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COMUNICATO STAMPA
I risultati dello studio italiano “Benedict” sul New England Journal of Medicine
DIABETE: DIMEZZATO IL RISCHIO DI MALATTIA RENALE
LA “SALVEZZA” ARRIVA DA UN VECCHIO FARMACO
Una ricerca condotta dal Mario Negri e dal Centro “Aldo e Cele Dacco” dimostra
che la cura con Ace inibitore previene le complicanze in un malato su due
Milano, 4 novembre 2004 - Per circa la metà dei pazienti ipertesi e con diabete di tipo
2 oggi è possibile prevenire il danno renale, anticamera della dialisi. Una normale
cura antipertensiva (un Ace inibitore, sia in monoterapia che in combinazione con un
calcioantagonista) si è infatti dimostrata in grado di controllare, in un malato su due,
l’insorgenza della microalbuminuria, vale a dire il primo segnale di rischio per la
nefropatia, la più grave tra le varie complicanze del diabete. La malattia renale, oltre
a condannare alla dialisi, aumenta infatti di 10 volte il rischio d’infarto e di altre
patologie coronariche. Il dato, di grande rilevanza scientifica, emerge dallo studio
BENEDICT (BErgamo NEphrologic DIabetes Complication Trial), condotto su 1204
pazienti dall’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” e dal Centro di
Ricerche Cliniche per le Malattie Rare “Aldo e Cele Dacco” di Milano, e i cui
risultati verranno pubblicati sul numero di novembre del New England Journal of
Medicine. “L’obiettivo principale dello studio – afferma il prof. Giuseppe Remuzzi,
direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo – era
appunto quello di valutare la possibilità di prevenire o ritardare la comparsa della
nefropatia diabetica in pazienti ipertesi affetti da diabete mellito non insulino
dipendente e senza alcun segno di danno renale, utilizzando in combinazione fissa (1
sola pillola al giorno) un inibitore dell’enzima di conversione (trandolapril) e un
calcioantagonista (verapamil), molecole standard nella cura dell’ipertensione
arteriosa. L’idea era suffragata dai risultati di precedenti ricerche, che non solo
avevano evidenziato l’efficacia delle due categorie di farmaci nel proteggere il rene
dai danni causati dal diabete, ma che questi ipertensivi erano in grado di dare
risultati ancora migliori se impiegati più precocemente”.
Il diabete è una malattia provocata da una carenza, che può essere totale o parziale, di
insulina, ormone secreto dalle beta-cellule di una zona del pancreas chiamata ‘isole di
Langerhans’. In particolare, il diabete di tipo 2, o dell'età matura, è generalmente non
insulino-dipendente, si manifesta di solito dopo i 60 anni e nelle persone in sovrappeso;
esiste una carenza parziale di insulina per scarsa funzionalità delle cellule beta delle isole
di Langherhans o per una minore utilizzazione dell’insulina presente in circolo anche se in
quantità eccessiva. In Italia, i pazienti diabetici noti sono attualmente oltre 1.500.000, ma
le proiezioni indicano che nel 2025 questa cifra salirà a 3.300.000. L’insieme dei dati
attualmente disponibili consente di definire l’incidenza dei nuovi casi di diabete di tipo 1
nella nostra nazione, anche se quasi esclusivamente limitata all’età preadolescenziale
(meno di 15 anni), con valori variabili da 7 a 11 nuovi casi per 100.000 persone. Questi
valori sono sostanzialmente simili a quelli americani ed europei, con la punta massima
rappresentata dalla Finlandia con 42 nuovi casi. A tutt’oggi siamo però ancora lontani
dall’avere una conoscenza completa della diffusione del diabete di tipo 2 (oltre il 90% nel
mondo, circa il 95% in Italia). Per quanto riguarda l’Italia si osserva una prevalenza media
nella popolazione generale intorno al 3%, che sale al 5.6% qualora si consideri anche il
diabete non diagnosticato e la fascia d’età compresa fra i 45 e i 55 anni. La vera spada di
Damocle del diabetico è che la sua patologia possa degenerare nelle complicanze,
appannaggio soprattutto di occhi, reni, sistema nervoso e cardiovascolare. Tra queste, la
nefropatia diabetica è sicuramente la più grave: insorge generalmente dopo circa 10 anni
di diabete e colpisce il 30% dei malati. Attualmente non è possibile capire quali saranno i
diabetici che svilupperanno il danno renale: di sicuro un diabete mal controllato e la
presenza di ipertensione aumenta notevolmente questo rischio.
“Lo studio BENEDICT - spiega il dott. Piero Ruggenenti, che ha coordinato la ricerca – è
iniziato nel 1997 ed ha seguito per tre anni e mezzo 1.204 pazienti affetti da entrambe le
patologie. Per verificare l’ipotesi iniziale i malati sono stati suddivisi in 4 gruppi: al primo
sono stati somministrati i farmaci antipertensivi prescritti dal medico curante; il secondo è
stato curato con l’Ace inibitore trandolapril in monoterapia; il terzo con il
calcioantagonista verapamil, sempre in monoterapia; l’ultimo con l’associazione fissa
trandolapril – verapamil. Al termine della nostra ricerca solo a 101 pazienti è stata
riscontrata albumina nelle urine (microalbuminuria). Di questi 17, appartenevano al
gruppo in terapia combinata fissa trandolapril+verapamil; 18 a quello in monoterapia con
trandolapril; 36 al gruppo in monoterapia con verapamil; infine, 30 al gruppo considerato
placebo, quello cioè trattato con i farmaci già in uso. I risultati sono dunque evidenti e
sono andati oltre le aspettative: il trandolapril da solo ha abbassato infatti del 50% il
rischio di sviluppare la microalbuminuria, dato sovrapponibile a quello riscontrato nella
combinazione fissa con il verapamil. Questa scoperta dimostra quindi che nei pazienti
ipertesi con diabete di tipo 2 e normoalbuminuria, un semplice ACE inibitore possa
diventare il farmaco di prima scelta per il controllo della pressione arteriosa e per la
prevenzione dell’insorgenza di nefropatie.Che significa anche e soprattutto limitare
l’eccesso di morbilità e mortalità cardiovascolare”.
Positivo il commento del prof. Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di Ricerche
Farmacologiche Mario Negri di Milano. “I risultati – sostiene Garattini – mettono in luce
quanto l’Italia, nel campo della ricerca clinica, sia considerata tra i Paesi che negli ultimi
anni hanno dato i maggiori contributi. Non solo: recentemente la rivista Nature ha
pubblicato un articolo che dimostra come il nostro Paese sia all’avanguardia mondiale
anche nel campo della matematica, della fisica e nel settore biomedico. Lo studio
Benedict, realizzato grazie all’aiuto dell’industria ma il cui disegno sperimentale, il
monitoraggio, l’analisi dei dati e la pubblicazione sono completamente indipendenti,
rappresenta quindi un’ulteriore conferma. Per questo dico che è importante che le nostre
eccellenze scientifiche vengano riconosciute e incoraggiate con finanziamenti adeguati
anche da parte del pubblico: c’è sempre molto bisogno di ricerca indipendente, in
particolar modo sui farmaci”.
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