Rapporto dal Workshop “Internet Bill of Rights” (IBR) - Atene, 1/11/2006 Partecipanti: Stefano Rodotà- SR (Former Head of the Council of European Data Protection Agencies) Fiorello Cortiana- FC (Italian Green Party and Milano Provincia) Robin Gross- RG (IP Justice Executive Director and Attorney) Jose Murilo Junior- MJ (from the Brasilian Ministry of Culture) Moderatore: Vittorio Bertola- VB (ALAC- At Large Advisory Committee) VB: Lo scopo principale di questo workshop è promuovere l’incontro Tra persone che vogliono discutere di diritti e doveri. Il centro della discussione di oggi sarà costituito dai possibili contenuti di un IBR, sui processi che dovranno messi essere in atto per riconoscerla e definirla e sui possibili strumenti per implementarla. SR- L’idea di un IBR è già accettata all’interno del processo dell’Internet Global Forum (IGF). E’ facile vederne la necessità se consideriamo che le compagnie private sono pronte ad accettare anche la censura quando lo scopo finale è vendere un prodotto. Se non ci adoperiamo per mettere in essere un tale documento, questi comportamenti diventeranno sempre più comuni e non saranno sanzionati. Anche Microsoft ha avanzato la richiesta di una carta delle Nazioni Unite per l’Identità Digitale e, nello stesso tempo, la necessità di un documento come la IBR è ancora più evidente se consideriamo che Internet è un’infrastruttura globale che deve essere gestita con strumenti globali. La prospettiva che si apre in questo senso deve essere seguita andando oltre la semplice affermazione che i diritti umani devono essere rispettati nello spazio online oltre cha a quello offline. Questo è un approccio semplicistico che si è rivelato inefficace. Dobbiamo spostarci da un approccio settoriale ad un approccio generale che implica anche la necessità di esaminare in profondità la realtà virtuale creata da Internet. Internet è il più grande spazio pubblico che l’essere umano abbia mai avuto a disposizione ed è per questo che abbiamo bisogno di uno strumento che estenda il margine di azione ed implementazione dei diritti umani. Il processo con il quale andremo a definire un IBR non dovrà essere ancora una volta top-down ma dovrà venire dal basso e dovrebbe mettere in cima a tutto la questione del multi-culturalismo. E’ per questo che il processo dell’IG costituisce un’occasione da sfruttare. Esso permette un’interazione multi-culturale, multi-stakeholder e multilaterale tra diversi gruppi di attori. Nelle raccomandazioni finali che verranno prodotte al termine di questo processo deve essere inclusa anche la questione di un IBR che includa e vada oltre gli aspetti economici e tecnologici del governo della Rete. In un altro workshop è stata lanciata una coalizione dinamica sulle questioni della privacy. Questa coalizione potrebbe appoggiare l’idea della IBR e spingere per la sua implementazione. Guardando al futuro, inoltre, credo che una versione provvisoria di questo documento dovrebbe essere messo online e dovrebbe venire aperto a commenti da parte di chiunque sia interessato. La IBR non si limiterà a sancire ancora una volta i diritti umani già inclusi in altri trattati: essa sarà punto di partenza di una serie di documenti che definiranno questioni come la privacy in spazi virtuali. Tuttavia, siamo ad uno stadio in cui è ancora fondamentale incontrare e parlare con altre persone faccia a faccia dei contenuti di IBR. Per questo l’Italia promuoverà l’anno prossimo un incontro su questi temi e tutti sono invitati a parteciparvi. Questa avventura non è semplice e richiede tempo e pazienza. Tuttavia, quando vedo le continue e gravi violazioni dei diritti nello spazio virtuale – come il problema del data retention - mi chiedo perché stiamo ancora aspettando per avere un IBR. FC- Abbiamo assolutamente bisogno di un IBR. Abbiamo passato gli scorsi due giorni a parlare di Cina, ma solo un giornalista ha osato chiedere in plenaria del Patriot Act degli Stati Uniti. Oggi non siamo qui ancora per discutere i contenuti di un IBR, ma piuttosto per discutere del processo che dovrebbe condurre alla sua affermazione. Questa iniziativa è già stata avanzata a Tunisi, a Casa Italia, e qui ad Atene chiediamo un formale e finale riconoscimento del bisogno di questo documento sperando che poi, l’anno prossimo a Rio, la IBR sia uno dei temi principali che verranno discussi in plenaria. Lavorare su un simile documento permetterebbe di accrescere la cooperazione multistakeholder perché anche governi e settore privato già riconoscono i potenziali benefici di un tale documento. IBR non sarà soltanto uno sforzo per collezionare diritti individuali ma sarà un raggruppare diritti e libertà che racchiudono e vanno oltre la libertà di espressione (che qui ha costituito un elemento centrale del discorso). Stiamo perdendo progressivamente questi diritti e libertà sotto la quotidiana violazione degli stessi. Per cui dobbiamo intraprendere questa strada e potremo farlo in diversi modi: il dialogo multi-stakeholder è soltanto una parte che può venire arricchita da un wiki… RG- La vera domanda è perché dovremmo parlare di un IBR. Internet è uno strumento potentissimo e gli Stati non possono più pensare di lavorare da soli: l’approccio multistakeholder deve essere esteso a diversi campi e livelli per arrivare ad un framework comune. Molti principi possono servire da punti di partenza ma, nello stesso tempo, questo pone il problema delle differenti prospettive che devono essere incluse e bilanciate tra loro. La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo deve essere il nostro punto di partenza e la dobbiamo considerare dal punto di vista di Internet, per implementarla e metterla in pratica. MJ- Sono qui per portare un messaggio del ministro Gilberto Jil, che oggi non ha potuto essere qui con noi. Quando parliamo di IG dobbiamo mescolare diversi elementi, come un musicista mescola bossanova e rock’n’roll. Qui parliamo di movimenti sociali emergenti, parliamo di questioni cruciali che IG solleva a proposito di infrastrutture, connessioni e capacità tecniche. La cultura deve essere vista come un’azione comune basata sulla cooperazione e prodotta attraverso strumenti liberi. L’idea principale è che noi produciamo cultura attraverso una infrastruttura di base e che questi prodotti debbano poi essere distribuiti a tutta la società proteggendoli sempre con strumenti liberi. Ma la cultura non è solo un prodotto da vendere, la cultura è il risultato di un processo di creazione. Una cultura come quella digitale permette di abbracciare, unire, raggiungere obiettivi ma dobbiamo ricordare che è una cultura globale con un’eredità anch’essa globale. Un musicista non deve soltanto vendere i suoi cd, un musicista deve poterli creare liberamente. Dobbiamo affermare il diritto globale a mixare culture ed è per questo che l’accesso alla cultura e alla produzione culturale deve essere assicurato a tutti, soprattutto attraverso politiche coerenti. Alcuni commenti dal pubblico: Le precedenti dichiarazioni fatte anche sul cyberspace vanno messe insieme perché dobbiamo arrivare ad un punto comune dal quale ripartire. Quando parliamo di IG parliamo di un problema che è nello stesso tempo individuale ed istituzionale e siamo forse un po’ ottimisti se pensiamo che un IBR possa tutelarci dagli standard dettati dai governi. Dobbiamo bilanciare diritti e doveri. In più, se da una parte vogliamo apertura, dall’altra vogliamo protezione e l’equilibrio che si dive raggiungere è complicato. Tuttavia, questo equilibrio è necessario, perché altrimenti si arriverà soltanto ad una dichiarazione generica. Un’ulteriore questione è quale contributo la IBR possa portare ai Paesi in via di Sviluppo. Una eventuale IBR potrebbe avere un grande valore simbolico, ma non siamo più nello stesso contesto nel quale venne scritta la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, per cui anche questo valore simbolico della IBR deve essere valutato con attenzione. Se il diritto allo sviluppo è un diritto socio-economico, che tipo di contributo darà la IBR ai Paesi in via di sviluppo? MJ- L’esperienza brasiliana dimostra che si può creare e mixare. La IBR può senza dubbio facilitare la comunicazione che sta dietro a questi processi: abbiamo bisogno di nuovi paradigmi che mixino diversi elementi. RG- Tutti noi volgiamo che Internet cresca ma gli strumenti legali e i framework tipici della società industriale non sono più sufficienti. Le domande allora sono: dobbiamo riscrivere strumenti e framework? Li dobbiamo ripensare? In realtà non dobbiamo ricominciare tutto daccapo: dobbiamo solo trovare un equilibrio difficile tra il vecchio e il nuovo. SR- Il problema dell’enforcement è oggi di primaria importanza e non possiamo più continuare ad usare la categoria dello Stato nazione per pensare di risolverlo. Solo per dare un esempio, ho partecipato alla stesura delle linee guida dell’OECD che non avevano valore vincolante ma, allo stesso tempo, creavano opportunità. Se ci concentriamo solo sull’enforcement finiremo in un circolo vizioso nel quale non scriveremo regole perché non sapremo come implementarle e non implementeremo alcuna regola perché non ne avremo scritta nessuna. Dobbiamo sorpassare l’idea che solamente il mercato offre le regole per risolvere questi problemi. E’ in occasioni come questo IGF che sperimentiamo la possibilità di un enforcement sopranazionale: la globalizzazione non deve essere perseguita tramite il mercato ma tramite i diritti. E’ attraverso la prospettiva dei diritti e delle libertà continuamente violati che dobbiamo guardare ad Internet. In questo modo, Internet diventa campo di scontro. Non abbiamo bisogno di una nuova generazione di diritti umani, abbiamo bisogno di ampliare la portata di quelli esistenti. Richiamando Alexis de Tocqueville, il futuro sarà una battaglia tra chi ha e chi non ha. FC- Potremmo anche aver bisogno di un nuovo paradigma perché oggi assistiamo allo svilupparsi di un nuovo sistema che va oltre il solo bisogno di implementazione. Internet crea nuovi spazi nei quali interagiamo in modi diversi: è per questo che abbiamo bisogno di un nuovo sistema che non sia basato su un punto di vista solo materialistico. Alcuni commenti dal pubblico: Come valutiamo e teniamo conto di quello che succede offline? Come affrontiamo i problemi di enforcement e implementazione? C’è già un sistema di diritti umani sanciti nello spazio reale ed è per questo che si impone la necessità di “agire” questi diritti anche nello spazio virtuale. Nei documenti ufficiali del WSIS i diritti umani sono stati riconosciuti. Dobbiamo riconoscere battaglie e conflitti che nascono intorno a quei diritti. Una prima sfida è quella dell’implementazione, una seconda è come e quanto possiamo trovare un equilibrio tra i diversi diritti. Un IBR dovrebbe riconoscere e codificare tutto questo, ma com’è possibile? Dobbiamo costruire una coalizione che cammini verso Rio e anche questa è una sfida difficile. Elaborare un IBR è un compito arduo: ci sono molti documenti già esistenti e ricominciare una negoziazione in questo senso creerebbe forse più difficoltà che opportunità. Quindi il vero problema è quanto e come costruiamo su quello che abbiamo già e come e quanto coinvolgere i Paesi del Sud del mondo in maniera genuina. L’idea di una coalizione e di un IBR sono molto valide, ma dobbiamo portare questi due elementi oltre l’IGF perché non siano limitati a questo specifico processo. SR- Se la questione è come traduciamo principi generali nel regno virtuale di Internet, allora la risposta è che non possiamo semplicemente “tradurre” i principi generali da offline a online perché non possiamo dimenticare che Internet è un’infrastruttura nuova che ha prodotto nuove pratiche e nuovi modi di interazione. Di conseguenza, nuovi principi sono stati prodotti ed essi devono essere tenuti a mente. La questione principale è bilanciare quello che è online con quello che ne è fuori. FC- Noi non dimentichiamo che cosa accade offline. Ed è per questo che dobbiamo ricordare Will Bradley, reporter di Indymedia recentemente ucciso in Messico… RG- La vera questione, alla fine, riguarda le pratiche che devono essere rafforzate perché la democrazia stessa si rafforzi. Forse il punto chiave è proprio quello di mixare e forse l’approccio adottato dalla Comunità Europea riguardo la sicurezza dei dati è da prendere ad esempio. E forse stiamo facendo questo Forum e ne pensiamo degli altri perché non siamo soddisfatti di quello che abbiamo. WIPO e WTO non sono arene nelle quali ci esprimiamo come in questo processo.