1 Solennità di Cristo Re Chiesa Cattedrale, 20 novembre 2011

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SOLENNITÀ DI CRISTO RE
Chiesa Cattedrale, 20 novembre 2011
Omelia del Vescovo
Con la solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo si chiude l’anno
liturgico in cui abbiamo ripercorso e vissuto - attraverso la fede e la preghiera della Chiesa
- il mistero di Cristo salvatore. L’anno liturgico é, nella sua essenza, una cristologia in
preghiera, in esso si esprime il “noi” orante della Chiesa che si dipana nel tempo, lungo i
singoli giorni dell’anno. La divina liturgia, così, è quel flusso adorante che, dal Cristo
risorto, si eleva al Padre per poi scendere, come dono di grazia e di santità, sull’umanità
salvata. Con la preghiera liturgica eleviamo le nostre fragili mani al Padre, sorretti da
quelle di Gesù che, sulla croce, le protende al Padre.
La festa liturgica della regalità di Cristo fu istituita - nel 1925 - da Papa Pio XI;
l’intenzione era anche quella d’opporsi a ideologie e dottrine politiche che, purtroppo, si
stavano affermando e che, per quanti avevano capacità di vedere, si ponevano come
concezioni false e distruttive dell’uomo, della società e di uno Stato rispettoso dei diritti
sorgivi della persona e attento al bene comune. La storia s’incaricò di mostrare - e lo fece
nel modo più tragico - la verità di tale analisi: comunismo, fascismo, nazismo, seconda
guerra mondiale, shoah sono i risultati di scelte culturali e politiche profondamente
disumane. La festa di Cristo Re, quindi, intendeva prender le distanze tanto dalla
rivoluzione di ottobre - il comunismo bolscevico - quanto dalla marcia su Roma - il
fascismo -.
Che tale festa si opponesse a dottrine e a scelte politiche ben precise non deve farci
dimenticare che essa, però, è profondamente radicata nella rivelazione cristiana. Pertanto,
non dobbiamo fermarci a una comprensione puramente storica e politica della festa di
Cristo Re; il credente, infatti, non deve rinchiudersi in categorie storiche e politiche
precludendosi quelle teologiche. D’altra parte, proprio tali categorie - in se stesse
insufficienti - ci vengono incontro gravate dal loro retaggio storico: i limiti e, talvolta, gli
abusi degli uomini. La festa liturgica di Cristo Re, quindi, viene prima e va oltre le
contingenze storiche che, pure, possono averne sollecitato l’istituzione.
In tal modo, la regalità di Cristo, manifesta una precisa visione dell’uomo e del suo
destino; i contenuti che la caratterizzano ci attestano, in modo chiaro, Gesù origine, senso e
fine di tutte le cose. San Paolo, nell’inno di Colossesi, parlando della realtà intima di Cristo
e del suo mistero, si serve di queste parole: «è immagine del Dio invisibile, primogenito di
tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle
visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state
create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono.
Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che
risuscitano dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose» (Col 1, 15-18).
Insomma, Gesù Cristo è il senso e il valore ultimo dell’universo, poiché l’universo è
suo e gli appartiene in quanto in Lui é creato, salvato, glorificato. L’inno di Colossesi
attribuisce a Cristo un forte legame col cosmo e la storia; e, proprio in Cristo, il cosmo
diventa creazione e la storia salvata. Gesù Cristo è, così, l’origine, il senso e il fine
dell’universo. Servendoci di un’immagine, si può dire che il tessuto intimo e la trama
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ultima della realtà non sono costituiti dall’essere o dalla materia e, neppure, dal divenire o
dall’idea ma dal Cristo nel quale, per il quale e in vista del quale tutto esiste, tutto è
redento, tutto é glorificato.
Altri passi scritturistici, incominciando dal grandioso affresco del giudizio universale
-, tratteggiato nel vangelo di Matteo - ci pongono dinanzi a quelle che possono
considerarsi semplici conseguenze dell’inno della Lettera ai Colossesi. Se, infatti, Cristo è la
dimensione ultima della creazione, perché Egli ne è, a un tempo, l’origine e il fine, allora
non deve destare stupore che tutto ciò che si fà nella vita - in bene o in male - è, in ultima
istanza, pro o contro Cristo. Tale centralità pervasiva di Cristo é attestata - appunto - dal
vangelo di Matteo, là dove Gesù é indicato non solo come il giudice, seduto in trono,
nell’atto di giudicare, ma come lo stesso criterio e contenuto del giudizio; ascoltiamo il
passo di Matteo: «Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto
affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai
ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti
abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In
verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli,
l’avete fatto a me» (Mt 25, 37-40).
Il criterio di tutto, alla fine, é Gesù Cristo. E’ Lui che sta dietro e dice il senso ultimo
dell’uomo affamato, assetato e nudo; questo cammino verso Cristo, senso e fondamento
dell’uomo, deve essere colto, evidenziato, valorizzato. Non è l’uomo nella sua povertà,
solitudine e abbandono che dona senso e significato a Gesù Cristo, inteso come valore
astratto e vago ma, piuttosto, é Gesù Cristo - universale concreto - che, in modo reale, dà
senso e significato all’uomo soprattutto quando è solo, povero e abbandonato. Quindi, alla
fine, è Cristo che, nella sua regalità, conferisce valore a ogni realtà creata, salvata e
glorificata.
Gesù è il re mite, incoronato di spine che, di fronte a Pilato, proclama con la forza
invincibile degli umili la sua regalità; così, il regno di Dio non può prescindere dalla croce,
perché nasce dalla croce e, di lei, si sostanzia; la Chiesa, di ogni tempo, deve iniziare
sempre dalla croce, scoprendone la centralità e la fecondità. I miracoli, certamente, sono i
segni che preparano la venuta del Regno, sono i gesti di Cristo che parlano a un’umanità
in cammino e bisognosa di salvezza, ma la croce ne è il marchio, il segno più eloquente, il
sigillo ultimo.
Nella preghiera del Padre nostro, Gesù pone al centro l’invocazione: «venga il tuo
Regno» (Mt 6, 10). La prima parte del Padre nostro è tutta incentrata sul Regno di Dio e la
sua venuta e termina con l’invocazione: «non abbandonarci alla tentazione, ma liberaci dal
male» (Mt 6, 13). Non abbandonare l’uomo alla tentazione e liberarlo dal male, richiedono,
però, la croce di Cristo - sapienza e potenza di Dio -: nulla di meno.
Infine, il libro degli Atti degli Apostoli parte dall’evento fondativo della Pentecoste e
termina con un chiaro riferimento al Regno di Dio; ecco il versetto conclusivo del libro:
«Paolo… accoglieva tutti quelli che venivano da lui, annunciando il regno di Dio e
insegnando le cose riguardanti il Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza
impedimento» (At, 28, 30-31). Come discepoli del Signore dobbiamo, all’inizio dell’anno
della fede - indetto a cinquant’anni dal Concilio Vaticano II - far nostro il metodo paolino:
annunziare il regno di Dio con franchezza, liberi da ogni impedimento. La festa di Cristo
Re ci aiuti come Chiesa - ossia comunità del Risorto - a testimoniare con franchezza e
libertà la sostanza del nostro battesimo: la fede pasquale in Gesù risorto.