole a un regime parlamentare perché temeva il potere incarnato da Pilsudski, e la sinistra che auspicava un regime presidenziale, l’Assemblea votò una Costituzione definitiva dello Stato polacco, che instaurava un regime parlamentare bicamerale eletto a suffragio universale. Alla testa del potere esecutivo, il presidente della repubblica veniva nominato per sette anni dai membri delle due camere. Il maresciallo Pilsudski, ritenendo i poteri presidenziali troppo limitati, rifiutò di candidarsi. Venne eletto in seguito il socialista Narutowicz, al quale la destra rimproverò gli antenati ebrei e che infatti fu assassinato da un nazionalista. L’Assemblea Nazionale nominò presidente Wojciechowski, che godeva dell’appoggio di Pilsudksi. I primi governi che gestirono la vita politica del paese ebbero varie difficoltà: svalutazione della moneta, agitazione sociale, difficili relazioni con l’esercito. Pilsudski si ritirò dalla scena e vi riapparve quando il suo antico avversario Witos ritornò al potere. Nel marzo 1926 truppe a lui fedeli marciarono su Varsavia. Il presidente Wojciechowski e il governo presentarono le dimissioni per porre fine a questa lotta fratricida. Pilsudski venne eletto presidente della repubblica, rifiutò il ruolo a favore di un suo amico socialista, e di fatto continuò a gestire il potere. Costruì pian piano una vera dittatura, allorchè l’opposizione, formata da democristiani, socialisti e populisti decise di riunirsi in un congresso che si tenne a Cracovia, in cui furono pretese le dimissioni di Pilsudski. La reazione del presidente fu brutale e i principali capi dell’opposizione vennero arrestati. Dopo la morte di Pilsudski la Polonia fu soggetta a un potere autoritario. La dittatura del maresciallo fu sostituita da quella dei colonnelli: i partiti di opposizione furono ridotti al silenzio e i loro capi imprigionati. Molti capi comunisti fuggirono in URSS ma alcuni furono eliminati nelle purghe staliniste e addirittura nel 1938 Mosca decise lo scioglimento del partito comunista polacco per deviazionismo. Vari furono i disordini in questo periodo, soprattutto nelle campagne: non tutto il paese era d’accordo con il regime dei colonnelli. - Un regno senza re: l’Ungheria di Horthy. Poiché i paesi dell’Intesa avevano dichiarato che 43 si opponevano a qualsiasi restaurazione degli Asburgo in qualsiasi paese danubiano, l’Assemblea Nazionale nominò reggente d’Ungheria l’ammiraglio Horthy. La sua elezione fu da molti considerata come una soluzione provvisoria in attesa di una restaurazione del legittimo re, non appena la situazione lo avesse permesso. Ma quando il re Carlo cercò di ritornare in Ungheria, l’atteggiamento ostile del reggente e le minacce di un intervento armato fecero fallire la restaurazione. Il parlamento ungherese votò la detronizzazione, che escludeva dal trono la famiglia degli Asburgo e restituiva alla nazione il diritto di eleggere il proprio sovrano. Il potere legislativo spettava ad un parlamento formato da due Assemblee. A differenza della Polonia, l’Ungheria non era uno Stato totalitario, piuttosto uno Stato conservatore con tendenze autoritarie, ma nel quale l’opposizione era ammessa e tollerata. La vita politica era dominata dalla ricostruzione morale ed economica del paese. La stabilizzazione della moneta permise una ripresa economica che però fu interrotta dalla crisi mondiale del 1030-1931. Davanti alla crisi i partiti estremisti si rafforzarono: a sinistra il Partito comunista clandestino organizzò manifestazioni operaie; all’estrema destra i nazionalisti si svilupparono in vari movimenti dalle tendenze fasciste, che si riunirono sotto il Partito delle croci frecciate. Le elezioni del maggio 1939, le sole veramente libere di tutta l’epoca di Horthy, in cui venne eletto il conte Pal Teleki, sottolineavano la posizione originale dell’Ungheria con il suo regime costituzionale e parlamentare in questa parte d’Europa dove a dominare erano le dittature. Le dittature balcaniche. Durante l’epoca tra le due guerre, gli Stati balcanici furono caratterizzati dalla presenza di regimi dittatoriali, molto più vicini alla tradizione ottomana che a quella delle democrazie occidentali. Ognuno di questi Stati costituiva in sé un caso particolare. - Dal tribalismo alla dittatura reale: l’Albania. La situazione politica movimentata dell’Albania era causata sia da una ardiva presa di coscienza del sentimento nazionale, sia dall’azione costrittiva delle strutture tribali tradizionali, sia dai diversi interventi stranieri, italiani, greci, jugoslavi. Il personaggio più in vista era il giovane capo di una tribù guerriera dell’Albania centrale, Ahmed Zogu, che disponeva dei mezzi militari per imporre la propria autorità. Impadronitosi del potere e proclamatosi capo del governo, Zogu fu rieletto l’anno seguente, senza che però i suoi avversari, con a capo Fan Norli, deponessero le armi. Ferito in un attentato, Zogu si rigugiò in Jugoslavia, aspettando il momento per rientrare in paese. Sei mesi dopo la sua caduta, Zogu riapparve in Albania e scacciò da Tirana il governo di Fan Norli, che si era nel frattempo insediato. Proclamato presidente della repubblica albanese, Zogu esercitò un potere dittatoriale con il sostegno dell’Italia mussoliniana. Proclamato da un’Assemblea nazionale re ereditario d’Albania, Zog I fu un despota che però cercò di modernizzare il paese. Mussolini, preoccupato di un eventuale riavvicinamento dell’Albania alla confinante Jugoslavia e alle democrazie occidentali, mise brutalmente fine al regno di Zog, invase il suo paese e proclamò re d’Albania Vittorio Emanuele III. L’indipendenza dell’Albania fu di breve durata. - Dalla dittatura verde a quella reale: la Bulgaria. Aleksander Stambolijski cercò di stabilire, nell’ambito della monarchia, una “dittatura verde”. Il re Boris III lo lasciò governare del tutto. Egli cercò di soddisfare i contadini, che rappresentavano ¾ della popolazione del paese. Abolì i loro debiti ma pretese da loro una manodopera quasi gratuita per la realizzazione di opere di interesse comune. Fu anche abbozzato un avvicinamento politico all’URSS ma il timore di una bolscevizzazione spinse i partiti borghesi a fare blocco comune contro gli agrari. Gli ambienti nazionalisti passarono all’azione contro il regime di Stambolijski e denunciarono l’accordo stipulato con la Jugoslavia per lottare contro i gruppi che combattevano per la liberazione della Macedonia come un tradimento alla patria bulgara. Stambolijski reagì creando corpi di contadini a lui devoti, le guardie arancioni, ma gli oppositori, in un colpo di Stato, si impadronirono nella notte dei punti chiave della città di Sofia, arrestando i ministri. Il re Boris III incaricò il capo dell’opposizione Tsankov di formare un nuovo governo. Stambolijski fu 44 condannato a morte brutalmente e i comunisti, che a volte lo avevano sostenuto, non si mossero al momento del colpo di Stato. Il loro comitato progettò in seguito un’insurrezione armata a cui aderirono gli agrari. Il governo reagì con migliaia di arresti preventivi. La repressione fu durissima e si parlò di parecchie migliaia di vittime del Terrore bianco: il Partito cominista fu messo fuori legge ma i suoi membri fecero in tempo a fuggire all’estero. Il governo Tsankov, di ispirazione conservatrice e nazionalista, organizzò e vinse le elezioni successive. L’opposizione, anche se presente, era però sempre sotto sorveglianza della polizia. La sua azione terroristica più spettacolare fu l’esplosione di un ordigno nella cattedrale di Sofia poco prima dell’arrivo del re, che causò centinaia di morti e feriti e che causò un inasprimento del governo. Il re Boris però, preoccupato per gli eccessi del Terrore bianco che ne seguirono, affidò il governo al macedone Liapcev, ma una crisi economica risultò fatale al suo governo: alle elezioni successive vinsero l’opposizione agraria e i moderati del Partito democratico, che stabilirono un regime più liberale. L’affermazione crescente del nazismo in Germania, ravvivò presto l’agitazione nazionalista in Bulgaria e il gruppo Zveno, vicino alla Germania, si impadronì del potere con la forza. I militari che avevano preso potere, pur presentandosi come ultra-nazionalisti, con stupore iniziarono una politica di intesa con Jugoslavia e URSS. Ma Boris non li lasciò a lungo padroni dello Stato e scelse di governare in un regime autoritario, la cui politica si avvicinò sempre di più a quella tedesca. - Dalla corruzione alle rivoluzioni di palazzo: la Romania. La Romania del periodo tra le due guerre mondiali fu caratterizzata sia dalle lotte violente tra le varie lotte politiche, sia dalle dispute all’interno della famiglia reale. L’istituzione del suffragio universale e l’annessione al regno delle nuove province sconvolsero la vita politica del paese. La spartizione del partito conservatore, condannato per il suo germanofilismo, lasciò spazio al Partito liberale di Ionel Bratianu, difensore degli interessi della borghesia, e alla Lega del popolo del generale Avarescu, favorevole a un regime autoritario. A sinistra il Partito liberale conobbe una ripresa grazie allo scontento popolare dovuto alle difficoltà economiche. Gran parte dei suoi militanti aderì alla III Internazionale e formò il Partito comunista romeno. Le elezioni nel novembre 1919, le prime quasi libere, diedero la maggioranza al Partito contadino di Mihalache e al Partito transilvano di Maniu. Formatosi un governo di coalizione, il potere fu affidato all’energico generale Avarescu, che nonostante il ricordo che aveva lasciato della sua politica di repressione contadina, cercò di risolvere il problema contadino con una riforma agraria che calmò l’agitazione contadina, ma il carattere dittatoriale del suo governo fece aumentare lo scontento. Il re chiamò allora al governo i liberali con Ionel Bratianu e venne adottata una nuova Costituzione. Il potere esecutivo era detenuto dal re e dal governo, che il sovrano revocava e designava a suo piacere. Il potere legislativo era esercitato da un parlamento formato da due Assemblee. Le elezioni successive, che garantirono ai liberali una clamorosa vittoria, non furono però molto significative: la pressione delle autorità, i pestaggi contro l’opposizione e le violenze di ogni tipo avevano superato ogni livello. La vita politica si complicò ulteriormente dopo la morte del re Ferdinando. La corona, a causa della vita dissoluta che conduceva, non toccò al figlio del re defunto, il principe Carol, ma al figlio Michele, che Carol aveva avuto dalla moglie illegittima, una semi-prostituta ebrea. Michele, di sei anni, regnò sotto un consiglio di reggenza. I nazional-contadini vollero approfittarne per ottenere l’allontanamento dei liberali. Le strade erano divenute principale terreno di scontro tra le diverse fazioni politiche. Nelle successive elezioni politiche primeggiò Maniu, a capo del Partito nazionale contadino, che però non mutò i costumi politici tipici dei suoi avversari. Obiettivo principale di Maniu era di far tornare Carol dal suo esilio parigino, farlo nominare reggente unico e governare al suo posto il paese. Arrivato in Transilvania, fu nominato re di Romania, come Carol II, ma il suo ritorno non portò a soluzioni. Dopo il ritiro di Maniu a causa di un disaccordo col sovrano, si succedettero vari governi incapaci di fronteggiare le difficoltà del momento: agitazioni contadine e scontenti tra la classe operaia causati dall’aumento della disoccupazione. Si affermarono i movimenti estremisti, in particolare quelli dei gruppi nazionalisti e antisemiti, a svantaggio delle forse politiche tradizionali. All’inizio degli anni 45 trenta dominava nell’estrema destra la personalità di Corneliu Codreanu, che assorbì tutti i movimenti estremi nazionali nella Guardia di Ferro, movimento politico di ispirazione ultra-nazionalista e antisemita, che disponeva dei Guardisti, forze paramilitari le cui però violenze comportarono lo scioglimento del movimento da parte del governo Maniu. L’ondata antisemita portò all’espulsione degli ebrei da alcune cariche e professioni. A partire dal 1938 il re Carol II esercitò una vera dittatura. Inizialmente attaccò l’estrema destra, facendo arrestare Codreanu e i guardisti, che furono imprigionati, e molti tra questi morirono in un preteso tentativo di fuga. Contemporaneamente furono internati socialisti e comunisti e col tempo Carlo approfittò del suo potere per sciogliere tutti i partiti e creare un partito unico, il Fonte della Rinascita Nazionale. Ormai era l’unico e assoluto padrone dello Stato. - La dittatura panserba. Il proclama dell’unione di tutti gli slavi del Sud in un regno dei serbi, croati e sloveni l’1 dicembre 1918, portò all’annessione degli altri popoli jugoslavi e di numerose minoranze nazionali ai serbi. Nel nuovo stato l’elemento serbo svolse un ruolo dominatore: il potere reale era nelle mani della dinastia dei Karagjeorgjevic. La politica dei governi che si succedettero fu centralizzatrice, nazionalista, panserba e autoritaria. Il nuovo regime doveva lottare sia contro le tendenze federaliste delle province, che contro un Partito socialista operaio che aveva aderito alla III Internazionale, diventando il Partito comunista jugoslavo. Il partito radical-serbo di Pasic, al potere dall’ascesa al trono del re Pietro, continuò a dominare la scena politica anche dopo la morte del suo capo storico,con il sostegno del partito democratico e di quello agrario. La maggioranza panserba adottò nel 1921 una Costituzione di ispirazione centralizzatrice e autoritaria: il regime così creato era una dittatura appena dissimulata da istituzioni parlamentari di cui norma erano la corruzione e le pressioni elettorali. Il primo a essere messo fuorilegge fu il Partito comunista in seguito a degli scioperi, poi fu il turno del Partito contadino, che aveva osato reclamare il diritto all’autodeterminazione per il popolo croato. Il parlamento fu luogo di scontri sempre più violenti tra i partiti serbi e quelli delle altre regioni del regno. Punto di non ritorno furono i colpi di pistola di un deputato montenegrino in piena seduta. Il re Alessandro abolì la precedente Costituzione, tutte le assemblee locali elette furono sostituite da commissioni nominate dal potere centrale; ciò che era rimasto della libertà individuale e di stampa fu eliminato. Poi il re promulgò una nuova Costituzione ancora più centralizzata. Il paese, che si chiamava Jugoslavia, venne diviso in nove distretti , i partiti politici erano permessi solo se non fondati su base regionale. Furono messi fuori legge i partiti che rappresentavano le minoranze o i gruppi etnici. La conseguenza della dittatura reale fu la radicalizzazione dei movimenti ostili al nazionalismo panserbo. Fu chiesta l’uguaglianza tra le componenti etniche della Jugoslavia e gli argomenti non mancavano: tutti i posti direttivi erano detenuti da serbi. La risposta del re fu negativa e anzi i richiedenti furono arrestati. Da allora l’azione diretta apparve a molti l’unico modo efficace e al terrorismo panserbo si sostituì quello antiserbo. L’attentato al re Alessandro di Jugoslavia paradossalmente sbloccò la situazione: a causa della giovane età del re Pietro II, le funzioni di reggente vennero esercitate dal principe Paolo. L’allora presidente del Consiglio conseguì un accordo col Partito contadino, che portò alla creazione di un dipartimento autonomo di Croazia. Tale concessione sembrava essere dettata da opportunismo piuttosto che da sincero desiderio di trovare un accordo. Come la Cecoslovacchia, così la Jugoslavia non aveva realizzato l’unione morale delle sue popolazioni: creazione artificiale, ne avrebbe presto subito le conseguenze. L’impossibile equilibrio economico tra le due guerre. Gli sconvolgimenti della configurazione territoriale dell’Europa centrale e orientale a seguito dei trattati del 1919-1920 avevano provocato la disgregazione dei sistemi economici preesistenti. La 46 nascita di nuovi Stati, gelosi della loro indipendenza, comportò la moltiplicazione delle frontiere politiche, doganali e monetarie. Era evidente lo sviluppo economico diseguale, e mentre la Cecoslovacchia poteva essere paragonata ai paesi industrializzati dell’Europa del nord occidentale o alla Germania, le altre nazioni avevano un’economia ancora fortemente accentrata sull’agricoltura. Tra gli Stati agricoli, alcuni avevano comunque un settore industriale di importanza non trascurabile. Risorse energetiche e minerarie erano ripartite in modo diseguale. All’indomani della guerra, tutti gli Stati dell’Europa centrale e orientale cercarono di vivere soltanto delle proprie risorse nazionali e di salvaguardare i loro settori deboli con tasse doganali molto protezioniste. Una simile politica portò presto alla riduzione degli scambi tra paesi vicini. Le nuove frontiere, in particolare quelle delimitanti gli Stati sorti dallo smembramento dell’Austria - Ungheria, avevano separato regioni con economia e risorse del tutto complementari, situazione che quasi sempre andò a vantaggio delle grandi potenze. Le nuove frontiere perturbarono anche le tradizionali correnti migratorie di manodopera tra regioni vicine e con attività complementari. Sia gli Stati vincitori che quelli vinti conobbero gravi difficoltà economiche: il sistema monetario venne totalmente sconvolto e in alcuni Stati circolavano anche tre valute differenti. Oltre ai problemi monetari, queste nazioni dovettero far fronte a crisi d’impiego, a causa dell’afflusso di manodopera in seguito alla smobilitazione di centinaia di migliaia di uomini prima reclutati nei vari eserciti. L’emigrazione, soprattutto verso la Francia, attenuò parzialmente queste difficoltà. I governi dei paesi dell’Europa centrale e orientale avevano cercato tutti di risolvere il problema del latifondo. Ogni Stato cercò di sviluppare una sua industria, ma le barriere doganali che li separavano frenarono notevolmente gli scambi tra di loro, al punto che la ricerca di sbocchi esterni era indispensabile. Nonostante i salari relativamente bassi, i prezzi dei manufatti erano poco concorrenziali. Una cooperazione economica tra gli Stati dell’Europa centrale e orientale avrebbe di certo accelerato la ricostruzione di queste nazioni, ma il nazionalismo esasperato o il rancore degli sconfitti bloccarono a lungo i tentativi di un’unione doganale. La crisi mondiale degli anni ‘30 colpì questa fragile ricostruzione economica e la saturazione del mercato dei prodotti agricoli provocò un crollo generale nei prezzi del settore. Dovunque furono prese misure protezioniste, il che impedì ai paesi dell’Europa centrale e orientale di esportare i loro prodotti tradizionali. In tutti questi paesi il fenomeno della disoccupazione si estese, tanto più che i tradizionali Stati di accoglienza chiusero le porte al flusso dei lavoratori stranieri. Alcuni dirigenti politici credevano giunto il momento di stabilire un minimo di cooperazione tra gli ex Stati facenti parte della monarchia Austro - Ungarica. Il piano più noto zq<proposto dalla monarchia francese fu quello Tardieu, che contemplava il progressivo smantellamento delle barriere doganali dei paesi danubiani. Questo e molti altri tentativi furono destinati al fallimento per varie ragioni: in primo luogo tra ex vinti ed ex vincitori le tensioni erano tali da rendere difficile ogni apertura a trattative.Inoltre l’Italia e la Germania, avendo interessi in quelle regioni, fecero di tutto per silurare simili piani. L’incapacità degli Stati dell’Europa centrale e orientale di trovare tra loro un modus vivendi facilitò notevolmente le ambizioni egemoniche della Germania nazionalsocialista. Appariva adesso tutto il vuoto lasciato dalla scomparsa dell’impero austro-ungarico, che Hitler non avrebbe tardato a colmare. L’Europa orientale nelle relazioni internazionali. All’indomani della guerra, le potenze che avevano organizzato la suddivisione dei territori non sarebbero rimaste indifferenti a quanto poteva accadere in quella zona. L’immediato dopoguerra fu inizialmente caratterizzato da una penetrazione politica ed economica delle tre grandi potenze europee vittoriose, Francia, Regno Unito e Italia, che si sforzarono di trarre profitto dall’isolamento sovietico e dalla momentanea cancellazione della Germania. In effetti i paesi dell’Europa centro-orientale 47 rappresentavano un eccellente protezione che separava il mondo tedesco da quello sovietico. Per fronteggiare un’eventuale alleanza tra nazionalismo tedesco e bolscevismo russo, gli Alleati avevano progettato la politica del Cordone sanitario, che consisteva nel separare la Germania dall’URSS con un blocco di Stati alleati tra loro e integrati nel sistema di difesa occidentale. I paesi dell’Europa centroorientale costituivano, con le loro economie più o meno sconvolte dalla guerra, un interesse economico sicuro. Il ritardo economico della maggior parte di queste nazioni offriva un importantissimo mercato, che in misura maggiore sfruttarono gli inglesi. A Londra, l’idea di un Cordone sanitario appariva troppo illusoria e, in nome del realismo, gli inglesi furono i primi a riprendere le relazioni commerciali con il nuovo Stato sovietico. La Francia svolse solo un ruolo secondario sul piano economico e finanziario: i suoi uomini d’affari mancavano di dinamismo e i suoi mezzi erano relativamente modesti. La politica francese, per quanto riguarda i paesi danubiani, sembrò manifestare delle esitazioni già all’indomani della guerra: bisognava sostenere i giovani Stati amici o meglio giocare la carta di una federazione danubiana diretta dagli ungheresi? L’Italia non restò inattiva in questa zona dell’Europa e non vide di buon occhio sia il tentativo di riavvicinamento franco-ungherese, sia gli accordi francesi con la Piccola Intesa, che all’Italia non stava particolarmente simpatica per l’aperto contenzioso con la Jugoslavia riguardo Fiume. Di conseguenza si sforzava di stabilire contatti con gli Stati vicini e rivali della Jugoslavia. L’Albania non fu l’unico oggetto delle mire italiane: poiché la Francia si appoggiava agli Stati beneficiari dei trattati, l’Italia diede il via ad una politica di riavvicinamento alle vittime degli stessi, Ungheria e Bulgaria, entrambe duramente colpite dai trattati e isolate dai propri vicini. L’arrivo al potere di Hitler in Germania nel ‘33 modificò profondamente l’equilibrio di forze nell’Europa centro-orientale. L’economia tedesca era presente nella maggior parte dei paesi di questa zona. Per Hitler questa era una parte dell’Europa che poteva essere sbocco per i manufatti tedeschi e fonte di derrate alimentari e materie prime. Nel 1938, la Germania e l’Italia erano le potenze più influenti nell’Europa centro-orientale. Nel 1939, l’epoca in cui la formazione di Stati nazionali nell’Europa centrale e orientale aveva potuto creare speranze di pace e prosperità si era ormai conclusa. Le ingiustizie e i rancori avevano procurato molte delusioni e i nazionalismi si erano esasperati. L’ora del regolamento dei conti era vicina. Una fonte di tensione fra Stati: il problema delle minoranze nazionali. Milioni di uomini e donne furono separati dalla propria comunità nazionale e incorporati all’interno degli Stati beneficiari dei trattati. Erano queste le minoranze nazionali, gruppi di individui con caratteristiche etniche o religiose diverse da quelle della maggioranza della popolazione dello Stato all’interno del quale sono stati incorporati e che si considerano oppressi. Le grandi potenze si resero conto dei pericoli che comportava per la pace, l’incorporazione di numerose popolazioni strappate alla loro patria d’origine. Le grandi potenze imposero alle nazioni che beneficiarono dei trattati di pace, la firma di impegni per garantire la protezione dei diritti delle popolazioni allogene. La firma dei trattati sulla protezione delle minoranze non fu sempre facile da ottenere: in Polonia ad esempio vennero firmati solo in seguito a pressioni esercitate dalle grandi potenze. Per conferire a questi documenti tutto il valore, furono posti sotto la garanzia della Società delle Nazioni, il cui consiglio elaborò una dettagliata procedura perché le minoranze potessero ricorrere a petizioni. Procedure però piuttosto lunghe rendevano inefficace qualsiasi intervento da parte della Società delle Nazioni nel caso in cui i diritti di una minoranza nazionale fossero stati violati da uno Stato, anche perché lo Stato accusato disponeva di mezzi procedurali in grado di trascinare la situazione per le lunghe. Furono soprattutto le minoranze tedesche in Polonia, Cecoslovacchia e Jugoslavia, quelle ungheresi in Romania, Cecoslovacchia e Jugoslavia ad essere principali vittime dell’oppressione esercitata nei loro confronti 48 dai nuovi Stati. All’epoca il nazionalismo faceva da padrone e mai in pecedenza aveva raggiunto tale livello di esasperazione. Furono soprattutto la Romania, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia a mostrarsi più oppressive nei confronti delle minoranze nazionali. I dirigenti di questi paesi si resero conto che il gran numero di popolazioni allogene era un regalo velenoso fatto dalle grandi potenze. Era necessario assimilare, per non dire eliminare, queste minoranze nazionali. I metodi usati furono ovunque gli stessi: mantenimento prolungato dello stato d’emergenza nei territori annessi, violenze fisiche e morali dove il gruppo minoritario era di ridotta importanza. Quando si presentava più compatto, a volte si espelleva in blocco tutta una popolazione, a volte lo si faceva con le élites, in modo da privare la minoranza delle sue guide naturali. Per indebolire ulteriormente le minoranze, gli Stati si sforzarono di rovinarle economicamente con le riforme agrarie, espropriando terre, inviandovi nuovi coloni. Tuttavia in seguito ai consigli di moderazione e prudenza dati dalla Francia, si assistette ad una certa normalizzazione, ma i membri delle minoranze nazionali rimasero cittadini di seconda classe. Frequenti erano le misure discriminatorie in materia culturale e linguistica. L’ascesa di Hitler al potere e l’appoggio dato dalla Germania alle minoranza tedesche dei paesi dell’Europa centro-orientale, portarono alcuni Stati ad adottare una politica più liberale nei confronti delle minoranze. Nel 1938, le concessioni che i governi si preparavano ad accordare alle loro minoranze nazionali venivano molto in ritardo: non erano più in grado di far dimenticare alle vittime dei trattati le vessazioni e le ingiustizie che subivano da vent’anni. Sia le minoranze nazionali che i governi della loro patria d’origine esigevano ormai la revisione dei trattati. Paradossalmente fu Iter a presentarsi come il difensore per eccellenza del diritto dei popoli a disporre del proprio destino e fu verso di lui che i tedeschi, ungheresi, croati e slovacchi volsero lo sguardo. Da Monaco a Yalta. L’annessione dell’Austria da parte di Hitler nel marzo 1938 e la creazione della Grande Germania, furono le manifestazioni della fragilità dell’edificio costruito dai vincitori della Prima Guerra Mondiale. La Germania disponeva di una vasta area di punti d’appoggio, costituita dalle minoranze tedesche, aveva il sostegno di movimenti nazional-socialisti e autonomisti.Inoltre, grazie ad accordi commerciali e finanziari, grande era la sua pressione sui governi. La fine della Cecoslovacchia. Negli anni trenta la Cecoslovacchia era considerata lo Stato più potente e meglio armato del mondo danubiano. Tuttavia, la presenza sul suo territorio di forti minoranze, costituiva un fattore di debolezza. Il rafforzamento della potenza militare tedesca dopo l’arrivo al potere di Hitler e l’indebolimento della Francia costituirono altre minacce. Fin dall’inizio del 1938 le varie minoranze, su iniziativa del Partito tedesco dei Sudeti, decisero di unirsi agli autonomisti slovacchi per reclamare concessioni al governo di Praga. A Germania era convinta di poter aver al suo fianco l’Ungheria in un’eventuale azione contro la Cecoslovacchia, ma i dirigenti ungheresi, per nulla entusiasti della proposta, erano anche consci della loro inferiorità militare. Il presidente Benes optò per una politica di forza. Col pretesto di una concentrazione di truppe tedesche alle frontiere, il clima si riscaldò. Non potendo però Benes, contare sull’aiuto dell’URSS, dovette assumere un atteggiamento più morbido, e iniziò negoziati con i rappresentanti dei Sudeti, quando però Hitler si pronunciò brutalmente in un discorso a proposito delle sevizie di cui erano vittime i tedeschi dei Sudeti. Dinnanzi a questa situazione, il primo ministro britannico, Chamberlain, decise di incontrare Hitler, e Benes dovette, dopo questo incontro, rassegnarsi a cedere quei territori che gli stessi Alleati gli avevano fornito del 1919. In un secondo incontro tra 49 Chamberlain ed Hitler, lo statista inglese si vide avanzare nuove richieste: il cancelliere tedesco voleva riforme dello stesso tipo per Polonia e Ungheria. Tali pretese provocarono una forte emozione e la guerra sembrava in agguato. Alla conferenza di Monaco, Hitler, Mussolini, Chamberlain e Daladier si accordarono sulla cessione alla Germania dei territori germanofoni dei Sudeti, imponendo così alla Cecoslovacchia di dare proprio quello che due tra loro avevano in passato concesso. Subito dopo la conclusione degli accordi le autorità tedesche presero possesso dei territori loro ceduti. La Polonia reclamò la cessione del territorio di Teschen in cui vi era una popolazione al 70% polacca e procedette con l’occupazione del territorio. L’opinione pubblica ceca era molto delusa per l’atteggiamento degli occidentali e, sola, si trovò costretta, nel tentativo di salvare il suo Stato, a concedere una certa autonomia agli slovacchi. Gli ungheresi pensavano che fosse giunto il momento per presentare le loro richieste di revisione delle clausole territoriali del Trattato di Trianon. I contatti tra governo ungherese e cecoslovacco si risolsero in un fallimento. Le due parti decisero di mettersi all’arbitraggio di Germania e Italia. Alla fine del 1938 lo Stato cecoslovacco esisteva ancora, ma amputato di una parte importante del territorio originario. Adesso la popolazione era molto più omogenea, e poche le minoranze. A partire dal novembre 1938, si assistette in Cecoslovacchia ad un orientamento politico nuovo: la democrazia cecoslovacca degenerò in un sistema autoritario. L’opposizione parlamentare fu messa a tacere. La Slovacchia non nascondeva più la sua intenzione di divenire Stato indipendente e sovrano. Ancora una volta, nel marzo 1939, le tensioni in Cecoslovacchia portarono Hitler ad intervenire. Sfruttò bene questa situazione e persuase la Slovacchia che era giunto il momento di intervenire e realizzare la sua indipendenza, e che avrebbe ottenuto tutto il suo appoggio. Quando l’indomani la Dieta slovacca si riuniva a Bratislava, veniva proclamata l’indipendenza. Questa indipendenza segnò l’inizio della rapida agonia della Cecoslovacchia. Hitler convocò a Berlino il presidente cecoslovacco e in un incontro drammatico lo costrinse a porre sotto protezione del Reich ciò che rimaneva della Cecoslovacchia, che diveniva così il Protettorato tedesco di Boemia e Moravia. La Cecoslovacchia aveva cessato di esistere. Romania e Jugoslavia non intervennero, ma Londra e Varsavia ebbero una brutale presa di coscienza delle ambizioni di Hitler. La Polonia, per la sua posizione di porta dell’Europa dell’Est, era la prossima vittima. La quarta spartizione della Polonia. All’indomani di Monaco, le relazioni tra Polonia e Germania iniziarono a deteriorarsi. Esistevano antichi motivi di tensione: il problema di Danzica e del corridoio. La città libera era ormai diretta dai nazisti e non faceva mistero sul desiderio di tornare alla Germania. Ribbentrop propose all’ambasciatore polacco a Berlino che Danzica ritornasse tedesca, in cambio la Polonia avrebbe conservato una zona franca nel porto di Danzica. Il colonnello Beck fece rispondere che la restituzione di Danzica era categoricamente esclusa. A livello governativo nulla sembrava mutato nelle relazioni tra i due paesi, ma sul luogo, in Polonia, gli incidenti tra tedeschi e polacchi diventavano sempre più frequenti. La fermezza di Beck venne ben accolta dal governo britannico, deluso dalle inadempienze di Hitler alle sue promesse, e Beck si recò a Londra per firmare un trattato di alleanza. Pochi giorni dopo la Francia assunse lo stesso atteggiamento. Anche l’Ungheria appoggiava la Polonia. Proprio quando la Polonia riceveva l’appoggio di questi Stati, Hitler preparava un piano d’attacco, e firmava con l’Italia il patto d’acciaio. Di fronte alla minaccia tedesca, Francia e Regno Unito si rivolsero all’URSS, ma difficile risultò il contatto: la Polonia non voleva le truppe russe passassero per il suo territorio, e la Russia da parte sua sembrava divertirsi nell’allungare le trattative. In realtà l’URSS nascondeva un doppio gioco, evidente a tutti solo quando una delegazione tedesca arrivò a Mosca per firmare un patto di non aggressione. Tale patto, valido per dieci anni e sin da subito, stabiliva l’impegno da entrambe le parti di non partecipare ad alleanze che li ponessero l’uno contro l’altro, ma più importante era il protocollo segreto, secondo il quale all’URSS sarebbe spettata una parte dell’influenza sulla Polonia e sulle repubbliche baltiche fino alla Finlandia. Dopo la firma di questo patto era inutile illudersi sulle 50 sorti della Polonia. L’1 settembre 1939 l’esercito tedesco entrava in Polonia e Danzica veniva annessa al Reich. L’invasione generò la mobilitazione della Francia e il 3 settembre Francia e Regno Unito dichiaravano guerra alla Germania. Gli Stati danubiani e balcanici, Italia e URSS si mantennero neutrali. La Polonia aveva frontiere facilmente difendibili solo dalla parte dei suoi amici ungheresi e romeni, ma dal lato del pericolo vi erano solo pianure aperte. Inoltre il nemico tedesco era meglio equipaggiato, rispetto ai polacchi, poco motorizzati e costituito per la maggior parte da cavalleria. Fin dai primi giorni l’aviazione polacca fu rasa al suolo dai bombardamenti della Luftwaffe. Ciò che minò più di tutto il morale dei polacchi furono i bombardamenti sui civili. L’esercito polacco, disperso in tutto il territorio nazionale, si trovò presto braccato. Già meno di due settimane dopo lo scoppio delle ostilità, Varsavia si trovò accerchiata, senza acqua e rifornimenti. Conformemente alle disposizioni del patto russo-tedesco, il ministro degli esteri russo Molotov avvertiva che la mobilitazione per l’invasione della parte orientale della Polonia fosse già in atto. I sovietici per giustificare la loro aggressione invocarono due argomenti: dato che la Polonia non esisteva più, non era valido il loro vecchio accordo di non aggressione; i russi volevano proteggere gli ucraini e bielorussi di Polonia. La guerra-lampo fu un successo per la Wehrmacht. Il 27 settembre, tedeschi e sovietici controllavano tutto il paese. Varsavia capitolò dopo 17 giorni di resistenza soprattutto civile. La Polonia, che già aveva perso numerosi abitanti, non aveva domato la sua volontà di resistenza. Il governo polacco costituito a Parigi e diretto dal generale Sikorski organizzò una legione polacca con i superstiti dell’esercito, raccolti in Ungheria e istradati in Francia attraverso la Jugoslavia. Tedeschi e sovietici si erano accordati per decidere la quarta spartizione della Polonia. La Germania si riservò tutti i territori posti ad Ovest del Bug, mentre i rimanenti, insieme alla Lituania, spettavano all’URSS. Con un patto di “delimitazione e di amicizia” veniva nella pratica condannata a priori qualsiasi resistenza dei polacchi. Il Governo generale delle province polacche occupate, con Cracovia capitale, fu una zona d’occupazione, con un’amministrazione in parte polacca ma severamente controllata dai tedeschi. Gli ebrei furono i primi a subire gli effetti del nuovo statuto della Polonia: inizialmente costretti a portare la stella gialla, vennero man mano riuniti in ghetti. La situazione non era migliore nella parte sovietica della Polonia. Qui i cittadini di origine polacca furono privati dei loro diritti e posti sotto la costante sorveglianza delle autorità sovietiche. Più di un milione di polacchi fu deportato in URSS in campi di prigionia, e centinaia di migliaia furono le vittime, soprattutto tra coloro che rappresentavano un elemento di valore nella società polacca. I sovietici colpirono anche gli ebrei che fuggivano dall’ovest. Il comportamento dei due paesi interessati alla spartizione della Polonia non mancava di presentare singolari punti di contatto. I cambiamenti nel mondo danubiano e balcanico (1939-1941). -Neutralità e revisionismo ungherese. I dirigenti ungheresi furono indignati dalla conclusione del patto germanico-sovietico. La loro indignazione fu particolarmente violenta quando Hitler chiese che fossero lasciate passare attraverso il paese truppe tedesche per attaccare alle spalle l’esercito polacco. Il presidente del consiglio ungherese, Teleki, oppose un no categorico alla richiesta, pur disponendo di un margine di manovra molto limitato: non poteva scontrarsi frontalmente con la Germania, vista la sproporzione tra le forze dei due paesi. Teleki, per controbilanciare l’influenza tedesca si rivolse all’Italia, altro suo alleato che però era sempre più dipendente da Hitler. Parallelamente Teleki accelerò il programma di riarmo, per essere in grado di cogliere qualunque occasione per recuperare i territori perduti nel 1920. Tale opportunità si presentò quando, nel giungo 1940, l’URSS pretese dalla Romania la cessione di alcuni territori. I sovietici proposero allora all’Ungheria di riprendersi la Transilvania, ma Teleki rifiutò l’offerta, preferendo negoziare con la Romania. Presto, Germania e Italia imposero alle due parti la loro mediazione. Il ritorno di una parte della Transilvania alla madrepatria provocò entusiasmo nell’opinione pubblica ungherese. Hitler aveva 51 furbamente messo i due Stati nella posizione di gareggiare per dimostrarsi l’una più filotedesca dell’altra, avendo, Ungheria e Romania, come obiettivo la Transilvania. Teleki era consapevole dei nascosti disegni del Furer e della propria libertà d’azione molto limitata. Il governo ungherese non potè infatti tirarsi indietro quando Hitler la invitò a partecipare al Patto tripartito,accordo difensivo concluso su iniziativa di Italia, Germania e Giappone. -La fascistizzazione della Romania. La costituzione della dittatura reale in Romania non aveva risolto nessuno dei problemi che gravavano sul paese. L’inverno del 1939-1940 fu particolarmente difficile, a causa delle ripercussioni economiche della guerra, che colpirono la Romania e si tradussero essenzialmente in un rapido aumento dei prezzi. La crisi scoppiò durante l’estate del 1940: in primo luogo vi fu un ultimatum sovietico che reclamava la cessione della Bessarabia e del nord della Bucovina. La Romania dovette accettarle, poiché la Germania, interpellata, si rifiutò di difendere gli interessi romeni. Era la fine del sogno panromeno, ma anche la nascita di una nuova Romania, meno estesa ma più omogenea dal punto di vista della popolazione e più conforme delle nazionalità. Questo nuovo Stato non aveva più bulgari, russi né ucraini. Tuttavia l’opinione pubblica accettò malvolentieri queste modifiche del territorio. Lo scontento popolare crebbe e si rivoltò contro il re Carol II, accusato di tradimento. Egli, spinto dall’opinione pubblica, conferì il potere al generale Antonescu, che assunse il titolo di guida suprema. Carol II abdicò immediatamente a favore del figlio Michele. Il generale Antonescu costituì subito un regime di dittatura militare: rafforzò i legami con la Germania nazista e autorizzò le truppe tedesche a stabilire le basi in territorio romeno. La Romania divenne uno Stato fascista col nome di Stato nazionale legionario. Il nuovo regime adottò immediatamente una politica violentemente antisemita. Il generale, geloso dei suoi poteri, si rese subito conto del pericolo che il paese correva a causa delle azioni scellerate dei Legionari. Dopo aver incontrato Hitler e averlo rassicurato sulla sua totale fedeltà, si sbarazzò degli elementi più violenti del Movimento Legionario. Il paese accolse bene questa epurazione ma Antonescu mantenne la stessa politica di governo personale. La Romania rimase uno Stato fascista totalitario, totalmente allineato alla politica del Reich. - Le ambiguità della Bulgaria. Come l’Ungheria, la Bulgaria era riuscita a tenere le distanze dalla crisi internazionale del 1939. Il re Boris III si sforzò di tenere il paese il più a lungo possibile fuori dal conflitto. La nomina a capo del governo di un germanofilo non modificò la politica seguita dagli anni 30. Nell’inverno tra il 1940-1941, quando la Germania preparava il suo attacco contro l’URSS, Hitler si sforzò di integrare la Bulgaria nel suo sistema di alleanze. Fece chiedere al governo bulgaro l’adesione al Patto tripartito. Contemporaneamente l’URSS cercò un’apertura diplomatica verso la Bulgaria, fino a proporle un patto d’amicizia e assistenza reciproca. Il governo bulgaro esitava a impegnarsi. Le offerte sovietiche furono respinte, senza però arrivare alla rottura. Boris III attese a lungo di sottoscrivere le richieste tedesche. Una volta fatto, le truppe tedesche si insediarono sul territorio bulgaro, in previsione di una controffensiva Grecia. Tuttavia i bulgari non volevano essere coinvolti in operazioni militari. - La fine dello Stato jugoslavo. La Jugoslavia, dopo l’assassinio del re Alessandro, si era staccata dalle sue tradizionali alleanze per riavvicinarsi alla Germania. I dirigenti jugoslavi erano consapevoli del pericolo che rappresentavano le mire espansionistiche di Hitler per l’indipendenza del proprio paese. Hitler, volendo attaccare l’URSS, pretese l’adesione al Patto tripartito della Jugoslavia, che dopo varie esitazioni cedette. Questa notizia suscitò un vivo scontento nell’opinione pubblica serba, francofila e antitedesca. Ufficiali serbi segretamente sostenuti dai britannici e contrari alla politica del reggente, si impadronirono del potere, destituirono il principe reggente Paolo e dichiararono maggiorenne il figlio del defunto Alessandro, Pietro. Pietro II formò un governo di unità nazionale, prese contatto con gli inglesi e si apprestò anche a firmare un trattato d’amicizia con l’URSS. La reazione fu immediata e l’aviazione tedesca bombardo Belgrado, mentre da ogni parte le truppe tedesche penetravano nel territorio. Hitler aveva chiesto a Budapest la sua collaborazione militare, ma il conte Teleki, che si sentiva ancora molto legato dal trattato d’amicizia precedentemente 52 firmato con la Jugoslavia, si mostrò molto restio, decidendo di suicidarsi allorquando seppe che la Wehrmacht aveva già iniziato a muoversi in territorio ungherese, piuttosto di mancare alla parola data. Il re Pietro II e il suo governo si rifugiarono a Londra, da dove chiamarono il paese alla resistenza popolare. Iniziarono così le rivendicazioni separatiste e i disordini nel paese, che venne diviso tra i suoi vicini. Sotto molti aspetti la nuova situazione corrispondeva alle aspirazioni dei popoli molto più dell’antico regno unitario di Jugoslavia, ma non c’era da farsi illusioni: la Germania e l’Italia cercavano di stabilire in quelle regioni la loro egemonia politica ed economica. Alla vigilia dell’attacco contro l’URSS, le posizioni del Reich e dei suoi alleati si erano considerevolmente rafforzate nell’Europa danubiana e balcanica. I paesi dell’Est all’epoca della guerra germano-sovietica (1941-1945). Il 22 giugno del 1941, le truppe tedesche diedero il via all’operazione Barbarossa, penetrando in parecchi punti del territorio russo. Lo stesso giorno la Romania, la Slovacchia e la Croazia dichiararono guerra all’Unione sovietica. Pur tardando, anche l’Ungheria si aggregò a loro. Unica fra gli alleati del Reich, la Bulgaria rimase neutrale. Tuttavia tutti i paesi dell’Europa centrale e orientale erano ormai coinvolti nella guerra e integrati nello sforzo bellico tedesco. - Gli Stati alleati della Germania. Fu senza dubbi la Romania di Antonescu a manifestare il maggior zelo per la partecipazione alla guerra contro l’URSS. La politica interna di Antonescu era già allineata a quella tedesca, soprattutto per quanto riguarda gli ebrei, internati in campi di concentramento o peggio uccisi nei pogrom. Partecipare a questa guerra per la Romania era soprattutto un mezzo per recuperare le terre irredente perse nel 1940. Dopo i primi successi, il paese si vide attribuire i territori sovietici tra il Dnestr e il Dnepr, che formarono la provincia di Transistria. I nazionalisti romeni ritenevano che quelle terre facessero parte del loro spazio nazionale. La Romania non si risparmiò nello sforzo bellico, e inoltre inviava alla Germania abbondanti quantità di derrate alimentari e quasi tutta la produzione di petrolio. Più modesta fu invece la partecipazione ungherese. Questa guerra non era ben vista nemmeno negli ambienti dell’opposizione, che organizzarono a Budapest varie manifestazioni a favore della pace, cercando un modo per ritirarsi da una guerra onerosa e impopolare. La partecipazione militare di Croazia e Slovacchia fu molto ridotta, mentre la Bulgaria si limitò a mettere la sua economia a servizio dei tedeschi. A differenza dell’Ungheria, che conservò il suo regime parlamentare, Slovacchia e Croazia uniformarono le loro istituzioni al modello tedesco. In Slovacchia fu praticata una politica ultranazionalista nei confronti dei cechi e furono prese misure discriminatorie verso gli ebrei. Tuttavia il regime fu più moderato rispetto a quello di molti dei suoi vicini, a causa dell’influenza dei princìpi cristiani sui suoi dirigenti. Il regime croato si distinse invece per il suo carattere brutale e autoritario. Il regime brillò per la sua politica anti-serba e anti-ortodossa. I corati, oppressi per più di vent’anni dalla dittatura panserba, si presero una crudele rivincita. - I paesi sottomessi. Al contrario dei paesi alleati al Reich, quelli soggetti ad una vera dominazione, o perché erano stati incorporati al Reich o perché sconfitti a conclusione di una guerra sfortunata, avevano una sorte poco invidiabile. Nel marzo 1939 il Protettorato di Boemia Moravia era stato integrato al Grande Reich Tedesco. Le università, in cui gli studenti non facevano mistero dei loro sentimenti patriottici, furono chiuse. La Boemia Moravia partecipò intensamente con le sue attività industriali allo sforzo bellico del Reich e fornì manodopera per le sue industrie. Fino a quel momento la popolazione era rimasta calma, godendo in cuor suo di essere sfuggita alla sorte della Polonia, ma l’assassino del Protettore tedesco provocò un’ondata di repressioni che modificò l’atteggiamento della popolazione. Alcuni villaggi furono rasi al suolo e la popolazione massacrata. Migliaia furono gli arresti e le deportazioni in Germania: il tempo della “collaborazione” era finito. La Polonia fu trattata sin dall’inizio come un nazione nemica e sconfitta:governata dalle autorità d’occupazione, i polacchi persero tutti i loro diritti. I più duramente colpiti furono gli ebrei, ammassati in ghetti poi 53 sovrappopolati, poi inviati nei campi di sterminio. In totale furono uccisi 3 milioni di ebrei polacchi. Le autorità tedesche intrapresero anche la liquidazione delle elites polacche: intellettuali, sacerdoti, professori, liberi professionisti, artisti, furono internati o peggio giustiziati. La guerra germanicosovietica non produsse cambiamenti e i polacchi poterono notare come la sorte dei loro connazionali caduti nelle mani dei sovietici non fosse per nulla migliore. Prova fu la scoperta da parte dei tedeschi a Smolensk, nella foresta di Katyn, di fosse comuni sovietiche in cui nel 1940 furono uccisi migliaia di ufficiali polacchi. La Polonia partecipò suo malgrado allo sforzo bellico tedesco. Nei Balcani, gli Stati occupati dai tedeschi e dai loro alleati furono anch’essi preda di uno sfruttamento sistematico delle risorse. La Serbia si limitò a fornire manodopera e materie prime, ma i suoi mezzi erano limitati dalla crescente ostilità della popolazione. Il capovolgimento della situazione a partire dal 1943. Le sconfitte militari della Germania del 1942-1943, provocate essenzialmente dallo sbarco angloamericano nell’Africa del Nord, e soprattutto la capitolazione delle truppe a Stalingrado, modificarono completamente l’andamento della guerra. - Il voltafaccia della Romania e le sue conseguenze. L’esempio del re di’Italia, che aveva eliminato Mussolini e concluso un armistizio con gli anglo-americani, fece riflettere i dirigenti dei paesi alleati con la Germania. In Romania gli avversari di Antonescu moltiplicavano gli interventi presso il re Michele perché si sbarazzasse del dittatore e chiedesse un armistizio agli alleati. I sostenitori della pace si erano riuniti all’interno di un Fronte democratico nazionale. L’aggravarsi della situazione militare li portò ad affrettare la loro posizione. Il re Michele decise di agire e Antonescu fu arrestato in pieno palazzo reale. Le truppe tedesche di stanza nel paese furono internate. Cambiando campo all’ultimo momento la Romania aveva pensato di essere trattata come un’alleata, ma le truppe sovietiche che entrarono in territorio la considerarono di fatto come una nazione conquistata. Nonostante le pressanti richieste del governo romeno, sostenuto dagli anglosassoni, i sovietici accettarono di firmare molto tempo dopo l’armistizio con la Romania. Il voltafaccia romeno ebbe subito ripercussioni in Bulgaria. Il Partito comunista aveva rivolto un appello a tutti i partiti democratici per formare un Fronte della Patria e lottare contro la politica filotedesca. Dalla tragica scomparsa del re Boris III, attribuita ai tedeschi, i reggenti mantennero ancora una politica germanofila, ma davanti allo scontento popolare e i successi degli Alleati, fu formato un governo allo scopo di iniziare le trattative con esso. Il Partito comunista aveva ordinato ai suoi militanti di tenersi pronti per un’insurrezione generale concertata con i sovietici, che avvenne quando questi invasero il paese. Nell’insurrezione furono anche catturati i membri del governo, che avevano creduto che cercando di mantenere il paese estraneo dalla mischia, avrebbero potuto tirarsi fuori senza eccessivi danni. I sovietici non avrebbero però lasciato stare un paese dall’importante posizione strategica. - Il fallimento del voltafaccia ungherese. I dirigenti ungheresi cercarono anch’essi di uscire dalla guerra: speravano in uno sbarco anglo-americano nei Balcani o sull’Adriatico, che avrebbe loro evitato un confronto diretto con i sovietici. Il governo ungherese cercò di limitare al massimo la partecipazione ungherese allo sforzo bellico. I tedeschi erano perfettamente al corrente dei negoziati segreti con gli anglosassoni e decisero di occupare militarmente il paese. Hitler pretese un aumento della partecipazione e la formazione di un governo più germanofilo, procedendo all’arresto di coloro che erano conosciuti per la loro ostilità al Reich. Nonostante la formazione di un governo più vicino alla Germania, le relazioni tra generale tedeschi e ungheresi furono spesso difficili, perché diversa la concezione della guerra. La presenza dell’esercito tedesco sul territorio ungherese modificò la situazione degli ebrei, che se sino ad allora erano stati molto più fortunati dei loro compatrioti situati nei paesi vicini, adesso conobbero anch’essi le sistematiche brutalità tedesche. Davanti al rafforzarsi dei tedeschi in Ungheria, i partiti d’opposizione si riunirono in clandestinità. In seguito all’armistizio sovietico-.romeno il governo Horthy mandò in massimo segreto una delegazione all’URSS per ottenere 54 un analogo armistizio, che di fatto venne firmato a Mosca. Ma quando la notizia fu ufficializzata, i tedeschi invasero il palazzo e arrestarono il reggente e i suoi ministri. L’Ungheria aveva fallito per poco il suo tentativo di rialzarsi dalla guerra. - La lotta dei popoli contro l’occupante tedesco. Man mano che la sconfitta a breve della Germania si mostrava all’orizzonte, i diversi movimenti di resistenza formatisi nei paesi occupati intensificarono le loro azioni. In Boemia-Moravia l’attività dei partigiani fu relativamente ridotta. I loro interventi erano sabotaggi, attentati isolati contro collaborazionisti e funzionari tedeschi, scioperi. La resistenza ceca si manifestò veramente solo nelle ultime due settimane di guerra. In Slovacchia la resistenza si era formata nelle regioni montuose ed era costituita da disertori dell’esercito slovacco, comunisti locali e antichi autonomisti delusi. I membri del Partito comunista slovacco avevano invece formato un’organizzazione con lo scopo di liberare il paese e formare uno Stato cecoslovacco nel quale cechi e slovacchi sarebbero stati trattati in modo uguale. Ma se verso il ‘44 per due mesi i partigiani slovacchi riuscirono a tenere in scacco parecchie divisioni tedesche, vennero schiacciate dal numero superiore del nemico. In Polonia la resistenza si organizzò spontaneamente sin dai tempi dell’occupazione tedesca e riunì la stragrande maggioranza della popolazione. Guidata dal governo in esilio a Londra, fu sempre molto diffidente verso le proposte avanzate dall’URSS. Nonostante quasi tutti i prigionieri di guerra polacchi rifiutarono di combattere per l’Armata Rossa, migliaia di soldati e ufficiali mancavano agli appelli, morti nei campi di concentramento. La resistenza polacca si organizzò autonomamente dai russi e l’unico governo legale era quello di Londra. Principale strumento d’azione era l’AK(Armia Krajowa). Accanto a questa resistenza “nazionale” i comunisti polacchi dell’URSS cercarono di essere presenti sul campo a contrastare l’AK e organizzarono l’AL (Armia Ludowa), ma non raggiunsero che 1/10 degli uomini dell’AK. L’azione più spettacolare fu quella che si scatenò a Varsavia l’1 agosto del 1944, quando le truppe sovietiche erano ormai penetrate profondamente in Polonia. Per più di 60 giorni l’AK, sostenuto dai civili, tenne testa alle truppe tedesche e fece di ogni casa una vera e propria roccaforte. L’esercito sovietico, nonostante a pochi km dai combattenti, non si mosse. Anzi venne proibito agli americani di servirsi delle loro piste per paracadutare viveri e armi per gli insorti. Il 3 ottobre, a corto di munizioni e affamati, gli insorti della città capitolarono. I sopravvissuti civili furono deportati in Germania e la città distrutta. Quando l’Armata Rossa se ne impadronì, era solo un ammasso di rovine, totalmente deserta. Era evidente che i sovietici avevano lasciato schiacciare la resistenza polacca, non di certo per caso, ma per lasciar distruggere l’AK e in futuro poter costruire un regime favorevole agli interessi dell’URSS. E quando all’inizio del 1945 tutto il territorio polacco fu occupato dall’Armata Rossa, la resistenza si trovò quasi del tutto annientata. La resistenza Jugoslava presenta alcune similitudini, ma solo per l’importanza numerica dei suoi partecipanti e il ruolo decisivo che ebbe nella liberazione del paese. I Cetnik erano la base di un esercito nazionale che potesse dare aiuto agli Alleati. Agivano soprattutto con azioni circoscritte e di importanza limitata, allo scopo di evitare alla popolazione rappresaglie, visto che note erano le azioni punitive sui civili da parte dei tedeschi. I Cetnik non erano l’unico movimento di lotta partigiana in Jugoslavia. Per iniziativa del Partito comunista jugoslavo clandestino guidato da Tito, si era costituito un Fronte di Liberazione Nazionale. I partigiani di Tito praticavano essenzialmente una guerra di logoramento e di disturbo contro l’avversario. All’inizio i due movimenti di resistenza cercarono di trovare un accordo, che si risolse in un fallimento, a causa di divergenze politiche e nel modo di condurre la lotta. Anche gli inglesi, dopo i successi di Tito, sostennero solo il Fronte di Liberazione Nazionale. Mentre conducevano la lotta contro i tedeschi, i combattenti preparavano il futuro statuto della Jugoslavia: una democrazia socialista nel quadro di uno Stato federale in cui i diversi popoli avrebbero goduto di eguali diritti. Malgrado le assicurazioni fornite da Tito sull’uguaglianza dei diritti, i croati - benchè Tito fosse uno di loro - e in misura minore gli sloveni, erano assenti nei movimenti della resistenza. Per quanto riguarda l’Albania, essa faceva parte dell’impero italiano, di cui gli albanesi mal sopportavano la massiccia penetrazione. Il governo italiano cercò di accattivarsi 55 l’opinione pubblica con la creazione della Grande Albania, ma queste misure non placarono l’opposizione. Si stavano infatti organizzando varie forme di resistenza, una costituita da antichi sostenitori di re Zog, l’altra, sotto il Partito comunista, con a capo un giovane intellettuale, Enver Hoxha. Dopo la sostituzione dell’occupante italiano con quello tedesco, i partigiani di Hoxha intensificarono i combattimenti e l’ingresso trionfale di quest ultimo a Tirana segnò la conclusione della lotta per l’indipendenza. La liberazione dell’Albania, come quella della Jugoslavia, era stata condotta solo dai partigiani, organizzati spontaneamente e indipendenti da direttive esterne. - La fine della guerra nell’Europa centrale e orientale. All’inizio dell’inverno 1944-1945, i sovietici erano sul punto di occupare l’Ungheria, la Cecoslovacchia e la Polonia occidentale ed erano già consolidati in Bulgaria, Romania e Polonia orientale. Durante i primi tre mesi del 1945, le truppe tedesche vennero scacciate dagli altri territori dell’Europa orientale. Dopo la presa di Varsavia, la Polonia occidentale fu occupata dall’Armata Rossa, che penetrò profondamente in Germania. La Slovacchia venne finalmente liberata e il parlamento slovacco prima di sciogliersi aveva espresso la speranza che la Slovacchia potesse, in futuro, mantenere la sua indipendenza. Ma il presidente Benes invase presto il territorio che aveva lasciato nel 1938. La Cecoslovacchia sarebbe stata quella dei cechi e degli slovacchi, privata delle antiche minoranze nazionali. Yalta. Nel maggio 1945, venticinque anni dopo la fine della Prima Guerra Mondiale, si voltava una nuova pagina di storia. Il sogno wilsoniano di un’Europa delle nazioni, in cui tutti i popoli avrebbero dovuto vivere in pace, era già svanito. La ricostruzione politica e territoriale dell’Europa centro-orientala su principi diversi di quelli in nome dei quali si era combattuto, aveva condotto ad un’esasperazione degli antagonismi tra le nazioni e alla ricerca di aiuti esterni che non furono mai disinteressati. Tutta l’area est-europea era ormai solo una distesa di rovine. Le sorti di questa parte dell’Europa erano nelle mani delle grandi potenze vittoriose. La Seconda Guerra Mondiale aveva avuto, come preludio, la conferenza di Monaco, in cui le grandi potenze dell’epoca avevano deciso il futuro della Cecoslovacchia senza consultarne il governo e le avevano imposto la loro soluzione. Questa guerra si concludeva con l’applicazione delle decisioni prese nel febbraio del 1945 durante un’altra conferenza internazionale, quella di Yalta, in cui Stati Uniti, Regno Unito e URSS avevano deciso, sempre ignorando volontariamente i desideri delle popolazioni, di porre sotto l’influenza sovietica i paesi dell’Est. Fu così che a Yalta nacque quell’Europa dell’Est quale noi oggi la intendiamo, di cui fanno parte gli Stati danubiani e balcanici, la Polonia e quella zona, un tempo del Reich, che divenne la Repubblica Democratica Tedesca. Ormai l’Europa orientale avrebbe vissuto all’ombra di Mosca. 56 (Parte quarta) ALL’OMBRA DI MOSCA Il nuovo statuto dell’Europa Orientale. Le vittorie dell’Armata Rossa avevano fatto dell’URSS lo Stato più direttamente interessato dalla riorganizzazione territoriale dell’Europa orientale. Nel 1945 fu l’Unione Sovietica a far prevalere la sua volontà nella definizione della pace nell’Est europeo. La preparazione del futuro statuto dell’Europa orientale. A partire dall’estate del 1941 l’URSS venne considerata dal Regno Unito e dagli Stati Uniti come un alleato e un partner a pieno titolo nella lotta contro le potenze dell’Asse. Nei loro primi incontri con gli Alleati occidentali, i dirigenti sovietici fecero capire chiaramente che non intendevano rinunciare ai territori che erano stati loro assegnati dal patto germanico-sovietico. Alla conferenza di Teheran, che riunì Churchill, Roosvelt e Stalin, si discusse sul problema tedesco e tutti si trovarono d’accordo sulla necessità di smembrare la Germania. Si parlò anche dell’Europa dell’Est. Stalin si vide confermare dagli occidentali il possesso degli Stati baltici e ripropose la questione delle frontiere polacche. All’indomani della conferenza, i russi conseguirono una seconda vittoria, diplomatica: la firma, a Mosca, di un trattato di amicizia con il governo cecoslovacco in esilio, in cui Benes insistette con Stalin perché i sovietici fossero presenti nell’Est Europa. Le vittorie sovietiche a partire dall’inizio del 1944, l’occupazione della Bulgaria, Romania e di una parte della Polonia condussero presto gli Alleati a cedere a tutte le richieste di Mosca concernenti l’Est europeo. La conferenza di Yalta definì prima di tutto la sorte della Germania, il cui territorio fu diviso tra le potenze vittoriose in zone d’occupazione. Per la Polonia ci si conformò al già citato piano sovietico. Tuttavia Churchill ottenne che fosse formato un governo polacco di unità nazionale, allo scopo di preparare le elezioni da cui sarebbe uscita l’Assemblea che avrebbe organizzato la futura Polonia. A Yalta i “grandi” si erano divisi l’Europa. La conferenza che si tenne a Potsdam da metà luglio a inizio agosto del 1945 completò e confermò le disposizioni di Yalta. Ancora una volta, la sorte delle popolazioni dell’Europa orientale era stata stabilita senza consultare né quest’ultima né i suoi rappresentanti. Il nuovo quadro territoriale dell’Europa orientale. - Le sanzioni contro i vinti. Malgrado il loro voltafaccia alla fine della guerra, la Bulgaria e la Romania furono considerata, come l’Ungheria, Stati vinti. In primo luogo, i tre ex alleati della Germania dovettero versare alle vittime delle loro aggressioni risarcimenti in merci o in oro. I risarcimenti erano un mezzo indiretto usato dai sovietici per indebolire maggiormente i paesi che occupavano e crearvi uno stato di indigenza. Tutti i beni tedeschi che si trovavano sul territorio degli Stati sconfitti diventavano proprietà dell’URSS. Grazie a questi beni tedeschi confiscati, i sovietici si trovarono quindi a controllare importanti settori dell’economia dei paesi suddetti. Era anche previsto che tali nazioni fossero poste sotto il controllo dell’esercito. Dopo la convocazione di parecchie conferenze, gli Stati sconfitti vennero inviati a Parigi per firmarvi i trattati di pace. La Bulgaria se la cavò relativamente bene sul piano territoriale. L’Ungheria ritrovò le sue frontiere del Trattato di 57 Trianon. La Romania riebbe la parte settentrionale della Transilvania, ma dovette rinunciare definitivamente alla Bessarabia e alla Bucovina. Gli Stati vincitori. - Le nuove frontiere della Polonia. Per gli Alleati occidentali, le nuove frontiere dello Stato polacco erano solo provvisorie e furono considerate “poste sotto amministrazione provvisoria polacca”. Per i sovietici come per i polacchi, invece, si trattava né più né meno di frontiere definitive. Varsavia veniva a godere di grandi vantaggi: un’ampia costa marittima dalla foce dell’Oder alla Vistola; l’intera Slesia, con il bacino carbonifero più grande d’Europa dopo quello dell’URSS. In cambio a oriente la Polonia rinunciava alle regioni poste ad est della linea Curzon, tranne la città di Przemysl. Spostato verso ovest e con una capitale decentrata, lo Stato polacco disponeva di un’economia più equilibrata, con un importante potenziale industriale costituito dalla Slesia e da un accesso al mare più esteso del ristretto corridoio di Danzica. - L’Albania e la Jugoslavia. Se l’Albania ritrovò le frontiere del 1939, la Jugoslavia beneficiò di alcuni accomodamenti dal lato delle sue frontiere occidentali: l’Italia dovette cederle l’Istria, tranne la città di Trieste, parte della Venezia Giulia e la città di Fiume, diventata Rijeka. - L’URSS. A trarre grandi vantaggi dalla guerra fu l’Unione Sovietica, che spostò di molto le sue frontiere verso ovest, ottenendo le repubbliche baltiche, il nord dell’ex Prussia. Questa avanzata avvenne anche a spese dei paesi ufficialmente alleati: nonostante le promesse fatte a Benes, pretese da Praga la cessione della Rutenia subcarpatica. Con tale regione, l’Unione Sovietica poneva fine all’esistenza di una frontiera comune tra Romania e Cecoslovacchia. Era una posizione strategica di fondo: sul piano etnico, la religione, a maggioranza rutena, presentava una cospicua minoranza ungherese. - Minoranze nazionali e migrazioni di popoli. La nuova suddivisione politica dell’area orientale europea avrebbe potuto aumentare il numero delle minoranze nazionali. Le grandi potenze che l’organizzarono presero coscienza di questo problema. Per evitare un simile rischio, i paesi furono autorizzati ad espellere le antiche popolazioni. Le vittime di tali migrazioni furono principalmente i tedeschi, polacchi e ungheresi. Le minoranze tedesche erano quasi del tutto scomparse dopo queste migrazioni di popoli, che sarebbe più giusto definire deportazioni. Milioni di uomini, donne e bambini, nella maggio parte dei casi a piedi e d’inverno, affamati e sprovvisti di tutto, fecero in tal modo centinaia di chilometri. La nascita delle democrazie popolari. Dopo il crollo militare del Reich e dei suoi alleati, il problema più importante che sin da subito si pose, fu quello di colmare il vuoto politico e di formare governi in grado di farsi carico della ricostruzione politica, economica e morale di queste nazioni. Un ambiente favorevole ai comunisti. Uno dei dati di cui bisogna tener conto per comprendere in che modo i comunisti riuscirono a impadronirsi del potere, è la presenza dell’Armata Rossa ovunque e della resistenza, massicciamente infiltrata dai comunisti. Solo Albania e Jugoslavia non ospitavano truppe sovietiche, poiché i combattenti della resistenza, in maggioranza comunisti, le avevano liberate e le gestivano. La presenza dell’Armata Rossa influenzò la costituzione di nuovi gruppi dirigenti negli Stati d’Europa orientale. 58 Nei paesi sconfitti, l’esercito sovietico era una forza d’occupazione e il capo locale poteva, con la sua influenza, sostenere o destituire le autorità locali e manovrare la politica interna del paese. Inoltre qualunque azione contraria agli interessi della politica russa poteva, in modo legale, essere presentata come “azione sovversiva anti-sovietica”. Tuttavia procedimenti analoghi furono messi in pratica anche nei paesi considerati amici: i sovietici volevano eliminare uomini politici di valore, popolari e ben noti per la loro ostilità ai comunisti. Altro mezzo usato nei paesi occupanti fu quello di tollerare, se non incoraggiare, le malversazioni praticate da alcune unità dell’Armata Rossa nei confronti della popolazione civile. Tali pratiche violente promanavano da una volontà di spezzare il morale delle popolazioni, di uccidere qualsiasi tentativo di resistenza, allo scopo di far accettare passivamente i cambiamenti che si stavano preparando. Anche i partigiani, in Cecoslovacchia e Jugoslavia, si lasciarono andare a violenze contro le persone. Lo scopo reale dei sovietici e dei partigiani, tollerando o perpetrando queste vessazioni, era di creare un clima di terrore propizio a far riflettere le popolazioni di collaborare con loro, unico modo, per mettere fine allo stesso clima di violenza. Altro elemento che favorì il successo dei comunisti furono le condizioni rovinose in cui era l’economia dei paesi dell’Europa dell’Est all’indomani della guerra. Le perdite umane erano state considerevoli; il potenziale industriale e le vie di comunicazione erano in gran parte inutilizzabili e il potenziale agricolo era gravemente compromesso nei luoghi che erano stati campo di battaglia. La scarsità di cibo è un dato importante, poiché una abile propaganda poteva addossare le responsabilità ai grandi proprietari o attribuire un approvvigionamento dei mercati alla generosità dei liberatori sovietici. Nei paesi vinti, l’assenza di uomini, prigionieri di guerra, morti combattendo o trasferiti, avevano creato un tale mutamento nei dati sociologici, che le condizioni per la costituzione di una vita politica normale ne risultavano sensibilmente alterate. Talmente stremate, moralmente e fisicamente, da cinque terribili anni di guerra appena vissuti, le popolazioni civili erano pronte ad accettare qualunque cambiamento che sembrasse comportare il ritorno a normali condizioni di vita. La costituzione di nuovi regimi. Le trasformazioni politiche che si produssero dal 1944 al 1948 nell’Europa orientale portarono tutte all’ascesa al potere del Partito comunista e alla formazione di democrazie popolari. Tuttavia all’inizio, ad eccezione della Cecoslovacchia, dove già prima della guerra, il Partito comunista era molto forte, gli altri partiti analoghi erano minoritari dovunque nell’Est europeo. Malgrado questi ostacoli, i comunisti si ritrovarono padroni del potere dovunque. Il processo della presa di potere si attuò secondo schemi diversi, a seconda dei paesi interessati e in un lasso di tempo più o meno lungo. Il metodo sbrigativo. - La Bulgaria. La Bulgaria presentava un interesse non trascurabile per l’Unione Sovietica. Si trattava di un paese slavo tradizionalmente russofilo. Grazie al Fronte della Patria, che avevano formato, i comunisti avevano assunto la direzione dei movimenti di resistenza. Quando le truppe sovietiche penetrarono in Bulgaria, il Fronte della Patria fece scoppiare in tutto il paese un’insurrezione generale e si impadronì del potere. Il governo di Georgiev, ex militante di estrema destra e adesso schieratosi con i comunisti, firmò immediatamente un armistizio con il comandante dell’esercito sovietico e decise di far partecipare le truppe bulgare alle operazioni militari contro la Germania. Il nuovo governo procedette immediatamente a un’epurazione radicale e sbrigativa. Reggenti, deputati dei partiti borghesi furono arrestati. In vista delle elezioni stabilite per la fine del 1945 avevano così eliminato la destra conservatrice e i capi dei partiti borghesi. Per le elezioni, i partiti non comunisti si erano divisi in due tendenze: una favorevole alla formazione di una lista unica sotto la sigla del Fronte della Patria, l’altra che proponeva liste separate. L’orientamento unitario ebbe il sopravvento e le liste si riunirono attorno a Nikolaj Petkov, conseguendo successo alle elezioni. Il governo si dedicò con energia a riformare le istituzioni: la monarchia fu abolita e il comunista Kolarov diventava il primo 59 presidente della repubblica. Eliminato Petkov, che godeva di una certa popolarità nelle campagne, anche la Bulgaria, con la sua nuova Costituzione, divenne una democrazia popolare. - L’Albania. In Albania, la costituzione della democrazia popolare fu la conseguenza diretta della vittoria del Fronte di Liberazione Nazionale. Fu anche costituito un governo provvisorio, il Comitato antifascista, presieduto da Enver Hoxha, che dopo l’espulsione delle ultime truppe tedesche, controllava tutto il paese. I comunisti al potere, diedero sin da subito caccia agli oppositori nazionalisti e a quanti sostenevano il re Zog, che vennero subito giustiziati. Avendo eliminato gli oppositori, Hoxha indisse le elezioni: vinse la lista unica da lui guidata. La Costituzione sancì tali trasformazioni, facendo dell’Albania una repubblica popolare. - La Jugoslavia. La vittoria dei combattenti della resistenza pose Tito il Fronte di Liberazione nazionale in una posizione favorevole per impugnare le redini della conduzione del paese. Conformemente all’accordo concluso con i rappresentanti del re, secondo il quale al momento della liberazione il paese diventasse uno Stato democratico e federale, Tito formò un governo di unità nazionale al quale presero parte soprattutto suoi amici, comunisti come lui e provenienti dalle diverse nazionalità jugoslave. I partigiano di Tito controllavano le amministrazioni locali, epurando in alcuni luoghi i funzionari pubblici ed esercitando una giustizia sbrigativa e sommaria nei confronti dei loro avversari politici. Furono inoltre proibiti i giornali non comunisti e le riunioni dei movimenti non comunisti. Le elezioni, alle quali parteciparono tutti i cittadini dai 18 anni in su, maschi e femmine, furono vinte dal Fronte Popolare, che aveva sostituito il Fronte di Liberazione Nazionale, condotto da Tito. La prima decisione fu la proclamazione della repubblica popolare federativa di Jugoslavia. All’epoca Tito era considerato nel mondo comunista, come il più fedele discepolo di Stalin. E lo era soprattutto in materia di purghe ed eliminazione dei suoi avversari. Soprattutto i Croati furono perseguitati, da lui che aveva origini comuni, e anche i Cetnik, che avevano combattuto i tedeschi sin dall’inizio e che Tito accusò di collaborazionismo. La Chiesa cattolica venne anch’essa duramente colpita e centinaia di sacerdoti trovarono la morte. - Il gioco di prestigio polacco. Allo scopo di intorbidare le acque, i sovietici avevano insediato a Lublino un Comitato di Liberazione nazionale, formato da comunisti e simpatizzanti, che si impose come il solo governo legale della Polonia. L’abilità dei dirigenti comunisti polacchi e dei sovietici fin dall’epoca di Lublino era consistita nel provocare la formazione di partiti politici apparentemente non comunisti, ma diretti da uomini devoti ai comunisti. I nomi di queste nuove formazioni politiche somigliavano talmente a quelle dei partiti tradizionali da trarre in inganno. Così risultava facile confondere la popolazione. Il governo di unità nazionale avrebbe dovuto organizzare le elezioni nel più breve lasso di tempo possibile, ma ne spostò la data. Si sforzò di formare una lista unica, sotto la direzione del Partito operaio polacco - ovvero Comunista -. Tutto era già stabilito. Nel corso dell’anno precedente il governo paralizzò i partiti tradizionali, sabotandone le riunioni pubbliche e diffamando i membri del governo di Londra, che avevano, vista la situazione, rifiutato di rientrare in Polonia. La campagna elettorale fu molto aspra. I partiti che non facevano parte del Blocco democratico dei comunisti dovevano presentare delle firme di elettori per ciascuna circoscrizione affinché la loro candidatura fosse valida, ma le autorità, depennando più di un milione di aventi diritto al voto in modo arbitrario, fecero sì che le firme degli elettori fossero considerate nulle. In simili condizioni, le elezioni del 1947 garantirono la totale vittoria al Blocco democratico, che ottenne il 90% dei voti. Gli interventi di denuncia che seguirono, riguardo alla conduzione delle elezioni, vennero censurati. Il metodo progressivo. - Dalla monarchia costituzionale a quella popolare: il caso della Romania (1944-1948). La Romania costituì un caso particolare: il passaggio dal regime di Antonescu all’arrivo al potere dei comunisti, si svolse in forme apparentemente democratiche. Il governo formato, all’indomani dell’eliminazione di Antonescu, doveva fronteggiare varie difficoltà: massiccia presenza dell’Armata 60 Rossa, difficoltà economiche, penuria alimentare, agitazioni contadine e operaie. Inoltre aumentarono i membri e l’influenza del Partito comunista, dopo il rientro da Mosca degli antichi dirigenti lì in esilio, e la liberazione da parte dei russi prigionieri di guerra romeni accuratamente scelti e indottrinati. Nonostante le loro reticenze, i partiti tradizionali si videro associare ai comunisti e alle loro organizzazioni di massa. Come in Polonia, essi diedero vita, all’interno dei partiti non comunisti, a movimenti dissidenti, allo scopo di indebolirli e di confondere la popolazione. Padroni dell’apparato giudiziario, i comunisti controllavano molto da vicino l’epurazione, colpendo soprattutto i “collaborazionisti” che non volevano schierarsi al nuovo regime. Dopo la successione di tre governi e l’eliminazione, da parte dei comunisti, di ogni tipo di opposizione attraverso arresti, tramite brogli elettorali, entrava in funzione il governo Groza, dominato dai comunisti. La conclusione della lunga marcia verso il potere durò fino al 1947. Il re Michele, sempre più isolato, era partito per Londra e i romeni lo informarono che il suo ritorno non era gradito. Dopo che infatti il re tornò nel suo paese, dovette lasciarlo insieme alla famiglia. Nuove elezioni attribuirono al fronte patriottico la maggioranza dei mandati e la nuova Costituzione sancì la nascita della repubblica di Romania. - L’illusione democratica in Ungheria. In Ungheria i comunisti erano piuttosto deboli e i sovietici avevano permesso che si sviluppasse un esperimento democratico di breve durata, che dopo essersi dimostrato sfavorevole per gli interessi dei russi, venne brutalmente interrotto. Le prime elezioni del dopoguerra diedero la vittoria al partito più moderato del Fronte nazionale, quello dei Piccoli proprietari. Il successo di questo partito era dovuto a fatto che si trattava dell’organizzazione politica autorizzata meno di sinistra. Ma ciò che gli elettori ignoravano era che nel partito si erano già infiltrati elementi filocomunsti. Venne intrapresa una enorme epurazione: ad essere colpiti, oltre che i ministri, furono anche l’amministrazione, la polizia, l’esercito. I Piccoli proprietari non fecero nulla per opporsi alla situazione: erano convinti che un trattato di pace avrebbe sistemato le cose. Benchè avessero contemporaneamente la presidenza della repubblica, quella del Consiglio e la maggioranza dei seggi in Assemblea, i Piccoli proprietari vedevano rubarsi mano a mano il potere. Approfittando dello scontento generale causato da difficoltà economiche, il Blocco di Sinistra moltiplicò le manifestazioni contro il partito di maggioranza. I Piccoli proprietari, così come avevano progettato i comunisti, preoccupati di mantenere la coalizione al governo, epurarono i membri considerati anti-comunisti. Il disegno del Blocco di Sinistra si stava realizzando. I giornali ostili ai comunisti si videro negare la carta e vennero sospesi. Fu l’inizio dell’”operazione salame”, così definita in quanto i comunisti arrivarono al potere affettando l’opposizione un pezzetto alla volta. Una polizia politica, l’AVO, scoprì un “complotto” in cui erano implicati i maggiori esponenti dei Piccoli proprietari, molti dei quali vennero arrestati, dimessi, e l’effettivo del partito maggioritario scese, facendo loro perdere la maggioranza assoluta. Alle nuove elezioni, il clima era molto confuso. Tra complotti presunti o reali, la negazione del diritto al voto per migliaia di elettori, leggi elettorali che sfavorivano i partiti non compresi nel Fronte Nazionale, i Piccoli proprietari risultarono i grandi sconfitti di queste elezioni. Tuttavia il Fronte Nazionale rimaneva ancora la forza dominante, ma al suo interno era il Partito comunista a delinearsi come il gruppo più numeroso. Benchè lontani dall’ottenere la maggioranza, le loro carte da giocare erano la presenza dell’Armata Rossa e la divisione dei loro avversari. Comunisti e socialisti si fusero nel Partito dei lavoratori ungheresi. L’unico ostacolo della costituzione della democrazia popolare era il presidente della repubblica, Tildy, dimesso con un pretesto dal Partito dei lavoratori ungheresi, che lo sostituirono con il loro presidente Szakasits. La pseudoesperienza democratica era durata poco. - Benes e i comunisti. Come la Polonia, la Cecoslovacchia aveva conservato per tutta la durata della guerra un governo in esilio a Londra, diretto dal presidente della repubblica Benes, ma aveva scelto una politica di intesa con i sovietici, concretizzata a Mosca con un trattato di amicizia e alleanza fra i due paesi. Rientrato in Cecoslovacchia, Benes nominò capo del governo il socialdemocratico Fierlinger. Il governo Fierlinger pubblicò il Programma di Kosice, documento che prevedeva il mantenimento dell’alleanza con l’Unione sovietica, la punizione per i traditori e i collaborazionisti, la 61 concessione di uno statuto particolare alla Slovacchia e la nazionalizzazione delle banche, misure, queste, applicate appena il governo si insediò. Vittime delle epurazioni furono i dirigenti delle minoranze tedesche e ungheresi, i membri dell’amministrazione slovacca, la magistratura e la polizia, il che permise ai comunisti di mettere dappertutto uomini di loro fiducia. Alle elezioni che ebbero luogo nel 1946, i comunisti ottennero il maggiore successo. Il Partito comunista era diventato la prima forza politica del paese, in particolare nelle regioni ceche, dove controllavano più della metà dei consigli locali, mentre in Slovacchia la loro influenza era più limitata. Fu Klement Gottwald a formare il nuovo governo. I comunisti disponevano di elementi fedeli in tutti i partiti in cui si erano a poco a poco infiltrati. Ciò comportò una presa di coscienza del pericolo nei dirigenti dei partiti borghesi. Le prime tensioni all’interno della coalizione governativa si presentarono quando si trattò di decidere se la Cecoslovacchia avrebbe partecipato o meno alla conferenza preparatoria per l’applicazione del piano Marshall. Gottwald suggerì di porre questa decisione all’approvazione di Mosca, che aveva rifiutato il progetto. I dirigenti sovietici fecero chiaramente sapere che l’accettazione del piano Marshall sarebbe stata considerata dall’URSS come un atto ostile nei suoi confronti. Il governo di Praga e Benes si allinearono sulle posizioni sovietiche e rifiutarono l’offerta americana. L’atteggiamento del Partito comunista si inasprì ulteriormente allorquando il Partito socialdemocratico si rifiutò di fondersi ad esso. L’evoluzione della situazione provocò una crescente inquietudine negli ambienti non comunisti, tanto più che erano previste di lì a un mese delle elezioni generali. I partiti borghesi decisero di contrattaccare e dimettersi in blocco, sperando che Benes rifiutasse questa loro iniziativa e che il governo Gottwald si sarebbe dimesso. Ma così non accadde. La tensione raggiunse il suo culmine quando a Praga migliaia di militanti comunisti pretesero che Gottwald rimanesse capo del governo. Benes cedette: il Colpo di Praga era riuscito, con la complicità di Benes. La folla delle strade, armata dal Partito comunista, aveva imposto la propria legge. Il presidente Benes si dimise, malato da molto tempo, e l’Assemblea elesse all’unanimità Gottwald presidente della seconda repubblica cecoslovacca, che era diventata anch’essa una democrazia popolare. - La nascita della RDT. L’assenza di prigionieri di guerra, che saranno liberati solo a partire dal 1947, la massiccia presenza dell’esercito sovietico, lo sconforto della popolazione civile in un paese devastato dai bombardamenti, il peso della disfatta, tutto ciò aveva creato condizioni che gli occupanti seppero abilmente sfruttare. Il regime nazionalsocialista aveva eliminato ogni partito politico e i sovietici ebbero completa libertà d’azione. Inoltre i comunisti tedeschi rifugiatisi a Mosca arrivarono a Berlino e si dedicarono attivamente alla ricostruzione del partito. I sovietici permisero la creazione di un certo numero di partiti politici: oltre a quello comunista, quello socialdemocratico, quello democristiano e quello liberale. Tutti decisero di formare un fronte unito dei partiti antifascisti e democratici, allo scopo di lottare contro le vestigia del nazismo, per la ricostruzione del paese su basi democratiche. Furono costituite nuove circoscrizioni amministrative, i Laender, e nacque la SED, il Partito socialista unificato di Germania, fusione di comunisti e socialdemocratici. La guerra fredda, il deteriorarsi dei rapporti tra l’URSS e le potenze occidentali, la decisione dei sovietici di sbarrare le vie terrestri d’accesso a Berlino, tutto ciò accelerò il processo di costituzione di uno Stato tedesco orientale integrato nell’Europa dell’Est. Una riunione del Congresso del popolo elesse, il 7 ottobre 1949, il capo provvisorio della DDR, la Repubblica democratica Tedesca. Con l’elezione di Grotewhol, la divisione della Germania era ufficializzata. L’epoca stalinista (1948-1953). Mosca e i paesi dell’Est europeo. 62 - Il rinsaldarsi dei legami con le democrazie popolari. La costituzione dei regimi di democrazia popolare nei paesi dell’Europa dell’Est coincise con l’epoca della guerra fredda. L’accordo tra gli Alleati della IIGM, a partire dalla fine del 1946 lasciò spazio a un deterioramento e raffreddamento delle relazioni tra il Blocco occidentale, guidato dagli Stati Uniti, e il Blocco sovietico, guidato dall’URSS, le cui differenze fondamentali stavano nelle concezioni politiche ed economiche che separavano il sistema liberale da quello socialista. Il successore del presidente Roosvelt, Truman, non sembrava disposto come il suo predecessore ad accordare concessioni supplementari ai sovietici. Ben presto le potenze occidentali ebbero l’impressione che a Yalta, Stalin si fosse fatto gioco di loro. Ritenendo l’Europa dell’Est indispensabile alla sua sicurezza, l’URSS la isolò dal mondo esterno: i dirigenti sovietici proibirono ai paesi orientali qualunque accordo politico ed economico diretto con gli Stati occidentali. Mentre fino ad allora questi ultimi Stati avevano realizzato la maggior parte degli scambi commerciali con l’Europa dell’Est, adesso era l’URSS loro principale cliente e primo fornitore. Agli accordi economici si unirono trattati di alleanza, amicizia e reciproca assistenza, che rafforzarono i legami politici tra l’URSS e ognuno dei paesi dell’Est, ma anche tra ogni Stato del Blocco sovietico. Lo scopo perseguito era quello di costruire un insieme di paesi solidali tra di loro e alleati in modo indefettibile con l’Unione Sovietica. A quest’epoca, solo la Jugoslavia di Tito era agli occhi di tutti lo Stato più ideologicamente e politicamente vicino all’URSS. Ma presto il Kominform avrebbe condannato la politica di Tito e avrebbe ingiunto al Partito comunista jugoslavo di cambiare orientamento. - Lo scisma jugoslavo. La rottura dei rapporti, nell’estate del 1948, tra la Jugoslavia e il blocco sovietico costituì la prima seria crisi che colpì il mondo socialista. I dirigenti di Mosca trovarono in alcuni comportamenti di Tito motivi di inquietudine. Egli, per il fatto che i suoi eserciti avevano liberato da soli la maggior parte del territorio nazionale, si sentiva meno dipendente nei confronti dei sovietici rispetto agli altri paesi dell’Est. La situazione si complicò quando Tito progetto di creare una Federazione balcanica che riunisse attorno alla Jugoslavia l’Albania e la Bulgaria. Per quanto inizialmente intercorressero buoni rapporti tra la Jugoslavia e l’Albania, presto i dirigenti di Tirana ebbero l’impressione che Tito volesse fare dell’Albania la settima repubblica della federazione Jugoslava. Enver Hoxha decise di avvertire Mosca delle pretese di Tito. L’URSS era maggiormente preoccupata dal momento in cui Belgrado aveva mire espansionistiche anche nei confronti della Bulgaria. Per Mosca era ormai troppo, e soprattutto, era una minaccia alla sua egemonia. La frattura si stava pian piano mostrando, tanto più che Tito era fermo nelle sue decisioni e in una lettera inviata ai dirigenti del partito politico affermava che l’amore per la sua patria non pregiudicava in nessun modo quello per l’URSS. La prima manifestazione pubblica della crisi si manifestò quando, il giorno del compleanno di Tito, né l’URSS né l’Albania gli inviarono i tradizionali auguri. Al momento della sua riunione, i membri del Kominform denunciarono la politica nazionalista di Tito e invitarono i “veri comunisti” di Jugoslavia a imporre una nuova linea politica. La Jugoslavia veniva esclusa dal Kominform e da parte sua Tito respingeva ogni accusa di cui era stato oggetto il suo partito. Il colpo militare contro Tito, ultima carta per l’URSS, non fu realizzato. La Jugoslavia fu subito isolata e i paesi fratelli le imposero un blocco economico. Parallelamente Mosca rafforzò il suo controllo nei paesi dell’Est rimasti fedeli, poiché non intendeva lasciar sviluppare una nuova esperienza jugoslava. L’evoluzione interna delle democrazie popolari nell’epoca stalinista (1948 - 1953). - L’organizzazione dello Stato. A partire dal 1948, la democrazia popolare era stata realizzata in tutta l’Europa orientale. Le nuove Costituzioni erano ispirate a quella sovietica del 1936. Fu quella jugoslava ad avvicinarsi di più a quella russa, poiché di carattere federalista: il territorio era diviso in sei repubbliche federate e due province autonome, proprio come in URSS; inoltre l’Assemblea popolare era bicamerale: da un lato il Consiglio Federale, dall’altro il Consiglio dei Popoli, che rappresentava le diverse nazionalità. Nelle altre democrazie popolari unitarie e non federate, il potere 63 competeva ad un’Assemblea unica, e anche al governo e al Presidium da lei eletti (così come in Unione Sovietica). Tutte queste Costituzioni affermavano che la democrazia popolare fosse lo Stato degli operai e dei contadini lavoratori e la maggior parte di esse menzionava chiaramente il ruolo dirigente del Partito comunista, costantemente in contatto con il Partito comunista sovietico. Vero detentore del potere era il segretario generale del Partito comunista, che a volte univa questa funzione a quella di capo del governo o capo di Stato. Il potere assoluto esercitato dallo Stato comunista si appoggiava sull’esistenza di una polizia politica onnipotente, un vero Stato nello Stato, incaricata di braccare ogni avversario, sia interno che esterno al partito. L’onnipotenza della polizia politica fomentò il clima di diffidenza e delazione a tutti i livelli della società. - La lotta contro la Chiesa. L’atteggiamento del potere politico nei confronti della religione e della Chiesa fu diverso a seconda dei paesi: in Bulgaria e Romania, di maggioranza ortodossa, il nuovo potere si servì del tradizionale odio per Roma e della necessità di seguire il patriarca di mosca, fedele al governo sovietico. La Chiesa uniate fu soppressa e subì persecuzioni, continuando la sua attività clandestinamente. La Chiesa cattolica, grazie ai suoi legami con Roma, costituiva una forza considerevole. Essa non era attaccata ufficialmente in quanto tale, benchè col pretesto di “collaborazionismo” ne venissero eliminate le personalità di primo piano. Le prime misure che colpirono direttamente la Chiesa cattolica nei paesi in cui essa era maggioritaria furono la nazionalizzazione degli istituti scolastici gestiti dalla Chiesa, lo scioglimento delle associazioni cattoliche e dei movimenti, sia di giovani che di adulti. Tutte queste misure provocarono proteste alle quali il potere reagì scatenando violenti attacchi sulla stampa contro il Vaticano. Le proteste pubbliche della Chiesa cattolica contro gli attacchi alla libertà religiosa, gli abusi del regime, scatenarono persecuzioni fisiche contro un certo numero di prelati. Le alte gerarchie ecclesiastiche non furono le sole vittime di queste persecuzioni fisiche: il basso clero fu ovunque sottoposto a ogni tipo di vessazione, sacerdoti furono arrestati e seminari chiusi. Lo Stato si assicurò il controllo della Chiesa tramite gli Uffici per gli affari ecclesiastici, creati per controllare tutte le assegnazioni e le nomine di sacerdoti decise dai vescovi ancora in attività. Le Chiese protestanti conobbero minori difficoltà, tranne che della RDT, in cui la maggioranza protestante poteva rappresentare una forza d’opposizione. Dove invece i protestanti non erano numerosi, lo Stato li pose addirittura a capo degli Uffici per gli affari ecclesiastici nei paesi a maggioranza cattolica. - Le dispute intestine. A seguito dello scisma jugoslavo i dirigenti invitarono i vari paesi comunisti a raddoppiare la vigilanza contro coloro il cui comportamento poteva essere interpretato come favorevole a Tito. Un clima di diffidenza si stabilì a tutti i livelli del partito. Migliaia di militanti vennero espulsi, ufficialmente perché sostenitori di Tito, ma quasi sempre per suscitare riflessione a quanti potessero essere tentati da idee indipendentiste. La Jugoslavia non fu risparmiata da tali pratiche, lì si cercavano i filosovietici! Ciò che attirò maggiormente le masse furono i grandi processi, trasmessi anche per radio, durante i quali i dirigenti comunisti di alto livello venivani accusati di vari crimini e pallidi, confessavano i crimini di cui erano accusati e altri ancora. Esempio di processo-spettacolo per impressionare più profondamente la popolazione fu quello dell’ungherese Rajk. L’accusa era quella di essere complice di quel Tito che ha fatto della Jugoslavia un satellite degli imperialisti. Tali accuse erano ancora più incredibili in quanto proprio Rajk aveva negli anni precedenti svolto un ruolo decisivo nell’arrivo al potere dei comunisti. Rajk fu condannato a morte e giustiziato insieme ai suoi compagni. Ovunque, le vittime di tutte le purghe avevano in comune il fatto di essere più nazionali, meno fedeli a Mosca di coloro che li eliminarono. Alcuni erano ebrei ed avevano combattuto nella resistenza interna o all’estero. Proprio per i contatti che avevano potuto avere all’estero, erano per il Cremlino, meno sicuri. E, paradossalmente, saranno più tardi circondati da un’aureola di martirio, come se non fossero che le vittime più famose di un sistema repressivo che avevano contribuito a creare. 64 Le trasformazioni economiche e sociali. Fin dal termine della guerra, i governi nell’Europa centrale procedettero alle prime riforme strutturali, che dovevano portare alla costruzione di un’economia socialista pianificata. Le prime misure adottate avevano come scopo l’eliminazione definitiva del latifondo privato. In un primo tempo, le leggi di riforma agraria fissarono un limite massimo alla dimensione e all’estensione delle proprietà terriere, che variava da un paese all’altro. Quando i regimi di democrazia popolare si furono definitivamente insediati, i dirigenti incoraggiarono i contadini a riunirsi in fattorie collettive, secondo il modello dei Kolkhoz sovietici. La comunione della terra, basata in teoria sulla libera adesione degli agricoltori, fu realizzata, come in URSS negli anni trenta, con metodi fortemente coercitivi. Negli altri settori dell’economia, le trasformazioni furono molto più radicali. Si era già proceduto alla nazionalizzazione delle banche e delle attività con un certo numero di dipendenti, delle miniere, dei trasporti e delle industrie di base. Queste trasformazioni portarono uno sconvolgimento delle strutture sociali. Le libere professioni vennero statalizzate. Inoltre, per meglio cancellare il passato e aprire alle classi sociali emergenti alcune professioni considerate nobili, gli istituti di istruzione superiori vennero riservati quasi esclusivamente agli studenti provenienti dalle classi operaie e contadine. Dopo i primi piani a breve termine, che miravano alla ricostruzione delle economie rovinate dalla guerra, quelli quinquennali furono applicati ovunque a partire dal 1950. La priorità fu data all’industria pesante, a spese dei beni di consumo. Quasi ovunque gli operai diventarono più numerosi dei contadini. La volontà di sviluppare ad ogni costo l’industria pesante rese necessari investimenti massicci, realizzati a prezzo di pesanti sacrifici da parte delle popolazioni. La produzione di beni di consumo, volontariamente sacrificata, si tradusse nell’insufficienza di approvvigionamento del mercato per certi prodotti di uso corrente. Lo scontento era sempre più diffuso e aspettava solo la giusta occasione per manifestarsi. L’Europa orientale di fronte alla destalinizzazione (1953-1968). La morte di Stalin, il 5 marzo 1953, fu la prima grande prova con la quale dovettero misurarsi i dirigenti di questi paesi. Dopo la sua morte, ci si impegnò a seguire con la stessa docilità le istruzioni provenienti dai nuovi capi del Cremlino. I nuovi dirigenti, guidati da Malenkov, inaugurarono una nuova politica: si ebbe l’impressione di voler rompere con alcuni metodi del passato. Malenkov e il suo gruppo sembravano voler evitare un’eccessiva personalizzazione del potere, costituendo una direzione collettiva dello Stato e del partito. Fu raccomandato ai partiti fratelli di costruire ovunque una direzione collettiva e accordare alla popolazione alcune concessioni. La tempesta prima della crisi: i segni premonitori. - La prima esplosione: Berlino 1953. La crisi che, al momento della morte di Stalin, stava attraversando la RDT, si traduceva nel fenomeno del Plebiscito dei piedi: piccoli proprietari, operai, liberi professionisti, servendosi della possibilità di libera circolazione tra i diversi settori di Berlino si recavano in Occidente. Queste partenze peggioravano una situazione economica già precaria. Quando Ulbricht decise di aumentare i livelli di produzione per combattere la crisi, provocò un fenomeno di rifiuto: i sovietici lo sconfessarono, inoltre il quotidiano del partito annunciò alcune misure a favore del miglioramento del livello di vita della popolazione, tra cui la fine della discriminazione scolastica di cui erano soggetti i giovani borghesi e delle classi medie, senza che però il decreto cambiasse. Il popolo reagì di massa:a Berlino, i manifestanti sbaragliarono il servizio d’ordine, attaccarono gli edifici ufficiali e le sedi del partito. La manifestazione operaia degenerò in rivolta anti-sovietica. A metà giornata intervenne l’Armata Rossa con i blindati. La repressione fu durissima, centinaia le vittime. Chi 65 trasse davvero vantaggio da quegli avvenimenti fu Ulbricht, che seppe persuadere Mosca di essere l’unico in grado di far regnare l’ordine della RDT. Egli avrebbe infatti continuato a governare la Germania orientale fino alla sua morte, nel 1973. - La prima destalinizzazione ungherese e i suoi limiti. Prima conseguenza della morte di Stalin, fu in Ungheria l’allontanamento del suo più fedele discepolo, a vantaggio di Imre Nagy, che divenne presidente del Consiglio. Nagy presentò al parlamento il suo programma: in campo economico annunciava il rallentamento della collettivizzazione della terra. Ciò che colpì maggiormente l’opinione pubblica fu l’annuncio di voler rafforzare la legalità affinché ogni cittadino potesse godere dei diritti della Costituzione. Nagy doveva però far conto con gli Stalinisti, numerosi all’interno del partito. Il conflitto tra “liberali” e stalinisti si presentò più volte, finchè questi ultimi denunciarono “la deviazione a destra del compagno Nagy”, che fu destituito dalle sue funzioni. Ma in tutto il paese aveva cominciato a soffiare un vento di libertà. La gente aveva ripreso l’abitudine di parlare, discutere, criticare. I vecchi capi politici del dopoguerra erano stati liberati. - La riconciliazione tra Mosca e Belgrado. La morte di Stalin aveva rimosso il principale ostacolo che pesava sulle relazioni tra l’URSS e la Jugoslavia. Molotov propose di sostituire le missioni diplomatiche con ambasciate, cosa che Tito accettò subito. La stampa sovietica smise poco a poco di attaccare i dirigenti jugoslavi. L’avvenimento realmente importante, con l’arrivo di Kruscev, fu il viaggio il Jugoslavia. Kruscev, primo segretario del partito, accompagnato da Bulganin, presidente del Consiglio, arrivò a Belgrado e riconobbe che il Partito comunista jugoslavo era un autentico partito marxista-leninista. Il comunicato sottolineò la possibilità che esistessero diverse forme di socialismo. La Jugoslavia ridiventava membro a tutti gli effetti della “famiglia socialista”, ma i suoi dirigenti non avevano ceduto di un passo circa la loro volontà di indipendenza. - La destalinizzazione nelle altre democrazie popolari. Negli altri paesi dell’Est si procedette molto meno sulla strada della destalinizzazione e i mutamenti effettuati si riducevano in pratica ad alcune concessioni, riabilitazioni o amnistie. La Polonia fu lo Stato che inizialmente rimase impermeabile ai mutamenti che iniziavano a delinearsi nei paesi vicini. A Varsavia, come a Budapest, ci si muoveva lentamente per correggere gli errori del passato. La liberalizzazione, anche se insufficiente, aveva provocato un movimento di rinnovamento negli ambienti intellettuali. La destalinizzazione mise in moto un processo di non trascurabile portata. Ma per fare comprendere agli occidentali i limiti di questa apertura, i russi organizzarono a Varsavia un incontro con tutti i dirigenti dei paesi dell’Est Europa, durante il quale fu firmato il trattato d’amicizia conosciuto come il Patto di Varsavia. Tutte le nazioni dell’Est europeo fecero parte di questa alleanza, ad eccezione della Jugoslavia, anche dopo la sua riconciliazione con Mosca. Le crisi del 1956. Fu il XX congresso del Partito comunista dell’Unione Sovietica ad accelerare lo scoppio della crisi. Nikita Kruscev, durante una seduta tenutasi a porte chiuse, lesse un rapporto segreto, che denunciava il culto maniacale della personalità praticato all’epoca di Stalin, elencava gli abusi e i crimini di ogni tipo commessi da quest’ultimo e tutti i metodi usati per istituire nel paese un vero e proprio terrore. I dirigenti polacchi furono i primi a rivelarne il contenuto, a causa delle richieste del loro partito, provocando una profonda emozione. A seguito di fughe di notizie e facile immaginare quale turbamento fu provocato. Gli jugoslavi erano felicissimi di tale giustificazione a posteriori del loro comportamento. I popoli interpretarono in modo diverso il contenuto del Rapporto Kruscev. Fu soprattutto in Polonia e Ungheria, cioè paesi di tradizione occidentale cattolica e in cui la coscienza nazionale era più sviluppata, che si ebbero le reazioni più violente contro i regimi in carica. - La falsa liberazione in Polonia. In Polonia la prima conseguenza del XX congresso fu l’arrivo, a capo del partito, di un “centrista”, Ochab, che aumentò la portata delle misure di liberalismo adottate in precedenza. Migliaia di prigionieri politici di ogni sorta furono amnistiati e gli antichi 66 dirigenti comunisti vennero messi in libertà. Tale fu il caso di Wladislaw Gomulka. Tuttavia, salari bassi e il recente innalzamento dei livelli di produzione avevano provocato un forte scontento nel mondo operaio. La situazione divenne molto tesa a Poznan, in occasione della fiera internazionale, durante la quale un corteo di operai sfilò con slogan non solo di carattere economico e sociale, ma anche contro l’URSS e contro la detenzione del cardinale Wyszynski. Le autorità polacche ricorsero all’esercito e calmarono le acque: decine di morti, centinaia di feriti e arresti. La destalinizzazione rimaneva sempre molto limitata e contenuta.La situazione si inaspriva. I cattolici esigevano la liberazione del cardinale e lo fecero in occasione del pellegrinaggio a Czestochowa: sul podio lasciarono una poltrona vuota, quale simbolo visibile dell’assenza di Wyszynski. Alta fu la tensione in occasione del processo ai manifestanti di Poznan. Quando fu l’arrivo del verdetto si constatò che il clima era cambiato: le sentenze pronunciate furono clementi, poiché il potere cercava di evitare nuovi disordini. Il regime doveva agire in fretta e decise di rivolgersi a Gomulka. Gli stalinisti della direzione del partito furono poco soddisfatti dalla piega assunta dagli avvenimenti e cercarono di realizzare un colpo di mano appoggiandosi all’esercito, ma il tentativo fallì in partenza. Solo un intervento sovietico poteva impedire il processo di rinnovamento il corso. Kruscev e Molotov arrivarono a Varsavia e iniziò tra russi e polacchi una accanita discussione che durò tutta la notte. Al ritorno dei sovietici a Mosca, l’atmosfera sembrava più distesa. I russi si erano rassegnati ad accettare Gomulka nella sua nuova posizione di segretario del partito, ma solo perché egli li aveva assicurati sul mantenimento del regime socialista e delle alleanze con l’URSS e i paesi dell’Est. Per calmare l’opinione pubblica, Gomulka annunciò che i contadini avrebbero potuto uscire dalle cooperative, che la libertà religiosa sarebbe stata rispettata. Infatti il cardinale Wyszynski veniva messo in libertà. Agli operai, promise un loro aumento di salario. Tutti si fidavano di Gomulka, che del resto aveva evitato ai polacchi l’intervento militare dell’URSS, tanto più che essi vedevano quello stesso esercito schiacciare l’insurrezione ungherese. Nessuno si chiedeva se fossero, queste, concessioni dettate da opportunismo oppure l’inizio di una nuova via al socialismo. - La rivolta ungherese del 1956. La breve permanenza al governo di Imre Nagy aveva dato adito a molte speranze, sia all’interno del Partito comunista che in tutta la popolazione. Spinto soprattutto dalla pressione popolare, Matyas Rakosy scelse di abbandonare la scena politica, “a causa delle colpe che aveva commesso con il culto della personalità e contro la legalità socialista”. Di fatto un uomo molto vicino a lui, Ernst Gero, lo sostituì come capo del partito. Negli ambienti intellettuali si chiedeva il ritorno di Imre Nagy e il ritorno al potere di Gomulka in Polonia aveva suscitato grandissimo entusiasmo in Ungheria. Gli studenti di Budapest redassero un manifesto n cui richiedevano fermamente il ritorno di Imre Nagy a capo del governo, ma anche la partenza di truppe sovietiche, elezioni libere e segrete con pluralità di liste e la libertà totale per la stampa e la creazione artistica. Per iniziativa degli studenti fu organizzata una manifestazione a sostegno dei polacchi. Quando la polizia politica (AVO) sparò sulla folla, la manifestazione degenerò in sommossa. Soldati dell’esercito ungherese, invece di ristabilire l’ordine, distribuirono armi alla folla.Era una rivolta contro il regime: la notte la folla attaccò le sedi del Partito comunista e tutto ciò che era simbolo della sottomissione a Mosca. Imre Nagy rivolse un appello ai manifestanti perché deponessero le armi, ma fece sapere che avrebbe favorito lo sviluppo di un socialismo a carattere nazionale. Prima di dimettersi dalla sua carica a capo del partito, Gero aveva chiesto aiuto ai sovietici. I carri armati russi cominciarono a percorrere le strade di Budapest, ma il loro intervento fu inizialmente molto limitato. L’agitazione era ben lungi dal placarsi e Imre Nagy sembrò ormai schierarsi a favore di essa, giustificandola agli occhi dei crimini commessi dal governo in passato in una dichiarazione radiofonica, aggiungendo la conclusione di un accordo con i russi riguardo alla loro evacuazione da Budapest. Il suo discorso venne ben accolto. Guardie Nazionali garantivano il mantenimento dell’ordine al posto della polizia politica. Tutti concordavano su due punti: la partenza dei sovietici e la costituzione di una vera democrazia. In quei pochi giorni il paese conobbe un clima di eccezionali 67 libertà , che fu però di breve durata: i sovietici avevano introdotto in Ungheria nuove truppe. A poco a poco la capitale si trovò stretta in una morsa. Imre Nagy condannò alla radio l’atteggiamento dei sovietici, che non avevano mantenuto le promesse. Agli occhi dei russi, egli in questo discorso commise un errore imperdonabile annunciando che ormai l’Ungheria intendeva uscire dal Patto di Varsavia per diventare un paese neutrale. L’esercito sovietico aveva ormai ripreso il controllo del paese. L’incontro con gli ungheresi fu un vero tranello, poiché i membri della delegazione ungherese vennero arrestati. Il giorno dopo l’artiglieria pesante e l’aviazione scatenarono un immenso bombardamento nella capitale: i dirigenti che non erano fuggiti all’estero cercarono asilo nelle ambasciate straniere . In quella stessa giornata gli ungheresi appresero alla radio che “un governo rivoluzionario era stato formato da Janos Kadar per riportare la pace e proteggere i risultati acquisiti dal socialismo”. La rivoluzione ungherese del 1956 mostrava chiaramente quale fosse il livello di tolleranza ammesso da Mosca. Per i russi non era ammissibile che un paese socialista uscisse dal sistema, anche se la popolazione lo desiderasse. La rivoluzione era stata un fenomeno spontaneo, provocata dall’ostilità della maggior parte di un popolo verso un regime che gli era stato imposto e che fino ad allora aveva portato miseria e sottomissione. Il bilancio della repressione fu pesante. I principale accusati, tra cui Nagy, furono condannati a morte alla fine di un processo segreto e giustiziati. Nel 1956 la crisi polacca e la rivolta ungherese si conclusero con situazioni apparentemente opposte: in Polonia la destalinizzazione sembrava aver avuto successo senza che scorresse sangue. In Ungheria, malgrado l’apparente fallimento della rivoluzione, le vittime e le rovine accumulate durante i combattimenti, i nuovi dirigenti compresero che nulla avrebbe potuto essere come prima. Gomulka e Kadar svolsero ruoli decisivi nei loro rispettivi paesi. Il primo era l’uomo più popolare della Polonia e il secondo quello più odiato in Ungheria. Dieci anni dopo, Gomulka era diventato sostenitore della linea dura e aveva profondamente deluso il suo popolo.Kadar aveva invece nel tempo saputo far schierare dalla sua parte molti di coloro che un tempo lo osteggiavano, grazie ad una politica di sviluppo economico e all’attenuazione dell’ideologia più rigida. Da una crisi all’altra: i paesi dell’Est dal 1956 al 1968. - I nuovi orientamenti della politica dell’URSS e delle democrazie popolari. La prima conseguenza degli avvenimento dl 1956 fu una ridefinizione dei rapporti tra l’Unione sovietica e i suoi alleati. Per rafforzare ulteriormente la coesione del blocco socialista, venne posta all’ordine del giorno l’idea di armonizzare i piani di produzione con la specializzazione delle attività in funzione della possibilità o potenzialità di un paese. Ogni paese si vedeva affidare il monopolio di un determinato prodotto, per soddisfare i propri bisogni e quelli dei suoi partner. L’obiettivo reale di queste misure era di associare l’economia di questi stati ancora più strettamente. Contemporaneamente i dirigenti sovietici, Kruscev e poi Breznev, si impegnarono nel lento processo di avviamento della politica detta della “distensione” con il mondo occidentale. Queste nuove impostazioni economiche e politiche avrebbero avuto conseguenze importanti nella vita interna dei paesi socialisti. - Una nota stonata: l’Albania. Mentre tutte le democrazie popolari europee avevano seguito i nuovi orientamenti definiti da Mosca, l’Albania si era mostrata la meno disposta. Il suo governo aveva ripreso gli attacchi contro la Jugoslavia, accusata di aver sostenuto l’esperienza di liberalizzazione condotta da Imre Nagy. In un secondo momento Enver Hoxha fece capire che la comparsa dei movimenti de 1956 era stata provocata dagli orientamenti del XX congresso e dal rapporto Kruscev. Tra Mosca e Tirana i rapporti si inasprirono velocemente e da una parte e dall’altra ci si incamminava verso la rottura. Quest’ultima si produsse a Mosca nel 1960 alla conferenza dei partiti comunisti. Enver Hoxha attaccò le posizioni revisioniste di Kruscev e fece pubblicamente l’elogio di Stalin e dei dirigenti cinesi. La delegazione albanese lasciò Mosca ancora prima che la conferenza finisse. Sostenuto dalla Cina, il paese non doveva temere un intervento degli Stati del Patto di Varsavia. 68 - L’evoluzione della Jugoslavia. Malgrado l’arresto di un docente universitario, che aveva violentemente criticato l’URSS in un libro pubblicato all’estero, l’atteggiamento liberale sembrò prevalere a partire dal 1965-1966. Aspetto importante della liberalizzazione fu l’attribuzione di poteri più estesi alle assemblee locali,che da quel momento si dimostrarono meno docili e meno unanimi nelle loro votazioni. Lo stesso clima di distensione si stabilì anche nei rapporti con la Chiesa cattolica, che, fino a quel momento, erano rimasti molto tesi. Un accordo ristabilì la piena libertà della pratica religiosa e la totale comunicazione tra la Chiesa Jugoslava e Roma, anticipando la ripresa, nel 1970, delle relazioni diplomatiche tra Jugoslavia e Vaticano. - Il “kadarismo” in Ungheria. Il governo Kadar riuscì a conciliare l’esistenza del regime di democrazia popolare con una politica relativamente liberale, opera dello stesso Kadar. Dal 1956 al 1958 Janos Kadar cercò soprattutto di rassicurare l’URSS e gli altri paesi socialisti, principalmente attraverso la cooperazione economica con i suoi partner. All’interno Kadar si sforzò di giustificare l’intervento sovietico. A partire dal 1959 il governo ungherese stava sensibilmente liberalizzando il regime. Un’ampia amnistia permise il rilascio della maggior parte dei prigionieri politici. Apparve un nuovo slogan: “coloro che non sono contro di noi sono con noi” e in nome di tale principio vecchi quadri dell’amministrazione un tempo espulsi vennero reintegrati. Le frontiere del paese si aprirono lentamente da ambo i lati e un numero sempre maggiore di turisti ungheresi poteva recarsi nell’occidente. Venne anche concluso un accordo con la Santa Sede che permise di riempire un certo numero di sedi episcopali vacanti. La politica economica del regime di Kadar conferì un’ampia autonomia alle imprese commerciali e introdusse una base di economia di mercato. Il risultato di tale politica fu il livello di vita relativamente elevato della popolazione, soprattutto se confrontato a quello dei paesi socialisti vicini. - I “neostalinisti”. I dirigenti bulgari e romeni approfittarono degli avvenimenti del 1956 per porre un termine alla limitata politica di destalinizzazione che avevano precedentemente intrapreso. In Bulgaria la concentrazione dei poteri fu mantenuta a vantaggio del nuovo segretario generale del Partito comunista. Con Zivkov la Bulgaria allineò rigorosamente la sua politica a quella dell’URSS, di cui costituì l’alleata più fedele dei Balcani, in opposizione alla Jugoslavia e alla Romania. Anche in quest’ultimo paese, il periodo seguente il 1956 fu caratterizzato da un ritorno a uno stalinismo senza limiti. Ceausescu, segretario generale e poi anche capo dello Stato, seppe abilmente fornire di sé all’estero l’immagine di un uomo aperto, nella misura in cui si oppose a Mosca, più a fatti che a parole, moltiplicando gli accordi di cooperazione economica con l’occidente. In Polonia, Gomulka restrinse a poco a poco la portata delle misure di liberalizzazione. Il suo atteggiamento nei confronti della Chiesa fu significativo: a volte si facevano difficoltà ai genitori che volevano iscrivere i figli al catechismo; oppure si rifiutava l’autorizzazione per costruire un nuovo edificio di culto. I cardinali Wyszynski e Wojtyla risposero pubblicamente, denunciando le malversazioni di ogni tipo di cui erano vittime i credenti della Chiesa. In campo economico, le speranze riposte in Gomulka vennero velocemente deluse. L’accelerazione dell’inflazione accentuò il malessere nel mondo del lavoro. Le difficoltà economiche suscitarono un clima di scontento che si tradusse in modi diversi: alcolismo, violenza, teppismo e traffici di ogni tipo. Gomulka colpì gli intellettuali e la censura diventò più rigorosa. L’impopolarità di Gomulka, dovuta al carattere personale del suo potere, andò aumentando. Nella RDT la politica neostalinista di Walter Ulbricht si era mantenuta intatta. La chiusura della frontiera con il settore occidentale di Berlino grazie alla costruzione del Muro il 13 agosto 1961 mise fine alla possibilità di emigrazione. Tuttavia i dirigenti cercarono di contenere l’eventuale insoddisfazione migliorando il livello di vita della popolazione, cosa che riuscì, poiché la RDT conobbe allora un tasso di crescita elevato. In Cecoslovacchia la situazione era diversa: non c’era stata una vera destalinizzazione e gli avvenimenti d’Ungheria avevano portato ad un inasprimento del regime. Novotny e il suo gruppo volevano evitare ogni rischio e la nuova Costituzione consacrò la Cecoslovacchia come repubblica socialista. Fu solo nel 1962 che Novotny si decise ad adottare alcune 69 misure di amnistia e annunciare la creazione di una commissione di revisione per i processi politici degli anni cinquanta. Fu anche in questi anni che il paese cominciò ad aprirsi ai turisti occidentali. La censura diventava meno meticolosa e la gente iniziava a reagire. Contemporaneamente i comunisti slovacchi chiesero che fosse resa giustizia e che la Cecoslovacchia si trasformasse in una repubblica federale. Soprattutto gli intellettuali chiedevano che fosse fatta piena luce sui grandi processi e che non si facessero riabilitazioni in fretta e furia tanto per mettersi in pace con la coscienza. Tutto lasciava supporre che ci si avviasse a grandi passi verso la crisi. Il mito della “Primavera di Praga”. Per cpmprendere gli avvenimenti che si svolsero in cecoslovacchia nel 1967-1968 bisogna guardare al contesto internazionale di quel tempo. Qurgli anni furono caratterizzati in Italia e nella RFT, dall’agitazione studentesca che culminò in Francia. In Cina avveniva la massima espansione culturale. A Mosca e nella maggior parte delle capitali europee le autorità presero misure per far fronte a qualsiasi eventualità. In Cecoslovacchia si manifestò bruscamente la crisi latente che covava da tempo. In occasione del VI congresso degli scrittori, che si svolse a Praga, in numerosi denunciarono la campagna anti-israeliana condotta dalle autorità ufficiali. Numerosi partecipanti chidevano la libertà di stampa. Il governo rispose chiudendo la loro rivista. Il 31 ottobre gli studenti universitari di Praga, che manifestavano per avere più libertà, furono pesantemente manganellati su ordine del governo. La riunione del comitato centrale mostrò gli scontri tra i sostenitori di Novotny e della linea dura da un lato, e la coalizione dei liberali cechi e slovacchi dall’altro. A seguito di un accordo, Novotny conservò la presidenza della repubblica, ma dovette rinunciare alla direzione del partito. Alexander Dubcek, slovacco, fu nominato primo segretario del Partito comunista cecoslovacco. Dubcek annunciò la sospensione della censura. Il dibattito politico veniva ormai condotto di fronte al popolo. La Chiesa approfittò di questo particolare clima per reclamare la libertà religiosa garantita dalla Costituzione ma mai applicata. Dubcek promise agli slovacchi che avrebbero goduto di uno statuto particolare e che sarebbero stati ad un pari livello dei cechi nell’ambito di uno Stato federale. Novotny si dimise dalla carica di capo di Stato, lasciando il posto al generale Svoboda, e come capo del governo fu scelto un altro liberale, Josef Smrkovski. Nacque con essi quel “socialismo dal volto umano” che caratterizzò il periodo definito Primavera di Praga.Curioso il fatto che esso fosse nato da uomini che per tutta la loro vita avevano servito in modo incondizionato il partito e Mosca. I responsabili della Primavera di Praga erano ben lungi da essere veri liberali. Senza dubbio agirono in tal modo per salvare un sistema al quale erano legati e non per porre fine agli abusi che tale sistema aveva provocato. Ma, dando prova di buona volontà agli intellettuali e all’opinione pubblica, Dubcek ed i suoi correvano il rischio di generare inquietudini a Mosca. La Primavera di Praga iniziava a diventare un problema: all’interno del paese movimenti di origini diverse desideravano ottenere maggiori autonomie. Gli intellettuali liberali esposero esposero le loro rivendicazioni pubblicando il Manifesto delle duemila parole, documento che criticava molto duramente il cattivo uso che il Partito aveva fatto del potere. All’estero Dubcek si trovò a dover fronteggiare molto duramente le reazioni degli altri paesi socialisti. Mosca e i paesi fratelli si preoccupavano profondamente di questo clima di spensierata anarchia. Un incontro tra Dubcek e i dirigenti sovietici segnalò chiaramente i pericoli e le responsabilità internazionali nel portar avanti la linea politica applicata da marzo. Durante l’incontro ci si accordò sull’organizzazione delle manovre militari su territorio cecoslovacco a cui avrebbero partecipato, di lì a poco tempo, le truppe sovietiche, cecoslovacche, polacche, ungheresi e tedesco-orientali. La presenza prolungata di questi eserciti stranieri avrebbe potuto spingere i dirigenti di Praga a prendere alcune precauzioni, am questi presentavano un beato ottimismo. Per contrastare la Cecoslovacchia, Breznev creò un fronte di alleati: polacchi, tedeschi orientali, bulgari, e in seguito a pressioni diplomatiche, anche ungheresi. Il gruppo dei Cinque si riunì a Varsavia, dove i dirigenti redassero una lettera, che inviarono al Partito comunista cecoslovacco, esprimendo le loro preoccupazioni verso la situazione cecoslovacca. La lettera conteneva 70 un avvertimento chiaro e tondo di intervento armato, che bisognava essere ciechi o complici per ignorare. Il Partito comunista cecoslovacco rispose alla lettera con una lunga dichiarazione, che rassicurava i Cinque sulla sicurezza del socialismo in Cecoslovacchia, che aveva condannato le Duemila parole e deplorava il mancato invito del Partito alla riunione di Varsavia. Dubcek continuò nel tempo a dimostrare la stessa ingenua noncuranza, anche in seguito agli attacchi delle varie stampe estere. Tuttavia fu presto organizzato un incontro tra i Cinque e i dirigenti del Partito comunista cecoslovacco a Bratislava. Il comunicato finale dell’incontro ricordava la necessità di un’azione concertata per la sicurezza europea e la pace e il rafforzamento del Patto di Varsavia. Dubcek continuò nella sua finta o irresponsabile incoscienza, tanto da ricevere a Tito e Ceausescu, entrambi trionfalmente. Per i russi era troppo: sembrava loro di rivedere, nel riavvicinamento di Praga, Bucarest e Belgrado, una nuova Piccola intesa. La risposta fu immediata e nella notte tra il 20 e 21 agosto le forze armate dei paesi del Patto di Varsavia occuparono il paese. Dubcek, Cernik e Smrkovski vennero subito portati in Russia. La popolazione si era limitata a qualche manifestazione e qualche molotov, nulla in confronto con ciò che avvenne a Budapest nel 1956. Gli Accordi di Mosca che ne seguirono “normalizzavano” la situazione: i capi comunisti di Praga avevano riconosciuto che l’intervento armato era giustificato a causa delle minacce che pesavano sul socialismo. La Primavera di Praga terminava con l’insediamento permanente delle truppe sovietiche in territorio cecoslovacco, a grande vantaggio dell’URSS per quanto riguarda la posizione che geograficamente andava ad occupare, vicino al cuore della RFT. Dubcek aveva reso loro un servizio dandogli un motivo per intervenire e in fin dei conti non se l’era cavata troppo male. Imre Nagy aveva avuto meno fortuna. Gli slovacchi avevano finalmente ottenuto la trasformazione della Cecoslovacchia in una Federazione degli Stati ceco e slovacco. La crisi del 1956 e del 1968, le soluzioni adottate per porvi fine, le differenze nel livello di sviluppo economico e di vita da un paese all’altro, avevano sensibilmente alterato l’immagine di un quadro omogeneo del blocco sovietico. Le diversità nazionali, dissimulate o nascoste, erano riapparse. Il fatto che le crisi si fossero verificate solo della Germania dell’Est, in Ungheria, Polonia e Cecoslovacchia, cioè paesi dove la coscienza nazionale era più sviluppata e in cui i valori culturali erano simili a quelli dell’Occidente era la dimostrazione del permanere di antiche tradizioni. Verso nuove forme di opposizione (1970-1981). Il fallimento dell’esperienza di Dubcek dimostrò ancora, che fosse fuori discussione per i dirigenti dei paesi dell’Est seguire una politica differente da quella indicata da Mosca. L’insediamento di unità militari in Cecoslovacchia lo fece bene intendere a coloro che non lo avevano ancora capito. Fu la prima applicazione sul campo di quella che, da quel momento, fu definita politica Breznev. Le tendenze generali a partire dal 1970. Dal 1970 il contesto internazionale era mutato e all’interno del mondo socialista, le varie mentalità si erano evolute, al punto che nuovi problemi erano apparsi qua e là. Gli scambi commerciali tra paesi dell’Est e Occidente erano considerevolmente aumentati. La crisi economica che colpì il mondo occidentale nel 1973-1974 e l’inflazione che ne seguì, colpirono a loro volta i paesi dell’Europa orientale. Vi fu anche una maggiore apertura delle frontiere ai visitatori provenienti dai paesi occidentali, ad eccezione dell’Albania. Oltre alla valuta stranniera, gli occidentali portavano le loro abitudini, le idee, il modo di vivere. Anche quasi tutti i cittadini dell’Est visitavano da qualche anno l’Occidente. Tali spostamenti introdussero uno spirito nuovo in popolazioni che erano vissute in un ambiente chiuso. L’apertura verso l’Occidente provocò alcuni cambiamenti nei comportamenti delle 71 popolazioni dell’Europa socialista. L’ideologia uffiiciale lasciava sempre più indifferenti le nuove generazioni che studiavano, leggevano, viaggiavano. In tutti gli Stati si assistette ad un rinnovamento della fede religiosa, in particolare tra giovani di formazione atea. Questo fenomeno non avrebbe mancato di preoccupare gli ambienti ufficiali. Questo cambiamento nella mentalità si tradusse anche con un crescente bisogno di libertà. In parecchie nazioni dell’Est, gli intellettuali in nome dei Princìpi di Helsinki, formarono comitati per la difesa dell’uomo. Apparvero anche sindacati liberi, ai margini di quelli ufficiali, la quale azione fu tuttavia fortemente ostacolata dalle autorità. I “bambini terribili dell‘Adriatico”. L’Albania e la Jugoslavia presentavano alcuni punti di contatto: ambedue avevano a capo del loro governo gli stessi dirigenti dal 1945; essi erano stati, durante la guerra, gli organizzatori della resistenza e così erano riusciti a liberare il paese senza ricorrere all’aiuto dell’URSS; entrambi avevano rifiutato la tutela di Mosca in nome dell’indipendenza nazionale; le due nazioni, dopo la rottura con la Russia, cercarono appoggio all’estero; i due paesi si affermano autenticamente socialisti, pur avendo seguito una via nazionale al socialismo; queste nazioni occupano un posto strategico grazie alla loro costa marittima sull’Adriatico, in grado di offrire ripari a una flotta di guerra amica. Da ciò l’interesse che questi due paesi possono rappresentare per gli Stati con cui sono in buoni rapporti. Vi sono però grandi differenze tra questi Stati: l’Albania è una nazione piccola, povera di risorse, ma omogenea come popolazione; la Jugoslavia è estesa e aperta da ogni parte, la popolazione è plurinazionale, dotata di risorse numerose ma non ripartite ugualmente. L’Albania ha mantenuto le rigide strutture dell’epoca stalinista e Stalin è ancora oggetto di culto ufficiale; il regime jugoslavo si era progressivamente liberalizzato; mentre il sistema di autogestione mantenne in Jugoslavia disparità regionali e ineguaglianza sociale, la pianificazione rigida dell’Albania condusse a progressi economici in una società egualitaria. Negli anni ottanta l’Albania aveva modificato del tutto la sua politica estera, sembrava un paese totalmente isolato e richiuso in se stesso. Questa situazione iniziò a delinearsi l’indomani della morte del “grande amico del popolo albanese”, Mao Tse-Tung. La preoccupazione aumentò quando Tito iniziò un lungo viaggio che lo condusse in URSS, in Cina e nella Corea del Nord. La stampa albanese cominciò con l’attaccare la Cina post - Mao, che annunciò il ritiro immediato dei suoi tecnici e la sospensione di tutti i prestiti accordati all’Albania. Per Tirana la Cina era “una superpotenza revisionista e imperialista”. Tuttavia, in questo scontro, fu ancora Tito ad essere oggetto degli attacchi più violenti. La morte di Tito, il 4 maggio 1980, attenuò leggermente gli abituali attacchi da parte della stampa albanese contro la Jugoslavia. Ma la tensione aumentò presto a seguito di violenti disordini all’interno della minoranza albanese di Jugoslavia. Gli albanesi di Jugoslavia vivevano nel territorio autonomo del Kosovo, indipendente dal Febbraio 2008. Per più di un mese la regione fu sconvolta da gravi disordini. I manifestanti reclamavano la riannessione del Kosovo all’Albania. I dati ufficiali e le varie testimonianze differiscono molto per numero di morti, feriti e arresti, comunque dopo l’accerchiamento della regione da parte dell’esercito, l’ordine potè essere ristabilito dopo più di un mese. Le autorità jugoslave sembravano decise a usare le maniere forti. Il problema del Kosovo ebbe ovviamente ripercussioni sul piano delle relazioni tra Albania e Jugoslavia. Al di fuori dei Balcani, fu commesso contro l’ambasciata jugoslava di Bruxelles un attentato che del resto non era il primo compiuto in Belgio contro istituzioni di Belgrado. Le ipotesi sui responsabili della provocazione dei disordini in Kosovo sono varie: semplicemente i membri della minoranza albanese? L’Albania (in modo azzardato) ? I sovietici ( proprio in quel momento si recuperavano i rapporti con Belgrado) ? Le stesse autorità jugoslave (come alibi per una stretta di morsa?). Qualunque ne fosse l’origine, gli avvenimenti del Kosovo mostrarono la fragilità della Jugoslavia, ancora più evidente dopo la scomparsa del maresciallo Tito. Vi era, in primo luogo, una persistenza di nazionalismi all’interno del paese. Il terrorismo croato si intensificò, sia all’esterno che all’interno del paese. L’azione più spettacolare fu l’attentato contro l’ambasciatore croato a Stoccolma. Tuttavia se ne verificarono anche 72 all’interno del paese. L’agitazione studentesca in Croazia fu molto più pacifica e venne organizzata per protestare contro l’imperialismo serbo nella regione. All’altro capo del paese, la Macedonia rappresentava un altro fattore di instabilità, nella misura in cui gli jugoslavi avevano cercato di creare una nazione macedone e di far scomparire tutto ciò che poteva ricordare la tradizione bulgara. La pubblicazione delle Memorie di un membro del Partito comunista bulgaro riaccese la disputa tra Sofia e Belgrado, dal momento che l’autrice ricordava in quest’opera che “i macedoni sono bulgari“. Il secondo grave problema era l’economia: il paese era stato pesantemente colpito dalla crisi del mondo occidentale. L’autogestione, spesso disordinata, la politica degli aumenti dei salari, il deficit del bilancio, provocato tra l’altro dalle fastose spese di regime all’epoca di Tito, tutti questi elementi furono altrettanti fattori causa dell’inflazione. La svalutazione e la politica di austerità si tradussero subito in un sensibile abbassamento del livello di vita della popolazione. La disoccupazione era massiccia. La crisi economica vissuta dalla Jugoslavia accentuò ulteriormente le disparità regionali e gli antagonismi. La Croazia e la Slovenia si mostrarono sempre meno disponibili a fare sacrifici per le repubbliche povere.Il vuoto politico lasciato dalla morte del maresciallo Tito non semplificò i problemi. Ufficialmente la Costituzione non prevedeva la figura del presidente della repubblica, se non per Tito. Dopo la sua morte essa risultò formata da un collegio di otto membri, di cui ognuno rappresentava una repubblica federata o un territorio autonomo. Il rinnovamento religioso che la Jugoslavia aveva conosciuto da qualche anno, non sembrava essere assolutamente gradito ai successori di Tito, sia verso i cattolici che verso i mussulmani. L’irrigidimento nella politica interna, anche a causa dei rischi di frantumazione della federazione e di eventuali disordini legati alle tensioni sociali, coincise con un sensibile rafforzamento dell’influenza sovietica in Jugoslavia. Le relazioni tra Belgrado e Mosca erano stabilmente buone. La Polonia in crisi. Si era creduto che il ritorno al potere del comunista nazionale e sedicente liberale Gomulka avrebbe risolto tutti i problemi: invece non si raggiunse alcun risultato. La sua esperienza si risolse con una nuova rivolta della classe operaia. Quando, per frenare l’inflazione, il governo polacco decise l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari, si ebbe la rivolta. Queste misure,necessarie ma brusche, provocarono una violenta reazione popolare. Migliaia furono le manifestazioni spontanee, presto degenerate in sommossa. Gomulka si appellò all’esercito, che occupò tutta la zona costiera, isolata con i carri armati dal resto del paese. Quando il governo, fornendo la versione dei fatti, ne attribuì la colpa a “perdigiorno e teppisti”, tale dichiarazione non fu ben accolta e le manifestazioni ripresero. A Genia e Szczecin l’esercito sparò sugli operai causando decine di morti. Alcuni dei loro rappresentanti,democraticamente eletti dalla base, iniziarono negoziati con le autorità locali. Fu in tale occasione che fece la sua comparsa per la prima volta Lech Walesa, un giovane montatore elettricista. Le trattative portarono al ritiro progressivo dell’esercito. La conseguenza immediata di questi scioperi fu l’allontanamento di Gomulka. Assunse allora le funzioni di primo segretario del Partito operaio polacco Edward Gierek, un ex minatore. Anch’egli, come prima Gomulka, sembrò voler imprimere un nuovo orientamento nella politica polacca, ma malgrado una sua buona partenza, il suo nuovo gruppo dirigente si dimostrò incapace di trovare soluzione ai vari problemi. La situazione di crisi già esistente si aggravò, e il divario tra il paese reale, rappresentato dalla maggioranza della popolazione, e la classe dirigente, di poche migliaia di privilegiati, aumentò sempre più fino ad esplodere nell’estate 1980. In opposizione di Gierek si schierarono da un lato il sindacalismo clandestino, sempre braccato dalle autorità, dall’altro la Chiesa cattolica, che si rese conto che i nuovi dirigenti cercavano di limitare la libertà religiosa. Dal 1974 al 1980 i rapporti tra Chiesa e Stato furono caratterizzati da un’alternanza di periodi di tensione e di momentanea calma. La Chiesa rimase ferma sulle sue posizioni e non esitò a difendere gli interessi morali e materiali del popolo ogni volta che necessari. Dinnanzi alle difficoltà economiche prese sempre posizione tramite il cardinale Wyszynski. L’elezione a papa di Karol Wojtyla 73 il 16 ottobre del 1978 rafforzò ulteriormente l’ascendente della Chiesa e lo Stato si vide obbligato a scendere a patti con quest’ultima. Il viaggio trionfale del papa nel suo paese natale, le sue prese di posizione a favore dei diritti dell’uomo e della libertà religiosa in presenza dei membri del Partito comunista, accrebbero ulteriormente il prestigio della Chiesa. Ma un massiccio aumento dei prezzi annunciato per l’estate del 1980 scatenò nuovamente disordini: tutti i settori dell’economia furono interessati dagli scioperi, ma fu nei cantieri Lenin di Danzica che lo sciopero fu più duro. Era guidato da Lech Walesa e Anna Walentynowicz. Venne subito elaborata una serie di rivendicazioni, sia di carattere professionale, sia concernenti il diritto alla libertà religiosa. All’inizio il governo sembrò adottare una politica di fermezza, che distese preoccupato dal ravvicinamento che andava realizzandosi tra gli oppositori politici e gli operai. Le trattative tra il governo e il Comitato di sciopero si conclusero il 31 agosto con un protocollo d’accordo. Nei paesi fratelli vi fu una levata di scudi generale. I duri del settore socialista denunciarono delle forze antisocialiste che si erano manifestate in Polonia. Solo i media ungheresi e jugoslavi diedero prova di una certa simpatia nei confronti degli scioperanti polacchi. Se l’URSS si limitò, in un primo tempo, a disturbare le trasmissioni delle radio occidentali, in seguito vennero concentrate truppe sovietiche lungo le frontiere orientali della Polonia. L’evoluzione della crisi polacca aveva vari aspetti importanti: si era organizzato un sindacalismo libero alla luce del sole. Lech Walesa e il Comitato avevano gettato le basi del sindacato Solidarnosc e negli accordi del 31 agosto, il principio dell’organizzazione di un sindacalismo indipendente era stato ufficialmente riconosciuto. Per la prima volta in un paese dell’Est, un sindacato apolitico, formato da milioni di iscritti che vi si erano riuniti in tutta libertà, veniva riconosciuto ufficialmente dal potere comunista. Le sue prime azioni furono realizzate per ottenere il sabato libero promesso. Nella sua azione Lech Walesa venne costantemente sostenuto dalla Chiesa polacca. L’esempio dato dagli operai fu seguito dai contadini e nacque una Solidarnosc contadina, il quale statuto venne registrato. Malgrado provocazioni, la direzione di Solidarnosc seppe dar prova sia di efficienza che di moderazione. Sul piano della politica interna, la conseguenza degli avvenimenti del luglio-agosto 1980 fu un profondo sconvolgimento negli organismi dirigenti dello Stato e del partito. Gierek , colpito ufficialmente da una crisi cardiaca, venne sostituito da Stanislaw Kania, nuovo segretario del partito, e capo del governo divenne il generale Jaruzelski. Con questo cambiamento, trionfava la linea centrista. Stretto tra Mosca e Solidarnosc, Kania si sforzava di mantenere il controllo della situazione. L’attentato contro Giovanni Paolo II, seguito, pochi giorni dopo, dalla morte del cardinale Wyszynski, generarono una certa distensione tra il potere e Solidarnosc, che aumentò quando il Partito comunista sovietico rivolse un avvertimento solenne ai dirigenti del partito operaio polacco. La lettera attaccava la “controrivoluzione che si nascondeva all‘interno di Solidarnosc”. Il documento, che aveva molte analogie con la Lettera dei cinque inviata a Dubcek, non mancò di influenzare la riunione del comitato centrale, in cui Kania riconobbe le azioni controrivoluzionarie che minacciano il socialismo, pur ricordando che Solidarnosc e la Chiesa hanno anch’esse il loro posto nel processo di evoluzione. Il Congresso del Partito operaio, che si svolse con grande impazienza di tutti, alla presenza delle attente delegazioni dei “paesi fratelli”, iniziò con una grande sorpresa: le cariche superiori del partito, la nomina a primo segretario e l’ufficio politico sarebbero stati definiti da votazione segreta. La sera delle elezioni dei membri del comitato centrale Stanislaw Kania veniva riconfermato nelle sue funzioni di primo segretario. Il liberale Rakowski non ottenne il numero di voti necessario per essere eletto.Strano congresso, in cui i delegati applaudivano calorosamente i liberali ma, grazie al voto segreto, li escludevano dalle cariche di responsabilità. Il voto segreto tornò a svantaggio del liberali, grazie al gioco di pressioni che si esercitò al momento del voto. Malgrado il rumore che ci fu attorno al congresso, nessuno de problemi all’origine della crisi polacca era stato risolto, né quello dei rapporti tra Solidarnosc e lo Stato, né la crisi economica, né la penuria alimentare. Anzi, fu seguito da una nuova ondata di scioperi e manifestazioni diffuse in tutto il paese, di cui il culmine fu il blocco dei veicoli operato a Varsavia dagli impiegati dei trasporti comunali e i tassisti, che fermò la città per più giorni. Durante la prima fase 74 del congresso di Solidarnosc, che si tenne a Danzica nei primi giorni del settembre 1981, i militanti non risparmiarono le critiche nei confronti della direzione del sindacato, considerata troppo conciliante col potere comunista. Lech Walesa fu rieletto. Con i suoi 10 milioni di iscritti, Solidarnosc era ben consapevole della propria rappresentatività nei confronti dello Stato e di un Partito operaio abbandonato da molti suoi iscritti. Nella crisi in cui sfociò questa situazione, Kania fu sostituito dal generale Jaruzelski, già capo del governo. Il nuovo primo segretario, ben accolto da Mosca, manifestò chiaramente la volontà di allargare la base del potere associando a sé tutti coloro che si dimostravano disposti ad aiutarlo, purché condividessero i princìpi fondamentali del socialismo. L’idea di un’Intesa nazionale, tra Partito, Solidarnosc e Chiesa sembrava concretizzarsi, grazie anche ai gesti di conciliazione dimostrati dal sindacato, ma la nuova speranza suscitata da un accordo tra il vicepresidente di Solidarnosc e il ministro incaricato di rapporti con i sindacati, venne presto disillusa. Mentre negoziavano con Solidarnosc, il governo e il Partito operaio si preparavano segretamente a riprendere in mano le redini del paese. I media scatenarono una grande campagna di denigrazione contro alcuni dirigenti del sindacato libero, che furono addirittura considerati responsabili delle difficoltà economiche del paese. Il livello di pericolo aumentò ulteriormente in occasione della riunione del Partito operaio polacco: il generale Jaruzelski svelava finalmente il suo vero volto, diceva chiaramente a chiunque fosse disposto a intenderlo che era arrivata l’ora di rientrare nei ranghi. La direzione di Solidarnosc si riunì a sua volta, costatando che il potere avesse fatto svanire l’idea di un’intesa nazionale, e adottò la soluzione dello sciopero generale. La Chiesa prese, per la prima volta in modo inequivocabile, posizione a favore di Solidarnosc contro il partito. La radio polacca cominciò a trasmettere brani di interventi di Lech Walesa e di altri dirigenti di Solidarnosc registrati clandestinamente durante le riunioni. Per la direzione del partito,ciò che fu ascoltato era troppo. Nella notte tra il 12 e il 13 dicembre il generale Jaruzelski si decise di servirsi delle forze armate. In poche ore l’esercito assunse il controllo del paese, mentre a Varsavia i carri armati comparivano per le strade. Il paese si ritrovò isolato dal mondo esterno, furono interrotte le comunicazioni telefoniche e le frontiere chiuse. A partire da quel momento qualunque sciopero e qualunque disubbidienza erano passibili delle sanzioni previste dal codice militare. Lech Walesa, che sembrava essere sfuggito all’arresto, avrebbe iniziato delle trattative con il governo, per poi essere internato in una villa nelle vicinanze di Varsavia. Passati lo stupore e lo sconforto della presa di potere da parte dell’esercito,gli operai iniziarono a reagire. Nei principali centri industriali gli scioperanti si asserragliavano nel luoghi di lavoro. La resistenza passiva degli operai e degli studenti si organizzò in tutto il paese, malgrado la repressione, spesso sanguinosa, da parte dell’esercito. Gli anni ottanta: il momento della perestrojka. I problemi dei paesi dell’Est all’inizio degli anni ottanta. La nomina dell’ex capo del KGB, Iuri Andropov, al vertice del Partito e dello Stato sovietico venne generalmente interpretata come una vittoria dei “riformisti”. Poco dopo il suo arrivo al potere, Andropov propose un piano che mirava a migliorare le relazioni Est-Ovest. D’altra parte sembrava intenzionato a lasciare maggiore libertà d’azione ai “paesi fratelli”, particolarmente nel campo della politica interna. Il suo precario stato di salute lo allontanò presto dalla politica e permise l’ascesa di uno dei suoi pupilli, Mikhail Gorbaciov. La vera svolta ebbe luogo quando fu annunciata l’elezione di Mikhail Gorbaciov a segretario generale del Partito. Quest’ultimo allontanò subito dai principali posti di responsabilità gli amici di Breznev. Per il nuovo capo del Cremlino, il problema prioritario per 75 eccellenza era il riordino dell’economia sovietica. Per risolverlo, bisognava procedere a una ristrutturazione radicale (perestrojka) del sistema economico e delle istituzioni, in un clima di apertura e trasparenza (glasnost). Fin dall’inizio, i popoli dell’Europa dell’Est accolsero con soddisfazione il nuovo orientamento del Cremlino. Per contro, molti dirigenti dei paesi socialisti si dimostravano scettici o attendisti. La diffidenza rimaneva sempre, dal momento che il comportamento di Gorbaciov poteva sembrare caratterizzato da contraddizioni. Ma era comprensibile la sua reticenza a impegnarsi in un segno o in un altro, ma per le popolazioni Gorbaciov rappresenterà una certa speranza di allentamento della tutela sovietica. - Persistenza della crisi economica. Le difficoltà economiche apparse nei paesi dell’Est a metà degli anni settanta assunsero l’aspetto di una vera crisi economica nel decennio seguente. Gli Stati socialisti erano inoltre in uno stato di dipendenza reciproca e le difficoltà di uno Stato avevano immediate ripercussioni su tutti gli altri. L’inflazione cominciata alla fine degli anni settanta, il continuo ricorso a crediti occidentali per sostenere le economie disastrate, tutto ciò contribuì a far prendere coscienza a molti tra i dirigenti di questi Stati, che era ormai indispensabile una profonda riforma del sistema di economia pianificata. Anche se in Bulgaria, in Ungheria e nella RDT i bisogni alimentari della popolazione venivano garantiti in modo normale, dovunque alcuni prodotti, in particolare carne e latticini, erano disponibili a periodi alterni o frazionati. L’insufficiente rete di distribuzione, soprattutto in provincia, causava la formazione di lunghe file d’attesa davanti ai negozi di alimentari. L’inflazione costituiva il secondo punto più debole delle economie dell’Europa dell’Est. Uno dei rimedi adottati per non penalizzare le esportazioni è stato quello di ricorrere a frequenti svalutazioni, il che ha aumentato la diffidenza della popolazione nei confronti della moneta nazionale, portando a un contrabbando di moneta estera convertibile molto redditizio, tollerato dalle autorità. Oltre all’inflazione, il debito estero rappresentava un pesante onere per i paesi dell’Est. Pochi giorni prima della sua caduta, Ceausescu si vantava del fatto che il suo paese lo aveva interamente rimborsato. In Albania non vi era alcun indebitamento, ma in tutti gli altri paesi dell’Est europeo vi erano debiti verso le banche occidentali. La crisi economica dei paesi socialisti era ulteriormente aggravata dai rapporti di dipendenza commerciale che li legavano all’URSS. Per il loro approvvigionamento di gas, petrolio e materie prime, molti di questi paesi dipendevano dall’’URSS, che al momento, ad esempio, del rialzo del costo del petrolio, uniformò i suoi prezzi a quelli mondiali, ma quando i costi mondiali diminuirono, l’Unione sovietica mantenne i suoi prezzi. Inoltre, tramite il sistema bancario centralizzato, l’URSS disponeva, a proprio vantaggio, degli eventuali profitti commerciali dei paesi fratelli. Con l’attuazione della perestrojka si aprivano nuove prospettive per i paesi dell’Est europeo. Bisognava riformare da cima a fondo l’economia e ridefinire le relazioni tra le democrazie popolari e l’Unione Sovietica. L’aspetto economico del problema era quindi strettamente legato a quello politico. - Minoranze nazionali e scontri inter-etnici. Lenin aveva combattuto ogni forma di nazionalismo di Unione sovietica, consapevole del fatto che in uno Stato in cui vivevano un centinaio di nazionalità, qualsiasi tipo di sentimento nazionalista avrebbe portato alla guerra civile. Solo con l’ascesa di Gorbaciov, il divario tra la teoria e la pratica si attenuò, e il destino di migliaia di polacchi, moldavi di lingua romena, ungheresi e nettamente migliorato. L’URSS di Gorbaciov sembrava tornata all’orientamento predicato da Lenin, poi dimenticato dai suoi successori. Gli scontri inter-etnici hanno assunto un aspetto molto preoccupante in Jugoslavia. Il Kosovo, era una provincia autonoma amministrativamente unita alla repubblica di Serbia. Le tendenze nazionaliste dei primi, episodiche durante gli anni settanta, causarono la partenza di parecchie migliaia di serbi dal Kosovo, preoccupati per la propria incolumità. Scontri molto violenti si sono verificati in tutte le città del Kosovo, e il nazionalismo albanese ha provocato la reazione di quello serbo. I segni precursori del cambiamento (1982-1988). Con l’avvento al potere di Gorbaciov e l’inizio della politica di riforme, l’Europa dell’Est ha iniziato a reagire. In Ungheria e in Polonia la Perestrojka ha trovato maggiore eco all’interno dei governi; negli 76 altri paesi si è cercato di mantenere le strutture esistenti. La Romania di Ceausescu ha risposto al desiderio di riforme rafforzando la dittatura. Il blocco dei “conservatori”. - Un mondo isolato: l’Albania. Alla morte di Enver Hoxha nel 1985, che aveva esercitato un potere assoluto per quarantun’anni, questo Stato costituiva un caso unico: era l’ultimo bastione dell’ortodossia stalinista. Per Hoxha, il suo era l’unico paese in cui il Marxismo non era stato tradito. Hoxha era riuscito a isolare totalmente l’Albania dal mondo socialista, senza per questo avvicinarsi al mondo occidentale. Il successore di Enver Hoxha, Ramiz Alia, mantenne gli orientamenti generali e nessun disgelo accompagnò il suo arrivo al potere. Per contro, alla fine degli anni ottanta, ci fu una certa apertura verso i paesi occidentali. Un trattato d’amicizia è stato firmato con la Grecia, per porre fine alla guerra fra questi due paesi. Malgrado la spinosa questione del Kosovo, i rapporti con la Jugoslavia sono migliorati. Tuttavia l’Albania ha continuato a riaffermare la sua totale indipendenza nei confronti dei due blocchi e a rifiutare qualunque aiuto finanziario proveniente da qualsiasi parte. - Un satellite modello: la Bulgaria. La Bulgaria era un satellite incondizionato dell’URSS e diversamente dalle altre democrazie popolari, esiste tra la popolazione bulgara un atteggiamento favorevole nei confronti della Russia, legata al ruolo che questo paese ha avuto nel XIX per l’indipendenza della Bulgaria. Dopo l’arrivo al potere di Gorbaciov fu realizzata una perestrojka limitata esclusivamente al settore economico. Per contro, nessun cambiamento davvero radicale si realizzò in campo politico, ad esclusione di una maggiore importanza data all’Assemblea nazionale. - La RDT di Eric Honecker. Era questo il paese economicamente più sviluppato di tutta l’Europa orientale e la sua popolazione aveva sempre goduto di un livello di vita relativamente alto rispetto ai “paesi fratelli”. Tale situazione non aveva comunque evitato lo scontento crescente della popolazione,soprattutto dei giovani, che mal sopportavano il controllo onnipotente dello Stato su tutta la vita culturale e sociale e che desideravano viaggiare liberamente, soprattutto nella RFT. L’onnipotenza di Honecker mantenne l’RDT sotto una rigorosa sorveglianza. Nonostante ciò gli anni ‘80 sono stati caratterizzati dal rafforzamento delle relazioni politiche ed economiche con i paesi occidentali, in particolare con la RFT, in cui Honecker si recò (fu il primo capo di Stato della Germania orientale a recarsi in Germania Ovest.) I dirigenti della RDT avevano dimostrato un certo scetticismo, per non dire ostilità, nei confronti della perestrojka,e alcuni discorsi di Gorbaciov furono censurati, poiché considerati pericolosi. Diffidente nei confronti delle iniziative politiche di Gorbaciov, Honecker cercava sempre di esercitare il su potere al di fuori di qualsiasi ingerenza straniera, anche quella dell’alleato sovietico. - La Cecoslovacchia “normalizzata” di Husak. Gustav Husak, giunto al potere all’indomani della repressione della “Primavera di Praga”, si era identificato con la politica di “normalizzazione”. L’arrivo al potere di Gorbaciov non modificò in nulla la linea politica dei dirigenti di Praga dell’epoca, e Husak bocciò ogni progetto di riforma. Nella sua visita, Gorbaciov ricevette però dalla popolazione cecoslovacca un’accoglienza particolarmente cordiale. Qualche mese dopo, Husak abbandonava la direzione del partito ma conservava quella dello Stato. Veniva sostituito da Milos Jakes, il cui arrivo al potere fu considerato segno d’apertura. Ma di fatto grande fu la delusione quando una riorganizzazione tra gli alti quadri si concluse con l’eliminazione dei liberali. Alcuni intellettuali non esitarono a pagare di persona il loro impegno per difendere i princìpi di democrazia. La Chiesa cattolica si schierò con i dissidenti e il suo comportamento corrispondeva a un rinnovamento religioso in un paese in cui qualunque insegnamento dottrinale era stato bandito da quarant’anni. - La Romania del clan Ceausescu. Negli anni ‘80 la Romania era il paese più povero d’Europa. Per ordine del presidente Ceausescu, il centro della vecchia capitale storica fu totalmente raso al suolo, in nome dell’edificazione della città socialista ideali nel più puro stile dell’architettura stalinista. Il presidente Ceasusescu esercitò un potere assoluto sulla repubblica socialista della 77 Romania, accentrando nella sua persona le cariche di capo di Stato, segretario generale del Partito comunista e comandante delle forze armate. Godendo di un trattamento di favore da parte dei paesi occidentali e dei loro mass media, egli esercitò un potere personale assoluto. La visita di Gorbaciov in Romania esercitò un’ondata di speranza nella popolazione, ma Ceasescu non apprezzò assolutamente le ingerenze dell’ospite negli affari interni della Romania. Era difficile per gli oppositori in questo clima, manifestare le proprie posizioni. Tuttavia alcuni sindacati liberi avevano cercato di formarsi nelle zone minerarie della Transilvania. Contro questi tentativi di opposizione il potere rispose con la pressione violenta e l’internamento psichiatrico. La prima vera manifestazione si verificò dopo l’annuncio di nuove restrizioni per il riscaldamento e l’uso dell’elettricità. Il fatto che tali disordini si fossero prodotti nelle regioni in cui le minoranze ungheresi e tedesche erano numerose, causò un inasprimento della politica condotta nei loro confronti. I paesi dell’”apertura”. - L’Ungheria, vetrina del mondo socialista europeo. In tutta l’Europa orientale, l’effetto più sensibile della perestrojka fu senza dubbio l’allontanamento di Janos Kadar, generale del Partito socialista operaio ungherese per trentadue anni. Da qualche anno Kadar era infatti contestato perfino all’interno del suo stesso partito e il clima liberale che egli aveva contribuito a creare gli si rivoltò contro. Egli aveva permesso la nascita di una vera “opposizione” e a causa delle crescenti difficoltà economiche si erano costituiti numerosi sindacati liberi. Il primo segno precursore di cambiamento si manifestò in occasione delle elezioni legislative del 1985: per la prima volta in un paese socialista, candidati liberi vennero autorizzati a presentarsi, a patto che accettassero il programma del Fronte Popolare Patriottico. Era ormai lontano il tempo in cui il Partito voleva governare tutto. Era ormai lontano il tempo in cui il partito voleva governare tutto. Questo nuovo atteggiamento del potere si tradusse in una relativa tolleranza e il vento di contestazione diffusosi persino all’interno del Partito fu convocata una conferenza nazionale straordinaria, durante la quale fu decisa la sorte di Kadar. Venne subito nominato un nuovo comitato centrale, in cui entrarono numerosi riformatori. Fu con uno scrutinio segreto - altra innovazione- che fu nominato il successore di Kadar: Karoly Grosz. L’allontanamento di Kadar fu accolto positivamente a Mosca, poiché facilitava l’attuazione di riforme radicali e dava soddisfazione agli oppositori. Grosz, ormai libero di agire, per risolvere la crisi economica cercò un’apertura all’Occidente molto decisa. Il capo del governo si rivolse alla CEE con cui stillò un accordo, il primo tra un paese del CAER e la CEE. Al capo del Governo fu invece posto un giovane economista di quarant’anni, ex allievo di Harvard, Miklos Nemeth. Che cercò di organizzare il programma di riforme tanto atteso da tutti. E lo fece favorendo la collaborazione attiva della Chiesa cattolica, che, per molto tempo in posizione di secondo piano, entrava anch’essa nel dibattito politico. - Rinascita di Solidarnosc. La proclamazione dello stato di guerra da parte del generale Jaruzelski e l’arresto dei principali dirigenti di Solidarnosc, erano stati accolti favorevolmente dai regimi allora in vigore nell’Europa orientale. I paesi occidentali avevano animatamente condannato il “colpo di Stato” di Jaruzelki, ma di fatto fu solo a Roma che il Papa condannò, con estrema decisione, il colpo di mano del potere polacco. Malgrado manifestazioni organizzate da Solidarnosc, la normalizzazione venne realizzata rapidamente, tramite ripetuti incontri tra monsignor Geme e il generale Jaruzelski. Lech Walesa e parecchie centinaia di detenuti venivano liberati. La sospensione dello stato di guerra portò la vita ad un livello di quasi normalità, in una Polonia disillusa dopo l’immensa speranza suscitata dalla nascita e dal rapido sviluppo di un sindacato libero, indipendente dal potere. Un fragile equilibrio si costituì a poco a poco nella nazione, tra il potere politico, rappresentato da Jaruzelski e sostenuto dal Partito operaio polacco, e le due forze che lo contrastavano: una, l’opposizione, rappresentata principalmente dai simpatizzanti di Solidarnosc, l’altra dalla potente Chiesa cattolica, sostenuta da Roma da Giovanni Paolo II, il cui ruolo fu molto importante, poiché i schierò nettamente con Solidarnosc. Ogni viaggio di Giovanni Paolo II in Polonia era occasione di 78 manifestazioni popolari a favore del sindacato. Fra due suoi viaggi, l’assassinio di padre Popieluszko, parroco di una parrocchia di Varsavia. Gli accusati furono condannati a lunghe pene, ma scarcerati dopo soli tre anni. Organizzando per l’occasione un processo pubblico, il potere salvava la faccia davanti all’opinione pubblica internazionale. Il premio Nobel per la pace assegnato a Lech Walesa, consacrava il suo prestigio al di là delle frontiere oltre che in Polonia, ma l’abilità con cui Jaruzelski risolse la crisi politica del paese, gli procurò addirittura un sentito riconoscimento da parte di Mikhail Gorbaciov. Jaruzelski e Walesa erano destinati ad accordarsi, se si voleva superare la crisi economica. Senza l’aiuto di Solidarnosc non poteva essere intrapresa alcuna politica di risanamento, poiché soltanto i dirigenti del sindacato libero erano in grado di fare accettare agli operai i sacrifici richiesti dal necessario risanamento dell’economia. La Polonia era uno Stato in cui, contrariamente agli altri paesi dell’Est, la popolazione continuava ad aumentare in modo significativo, risultato di una solida tradizione cattolica. L’esodo dalle campagne continuava, mentre le strutture dell’agricoltura rimanevano tradizionali e spesso arcaiche. L’introduzione del razionamento alimentare pose fine al mercato libero, provocando l’apparizione di un vero e proprio mercato nero, il che portò a due principale conseguenze: i prezzi degli alimentari erano in rialzo costante al mercato nero, mentre in quello ufficiale i prezzi erano più bassi ma i prodotti erano più scarsi e di qualità inferiore. Anche l’industria aveva grossi problemi. Oltre alle tensioni sociali che avevano rallentato la produzione, l’industria polacca cominciava a soffrire sia dell’esaurimento di alcune risorse naturali che del ritardo tecnologico in numerosi settori. Altro aspetto della crisi economica era l’esistenza di un forte indebitamento con l’estero, sia con l’Occidente che con la Russia. La gravità della situazione e i rischi conseguenti di una ripresa dell’agitazione operaia, incitarono il governo a ricercare una soluzione politica per la crisi. La Dieta votò un emendamento alla Costituzione, che avrebbe reso possibile l’attuazione di una riforma economica,tra le cui principali misure prese in considerazione c’era un aumento dei prezzo dal 20% al 50% e blocco dei salari. La consultazione popolare che ebbe luogo approvò riforma politica, ma per il governo c’era poco da essere soddisfatti, poiché meno di metà elettori iscritti nelle liste avevano votato. Il governo presentò l’emendamento alla Dieta, che lo adottò con alcune modifiche, che stabilirono lo scaglionamento del rialzo dei prezzi alimentari in tre anni. Come è ovvio, le prime applicazioni di tali misure provocarono scioperi e manifestazioni. Il potere si risolse di negoziare con Walesa e l’incontro tra quest’ultimo e il ministro dell’Interno si concluse con un accordo: il governo polacco e Lech Walesa avrebbero organizzato una tavola rotonda allo scopo di costituire in Polonia una vera democrazia. Il crollo dei regimi comunisti (1989). Un ambiente favorevole al cambiamento. L’arrivo al potere di Mikhail Gorbaciov ha avuto un notevole peso sui destini dei paesi dell’Europa dell’Est e sul comportamento dei loro dirigenti. Inizialmente si è avuto il risveglio delle nazionalità nel Caucaso, seguito da quello delle repubbliche baltiche, e dalla volontà di queste etnie di accedere all’indipendenza, senza che l’Armata Rossa intervenisse … la lenta liberalizzazione dell’informazione nell’URSS: tutto questo aveva portato alla nascita di una grande speranza. I dirigenti sovietici, in nome di glasnost e perestrojka, tolleravano una contestazione sempre più audace. Per Gorbaciov, la cooperazione economica con il mondo occidentale era necessaria e anche le democrazie popolari avevano bisogno dell’aiuto finanziario del mondo occidentale, di quello della CEE in particolare. Le elezioni quasi “libere” che ebbero luogo nell’Unione sovietica nel 1989, implicavano il fatto che consultazioni analoghe potevano essere indette nei “paesi fratelli“. 79 La successione dei cambiamenti: la Polonia e l’Ungheria. - La Polonia: la ripresa delle riforme politiche dopo una battuta d’arresto. In effetti è tutto iniziato dalla Polonia: dopo aver invano cercato di soffocare il sindacato libero, il potere polacco si era finalmente deciso a trattare con quest’ultimo. La “tavola rotonda” promessa a conclusione degli incontri tra il ministro dell’Interno e Walesa ebbe luogo e terminò con la firma di un patto globale tra il potere e Solidarnosc. Questo accordo segnò una svolta decisiva non solo per la Polonia, ma per tutto il settore socialista. Questo patto prevedeva il ristabilimento del pluralismo sindacale, sanciva una totale ristrutturazione delle istituzioni: alla guida del paese ci sarebbe stato un presidente della repubblica, il vero capo di Stato; il potere legislativo sarebbe spettato ad un parlamento bicamerale eletto a suffragio universale, formato da Dieta e Senato. Risultato politico dell’accordo fu l’organizzazione delle prime elezioni libere a partire dal 1945. Tali consultazioni furono un successo per l’opposizione. I comunisti non avevano più la maggioranza e non potevano mantenere la loro influenza. Dopo aver indugiato, il generale Jaruzelski avanzò la sua candidatura alla carica di presidente e fu eletto con il minimo dei voti. Rimaneva ora da formare il nuovo governo: la Polonia era il primo paese dell’Est ad essere diretto da un governo presieduto da una personalità non comunista, Mazowieski, uno dei consiglieri di Walesa ed elemento moderatore di Solidarnosc. Per quanto riguarda la crisi economica,tutti erano d’accordo per la costituzione di un programma basato su una vera economia di mercato, sulla lotta contro l’inflazione, la rigida diminuzione delle sovvenzioni alle industrie fallimentari. Rimaneva da fare accettare al paese questo piano e tutto dipendeva dal livello di maturità politica della popolazione. Il comitato centrale discusse anche lo scioglimento del POP, e la sostituzione con uno nuovo, non marxista e di diverso nome, tenendo conto del disastroso bilancio dell’azione precedente del POP dall’epoca stalinista in poi. Nel 1990 era iniziato un clima abbastanza teso: le manifestazioni contro il carovita si moltiplicavano, i contadini temevano l’economia di mercato. Vi erano molte difficoltà per il nuovo gruppo di governo e la sua credibilità. - L’Ungheria, ovvero la “riforma tranquilla”. Diversamente da quanto avvenne in Polonia, l’Ungheria proseguì nella calma e tranquillità la sua avanzata verso la democrazia. Alla riforma condotta con costanza dal governo, si era affiancata una riforma “spontanea” condotta facilmente dal momento che il parlamento aveva abolito tutti gli ostacoli che limitavano l’esercizio della libertà di associazione e manifestazione. Associazione e gruppi di ogni tipo si erano moltiplicati, accanto ai movimenti di opposizione. La stampa si era spontaneamente liberata da ogni autocensura. L’antico stemma sormontato dalla corona di santo Stefano era riapparso sulla bandiera nazionale, anche in occasione di cerimonie ufficiali. Alcuni partiti politici come quello democratico-cristiano e quello dei piccoli proprietari, contemplavano seriamente la candidatura di Otto d’Asburgo, figlio dell’ultimo imperatore - re, alla presidenza della repubblica. Da parte sua , il potere voleva integrare la riforma nel quadro della tradizione nazionale. Allo stesso modo il governo compì un gesto estremamente significativo, riabilitando i combattenti della contro-rivoluzione del 1956. La riabilitazione ufficiale di Imre Nagy fu seguita da una cerimonia funebre in cui cinque bare, contenenti resti esumati di Nagy e dei suoi collaboratori, oltre una sesta vuota, rappresentante le centinaia di vittime della repressione, furono oggetto dell’omaggio di migliaia di ungheresi. Il governo era rappresentato dal primo ministro Nemeth e dal ministro di Stato Pozsgay. All’interno del Partito ci si affannava febbrilmente per attuare il rinnovamento atteso da numerosi militanti. Si ebbero “libere elezioni” nell’estate 1989 in quattro circoscrizioni. In tre circoscrizioni i candidati dell’opposizione ottennero la maggioranza e vennero eletti. Fu votato in seguito lo scioglimento del Partito socialista operaio ungherese e la sua sostituzione con un Partito socialista ungherese. Il parlamento procedette ad una revisione della Costituzione del 1949. Il paese non era più una repubblica popolare, ma solo la Repubblica d’Ungheria; uno Stato di diritto che riconosceva il multipartitismo. Altre misure prese dal governo avevano mostrato che il passato era definitivamente morto: fu definitivamente riabilitato il cardinale Mindszenty e riconosciuto che fosse stato sottoposto a torture fisiche e psichiche. Furono eretti monumenti commemorativi. La 80 stampa e la televisione celebrarono gli “eroi del 1956” con commozione. La politica estera dell’Ungheria non era sfuggita al vento di riforme che aveva interessato quella interna. Il nuovo ministro degli Esteri ristabilì le relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele. I rapporti con la vicina Austria diventarono sempre più stretti. Il provvedimento più interessante fu la decisione del governo di smantellare la “Cortina di ferro” che separava l’Ungheria dall’Austria. La nuova Ungheria si rivolse decisamente verso l’Occidente, in particolare con i paesi della CEE. La breccia aperta nella “Cortina di ferro” portò molto rapidamente a un fenomeno inaspettato: migliaia di tedeschi dell’Est, desiderosi di stabilirsi nella RFT, si recarono come turisti in Ungheria e non vollero rientrare nel loro paese. Sebbene era obbligo per l’Ungheria, rispedire in RDT i tedeschi che sarebbero voluti entrare in Austria, la frontiera austro-ungherese si aprì di fronte a migliaia di rifugiati. Questo gesto fu salutato con entusiasmo dalle autorità di Bonn. Il gesto umanitario del governo ungherese ravvicinava un poco l’Ungheria al mondo occidentale, ma avrebbe avuto serie conseguenze per il regime della RDT. Le masse all’assalto del potere: Berlino, Praga, Sofia. Contrariamente a ciò che si verificò in Polonia e in Ungheria, dove oppositori e dirigenti avevano realizzato il cambiamento di comune accordo, nella RDT, in Cecoslovacchia e in Bulgaria furono le manifestazioni popolari pacifiche a far indietreggiare il potere e a imporre le riforme. - La caduta di Honecker e la fine del “Muro di Berlino”. Fin Dall’inizio i dirigenti della RDT avevano manifestato la loro ostilità nei confronti dei cambiamenti che si stavano realizzando in Polonia e Ungheria. La linea “dura” era di rigore a Berlino Est. Nonostante ciò i giovani tedeschi della Germania orientale tolleravano sempre meno il controllo onnipotente dello Stato e del Partito. L’annuncio della distruzione della Cortina di Ferro spinse migliaia di tedeschi dell’Est a passare in Occidente. Le autorità della RDT reagirono chiudendo il loro confine con la Cecoslovacchia, indispensabile per chi volesse arrivare in Occidente. I tedeschi dell’Est bloccati in Cecoslovacchia si rifugiavano nell’ambasciata dell’RFT a Praga, provocando seri problemi d’asilo. Il governo della Germania orientale, dietro pressione dell’opinione pubblica, permise il passaggio nel suo territorio di treni speciali con a bordo profughi che volevano stabilirsi nella RFT. Contemporaneamente alla visita di Gorbaciov in RDT, a Berlino e nelle principali città della RDT, migliaia di manifestanti si riunivano nelle strade per esprimere la loro ostilità ad Honecker. Non furono le parole di Gorbaciov riguardo la necessità di evoluzione anche per la Germania dell’Est a fare indietreggiare Honecker, ma il moltiplicarsi delle manifestazioni popolari. Il popolo conseguiva la sua prima vittoria: Erich Honecker abbandonava le sue cariche di capo dello Stato, del Partito e dell’esercito. Fu immediatamente sostituito, al vertice del partito, da un conservatore, la cui nomina fu letta come una provocazione: ovunque la folla reclamava il suo allontanamento, lo scioglimento della STASI e l’abolizione del monopolio politico del Partito comunista. Il nuovo vertice del partito, tornato da una visita a Mosca, per calmare gli animi annunciò l’immediata apertura delle frontiere con la RFT. Poco dopo abbandonò la direzione del partito. Alla fine di una “tavola rotonda” che riunì tutti i partiti politici, venne comunicato che si sarebbero tenute libere elezioni per nominare un nuovo parlamento. Tuttavia la situazione era molto meno chiara che in Polonia e Ungheria: ancora il Partito comunista non aveva desposto le armi;d’altra parte il Partito controllava ancora quasi tutto l’apparato statale. Per i tedeschi dell’Est, al di fuori della possibilità di viaggiare liberamente nella RFT non c’era stato altro importante cambiamento. L’opposizione era molto divisa soprattutto sul problema della riunificazione della Germania e aveva preso coscienza della sua debolezza. Il popolo, che rappresentava la maggioranza, non era più silenziosa e passiva. I tedeschi dell’Est non volevano più sentire parlare di STASI o di comunismo e lo dimostrarono chiaramente quando a Berlino Est decine di migliaia di maifestanti assaltarono l’edificio della sede centrale della STASI. L’annuncio dell’apertura di un procedimento legale contro Erich Honecker e contro il capo della STASI fu un secondo successo. 81 - Il trionfo del popolo in Cecoslovacchia. Il pecipitare degli eventi storici che ha portato alla caduta del potere comunista in Cecoslovacchia si spiega con la presenza congiunta di due fenomeni: da un lato l’effetto contagioso dei cambiamenti dei paesi vicini, soprattutto quando la Cecoslovacchia si trovò coinvolta, con l’ambasciata della RDT a Praga, nell’esodo dei profughi tedeschi verso l’Occidente; dall’altro il ritorno alla democrazia parlamentare in Ungheria e in Polonia, dal momento che questi paesi erano costantemente visitati dai turisti cecoslovacchi. Il potere comunista cecoslovacco, rappresentato da Gustav Husak, capo dello Stato, e Milos Jakes, segretario generale, riuscì a contenere la crescente opposizione con la repressione violenta. Gli studenti e i giovani volevano commemorare lo studente Jan Palach che nel 1969 si era immolato dandosi fuoco per protestare contro l’ingresso in Cecoslovacchia degli eserciti del Patto di Varsavia. In Cecoslovacchia parecchie migliaia di personalità del mondo della cultura indirizzarono al primo ministro Adamec una lettera per reclamare contro la repressione poliziesca. All’estero l’indignazione veniva manifestata pubblicamente. Al manifestare , l’opposizione e la Chiesa insieme a lei proponendosi mediatrice col governo, la necessità di dialogo, il governo reagì con degli arresti. Ciò non impedì che si riunissero parecchie migliaia di persone in Piazza San Venceslao nel cuore di Praga: ne furono arrestati quasi 400, tra cui decine di polacchi di Solidarnosc e ungheresi. Una nuova manifestazione, alla quale l’opposizione aveva invitato la popolazione, scese di nuovo a protestare a piazza San Venceslao, chiedendo la libertà e le dimissioni di Jakes. Successivamente ad una manifestazione sedata brutalmente, il Forum civico, che riuniva tutte le componenti dell’opposizione, organizzò giornalmente cortei sempre più imponenti. Il vecchio leader, Alexander Dubcek insieme al nuovo capo dell’opposizione, Havel, presero la parola e dietro la pressione delle masse, l’ufficio politico del Partito si dimise in blocco. Milos Jakes venne sostituito a capo del partito. Il rinnovo della direzione del partito non risolse nulla. Fu il parlamento ad adottare il primo provvedimento in grado di calmare la folla; fu abolito il ruolo dirigente del Partito comunista, il che voleva dire ammettere il multipartitismo. Nuovi contatti furono costruiti tra Adamec e il Forum civico. Il nuovo governo annunciò subito lo smantellamento della Cortina di Ferro con l’Austria e lo scioglimento della polizia politica. Alexander Dubcek fu eleletto presidente del parlamento, una carica essenzialmente onorifica, ma l’indomani Havel fu nominato presidente della repubblica. Un tempo perseguitato dai comunisti, era il primo non comunista ad avere questo incarico. Dopo aver posto una corona di fiori davanti alla statua di San Venceslao, Havel annunciò un’amnistia generale. - In Bulgaria. La Bulgaria costituisce l’unico esempio di paese dell’Est in cui il potere si è fatto da parte sotto la pressione delle manifestazioni popolari e senza spargimento di sangue. Il vento della perestrjka non vi aveva soffiato ancora con decisione. Le trasformazioni in atto in Polonia e Ungheria non lasciavano indifferenti gli ambienti intellettuali e i giovani. Per distogliere l’opinione pubblica dai problemi di riforma politica, il governo puntò sul nazionalismo bulgaro e inasprì le misure in corso da qualche anno, che miravano all’eliminazione della minoranza di origine turca. Questa diversione non risolse comunque nulla. Tutti aspiravano a riforme analoghe a quelle adottate in altri paesi dell’Est. La pressione popolare aumentò quando furono annunciate alcune concessioni ma la cui applicazione fu rimandata. Finalmente Zivkov si dimise e fu sostituito con Petar Mladenov, considerato moderato. Egli annunciò una politica sulla scia del socialismo, ma furono immediatamente preannunziate alcune forme di liberalizzazione. Sotto pressione della folla il potere comunista aveva ceduto. Tuttavia, annunciando la reintegrazione della minoranza turca nei suoi pieni diritti, il comitato centrale sperava di provocare una reazione antiturca da parte dei bulgari. Ciò avrebbe dovuto mettere in imbarazzo l’opposizione. Vi furono violenti scontri fra i cittadini di origine bulgara e bulgari di origine turca e l’opposizione si preoccupò seriamente, non esitando a denunciare le provocazioni del potere. Migliaia di bulgari protestarono per Sofia a favore di vere riforme. Riprendendo le loro richieste, l’Assemblea Nazionale votò una legge che poneva fine al monopolio politico del Partito comunista. La Bulgaria si era incamminata lungo la strada seguita dagli altri paesi riformatori. 82 La tragedia romena. Di tutti i paesi dell’Est, ad eccezione dell’Albania, la Romania era quello in cui il comunismo aveva assunto l’aspetto più tirannico. Il culto della personalità aveva raggiunto un tale livello da poter credere di essere tornati ai peggiori momenti dello stalinismo. All’interno del paese solo alcuni dissidenti molto coraggiosi avevano osato parlare. E’ il caso della docente Doina Cornea, arrestata continuamente, picchiata dalla polizia, liberata e sottoposta a una stretta sorveglianza da parte della Securitate, continuava comunque a denunciare il regime di Ceausescu. Perfino all’interno del Partito comunista romeno alcuni alti funzionari ne avevano preso le distanze. All’estero, l’immagine di Ceausescu andava deteriorandosi. Dopo il viaggio di Gorbaciov a Bucarest, le relazioni con l’URSS si incrinarono rapidamente. Il mondo occidentale prese anche coscienza di ciò che tale regime era in realtà: la distruzione di villaggi, i maltrattamenti inflitti alle minoranze nazionali, le violazioni dei diritti dell’uomo, la scarsità di beni come regola di vita, svegliarono piano piano il mondo occidentale dal suo torpore. Nonostante il partito non fosse unanime e ci fossero richieste di destituire il dittatore, al momento dell’apertuta del XIV Congresso del Partito, Ceausescu fu riconfermato segretario generale del Partito. Un mese dopo il regime crollava dopo più di una settimana di scontri sanguinosi, risultato di più avvenimenti: all’origine vi era l’aggravarsi della situazione delle minoranze ungheresi e tedesche della Transilvania. Inoltre significativa fu la presa di posizione di un pastore, che denunciava gli abusi delle autorità e la docilità dei suoi superiori. Quando la polizia volle arrestarlo, i suoi parrocchiani lo protessero intorno alla sua casa e fronteggiarono i poliziotti. L’indomani vi erano migliaia di manifestanti che assalivano gli edifici e la sede del Partito bruciando i ritratti di Ceausescu. La repressione fu sanguinosa e vi furono parecchie centinaia di morti. Tuttavia le manifestazioni continuavano e migliaia protestarono contro il divieto di seppellire i corpi delle vittime della repressione. Il Conducator organizzò a Bucarest una manifestazione di sostegno, e il suo discorso venne presto interrotto da urla ostili della folla, che portarono all’interruzione della trasmissione alla tv. L’insurrezione aveva così raggiunto la capitale, e i manifestanti si lanciarono verso l’edificio della televisione, diventata “libera”, permettendo a tutto il mondo di seguire in diretta ciò che avveniva. Si seppe che Ceausescu e la moglie avevano abbandonato il potere ed erano fuggiti in elicottero, ma furono presto riconosciuti e arrestati dai militari passati alla rivoluzione. Dopo le dimissioni del governo, il solo potere legale era il Consiglio del Fronte di Salvezza Nazionale, tra i quali membri vi erano alcuni servitori del regime. Mentre il CFSN adottava le prime misure urgenti, nelle principali città si continuava a combattere. L’esercito cercava di porre fine alle azioni Nicolae Ceausescu e sua moglie erano stati condannati a morte da un tribunale speciale e vennero giustiziati dopo un frettoloso processo. Un nuovo governo fu formato dal CFSN, che annunciò un certo numero di provvedimenti, spinto dall’opinione pubblica: abolizione della pena di morte, libertà di stampa, settimana lavorativa di 5 giorni, approvvigionamento migliore. Ma presto si formò un clima diffidente, perché per molti romeni, le personalità principali del CFSN erano comunisti, a lungo complici di Ceausescu. Coloro che avevano combattuto per la libertà erano molto preoccupati e lo dimostravano con le quotidiane manifestazioni che organizzavano. All’indomani della rivoluzione, molto problemi rimanevano immutati: si temeva di essere stati ingannati dai un semplice “colpo di Stato”. Il difficile esercizio della democrazia. La fine della RDT e la riunificazione della Germania. Fin dal crollo del governo sotto la pressione delle masse e con l’assenso di ikhail Gorbaciov, la sorte della RDT era già stabilita. Alle elezioni che si verificarono, caratterizzate da una massiccia partecipazione, fu attribuita una considerevole maggioranza all’Alleanza per la Germania, guidata dall’Unione democristiana unita all’Unione 83 socialcristiana. I grandi vincitori sono stati partiti storici favorevoli alla riunificazione del paese. I tedeschi del’Est avevano voluto esercitare un voto utile, cioè votare per coloro che si erano chiaramente pronunciati a favore della riunificazione. Il marco tedesco diveniva la moneta unica su tutto il territorio e la frontiera tra i due Stati veniva abolita definitivamente. La nazione tedesca riunificata vedeva riconoscersi il diritto di stringere alleanze e ritrovava la piena sovranità nei suoi affari interni ed esteri. Le riserve polacche a proposito della riunificazione della Germania sono state definitivamente rimosse con la firma di un trattato con regole di intangibilità dell’attuale frontiera germanico-polacca. Il 3 ottobre 1990 la riunificazione della Germania diveniva realtà ed il primo cancelliere della Germania riunificata fu nominato, con grande maggioranza, Helmut Kohl. La trasformazione democratica e i suoi limiti. In Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia il passaggio alla democrazia è avvenuto senza intoppi. La volontà popolare si era espressa chiaramente, in queste nazioni, con elezioni totalmente libere e i cui risultati non furono contestati da nessuno. A differenza dei paesi dell’Europa centrale, le nazioni dell’Europa balcanica, la Bulgaria, l’Albania e la Romania erano rimaste un po’ in dietro. Tali democrazie, sebbene, una volta acquistate, ormai irreversibili, si trovavano a fronteggiare seri problemi. La costituzione delle strutture democratiche aveva parzialmente celato la catastrofica situazione economica delle vecchie democrazie popolari. Tutti i nuovi governi avevano espresso il loro fermo proposito di rinunciare all’economia socialista pianificata e di sostituirla con una di mercato. Ma ciò richiedeva del tempo. La ristrutturazione economica non si presentava ovunque negli stessi termini. L’ex RDT, integrata nella potente economia della RFT dopo il trattato di un’ unione monetaria, aveva percorso più facilmente questa strada. Negli altri paesi la situazione era diversa: in Romania e Bulgaria la riforma economica inserita nei programmi di governo rimase a lungo una pia intenzione prima di essere attuata. In Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia la situazione era migliore, ma con notevoli differenze tra un paese e l’altro. Soprattutto nei Balcani e in Jugoslavia, la democrazia aveva fatto rinascere certi antagonismi nazionali, che nei paesi di tradizione occidentale si erano in qualche modo ridotti. Il problema essenziale in Jugoslavia non era quello della democratizzazione, piuttosto quello dello scontro fra il nazionalismo panserbo, sostenuto dall’esercito federale, e i nazionalisti delle repubbliche e dei territori periferici, che forti del proprio successo elettorale, aspiravano anch’essi all’indipendenza. 84