1 - Le Famiglie della Visitazione

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Sant’Agostino
La felicità
Introduzione, traduzione e note a cura di Giuseppe BALIDO
[Piccola biblioteca agostiniana 37]
Nuova biblioteca agostiniana – Città Nuova, Roma 2003, pp. 100, € 6,50.
La “Piccola biblioteca agostiniana” di Città Nuova è una collana composta da agili e
maneggevoli libretti coi quali il fondatore, il celebre p. Agostino Trapè, intese accompagnare e
rendere più facilmente accessibili singoli scritti agostiniani che nel frattempo si andavano
pubblicando nell’opera omnia di s. Agostino, edita dalla stessa editrice Città Nuova nella collana,
ben più impegnativa e consistente sotto ogni aspetto, denominata “Nuova biblioteca agostiniana”.
Ora che la “grande” collana agostiniana con l’edizione bilingue dell’opera omnia di s. Agostino è
finalmente compiuta, l’intuizione di p. Trapè con la sua “piccola” collana, proseguita da Remo
Piccolomini, non ha tuttavia perduto la sua utilità e conserva il senso di interessare il grande
pubblico agli scritti del più autorevole Padre della Chiesa occidentale.
Nell’Introduzione (pp. 5-30) il curatore del volume, Giuseppe Balido, svolge cinque argomenti.
Anzitutto colloca il tema della felicità all’interno della tradizione filosofica: dai Pitagorici a
Eraclito, da Empedocle a Socrate, da Platone ad Aristotele, da Epicuro ai Cinici, Cirenaici,
Megarici, dalla prima alla seconda e terza Accademia, dagli Stoici a Filone di Alessandria e quindi
a Plotino. In secondo luogo il Curatore presenta rapidamente il De beata vita di Agostino. Nel terzo
paragrafo si fa qualche riferimento al dedicatario del dialogo agostiniano ed ai personaggi in esso
coinvolti. Nel quarto argomento il Balido entra nel contenuto essenziale dello scritto agostiniano
trattando del tema dei limiti della ragione. Nella Conclusione dell’Introduzione tratteggia la propria
interpretazione dell’opera pubblicata.
All’Introduzione segue una Nota bibliografica, essenziale e precisa (pp. 31-33), il testo italiano
dello scritto agostiniano corredato da note esplicative dei passaggi più difficili del dialogo (pp. 3596) e l’Indice del libro (pp. 97-100).
Il De beata vita fa parte della primissima produzione del giovane Agostino. I Dialoghi, che
nella manualistica tradizionale sono denominati “filosofici”, sono scritti infatti tra la conversione e
l’ordinazione presbiterale e quindi provengono dai diversi ambienti attraversati dall’A. prima di
approdare definitivamente a Ippona: Cassiciaco, Milano, Roma e Tagaste. Il De beata vita è
sicuramente datato: si tratta di una discussione effettivamente avvenuta a Cassiciaco nei mesi
intercorsi tra la cosiddetta conversione di Agostino (agosto 386) e il suo battesimo (aprile 387).
Il dialogo è composto da quattro capitoli. Il cap. 1 contiene la dedica e le premesse della
discussione. Gli altri capitoli corrispondono ai tre giorni nei quali si sviluppa il dialogo: il 13
novembre, giorno del trentaduesimo compleanno di Agostino, di pomeriggio, alle terme (cap. 2); il
giorno successivo, sempre di pomeriggio alle terme (cap. 3); il terzo giorno, di mattina, all’aperto
(cap. 4).
I dialoganti sono otto e vengono presentati dallo stesso A. a Manlio Teodoro, l’amico
neoplatonico dedicatario del dialogo, nel cap. 1: oltre all’A., che promuove la discussione e la guida
con dolcezza e determinazione, sono presenti Monica, la madre che si distingue per i suoi interventi
frequenti e puntuali ed è abitualmente esaltata per una sapienza fatta di intuizioni più che di
acquisizioni accademiche; Navigio, fratello di Agostino, che al contrario interviene raramente;
Adeodato, figlio dell’A., che interviene poco ma a proposito e per il quale, ovviamente, Agostino
non nasconde di nutrire affetto intenso e grande stima; Trigezio e Licenzio, originari di Tagaste,
amici e discepoli dell’A., i quali sono vicini ma distinti in quanto il primo appare già apertamente
schierato contro gli Accademici mentre il secondo si sta staccando a fatica e con qualche esitazione;
infine Agostino invita al dialogo anche due suoi cugini, Lastidiano e Rustico, - nonostante il fatto
che essi non fossero secondo lui abituati a dialoghi impegnati - per il loro buon senso.
I caratteri tradizionali del genere letterario del dialogo della filosofia classica sono presenti fin
dalle prime pagine del De beata vita: la vita è rappresentata dalle metafore del viaggio e della
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navigazione; la ricerca della verità è la filosofia; il dialogo è un banchetto con le diverse portate e
con la necessità, da parte degli invitati, di partecipare e di nutrirsi, senza abbuffarsi ma senza
neppure saltare alcun piatto offerto dal banditore che naturalmente è lo steso A.; ci sono infine
elementi autobiografici, come quando Agostino parla degli effetti benefici ricevuti dalla lettura,
compiuta a diciannove anni, dell’Ortensio di Cicerone (cf. De beata vita 1,4, p. 42). Questo autore è
talmente influente all’inizio della lunga e travagliata evoluzione interiore di Agostino da essere
confidenzialmente chiamato, nel corso di tutta l’opera, “Tullio”. Il dialogo si svolge in un clima di
straordinaria familiarità ed amicizia, gli interventi si susseguono tra sorrisi e lievi disappunti, tra gli
amici e i parenti Agostino si muove con disinvoltura e già con autorevolezza, senza imporre le
proprie ragioni, rispettando le opinioni diverse, ma nello stesso tempo guidando la discussione
verso gli obiettivi prefissati.
I temi più importanti affrontati nel dialogo sono di natura filosofica ed esistenziale: l’uomo è
composto di anima e corpo e va nutrito in entrambe le sue dimensioni che sono interconnesse; il
cibo spirituale dell’anima è la conoscenza delle cose, la scienza attinta dalle arti liberali, la virtù che
allontana vizi e dissolutezze; il cibo spirituale è superiore a quello fisico; la felicità consiste nel
desiderio e nel possesso delle cose buone, mentre al contrario l’infelicità deriva dal bisogno e dalla
privazione del bene.
Il carattere evidentemente neoplatonico degli argomenti affrontati tra i dialoganti,
magistralmente guidati dall’invitante, porta il discorso su Dio: è felice chi ha Dio, ha Dio chi non ha
lo spirito immondo, non ha lo spirito immondo chi vive castamente, è veramente casto colui che
tende a Dio. Non c’è nessuno che non ha Dio; ma coloro che vivono bene hanno Dio propizio,
quelli che vivono male hanno Dio ostile. Dio, insomma, è la vera fonte della verità e della salvezza,
sazia le anime conducendole alla vita beata che si esprime nella fede, nella speranza e nella carità. Il
dialogo si conclude con la citazione esplicita dell’inno Deus creator omnium del vescovo Ambrogio
di Milano e con un ringraziamento personale di Agostino a Dio stesso e ai partecipanti: “Io
ringrazio con le forze che posso il sommo e vero Dio, Padre, Signore liberatore delle anime, quindi
voi, concordemente invitati che mi avete anche colmato di molti doni. Infatti avete apportato tanto
alla nostra discussione che non posso negarmi di essere stato saziato dai miei invitati” (De beata
vita 4,36, p. 96).
Nel corso del dialogo si da ampio spazio alle posizioni degli Accademici, che vengono
presentate e confutate, e naturalmente a quelle stoiche e neoplatoniche che in generale vengono
accettate. Nondimeno, secondo il Curatore il giovane Agostino nel novembre del 386 avrebbe “già
compreso l’impossibilità da parte del platonismo e del neoplatonismo di dare uno sbocco ultimo ed
adeguato agli eventi storici” (p. 28). Tale convinzione sembrerebbe a noi confermata dalle parole
rivolte dallo stesso A. all’amico neoplatonico Manlio Teodoro: “Dunque, vedi in quale filosofia,
come in un porto, io navighi. Un porto che, pur essendo abbondantemente accessibile da risultare
per la sua grandezza meno pericoloso, non esclude, tuttavia, fino in fondo l’errore” (De beata vita
1,5, p. 45).
Il volume è in definitiva ben curato, e le note al testo del dialogo aiutano il lettore non esperto di
filosofia e di patristica ad entrare nel significato dei ragionamenti che sono meno immediatamente
perspicui. A parte un unico banale errore di stampa (a p. 84 “tre” invece di “tra” nel titolo del
paragrafo 4,30 del dialogo), rimane forse il dispiacere dell’assenza sistematica di ogni riferimento
alla lingua latina dello scritto agostiniano: pur comprendendo il carattere divulgativo della collana,
anzi, proprio in ragione di tale carattere, più di una volta spiegare in nota la traduzione del termine
latino o almeno scrivere nel testo, tra parentesi, il termine latino corrispondente, sarebbe stato
senz’altro utile e semplificante anche per un lettore inesperto. Alcuni esempi: “la dissolutezza
derivava dal non essere niente” corrisponde al latino “nequitiam” che è fatto derivare da “nec
quidquam sit” (p. 85); “la temperanza derivava da ciò che è prodotto, cioè qualcosa” suppone
“frugalitatem a fruge” (p. 85); quando Trigezio spiega che l’opposto della ricchezza (divitiae) è la
povertà (paupertas), Agostino osserva che solitamente povertà e indigenza (egestas) sono
interpretate nello stesso modo, mentre Licenzio aggiunge che il termine più adatto per esprimere
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l’opposizione all’indigenza è la pienezza (plenitudo), ed infine Agostino, citando Sallustio, precisa
che invece il termine ideale è opulenza (opulentia) (cf. pp. 86-87); quando infine la traduzione
italiana dice: “La moderazione senz’altro deriva dalla misura e la sobrietà dall’equilibrio” il testo
latino recita, molto più chiaramente, “Modestia utique dicta est a modo, et a temperie temperantia”
(p. 88).
GIUSEPPE SCIMÈ
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