Dalla primavera della debacle elettorale, all’estate della lacerante autocoscienza della sinistra, fino all’autunno del nuovo protagonismo del mondo della scuola e della fine delle politiche sindacali concertative: il tempo è corso veloce in questi ultimi mesi, ridisegnando l’immagine di un paese, che solo pochi mesi fa sembrava oscurato dalla coltre di un egemonia della destra che raggiungeva ogni settore sociale, e che oggi appare piuttosto caratterizzato dalla totale rottura di ogni possibile rappresentanza, tra una società che esprime una ineludibile necessità di cambiamento, e un quadro politico-istituzionale bloccato, da un bipolarismo astratto e impermeabile a ogni vitale fermento della realtà. Nel quadro definito a livello globale dalla crisi finanziaria mondiale, e dalle aspettative di cambiamento suscitate dal cambio di leadership della principale potenza economico-militare del pianeta, in Italia si annuncia la lenta e pericolosa agonia del “modello Berlusconi”, prodotto specifico e peculiare di quella fase ormai esaurita, che ebbe inizio quasi trent’anni fa con l’affermarsi delle politiche di Reagan e della Tatcher. Questa agonia sarà comunque tanto più lunga e pericolosa, quanto meno le forme della politica saranno in grado di intercettare le aspettative di cambiamento, e trasformarle in un organico progetto d’alternativa. Esaurita ogni speranza di scorciatoie governiste e politiciste, legate alle fallimentari ipotesi di alleanze con un PD immobilizzato dai suoi contraddittori “ma anche”, rimane alla sinistra e ai comunisti solo l’ineludibile questione di un riposizionamento nel vivo della società, un percorso di ricostruzione di lungo periodo, che ha come tema prioritario la questione posta già all’indomani della sconfitta elettorale, il tema del radicamento sociale nei territori, a partire da un nuovo ruolo dei nostri circoli territoriali e dalla loro capacità di interazione, con tutte le esperienze di partecipazione e autorganizzazione sociale che nei territori si producono. La necessità di “ripartire dai territori”,”ricostruire radicamento sociale”, necessità espressa a più riprese e da ogni area del Partito, va riempita di senso con una attenta riflessione sul modificarsi dei territori urbani, sui nuovi modi e le nuove forme in cui le dinamiche sociali tendono a prodursi, in una società che ha visto molti dei punti di riferimento tradizionali, messi in crisi dalle modificazioni nel modo di produzione degli ultimi decenni. La vastità dei problemi, anche teorici, da affrontare, non può comunque esimerci dal porre la questione del radicamento sociale del Partito, come priorità politica, a partire in primo luogo dalla capacità di ricollocare la nostra iniziativa, nel quadro di quell’ampia sinistra sociale, con cui negli ultimi anni si è indebolito un rapporto di interazione. Il diffuso arcipelago di esperienze di base, che dai temi dell’ambiente a quello del lavoro, dalla lotta al razzismo a quella per il diritto alla casa, fino al mondo delle pratiche economiche alternative, dalla finanza etica al consumo critico, e in generale tutta quella parte di società le cui pratiche e i cui valori sono fuori e oltre lo schema di normalizzazione bipolare, non sono solo il nostro referente elettorale, sono principalmente, l’humus e la massa critica di ogni progetto egemonico di trasformazione sociale. Questo mondo rischia di trovarsi espropriato non tanto e non solo di una rappresentanza politica, quanto di una sua autonoma capacità di incidere nei luoghi della politica; c’è il rischio reale che tale patrimonio si esaurisca in “buone pratiche”, che però non producono progettualità politica antagonista. Contestualmente la perdita di relazione con questa realtà, consegna la sinistra politica alle derive speculari della subalternità istituzionale e del minoritarismo identitario. Anche il tema ineludibile del rilancio di processi unitari a sinistra, va collocato in questo quadro, nel vivo delle relazioni sociali, nella materialità delle pratiche quotidiane. Rilanciare il radicamento sociale del Partito, significa collocare le nostre iniziative, le nostre parole d’ordine, il senso stesso del nostro agire, nella complessità di una realtà frammentata in una quantità di espressioni parziali, tematiche, settoriali, lavorando alla costruzione di reti territoriali, di luoghi comuni della Sinistra, di momenti di confronto e di scambio, elaborando proposte condivise, realizzando progetti autogestiti, praticando mutualità e solidarietà, rendendo vivo e visibile l’altro “mondo possibile”; è solo da questo processo dal basso, che modifica quotidianamente e quasi molecolarmente, le relazioni e i rapporti di forza nella città e nei singoli territori, che sarà possibile riconquistare alla sinistra quei settori popolari che da essa si sono allontanati e costruire con essi una forte opposizione alla giunta Alemanno. L’individuazione di un preciso indirizzo politico, sul come affrontare il tema del radicamento sociale, pone naturalmente il tema degli “strumenti”, che permettono a quell’indirizzo di trasformarsi in pratica; ciò ci pone di fronte alla necessità di un’analisi attenta e concreta dello stato dei Circoli, i nostri principali strumenti, luogo di incontro tra la nostra proposta politica e i soggetti sociali a cui ci rivolgiamo. Di fatto, già da diversi anni è in corso una progressiva crisi dei circoli del Partito, il cui ruolo e la cui funzione è stato eroso da una quantità di mutamenti nella società: il tempo delle sezioni del PCI, che insieme alle parrocchie, erano uno dei poli della vita sociale dei quartieri è tramontato da decenni, e molte sono le cause di questa realtà: dalla crisi generale della politica, allo sviluppo imponente dei mezzi di comunicazione di massa, dal mutamento della composizione sociale nei quartieri, alla crescita del lavoro diffuso, dal modificarsi del rapporto tra tempo di lavoro e tempo di vita, alla difficoltà di relazione in una società sempre più molecolarizzata, dal prodursi delle nuove emergenze sociali legate al tema dell’immigrazione, fino alla rottura dei legami di identità e solidarietà in seno al nostro blocco sociale di riferimento, questi ed altri sono i fattori oggettivi che da svariati anni hanno reso sempre più difficile e precaria l’attività dei nostri circoli territoriali. A questi problemi oggettivi ne vanno aggiunti altri soggettivi, quali la carenza di strutture e risorse economiche, il rifugiarsi rassicurante nell’autoreferenzialità, la tendenza all’elettoralismo, la carenza di quadri politici e di competenze specifiche. A fronte di questi elementi oggettivi e soggettivi, che minano la praticabilità di un progetto di ricostruzione del radicamento sociale, è necessario un grande sforzo di innovazione nel modo di operare dei circoli, il cui ruolo non può esaurirsi nell’essere terminali delle campagne generali lanciate dal Partito, ma deve arricchirsi nell’intercettazione, selezione e organizzazione, delle molteplici necessità, esigenze, proposte che emergono dalla società come materia informe e spesso contraddittoria, per poter quindi essere trasformate in pezzi di un progetto politico per un’altra idea di città, che non sia solo patrimonio del Partito, ma della più vasta sinistra diffusa di cui esso è parte. Perché ciò possa attuarsi i Circoli devono produrre una propria “utilità sociale”, nel tessuto delle relazioni territoriali, divenendo, anche attraverso l’offerta di servizi, competenze, spazi e logistica, i luoghi di promozione di embrioni di comunità solidali. Dobbiamo tornare ad essere “pesci nell’acqua” e lungi dall’abdicare al proprio ruolo politico, i Circoli devono divenire il luogo di ricostruzione di una politica, che nasce nella società, piuttosto che sovrapporsi ad essa per negarla. La campagna contro il carovita e per il pane a un euro, ci indica una via, l’abbozzo di un percorso pratico, che deve vedere come passi ulteriori, la costruzione di Gruppi d’Acquisto Popolari, luoghi nei quali la critica ai meccanismi del consumo, sedimentino esperienze collettive e forme di relazione solidali; il sostegno e la promozione di forme di finanza etica, può essere l’opportunità di una autentica autonomia dei progetti di autorganizzazione sociale, in un contesto in cui sarà sempre più difficile accedere a risorse pubbliche; la difesa militante del diritto alla casa, sia attraverso i picchetti antisfratto, sia con la costruzione di una rete di solidarietà intorno alle esperienze di occupazione, deve allargarsi fino a intercettare il malessere dei tanti “proprietari” di appartamenti strangolati dai mutui, delle migliaia di inquilini del mercato privato, privi di ogni tutela sindacale; i temi della difesa ambientale, della riqualificazione di spazi sociali abbandonati e della lotta al degrado, devono coniugarsi ad una battaglia per nuove opportunità di lavoro, attraverso la promozione di progetti innovativi gestiti da cooperative di disoccupati; il tema dei servizi sociali deve vederci in grado di promuovere luoghi di relazione tra lavoratori e utenti, che favoriscano la partecipazione e il controllo sociale. Un tema specifico e di grande rilevanza è quello del rapporto tra lavoro e territorio, un territorio nel quale il lavoro diffuso, precario e senza tutele, in particolare nei comparti del commercio e della grande distribuzione, delle cooperative d’assistenza, delle piccole imprese artigiane, per non parlare dell’edilizia, con lo sconcio del caporalato quotidiano davanti ai magazzini edili, coinvolge migliaia di lavoratori: il tema delle Camere del Lavoro Territoriali, va ripreso e rilanciato in collaborazione con le strutture sindacali locali. Questi ed altri sono i compiti che dovrebbero impegnare i nostri Circoli territoriali, compiti sicuramente al di sopra delle nostre forze, per i quali è necessario aprire una stretta collaborazione con tutte le forze della sinistra politica e sociale, coinvolgendo le rappresentanze istituzionali della sinistra ai diversi livelli. Per rendere praticabile un simile progetto dobbiamo immaginare la costruzione di “segreterie territoriali”, con funzionari locali almeno part-time, sostenuti economicamente dalla rete delle strutture territoriali e dal contributo degli eletti a livello locale, che svolgano servizi di coordinamento tecnico, diffusione di informazioni, supporto all’attività dei rappresentanti istituzionali locali. Sappiamo come PD e PdL hanno a loro disposizione una rete di “dipendenti” che a vario titolo e in varie forme, sono impegnati a tempo pieno nella costruzione di consenso sui territori, sia attraverso pratiche clientelistiche, sia attraverso l’offerta di servizi di varia natura; di fronte a ciò i nostri circoli devono fare quotidianamente i conti con lo scarso tempo a disposizione di militanti ed iscritti, tempo che poi viene spesso mal utilizzato, in assenza di una capacità di organizzazione del lavoro politico razionale e produttivo: la possibilità di garantire alcune attività tecniche e organizzative attraverso un funzionario locale, condiviso con altre forze politiche e sociali del territorio, potrebbe consentire il liberarsi di energie per il lavoro politico e sociale. Compito della Federazione sarà sostenere tale impegno innovativo, sia attraverso la definizione concordata di progetti di sviluppo politico locale, sia attraverso il supporto dell’elaborazione delle commissioni e i dipartimenti federali. E’ necessario avviare incontri tra Federazione e circoli territoriali, per definire, municipio per municipio, gli elementi e i soggetti intorno a cui costruire progetti locali, valorizzando il ruolo autonomo dei circoli nella definizione di tali progetti, verificando il lavoro svolto e i risultati conseguiti, sottoponendo la nostra politica nelle istituzioni municipali al vaglio della sua coerenza con l’attuazione dei progetti stessi. A livello di gruppo dirigente della Federazione e dei suoi dipartimenti è necessario individuare e produrre le competenze, le informazioni, le elaborazioni, che possano da un lato supportare lo sviluppo dei progetti locali, dall’altro assemblarne le parzialità in un indirizzo generale di opposizione alla giunta Alemanno. Perché ciò sia possibile è necessario cambiare radicalmente il modo di lavorare dei dipartimenti e delle commissioni, dipartimenti e commissioni che spesso esistono solo sulla carta e che non hanno rapporti con i circoli. Oggi per un compagno di un circolo seguire il lavoro di una commissione significa sobbarcarsi il viaggio fino in Federazione, tentare di far coincidere le proprie disponibilità con quelle di un numero indefinito di compagni di altri territori, per poi svolgere una discussione di un paio d’ore, che quasi sempre risulta inadeguata alla complessità delle problematiche da affrontare, e spesso anche sganciata da alcuna pratica reale: e questo nell’epoca in cui attraverso la “rete”, migliaia di persone sono abituate a comunicare, discutere, organizzarsi. I contatti in rete tra responsabile di dipartimento e i suoi referenti territoriali, potrebbero garantire una relazione costante e ridurre considerevolmente riunioni e tempi di spostamento. Altro problema che dovrebbe competere alla Federazione è quello della formazione dei quadri, una formazione che va totalmente costruita e soprattutto ripensata; la formazione politica generale che garantisce ad un militante la conoscenza dei rudimenti del marxismo, della storia del movimento operaio o dei meccanismi della globalizzazione, non ci aiuta a costruire quadri con le competenze specifiche necessarie al “fare” politica quotidiano: costruzione di progetti, accesso a finanziamenti pubblici, dinamiche dell’autorganizzazione sociale e sindacale, multiculturalismo, conoscenza delle mille tipologie contrattuali, comunicazione, questi ed altri sono i temi con cui quotidianamente dobbiamo misurarci per dare concretezza alla nostra proposta politica, e sui quali spesso non abbiamo competenze specifiche, e su questi temi dobbiamo produrre formazione e socializzazione delle conoscenze. Molto è il lavoro da fare e non è un segretrario o un gruppo dirigente che possono offrire tutte le soluzioni, ma già molto sarebbe avere un’attenzione, aprire una riflessione, dare spazio alla sperimentazione.