Domande Concorso Dirigenti Lombardia 2012 Area 4 - Processi di apprendimento e valutazione DOMANDE VARIE SULLA PEDAGOGIA E SULL’APPRENDIMENTO (SOLO DOMANDA): Difficoltà d'apprendimento e strategie di recupero Passaggio dalla scuola orientata al programma ad una orientata al conseguimento dei risultati. Prescrittività del programma e del PECUP Documentazione delle competenze, quando e con quali strumenti La scuola come ambiente di apprendimento Pedagogia dell'essere nella scuola Aspetti motivazionali dell'apprendimento Nuove tecnologie nell'apprendimento Inversione di modello tra una scuola orientata in conformità ai programmi e una scuola centrata sugli apprendimenti Difficoltà d'apprendimento e strategie di recupero Linee generali per l'organizzazione di una scuola primaria Linguaggi multimediali: potenzialità di utilizzo Documentazione prevista dalla legge per favorire i percorsi di apprendimento per alunni diversamente abili Il Ds e la gestione delle organizzazioni complesse: presupposti teorici e realizzazioni pratiche Cooperative learning Valutazione degli apprendimenti e giudizio valutativo Documentazione prevista dalla legge per favorire percorsi di apprendimento per alunni DSA L'utilizzo delle nuove tecnologie nell'apprendimento DOMANDE VARIE SULLA PEDAGOGIA E SULL’APPRENDIMENTO (DOMANDA E MATERIALE DI STUDIO PER LA RISPOSTA): Intercultura e aree a forte processo immigratorio AREE D'INTERVENTO – INTERCULTURA (MIUR) La presenza di alunne e alunni con cittadinanza non italiana è un fenomeno strutturale del nostro sistema scolastico. L’Italia ha scelto, fin dall’inizio, la piena integrazione nella scuola di tutti e l’educazione interculturale come dimensione trasversale e come sfondo integratore che accomuna tutte le discipline e tutti gli insegnanti. L’integrazione degli alunni con cittadinanza non italiana deve partire dall’acquisizione delle capacità di capire ed essere capiti e dalla padronanza efficace e approfondita dell’italiano come seconda lingua. Si tratta di dare risposte ai bisogni comunicativi e linguistici degli studenti con cittadinanza 1 non italiana,con particolare riferimento a quelli di recente immigrazione. Sono quindi indispensabili azioni mirate di formazione del personale scolastico, insegnanti e dirigenti scolastici, e azioni di sostegno all’inserimento degli alunni con cittadinanza non italiana. Si riconoscono, inoltre, come centrali, l’orientamento alla scelta scolastica da parte degli studenti e la partecipazione attiva e la relazione tra famiglie, immigrate e non immigrate. Altresì importante è coltivare gli orientamenti assunti in molte scuole per ridefinire i contenuti e i saperi in una prospettiva interculturale, con l’integrazione di fonti, modelli culturali ed estetici e nuovi linguaggi della comunicazione visiva e musicale. NORMATIVA CM 24/2006 Linee guida per l'accoglienza e l'integrazione degli alunni stranieri. (leggitela!) La tutela del diritto di accesso a scuola del minore straniero trova la sua fonte normativa nella legge sull’immigrazione, n. 40 del 6 marzo 1998 e nel decreto legislativo del 25 luglio 1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” che riunisce e coordina gli interventi in favore dell’accoglienza e integrazione degli immigrati, ponendo particolare attenzione all’integrazione scolastica. La legge n. 189 del 30 luglio 2002 (cd. Bossi/Fini) ha confermato le procedure di accoglienza degli alunni stranieri a scuola. Attualmente il quadro normativo, imperniato sull’autonomia delle istituzioni scolastiche, con D.P.R. n. 275/99, rappresenta lo strumento principale per affrontare tutti gli aspetti, come quello dell’integrazione degli stranieri, che richiedono la costruzione di appropriate e specifiche soluzioni. La legge di riforma dell’ordinamento scolastico, n. 53/2003, contiene elementi idonei allo sviluppo delle potenzialità di tutti gli allievi attraverso la personalizzazione dei piani di studio per la costruzione di percorsi educativi e didattici appropriati a ciascuno studente. Il Decreto Legislativo n. 76/2005 relativo al diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, nel riprendere ed ampliare il concetto di obbligo formativo (art. 68 Legge 144/99), individua i destinatari in “tutti, ivi compresi i minori stranieri presenti nel territorio dello Stato” (comma 6 dell’art. 1). Il Contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto scuola 2002/05, all’art. 9, “Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica” ha collocato in un’unica previsione normativa le situazioni territoriali relative alle aree a rischio e a forte processo immigratorio, ha ricompreso in un quadro contrattuale unitario gli obiettivi di lotta all’emarginazione scolastica, ha trasferito alcune competenze dagli Uffici centrali a quelli regionali, ha prefigurato specifiche modalità di raccordo e di collaborazione tra le istituzioni scolastiche. INDICAZIONI OPERATIVE In presenza di fenomeni di concentrazione di studenti con cittadinanza straniera, si ritiene proficua un’equilibrata distribuzione delle iscrizioni attraverso un’intesa tra scuole e reti di scuole e una mirata collaborazione con gli enti locali, avendo come riferimento normativo l’art. 7 del D.P.R. 275/1999. Si accolgono a scuola in qualunque momento dell’anno (obbligo di istruzione esteso a tutti anche non italiani) Continua… 2 Diversamente abili: normativa e azione del DS Il P.E.I. è: progetto operativo interistituzionale tra operatori della scuola, dei servizi sanitari e sociali, in collaborazione con i familiari progetto educativo e didattico personalizzato riguardante la dimensione dell'apprendimento correlata agli aspetti riabilitativi e sociali Contiene finalità e obiettivi didattici itinerari di lavoro tecnologia metodologie, tecniche e verifiche modalità di coinvolgimento della famiglia Tempi si definisce entro il secondo mese dell'anno scolastico si verifica con frequenza, possibilmente trimestrale verifiche straordinarie per casi di particolare difficoltà DISABILI minorazione disabilità handicap La nota 4274 del 4/8/09 del Miur Linee guida per l’integrazione degli alunni con disabilità è il testo normativo di riferimento per queste questioni con le note integrative accluse. SI dovrebbe oggi parlare di INCLUSIONE scolastica. Gli USR stipulano accordi di programma regionali, gestiscono i GLIR, curano la formazione dei DS, dei docenti e degli ata, sostengono la costituzione di reti territoriali idonee. CERTIFICAZIONE degli alunni disabili: regolata dal DPR 24/2/94 che affidava le certificazione della disabilità ad uno specialista medico o psicologo dell’età evolutiva. Il DPCM 185/2006 riconduce la certificazione nell’alveo previsto dalla l. 104/92 quindi con le medesime modalità di quella per gli adulti. Della normativa precedente rimangono VALIDI e necessari: DF = diagnosi funzionale PDF: profilo dinamico funzionale PEI: piano educativo individualizzato Cosa deve fare la scuola per i disabili? 1. accordi di programma per coordinarsi 2. dotarsi di strumenti e personale 3. attivare progetti integrati 4. sviluppare le potenzialità a 360° 5. attivare l’integrazione nelle classi 6. il docente di sostegno è contitolare: valorizzare questa figura 7. attivare la flessibilità oraria, degli organici, didattica 8. valutare, in ultima istanza, anche una terza ripetenza se utile allo sviluppo dell’alunno Diagnosi Funzionale: si intende per diagnosi funzionale qualunque diagnosi che dia qualche pur breve descrizione delle conseguenze o delle limitazioni sul piano cognitivo, comportamentale, affettivo ecc 3 La normativa di riferimento è la CM 250/85 L’intesa stato/regioni del 20/3/08: valutazione dinamica, di ingresso, presa in carico per la piena integrazione scolastica e sociale. Viene eseguita dall’Unità Multidisciplinare Territoriale, viene redatta in base al modello ICF = international classification of functioning, disability and health La diagnosi basata sull’ICF si articola come segue: L’ICF quindi si snoda su quattro punti: ANAMNESI-FUNZIONALITA’ CONTESTUALIOBIETTIVI E STRATEGIE - PROFILI E RISORSE NECESSARIE PER INTEGRAZIONE La conferenza unificata nel documento del 20 marzo 2008 ha previsto che PDF e DF siano inclusi in quanto, effettivamente, spesso risultavano essere l’uno il duplicato dell’altro. Insieme vengono a coincidere poi con il profilo di funzionamento della persona (ICF). 4 Cos’è il PEI? La Legge 104/92 prevede l’istituzione di un GLH di istituto, che non va confuso con il gruppo di lavoro (?). Docente di sostegno: già nella l. 517/77 si parlava di attività di integrazione nel limiti di 6 ore settimanali per classe. La l. 270/82 definisce il contingente organico nella misura di “un posto ogni 4 alunni certificati frequentanti”. Il rapporto 1:4 poteva essere derogato per comprovate necessità. La l. 449/1997 ridetermina questo rapporto nel numero di 1:138 alunni complessivamente frequentanti nell’ambito provinciale (La dotazione organica di insegnanti di sostegno per l'integrazione degli alunni handicappati é fissata nella misura di un insegnante per ogni gruppo di 138 alunni complessivamente frequentanti gli istituti scolastici statali della provincia, assicurando, comunque, il graduale consolidamento, in misura non superiore all'80 per cento, della dotazione di posti di organico e di fatto esistenti nell'anno scolastico 1997-1998,) La l. 296/2006 prescrive di individuare l’organico corrispondente alle effettive esigenze (finanziaria) La l. 244/2007 (Fioroni) istituisce, per l’attribuzione dei posti di sostegno, un duplice criterio: non più del 25% del numero delle classi e, a livello provinciale, non meno di un rapporto 1:2 (un docente minimo per ogni due alunni disabili, ergo: max 9 ore per alunno). Valutazione dei disabili: inizia con l’art. 16 L. 104/92: I ciclo: si valutano il comportamento, le discipline e le attività in decimi per quanto previsto e progettato nel PEI Conclusione I ciclo: sono possibili o necessarie prove differenziate, è consentito l’uso di strumenti e sussidi e di ausili tecnici. L’alunno riceve il medesimo documento degli alunni non disabili II ciclo: stesse condizioni del I ciclo, ma l’alunno riceve un ATTESTATO (non un diploma) Il COMUNE ha la competenza sul sostegno alle disabilità fisiche La PROVINCIA ha la competenza sul sostegno alle disabilità sensoriali (ciechi, muti, sordi) 5 Dirigente scolastico e disabili: Stando alla normativa e all’intesa stato/regioni già citata, il DS ha la funzione di garante dell’integrazione scolastica dei disabili. Cosa fa il DS in concreto? - promuove e incentiva attività diffuse di aggiornamento e formazione - valorizza i progetti dotati di strategie orientate all’inclusione - guida e coordina direttamente le azioni previste dalla normativa (glhi, formazione classi, utilizzo docenti di sostegno ecc) - indirizza l’operato del cdc/cdint - coinvolge le famiglie e ne garantisce la partecipazione - cura il raccordo con enti e associazioni locali - attiva l’orientamento nei passaggi fra cicli - individua le barriere architettoniche e sensopercettive per provvedere a rimuoverle Disturbi specifici dell’apprendimento o DSA in questo caso l’intelligenza è nella norma ma sono presenti difetti di funzionamento di alcune aree della percezione/produzione. Non vanno confusi con i disturbi di ADHD che hanno origine diversa, ma che spesso vengono “inclusi” impropriamente in questa categoria. Si parla di: Le fonti normative che trattano i DSA sono: DPR 122/2009 + CM 1787 1/3/2005 - Vanno diagnosticati per tempo, fra l’ultimo anno della scuola dell’infanzia e il terzo della scuola primaria - è opportuno attivare forme di screening su tutti gli alunni - se vengono rilevati ci si rivolgerà ai servizi di neuropsichiatria infantile (NPI) per gli accertamenti e gli interventi del caso Gli alunni con DSA possono usufruire di strumenti compensativi e dispensativi 6 DSA normativa LEGGE 8 ottobre 2010 , n. 170 Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico Art. 1 Riconoscimento e definizione di dislessia, disgrafia, disortografia e discalculia La presente legge persegue, per le persone con DSA, le seguenti finalita': a) garantire il diritto all'istruzione; b) favorire il successo scolastico, anche attraverso misure didattiche di supporto, garantire una formazione adeguata e promuovere lo sviluppo delle potenzialita'; c) ridurre i disagi relazionali ed emozionali; d) adottare forme di verifica e di valutazione adeguate alle necessita' formative degli studenti; e) preparare gli insegnanti e sensibilizzare i genitori nei confronti delle problematiche legate ai DSA; f) favorire la diagnosi precoce e percorsi didattici riabilitativi; g) incrementare la comunicazione e la collaborazione tra famiglia, scuola e servizi sanitari durante il percorso di istruzione e di formazione; h) assicurare eguali opportunita' di sviluppo delle capacita' in ambito sociale e professionale. Art. 3 Diagnosi Art. 4 Formazione nella scuola Art. 5 Misure educative e didattiche di supporto Gli studenti con diagnosi di DSA hanno diritto a fruire di appositi provvedimenti dispensativi e compensativi di flessibilita' didattica nel corso dei cicli di istruzione e formazione e negli studi universitari. Art. 6 Misure per i familiari OM 11 MAGGIO 2012 (ESAMI DI STATO) Esame dei candidati in situazione di DSA ART 17 BIS 1. La Commissione d’esame – sulla base di quanto previsto dall’articolo 10 del D.P.R. 22/6/2009, n.122 e dal relativo DM n.5669 12 luglio 2011 di attuazione della Legge 8 ottobre 2010, n. 170, recante Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico – nonché dalle Linee Guida allegate al citato DM n. 5669/2011, considerati eventuali elementi forniti dal Consiglio di classe, terrà in debita considerazione le specifiche situazioni soggettive, adeguatamente certificate, relative ai candidati affetti da disturbi specifici di apprendimento (DSA), in particolare, le modalità didattiche e le forme di valutazione individuate nell’ambito dei percorsi didattici individualizzati e personalizzati. A tal fine il Consiglio di classe inserisce nel documento del 15 maggio di cui al DPR n.323/1998 il Piano Didattico Personalizzato o altra documentazione predisposta ai sensi dell’art.5 del DM n. 5669 del 12 luglio 2011. Sulla base di tale documentazione e di tutti gli elementi forniti dal Consiglio di classe, le Commissioni predispongono adeguate modalità di svolgimento delle prove scritte e orali. Nello svolgimento delle prove scritte, i candidati possono utilizzare gli strumenti compensativi previsti dal Piano Didattico Personalizzato o da altra documentazione redatta ai sensi dell’art.5 del D.M. 12 luglio 2011. Sarà possibile 7 prevedere alcune particolari attenzioni finalizzate a rendere sereno per tali candidati lo svolgimento dell’esame sia al momento delle prove scritte, sia in fase di colloquio. I candidati possono usufruire di dispositivi per l’ascolto dei testi della prova registrati in formati “mp3”. Per la piena comprensione del testo delle prove scritte, la Commissione può prevedere, in conformità con quanto indicato dal capitolo 4.3.1 delle Linee guida citate, di individuare un proprio componente che possa leggere i testi delle prove scritte. Per i candidati che utilizzano la sintesi vocale, la Commissione può provvedere alla trascrizione del testo su supporto informatico. In particolare, si segnala l’opportunità di prevedere tempi più lunghi di quelli ordinari per lo svolgimento della prove scritte, di curare con particolare attenzione la predisposizione della terza prova scritta, con particolare riferimento all’accertamento delle competenze nella lingua straniera, di adottare criteri valutativi attenti soprattutto al contenuto piuttosto che alla forma. Al candidato potrà essere consentita la utilizzazione di apparecchiature e strumenti informatici nel caso in cui siano stati impiegati per le verifiche in corso d’anno o comunque siano ritenuti giovevoli nello svolgimento dell’esame, senza che venga pregiudicata la validità delle prove. 2. I candidati con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA), che, ai sensi dell’art.6, comma 6, del DM n.5669 del 12 luglio 2011, hanno seguito un percorso didattico differenziato, con esonero dall’insegnamento della/e lingua/e straniera/e, e che sono stati valutati dal consiglio di classe con l’attribuzione di voti e di un credito scolastico relativi unicamente allo svolgimento di tale piano possono sostenere prove differenziate, coerenti con il percorso svolto finalizzate solo al rilascio dell'attestazione di cui all'art. 13 del D.P.R. n. 323/1998. Per detti candidati, il riferimento all’effettuazione delle prove differenziate va indicato solo nella attestazione e non nei tabelloni affissi all’albo dell’istituto. 3. Per quanto riguarda i candidati con diagnosi di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA), che, ai sensi dell’art.6, comma 5, del DM n.5669 del 12 luglio 2011, hanno seguito un percorso didattico ordinario, con la sola dispensa dalle prove scritte ordinarie di lingua/e straniera/e, la Commissione, nel caso in cui la lingua straniera sia oggetto di seconda prova scritta, dovrà sottoporre i candidati medesimi a prova orale sostitutiva della prova scritta. La Commissione, sulla base della documentazione fornita dal consiglio di classe, stabilisce modalità e contenuti della prova orale, che avrà luogo nel giorno destinato allo svolgimento della seconda prova scritta, al termine della stessa, o in un giorno successivo, purché compatibile con la pubblicazione del punteggio complessivo delle prove scritte e delle prove orali sostitutive delle prove scritte nelle forme e nei tempi previsti nell’art. 15, comma 8. Il punteggio, in quindicesimi, viene attribuito dall'intera commissione a maggioranza, compreso il presidente, secondo i criteri di conduzione e valutazione previamente stabiliti in apposita o apposite riunioni e con l'osservanza della procedura di cui all'art. 15, comma 7. Qualora la lingua o le lingue straniere siano coinvolte nella terza prova scritta, gli accertamenti relativi alla lingua o alle lingue straniere sono effettuati dalla commissione per mezzo di prova orale sostitutiva nel giorno destinato allo svolgimento della terza prova scritta, al termine della stessa, o in un giorno successivo, purché compatibile con la pubblicazione del punteggio complessivo delle prove scritte e delle prove orali sostitutive delle prove scritte nelle forme e nei tempi previsti nell’art. 15, comma 8. I risultati della prova orale relativa alla lingua o alle lingue straniere coinvolte nella terza prova scritta sono utilizzati per la definizione del punteggio da attribuire alla terza prova scritta. 8 Individualizzazione, PEI e PDP (DSA) IL PDP: Piano Didattico Personalizzato Con il termine PDP si intende Piano Didattico Personalizzato da non confondere con il PEI (Piano Educativo Individualizzato) PEI = è il documento nel quale vengono descritti gli interventi integrati ed equilibrati tra di loro, predisposti per l'alunno in situazione di handicap, in un determinato periodo di tempo, ai fini della realizzazione del diritto all'educazione e all'istruzione. NON VALIDO PER I DSA PERCHE’ NON SI TROVANO IN SITUAZIONE DI HANDICAP in quanto hanno un QI perfettamente nella norma. Il PDP nasce esclusivamente per i DSA. Esso altro non è che una programmazione educativa che tenga conto delle specificità segnalate nella diagnosi per l'alunno con DSA. Esso è un patto d'intesa fra docenti, famiglia e istituzioni socio-sanitarie nel quale devono essere individuati e definiti gli strumenti dispensativi e compensativi necessari all'alunno per raggiungere in autonomia e serenità il successo scolastico. Esso va redatto a cura del Consiglio di Classe una volta acquisita la diagnosi di DSA e preferibilmente dovrebbe prevedere 3 step : 1 Incontro con la famiglia e lo specialista al fine di acquisire quante più informazioni possibili sulla specificità e la peculiarità dell'alunno con DSA. Questo incontro è molto utile in quanto il docente può acquisire molte informazioni sia sul vissuto del ragazzo, sia sulla caratteristica del disturbo ed eventuali punti di forza/debolezza già individuati con lo specialista 2 Stesura del documento da parte del Consiglio di Classe e per ogni singola materia. In questo modo è facile evidenziare sia le materie più confacenti al ragazzo ma soprattutto indicare nel concreto cosa può servire al ragazzo per riuscire ad essere autonomo e avere successo nella singola disciplina. Ad esempio in matematica sarà inserito l’uso della calcolatrice e/o del formulario, piuttosto che in altre materie l’uso delle mappe per lo studio e per le interrogazioni etc..: 3 Condivisione con la famiglia (talvolta anche l'alunno stesso) al fine di apporre la propria firma sul documento condiviso. Anche questo momento è di fondamentale importanza perché, nonostante si sia fatto tutto secondo norma, può accadere che magari sia sfuggito qualche cosa. Il PDP non è un documento statico e come tale deve quindi prevedere dei momenti in cui esso possa essere aggiornato con nuove informazioni derivanti dall'osservazione dell'alunno. L’alunno con il tempo acquisisce sempre più autonomia e sicurezza, e magari, crescendo, ha necessità di cambiare anche le strategie che utilizza. E’ fondamentale che l’osservazione attenta dei docenti e la consapevolezza dell’alunno portino a momenti di verifica del PDP al fine di modificarlo a seconda delle nuove esigenze. Come prevede la normativa (Linee guida pag. 8): 3.1 Documentazione dei percorsi didattici Le attività di recupero individualizzato, le modalità didattiche personalizzate, nonché gli strumenti compensativi e le misure dispensative dovranno essere dalle istituzioni scolastiche esplicitate e formalizzate, al fine di assicurare uno strumento utile alla continuità didattica e alla condivisione con la famiglia delle iniziative intraprese. A questo riguardo, la scuola predispone, nelle forme ritenute idonee e in tempi che non superino il primo trimestre scolastico, un documento che dovrà contenere almeno le seguenti voci, articolato per le discipline coinvolte dal disturbo: 9 • dati anagrafici dell’alunno; • tipologia di disturbo; • attività didattiche individualizzate; • attività didattiche personalizzate; • strumenti compensativi utilizzati; • misure dispensative adottate; • forme di verifica e valutazione personalizzate. Nella predisposizione della documentazione in questione è fondamentale il raccordo con la famiglia, che può comunicare alla scuola eventuali osservazioni su esperienze sviluppate dallo studente anche autonomamente o attraverso percorsi extrascolastici. Sulla base di tale documentazione, nei limiti della normativa vigente, vengono predisposte le modalità delle prove e delle verifiche in corso d’anno o a fine Ciclo. Tale documentazione può acquisire la forma del Piano Didattico Personalizzato. A titolo esemplificativo, vengono pubblicati sul sito del MIUR alcuni modelli di Piano Didattico Personalizzato. Nella stessa pagina web dedicata ai DSA, potranno essere consultati ulteriori modelli, selezionati sulla base delle migliori pratiche realizzate dalle scuole o elaborati in sede scientifica. Perché fare un PDP? Oltre ad essere un atto dovuto perché presente nella normativa in materia di DSA, esso, sul piano pratico, è uno strumento necessario allo studente con DSA che potrà così accedere a tutto ciò che gli è necessario anche in sede di esami di stato, in quanto la normativa permette l'uso di quanto già concesso durante gli anni scolastici; inoltre è un documento che funge da CV del ragazzo al quale qualsiasi docente può accedere sia esso di ruolo che sostituto etc... e potrà avere sempre sotto mano uno strumento che lo aiuterà anche in sede di valutazione. Nel PDP nello specifico devono essere riportati i dati dell'alunno completi di chi ha redatto la diagnosi, a che anno risale la diagnosi. Poi si passa ad un successivo step in cui vanno riportate le difficoltà dell'alunno così come da diagnosi acquisita. Nei successivi step vanno indicati materia per materia gli interventi compensativi e dispensativi che si intendo attuare con l'alunno, vanno anche indicati i punti di forza e di debolezza dello stesso così da promuovere i primi e evitare i secondi. Nella stesura si deve fare riferimento anche alle metodologie didattiche che si intendono attuare , nonché alla modalità di assegnazione dei compiti a casa, delle interrogazioni e del metro di valutazione. Teorie dell’apprendimento, costruttivismo, cognitivismo Modello comportamentista la mente non è conoscibile si studia la relazione tra stimolo e risposta Si può studiare solo ciò che è oggettivamente osservabile e misurabile (modello della scatola nera). Il rinforzo positivo è lo strumento più potente per influenzare l’apprendimento Il modello della task analysis (analisi dei requisiti di base per l’esecuzione di un compito, che viene scomposto nei suoi elementi minimi) è alla base della istruzione programmata (Skinner, 1954) 10 Modello cognitivista di elaborazione dell’informazione la mente trasforma le informazioni in entrata Tra i sistemi di rappresentazione formale dei processi cognitivi figurano l’algoritmo e il reticolo di nodi e relazioni Modello costruttivista la mente è un sistema cibernetico Il soggetto costruisce attivamente la propria conoscenza la conoscenza emerge dall’interazione L’apprendimento cooperativo È un metodo di apprendimento/insegnamento in cui coppie o piccoli gruppi di discenti lavorano insieme per raggiungere obiettivi condivisi. Obiettivo della cooperazione è ottimizzare il proprio apprendimento e quello degli altri unendo gli sforzi a beneficio di tutti Questo metodo aiuta a correggere il bias sociale ed educativo inconscio che favorirebbe la competizione Apprendimento cooperativo e collaborativo La valutazione d’Istituto L’autovalutazione d’istituto La necessità di progettare interventi di controllo, autoanalisi e autovalutazione nasce dalla constatazione che, nella realizzazione del servizio progettato, a determinare la qualità prodotta intervengono molte variabili mai pienamente rispondenti a quanto previsto. Anche se la progettazione è stata particolarmente puntuale e ha tenuto in debito conto sia le condizioni operative concrete che la possibilità dell’insorgere di imprevisti, la produzione/erogazione del servizio deve essere attentamente verificata. Ecco perché diventa necessario estendere l’attenzione dalla sola analisi e valutazione degli esiti in termini di apprendimento degli alunni, a quella del processo negli elementi dei diversi fattori, attività e interazioni che concorrono alla produzione/erogazione del servizio scuola. Il conseguimento dell’obiettivo di un ipotetica commissione, che è quello di produrre un miglioramento del servizio offerto, dovrà quindi prendere le mosse da una ricognizione di massima di tutti gli aspetti delle attività della scuola per individuare quelli su cui focalizzare l’analisi e, quindi, orientare quest’ultima alla comprensione dei fenomeni indagati, per disporre di un punto di partenza adeguato su cui innestare l’azione migliorativa. Il progetto di autoanalisi, anzitutto, dovrà perciò selezionare gli “indicatori” di qualità più rilevanti sui quali procedere con la raccolta e l’organizzazione delle informazioni, che potrebbero ad esempio essere concretamente rappresentati dai criteri usati per la formazione delle classi, dal rapporto in ogni classe tra alunni in situazione di handicap o appartenenti a culture diverse e i normodotati, dalla strutturazione degli spazi, dagli eventuali accordi di integrazione tra scuola e territorio, dal clima del rapporto tra gli insegnanti. Ad ogni modo, malgrado gli esempi fatti, il campo delle variabili che possono essere considerate è molto ampio. Si tratta per questo di scegliere e, soprattutto, di imparare a mettere in relazione le misure tra loro e con i fenomeni che si vogliono indagare. Terminata l’analisi si disporrà di una serie di informazioni organizzate che misurano o descrivono le prestazioni della scuola: i risultati degli allievi, il servizio offerto, le attività realizzate; e misurano o descrivono altresì le risorse esistenti e il loro utilizzo: personale, 11 strutture, strumenti. Bisognerà a questo punto usare le informazioni raccolte per capire se effettivamente il servizio scolastico offerto risponde ai requisiti di qualità precedentemente stabiliti e resi noti all’utenza attraverso la Carta dei Servizi e il Piano dell’Offerta Formativa; se funziona più o meno bene; se è possibile migliorarlo. Per quanto riguarda i criteri in base a cui valutare l’efficacia dei risultati ottenuti o l’efficienza del modo in cui sono state organizzate e realizzate le attività, le scuole italiane possono oggi disporre di adeguati standard di riferimento, stabiliti a livello nazionale dall’«Istituto Nazionale per la valutazione del sistema di istruzione» nato dalla trasformazione del CEDE con il D.L. 20/’99. Questa istituzione fornisce dunque - nel rispetto delle indicazioni offerte dal “Regolamento per l’autonomia delle istituzioni scolastiche” - i criteri generali di qualità del servizio in base ai quali ogni scuola potrà definire i propri specifici. Un primo punto di partenza per l’autovalutazione delle singole istituzioni scolastiche è quindi dato dal fatto che l’autoanalisi permette di costruire una rappresentazione della scuola e del suo operato che, proprio perché fondata sulla rilevazione di dati obiettivi, non coincide o coincide solo parzialmente con la percezione che gli operatori interni ne hanno. Questo accorgersi da parte del corpo docente che esiste un divario tra gli obiettivi prefigurati e la realtà effettiva delle cose costituisce già una prima forma di valutazione. Dal momento che gli operatori avranno precedentemente declinato la “qualità attesa” in obiettivi cui l’erogazione del servizio avrebbe dovuto rispondere, il confronto tra la realtà effettiva e questi ultimi potrà quindi essere sviluppato in modo puntuale, pertinente e produttivo. È pur vero che questa prima forma di autovalutazione è ancora “autoreferenziale”, poiché sono gli stessi elementi che erogano il servizio a valutarlo; malgrado ciò se questi conducono la valutazione con metodo, al fine di stabilire cosa funziona e cosa no per migliorarlo, e non invece con lo scopo di “scovare il colpevole”, questa operazione potrà sfuggire al rischio di trasformarsi in una frettolosa autogiustificazione. Oltre a ciò, l’autoanalisi, attraverso gli strumenti offerti dalla Carta dei Servizi quali questionari, interviste e sondaggi da proporre all’esterno, dovrebbe poi essere riuscita ad indagare anche quali valutazioni esprimono sul servizio i suoi referenti esterni. Queste ultime, infatti, rappresenterebbero il necessario punto di vista esterno che integrato agli elementi rilevati dall’analisi dei fattori dall’interno della scuola e agli elementi rilevati dal Servizio Nazionale di Valutazione, conduce ad una valutazione maggiormente attendibile. È chiaro che in un’ottica di autovalutazione il più possibile obiettiva i contributi “esterni” non dovranno certamente essere percepiti nella logica della sanzione o della rivalsa, ma in quella della corresponsabilità, della collaborazione, dell’intesa tra coloro che hanno stipulato un «Contratto formativo». L’autovalutazione dell’efficacia e dell’efficienza della scuola non ha, tra l’altro, lo scopo di assolverla o di condannarla, ma di aiutarla a conoscersi e offrire così un quadro di riferimento all’azione. La valutazione dell’efficacia e dell’efficienza dell’operato della scuola condotta a partire dai risultati dell’autoanalisi consente così di giungere ad una descrizione dei “punti di forza” della scuola, degli elementi che ne sostengono la qualità, e dei suoi “punti di debolezza”, ossia di quei fattori che ne limitano la qualità o non le consentono di produrla. Una chiara consapevolezza dei punti di forza consentirà di capire su cosa è possibile far leva per migliorare la qualità del servizio o per farla percepire più adeguatamente. La conoscenza dei “difetti” indicherà, invece, su che cosa occorre intervenire. Lavorando sulla lista dei difetti occorrerà individuare quelli che rappresentano un reale ostacolo per la qualità del servizio e costituiscono per questo un problema che deve essere risolto. Una volta individuati i difetti 12 da eliminare e averli contestualizzati è poi importante capire perché si verificano. L’individuazione di quei particolari tipi di relazione che sono i rapporti di causa-effetto consentirà, infatti, intervenendo sulle cause, non solo di rimediare alle effetti indesiderati, ma di evitare che esse si ripresentino. Per concludere: procedere all’autovalutazione d’Istituto significa anzitutto esaminare attentamente processi e dati che misurano i risultati reali e gli scostamenti rispetto a quelli attesi e quindi acquisire gli elementi per confermare le scelte fatte o per rivederle. Inoltre, la valutazione dei risultati serve a stabilire se l’intervento realizzato ha davvero risposto adeguatamente ai bisogni che si intendeva affrontare e risolvere; suggerisce spunti per integrare l’azione con altri interventi che ne rafforzino l’efficacia complessiva o per mettere a fuoco altri problemi che interferiscono con essa ostacolandone la realizzazione o limitandone l’efficacia. Ancora, l’autovalutazione di Istituto è essenziale per stabilire se le soluzioni adottate funzionano e possono perciò essere applicate stabilmente o su larga scala; per riconoscere le condizioni alle quali sono realmente efficaci o anche di quali adattamenti hanno bisogno per essere traslate in diversi contesti. Tutto ciò invita però a tenere conto sia del fatto che il mancato raggiungimento di un unico obiettivo non debba decretare l’inefficacia assoluta del programma, sia della possibilità di aver raggiunto a tal punto i risultati previsti da evidenziare un’eccessiva modestia degli obiettivi, che devono conseguentemente essere spostati più in alto. Il punto di partenza della qualità nella scuola dell’autonomia è dunque costituito dall’autoanalisi e dall’autovalutazione dell’efficacia e dell’efficienza del servizio erogato da ciascuna scuola, e quindi delle scelte decisionali “autonomamente” effettuate. Le strategie auto valutative divengono così lo strumento con cui ogni scuola interrogando se stessa, il proprio funzionamento e i propri referenti esterni può riconoscere la sua peculiarità e i suoi difetti, ponendovi conseguentemente rimedio. Attivismo pedagogico L'attivismo pedagogico è un metodo educativo che ebbe origine alla fine del XIX secolo, prevalentemente ad opera del filosofo Americano John Dewey. L'influenza di Dewey nella pedagogia moderna, americana ed europea, è stata paragonata a quella di Jean-Jacques Rousseau nell'Ottocento. Cenni storici A precedere l'attivismo pedagogico furono alcuni college progressisti inglesi, ad esempio quello di Reddie in cui si cercava di generare una relazione tra insegnanti e studenti in modo da evitare la tipica rivalità e facendo in modo di evitare tecniche mnemoniche per l'apprendimento, si proponevano gite e viaggi d'istruzione, attività sportive e scientifiche, lavori manuali e apprendimento di lingue straniere. Altri sperimentatori furono Badley, che si staccò dal college di Reddie, Lietz in Germania con una scuola radicale e Desmolins con la sua Ecolé des Roches, il quale affermava che il professore dovesse comportarsi come un padre di famiglia per i suoi studenti. Il primo esperimento pedagogico di Dewey fu la fondazione di una scuola elementare a Chicago nel biennio 1894-1896, essenzialmente basata sulla concezione di Friedrich Froebel. L'Attivismo ha come scopo la creazione di una scuola non convenzionale, non impostata sul nozionismo e sull'ascolto passivo degli insegnanti o lo studio individuale come erano state le scuole sino ad allora, bensì eretta sugli interessi dei discenti. In altre parole, una scuola secondo la psicologia dell'alunno e non del maestro. 13 La nuova pedagogia, secondo Dewey, deve mirare al metodo e abbandonare ogni contenuto prefissato, puntando non solo allo studio dei fatti della storia passata ma anche e soprattutto all'analisi dell'azione futura. Le nozioni sono fini a se stesse in quanto mutevoli, ciò che realmente conta è la ricerca e lo sviluppo delle capacità critiche. L'indagine tramite l'esperienza diretta è la sintesi di questo metodo. Molto vicino alle idee di Dewey sarà il metodo Montessoriano ad opera di Maria Montessori. Caratteristiche dell'Attivismo Pedagogico Puerocentrismo: mentre precedentemente l'educatore era spinto a rendere il bambino adulto il prima possibile, ci si concentra sull'importanza dell'infanzia Importanza della psicologia: l'avvento della ricerca psicologica aveva spinto la pedagogia a ripensare i suoi limiti, legandosi più fortemente a quelle che erano state le scoperte per quanto riguarda l'apprendimento e lo sviluppo Insegnante come guida: l'insegnante non era più visto come la persona che doveva trasmettere delle conoscenze, quanto la guida nel processo di scoperta del fanciullo. Legame Interesse/Bisogni: a seconda degli interessi e dei bisogni del bambino, l'educatore avrebbe personalizzato il suo insegnamento Legame Insegnamento/Vita: la scuola non doveva essere una parte separata della vita, ma servire per la vita; alcuni radicali affermarono che la scuola stessa era vita. Intelligenza Operativa: il bambino andava stimolato ad utilizzare la propria intelligenza attraverso dei laboratori (es. di giardinaggio, di scultura, di pittura) Vygtosky e la competenza sociale Vygotskij costruì una visione storico-culturale della psicologia evolutiva dando rilevanza alle attività mentali più alte, come il pensiero, la memoria e il ragionamento; estese le tesi di Marx ed Engels allo sviluppo umano secondo cui gli uomini trasformano se stessi attraverso il lavoro e l’uso di strumenti. Il modo di produzione economica determina le condizioni di lavoro delle persone e le interazioni sociali, che a loro volta ne influenzano le cognizioni: stili cognitivi, atteggiamenti, percezione della realtà e convinzioni. Sono le interazioni con altre persone all’interno dei vari contesti sociali e gli “strumenti psicologici”, come il linguaggio, usati in queste interazioni che plasmano il pensiero del bambino. L’azione fatta con strumenti crea il pensiero. Secondo la concezione contestualista di Vygotskij, gli individui sono inseriti all’interno di un tessuto sociale o contesto; di conseguenza, il comportamento umano non può essere studiato avulso da tale tessuto sociale. Dal punto di vista evolutivo, il contesto definisce e plasma il bambino, rendendo lo sviluppo psicologico un processo di interiorizzazione di attività funzionale allo sviluppo della vita sociale e alla mediazione tra le persone. La cultura consiste di credenze, valori, conoscenze, abilità, relazioni strutturate, modi e sistemi simbolici, ma comprende anche ambienti fisici ed oggetti. E’ la risposta di un gruppo al proprio contesto ecologico e fisico, che privilegia certe forme di attività economica. Queste attività impongono una particolare organizzazione sociale e divisione del lavoro, che a loro volta influenzano le pratiche educative dei bambini. Lo sviluppo psicologico, dunque, avviene sempre nel contesto di una cultura (che lo influenza) e attraverso lo scambio e la comunicazione con gli altri. Su questa base, Vygotskij individua una stretta relazione tra sviluppo e apprendimento: egli, infatti, considera il bambino come un costruttore attivo delle sue conoscenze, all’interno 14 però di un contesto socio-culturale che gliene offre gli strumenti. Per meglio delineare questa posizione, Vygotskij si serve del concetto di “zona di sviluppo prossimale”. La zona di sviluppo prossimale viene definita come la distanza tra “il livello attuale di sviluppo, così come è determinato dal problem-solving autonomo”, e il livello più alto di “sviluppo potenziale, così come è determinato attraverso il problem-solving sotto la guida di un adulto o in collaborazione con i propri pari più capaci”. Questo processo, dunque, prevede che una persona più competente collabora con il bambino al fine di aiutarlo a muoversi dal punto in cui si trova al punto dove può trovarsi facendosi aiutare. Cioè l’adulto più abile si basa sulla competenza che il bambino già possiede e gli presenta delle attività che richiedono un livello di capacità lievemente al di sopra di dove si trova ora il bambino. Questa persona, fungendo da modello, guida e indirizza il bambino, attraverso la partecipazione collaborativa, l’incoraggiamento, la discussione , il confronto. La zona di sviluppo prossimale si differenzia dal livello reale di sviluppo, perché mentre questo caratterizza lo sviluppo retrospettivamente, la zona di sviluppo prossimale lo caratterizza prospettivamente. Vygotskij ritiene infatti, che l’educazione dovrebbe essere basata sul livello potenziale dei bambini, piuttosto che su quello reale Vygotskij crede che lo sviluppo possa venire compreso solo osservando direttamente il processo di cambiamento, e non un bambino statico. Egli, infatti, osserva direttamente la successione di azioni e pensieri del bambino mentre cerca di risolvere un problema. Un modo per valutare la zsp è quello di fornire una singola informazione e osservare i miglioramenti del bambino, oppure si può presentare, durante la fase in cui c’è l’aiuto dell’adulto, quegli aspetti del problema che il bambino inizialmente non aveva capito. Vygotskij, quindi nei suoi studi, osserva i cambiamenti che si verificano durante una o più sedute sperimentali. Tale metodo è chiamato microgenetico. L’apprendimento all’interno della ZSP avviene grazie all’intersoggettività, ovvero un modo comune di vedere le cose basato su un punto sul quale concentrare l’attenzione e su un obiettivo che il bambino e la persona più competente condividono. E’ importante sottolineare che, secondo Vygotskij, all’interno della zsp il comportamento del bambino e quello dell’adulto si influenzano in maniera reciproca, l’educazione quindi non è unidirezionale. I bambini, infatti, contribuiscono attivamente in quanto motivati ad imparare, invitano l’adulto a partecipare e in maniera graduale si assumono una maggiore responsabilità nel portare avanti l’attività. E l’adulto adatta il livello di aiuto alla risposta del bambino. Bronfenbrenner ha identificato quattro modalità in cui il temperamento dei bambini plasma attivamente i loro contesti sociali: gli attributi personali incoraggiano o meno le reazioni altrui: per esempio un bambino schizzinoso può essere più facilmente rifiutato dagli adulti che non un bambino felice e sorridente i bambini mostrano differenze individuali nella tendenza ad avvicinarsi e ad evitare aspetti particolari del mondo fisico e sociale. i bambini si differenziano anche per la tendenza ad impegnarsi in attività sempre più complesse le differenze di età e individuali si manifestano anche nelle concezioni che i bambini hanno rispetto al proprio potere di raggiungere gli obiettivi e controllare i propri successi e fallimenti. 15 Nelle situazioni di apprendimento l’adulto può svolgere alternativamente 2 ruoli: uno di tutor e l’altro di didatta. Nel primo caso, l’adulto si lascia guidare dagli interessi del bambino, nel secondo caso, invece, è l’adulto che guida l’acquisizione delle conoscenze del bambino verso aree che egli stesso sceglie. La condizione ideale è quella in cui il ruolo dell’adulto risulta calibrato, nel senso che nelle fasi iniziali di risoluzione di un compito l’adulto svolge gran parte della prova, mentre nelle fasi successive riduce il suo intervento e lascia spazio al bambino per consentirgli di arrivare autonomamente alla soluzione. Questa relazione bambino/adulto, che si sviluppa a livello interpsichico, porta il bambino ad interiorizzare i contenuti della relazione stessa, passando dunque da un piano interpsichico ad un piano intrapsichico. I bambini diventano sempre più autonomi nella risoluzione dei problemi invece che farsi correggere dagli altri. Un esempio pratico che testimonia il passaggio dal livello interpsichico a quello intrapsichico è rappresentato dal linguaggio. In primo luogo, Vygotskij considera il linguaggio come un fattore funzionale allo sviluppo cognitivo. Lo studioso, infatti, individua nel linguaggio lo strumento psicologico che libera l’individuo dall’esperienza percettiva immediata e gli consente di rappresentare il non visto, il passato e il futuro; il linguaggio si trova in relazione dinamica con il pensiero, nel senso che la comprensione e la produzione del linguaggio trasformano e influenzano i processi di pensiero. Di conseguenza, pur avendo un’origine indipendente, linguaggio e pensiero si integrano in un processo di reciproco influenzamento divenendo strutturalmente interdipendenti. Stando a questa ipotesi, il linguaggio non servirebbe soltanto a verbalizzare ciò che si pensa, ma eserciterebbe una funzione regolatrice sul funzionamento del pensiero e del suo sviluppo. Il linguaggio per Vygotskij assolve, in partenza, soltanto una funzione sociale in quanto viene utilizzato dal bambino per stabilire scambi comunicativi con la realtà esterna; l’interiorizzazione del linguaggio è un passaggio evolutivo cruciale, poiché consente la formazione delle funzioni psichiche superiori. Vygotskij, infatti, sostiene che gli uomini creano se stessi attraverso l’attività, fanno uso quindi di strumenti psicologici e tecnici. Il gruppo dei coetanei e gli adulti favoriscono questo processo di autoformazione, aiutando i bambini ad imparare l’uso degli strumenti psicologici e tecnici della loro cultura. Gli strumenti psicologici sono i sistemi linguistici, quelli di numerazione, la scrittura ecc. e vengono usati per controllare il pensiero o il comportamento. Tali strumenti trasformano le funzioni mentali elementari, capacità mentali che abbiamo in comune con gli altri animali, in funzioni mentali superiori, il pensiero logico e astratto, appunto attraverso il linguaggio. Stando a questa prospettiva, le funzioni mentali superiori comparirebbero due volte nel corso dell’ontogenesi: prima come funzioni sociali e interpsicologiche che richiedono quindi il supporto degli altri individui; successivamente diventano individuali o intrapsicologiche grazie a un processo di interiorizzazione. Ne consegue, quindi, che la direzione dello sviluppo procede dall’esterno verso l’interno. Il linguaggio trasforma anche il modo in cui i bambini usano gli strumenti tecnici. Esso riorganizza e controlla il loro comportamento con questi oggetti, permettendo così nuove forme di soluzione dei problemi. Vygotskij suggerì che inizialmente linguaggio e pensiero sono indipendenti, poi cominciano a fondersi intorno ai due anni di età. A tre anni circa, invece, il linguaggio interpersonale si scinde in un linguaggio comunicativo verso gli altri e in un 1. linguaggio egocentrico, un dialogo udibile che il bambino porta avanti con se stesso. In questo tipo di linguaggio il bambino parla da solo ad alta voce, ma usa il 16 linguaggio per guidare il pensiero, risolvere un problema e pianificare le proprie azioni. Il linguaggio egocentrico è parlato perché i bambini non differenziano ancora il linguaggio rivolto verso gli altri e quello per sé. Tale linguaggio facilita l’apprendimento e non scompare mai completamente, gli adulti lo usano a volte per dirigere compiti difficili. 2. All’età di sette/otto anni, il linguaggio egocentrico diventa linguaggio interiore. I bambini possono pensare in silenzio, nonostante il linguaggio interiore sia più abbreviato e frammentato di quello parlato. Il linguaggio interiore può essere considerato come una forma di pensiero logico, analitico e sequenziale che si struttura utilizzando regole della lingua, le parole e i loro significati. Il bambino crescendo affina le sue capacità di comunicazione verbale, interiorizza progressivamente il linguaggio fino a farne il mezzo d’espressione dei suoi pensieri personali. In una fase iniziale, l’utilizzo delle parole per esprimere il proprio pensiero può comportare anche l’uso di muscoli vocali, ma col tempo il bambino impara ad usare solo mentalmente le parole. Questa forma di pensiero, che utilizza simboli in origine acquisiti come parole, viene definito pensiero verbale. Il linguaggio dà una fortissima spinta alla cognizione permettendo forme di pensiero che non sono possibili senza l’aiuto del linguaggio. Vygotskij ritiene che si attraversino tre stadi per lo sviluppo concettuale: categorie non organizzate: ad esempio un raggruppamento fatto a caso complessi concetti che possono essere scientifici, ossia concetti definiti in maniera logica, che possono avere un contenuto sociale oltre che matematico e scientifico, e spontanei che invece si riferiscono a concetti concreti e intuitivi basati sull’esperienza quotidiana. I concetti scientifici vengono trasmessi dal contesto scolastico e ad un certo punto si fondono con quelli intuitivi che provengono invece dal bambino. Quando i concetti intuitivi vengono trasformati in concetti scientifici, vengono decontestualizzati, tolti dall’esperienza concreta del bambino e messi in un sistema formale privo di contesto. Essendo i contestualisti convinti che lo studio del bambino non possa essere avulso dallo studio del contesto in cui è inserito, hanno mostrato molto interesse, nell’andare a osservare tutto ciò che riguarda lo sviluppo del bambino, in termini di zona di sviluppo prossimale, per la ricerca cross-culturale. Vanno, infatti, ad osservare le stesse modalità di interazione tra adulto e bambino, in culture differenti. Tali ricerche mostrano che alcuni comportamenti e stadi dei bambini e le attività educative non sono universali, ma sono il prodotto di particolari circostanze socio-storico-culturali Meta cognizione Con metacognizione si indica un costrutto teorico molto utilizzato in ambito psicologico ed educativo. La metacognizione indica un tipo di autoriflessività sul fenomeno cognitivo, attuabile grazie alla possibilità - molto probabilmente peculiare della specie umana - di distanziarsi, auto-osservare e riflettere sui propri stati mentali. L'attività metacognitiva ci permette, tra l'altro, di controllare i nostri pensieri, e quindi anche di conoscere e dirigere i nostri processi di apprendimento. Come accennato, in termini epistemologici, una "teoria della mente" è un paradigma esplicativo della struttura e dei processi funzionali della mente umana, intesa come entità funzionale autonoma. Al variare delle epoche e dei paradigmi filosofici, culturali, scientifici 17 e storico-psicologici di riferimento, sono variate le ipotesi e le modellizzazioni diffuse "su cosa fosse e come funzionasse la mente". In termini cognitivi, è la fondamentale capacità umana di comprendere e riflettere sul proprio e l'altrui stato mentale, e sulle proprie ed altrui percezioni, riuscendo così a prevedere il proprio e l'altrui comportamento. È questo il significato che viene sviluppato nell'ambito degli studi metacognitivi. La percezione comprende sensazioni, credenze, sentimenti, disagi, ecc. Tale abilità cognitiva si acquisisce normalmente intorno ai 3-4 anni e gli adulti ne fanno uso nella vita di tutti i giorni senza averne consapevolezza. Se una coerente teoria della mente non si forma adeguatamente nel bambino, possono svilupparsi deficit e patologie molto serie: molti studiosi ad esempio ritengono che l'autismo possa collegarsi ad un deficit in termini di costruzione e rappresentazione interna della propria teoria della mente. Per verificare la comparsa di una coerente teoria della mente è possibile effettuare alcuni test psicologici, come quello della falsa credenza. Per comprendere appieno cos’è la metacognizione è fondamentale esplicitare alcuni concetti base: · Conoscenze metacognitive generale: è l’atteggiamento della persona che riflette sul funzionamento dei propri processi di pensiero; · Conoscenze metacognitive specifiche: sono i concetti e le informazioni che la persona possiede inerenti il funzionamento intellettivo; · Processi metacognitivi di controllo: sono le operazione attraverso le quali il soggetto verifica i propri processi cognitivi, influenzate sia dalla conoscenza metacognitive generale che specifica. Ma cosa significa tutto ciò dal punto di vista applicativo? Un soggetto che “usa” bene la metacognizione è una persona che riesce a porsi almeno tre domande fondamentali durante l’esecuzione di qualsiasi attività di problem solving: 1. Cosa sto facendo? 2. Perché lo sto facendo? Qual è lo scopo per cui sto facendo questa determinata cosa? 3. Come posso agire per fare in modo che tale processo sia massimamente efficace? Si può quindi affermare che la metacognizione è uno strumento di apprendimento mediante il quale si rendono le persone consapevoli del modo in cui affrontano i compiti cognitivi, e si insegna a gestire in modo efficace i processi che mettono in atto. Per raggiungere tali risultati, bisogna che le persone siano informate sulla struttura generale dei diversi tipi di memoria, bisogna conoscere i modi con cui una informazione viene immagazzinata nella memoria e come viene recuperata, bisogna conoscere i limiti di tutto questo. Ma non solo. L’autoconsapevolezza deve basarsi anche sulla distinzione tra la valutazione di se stesso come persona e la valutazione del proprio comportamento. Cosa vuol dire questo? Vuol dire che il proprio comportamento non coincide con la persona e, tenere questi due ambiti uniti, potrebbe creare delle difficoltà di autostima. E’ importante infatti osservare il comportamento in sé e mai la persona, e poter offrire delle modalità di confronto positivo tra le strategie che risultano non efficaci e quelle invece che lo sono, ed insegnare alla persona ad autointerrogarsi sul proprio modo di procedere. E’ quindi importante imparare (ed insegnare) a porsi domande come: 18 «Sono concentrato?», «Sto incominciando a stancarmi?», «Come faccio a memorizzare gli elementi più importanti?», «Tendo a distrarmi?»… In generale, l’applicazione delle tecniche metacognitive nella didattica hanno riguardato soprattutto l’attenzione, la memoria, la lettura e la scrittura. Le ricerche in questi ambiti hanno confermato che le prestazioni degli studenti che hanno una buona consapevolezza metacognitiva, in generale, sono migliori poiché il compito viene affrontato con maggior coinvolgimento personale. La variabile emotivo-motivazionale appare quindi avere un ruolo fondamentale, poiché motore di tutto lo stile di funzionamento della persona. Tale variabile si poggia direttamente sulla fiducia nelle proprie capacità di portare a termine con successo delle attività, che prende il nome di autoefficacia. La percezione che si ha della propria autoefficacia (che si struttura in base ai successi o agli insuccessi e alla causa che attribuiamo all’uno o all’altro) influenza il comportamento che si può avere di fronte ad un compito. Ad esempio: in un qualsiasi evento, gli ostacoli o le difficoltà che possono presentarsi, sono percepiti come stimolanti per un maggior impegno nel superarli da chi ha un alto grado di autoefficacia (cioè si sente competente), mentre sono percepiti veramente difficoltosi, spesso con la conseguenza di un abbandono del compito o comunque di un successo, da chi ha un basso grado di autoefficacia. La percezione che si ha della propria autoefficacia può cambiare nel tempo. Ciò avviene grazie ai rinforzi che si ricevono, alle persone che dimostrano di credere nelle abilità dell’altro, dai precedenti successi, l’importante è attribuire (e imparare ad attribuire) ai successi la propria competenza. Quindi, la metacognizione e la motivazione si influenzano a vicenda influenzando a loro volta i processi di apprendimento. E’ perciò importante nell’insegnamento di queste tecniche il modo con cui l’insegnante, o un “operatore” in generale, trasmette questi concetti. Non bisogna solo essere dei “trasmettitori di sapere”, ma è vitale riuscire a trasmettere il messaggio, a chi ci sta di fronte, del valore che riveste per se stesso e per gli altri. 19