C. Busana - Mito e Realtà

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Tavola rotonda della mattina
Spunti di discussione e di riflessione sulle Comunità Terapeutiche (CT) e soprattutto sul collegamento fra queste e i
servizi territoriali del DSM.
Claudio Busana
direttore del DSM azienda ULSS 5 Ovest Vicentino
Premetto che lavoro in Veneto e che dirigo un DSM (Az.Ulss5 Ovest Vicentino); credo sia noto che: 1) l’organizzazione
della psichiatria veneta si caratterizza per avere un primario unico dell’Ospedale (SPDC) e del Territorio
(CSM,CT,CA,APP,CD) e 2) il DSM è “incardinato” nel Distretto socio-sanitario dal quale dipende gerarchicamente per le
questioni organizzative.
La premessa mi consente di mettere in evidenza un primo punto: l’essere unica la direzione dei servizi ha
probabilmente ridotto i conflitti fra ospedale/territorio e fra primari, di coseguenza nel Veneto, a differenza di molte
altre regioni, si è costituito il Collegio dei primari psichiatri al quale aderisce la quasi totalità di noi. Questo organismo
si rapporta in maniera unitaria con la Regione e con gli altri protagonisti presenti nella psichiatria regionale
(Cooperative del Privato Sociale, Associazioni dei famigliari e degli utenti, mondo del Volontariato, Enti Locali…). Lo
scopo principale della sua creazione è stato ed è, quello di dialogare e di superare le divisioni per proporre una
programmazione condivisa. E’ recente l’esperienza di aver steso il nuovo Progetto Obiettivo per la Tutela della Salute
Mentale regionale con l’apporto costruttivo di tutti gli attori sopraccitati che si sono impegnati in un lavoro comune
superando così le vecchie barriere e le reciproche diffidenze.
Entro ora nel dibattito con alcune riflessioni sulle Comunità Terapeutiche. Anche in Veneto le CTRP (personale
assistenziale 24/24h.) e le Comunità Alloggio (CA) (a protezione 12/24h.) sono state prevalentemente private fino agli
anni novanta e negli ultimi anni sono diventate sia pubbliche che private. Sino al 97/99 le Strutture Residenziali (SR)
pubbliche c’erano, ma erano impegnate soprattutto a realizzare il superamento degli Ospedali Psichiatrici. La rotta si è
decisamente modificata dopo l’approvazione del primo Progetto Obiettivo Regionale nel 2000 e di una specifica Legge
Regionale che ha impegnato le Aziende Ulss a convertire le cosiddette SR di superamento degli O.P. trasformandole in
SR aperte al territorio. Da allora sono state aperte nuove CT pubbliche che hanno iniziato ad accogliere con sempre
maggiore frequenza i pazienti del territorio. Potersi avvalere di questo nuovo strumento di cura ha costituito
un’importante innovazione per i DSM. Va aggiunto tuttavia che nel corso degli anni precedenti si era verificata una
“stabilizzazione” degli ospiti soprattutto nelle CT private e che il fenomeno della lungo-degenza iniziato allora si sta
protraendo ancora un po’ in tutte le SR sia pubbliche che private. Il recente censimento delle SR fatto in Veneto nel
2006 “Ricerca Progres veneta finalizzata” ha messo in evidenza come le dimissioni siano molto poche e quindi il
turnover degli ospiti delle CT ancora scarso.
In Lombardia, che pure ha una più lunga esperienza in questo campo, mi pare si sia cercato di porre rimedio e di
superare l’ostacolo, anche stabilendo dei termini fissi di permanenza nelle CT . Con questo obbligo, soprattutto se
applicato rigidamente, si corre però il rischio di interrompere prematuramente il trattamento (almeno in alcuni casi).
A mio avviso la limitazione dei tempi di permanenza nelle CT dovrebbe essere proposto solo come un vincolo flessibile
finalizzato a stimolare delle sinergie tra i servizi territoriali (il CSM in primis) e le Comunità Terapeutiche sia private che
pubbliche le quali collaborano per la realizzazione Programmi Individuali che stabiliscano passaggi e tempi precisati.
A questo proposito mi pare che la difficoltà di relazionarsi in maniera costruttiva possa esistere soprattutto fra le CT
private e i servizi territoriali pubblici, ma dobbiamo ammettere che la difficoltà di concordare e di realizzare con il CSM
i Progetti Terapeutici Individualizzati (PTI) esiste anche per le CT pubbliche.
Ritengo che il problema principale sia che il paziente grave preso in carico (mai definizione fu più appropriata) e
finalmente stabilizzato nella CT spesso venga “dimenticato” dai servizi territoriali che nel frattempo hanno preso in
cura molti altri utenti. Per questa ragione non si pensa più né al paziente né alla sua famiglia che in questa azione di
delega spesso collude con i servizi. Quando sia il paziente nella CT che la famiglia hanno raggiunto un equilibrio
soddisfacente, risulta difficile introdurre elementi perturbanti.
Alcune domande che considero fondamentali: inserire un paziente grave in una CT può favorire la cronicizzazione? È
un modo per riaprire vecchie porte manicomiali? Il paziente deve essere trattato solo nel suo contesto sociale e
famigliare di appartenenza? Inserirlo in una CT lontana aggrava il distacco e la delega?
L’esperienza di questi anni ha dimostrato come la mancanza/carenza di CT ha favorito le lunghe permanenze dei
pazienti negli SPDC, il revolving door e in definitiva la cronicità. Ricordo che in precedenza i pazienti più gravi erano
sempre ricoverati in ospedale o a casa, in attesa di un trattamento efficace che però non arrivava mai.
L’organizzazione dipartimentale dei servizi risultava incompleta per il trattamento dei casi più gravi e complessi. E’
altrettanto vero però che anche la troppo lunga permanenza nelle CT può favorire la cronicità soprattutto quando
l’ospite e il PTI non evolvono più e la CT funziona solo per stabilizzare il paziente.
Vorrei provare ad affrontare il problema da un altro punto di vista; forse non esiste la Comunità Terapeutica, bensì
esistono le Comunità Terapeutiche che sono una risorsa fondamentale del DSM assieme ai Centri Diurni(CD). Me ne
vengono in mente almeno 5 tipi principali per il trattamento dei pazienti psichiatrici adulti:

il primo tipo è destinato ad accogliere i pazienti giovani, gli esordi psicotici e tutti quei casi gravi e complessi
che non hanno una lunga storia psichiatrica alle spalle e che necessitano di un intervento tempestivo e
intenso. Questa Comunità è inserita nel territorio di provenienza e ha una forte impronta terapeutica; essa
offre attività intensive orientate all’inserimento lavorativo, scolastico e all’autonomizzazione della persona.
La dimissione avviene di solito e senza “forzature”in tempi ragionevoli.
 il secondo tipo che in Veneto corrisponde alle CTRP, si occupa dei pazienti più gravi e che necessitano di un
più lungo e protetto lavoro di cura e ri-abilitazione e che propone progetti riabilitavi intensivi.

Il terzo tipo è destinato ad accogliere quei pazienti che o non riescono a recuperare neppure dopo molti anni
di trattamento in CTRP una sufficiente autonomia tale da consentire loro di tornare a vivere in società o che si
ammalano di patologie organiche. Per loro, dopo aver terminato il trattamento nella CTRP, è utile
l’accoglimento in una CT estensiva che preveda programmi ri-abilitativi specifici e meno attivanti,
maggiormente orientata alla stabilizzazione e all’assistenza e che consenta permanenze a più lungo termine
 4° tipo. E’ importante potersi avvalere al termine del percorso riabilitativo dell’inserimento in appartamenti a
grado variabile di protezione (da poche ore la settimana a interventi giornalieri) per coloro che, dopo aver
conseguita una discreta autonomia ed equilibrio psicopatologico, non possono o non è opportuno che
facciano ritorno in famiglia. Nella nostra esperienza questi appartamenti vengono gestiti in stretta
collaborazione con il Centro Diurno e/o il CSM.
 esiste poi la necessità di realizzare delle CT specializzate: doppia diagnosi, adolescenti, DCA, dimessi dagli
OPG….
E’evidente che, data la complessa articolazione dei servizi territoriali, pubblico e privato si debbano parlare
continuamente e che si dividano i compiti. Non nascondiamoci tuttavia che ci stiamo muovendo su un terreno che si è
dimostrato essere insidioso: da un lato possiamo avere alcuni servizi pubblici che tendono a delegare, dall’altro lato vi
sono alcune CT private che fanno della “vita insieme” motivo della loro stessa esistenza e che considerano il paziente
un nuovo componente della propria Casa Famiglia o del proprio Focolare. Molte CT sono riluttanti a dimettere l’ospite
che ormai è (faticosamente) stabilizzato e con il quale si è creato una relazione positiva, in cambio di un nuovo accolto
sconosciuto e forse più complicato da trattare.
In sintesi, considerata la complessità e il costo delle cure dei pazienti gravi ci vengono richiesti un’attenzione e un
ripensamento delle nostre organizzazioni all’interno dei dipartimenti e fra pubblico e privato. La via che propongo è
quella di aumentare le sinergie e la integrazione dei servizi. Ci aiuterà senz’altro riuscire a liberarci dalle ideologie e dai
pregiudizi del tipo: Manicomio SI o Manicomio NO o la cronicità esiste o non esiste, discussioni interminabili ed oziose
che per tanti anni ci hanno ostacolato nel mettere assieme le risorse e le energie.
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