Il sapere professionale. Competenze, diritti, democrazia di Saul Meghnagi Recensione di Valeria Fedeli I temi trattati nel saggio di Saul Meghnagi sono fondamentali per l’azione di innovazione e cambiamento che il sindacato complessivamente deve affrontare per ridisegnare, nel terzo millennio, la sua funzione di sindacato generale, capace di promuovere una nuova generazione di diritti e di tutele, dare ai lavoratori gli strumenti per essere soggetti attivi delle trasformazioni del lavoro e dell’impresa, sostenere la crescita della cittadinanza nel nuovo contesto di competitività globale. La complessità e l’organicità delle argomentazioni proposte nei diversi capitoli del testo portano a declinare alcune riflessioni, nella consapevolezza che, su tali temi, sarà sempre più necessario un approfondimento a supporto delle scelte politiche del sindacato, del sistema delle imprese, delle istituzioni nazionali, regionali, territoriali. Il tutto fortemente agito nella costruzione dell’Europa, quale luogo di definizione di politiche di sviluppo, economiche, industriali, sociali e dell’estensione dei diritti di prima e seconda generazione per tutte le cittadine e i cittadini dei 25 paesi. È assolutamente necessario rendere esplicito, in tale ottica, il nesso tra democrazia nelle relazioni di lavoro e democrazia e partecipazione in senso generale. Non a caso, il tema della democrazia economica e della democrazia industriale, nel nostro paese, non sono entrati ancora nell’agenda dell’azione sindacale, nelle rivendicazioni di sviluppo del concetto di competitività delle imprese e dell’insieme del sistema paese. Viceversa, per poter affrontare le politiche di uno sviluppo eticamente sostenibile e di una globalizzazione che tenga conto dell’interdipendenza 1 delle economie, è necessario che l’azione locale del negoziato sindacale sia sempre più caratterizzata da contenuti di qualità a essa collegati, quindi da scelte capaci di contribuire a costruire le condizioni concrete della partecipazione informata dei lavoratori. In questa prospettiva il libro stabilisce una connessione forte tra cultura civica e cultura professionale, individuando in questa relazione uno dei capisaldi dello sviluppo professionale. Consegue il nesso che lega l’evoluzione del dialogo sociale alle condizioni generali di vita democratica. Tutto ciò, non è semplice: da un lato, si pone la necessità di favorire la crescita di competenze che nel testo sono chiamate «contestuali» – legate a specifici luoghi della produzione – dall’altro, è necessario che l’azione formativa contribuisca allo sviluppo di competenze «strategiche», utilizzabili in più contesti di lavoro e di vita. La formazione non può venire, pertanto, ridotta al solo addestramento, ma deve assumere quale obiettivo l’ampliamento dei contenuti propri di ogni curricolo, fino a includere conoscenze che possono apparire remote dalla realtà particolare da cui la stessa domanda di sapere nasce. La tesi sostenuta, che non si può non condividere, è la seguente: senza un forte avanzamento del sapere professionale dei lavoratori, di un’innovazione nelle relazioni sindacali, quindi della costruzione della democrazia industriale e della democrazia economica, la stessa condizione della convivenza civile, in una società globale, non può essere affrontata positivamente. Le forti tensioni e contraddizioni che caratterizzano la globalizzazione, le differenze tra paesi, continenti, modelli di società, di culture, di democrazia, hanno bisogno di un complessivo salto di qualità nella stessa definizione delle priorità dell’azione sindacale nel campo della formazione dei lavoratori. Diventa, inoltre, importante tenere insieme le competenze professionali e i contenuti del sapere più ampi. L’impresa deve essere anch’essa una sede 2 della formazione della cultura del cittadino e non solo del lavoratore. Ciò implica la costruzione di programmi formativi capaci di tenere insieme i temi dell’organizzazione dell’impresa, della tipologia del mercato del lavoro, oltre alle competenze specifiche del contesto. Ma non solo. La formazione deve poter vedere anche la crescita della conoscenza di diritti e di doveri in misura adeguata per poter partecipare in modo attivo, perché consapevole, ai processi in cui il proprio lavoro è inserito. Qui è davvero centrale rilanciare – a differenza di quanto ha purtroppo fatto la «controriforma» del governo Berlusconi sulla scuola, sull’istruzione, sulla formazione – il nesso profondo che deve esistere tra progetto educativo, formativo e professionale, come parte di un più ampio progetto culturale di crescita di conoscenze e di apprendimento. La questione del «sapere» e della formazione deve essere posta al centro di ogni politica di sviluppo, perché, quando ci si propone un modello di innovazione a 360 gradi per affrontare i profondi cambiamenti che la competitività internazionale richiede, sarebbe un errore strategico separare l’innovazione tecnologica e la ricerca dalla definizione di un piano formativo e culturale generale, per tutta la popolazione, in particolare per un inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, ma, anche, per tutte le donne e gli uomini coinvolti nei processi di mobilità che questa fase di strutturale trasformazione consegna alle scelte delle imprese, del sindacato, delle istituzioni. Dell’insieme di tali questioni si deve parlare quando si parla di formazione per l’occupabilità delle persone. Tenere separati nella formazione gli ambiti delle competenze professionali dal sapere professionale e dalla cultura generale non favorisce, anzi ostacola, l’innovazione, il cambiamento, la necessità di politiche che sappiano rendere più forti i lavoratori, le relazioni industriali, il sistema delle imprese, quindi la competitività. 3 Ad esempio, il settore della moda, coinvolto nel più profondo processo di cambiamento dagli anni settanta, la questione dell’istruzione, dell’educazione e della formazione, è la più rilevante che il sindacato sta affrontando. Ciò avviene secondo una logica – emersa con chiarezza in occasione del recente quarto Congresso della Federazione sindacale europea tessile abbigliamento calzaturieri, tenutosi a Sofia il 23 maggio 2005 – secondo la quale il sindacato deve essere parte attiva e convinta della costruzione dell’Europa e, in particolare, dell’Europa sociale, con una risposta non chiusa nei confini nazionali alle contraddizioni della globalizzazione. Per questo l’impegno deve essere verso l’armonizzazione, la coesione, l’equità e il miglioramento delle condizioni di lavoro e di vita di tutte le cittadine e i cittadini europei. Concretamente, si pone il problema di costruire un’Europa che adotti al suo interno un modello di sviluppo basato sulla qualità, l’innovazione costante dei prodotti e dei processi, in cui parte integrante sia il rispetto dei diritti dei lavoratori, il rispetto della salute, il rispetto dell’ambiente; e in cui l’investimento più importante sia fatto sul capitale umano e sulla formazione necessaria alla crescita della società della conoscenza. Va altresì tenuto presente che, per difendere dei diritti, si deve operare affinché essi vengano estesi a chi ancora non li ha. Diversamente, rischiamo di dover cambiare noi i diritti in essere. È necessario, a tal fine, che si affermi a livello mondiale un modo di fare impresa fondata sulla trasparenza e sulla responsabilità sociale, sul rispetto dei codici di condotta, libertà sindacale e di negoziazione, non escludendo il profitto ma ponendo il limite del rispetto dei diritti delle persone. Per questo occorre puntare sulla qualità, la creatività, lo sviluppo tecnologico, la ricerca di nuovi materiali, la formazione professionale e continua. Nel settore citato ad esempio, nonostante l’ultimo rinnovo contrattuale abbia assunto questa centralità, nell’attuazione concreta di quanto stabilito, i ritardi e le resistenze del sistema delle imprese sono 4 l’esatto contrario di quanto serve per riposizionare il settore, per tutelare l’occupazione e fare un piano straordinario di occupabilità, con particolare attenzione alle donne che vengono «espulse» dai processi in corso. Se le leve fondamentali del cambiamento di strategie e di modelli organizzativi per affrontare positivamente il nuovo contesto globale sono legati alle scelte di mix di innovazione, ricerca, formazione, crescita e aggregazione d’impresa, internazionalizzazione, la leva della formazione è dirimente per ogni processo concreto, come strumento utile, anzi, indispensabile, per un positivo governo dei processi di cambiamento, di trasformazione, di reinserimento e riconversione nel lavoro. Non si può essere peraltro d’accordo con quanto altri sostengono sull’utilità di una formazione comunque o di parcheggio. Meghnagi, nella seconda parte del libro, porta esempi come quello francese che chiariscono come si possa usare la formazione anche in condizioni di forte incertezza, ed evidenzia come da tempo, in Europa, si misurino diverse esperienze, importanti, utili, cui fare riferimento. La priorità anche per il nostro paese è quindi quella di assumere fino in fondo, non solo a parole, ma nei fatti, la formazione lungo tutto l’arco della vita, come il diritto cui dare priorità da parte di ogni azione che si costruisce, dal luogo di lavoro, al territorio, al paese. Ogni ulteriore ritardo segnerà sempre di più l’allontanamento del futuro possibile e positivo dell’Italia nell’Europa. Per questo e per quanto sin qui affermato, dire formazione, senza dichiarare il nesso tra competenze, sapere professionale e cultura generale, rischia di determinare un’innovazione senza legare formazione, lavoro, diritti e democrazia. Tale relazione può apparire troppo astratta e priva di concretezza. Essa si colloca, viceversa, in una tradizione pedagogica che vede nella scuola e nella formazione gli strumenti atti a una maggiore partecipazione delle 5 persone nel lavoro e nella società civile. Il testo presuppone una dialettica costante tra conoscenza e competenza: le due nozioni sono presentate come complementari, nella misura in cui il sapere non è solo astrazione ma un insieme di saperi e concetti atti a sostenere l’azione, mentre la competenza è una capacità fondata sempre sulla conoscenza, anche se questa non è sempre riconducibile a discipline formalizzate. Dewey e Schwartz sono gli studiosi cui il volume fa ampio riferimento per affrontare questo problema senza banalizzarlo ma ricercando nelle sedi negoziali e concertative soluzioni di alto profilo. Il libro di Saul Meghnagi aiuta a operare meglio in questa direzione. 6