Azione Cattolica Italiana Diocesi di Mazara del Vallo Assemblea Diocesana elettiva – Rampinzeri, 13 febbraio 2011 Intervento del delegato all’assemblea Premessa Lo stile che ci contraddistingue C’è uno stile con il quale l’AC è presente nel mondo e nella Chiesa. Quello stile, questo modus pensandi e operandi è la cifra dell’appartenenza associativa, contraddistingue un certo modo di “stare” nelle cose. È lo stile di chi guarda all’essenziale, e, centrandosi sull’essenziale, costruisce una gerarchia di valori, di urgenze, di scadenze, di livelli di progettazione. È lo stile di chi ha a cuore il bene comune, il bene di tutti e di ciascuno. È lo stile di chi, lungi dallo scegliersi una visione particolare o un servizio preciso e delimitato, tiene sempre uno sguardo d’insieme, attento a controllare che tutti gli aspetti della vocazione cristiana siano presenti nella comunità ed ugualmente vissuti con pari dignità: la dimensione della preghiera, della celebrazione, del contatto personale/intimo con il Signore, quella dell’impegno personale e comunitario laddove si richiede una testimonianza urgente e pressante, quella del dialogo con tutti - i cosiddetti lontani o ricomincianti (vedi itinerari di riscoperta della fede, PF), quelli che non credono o sono lontani dalle nostre posizioni, la società che chiede un cristianesimo cui non guardare come un reperto archeologico (bello ma non attuale), ma un tesoro da condividere mediante sintesi condivise e non solo proclamazione di valori, quella del servizio educativo qualificato, competente e permanente. Questa capacità di guadare all’insieme scegliendo di volta in volta direzioni particolari e specifiche di servizio che, però, non esauriscono il tutto della nostra cifra associativa, non costituisce una identità debole, ma, al contrario, un modo preciso (e scelto!) di riconoscersi nella comunità e nel mondo, una capacità di essere un po’ presbiti e un po’ miopi nello stesso tempo, mettendo a fuoco il particolare senza dimenticare mai lo sfondo ed il quadro generale, fedeli alla chiesa particolare, immersi nella vita della parrocchia senza considerarla l’orizzonte ultimo del nostro servizio È lo stile di chi si compromette e si scommette. Il momento assembleare è parte integrante dei ritmi di vita e di crescita dell’associazione. Esso è la garanzia dell’esercizio della corresponsabilità come presa in carico della vita associativa da parte di tutti. Il cammino della vita della comunità ecclesiale del prossimo decennio sarà indirizzato dagli orientamenti pastorali sul tema dell’educazione. In questo significativo momento l’associazione, nel mettere a disposizione della comunità ecclesiale la propria tradizione educativa, sarà chiamata anche a verificarsi ulteriormente e confrontarsi con le sfide poste dalla cosiddetta “emergenza educativa”. Gli ambiti di impegno La formazione e lo stile del laboratorio In tutto questo trova giustificazione l’idea del laboratorio, che non è solo uno strumento metodologico: è esso stesso parte di uno stile. È un dispositivo (uno strumento ed insieme un contenuto), che vive dentro le dinamiche dell’associazione e si nutre della fecondità della vita associativa. È fondato sull’idea che: - bisogna confrontarsi sulle prassi concrete e da esse partire piuttosto che concentrasi sui modelli (educativi, di servizio, etc.) che rischiano di essere troppo astratti - è necessario imparare dalle esperienze che funzionano (in certi contesti) per capirne gli ingredienti di fondo e renderle, attraverso una rielaborazione critica e competente, astraibili ed applicabili ad altri contesti - è necessario non dare mai nulla per scontato, ma partire dall’idea che il circuito prassi-teoriaprassi è dinamico e richiede contestualizzazione e capacità di analisi, oltre che competenze specifiche - La formazione è dunque una esperienza/processo aperto (cioè mai definitivamente concluso), attraverso il quale la persona “prende forma”: “diviene se stessa, assume la sua originale identità che si esprime nelle scelte, negli atteggiamenti, nei comportamenti, nello stile di vita”. Tale processo tocca l’interiorità profonda della persona, investendo, quindi, la sua libertà. - non siamo soli a vivere nella chiesa e nella società, e quindi non siamo soli a vivere una dimensione di missionaria/di servizio. Per questo occorre costruire ponti e creare reti di relazioni all’interno della comunità ecclesiale e della società civile - bisogna passare dalla logica della programmazione a lungo termine a quella della progettazione a breve termine, tenendo conto di obiettivi precisi, concreti e verificabili - occorre dotarsi di luoghi (e persone, anche e forse soprattutto non di AC) che aiutino a fare un salto di qualità nell’elaborazione e nella visione di ciò che non c’è (pensiamo all’idea di parrocchia con tutti i suoi limiti ma anche alla difficoltà di immaginare/costruire modelli alternativi e complementari) - il vostro è un contesto nel quale è naturale pensare a laboratori interculturali (il lavoro fatto dall’ACR in questi anni) nei quali costruire esperienze di dialogo, di comunione, utili alla crescita della comunità ecclesiale e civile, che possano essere un arricchimento per tutta l’AC. Il bene comune e l’impegno socio-politico Nella comunità cristiana l’AC si impegna affinché la Dottrina sociale della Chiesa cattolica sia incarnata in prassi ed esperienze di valore pastorale, civile e culturale. La testimonianza della propria fede può e deve assumere, in AC, una indispensabile dimensione pubblica. In questo modo l’associazione potrà raccogliere i ripetuti appelli di Benedetto XVI e dei vescovi italiani per una «nuova generazione di laici impegnati» in tutti i settori della vita sociale, dalla politica alla cultura, dall’economia alle scienze. La storia dell’AC è la storia dell’Italia in questi 150 anni: iI rispetto assoluto della vita, la sobrietà delle scelte quotidiane, la solidarietà verso singoli e famiglie in difficoltà a causa della mancanza o della precarietà del lavoro, il senso del dovere professionale, il valore dello studio, la tensione verso il futuro delle nuove generazioni, la coerenza tra sfera privata e sfera pubblica, la scelta preferenziale dei poveri, l’attenzione alla vita amministrativa e politica delle città e del Paese, l’unità stessa dell’Italia. Lo spirito con il quale l’Azione Cattolica propone alla “città” momenti di studio, di approfondimento, di dibattito e di discernimento comunitario, è basato sull’urgenza di reagire al clima di depressione e di sconforto (legato ad una sorta di fatalismo sulla possibilità di cambiare radicalmente le cose e di restituire la politica alla dignità del suo ruolo), che grava un po' su tutti e paralizza le migliori energie. Bisogna, pertanto, fare qualcosa per restituire un'anima alla politica, tornare a viverla come progetto ideale, come servizio, come forma di carità, come ricerca leale del bene comune. Di fronte all’emergenza in cui versa oggi la democrazia in Italia, non si tratta più di compiere nuove analisi della crisi... Occorre compiere un passo in avanti: trovare risposte concrete alla crisi, occorre «ritrovare la politica». Ritrovare la politica oggi può significare: - ricuperare i valori ideali, che vengono prima della libera organizzazione della società e non dipendono da maggioranze provvisorie e mutevoli, ma sono iscritti nella coscienza di ogni uomo e, in quanto tali, sono punto di riferimento normativo della stessa legge civile. Il problema, dunque, è come applicare i valori nella vita politica. "Occorre distinguere – - - spiega il card. Martini - innanzi tutto, tra principi etici e azione politica. I principi etici sono assoluti e immutabili. L'azione politica, che pure deve ispirarsi ai principi etici, non consiste di per sé nella realizzazione immediata dei principi etici assoluti, ma nella [loro] realizzazione concretamente possibile in una determinata situazione. […]. Può però accadere che, in concreto - quando non sia possibile ottenere di più, proprio in forza del principio della ricerca del miglior bene comune concretamente possibile -, si debba o sia opportuno accettare un bene minore o tollerare un male rispetto a un male maggiore" (card. MARTINI C.M., Criteri cristiani di discernimento nell'azione politica, in "Aggiornamenti Sociali", n. 9-10); rinnovare i canali istituzionali della partecipazione politica. Nessuno mette in discussione la funzione dei partiti, che sono e rimarranno sempre essenziali alla democrazia rappresentativa. Il problema è un altro: si tratta di superare la vecchia forma-partito ideologica che, così com'è strutturata, degenera facilmente in partitocrazia e trasforma la democrazia rappresentativa in democrazia «funzionale», dove il soggetto principale non sono più i cittadini, ma un organigramma impersonale di funzionari di partito, senza radici nel territorio e staccati dai problemi della gente. Per ritrovare la politica, occorre rinnovarne i canali della partecipazione dando vita a nuovi soggetti politici aperti a nuova qualità politica, ad «aree» da costituire nel territorio; promuovere una classe politica rinnovata spiritualmente e professionalmente. Il programma e i politici devono esprimere i valori e gli interessi della società civile più che quelli di una parte politica. «Per un corretto svolgimento della vita sociale è indispensabile che la comunità civile si riappropri quella funzione politica, che troppo spesso ha delegato esclusivamente ai “professionisti” di questo impegno nella società. Si tratta di riconoscere che si fa politica non solo nei partiti, ma anche al di fuori di essi, contribuendo a uno sviluppo globale della democrazia con l’assunzione di responsabilità di controllo e di stimolo, di proposta e di attuazione di una reale e non solo declamata partecipazione” (COMMISSIONE ECCLESIALE GIUSTIZIA E PACE, Nota pastorale Educare alla legalità [1991], n. 17). «Chi ha responsabilità politiche e amministrative abbia sommamente a cuore alcune virtù, come il disinteresse personale, il rispetto della dignità degli altri, il senso della giustizia, il rifiuto della menzogna e della calunnia come strumento di lotta contro gli avversari, la carità per assumere come proprie le necessità del prossimo, con chiara predilezione per gli ultimi» (ibidem, n. 16). La responsabilità e corresponsabilità La difficoltà di essere responsabili, di dare risposte In quali contesti si diventa responsabili eletti così giovani? Lo stile della “staffetta” Solo per qualche anno. Imparare a condividere e costruire progetti stabili che durano nel tempo. Siamo responsabili di un pezzo di storia, non padroni insostituibili: a noi è stato consegnato un testimone che, se davvero ha inciso nella nostra vita avendoci fatto incontrare il Volto nei volti, non potrà non essere passato alle nuove generazioni curato e arricchito anche dall’esperienza personale, in una autentica logica di servizio. Lo sperimentare la democrazia I luoghi di confronto democratico assolutamente carenti oggi La “fatica” del camminare insieme e del discernimento La mediazione culturale e il desiderio di trovare sintesi “possibili” condivise La passione per la città ed il territorio L’adesione e l’appartenenza L’adesione non è solo un fatto formale, ma è una risposta con un forte carattere vocazionale, che coinvolge la persona inserendola pienamente nella vita associativa: associarsi è il modo per poter lavorare insieme, per organizzarsi e costruire una collaborazione efficace e duratura che permette la preparazione di strumenti che aiutano la formazione e la crescita di ragazzi, giovani e adulti. Aderire è un fatto che ci educa alla responsabilità e ci tocca nel vivo chiedendoci anche un piccolo sacrificio economico, che permette all’AC di sostenersi attraverso il contributo di ciascuno. Ecco perché bisogna proporre l’adesione come un sereno percorso di ricerca e di crescita condivisa; comprendere che attraverso l’adesione passa l’autonomia della associazione. Che valore ha oggi l’appartenenza all’AC? Quali strumenti di creatività per promuovere l’adesione come strumento per riconoscersi e fare un cammino insieme alla Chiesa? Due conclusioni Sperare oltre ogni speranza “In certi periodi della storia le speranze umane si accendono di luci improvvise che sembrano rendere prossima una nuova età di felicità e di innocenza, di sicurezza, di giustizia, di progresso e di pace. Sono età che, proprio per questa carica di speranza, generano costruttori, perché non si costruisce senza speranza”. Conclusione del suo mandato, 1971: “Noi dobbiamo essere in questa società inquieta ed incerta, ed in questa Chiesa che faticosamente segue i piani del Signore, una forza di speranza e perciò una forza positiva capace di costruire nel presente per l’avvenire” Fare il punto Terminerei con queste stupende annotazioni che Alberto Marvelli, beato dell’Azione Cattolica, scrive sul suo Diario: “Fare il punto. Questa frase si usa spesso in marina per orientarsi, ed anche in altri campi. Ma la si può dire molto a ragione per la vita spirituale. Fare ogni tanto il punto della nostra vita spirituale, morale, materiale, di tutte quelle che sono le manifestazioni del nostro pensiero e della nostra volontà. Fare il punto per costatare il cammino compiuto, per vedere se vi è un progresso o un regresso. Fare il punto per riprendere con più impegno la via, la nostra via, quella che il Signore affida a tutti, distinta, ma con il medesimo fine: la salvezza”. Buon cammino a tutti! Enzo La Carrubba