PITAGORA
STORIA E LEGGENDA.
La figura storica di Pitagora, messa in discussione da diversi studiosi, si mescola alla leggenda
narrata nelle numerose Vite di Pitagora composte nel periodo del tardo neoplatonismo e del
neopitagorismo dove il filosofo viene presentato come figlio del dio Apollo. Secondo la leggenda, il
nome stesso di Pitagora risalirebbe etimologicamente ad una parola che trova il suo significato in
"annunciatore del Pizio", e cioè di Apollo. Si riteneva infatti che egli, autore di miracoli e profeta,
guaritore e mago, fosse figlio del dio stesso.
È quasi impossibile distinguere, nell'insieme di dottrine e frammenti a noi pervenuti, non solo ciò
che sicuramente appartiene al pensiero di Pitagora ma neppure, nonostante i tentativi di John
Burnet, di separare il pensiero del primo pitagorismo da quello successivo.
Anche Aristotele, che possiamo considerare il primo storico della filosofia, nella difficoltà evidente
di identificare la dottrina del maestro, parla genericamente de «i cosiddetti pitagorici»
Cenni biografici
La Testa del Filosofo, parte di una statua bronzea custodita al Museo nazionale della Magna Grecia
di Reggio Calabria, è un probabile ritratto di Pitagora
Busto marmoreo romano di Pitagora
La storia di Pitagora è avvolta nel mistero; di lui sappiamo pochissimo e la maggior parte delle
testimonianze che lo riguardano sono di epoca più tarda.
Alcuni autori antichi o suoi contemporanei come Senofane, Eraclito ed Erodoto ci danno
testimonianze tali da far pensare alla effettiva esistenza storica di Pitagora pur se inserita nella
tradizione leggendaria.
Secondo queste fonti Pitagora nacque nell'isola di Samo nella prima metà del VI secolo a.C. dove fu
scolaro di Ferecide e Anassimandro subendone l'influenza nel suo pensiero.
Da Samo Pitagora si trasferì nella Magna Grecia dove fondò a Crotone, all'incirca nel 530 a.C., la
sua scuola. Dei suoi presunti viaggi in Egitto e a Babilonia, narrati dalla tradizione dossografica,
non vi sono fonti certe e sono ritenuti, almeno in parte, leggendari.
Sulla sua morte i resoconti dei biografi non coincidono: essendo scoppiata una rivolta dei
democratici contro il partito aristocratico pitagorico la casa dove si erano riuniti gli esponenti più
importanti della setta fu incendiata; si salvarono solo Archippo e Liside che si rifugiò a Tebe.
Secondo una versione, Pitagora prima della sommossa si era già ritirato nel Metaponto dove era
morto, secondo altri ,invece, era casualmente assente alla riunione nella casa incendiata e quindi
riuscì a salvarsi fuggendo prima a Locri, quindi a Taranto e da lì a Metaponto dove morì.
Quasi sicuramente Pitagora non lasciò nulla di scritto e quindi le opere attribuitegli, i Tre libri e i
Versi aurei ,vanno ascritte piuttosto ad autori sconosciuti che li scrissero in epoca cristiana o di
poco antecedente.
Giamblico (Siria, 245 – 325) fondatore di una nota scuola neoplatonica ad Apamea, in Siria, attesta
invece[7] che i primi libri a contenuto pitagorico pubblicati erano opera di Filolao.
IL PENSIERO
Pochi sono gli elementi certi della dottrina pitagorica, tra questi quello della metempsicosi su cui
tutte le fonti sono concordi[10] e tra le prime Senofane che la critica aspramente[11].
Derivato dall'orfismo, nella dottrina pitagorica vi è dunque un sicuro aspetto religioso, il quale
sosteneva la trasmigrazione delle anime che, per una colpa originaria, erano costrette, come
espiazione, ad incarnarsi in corpi umani o bestiali sino alla finale purificazione (catarsi).
La novità del pensiero di Pitagora rispetto all'orfismo è rappresentato dalla considerazione della
scienza come strumento di purificazione nel senso che l'ignoranza è ritenuta una colpa da cui ci si
libera con il sapere. Questa particolarità della dottrina è ritenuta dagli studiosi sicuramente
appartenente a Pitagora che viene tradizionalmente definito, a partire da Eraclito, come polymathés
(erudito). In che consistesse la sua erudizione però mancano notizie certe. Si sa che nella sua scuola
vigeva una distinzione tra i discepoli: vi erano gli acusmatici, gli ascoltatori obbligati a seguire le
lezioni in silenzio e i mathematici che potevano interloquire con il maestro e ai quali erano rivelate
le parti più profonde della scienza.
Da questa distinzione, dopo la morte di Pitagora, seguì una contesa tra le due fazioni di discepoli
che si attribuivano l'eredità filosofica del maestro.
È quasi certo che l'insegnamento (màthema) pitagorico avesse un aspetto mistico-religioso
consistente in un addottrinamento dogmatico secondo il noto motto della scuola “αὐτὸς ἔφα” o
“ipse dixit” (lo ha detto lui) e un contenuto che molto probabilmente riguardava gli opposti ed i
numeri (in quanto principi cosmologici)da intendersi, però, come hanno osservato vari autori, tra
cui Edouard Schuré e René Guénon, in un senso non solo quantitativo ma anche qualitativo e
simbolico.
Riguardo alle elaborazioni scientifiche attribuite a Pitagora, gli storici della filosofia non sono in
grado di averne certezza.
Le dottrine astronomiche sono sicuramente state elaborate dai suoi discepoli nella seconda metà del
V secolo a.C.
Il teorema, per cui il filosofo è famoso, era già noto agli antichi Babilonesi ma alcune
testimonianze, tra cui Proclo, riferiscono che Pitagora ne avrebbe intuito la validità, mentre si deve
a lui avere indicato come sostanza primigenia (archè) l'armonia determinata dal rapporto tra i
numeri e gli accordi musicali.