ORAZIO FRANCESCO PIAZZA
Elementi
di
Etica sociale
Anno accademico 2002
Dispense
per la Facoltà di Economia
Università degli Studi del Sannio
Benevento
,
2
Premessa
“La richiesta di un’etica si fa tanto più urgente, quanto più il
disorientamento manifesto dell’uomo, non meno di quello
nascosto, aumenta senza misura” (M. Heidegger, Lettera
sull’umanesimo).
“Ci assicurano dovunque che la filosofia morale è tenuta
attualmente in grande onore. Poiché una morale onorata
dall’opinione pubblica è a priori soggetta a cauzione, bisogna
accogliere con qualche diffidenza queste rassicuranti
affermazioni” (W. Jankélévitch).
Queste, sono solo delle piccole tracce di un paradosso
sempre più evidente che si va delineando nella questione
della rinascita dell’etica, oggi. Il bisogno etico, senza evidenti
rimandi fondativi, altro non è che lo svelamento di un
diffuso disorientamento dell’uomo della post e tardo
modernità nella difficile gestione del suo mondo e delle
possibilità di intervenire in esso. D’altro canto, la facile
affermazione di una ritrovata centralità dell’etica, in un
contesto in cui frammentazioni e valutazioni autonomistiche
in campo etico sono tese a fondare particolari e interessate
progettualità, fa supporre che l'etica possa essere asservita, in
modo pregiudiziale, a fattori predeterminati proprio da chi
3
richiede una oggettiva conferma e il riconoscimento-avallo
delle proprie scelte e volontà.
Sono molti i pensatori, da P. Ricoeur a K.Otto Apel, a
segnalare questa paradossalità.
Si parla molto di etica, e da tutti, ma si fa fatica a riconoscere
comuni e stabili fondamenti; si è, inoltre, passati da una
condizione particolaristica a quella universalistica e
globalizzante. La scienza e la tecnica hanno reso mondiali le
strutture della gestione del vivente, ma anche i suoi effetti, e
in questa nuova dimensione i corrispettivi problemi
richiedono un accentuato senso di responsabilità; in tale
contesto, nessuna etica particolaristica è in grado di
regolamentare questioni sempre più complesse che
riguardano l’economia, la scienza, la politica, la tecnica, la
vita nella sua stessa struttura. L’impegno teso a fondare
norme autentiche è avvolto dalla nebbia della postmodernità
che ha segnato la fine delle tradizioni; se fondare significa
conferire alle cose un principio di intelligibilità e una ragion
d’essere; individuare, cioè, attraverso riferimenti giusti e
universali, il campo teorico e pratico di tali questioni, si
comprende, dunque, come divenga ancor più problematica
la questione dell'etica. Sarà necessario avere sempre più
consapevolezza dello scarto, della distanza esistente tra
domanda etica e sua fondazione; per questo, il nostro
tentativo si apre decisamente alla prospettiva di centrare il
discorso sulla sua fase fondativa, più che sul semplice
bisogno generato da evidenti difficoltà e questioni più o
meno diffuse oggi.
Accanto a questa tematica, risulta anche rilevante la diffusa
la sensazione di essere collocati in una contestualità fluttuante,
dove la ricchezza e la possibilità delle varianti della vita, in
4
ogni sua forma, si traduce, in concreto, nella flessibilità dei
rapporti e delle regole che genera equilibri fragili ma,
comunque, sostenibili e praticabili. Sembra che ad una
società integrata da una visione progettuale e realizzatrice,
succeda una società segmentata che si appella alla
partecipazione di tutti per la costruzione dell’insieme
societario, ma non avendo riferimenti eticamente
riconoscibili non riesce ad esplicitare giusti mezzi e finalità.
È il fenomeno della frammentazione delle singole sfere dello
scambio sociale. A livello di conoscenza, si afferma la figura
della scienza, come prisma del sapere; a livello della
diffusione del sapere, si evidenzia il fenomeno della
comunicazione di massa, svincolata dalle tradizionali forme
del rapporto personale.
Si segnala il passaggio dalla società organica alla società
complessa. In questo passaggio è decisivo il fattore della
globalizzazione dell’economia e la forza del mercato: questo
comporta la necessità di una separazione tra i momenti di
scambio legati alla vita di lavoro (scambio materiale e della
produttività) e quelli dell’universo simbolico (familiareaffettivo, culturale, religioso, politico). La vita pratica è ben
distinta dalle opinioni politiche/religiose. La pluralità di
codici di senso e di comportamento, pone il delicato
compito di produrre privatamente la sintesi dei diversi
momenti di vita che risultano appunto frazionati in diversi
sistemi di scambio sociale. In rapporto a questa nuova
esigenza sono ancor più decisivi il sapere e le forme di
diffusione del sapere. Il rapporto con il sapere è mutuato
dall’uso quotidiano dei suoi prodotti ed è legittimato, come
mentalità diffusa, dalla sua diluizione nella opinione
pubblica, da cui è difficile prendere le distanze.
5
Non meno problematico risulta il livello delle forme di
comunicazione del sapere. Da un lato è facilitato al singolo
l’accesso (facilità e quantità dell’informazione), ma nel
contempo è reso più complicato il suo compito.
All’informazione è accompagnata la modalità della sua
acquisizione: il pubblicista oltre al messaggio offre anche il
modo di recepirlo e di utilizzarlo; è maestro di pensiero. La
molteplicità quasi infinita di queste informazioni e dunque
dei maestri, costringe il soggetto al dover scegliere. A scegliere,
ma sicuramente a non giudicare: Al soggetto, infatti, mancano
competenza (altre informazioni) e criteri. Si crea il disagio
del dover, a tutti i costi, scegliere e prendere posizione, per
tentare di uscire da una condizione di disagiata incertezza,
che ha riflessi diversificati sicuramente sul piano della
identità personale e su quello socio-culturale, al punto da
pervenire ad una acritica distinzione tra identità privata e
identità pubblica.
“L’identità personale diventa, essenzialmente, un fenomeno privato. È
questo forse l’aspetto più rivoluzionario della società moderna. Il
frazionamento istituzionale ha lasciato non strutturate ampie zone
della vita dell’individuo e non determinato il contesto biografico globale
di significanza. Dagli interstizi della struttura sociale derivanti dal
frazionamento istituzionale è sorta quella che potrebbe chiamarsi la
sfera privata. La liberazione della consapevolezza individuale della
struttura sociale e la libertà nella sfera privata costituiscono la base per
quel senso alquanto illusorio di autonomia che caratterizza la persona
tipica della società moderna” 1.
In questo articolato orizzonte risulterà oltremodo
1
TH. LUCKMANN, La religione invisibile, Il Mulino, Bologna 1969,
137.
6
importante mettere a tema la centralità della dimensione
relazionale-sociale della persona, come realtà strutturante il
senso stesso dell'ethos umano. Inoltre, diventerà sicuramente
sempre più evidente che l'etica, per sua natura, rimanda al
senso più autentico dell'uomo, a ciò che è degno della sua
umanità. Sarà importante poter decifrare l'essere dell'uomo,
nel suo poter e saper fare; ciò che è umanamente giusto da
ciò che risulta all'uomo possibile. Questo nostro percorso
cercherà, oltre l'attualità di tante problematiche, di presentare
l'essenziale per considerare la dimensione sociale dell'etica,
poiché questa è possibile definirla come "la scienza di ciò che
l'uomo deve essere, poiché la vita morale non consiste soltanto nel fare in
senso stretto, ma nell'orientare tutta la nostra attività (…) in un
determinato modo, verso un determinato ideale umano"2.
2
S. VANNI ROVIGHI, Elementi di filosofia, III, Brescia 1963, 189.
7
CAPITOLO PRIMO
La Problematica
SOMMARIO: 1. Il paradigma perduto: etica e tecnica. - 2. Il
paradigma ritrovato: il ritorno all'ethos. - 3. Il perché e il come di
un’etica sociale. – 4. Chiarificazione terminologica.
1. Il paradigma perduto: ethos e technè. - Con questa
definizione di N. Luhmann, paradigma perduto (paradigm
lost), viene portato all’attenzione, non solo teoretica ma
anche ordinaria e pratica, l’attuale e più delicato problema
del mondo civilizzato: il disorientamento etico, e la sua
concreta sua rilevanza nella vita, rispetto alla straordinaria
capacità del mondo tecnico-scientifico di intervenire e di
modificare il reale, il mondo, l’uomo stesso. È la complessa
situazione della sur-modernità, di una modernità dell’eccesso,
una modernità in qualche modo imballata. Sua caratteristica
chiave: l’oscuramento del futuro, in favore della gestione
funzionale e pragmatica del presente; sua struttura: la
complessità iscritta in una società economicamente sviluppata,
secolarizzata e modernizzata; decentrata e policentrica; in
crisi dialettica tra desiderio e limite, e che vive un pluralismo
estremizzato, fortemente segnata da una distruttività che
vuole annullare ciò che consuma. Una società immersa in un
radicale cambiamento e i cui connotati sembrano essere
delineati da:
8
- Trasformazione della temporalità: spazializzazione del tempo.
- Crisi della progettualità: smarrimento e perdita dei punti di
riferimento.
- Scomparsa dei luoghi: profonda trasformazione dello spazio
e destrutturazione del senso sociale del luogo.
- Scomparsa delle età
- Crisi della relazione generazionale
- Ipersocializzazione
- Crisi della parola e trasformazione della struttura logica del
linguaggio in favore di una struttura d’insieme (dal
conseguenziale al reticolare)
- Pluriidentità: identità frammentata, composita, in continua
evoluzione, ambivalente, contraddittoria e mai compiuta;
impossibilità di comprendere e di dominare efficacemente la
realtà; perdita del centro sociale e creazione di piccoli mondi
vitali
- Crisi delle grandi narrazioni fughe nostalgiche: fine dei grandi
riferimenti storici; ritorno a miti e fughe dal mondo
Sono tratti di una società globalizzata, cognitiva e
multimediale, dal carattere olistico, sistemico, reticolare,
interconnesso del sapere e della comunicazione e fortemente
segnata dal meticciamento etnico-culturale.
Con una immagine, che rende ragione della situazione,
Ulrick Beck vede i parametri etici oggi del tutto insufficienti,
almeno nella consueta formulazione, alla potenza e alla
determinazione della tecnoscienza: “L’etica gioca nei modelli
delle scienze divenute autonome il ruolo che possono avere i
9
freni di una bicicletta applicati ad un aereo intercontinentale”
3.
Questa ironia nasconde il peso tragico della
postmodernità, ma pone anche l’ineludibile questione del
rapporto tra etica e tecnoscienza. La configurazione classica
dell’etica, progetto normativo, sembra ormai non
corrispondere più ai dinamismi tecnici, dei mercati, dei
processi evolutivi. L’etica diviene una flebile voce rispetto
alle esuberanti voci teconologiche: è stata sostituita
nell’orientamento e nella condotta umana da altre forme
(tecniche-economiche-scientifiche) che si impongono senza
possibilità di pausa riflessiva alle scelte quotidiane dell’uomo.
È il paradigma della tecnoscienza, in cui potere e sapere si
sono alleati in un sodalizio epocale. “La tecnoscienza
fornisce una condotta molto più efficace e aderente all’agire
dell’uomo; impone un obbligo che induce, più di ogni altra
morale, a rispettare le sue regole; organizza la vita sul pianeta
con la inesorabilità e la potenza di un movimento geologico.
In rapporto ai fenomeni tecnoscientifici, etica e morale
acquistano i connotati dei fossili”4. Si aggiunga a questa
manifestazione di effettiva potenza, l’alleanza tra
tecnoscienza, industria, economia, che palesa la cruda e reale
inadeguatezza, teorica e pratica, dell’homo simbolicus all’homo
faber, all’homo oeconomicus o al telematicus homo. Questi modelli,
alleati tra loro e ognuno armonico rispetto all’altro, mostrano
come l’uomo simbolico sia lontano dal poter acquisire una
mentalità tecnoscientifica, in quanto ancora dominato da
parametri lontani dalle contestualità in atto.
3
U.BECK, Gegengifte. Die unorganisierte Verantwortlichkeit,
Frankfurt a.m. 1988, 194.
4
F. VOLPI, Le Paradigme perdu. L’éthique contemporaine face à la
thecnique, 165.
10
In realtà, se la questione del paradigma è posta in questi
termini ( di autofondazione e di autoreferenzialità) la
questione etica non potrà mai essere recuperata, se non
facendo i conti con la realtà tecnoscientifica (adeguamento)
o riducendo le sue istanze di senso ( dal senso ultimo – al
corto raggio; dalla legittimità – alla pura convenzionalità dei
processi fattuali e quotidiani). Senza cadere in opposizioni
reciprocamente riduttive, o sul versante etico o su quello
tecnico, è invece necessario tener presente l’evidenza di
queste due realtà: etica e tecnica. Sembra opportuna
un’interazione, per altro necessaria, più che una inutile
opposizione in cui entrambe risulteranno manchevoli.
Vengono suggerite tre piste operative:
a. porre l’attenzione sul carattere nuovo della tecnica
moderna, come realtà da cui è scaturita la ragione della
perdita del paradigma etico; in tal senso è possibile
leggere le linee di un orientamento etico della grande
marcia tecnologica dell’umanità.
b. La necessità di aprirsi ad una prospettiva macro-etica che
risulti adeguata ai contesti globalizzati della scienza,
dell’economia e della tecnica. Guardare oltre la
formulazione strettamente individuale della ragione etica,
per corrispondere ai contesti di macro-azione tecnologica.
c. Tracciare una free-zone che risulti riconoscibile sia al
processo tecnoscientifico, sia all’orizzonte etico, come
terreno comune dove poter armonizzare questi
procedimenti così diversificati (individuo-società; bene
economico e bene umano; progresso e natura). Potrà
essere forse la Persona umana, oltre le varianti ideologiche
che la possono definire, questa zona di incontro?
11
Appunto in questa linea, seguendo l’interrogativo di H.
Harendt che ci ricorda: possiamo forse sfuggire alla nostra
condizione umana? Alla ricerca di questa condizione si
avvia il nostro viaggio, nel tentativo di conciliare questi
vari e complessi paradigmi.
2. Il paradigma ritrovato: il ritorno all'ethos. - Nel suo
testo, Volontà di potenza, pensiero n.263, Nietzsche afferma
«Vedere e mostrare il problema della morale- questo sembra
il compito e la cosa principale». La nuova condizione
dell'uomo postmoderno costringe a ripensare i punti di
partenza per notare se ciò che tecnicamente è possibile lo è
anche moralmente. La neutralità della tecnica rispetto al
proprio oggetto (uomo-mondo) pone l'urgenza di una
integrazione di ordine etico. La nostra cultura non si è mai
mossa senza tener presenti modelli di valore.
Si passa da una tradizione più squisitamente speculativa ad
una situazione pratica. Il mondo da oggetto di osservazione
diviene ambito di trasformazione. Si apre lo scontro fra
Pensiero e Volontà (Wille), spostando l'attenzione su
obiettivi tesi al recupero dell'uomo nella sua esperienza
artistica ed etico-morale. Dalla ratio (ragione) si passa alla
dote morale: «L'eccellenza morale sta più in alto di ogni
sapienza teoretica...l'uomo moralmente nobile...rivela con
le sue azioni l'intuizione più profonda, la più alta
sapienza»5.
5
A.SCHOPENHAUER, Il fondamento
E.Pocar, Laterza, Bari 1981, 279-80.
della
morale, tr.it. di
12
Kierkegaard sottolinea il valore dell'esistenza come fonte
di scelte che portano l'uomo ad uno stadio qualitativamente
superiore. All'ideale logico di Hegel si contrappone la realtà
minuta dell'esistenza, dove si decide la sorte dell'uomo6. Su
questa linea, ma con ovvie diversificazioni, si collocano
Stirner e Feuerbach nel loro pensiero pratico; l'eros di Freud e
Marcuse; la prassi rivoluzionaria della Scuola di Francoforte; la
volontà di potenza di Nietzsche e Adler; l'inconscio dello
strutturalismo di Lacan e Foucault; l'esperienza esistenziale di
Heidegger e l'ansia della trasformazione sociale di stampo
neomarxista.
La riflessione si concentra sul concetto di salvezza
(preservazione-liberazione), piuttosto che sulla questione
ontologica dell’essere dell’uomo. Nel postmoderno non
emerge la sola sistemazione coerente della conoscenza, ma
si fa spazio la sete di salvezza dall'alienazione economica,
dalle inibizioni psichiche, dalle astrazioni mistificanti, dalla
frammentarietà e dalla mollezza della civilizzazione.
Gli
influssi più vicini che orientano verso
una
riproposizione dell'etica aprono un ventaglio notevole di
posizioni: positivistica (Popper-Albert); analitico-linguistica
(Hare); politica (Strauss-Voegelin); ermeneutica (GadamerRitter-Bubner); trascendentale (Vollrath-Apel); fenomenologica
(Landgrebe-Held); neomarxista (Habermas-Adorno); ecologica
(Spämann).
Queste diversificate posizioni rimandano sostanzialmente ad
un processo comune che è possibile identificare in tre
6
Cf S.KIERKEGAARD, Diario.
13
passaggi7:
- una pretesa neutralità della scienza, soprattutto economica,
rispetto a quei contenuti etici che sembravano limitarne
autonomia e possibilità;
- la caduta dell’assioma di questa certezza della autonomia della
scienza economica di fronte alle rilevanze e agli effetti delle
interazioni sociali (commons);
- il superamento del nodo cruciale tra equità ed efficienza. Il
passaggio della concezione del mercato da mezzo di calcolo a
modello di calcolo apre il versante simbolico di valutazioni
legate a temi quali la blame-freeness (assenza di biasimo) che
molto richiama la prospettiva filosofica dell’empatia (porsi
nella situazione dell’altro), o del vantaggio che nasce dal
rispetto singolo delle regole “Il dovere va oltre il vantaggio,
ma l’accettazione del dovere è vantaggiosa”8.
Questo processo segnala il cammino del ritorno dell’etica nel
panorama della scienza economica, ma evidenzia anche i
limiti di alcuni tentativi (etica degli affari) che in modo chiaro
hanno cercato di eludere la questione di una fondazione
etica esogena (valore esterno) alle regioni stesse
dell’economia.
Ma ora, senza addentrarci nello specifico delle varie teorie,
cerchiamo, per le caratteristiche del nostro percorso, di
partire innanzitutto da una previa chiarificazione
7
Cf S.ZAMAGNI, Sul reinserimento della dimensione etica nel
discorso economico, in M.MAGATTI (a cura), La porta stretta,
FrancoAngeli, Milano 1993, 61-80.
8
D. GAUTHIER, Morals by Agreement, CUP, Cambridge Mass.
1986, 2.
14
terminologica, appunto per eliminare subito persistenti e
diffuse ambiguità concettuali.
3. Il «perché» e il «come» di un’etica sociale.-. - Per
quanto non siano mai sfuggiti i problemi relativi alla
dimensione sociale, politica ed economica dell’uomo, si deve
ritenere che l’idea di un’etica sociale a se stante è
relativamente nuova. Essa, specificamente, suppone lo
studio della realtà specifica della società e dei gruppi sociali
che le scienze sociologiche hanno adeguatamente
caratterizzato, preparando la strada al superamento delle
visioni individualistiche e moraleggianti delle etiche
tradizionali. Queste, infatti, pretendevano di trasferire la
normatività dell’etica individuale e intersoggettiva al piano
delle istituzioni sociali, ignorando del tutto la peculiarità delle
strutture e il peso dei condizionamenti che queste esercitano
sull’agire del singolo soggetto umano.
“Al cambiamento di prospettiva hanno contribuito diversi fattori:
riscoperta e approfondimento di taluni orientamenti delle morali
classiche a torto obliati in favore di una casistica etica privatizzata;
sviluppo del sapere sociologico; influenza del movimento e dell’ideologia
marxista. Si afferma da molti che il merito del socialismo di
derivazione marxista sia quello di aver stabilito che i problemi dell’etica
sociale sono problemi di struttura della società non solo di istituzioni,
ma anche di forme diverse di stratificazioni sociali – cioè di classi e di
ceti – le quali, pur essendo un prodotto dell’attività umana,
condizionano la vita dell’uomo e non possono essere modificate
dall’azione isolata delle persone”9.
9
G. MATTAI, Etica sociale, in Dizionario di Sociologia, EP,
Cinisello Balsamo 1987, 798.
15
Appunto queste caratteristiche delle strutture sociali danno
fondamento e oggetto all’etica sociale, caratterizzandola
come riflessione critica sulle strutture sociali esistenti e
orientamento normativo di una prassi, in vista di una
particolare visione dell’uomo (antropologia). Proprio
l’antropologia decide il passaggio da una etica individuale ad
un’etica sociale. L’uomo è posto dinanzi a problemi etici di
carattere planetario.
Si impone l’esigenza di un’etica della solidarietà a livello
mondiale, per superare le profonde spaccature Nord-sud,
Est-Ovest; per fronteggiare il disastro ecologico e il suo
progressivo estendersi a tutti i livelli; per fronteggiare alle
sempre più diffuse condizioni di conflittualità etnica. Si
presentano, inoltre, radicali ripensamenti dell’uomo e del suo
mondo attraverso le straordinarie capacità di sviluppo della
tecnologia applicate al mondo del lavoro, della salute, della
pedagogia; in particolare, informatica e telematica non
possono essere considerate al di fuori di una considerazione
etica che si rinchiuda nella torre del solo giudizio o di
assoluzione o di condanna. Tecnologie e informatica
determinano nel mondo del lavoro profondi cambiamenti di
tipo quantitativo (riduzione del lavoro) e qualitativo
(modalità di rapporto a lavoro-non lavoro) che coinvolgono
direttamente l’etica sociale. E come tacere delle questioni
che la tecnologia applicata ha determinato nel contesto del
mondo biologico e sanitario.
E’ la sfida dell’ingegneria genetica (embryo-tranfert, clonazione) e
delle nuove possibilità di prolungamento della vita o della
sua interruzione. Si fa pressante la domanda in questi ambiti:
ma ciò che è tecnicamente possibile è anche legittimo attuarlo? Le
possibilità scientifiche, le ricerche, corrispondono
16
immediatamente al decidere di realizzarle. Si spalanca
l’orizzonte del valore etico della persona umana e delle
domande di senso: a partire dal primato assoluto dell’uomo,
come persona, e della sua liberazione; dal rapporto di
comunione che deve caratterizzare i legami interumani, si va
elaborando un’etica che sappia porre domande pertinenti
all’informatica, alla telematica e alle nuove tecnologie.
Domande relative alla finalità dell’uomo e del suo agire, del
suo vivere e morire.
Ma come queste possibili valutazioni si riscontrano nel
difficile processo di armonizzazione tra la dimensione etica e
il percorso economico e sociologico?
La riflessione etica ha vissuto un importante rinnovamento
nel XX secolo. E’ un rinnovamento che ha diverse
motivazioni. In primo luogo, il rinnovamento della filosofia
analitica, l’analisi del linguaggio e l’interesse per i sistemi
logici non classici. Questo è un rinnovamento puramente
teorico che, però, deve necessariamente essere messo in
parallelo con lo sviluppo dell’esistenzialismo sartriano che ha
posto una notevole mole di problemi pratici. Ma, la
motivazione più recente di questa rinascita è da riscontrarsi
nei movimenti di opinione degli anni ‘60-’70, che porta in
evidenza questioni significative come aborto, ecologia,
eutanasia, pace, femminismo, dignità umana…Accanto a
queste sensibilità si sviluppa la grande koinè del progresso di
tipo biologico, tecnico, genetico, che ha presentato situazioni
inedite per l’uomo. Tutti questi movimenti, teorici e pratici,
hanno acceso infuocate discussioni che sono la base della
questione etica oggi. Per meglio caratterizzare questo ambito
i filosofi anglosassoni lo definiscono come etica applicata
(applied ethics). Questa idea di un’etica applicata si fonda sulla
17
distinzione tra teoria etica (meta-etica) e etica pratica (sustantiveethics), che riguarda i casi concreti.
Al di là delle discussioni classiche sul necessario apporto
filosofico alla questione, come si diceva è appunto la visione
esistenzialistica sartriana a porre in concreto il problema. A
partire da una data visione filosofica si prende posizione su questioni
generali:
antisemitismo,
tortura,
uguaglianza
della
donna…Inoltre, diventano oggetto di discussione questioni
concrete del vissuto dell’uomo: può, senza motivo, un datore
di lavoro licenziare un operaio? Si vedrà che, in pratica, a
seconda della visione filosofica soggiacente si perviene a
differenti conclusioni. Chi si rivolge alla teoria del plusvalore, riterrà questa un’ingiustizia; chi invece al diritto di
proprietà, trova questa ipotesi normale. Tali problematiche
sono affrontate nel contesto risolutivo delle lotte sindacali e
divengono oggetto di una specifica branca dell’etica: etica
degli affari (business ethics); particolarmente diffusa negli Stati
Uniti e affrontata anche attraverso il dibattito di due riviste
specializzate (journal of Business Ethics e Business and Professional
Ethics Journal).
Quanto detto dimostra che la soluzione di tali questioni non
è affidata a teorie globali, a opinioni politiche o religiose, ai
vari rapporti di forza, ma a pensatori che professionalmente
riflettono accademicamente, e dunque sistematicamente, sui
possibili esiti. L’autonomia che l’etica applicata rivendica,
corrisponde alla possibilità di esaminare dei casi particolari,
di discutere le possibili soluzioni e di valutare razionalmente
i sistemi etici, in funzione di questi obiettivi.
Ma, probabilmente, l’espressione etica-applicata è mal
compresa. Essa è spesso l’esatto contrario dell’applicazione
di una teoria. Sarebbe opportuno valutarla, piuttosto, come
18
una casistica moderna. Per questo non è tanto la capacità di
verificare il caso particolare in rapporto al principio
universale, quanto la possibilità di sapere se questa azione
che si va compiendo è legittima. In definitiva, si cerca di
valutare i problemi concreti e reali, legati allo sviluppo della
civilizzazione moderna. Vi sono evidentemente delle teorie
etiche (ad esempio l’utilitarismo e il kantismo), ma queste
riscontrano attenzione nella misura in cui concorrono alla
soluzione delle questioni concrete che attraversano la vita
dell’uomo. In estremo, come per R.M. Hare, si tende a dire
che può ritenersi valida una teoria etica, nella misura in cui riesce a
risolvere i problemi pratici. In questa prospettiva funzionale,
l’etica applicata sembra aver ridato energie all’etica classica
legandola ai suoi effetti concreti. In un mondo dove si
diffonde la stessa capacità tecnica, è appunto il caso concreto
e reale, empirico, che si offre come oggetto specifico
dell’etica e non tanto un insieme di teorie astratte,
sottomesso alla varietà di tradizioni e di culture. In questa
linea sembra evidente che l’etica applicata si avvia a produrre
un reale cambiamento dell’assetto stesso dell’etica in quanto
tale: ridisegna il rapporto tra teoria e realtà; tra soggetto e
società. E’ la posizione di Marcuse o di Sartre che rileggono
il rapporto con lo Stato e la società borghese, per recuperare
l’autenticità di un uomo alienato. Nel suo L’Uomo
unidimensionale, Marcuse critica violentemente le scienze
umane; la psicologia e la sociologia hanno il dovere di
studiare i problemi concreti del lavoro e del lavoratore, senza
rifugiarsi in valutazioni universalistiche e generali di sistemi
economici e sociali. L’etica degli affari, che prima abbiamo
citato, cade sotto l’urto di queste critiche. Così l’etica
applicata non è più riconducibile ad una funzione filosofica
19
astratta e universale, ma è impersonata nelle figure attive di
comitati etici che avviano la soluzione dei problemi e li
studiano nel contesto delle scuole economiche10.
Ci chiediamo: in ragione di un simile prospetto è questa la
nostra posizione? Siamo in una Business School? in una Business
ethics School? E’ riconducibile l’etica, teorica o pratica, a questa
dimensione particolaristica e meramente funzionale? E
ancora: è ipotizzabile un percorso diverso che, rispecchiando
anche l’utile funzionalità della risoluzione dei problemi
pratici, sia capace di avviare una riflessione che possa avere
un suo ineludibile fondamento? In definitiva, l’etica ha solo
un carattere utile e funzionale o apre anche il varco alla
riflessione essenziale dell’uomo che vive problemi e concrete
situazioni?
A tali quesiti risponde il nostro tentativo di analisi; il
percorso tracciato per ricondurre la domanda etica a quello
stesso soggetto che vive i problemi pratici; in realtà, si pone
la questione della persona e del suo fondamento etico tra le
tante e diffuse etiche oggi applicate e tra i vari modelli che
nella storia hanno descritto questo tentativo di
armonizzazione.
3.Chiarificazione terminologica. - Per mostrare la
complessità e la complessificazione del rapporto tra etica e le
dimensioni socio-economiche, è quanto mai opportuno far
subito maggiore chiarezza sul termine etica, poiché non sono
poche le ambiguità che si sono in questi ambiti generate.
Il termine etica, dal greco ethos, raccoglie un insieme di
caratteri:
10
Cfr. S. AUROUX, Éthique, in DPh, coll.870-872.
20
- Al singolare indica consuetudine, costume, modo abituale di agire; è
usato in parallelo al latino mos-moris, da cui deriva il termine
morale. Sostanzialmente si può notare la profonda affinità tra
etica e morale, in quanto designano la stessa dimensione e lo
stesso campo di indagine, ma, come si vedrà, presentano
condizioni profondamente distinte.
- Un secondo significato si dischiude allorquando ethos è usato al
plurale (ethous): luogo consueto di abitazione, mondo o
ambiente di vita umana, mondo della coscienza, ambito e
contesto di comportamento.
- Esiste, però, una terza forma, abbreviata (etos), il cui
significato è: disposizione. Questa è una definizione nominale
che indica l’uso corrente del termine, ma non possiamo
ancor dire che sia il suo significato.
All’origine di questo contenuto si trova il detto eracliteo:
l’ethos è un demone (Frammento 119). Se si pone in relazione il
senso del termine demone con quello espresso nella dottrina
socratica (Cratilo, 397d-398c; Apologia, 3c-d; 40a-b; 41d), si
può dedurre che questo demone altri non è che la coscienza: la
dimensione in cui trae origine, si configura e si svolge il
senso e la destinazione dell’uomo in rapporto al bene e al
male. Con questa chiarificazione, il termine etica non può
ridursi alla semplice rappresentazione del comportamento o
dell’azione, ma si estende fino a comprendere il mondo interiore
dell’uomo, la coscienza, che è in effetti alla base del comportamento. Per
questo l’indagine etica deve innanzitutto partire dalla
chiarificazione di questo centro vitale dell’uomo, in cui si
determina il senso e la motivazione dell’agire. In ragione di
questa dimensione strutturale e strutturante, l’uomo si
21
costituisce essenzialmente come un soggetto etico e/o
morale.
Si può così tentare una prima definizione, affermando che lo
studio dell’etica, altro non è che lo studio della coscienza
dell’uomo11. Ma la coscienza deve qui essere colta nella sua
condizione di esigenza dell’uomo stesso, come sua nativa
dimensione costitutiva, come sua essenziale caratteristica che lo
distingue dal resto della realtà. In quanto coscienza, l’uomo si
scopre come essere capace di libertà e dunque di decisione. Si può,
quindi, descriverla come:
- esigenza nell’uomo: in quanto è a lui intimamente connessa e
non può dirsi, in alcun modo, a lui esterna. Non è frutto
della sua volontà, ma è scoperta nell’atto stesso in cui l’uomo
scopre il suo stesso essere;
- esigenza che si impone all’uomo: è un vincolo indistruttibile che
può caratterizzarsi come comando o proibizione e a cui ci si
rapporta con l’assenso;
- esigenza posta dall’uomo: in quanto non può essere definita
come una necessità istintuale o una costrizione interiore, ma
si identifica con l’attualità, con le scelte che l’uomo stesso
pone. E’ una esigenza che si collega alla libertà. Si può anche
dire che l’uomo la sua stessa libertà.
Diventa logica una prima valutazione: se l’attualità, la
posizione dell’uomo si identifica con l’esigenza etica e se,
inoltre, la sua concreta storicità si identifica con la libertà, si
deve dedurre che l’esigenza etica è la sua libertà. L’uomo si
Cf A.MOLINARO, Etica del riconoscimento, in AA.VV., L’agire
responsabile, Ed.Augustinus, Palermo 1991, 100-101.
11
22
costituisce nel porre liberamente a se stesso l’esigenza della
sua libertà. Come si può notare, tra libertà ed esigenza etica
si determina una identità: si crea lo spazio vitale della
coscienza. In sintesi: le tre caratteristiche della esigenza etica e
della coscienza, in cui essa si esprime, qualificano l’uomo
come soggetto etico: è l’uomo stesso ad essere, per se stesso, una
esigenza che lui stesso pone. Ma quale è il principio etico che fonda
questa affermazione? E’ un principio che fonda unitamente
l’etica stessa e lo stesso soggetto che lo pone. Per tanto etica
assume:
- in primo luogo, il senso di quella dimensione reale per cui
l’uomo è soggetto etico, cioè la realtà della coscienza, delle
esigenze che essa pone, del suo principio;
- e poi, designa il sapere o la scienza che indaga su quella realtà.
Sono dunque convergenti queste due condizioni: quella del
sapere, che diventa immediatamente giudizio etico, regola e
norma di azione; e quella della libertà, cioè della personale
capacità di decisione e di attuazione. L’unità di questi due
momenti costituisce l’intero ambito della realtà pratica, cioè
della realtà della coscienza e della sua costituzione. Su
questa realtà si iscrive la riflessione etica: essa indaga
teoricamente la realtà pratica, cioè stabilisce la verità della realtà
etica riconducendola ai suoi princìpi costitutivi e fondanti.
Essa diviene, in tal modo, teoria della pratica, teoria della
normatività pratica. La normatività risiede nella coscienza e
nella sua attuazione come giudizio (sapere) e decisione
(libertà). Ciò non solo perché la coscienza è l’intera etica, che
in sé trova la sua obbligatorietà, ma anche perché fuori della
coscienza non è rintracciabile una sorgente diversa da cui la
23
normatività proviene; o perché, qualora vi possa essere una
sorgente ad essa esterna, tale normatività deve essere dalla
coscienza accolta come sua convinzione e la offre a se stessa
come convinzione vincolante12.
Il termine etica specificamente, dunque, significa:
- studio teorico dei principi che dirigono l’azione umana nel contesto
storico;
- insieme di principi che guidano l’azione degli individui in quanto
appartenenti ad un gruppo sociale determinato e che da
questa appartenenza ricevono regole comportamentali.
Per questo spesso si parla, in modo indistinto, di teoria etica
e di teoria morale, si parla di etica professionale e non di
morale professionale. E’ qui opportuno porre la distinzione:
- l’etica è orientata alla riflessione sui principi; cerca di
decostruire le regole di condotta che formano la morale, i
giudizi di bene o male che la stessa morale elabora.
- Cosa definisce l’etica? Non una morale, cioè un insieme di
regole proprie tipiche di una cultura, ma una meta-morale, una
dottrina che si colloca oltre la stessa morale; una teoria
ragionata dei giudizi e dei valori morali.
- Cerca di giungere all’estremo limite e all’essenza del dovere;
le basi stesse delle prescrizioni o dei giudizi morali. Cerca di
giungere alle fonti; riguarda la teoria e la fondazione della
stessa morale.
12
Cf Ivi, p.103-104.
24
Intanto oggi è sempre più diffusa una rarefazione di questa
sua specificità: si parla di etica degli affari, di etica del
danaro, di etica dei media ecc., confondendo l’etica con un
insieme di regole che la avvicina più a forme deontologiche
che non alla sua natura metamorale e soprattutto a dottrina
fondatrice che enuncia principi e non regole. Se la morale si
coagula in prescrizioni, l’etica è invece chiamata a fare
operazione critica su di esse, ad interrogare e a discernere.
Dunque l’etica si definisce attraverso un duplice significato:
teoria ragionata del bene e del male ; imperativo pratico,
applicato, la cui coerenza concettuale deve essere valutata.
Capitolo secondo
Dimensione storica
1. Etica e sociologia. - a. Illuminismo sociologico o
neo-illuminismo debole; b. La riscoperta dell'etica come scienza della
morale; c. La prospettiva di Habermas e di Luhmann. La morale
della «comunicazione»; d. Analisi e critica della prospettiva di
Luhmann; e. La fine del modello di separazione tra morale personale e
sistema sociale. 2. Etica ed economia. - a. Approccio classico; b.
Approccio moderno; c. Rilievi conclusivi. 3. Etica e sviluppo. - a.
Dimensione economica dello sviluppo; b. Limiti dello sviluppo ; c. La
risposta alla tesi apocalittica.; d. Aspetti umani (antropologici e dunque
etici) dello sviluppo; e. Alcune tracce di riferimento per un approccio
etico. 4. Varietà di modelli etici.
SOMMARIO:
1. Etica e sociologia. - La crisi delle ideologie ha condotto
25
ad un avvicinamento tra due poli che erano rimasti a lungo
lontani. La crescente complessità del nostro mondo vitale e
la crisi dei modelli classici delle scienze, ha reso necessario
un confronto soprattutto fra l'etica e la sociologia.
Queste due scienze, dalla struttura metodologica classica
quasi opposta:
ETICA
SOCIOLOGIA
Prescrizione (semplice posizione Registrazione
di norme)
(osservazione del reale)
sono oggi impegnate in un nuovo stile di collaborazione che
delinea ed approfondisce nuovi spazi di ricerca. Di fronte
alla molteplicità ed alla specificità delle diverse scienze, si
richiede oggi con insistenza una prospettiva unitaria a partire
dalla quale interpretare la realtà per intervenire,
consapevolmente, su di essa. Necessita, dunque, una rilettura
della sociologia, dell'etica, e della reciprocità del loro
rapporto13.
a. Illuminismo sociologico o neo-illuminismo debole.
Negli anni settanta la sociologia vive l'età di un nuovo
illuminismo che assume, però, tratti del pensiero debole e
caratteri tipici della post e tardomodernità.
È, pertanto, illuminismo sociologico, perché la realtà vitale
dell'uomo è considerata ancora a partire dalle potenzialità
della ragione umana che analizza le situazioni,
eliminando ogni fantasia idealista, come avveniva per
13
Cf O.F.PIAZZA, Teologia e sociologia di fronte al futuro, in RdT
35 (1994), 464-479.
26
l'illuminismo storico. Il sapere sociale, la considerazione dello
sviluppo socio-economico e culturale, supera tutte le utopie
e le contestazioni, per divenire un sapere della realtà.
È neo-illuminismo, perché cambia l'interpretazione della
razionalità, che non viene più letta come potenziale di
liberazione personale e comunitaria, ma è soltanto la struttura
di funzionamento del sistema sociale.
È debole perché viene meno la fiducia ottimistica nella
ragione comune che consente di realizzare condizioni sociali
giuste; le capacità razionali più avanzate vengono considerate
solo in relazione al progressivo adattamento funzionale del
sistema ai vari ambienti di vita. Un neoilluminismo debole segnato
dal rifiuto di due classici presupposti del vecchio
illuminismo: «l'eguale partecipazione di tutti gli uomini a una
ragione comune, posseduta senza ulteriori mediazioni
istituzionali, [e] la fiducia ottimistica nella possibilità di
riuscire a realizzare condizioni sociali giuste»14.
È la totale frattura con l'etica. Tutti i processi che organizzano
la società, sono sistemi automatici e meccanici di selezione,
che vanno liberati da ogni vincolo di norme, valori o regole
morali, in favore di capacità razionali avanzate sempre più astratte,
sempre più lontane dalla natura e dalla tradizione del
mondo-della-vita-quotidiana dei singoli.
Risultano evidenti alcune conseguenze:
- l'esclusione, dalle funzioni socio-sistemiche, della ricerca
dell’integrazione sociale secondo valori guida etico-sociali;
14
N. LUHMANN, llluminismo sociologico, Il Saggiatore, Milano
1983, pp. 74
27
- la preoccupazione di ridurre l’interferenza delle legittimazioni per
via di partecipazione popolare;
- la manipolazione dei bisogni dei singoli;
- il primato dell'adattamento funzionale del sistema sociale
all'ambiente, anzitutto umano, riducendo le interferenze
fenomenologiche della soggettività, della coscienza e della
intersoggettività.
b. Riscoperta dell'etica come scienza della morale.
Alla fine degli anni ottanta questa lettura della società
presenta notevoli problemi e, contemporaneamente, cresce
l'attenzione per l'etica come scienza della morale, ossia come
teoria critica delle norme che guidano l'attività pratica
dell'uomo. Ma anche l'etica sembra aver bisogno di una
nuova fondazione, perché le etiche classiche, sia quella della
tradizione cristiana che quella laica15, associavano il livello della
morale personale a quello della morale comunitaria, mentre, al
contrario, si va sperimentando una netta scissione tra:
MORALE SOCIALE
L'unica morale sociale sembra
essere quella della salvaguardia e
crescita del sistema stesso, con
regole di condotta funzionali alla
sua conservazione.
15
MORALE PRIVATISTICA
Rifiuto di ogni ingerenza
della società nelle scelte
individuali: si individuano
regole
morali
solo
nell'immediatezza
dei
rapporti interpersonali
In particolare le etiche che inquadrano l'utilitarismo del sentimento
(Hume), dei desideri di felicità del maggior numero di persone
(Bentham), degli imperativi della ragion pratica (Kant).
28
L'idea che la morale possa cogliersi soltanto nella concreta
comunicazione tra le persone (morale privatistica), significa
che il comportamento umano non è più regolato da valori e
principi assoluti che vincolano gli uomini, ma che esso è
letto come un prodotto dell'agire
comunicativo. È
l’affermazione dell’approccio sociologico e comunicazionale alla
morale. Si considera il comportamento dell'uomo non in base
ad una scala verticale e progressiva di valori stabiliti, ma
come il risultato di un asse orizzontale di scambi, relazioni e
comunicazione tra persone. È n approccio che tende sempre
più a decentrare e a circoscrivere lo spazio dove vigono
regole morali. È un approccio che, in qualche modo, riesce
ad accomunare anche posizioni teoriche molto distanti,
come quelle di Luhmann16 e di Habermas.
c. La prospettiva di Habermas e di Luhmann.
Appunto queste due rilevanti posizioni, seppur distanti tra
loro, ci aiutano a capire come una lettura sociologica della
morale tenda sempre più a decentrare e a ridurre lo spazio
dove vigono regole morali, con notevoli ed evidenti
difficoltà per l'uomo che deve conciliare in sé vita privata e
vita sociale.
Per Habermas17 è possibile gettare un ponte tra la morale
16
Specificamente di N. Luhmann, cf: I fondamenti sociali della
morale, in AA.VV., Etica e politica. Riflessioni sulla crisi del
rapporto fra società e morale F. Angeli, Milano 1984, 9-20; e in
particolare, 12. Ancora, Il fenomeno della coscienza morale e
l'autodeterminazione etica della personalità in «Giornale di Teologia»
100 (1977) 151-77.
17
J. Habermas, Etica del discorso (a cura di E. Agazzi), Laterza,
Roma-Bari 1985.
29
intersoggettiva che lega le persone ed un'etica sociale; tra la
morale intersoggettiva di un mondo vitale e le istanze
universalistiche dell'etica, anche al di sopra delle barriere
nazionali, perché la morale, nella prospettiva dell'agire
comunicativo18, non chiama in causa la coscienza personale,
ma una cultura ed un sapere comunitari; un patrimonio di
certezze condivise, per nascita e storia, che costituiscono una
base comune a partire dalla quale è possibile collegare l'agire
del singolo all'agire della comunità.
E' facile comprendere come questa prospettiva, che legge la
morale come un processo che avanza con gli stadi
dell'evoluzione naturale, debba rinviare sempre a
responsabilità comunitarie e non soggettive. Pertanto, «si
può parlare di colpa soltanto in senso intersoggettivo, cioè
quasi nel senso dell’involontario prodotto di un intreccio
comunicativo che gli agenti senza la loro responsabilità
individuale, devono attribuire ad una responsabilità
comunitaria»19. Non essendo più evidente un centro
normativo e valoriale così forte da integrare tutte le
soggettività, queste sono raccolte nel dato di fatto del mondo
di vita comune. In questo modo la libertà e la responsabilità
individuale rischiano di divenire una semplice appendice
contingente del livello generale e complessivo di
comunicazione,
che
continuamente
si
produce
indipendentemente dalla volontà dei singoli. In pratica, nella
morale concepita in termini di pura comunicazione- a
differenza di quella in termini di metafisica dei valori - «l'asse
18
Cfr. J. Habermas, Agire comunicativo e logica delle scienze sociali,
Il Mulino, Bologna 1980, p. 301.
19
Cf ID., Etica del discorso, op.cit., soprattutto alle pp.123-202.
30
orizzontale della comunicazione prende il sopravvento su
quello verticale della decisione [e] la finitezza del soggetto
deve presupporre che ogni sua decisione sia contingente»20.
Secondo Luhmann, al contrario, soltanto le persone concrete,
nei loro rapporti reciproci, sono chiamate in causa nella
produzione di criteri morali di condotta. «In tutte le
questioni morali c'è un confronto tra persone»21. Il sistema
sociale complessivo, che procede mediante una selezione
dell'utile, risulta totalmente separato dalla morale soggettiva.
Il sistema morale, a differenza di quello sociale, tende invece
ad essere «pienamente personalizzato». Non si può, dunque,
parlare in senso proprio di morale societaria, essa ha senso
solo come frutto di processi di riflessione e valutazione dei
macrosistemi sociali.
La selezione secondo l'utile, necessario a conservare l'identità
del sistema, separa per così dire l'imperativo categorico del
sistema sociale dalla morale soggettiva, intersoggettiva e di
mondo vitale. Specificamente questa posizione, merita una
più approfondita valutazione critica.
d. Analisi e critica della prospettiva di Luhmann.
La diversità di natura tra le morali personali (che ovviamente
sono molteplici) ed il dovere di ogni sistema di selezionare
l'utile, che Habermas vuole comporre attraverso la
prospettiva della comunicazione, viene presentata da
Luhmann come una separazione totale fra i due poli
secondo quattro principali argomenti:
20
M.G. Lombardo, Il senso etico della teoresi funzionalista, in
«Fenomenologia e società», gennaio-marzo 1984, pp. 21-43; v. in
particolare p. 23.
21
Luhmann, Illuminismo sociologico cit., p. 78.
31
1. Non vi può essere congrua proporzione tra la
prospettiva intenzionale del singolo nel piccolo gruppo e
la prospettiva del sistema sociale nel suo insieme, perché
il primo punto di osservazione della realtà è
estremamente limitato rispetto al secondo22.
2. Data la prima osservazione, ne consegue che ogni
sistema sociale collettivo, se vuole essere efficiente ed
efficace, non può essere vincolato a sistemi di credenze e
di valori che prescindano dalla prassi concreta e dal
tempo storico. Dunque l'amministrazione della cosa
pubblica è tenuta ad esercitare razionali attività
manipolatorie nei confronti degli cittadini.
3. Quindi, il sistema perde ogni riferimento finalistico che
non sia la sua propria autoconservazione. Ciò significa
che nessuna azione sociale può essere legittimata in
termini di maggiore o minore bene comune, o di
maggiore umanizzazione della vita, perché manca
totalmente
una
prospettiva
trascendente
di
ottimizzazione globale. Il tutto si risolve nel moderare
solo gli egoismi individuali, secondo una concezione
utilitaristica della persona umana.
4. Ogni relazione all'interno del sistema, caduti i contenuti
etici della gerarchia, sarà stabilita non secondo una
struttura sociale definita in termini di autorità e
subordinazione, ma esclusivamente in base alla diversità
delle funzioni. L'uomo, sostanzialmente, è ciò che fa.
Diverse realtà sociali, tra gli anni settanta ed ottanta,
22
Cf Luhmann, llluminismo sociologico, cit., p. 97.
32
mostrano di rispecchiare fedelmente la teoria di Luhmann (il
contenimento del welfare state con l'incremento della
solidarietà privata, la riduzione delle pretese di moralità
pubblica in diversi ambiti a patire da quello politico, nuovi
tipi di manipolazione delle masse, il ricorso a saperi
specializzati per risolvere ogni tipo di malessere sociale).
Sembra che Luhmann si sia limitato ad analizzare una
situazione di fatto, ma la sua teoria sostiene una de-eticizzazione
sistematica della realtà sociale come componente necessaria
per l'evoluzione progressiva del sistema.
Da questa teoria segue che il sistema sociale non si può
avvantaggiare della crescita di attenzione morale e di
domanda di senso che si sviluppa dalla sfera del privato
verso il pubblico, anzi il sistema viene, in tal modo,
intralciato nelle sue funzioni. Mentre, d'altra parte, i centri di
direzione politica non potranno poi fare appello, nemmeno
in situazioni difficili, all'impegno gratuito ed alla
corresponsabilità dei cittadini; non possono aspettarsi
risposte positive dagli «ambienti» che non rientrano nella
competenza organizzativa. Si può concludere, in questa
prospettiva, che nei momenti di maggiore difficoltà, questa
separazione radicale, non fa che aggravare la crisi, senza in
alcun modo avviare a risolverla.
e. La fine del modello di separazione tra morale personale e sistema
sociale.
Nonostante il grande contributo per l'interpretazione di
processi che realmente si sono verificati nelle società
avanzate dalla fine degli anni sessanta in poi, le analisi
dell'illuminismo sociologico non convincono al punto da
indurre ad eliminare l'etica dal processo dell'organizzazione
33
sociale.
Variegate e consistenti controtendenze sono sempre più
presenti nella vita sociale: crescita della domanda di senso
nelle comunicazioni tra sistema politico e mondo vitale dei
cittadini; azione solidale per i diritti umani; movimenti
ecologisti; richiesta di umanizzazione dei servizi sociali
pubblici e privati; rilancio di identità collettive semplici;
nuovi rapporti tra management e lavoro dipendente;
convergenza e interdipendenza tra ricerca scientifica e
problematiche etiche. Tutte queste situazione, ed altre,
mostrano la crisi del dualismo tra autonomia sistemica e
morale personale. Sempre più forte è l'esigenza di appellarsi
almeno ad un nucleo di etica universale condivisa, nei
rapporti tra sapere e potere, tra natura e cultura, di fronte alla
crisi dell'ambiente-terra ed ai rischi di distruzione nucleare
del pianeta.
La ricerca sociologica oggi va rivolta a conoscere ed integrare le
reciproche interpolazioni e corrispondenze tra la scelta etica di una
morale personale ed il dovere selettivo del sistema sociale. Sociologia
ed etica si collocano sullo stesso e irriducibile orizzonte
dell’uomo e del suo mondo vitale. La reciprocità e
l’implicanza è tale che l’unico modello proponibile, nel
confronto e nell’apporto, è unicamente quello del dialogo.
f. Etiche del nostro tempo.
In sintesi, ecco tracciato lo schema del nostro percorso di
ricerca che tende a delineare la free-zone di un possibile e
doveroso dialogo tra ethos e complessità sociale:
ETHOS
34
Struttura della persona umana

PRINCIPI VALUTABILI ED UNIVERSALIZZABILI IN BASE
ALLA STRUTTURA DELL'ETHOS



Principi personali Principi sociali Giustizia e Bene
Comune

A
PPLICAZIONI NORMATIVE DELL'ETHOS A TUTTI I CAMPI
DELLA VITA UMANA
In ragione di questo quadro prospettico è opportuno chiarire
un latente equivoco che si perpetua nella valutazione sociale
dell'ethos. Con la mediazione storica del neo-illuminismo
debole, tale struttura è stata completamente rovesciata:
l'ethos non è più il punto di partenza di ogni riflessione, il
fondamento di ogni teoria e proposta personale o sociale;
ma, a partire dai vari fenomeni della vita umana, dai vari
campi di interesse scientifico, si cerca di raggiungere un
comune accordo etico. Questo cambio di prospettiva dal
fondamento al fenomeno, ha determinato un moltiplicarsi
di teorie etiche che richiamandosi ai più diversi principi,
non più armonizzati da un'unica struttura di base, tendono
essenzialmente a contrapporsi e rischiano di spostare
indefinitamente l'unità etica sul terreno impossibile
dell'utopia. Per cui il quadro si presenta come segue:
35
Neo-illuminismo debole

PRINCIPI DI VARIA ISPIRAZIONE
danno origine a diverse teorie etiche, non più valutabili
in base ad un criterio stabile di riferimento e, dunque,
di per sé non universalizzabili.

APPLICAZIONE UTILITARISTE E FRAMMENTARIE
Le molteplici deontologie professionali

ETHOS = UTOPIA
In base alla diversa ispirazione dei principi che sono alla base
delle più diffuse teorie etiche contemporanee, possiamo
definire una griglia complessiva che ci aiuti a districarci in
questo campo articolato della ricerca. La divisione principale
è quella tra etiche di orientamento immanentista ed etiche di
ispirazione trascendente o trascendentale.
TEORIE ETICHE
TEORIE ETICHE DI
MERA
OSSERVAZIONE DEL
REALE
TEORIE ETICHE
DELL'IMMANENZA
TEORIE
ETICHE
DELL'UTILITÀ
36
Changeux
Lipovetsky
Deleuze, Guattari
Misrahi
Comte-Sponville
Conche, Rosset
Foucault
Gadamer
TEORIE ETICHE DI
TEORIE ETICHE
TEORIE
ISPIRAZIONE
RELIGIOSA
ISPIRATE A PRINCIPI
IDEALI
ETICHE
BASATE SU
REGOLE
TRASCENDEN
TALI
Levinas
Rawls
Jonas
Spamann
Apel
Habermas
L'esigenza principale che emerge da questa varietà di teorie
etiche è quella di un dialogo costruttivo capace di definire
responsabilità e criteri guida per il nuovo millennio. In attesa
di realizzare questa ideale società della comunicazione, si
cerca di ovviare all'impellente richiesta di regole, che viene
dai più svariati campi della vita e della ricerca umana, con
etiche applicate che spesso si rivelano limitate deontologie
professionali. Dal momento che il criterio che le ispira è
strettamente funzionale, è possibile individuarle in base ai
vari ambiti operativi della vita dell'uomo.
ETICHE APPLICATE
37
AMBITO NATURALE AMBITO
Bioetica
Etica dell'ambiente
Diritti degli animali
AMBITO
RELAZIONALE
PROGETTUAL
E
Etica degli affari
Etica economica
Etica e media
Etica
della
politica
Etica
del
diritto
Etica
universale
Nuove possibilità vuol dire nuove scelte. Nuove libertà vuol
dire nuove responsabilità. L'età della giovinezza è quella del
passaggio, problematica per il disorientamento, stimolante
per la ricerca ma anche cruciale per la costruzione del futuro.
Prima di cercare risposte giuste è necessario porsi le giuste
domande. La dimensione concreta, utile e funzionale
dell'etica, se offre sicuramente nuovi stimoli per la ricerca,
non può ridurre la prospettiva etica ad un orizzonte
meramente applicativo, ma deve aprire il varco alla
riflessione essenziale sull'uomo. In tale prospettiva potranno
essere valutati alcuni punti di vista:
a. Etica come applicazione (H. G. Gadamer).
L'autore richiamando l'Etica nicomachea di Aristotele propone
la lettura ermeneutica dell'etica. Analizza le fasi che
conducono al sapere pratico-morale che si diversifica sia dal
sapere teoretico (epistème) sia da quello pratico della tecnica
(technè).
L'etica, infatti, ha per oggetto l'uomo come soggetto in
azione e in continuo cambiamento, collocato in una
esistenza che richiede continue scelte di orientamento.
38
L'uomo, nel sapere pratico, è coinvolto, opera modifiche
del suo vivere, è colpito da ciò che conosce23. Questo suo
sapere (phronèsis), non si limita all'indagine delle situazioni ma
determina una decisione, una distinzione di ciò che si può
fare da quello che non si deve.
E’ un sapere non riducibile alla semplice conoscenza, ma
implica il processo dell'esperienza. Distingue la prassi della
morale da quella tecnica. Pur avendo punti in comune
(passaggio dall'universale al particolare, presupposti previ
all'azione, variabilità dell'oggetto a cui si applicano), si
diversificano però in quanto la prassi tecnica è arbitraria
ma non può esimersi dall'esercizio della dignità, della
solidarietà, della giustizia...Inoltre il sapere morale non può
essere insegnato prima della applicazione. L'agire in modo
giusto va misurato nel contesto della situazione. Il sapere
morale è sempre incarnato. Non basta l'abilità tecnica, è
necessaria la partecipazione, il coinvolgimento con la
situazione, la responsabilità: si può essere abili nel
comprendere ma finalizzare al male la conoscenza! Il
soggetto morale si trova di fronte alla situazione, come
l'interprete rispetto al testo: fenomeno etico e
interpretazione per cogliere il valore e il dovere.
b. Normatività e verità etica (J. Habermas).
Critica serrata a Gadamer in quanto l'ermeneutica della
situazione apre al rischio di perdersi nel quotidiano,
nell'opinione, nell'ethos. L'accusa è di relativismo etico.
Habermas propone perciò l'universalità, la normatività e la
verità del sapere etico. Le norme morali per loro natura si
23
H.G.GADAMER, Verità e Metodo, 365.
39
impongono a tutti24. Ma come conciliare il particolare con
l'universale? La situazione e la norma? L'universalità è
cercata nel CONSENSO di tutti; la norma deve meritare il
riconoscimento da parte di tutti gli interessati25. Si richiede
una argomentazione «reale» che tutti devono accogliere: è
una argomentazione intersoggettiva che può condurre a un
accordo di natura riflessiva. Il proprio interesse deve cadere
sotto la altrui critica.
Alla universalità è collegata la norma come elemento
essenziale del comportamento etico. Non può questa essere
ridotta al puro patteggiamento opportunistico, né alla
utilità, né alla pura fattualità del convivere. L'accordo non è
dato dai vari desideri ma dall’osservanza di norme (verità,
libertà, giustizia). Per assicurarsi che l'intesa sia giusta,
rispetto al «comodo», è opportuno distinguere l'agire
comunicativo dal discorso: il primo ha come obiettivo lo
scambio di informazioni, il secondo rende le pretese di
validità «tema». Ma cosa appaga l'esigenza di validità della
norma oltre il pragmatico? Il sussistere o il valore sociale di
una norma non fonda la sua validità. Si deve distinguere «tra
il fatto sociale del riconoscimento della norma e il suo essere
degna di venir riconosciuta»26. La ragione verifica la
motivabilità discorsiva della norma.
La ragione si immerge qui nel concetto di VERITÀ, non visto
però come adeguazione ma, come verità collocata nel vivo
dei rapporti interpersonali, situata nel concreto quotidiano.
Il consenso (universalità) e la realtà (discorso), i definitiva,
conducono alla attendibilità di un enunciato. La norma etica
24
J.HABERMAS, Etica del discorso, 71.
Id., op.cit., 73.
26
Id., Etica del discorso, 69.
25
40
crea così una condizione esistenziale di coinvolgimento e di
comunione. Se la verità è comunione, libertà, falso è tutto
ciò che indica soppressione, dipendenza, aggressività
ideologica. Tuttavia, rimangono aperti interrogativi circa la
verità, riproposta attraverso i criteri di coerenza e di
corrispondenza. Evidente il legame proposto tra valori e
esistenza.
c. Il diritto naturale (R. Spämann).
Se con Habermas si attua il tentativo di superare il
principio Weberiano dell’AVALUTABILITÀ delle scienze,
anche sociali, in quanto dove opera l'uomo emerge il
principio etico, con Spämann si presenta la necessità di
dare una risposta al problema ecologico, attraverso l'istanza
del diritto naturale. Non basta superare le imposizioni
oppressive della società con il consenso, ma diviene
necessario liberare la natura stessa dalla vorace aggressione
dell'homo faber. La realtà dei rapporti interpersonali non deve
nascondere il problema della sopravvivenza dell'uomo: si
rischia l'ideologizzazione dell'etica. Il diritto naturale centra
l'attenzione sul tema della natura. Il desiderio di dominio
reso incontrastato dal senso opportunistico della scienza
aveva relegato la natura in una posizione non più armonica
con l'uomo. Evidente il distacco e ancora più evidente lo
sfruttamento incontrollato. La progressiva DISTANZA
dell'uomo dalla natura, rende questa un oggetto degradato a
materia prima, disponibile per operazioni spesso arbitrarie.
Lo sviluppo, il progresso, staccati dalla matrice teleologica e
dalla fonte dei valori si traducono in abuso. Solo
riconoscendo, per diritto naturale, a tutti gli essere il loro
«senso» è possibile bloccare la espropriazione della natura e
41
dell'ambiente. Alla base della crisi ecologica si riscontra la
perdita del diritto naturale, che rimpiazzato da una ragione
strumentale al sistema, lo svuota di ogni valenza ontologica.
Muovendosi sul binomia legge-natura così si esprime:» Il
concetto natura nella coppia dell'antitesi classica (physisnomos) è sempre dialettico nel senso che esso, come il più
forte, include in sé il suo opposto. Il naturale di per sé è ciò
che non è fatto dall'uomo. Però tutto ciò che è fatto è, in
certo modo da definirsi più dettagliatamente, pure naturale.
Tutto l'operare può essere un mutamento di ciò che è già. E
precisamente in maniera tale che si deve adeguare alla
struttura di ciò che è, dato che le strutture inventate
presuppongono sempre una base sottostante e già di per sé
organizzata»27. Questo concetto di natura è stato liquidato
dal pensiero moderno e «quando di una cosa si desidera
fare quello che si vuole, allora la domanda sul suo fine
intrinseco non può essere che di disturbo»28. Aggiungeremo
a tutto questo la verifica del pensiero postmoderno sulla
perdita del «definitivo» e della riduzione al «provvisorio»,
all'immediato fruibile. La riduzione ancor più evidente
dalla pro-gettualità alla pro-grammazione tipica della technè.
All'uomo postmoderno non interessa il senso e il fine della
storia e del mondo (problemi ecologici vissuti con lucida
razionalità ma al tempo stesso disattesi), ma l'immediata
possibilità di modificazione e organizzazione del «vivere» in
ragione dei bisogni diretti o indotti. Il pensare tutto secondo
una antropologia esclusivista diviene una concreta
minaccia per l'uomo stesso. «Se noi rapportiamo la natura a
27
R.SPÄMANN, Natur, in Id., Philosophische Essays, Reclam, Stuttgart
1983, 21.
28
Ivi, 23.
42
ciò che serve all'uomo ci mettiamo già su una falsa
traiettoria»29. Dallo sfruttamento irrispettoso e selvaggio
(strumentale) della natura a quello dell'uomo, il passo è
breve. Tolto all'uomo il suo fine ontologico non meraviglia
un suo trattamento da «arto utilizzabile all'interno di
meccanismi di dominio
naturale»30. Si legittima la
manipolazione rifacendosi alla libertà e alla felicità
dell'uomo, ma i due obiettivi diventano fragili e illusori se
determinati dalla semplice decisione umana e non dalla
natura delle cose: «la felicità imposta non è felicità» e la
libertà vista come liberazione, cercata però in modo
irrispettoso dell'uomo e del mondo nel loro fine proprio,
diviene caotica «frantumazione» della realtà dove la libertà
dovrebbe esercitarsi. La libertà assume consistenza solo nel
giusto rapporto con la natura e l'uomo31.
«L'immagine biologica dell'uomo futuro non può essere
oggetto sensato del nostro volere e agire, dato che al
riguardo ci mancano i criteri legittimi. I criteri che abbiamo
sono essi stessi posti arbitrariamente. Noi possiamo dire
come devono essere preparati dei maiali, dato che li
vogliamo mangiare. Ma come devono essere gli uomini?»32.
Il diritto di natura diviene una via di risposta in quanto
riporta tutti nel contesto della vita. Se è frutto di pura
convenzione allora la motivazione è pragmatica; se poi lo si
fonda sulla libertà e capacità di agire coscientemente restano
esclusi i non ancora nati, i minorati mentali e altri, la cui
29
Id., Naturteleologie und Handlung, in op.cit., 54.
Natur, 37.
31
Cfr. Id., Die Aktualitaet des Naturrechts, in op.cit., 75.
32
Ivi,76.
30
43
sorte è affidata alla decisione della comunità o del singolo. Il
diritto di appartenenza e legittimazione non è fissato da
nessun criterio se non dalla natura stessa.
2. Etica ed economia. - L’articolazione delle realtà
economica rende lo scenario del mondo ancor più
complesso. Le considerazioni in positivo, del progresso,
dello sviluppo, dei mutamenti tecnologici con le relative
grandi potenzialità, mal si armonizzano con le difficoltà, i
paradossi, le contraddizioni, le incoerenze e conflittualità,
che queste potenzialità vanno generando. Sviluppo,
progresso, possibilità tecnologiche, nel loro evolversi
continuo e incalzante, si trasformano in potenti meccanismi
di squilibrio che se per un verso producono ricchezza e
benessere, dall’altro generano povertà ed emarginazione,
disparità di livelli e di condizioni nello stesso contesto sociale
e tra paese e paese. Si determina una paradossale specularità
tra povertà estreme, al limite della stessa sopravvivenza, e
ricchezza opulenta, saccheggio della natura, al limite della
distruzione.
Inoltre, l’economia, asservita al senso preminente, ai modelli
imposti, ha provocato cambiamenti indotti nei costumi e
negli spazi di vita, non sempre ben assorbiti o tollerati.
Ritenendo l’uomo infinitamente plasmabile, disposto a tutto,
lo ha reso un oggetto tra i tanti oggetti. L’uomo, in quanto
tale, è trattato da estraneo nel contesto economico-sociale.
L’economia assume la fisionomia dell’inesorabilità, della
crudeltà, della durezza. Conduce all'asservimento dei poteri
pubblici agli interessi di gruppo e determina l'imperialismo
internazionale del denaro; distoglie il discorso intorno
all'uomo, dissolvendo di conseguenza il discorso all'interno
44
dell'economia stessa. Quindi, non è difficile scorgere nel
mondo economico strutture decisamente negative per la
formazione della persona umana, e per l'organizzazione e lo
sviluppo di una convivenza civile33.
Intanto, «L'economia ha la fama di essere la regina delle scienze
sociali: la più vecchia delle arti, la più giovane delle scienze»34, al
punto che, per il livello di astrazione raggiunto dalla teoria
economica, non la ritiene inserita nel contesto delle «scienze
del comportamento umano». All'economista si richiedono, non
solo conoscenze tecniche, ma fantasia, capacità di capire
l'intimo funzionamento delle cose e un acuto discernimento
per intuire e teorizzare l'essenza e le tendenze dei fenomeni,
la ricerca della verità e il servizio al progresso; ma si discute
anche se non debba occuparsi oltre che dei mezzi, anche dei
fini della politica economica.
Ripercorrendo il tracciato del pensiero economico di questi
ultimi anni è interessante verificare le diverse reazioni degli
stessi economisti di fronte ai risultati delle loro elaborazioni.
“Alcuni sono critici non solo intorno allo stato attuale dello sviluppo
economico, ma intorno allo stato in cui si trova la stessa scienza
economica. Essi sono convinti che il pensiero economico, in base
all'attuale teoria economica, non è in grado di fornire spiegazioni
convincenti dei fenomeni sottoposti al suo esame e di proporre soluzioni
adeguate a situazioni ambigue e paradossali, e che alcuni meccanismi
(mercato, sistema dei prezzi), sono incapaci di porre l'uomo al centro
della scena economica. Per molti, quindi, la scienza economica, oggi, sta
attraversando una fase di profondo travaglio e di ripensamento radicale.
I grandi temi cruciali legati ad una intensa e persistente depressione, che
33
Cfr. A. CORTINA, Razón comunicativa y responsabilidad
solidaria, Salamanca 1985, parte II).
34
P. SAMUELSON - W. NORDHAUS, Economia, Bologna 1987, 3.
45
Keynes aveva affrontato durante la prima grande crisi del '29, sono
ancora di grande attualità”35. A tal ragione la dichiarazione di J.
Robinson che sottolinea l'evidente «bancarotta della teoria
economica, la quale per la seconda volta non ha nulla da dire sulle
questioni che per tutti, salvo gli economisti, appaiono dense di
interrogativi e sollecitano una risposta»36.
Nella letteratura economica si riscontrano anche figure di
economisti che nutrono un interesse per gli aspetti eticosociali della vita dell'uomo, dimostrando fiducia nei suoi
valori etico-spirituali. Per cui, quando essi si propongono un
problema, ne vedono le dimensioni, non soltanto tecniche,
ma anche sociali e umane. Inoltre segnalano che la natura
dell'economia moderna ha subito un sostanziale
impoverimento a causa della distanza venutasi a creare tra
economia ed etica. Si cominciano a prospettare possibili
compatibilità di nuovi approcci, suggerendo nuovi percorsi e
nuovi orientamenti. Si fa osservare, che l'economia del
benessere non solo non esclude l’etica, ma può essere
sostanzialmente arricchita dal prestare una maggiore
attenzione ai risvolti etici, e che lo studio dell'etica, spesso
rinchiuso su versanti autonomistici, può trovare certamente
giovamento beneficiare nel più stretto contatto con
l'economia.
Queste ipotesi teoriche, in realtà non trovano facile
applicazione. Esse «(…) comportano ambiguità profonde e molti dei
problemi sono intrinsecamente complessi. Tuttavia la necessità di
avvicinare maggiormente l'economia all'etica non si basa sul fatto che
questa sia una cosa facile da fare. Si basa invece su ciò che ricaveremo
35
M.P.MONTEMURRO, Economia ed etica, in RtM 93 (1992), 77.
M. LEBOWITZ, La crisi della teoria economica oggi, in M.
D'ANTONIO (a cura), La crisi postkeynesiana, Torino 1975, 173.
36
46
da questo... ci si può aspettare che i vantaggi siano alquanto cospicui»37.
Quindi, da più parti, fuori e dentro il mondo economico, il
tema rapporto economia-etica è tornato di grande attualità e
viene affrontato dai più svariati punti di vista: quello del
comportamento del singolo soggetto, quello della modalità
di funzionamento del sistema economico considerato nel
suo complesso, ed infine quello dei rapporti fra un sistema
economico ed un altro, o fra gruppi di un paese e un altro.
Non è certamente l’analisi di tali aspetti ora ad interessarci,
quanto l’individuare una visuale etica nell'ambito della
scienza economica, convinti che il contrasto tra il carattere
usualmente non etico dell'economia e l'evoluzione storica di
questa disciplina, quale derivato dall'etica, in realtà sia solo
formale e apparente.
a. Approccio classico. - Non solo uno dei padri dell'economia
moderna, A. Smith, era professore di filosofia morale
all'Università di Glasgow, ma anche la stessa materia
dell'economia è stata considerata a lungo una specie di
branca dell'etica e quindi insegnata nell'ambito del corso di
scienze morali. E nel discorso economico tutti i fenomeni e
le questioni economiche (quali per esempio: che cos'è il
giusto prezzo? L'usura può essere giustificata?) erano letti,
valutati e largamente influenzati da problemi etici.
Fino al secolo scorso l'economia accettava senza discussione
l'influenza di un preciso orientamento filosofico-morale,
l'utilitarismo, «secondo il quale il motivo ultimo delle azioni umane è
sempre quello dell'utilità, e il principio etico, non può non configurarsi
37
A. SEN, Etica ed Economia, (a cura di S. Maddaloni), Bari 1988,
110.
47
se non nel senso che si operi al fine dell'utilità del maggior numero
possibile di individui»38. «Per l'utilitarismo quindi, una società è giusta
quando le sue istituzioni sono congegnate in modo da massimizzare
l'utilità sociale, intesa come la somma o la media aritmetica delle utilità
individuali»39. Inoltre la teoria dell'utilità era tesa a giustificare
la teoria del «laisser faire» (nessuna interferenza nel mercato; il
mercato risponde a tutto).
Verso la fine del secolo veniva messa sotto accusa proprio
questa dottrina etico-sociale dell'utilitarismo che ammetteva
anche in economia la possibilità di misurare e confrontare le
utilità di persone diverse. I critici facevano osservare che
questa teoria dell'utilità è in gran parte tautologica; che
l'«utilità è un concetto metafisico di una circolarità inafferrabile: l'utilità
è quella qualità dei beni, che fa sì che gli individui desiderino
acquistarli, e il fatto che gli individui desiderano acquistare i beni
dimostra che questi hanno una utilità»40.
Secondo alcuni economisti il calcolo per misurare l'utilità
(utilità cardinale), era un calcolo in apparenza basato sulla
matematica. Esso è un calcolo «qualitativo» più simbolico
che reale, in cui è facile commettere errori, o almeno
formulare proposizioni scientificamente insignificanti.
Quindi, la misurabilità e confrontabilità non appartengono
alla scienza economica, esse vanno relegate alla sfera
dell'etica, per cui è ovvia la completa separazione dell'etica
dall'economia, perché ne inquina l'autonomia scientifica con
proposizioni non scientifiche. Negli anni '30 questa critica,
38
Utilitarismo, in Dizionario Enciclopedico Italiano Treccani, Roma
1961.
39
Utilità, in Enciclopedia del Diritto e dell'Economia, Garzanti,
Milano 1985.
40
Ibid.
48
che tenta di separare il nucleo positivo delle leggi
economiche dalle valutazioni di tipo morale, raggiunge il
culmine.
Con queste considerazioni e altre argomentazioni si arriva a
un punto di svolta per l'economia che sceglie di occuparsi
dei singoli individui in quanto se stessi e separati dagli altri e
di considerare soltanto le motivazioni riferite all'interesse dei
singoli (utilità ordinale). Pertanto il «consumatore razionale»,
«oeconomicus homo», non è più definito, in base alla dottrina
etico-filosofica, come colui che massimizza la sua utilità,
ma come chi è in grado di scegliere il «paniere preferito»;
sostituendo il termine di «utilità» con il termine di
«preferenza».
Per quanto riguarda il bene collettivo, secondo questa nuova
teoria economica, è «sufficiente che ogni individuo agisca
egoisticamente perché ne risulti il bene di tutti»41; quello che cambia
in caso di egoismo o altruismo è il modo con cui egli si
procura il massimo vantaggio.
Se nell'economia positiva dell'utilità (descrizioni di fatti,
circostanze, relazioni) l'approccio ordinalista è diventato la
pietra angolare della moderna teoria della domanda, nel
campo dell'economia normativa (giudizi di valore) esso ha
portato al rifiuto dei confronti tra le utilità di diversi
individui
e
conseguentemente
alla
sostituzione
dell'economia del benessere utilitarista (utilità sociale
intesa come la somma delle utilità individuali), con la nuova
economia del benessere, in cui il benessere sociale viene
misurato tramite un indice. L'indicatore del benessere
collettivo maggiormente usato è rappresentato dal reddito
41
Ibid.
49
nazionale lordo o netto. Tale grandezza, comunque, non
tiene conto di alcuni fattori quali la distruzione di risorse, la
dispersione di ricchezza nella distribuzione o la persistenza
di sacche di povertà: un aumento di reddito nazionale,
quindi, coincide con un aumento di benessere collettivo
senza introdurre altri giudizi di valore (Il PNL include molti
elementi che non portano un contributo evidente al
benessere individuale e sociale (comprende missili, ciminiere
che emettono ossido di zolfo ecc.), mentre esclude alcuni
elementi fondamentali per il benessere. Il PNL è un indice
difettoso del vero benessere economico di un paese.
Alcuni economisti negli Stati Uniti hanno tentato di
correggere il peso eccessivo che il PNL attribuisce alla
produzione lorda con una differente misurazione,
denominato Benessere Economico Netto (BEN), che tenga
conto del tempo libero del lavoro domestico, dei costi
dell'inquinamento, dei disagi della vita urbana ecc.42.
Pertanto nonostante la moderna scienza economica si sia
andata sviluppando senza far riferimento formale ad una
precisa etica filosofica e precettistica, non ha mai rinunciato
a far riferimento, in modo esplicito o tacito, a alcuni concetti
metafisici su cui l'economia è fondata, quali «utilità»
(valutazione soggettiva), e «valore» (valutazione oggettiva).
L'utilità, nella moderna teoria economica, è considerata parte
integrante delle scelte economiche dei soggetti, in virtù delle
quali essi tendono a procurarsi un piacere, un vantaggio, una
somma di felicità, o ad allontanare un dolore, un danno, uno
sforzo. L'utilità, dunque, non solo, entra nel discorso
economico, ma vi entra come una delle categorie centrali,
42
Cf. SAMUELSON - NORDHAUS, Economia, 4, 5, 112, 113.
50
una delle finalità dello stesso processo produttivo, infine
come una delle cause che determinano il valore di scambio o
prezzo dei beni: utilità e valore costituiscono, quindi, le
categorie fondamentali dell'attività economica in generale e
della condotta umana in quanto relazione fra scopi e mezzi
scarsi applicabili a usi alternativi.
b. Approccio moderno. - Sviluppando il discorso in questa
direzione, e arricchendolo di ulteriori informazioni, alcuni
economisti sono arrivati a concludere che in una visione
aggiornata della teoria utilitarista, si possono trovare
inglobati, in linea di massima, molti aspetti di moralità.
Sempre nella linea dell'approccio filosofico c'è chi sostiene
persino che l'emergere della moderna teoria delle preferenze
e delle decisioni ha reso l'etica una parte organica della teoria
generale del comportamento razionale. E ciò nella
considerazione che il concetto di comportamento razionale è
il vero fondamento delle discipline normative, della teoria
dei giochi (interazione razionale tra due o più individui), e
dell'etica, e che la stessa etica qui è considerata una teoria del
comportamento razionale finalizzato a massimizzare un
livello di utilità media di tutti gli individui della società.
Non manca chi propone un approccio alternativo, al
moderno utilitarismo, capace di fornire un resoconto
particolarmente plausibile della motivazione morale
nell'ambito dell'economia; sostenendo che l'utilitarismo,
come dottrina sociale e morale, manca di una psicologia e di
una politica, anche se esso è nato come una particolare teoria
psicologica e, in una certa misura, con un particolare
atteggiamento nei confronti della politica. Le domande che
ora richiedono urgentemente risposta dall'economia sono,
51
fra tante: «come ciascuno potrebbe vivere?», «come si potrebbe vivere
qui e ora e in un futuro prevedibile?», «di quali istituzioni avremmo
bisogno?». L'uomo di oggi ha bisogno di usare nozioni che
l'utilitarismo non può né maneggiare né spiegare43.
E se si ragionasse, più semplicemente, intorno al sistema
tradizionale della scienza economica, partendo dai suoi
attuali problemi, senza utilizzare né la dottrina filosofica
dell'utilitarismo, né la filosofia giuridica del contrattualismo,
si potrebbe arrivare a identificare l'etica di questa scienza?
Intendendo per etica, in questo discorso, la scienza
normativamente pratica. «Etica come conoscenza sistematica e
metodologica, razionale, delle leggi e della validità del comportamento
umano»44.
L'attuale scienza economica, sviluppandosi in questo
dopoguerra oltre ogni limite in una sofisticazione formale di
modelli matematici, rischiando di non essere di grande utilità
per politici e amministratori, manifesta un grave problema
prima di tutto di carattere conoscitivo (interpretazione della
sua economicità e del suo stesso oggetto formale), e nello
stesso tempo evidenzia l'esistenza di una spaccatura
abbastanza netta tra l'economia empirica o la politica
economica, da una parte, e la teoria pura dall'altra.
Affermando che l'oggetto formale dell'economia è l'attività
che l'uomo svolge nella modificazione del mondo perché gli
sia utile, è facile individuare i due termini che lo definiscono:
43
Uno strumento prezioso di riflessione e di studio è offerto da A.
SEN - B. WILLIAMS (a cura), Utilitarismo e oltre, ed. italiana a cura
di S. Veca, Milano 1990.
44
S. PRIVITERA, Etica filosofica ed etica teologica, in E.
COMPAGNONI - G. PIANA - S. PRIVITERA (a cura), Nuovo
Dizionario di Teologia Morale, Milano 1990, 359.
52
l'uomo, colto nella sua umanità in un particolare momento di
attività, per procurarsi determinati mezzi della vita, e di
attuale rapporto economico; e il fine, il quale è di più e
diverso dal fine di lucro dell'individuo: esso è invece la
realizzazione dell'esistenza per quel che dipende dalle
trasformazioni umane della vita. Un fine universale quindi:
costruire le condizioni esterne della vita, per la vita in sé, cioè
mia. tua. di chiunque (dimensione economica).
«E proprio questo laborioso ridurre la natura a umano valore, questo
fare la vita dalle cose, nell'impegno che ciò implica della persona in un
dato modo... che costituisce il vero scopo della scienza economica... E le
così dette preoccupazioni della vita in relazione ai mezzi di
sostentamento e agli sforzi quotidiani compiuti per liberarsene sono le
vicende su cui riflette il pensiero economico»45. E « . . . se tu osservi con
profondità questa attività economica, malfamata da un'opinione che la
vede consumarsi nel lucro, ti apparirà imperniata sul principio che tanto
più tu provvedi alla tua vita, quanto più utile ti rendi agli altri, quanto
più gli altri riconoscono l'utilità del tuo servizio e del tuo prodotto.
Come potremmo soddisfare le nostre esigenze molteplici e variabili, se gli
altri non ce ne apprestassero i beni? E come potremmo provvederci di
questi se non producessimo uno o più beni utili agli altri? Ma questo
«noi» e questo «altri» non sono distinzione di quell'unità che è la vita,
onde noi e gli altri siamo costruttori di essa?»46.
Quindi, affermando che il principio costitutivo dell'attività
economica sta nella necessità della costruzione dell'esistenza
umana, soggetto e oggetto dell'esperienza economica,
risulteranno individuati nella loro funzionalità due caratteri:
umanità e socialità, la cui conoscenza eviterà all'indagine
45
A. BERTOLINO, Principi, ideali e fatti di economia, a cura di G.
Becattini, Firenze 1979, 8.
46
Id.,9.
53
economica le astrattezze e l'unilateralità lamentata.
«Riscoprire questa umanità nei soggetti e nei beni (non cose) del
rapporto economico, è il compito di quanti abbiano sete di verità e
pensino di poterne attingere alla fonte inesauribile della vita»47, ed è
condizione necessaria perché si possa recuperare l'economia
nella sua concreta identità e unità e, nello stesso tempo, si
possa individuare il suo specifico ethos.
c. Rilievi conclusivi. - Partendo dal punto di vista che
l'economia concorre con le altre discipline allo sviluppo
dell'uomo globale, di cui esprime una proprietà essenziale,
quella di essere una creatura affetta da una quantità di
bisogni che richiedono mezzi per essere soddisfatti, si può
affermare che l'attività economica non può essere disgiunta
da postulati etici. L'uomo, soggetto agente di questa specifica
attività,
è
il
principio
fondamentale
dell'etica
normativamente pratica, e ogni suo comportamento, ogni
sua azione economica ha rilevanza etica, ne è la fonte.
L'economia, quindi, vanta un'anima etica che ben si
accompagna a quella fondata sul postulato scientifico che
propone criteri in qualche modo verificabili. L'ethos
dell'economia è un ethos distinto da quello delle altre
discipline, non separato (pluralità e non una babele di ethos).
E da questo ethos l'economia dovrebbe far scaturire il suo
codice etico: economia etica, e quello dell'economista48.
Potrebbero essere delineate almeno tre possibili proposte:
47
Ibid.
Su questo particolare argomento è necessario avere uno minimo
sguardo bibliografico:
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48
54
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56
- L’economia ha bisogno di confrontarsi con le istanze
etiche, presenti nelle concrete dimensioni economiche, per
poter essere realmente la scienza che studia il
comportamento umano come relazione tra obiettivi e
mezzi applicabili ad usi alternativi. - La scienza economica
è spesso legata ad una specifica forma ideologica. È
importante verificare quanto la forma ideologica cancelli, in
funzione economica, la prospettiva etica.
- L’economia è necessaria come fonte e via primarie
attraverso cui si concretizzano i valori, i diritti e le scelte
umanizzanti dell’etica.
In ragione di tali prospettive si crea un connubio
straordinario tra etica ed economia che genera la delicata
questione del progresso e dello sviluppo umano.
3. Etica e sviluppo. - Partiamo da una doverosa
premessa.
- I due termini in esame esprimono una notevole
complessità, che si va ulteriormente incrementando
nell’intreccio dei due orizzonti in esame.
- Ethos : condizione strutturale e strutturante l’essere e
l’esistere della persona, nel suo contesto sociale e relazionale:
carattere simbolico (cultura)-assiologico (valori morali)politico (organizzazione sociale)- culturale (tradizioni,
lingua..).
- Sviluppo : in senso lato - l’esigenza di un dinamismo che
richiede la consapevolezza della processualità e della
complessità della storia ; dell’articolazione dei singoli
elementi dello sviluppo nella valutazione prospettica e
globale ; una progressiva conoscenza dei modi e dei
57
paradigmi attraverso cui è possibile attuare scelte
nell’orizzonte dello sviluppo.
Ed ora è opportuno analizzare il rapporto tra le due
componenti.
a. Dimensione economica dello sviluppo. - molto spesso è
caratterizzata o da frammentazione dei diversi sistemi, o da
univocità dell’assunto economico nel contesto storico e
sociale dell’uomo. Ecco alcuni tratti problematici:
Una caratterizzazione solo economica dell’idea di sviluppo, come
ideologizzazione a svantaggio di una cultura. E’ invece
importante rispettare la multidimensionalità dell’uomo e
della sua storia. “Lo sviluppo della persona e della società – a
somiglianza della crescita organica di ogni vivente – implica molteplici e
convergenti fattori di ordine fisico, economico, psicologico, culturale, etico
e religioso. L’idea generica di sviluppo si collega necessariamente alle
dimensioni della persona, senza privilegiarne alcuna in particolare, ma
richiedendo – tenendo presenti i fini dell’uomo – di prenderle tutte in
considerazione, qualora si voglia programmare in modo armonico la
crescita del singolo e della comunità”49.
- Varie componenti e dimensioni, soprattutto
antropologiche, sono state disattese in favore di una
connotazione esclusivamente economica e materialistica che,
attuando un’etica propria, tipica del un sistema economico,
va alla ricerca solo dell’immediata quantificabilità dei risultati;
- Le teorie diverse economiche, con relative diversità di fini,
rendono per questo distinto il concetto di sviluppo da quello
di crescita.
49
G.MATTAI, Sviluppo, in Nuovo Dizionario di Sociologia, EP,
Cinisello Balsamo 1987, 2155.
58
- Da alcune teorie economiche (liberismo) matura il
convincimento che all’incremento dei beni economici
corrisponda ipso facto il progresso e la qualificazione dei vari
contesti di convivenza. Si deve, invece, optare per una
opportuna distinzione tra sviluppo-progresso-civiltà (Cfr.
S.S.Acquaviva, Una scommessa sul futuro. Sociologia e
programmazione globale, ILI, Milano 1971).
- L’esperienza storica rende ancor più evidente che arbitro
del sistema economico, e quindi di eventuali indirizzi, non è
di fatto il consumatore, ma le lobbies economiche, il cui
concetto chiave e fondante rimane il profitto. Questo va a
discapito di eventuali necessità sociali che, all’opposto,
hanno come prioritaria la prospettiva della persona.
- Si ipotizzano vari interventi di armonizzazione tra queste
due contrastanti condizioni: quello che prevede l’impegno
dello Stato, con carattere progettuale e non saltuario e
occasionale ; o anche l’intervento ispirato all’Affluent society e
al perfezionamento del Welfare State.
b. Limiti dello sviluppo (tesi apocalittica). - La complessità dei
problemi relativi alla logica di uno sviluppo che difficilmente
si articola in modo universalistico, e che invece si va sempre
più concentrando in zone ristrette del mondo, genera una
sorta di radicale sfiducia, provocando una riduzione del
concetto stesso di sviluppo e della sua progettualità. Anche
qui, si offrono alcuni spunti di riflessione che,
schematicamente, mostrano il quadro concettuale di questa
posizione.
La crisi della idea di sviluppo (rapporto del MIT) è data in
ragione della crescita esponenziale di cinque variabili :
59
popolazione-produzione
alimentare-industrializzazioneutilizzazione delle risorse non rinnovabili.
Influisce in questa crisi anche il ruolo della telematica e della
tecnologia : vi sono a disposizione immense possibilità, ma
sono spesso controllate da pochi e non sono fruibili per tutti.
In pratica : è necessario rifiutare una opposizione netta e
acritica all’idea di sviluppo, ma criticamente contrastare uno
sviluppo cieco, anarchico e incontrollato. Al posto della
religione
dell’espansione,
è
necessario
ipotizzare
un’espansione che tenga conto del criterio degli equilibri :
ecologici(mondo) e antropologici (comunità).
Il rapporto dell’MIT richiede, per questo, una riduzione
drastica della crescita della popolazione (ZPG : Zero
Population Growth) e dello sviluppo (ZEG : Zero Economical
Growth).
c. La risposta alla tesi apocalittica. - Varie ipotesi sono suggerite
per scongiurare una visione drammatica e riduttiva
(apocalittica), recuperando le possibilità di intervento e di
accurata, mirata finalizzazione dello sforzo umano nel
contesto sociale e ambientale.
Una prima proposta è offerta da Barry Commoner ( Cfr. B.
Commoner, Il cerchio da chiudere, Garzanti, Milano 1973). Egli
sostiene che non è in crisi l’idea di sviluppo, ma quella della
tecnologia, che ha spezzato il “cerchio della natura”. Alla
crescita zero sostituisce l’idea di una crescita ragionevole,
capace dare indicazioni (creando un paradigma) non solo
sulla quantità di vita, ma sulla sua qualità. E’ l’idea della
selezione delle tecnologie.
Una seconda da Alfred Sauvy. Afferma che le due sigle,
ZPG e ZEG, sono l’evidenza di pessime idee, su pessima
60
strada. Denota una inutile visione apocalittica che crea una
non accettabile contrapposizione con il concetto di
movimento, novità e crescita. Ironicamente sottolinea: al
veicolo che deve cambiare strada, non si può asportare il
motore50.
d. Aspetti umani (antropologici e dunque etici) dello sviluppo. - E’
questo il versante di collegamento critico su cui deve essere
possibile ritrovare, criticamente e ragionevolmente,
condizioni di armonizzazione di collimazione tra le
prospettive contrastanti dell’idea di sviluppo. Intanto, si deve
evidenziare che anche su questo versante il dibattito non è
meno serrato, soprattutto dopo la notevole spinta ottimistica
degli anni ’60. L’idea di sviluppo, verificata nelle sue
componenti antropologiche e liberata dalla eccessiva
caratterizzazione di tipo utilitaristico, meccanicistico e
materialistico, entra a pieno titolo nel panorama delle scienze
umane e storiche.
Grande rilievo al lavoro di ricerca di questo strutturante
rapporto tra etica e sviluppo è dato dal Centro Economie et
Humanisme di Louis Lebret (Cfr. L.J.Lebret, Dynamique
concrète du développement, Paris 1965). Si criticano i criteri
esclusivamente economici e meccanicistici dell’idea di
sviluppo, per rapportarla poi alla concezione dello
“sviluppo organico del vivente” ;
In ragione di questa posizione avviene un cambiamento
prospettico: dalle sole teorie economiche, fondamentalmente
astratte e predeterminate, si passa ad una valutazione che ha
il carattere della interrelazione (implicanza di altre scienze quali
50
Cfr. A. SAUVY, Crescita zero?, Garzanti, Milano 1974.
61
la sociologia, la psicologia, la cosmologia, l’antropologia...).
L’idea di sviluppo, per una sua autentica e reale valutazione,
deve essere correlata a quella di uomo-storia-mondo. “I
fattori umani appaiono allora altrettanto essenziali, se non più dei
fattori economici. Disgraziatamente essi sfuggono e
sfuggiranno per molto tempo ancora alla semplificazione dei
modelli economici, pure necessari, il cui reale significato è
velato però dalla opcità del contesto umano. Di
conseguenza, soltanto a poco a poco gli specialisti dello
sviluppo danno ad esso tutte le sue dimensioni”.
Dunque, una nozione armonica e organica di sviluppo
implica, necessariamente, radici e prospettive etiche :
- Il rispetto attivo di ogni persona (realtà non astratta, ma radicata
in un vissuto storico e ambientale), e la volontà di perseguire
la logica del bene comune, consentono di poter riequilibrare
l’avere di più con l’essere di più, e così giungere ad uno sviluppo
che coinvolga e riguardi tutti (non commisurato solo sulla
società opulenta). “L’operazione sviluppo diventa così la
serie dei passaggi, per una popolazione determinata e per
tutte le frazioni che la compongono, da una fase meno
umana ad una fase più umana, al ritmo più rapido possibile,
al costo meno elevato possibile, tenuto conto dei legami di
solidarietà tra le sotto-popolazioni e le popolazioni”.
- Questa definizione del Lebret, che implica tratti socioantropologico-culturali dello sviluppo, tende ad una sua
valutazione sostanzialmente etica e ne determina il
fondamento, la metodologia e la meta: l’elevazione umana
della qualità della vita per singolo e per tutti.
- Inoltre, include in essa tutti gli elementi che lo sviluppo
esige: tecnica-telematica...; ma pone al centro della sua
logica, sempre e comunque il soggetto dello stesso sviluppo:
62
la persona umana. Il problema dello sviluppo diventa il
problema della civiltà. (Cfr. L.J.Lebret, L’economia a servizio
dell’uomo, Città Nuova, Roma 1969).
e. Alcune tracce di riferimento per un approccio etico. - Solo
schematicamente, è possibile fare riferimento a particolari
condizioni che leggono come complementari i versanti a
confronto.
Non si deve separare l’economico dall’umano : lo svilupponon
è semplice crescita economica ; deve avere carattere
autentico e integrale ; suo fine è e deve rimanere la
promozione umana (Populorum Progressio di Paolo VI).
La pista di J.M.Aubert : dal punto di vista antropologico, l’uomo
è chiamato a progredire, e il suo sviluppo deve avere il
carattere integrale, sia a livello individuale, sia a livello
comunitario ; dal punto di vista strettamente etico, lo sviluppo è
naturale e culturale, in quanto è generale, unitario e solidale ; questo
crea una strutturale implicanza tra sviluppo e solidarietà universale ;
nel concetto di dimensione solidale dello sviluppo ( come
criterio etico) sono però possibili dei rischi di eccessivi
pendolarismi tra i vari elementi o tra le componenti che
caratterizzano un processo evolutivo (fattore demografico,
produzione, imprenditoria, capitale ; Stato, progresso
tecnico, risorse naturali, commercio, distribuzione dei beni).
Questi rischi devono essere accuratamente vagliati51.
Concludendo : Lo sviluppo non è semplice determinismo che
basterebbe abbandonare alla sua forza d’inerzia perché dia
Cfr. J.M.AUBERT, Per una teologia dell’epoca industriale,
Cittadella, Assisi 1973; H. ASSMANN, Teologia della prassi
dell’epoca industriale, Cittadella, Assisi 1974.
51
63
dei buoni risultati; è piuttosto un processo globale che
coinvolge direttamente tutto l’uomo, come essere responsabile e
libero, soggetto e insieme oggetto, e perciò processo che
impone all’uomo di assumerlo direttamente. Dire che lo
sviluppo è al servizio dell’uomo equivale a dire che esso ha
senso soltanto se viene visto in una prospettiva etica: di qui
l’importanza, sempre più unanimemente ammessa, della
pianificazione o programmazione dello sviluppo, la quale
dovrà allora venire subordinata anche al campo politico52.
Come si vede le implicazioni etiche sono tali da impedire
l’omologazione dei due termini nel ristretto spazio
autonomistico del proprio orizzonte descrittivo :
- lo sviluppo, in quanto progresso (economico o tecnico
scientifico), non può crearsi una propria ed esclusiva
dimensione etica: sarebbe un corto circuito, un circolo
vizioso in cui l’economia o la tecnica creano i propri valori e
diventano valore di se stesse;
- l’etica non può ridursi ad una enunciazione di valori, più o
meno riconoscibili nella loro oggettività e universalità, o di
una serie di regole che prescinda dalle necessarie implicanze
con la realtà dell’uomo e del mondo. Questa attenzione ai
fatti non deve però condurre ad un’etica della situazione o al
semplice principio del male minore ;
- alla fine, etica e sviluppo sono coniugabili unicamente su
un unico terreno : la persona umana e la sua qualificazione
come persona comunitaria: soggetto costitutivamente
relazionale e in strutturale connessione con l’altro e il
mondo.
52
Cfr. J.M.Aubert, op.cit..
64
- Tra etica e sviluppo si iscrivono i valori ineliminabili
dell’heideggeriano “aver cura” che sarà riconoscibile in quei
valori sociali dell’etica che sono: responsabilità-sussidiarietàsolidarietà.
f. ETHOS DELLA PERSONA E SVILUPPO SOSTENIBILE

LA PERSONA È UN SOGGETTO RELAZIONALE

L’IO
Corporeità
Coscienza
Intenzionali
tà

L’ALTRO
Il Tu
La Società

IL
MONDO
Ambiente
65

Territorio
Cultura
Tradizion
i
Lingua
Valori
VALORE ASSOLUTO DELLA PERSONA
NEL QUADRO INCLUSIVO
DELLE SUE RELAZIONI

ANTROPOLOGIA
ASIMMETRICA
DIFFERENZIATA

ORIENTATA ALLA
UMANIZZAZIONE
L’èthos della persona
ETHOS
COME

COLLO
CAZIONE
(Ethous)

ambiente
contesto

NORMA
RIFERIMENTO DI
VALORI
66




PERSONALI
Dignità
Libertà
Responsabilit
à




SOCIALI
Responsab
ilità
Solidarietà
Sussidiariet
à
MISURA DI RELAZIONE
COSCIENZA

DEL RAPPORTO CON
ALTRO-SOCIETA’-MONDO

IN QUESTA COLLOCAZIONE SI QUALIFICA (MISURA) IL
TIPO DI RELAZIONE (IN RAGIONE DEI VALORIORIENTAMENTO DELLA VITA-POSSIBILITA’ TECNOSCIENTIFICHE E CULTURALI)
SVILUPPO E SOSTENIBILITÀ
SVILUPPO



espressione


espressione
67
DI LIBERTÀ

Modificazioni
Progresso
Vitalità
Personalizzazione
Massimizzazione

DI RESPONSABILITÀ

Valutazione
del criterio di libertà in
ragione del contesto
e delle possibilità
(sociali-economichetecnologiche- culturali)

SOSTENIBILITA’



APPLICAZIONE DELLA DINAMICA LIBERTA’RESPONSABILITA’ IN RAGIONE DELL’ETHOS
(COLLOCAZIONE-RELAZIONE) E DI ALCUNI
PARAMETRI.

SOSTENIBILITÀ
1.
RISPONDE AD ESIGENZE DEL PRESENTE SENZA
COMPROMETTERE QUELLE DELLE GENERAZIONI FUTURE
2.
TIENE CONTO DI VARIE DIMENSIONI
-
ECOLOGICA
SOCIO-CULTURALE (ETHOS-ETHOUS)
ECONOMICA
68
3.
TECNO-SCIENTIFICA
BASATA SULLA “RETINITÀ” NET (RETICOLARITÀ)
(.KORFF): insieme di relazioni – interdipendenza delle diverse
dimensioni
PERSONALI – SOCIALI – AMBIENTALI

DIGNITÀ – SOLIDARIETÀ – SUSSIDIARIETÀ

SOSTENIBILITÀ
CONSIDERA L’INSIEME
E IL RAPPORTO
GLOBALE-LOCALE

VALUTANDO LA REALTÀ (possibilità/crisi)
LA DINAMICA (POSITIVA/NEGATIVA)
DEL RAPPORTO PERSONA/SOCIETÀ/AMBIENTE
EVITARE DUE FACILI ERRORI:
-
esprimere buone intenzioni senza spiegare come si
può promuovere lo sviluppo
sembra che l’esaudimento dei bisogni desideri sia
sostenibile in un futuro non precisato
UN SERIO ESAME DELLA SOSTENIBILITÀ DEVE ESSERE
VAGLIATO IN UN CONTESTO DI INCERTEZZA
“le generazioni future dovrebbero essere compensate
per la riduzione delle dotazioni di risorse causata dalla
69
attività delle generazioni presenti” (Pearce, 3).
ogni generazione dovrebbe lasciare a quella successiva
una dotazione di risorse rinnovabili che abbiano lo
stesso valore di quella ereditata
IN RAGIONE

-
CRESCITA DELLA POPOLAZIONE
MODIFICAZIONE DEL VALORE DELLE RISORSE
-
CAPACITÀ TECNOLOGICO-SCIENTIFICA
SITUAZIONE ECONOMICO-CULTURALE
-

ricerca di strategie appropriate
valutare la probabilità degli eventi
verificare ciò che ha valore e ciò che non lo ha
creare coerenza tra dimensione economica-scientificaculturale
CONSIDERAZIONI
SOCIETÀ DEVE (ETICA) DIVENIRE  comunitaria

 intergenerazionale

------- DOVERI PERSONALI
------- RESPONSABILITÀ VERSO IL BENE COMUNE

EDUCAZIONE dell’opinione pubblica (mentalità diffusa)
-
DENUNCIA DELLE DISFUNZIONI
– comportamenti che

70
inaspriscono i problemi denunciati (ecologia-povertà…)
1.
2.
-
CATTIVI COMPORTAMENTI
aspetti emozionali
rifiuto dell’incertezza (desiderio di essere garantiti su tutto e
contro ogni rischio)
VALUTAZIONE DELLA PRIORITÀ TRA BISOGNI E DESIDERI
(CULTURA MIRATA E ARMONICA)
1.
2.
CONTROLLO DI DUE LIMITI
disattenzione per le conseguenze future
irreversibilità degli effetti dell’azione umana sulle risorse e sulla
natura
SOSTENIBILITA’ E SVILUPPO UMANO
Lo sviluppo tende a superare:
-
-
la pura estrapolazione (passatpo-presente) di tendenze
(qualità/quantità)
utopia (distacco dalla realtà)
esige un progetto determinato in base a valori prescelti
71
la cui sostenibilità è verificata dalla coerenza dei valori
e dalla analisi delle tendenze
mirando
alla soddisfazione dei bisogni e delle aspirazioni della
generazione presente, senza compromettere la capacità
di soddisfare quelli delle generazioni future
valutando questa definizione in un contesto di
complessità e di grande disparità economico/sociale
Dunque
-
-
uno sviluppo da misurare non solo in chiave economica
o nel suo prodotto ((PNL) o nel reddito pro capite. Questi
elementi sono solo una parte della realtà dell’uomo
sostenibilità non solo in termini ambientali, ma anche
umani e sociali
valutazione della vita nella sua interezza e non solo in
ragione del benessere materiale (civiltà/civilizzazione)
valutare la diversità di persone/culture/situazioni per
poter parlare di sostenibilità in senso pieno
diritto alla vita di tutti e di ognuno
PER
-
evitare disparità
consolidare la responsabilità di ognuno nelle scelte del
presente
per verificare (prognosi) se tali scelte possono essere
72
confermate da altri e in altre situazioni nel futuro ( chi segue
non deve dilapidare parte delle proprie risorse per correggere
i guasti provocati
5. Varietà di modelli etici.
UMANISTICI
L’uomo virtuoso L’uomo del dovere L’uomo nuovo
ideale elitario per il
Ideale illuminato
ideale
cittadino civilizzato
per l’uomo
rivoluzionario
(Aristotele)
autonomo (Kant)
per l’uomo
alienato (Marx)
PRAGMATICI
73
L’uomo stoico
L’uomo del
L’uomo
provvisorio
utilitarista
ideale ascetico per Ideale per l’uomo ideale
l’uomo calato nella del dubbio
individualista
sofferenza
(Cartesio)
per
(Epitteto)
l’atteggiamento
conservatore
(S. Mill)
ANTIUMANISTICI
Il superuomo
L’uomo scientifico
Ideale aristocratico Ideale positivista
per l’affermazione
(Monod)
della potenza e della
volontà
(Nietzche)
CAPITOLO TERZO
Elementi sistematici
Ideali sociali
aristocratico,
democratico,
liberale,
fascista,
socialista
74
SOMMARIO:
1. La questione del fondamento. - a. Il punto della
riflessione; b. Prospettiva teoretica; c. Le domande; d. Le Proposte
dell'Unesco. – 2. La persona fondamento dell’ethos. 3. Una definizione
di persona.- 4. Il soggetto e l’identificazione dell’ethos. - 5. Principi etici
personali e sociali. – 6. Dimensione sociale dell’ethos.
1. La questione del fondamento. - a. Il punto della riflessione.
- «Rabbi Hanoch raccontava: c'era una volta uno stolto così
insensato che era chiamato il Golem (stupido, uomo senza
intelligenza). Quando si alzava al mattino gli riusciva così
difficile trovare gli abiti che alla sera, al solo pensiero, spesso
aveva paura di andare a dormire. Finalmente una sera si fece
coraggio, impugnò una matita e un foglietto e, spogliandosi,
annotò dove posava ogni capo di vestiario. Il mattino
seguente, si alzò tutto contento e prese la sua lista: 'Il
berretto: là' e se lo mise in testa: 'I pantaloni: lì', e se li infilò;
e così via fino a che ebbe indossato tutto. 'Sì, ma io dove
sono?- si chiese all'improvviso in preda all'ansia- dove sono
rimasto?'. Invano si cercò e ricercò: non riusciva a trovarsi.
Così succede anche a noi, concluse il Rabbi»53.
Questo breve racconto, ripreso da Martin Buber, rende il
senso del disorientamento che si insinua ormai in tutti gli
ambiti del nostro mondo vitale: diverse scienze specialistiche
coprono oggi quelle che erano le nudità della nostra
ignoranza e della nostra impotenza,
ma abbiamo
dimenticato troppo spesso che il senso dei vestiti è quello di
riscaldare l'uomo.
53
Martin BUBER, Il Cammino dell'uomo, Edizioni Qiqajon.
Comunità di Bose 1990, pp.47-48.
75
Etica e sociologia, etica ed economia, etica e sviluppo; risulta
ormai evidente la necessità di definire un piano di confronto
critico fra la prospettiva etica ed i vari ambiti scientifici del
sapere umano: di ritrovare cioè l'uomo sotto tutti i vestiti
nuovi che abbiamo creato, che a volte lo nascondono
quando non rischiano di soffocarlo. Interlocutore
irrinunciabile per ogni progresso che voglia essere realmente
«a misura d'uomo», l'ethos si propone come esponente
principale dell' «ambiente uomo», base concreta e punto di
riferimento teorico per la fondazione antropologica ed il
reale progresso di tutti i diversi ambiti del nostro mondo di
vita. Ma, se ormai chiara è la necessità di istituire un dialogo
critico e proficuo, meno evidente è il piano sul quale
intavolare il confronto, confuse e contraddittorie le proposte
tematiche, molto discusse anche le procedure
metodologiche, come dire: basterà un foglietto per ricordarci
dove abbiamo lasciato l'uomo? Scriveremo della testa, del
cuore o di tutto il corpo? Basterà un semplice appunto o
dovremo usare una formula matematica?
b. Prospettiva teoretica. - Due premesse di carattere teoretico
sono necessarie per dare le coordinate della nostra
riflessione.
- La questione etica è la questione del fondamento etico.
Come scrive Walter Schulz: «la discussione dell'etica va
svolta sotto l'aspetto filosofico, nel senso di un
procedimento circolare, cioè di una esplicazione critica della
propria autocomprensione etica»54, ossia ogni discussione
54
Walter SCHULZ, Le nuove vie della filosofia contemporanea. Vol.
5. Responsabilità. p.108.
76
sulle ragioni ed il senso dell'etica è come un cane che si
morde la coda. Se infatti essa dovrà fornire un fondamento, un
punto di riferimento critico per tutte le altre scienze,
interrogarsi sul suo proprio fondamento vuol dire cercare il
fondamento del fondamento, dove cercare una base
d'appoggio non significa più guardarsi indietro, ma guardarsi
dentro.
- La questione etica è ambivalente. Da ciò deriva il carattere
peculiare di ogni agire etico che è sempre insieme soggettivo
ed oggettivo, fondato e fondante, libero e responsabile.
Ovvero, fondato nella assoluta libertà di una scelta di
coscienza e determinante nelle sue conseguenze per il
contesto storico pratico su cui si interviene. Fondato in se
stesso per fondare gli altri, ogni agire etico, ogni teoria etica,
ogni prospettiva etica, si svolgerà sempre su due livelli: uno
interno di definizione dei principi, uno esterno di
valutazione delle azioni.
A partire da questa considerazioni possiamo dunque
chiederci:
Qual è il fondamento dell'etica? Come possiamo
determinarlo? Ovvero:
Se l'etica deve assumere il ruolo di «coscienza critica»
di ogni tipo di progresso scientifico e tecnologico, di ogni
progettualità economica e politica, di ogni realtà ambientale
e sociale: quale sarà la coscienza critica dell'etica?
Come determinare il cuore di questa proposta di
rinnovamento, il nucleo di senso di questa nuova esigenza, il
punto di prospettiva di questa riflessione critica, che deve
andare ad incidere sulle altre scienze?
c. Le domande. -
77
Su queste domande di fondo, mille altre fioriscono ad
indicare i tanti luoghi oscuri di un campo che l'uomo non ha
mai conquistato completamente, perché ogni generazione ha
il compito di compiervi nuovi passi: la verità su se stesso.
Proviamo dunque a coordinarle in tre principali filoni di
ricerca e, seguendo il filo delle domande cercheremo una
strada per le risposte, che non sono mai già date ma sempre
ancora da cercare. Ad ogni gruppo di domande seguono
quindi brevi riflessioni per avviare la ricerca.
- Un primo ordine di riflessione riguarda il tema della nostra
ricerca.
E' possibile un fondamento etico universale? Una proposta etica valida
per tutti gli uomini, in tutti i tempi, per tutte le circostanze?
A partire dalla concreta realtà storica, come si può raggiungere l'unità e
valorizzare le differenze? Come raccogliere la saggezza e rispettare le
tradizioni?
La possibilità dell'etica si fonda su un rapporto ininterrotto in
cui l'uomo sta rispetto ai suoi simili ed alle cose del mondo.
Questa struttura dialettica della realtà, che è interazione di
soggetto ed oggetto, fa sì che l'uomo determina e forma
l'accadere quanto ne è formato e determinato. Proprio
perché il mondo è lo spazio aperto della libertà, in cui
l'uomo si orienta con la conoscenza per potervi incidere con
l'azione, esso fonda la possibilità di una prospettiva etica. Ma
la realtà come connessione dialettica non fonda solo la
possibilità dell'etica, bensì la sua necessità. L'uomo non
sarebbe in grado di vivere se non si costruisse il proprio
mondo con la conoscenza e con l'azione e non si può
intraprendere questa costruzione senza un orientamento
etico. «L'etica non è un lusso estraneo alla vita, come in parte
si pensa oggi, ma una dura necessità. Senza un orientamento
78
normativo della sua azione in vista del comportamento degli
altri e verso gli altri non può esistere.»55
- Il secondo ordine della riflessione riguarda il livello della
nostra ricerca.
Ammesso che sia possibile; come bisogna pensare un fondamento etico
universale: come un accordo di principio sui metodi o come un accordo di
fatto sui contenuti? Come è possibile inoltre coordinare il piano della
prospettiva etica, libera e non-imponibile, con quello della legalità,
determinata ed imposta?
La possibilità e la necessità dell'etica non sono un mero
«dato antropologico» da esaminare nelle sue cause e
conseguenze, perché questo significa mettere tra parentesi
ogni impegno morale concreto che si estende anche a me ed
alla mia situazione storica. «Va detto espressamente che
un'indagine storico-empirica va superata ed ampliata per
mezzo dell'<<autoimpegno della persona>> se si vuole
comprendere adeguatamente la possibilità e la necessità
dell'etica.»56
- Infine, livello determinante per la riflessione è il metodo
della nostra ricerca.
Ammesso che sia possibile e realizzabile; da chi deve essere stabilito un
fondamento etico universale: da uomini politici e diplomatici, da filosofi
e rappresentanti delle diverse religioni o da uomini comuni? E come
infine rendere efficace una tale proposta etica: con leggi, statuti e decreti
o nuovi programmi di educazione e formazione?
La possibilità e la necessità dell'etica indicano insieme il suo
limite e la sua grandezza. Scienza oggettiva con conseguenze
storico-pratiche rilevanti, non può avvalersi di una
55
56
Ib. p. 109.
Ib. p. 110.
79
metodologia neutrale e tecnica. Se universale nei suoi
principi, essa è estremamente soggettiva ed affidata al libero
impegno del singolo per la sua attuazione pratica o,
viceversa, determinata nelle sue proposte tematiche, essa è
affidata a comunità religiose che sanciscono l'osservanza di
specifici precetti.
Come si può notare, ciascun gruppo di domande presenta
uno slittamento semantico dovuto alla duplicità della
prospettiva etica che abbiamo precedentemente sottolineato;
ogni domanda esprime il senso di una ricerca che è necessità
di una fondazione interna prima di poter essere base
d'appoggio per il mondo esterno.
d. Le Proposte dell'Unesco. - Per rispondere a questa sempre più
pressante richiesta di senso ed offrire proposte concrete che
servano ad arginare il disorientamento dilagante, l'UNESCO
ha già promosso due conferenze mondiali sul Progetto per
un'Etica Universale: la prima a Parigi nel marzo del 1997 e
la seconda a Napoli nel dicembre dello stesso anno.
Diversi ed autorevoli i contributi di storici, filosofi e teologi
che si sono confrontati nel tentativo di delineare almeno un
piano comune sul quale venirsi incontro. Se Karl Otto Apel
e Ioanna Kucuradi sostengono l'importanza di una teoria
della fondazione critica dei principi etici, ponendo l'accento
sulla legittimità epistemologica di norme universali, Hans
Kung e Samuel Fleischacker insistono sulla necessità di un
accordo politico concreto, una proposta pratica che nasca
dalla convergenza dei diversi movimenti religiosi e gruppi
sociali su un minimo comune denominatore di idee etiche
che possano essere accettate e sostenute da tutti i credenti ed
anche dai non credenti; mentre Henri Atlan e Vittorio Hosle
80
centrano la loro riflessione sui diversi criteri metodologici
che consentano di passare dal livello descrittivo a quello
prescrittivo, per coniugare la ricchezza e l'estensione dei
giudizi morali con l'efficacia e la puntualità delle norme
legali.
Ma, pur nella diversità di prospettive e di proposte una linea
interpretativa è emersa in modo rilevante, quasi a costituire il
filo rosso che apre e guida in un unico orizzonte di ricerca:
dopo l'era dei diritti è questa l'era delle responsabilità.
Troppe volte gli uomini hanno fatto valere i propri diritti gli
uni contro gli altri come arma di offesa più che come scudo
della dignità umana, è giunto il momento di affiancare alla
dichiarazione dei Diritti Umani una dichiarazione delle
Responsabilità Umane; se i primi sono ancora da difendere
in tante parti del mondo, è perché quasi mai sono affiancati
da una profonda coscienza delle seconde.
Difficile e complessa è tuttavia la strada di definizione di
queste responsabilità, a causa dell'evoluzione storica di
questa idea. Secondo il suo significato originario, il concetto
di responsabilità caratterizza un fatto che va al di là della
sfera del singolo individuo. Alla responsabilità appartengono
due o più persone. Io sono responsabile di fronte ad un altro
per le mie azioni ed omissioni, perché quest'altro ha in certo
modo diritto su di me (lì dove inizialmente l'Altro era Dio) .
Con il processo di secolarizzazione, questa idea del legame
interpersonale decade fino ad estrapolare lo stesso concetto
di responsabilità dal piano morale per collocarlo
esclusivamente al livello giuridico. «Il concetto fondamentale
dell'etica nel pensiero contemporaneo è diventato quello di
autonomia. (…) L'atteggiamento etico viene limitato al
riferimento morale del singolo a se stesso. Non è decisivo il
81
riferimento esterno dell'agire, ma l'intenzione di colui che
agisce «57. Questa interiorizzazione dell'etica si ripercuote sul
fatto che il termine responsabilità è applicato esclusivamente
alla dimensione esteriore della legalità, diventando spesso
sinonimo di «competenza» o «colpa».
A fronte di questa diffusa comprensione del termine è
necessario un accurato lavoro ermeneutico che possa riunire
nell'idea di responsabilità quelli che sono i due aspetti
caratteristici del fondamento etico: la possibilità di
rispondere per sé e per gli altri. La responsabilità è etica se
liberamente assunta, essere responsabili vuol dire assumersi,
coscientemente e consapevolmente, le proprie responsabilità.
Dopo un'umanità liberata, o accanto ad essa, è ora il tempo
di un'umanità responsabile, capace di creare il suo futuro.
«Rabbi Shneur Zalman era stato calunniato presso le autorità ed era
stato incarcerato a Pietroburgo. Un giorno, mentre attendeva di
comparire davanti al tribunale, il comandante delle guardie entrò nella
sua cella. Di fronte al volto fiero ed immobile del Rav che, assorto, non
lo aveva notato subito, quest'uomo si fece pensieroso e intuì la qualità
umana del prigioniero. Si mise a conversare con lui e non esitò ad
affrontare le questioni più varie che si era sempre posto leggendo la
Scrittura. Alla fine chiese: Come bisogna interpretare che Dio
Onnisciente dica ad Abramo: Dove sei? Credete voi- rispose il rav- che
la Scrittura è eterna e che abbraccia tutti i tempi, tutte le generazioni e
tutti gli individui? Si, lo credo- disse. Ebbene- riprese lo zaddik- in
ogni tempo Dio interpella ogni uomo: Dove sei nel tuo mondo? Dei
giorni e degli anni a te assegnati ne sono già trascorsi molti: nel
frattempo tu fin dove sei arrivato nel tuo mondo? Dio dice, per esempio:
ecco, sono già quarantasei anni che sei in vita. Dove ti trovi? All'udire
57
Ib. p. 119.
82
il numero esatto dei suoi anni, il comandante si controllò a stento, posò
la mano sulla spalla de Rav ed esclamò: Bravo! Ma il cuore gli
tremava»58
2.La
persona
come
fondamento
dell'ethos.
L'interpretazione assiologica della persona si trova al centro
della discussione tra etica e le varie scienze umane59. Il
discorso sull'etica sociale - il minimo morale comune
all'interno del pluralismo dei progetti morali esistenti nella
società democratica - si muove entro l'orizzonte segnato
dall’accettazione del valore assoluto della persona. Senza
questo presupposto la stessa nozione di etica sociale sarebbe
priva di significato.
Coerentemente con le formulazioni e la giustificazione
dell'etica sociale ci soffermeremo, qui di seguito, su ciò che
viene considerato il nucleo assiologico dell'etica razionale: il
valore assoluto dell'uomo. Tale affermazione che contenuto
etico racchiude? In quale misura rappresenta l'assunto
centrale dell'etica sociale? Esistono vari procedimenti per
giustificare razionalmente il valore assoluto della persona, e
tra questi ricordiamo i seguenti:
1. ricorso alla constatazione storica:
diverse prospettive (lo
stoicismo, il kantismo e il marxismo) si uniscono
nell'affermazione del valore assoluto dell'uomo come
base della struttura e del contenuto della realtà etica.
58
Martin BUBER, op. cit. pp. 17-18.
M.VIDAL, Etica civile e società democratica, SEI, Torino 1992,
pp.65-84.
59
83
2. Appello alla sensibilità di oggi: constatando come
l'orientamento antropologico della cultura moderna
abbia generalizzato il primato assiologico della persona.
3. Proposta di una giustificazione formale: cercando di stabilire
una cornice concettuale in cui la fondazione del valore
assoluto dell'uomo sia adeguatamente inserita all'interno
della riflessione razionale.
Queste tre modalità hanno chiara validità critica, intanto è
necessario integrarle
su presupposti e ragionamenti
strettamente razionali. Se la proposta raggiunge la criticità
richiesta la possibilità di giustificare razionalmente il valore
assoluto della persona acquisisce validità.
La giustificazione del valore assoluto della persona avviene
in due momenti complementari:
- uno di carattere ontico (persona legata alla realtàfenomenologia);
- l'altro di carattere esplicitamente etico (dimensione personale e
relazionale).
In questo modo ontologia ed etica si uniscono per
affermare criticamente il valore assoluto dell'uomo.
A. Nel primo elemento: per poter parlare criticamente del
valore morale della persona è necessario stabilire come
punto di partenza l'affermazione della sua consistenza ontica
come soggetto. Tale interpretazione viene definita
«personalistica» o «umanistica». Il termine personalismo
84
viene usato per indicare ogni tendenza mirante a dare un
fondamento teorico alla realtà mediante l'affermazione del
valore autonomo e assoluto dell'uomo.
In alcuni ambienti intellettuali, di impegno sociale, la
pretesa di formulare un'interpretazione della realtà basata sul
fondamento dell'«umanesimo «, del « personalismo», o del
«valore dell'uomo» viene accolta con grandi riserve. La crisi
del personalismo si colloca nell'ambito più vasto della
cosiddetta «morte dell'uomo». Considerando la scomparsa
dell'uomo dall'orizzonte delle scienze positive e tenendo in
conto la disumanizzazione del nostro mondo tecnicizzato,
alcuni insigni rappresentanti dello strutturalismo (Foucault,
Levi-Strauss) é dell'interpretazione non umanistica del
marxismo (Althusser) parlano dell'uomo come di
un'invenzione recente o di un «mito filosofico».
Secondo un'interpretazione scientifico-positivistica il termine
« uomo « è privo di un significato reale: partendo dall'uomo
non si può costruire un edificio assiologico così come
pretendono varie forme di umanesimo, e a un'identica
conclusione giunge anche lo strutturalismo, che considera
l'uomo sostegno delle strutture. Dal canto suo,
l'interpretazione scientifica del materialismo storico (come
quella di Althusser) rélega tutte le considerazioni umanistiche
al regno delle ideologie, poiché l'uomo viene ridotto al
complesso delle relazioni sociali. A queste correnti di
pensiero bisogna aggiungerne altre che derivano da una
85
determinata interpretazione della condotta umana: nella
psicologia di Skinner, per esempio, l'individuo, in quanto
origine e meta dei valori, resta al di fuori di qualunque
considerazione scientifico-tecnologica della condotta umana,
soggetta al gioco variabile e manipolabile del
condizionamento operante.
La diffidenza nei confronti dei sistemi assiologici basati
sull'umanesimo e sul personalismo deriva dal discredito del
pensiero esistenzialista. Dopo il predominio della « moda
esistenzialistica «, durante il quale le domande ruotavano
attorno ai «problemi» della finitudine, della libertà, della
morte, ecc., segue l'orizzonte del pensiero dialettico, che
privilegia le mediazioni sociali dell'esistenza storica
(mediazioni non privatizzate, mediazioni politiche,
mediazioni della condizione pubblica, critica, prassica e
utopica dell'esistenza umana).
In concordanza con la critica mossa all'interpretazione
personalistica in generale, il personalismo etico concreto
viene giudicato un fattore «reazionario», «apolitico» ed
«ideologico «. Si afferma che il linguaggio morale
personalistico è suscettibile d'essere colmato dai contenuti
più diversi».
Ma nella storia occidentale il valore della persona
costituisce il nucleo primario delle principali visioni del
mondo; basta citarne tre: quella stoica, quella kantiana e
quella marxiana.
86
1. Lo stoicismo, seguendo un itinerario singolare («omologia
« con la natura, «apatia» e «atarassia» come modello di
vita, ecc.), culmina in un umanesimo di grandi qualità.
L'uomo non si sente cittadino esclusivamente di una
città, ma dell'umanità intera; «dato che sono Antonio la mia
patria è Roma; ma siccome sono un uomo la mia patria è il
mondo» (Marco Aurelio). Così nasce il concetto di
humanitas come ambito adeguato alle relazioni
interpersonali (anche se tra padrone e schiavo) e con il
mondo.
2. Nel vasto e profondo sistema kantiano, la persona umana
rappresenta il centro di tutti i valori. Il valore morale è un
qualcosa che appartiene all autonomia dell'uomo. Il
contenuto della bontà morale è costituito dall'operare
coerente della volontà in rapporto alla realtà dell'essere
umano. Nella seconda formulazione dell'imperativo
categorico si trova la valutazione più importante
dell'uomo: « agisci in modo tale da usare l'umanità, nella tua
persona o in quella degli altri, sempre come un fine e mai come un
mezzo». Secondo Kant l'uomo è un fine in sé e come tale
deve essere trattato. Dalla considerazione di ciascun
uomo come un fine in sé nasce il « regno dei fini «.
3. Pur partendo da presupposti diversi, anche Marx basa lo
spirito etico del suo pensiero sul valore dell'uomo. La «
deformazione « dell'uomo causata dall'alienazione viene
descritta da Marx come il rovescio della dignità umana.
87
«Certamente il lavoro produce meraviglie per i ricchi, ma produce lo
spogliamento dell'operaio. Produce palazzi, ma caverne per
l'operaio. Produce bellezza, ma deformità per l'operaio. Esso
sostituisce il lavoro con le macchine, ma respinge una parte dei
lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l'altra parte.
Produce spiritualità, e produce l'imbecillità, il cretinismo
dell'operaio». Nel corso della sua produzione - nelle opere
giovanili come in quelle della maturità - Marx intravede
la società futura nella quale vivrà l'uomo che egli
definisce «nuovo», «totale», «pieno», «ricco», «universale»,
«completo», «multilaterale», ecc. Quest'uomo futuro, che
rappresenta la dignità umana positiva, è il fine di tutte le
lotte per l'emancipazione dell'essere umano.
Il riferimento a tre sistemi ideologici così diversi come lo
stoicismo, il kantismo e il marxismo vuole sottolineare, a
nonostante le differenze di fondo, la concordanza di
opinioni nell'affermazione del valore dell'uomo.
Nonostante le critiche sollevate al personalismo, o per
meglio dire, proprio nell'attuale contesto di critica,
proponiamo l’affermazione dell'uomo come la realtà più
valida; o addirittura come il nucleo da cui hanno origine
tutte le realtà. L'uomo è una realtà che va oltre l'invenzione
ideologica, infatti, grazie ai dati delle varie scienze (biologia,
psicologia, sociologia, filosofia, ecc.) possiamo formulare
un'interpretazione dell'uomo che lo vede come un essere
denso di significati ultimi e valori assoluti.
88
Riconoscendo la consistenza dell'uomo in quanto
soggetto reale, si comprende l'umano non a partire dalle
«mediazioni» (politiche, economiche, culturali), bensì a
partire dall’originalità di un essere che rappresenta la realtà
originaria. Le mediazioni hanno grande importanza nella
costruzione della storia umana, ma sempre a partire dalla
presenza originale e immediata della persona. In questo
modo il carattere unico e insostituibile dell'essere umano
acquista rilievo: ogni uomo gode di tutto il valore del genere
umano, dato che nella realtà personale non ha solo
importanza la quantità, ma soprattutto la qualità.
Per questo è decisiva:
1) L’accettazione
dell'irrinunciabile
orientamento
antropologico della vita e della riflessione sulla persona
teso a rilevare e plasmare i valori fondamentali
dell’umanità: libertà, dignità, rispetto, uguaglianza,
diritto, ecc.
2) L’accettazione della critica proveniente dall'orizzonte
delle prospettive scientifico-culturali che, tuttavia, non
dimenticano l'affermazione del primato pragmatico
dell'umanità. D'altra parte, pur riconoscendo le
esagerazioni delle citate prospettive scientifico-culturali
(scientismo, strutturalismo, marxismo antiumanistico,
ecc.), dobbiamo accettare gli elementi positivi che esse
apportano - a guisa di correttivi - all'interpretazione
89
critica dell'uomo.
Partendo da queste due accettazioni, il discorso etico sulla
persona potrà articolarsi correttamente: integrerà il valore
dell'uomo e quello delle mediazioni in una sintesi che superi
le deviazioni ideologiche del «personalismo» e le riduzioni
indebite dell'orizzonte «scientista».
B. Nel secondo elemento, il momento etico, si valuta la dignità
etica della persona.
Così si esprime K. Rahner: «L'uomo è la persona che si
possiede coscientemente e liberamente. Quindi è oggettivamente riferito a
se stesso, e per tale motivo non ha ontologicamente il carattere di mezzo,
bensì di fine; segue, nonostante ciò, una tendenza che lo porta ad uscire
da se stesso e a spingersi verso altre persone, non verso le cose (che sono
piuttosto orientate verso le persone). Per questo gli spetta un valore
assoluto e, di conseguenza, una dignità assoluta. Ciò che noi
consideriamo esperienza assoluta e incondizionata dei valori morali si
basa essenzialmente sul valore e sulla dignità assoluti della persona
spirituale e libera».
Il passaggio dalla dignità ontica a quella etica, pur poggiando
su una distinzione di dimensioni, non presuppone
discontinuità con la dignità ontica dell'essere umano.
Per dare un fondamento umanistico all'etica della persona
non bisogna soltanto affermare la consistenza dell'«uomo» e
dell'uomo inteso come «persona», è invece necessario
comprendere questa realtà preferibilmente dal punto di vista
90
assiologico. Non mancano le interpretazioni della persona
in cui il fattore decisivo di definizione è quello assiologico:
ricordiamo ad esempio l'interpretazione stoica e quella
kantiana. In concordanza con il pensiero di Ricoeur e di
Bonhoffer, Martìn Velasco afferma: « Essere personalmente
significa fare atto di essere; farsi carico non di alcune qualità o
proprietà, ma del fatto stesso dell'essere. Questa esistenzializzazione
della persona introduce così la responsabilità, la decisione e la libertà nel
seno stesso dell'essere personale. L'etica, di conseguenza, appare non
come una sfera sovrapposta alla persona, che condizioni i suoi atti o gli
effetti dei suoi atti, ma come una componente intima della persona.
Come afferma Ricoeur: farsi persona significa «dare all'individualità
che è in noi una certa importanza»».
Per oggettivare la dimensione etica della persona sono
state usate varie categorie, ma nessuna di esse ha avuto
un'utilizzazione tanto estesa come quella che esprime il
valore morale della persona in termini di «grandezza « e/o «
dignità». Possiamo affermare che questa categoria costituisce
un «luogo» primario di appello etico, sia nei sistemi morali
religiosi sia in quelli che pretendono di costruire un'etica
sociale fondata sull'autonomia della ragione umana.
Anche nell’etica razionale si avverte il costante appello alla
dignità umana. Dalla proposta dell’etica « umanística « di E.
Fromm, sino all «umanesimo della responsabilità», la
riflessione etica odierna ha acquisito tratti nettamente
personalistici. Se nella presente cultura esiste un primato
91
dell’etica», in quest’ultima si avverte il primato dell’uomo. La
regola d’oro dell’etica continua ad essere la dignità
riconosciuta dall'altro e l'affermazione radicale di Protagora
secondo la quale l’uomo è misura di tutte le cose.
La persona, dunque, è un valore assoluto. Ma quale è
il contenuto etico che si pretende di oggettivare mediante l
espressione del valore assoluto della persona? Seguendo una
metodologia semplice e lineare possiamo smembrare tale
contenuto in un insieme di aspetti che costituiscono la
ricchezza significante della persona come valore assoluto. Si
tratta di ricostruire in modo critico questo importante
«luogo» di appello etico rappresentato dal valore assoluto
dell’uomo.
È comunque necessario ammettere che la persona ha
valore etico nella sua duplice realtà «privata» e «pubblica»,
intendendo questi due aspetti con riferimento alla dialettica
permanente. Se riduciamo la persona unicamente al suo
valore privato incorriamo nell'ingiustizia del totalitarismo
individualistico, mentre se la riduciamo al suo valore
pubblico cadiamo nell'ingiustizia del totalitarismo
collettivistico, ed è evidente che non può esistere un valore
etico dove ci sia un'ingiustizia di base.
Per quanto concerne l'ambito di riferimento del valore
assoluto della persona è necessario precisare che:
- non si riferisce ad una natura astratta, bensì agli esseri
92
concreti; la dignità umana deve avere significato per gli
uomini storici concreti che si muovono all'interno delle
contraddizioni della realtà;
- non ammette privilegi nella sua significazione primaria: la
dignità umana è un a priori etico comune a tutti gli uomini.
La dignità umana è una qualità ontica e assiologica che non
accetta il «più» ò il «meno»;
- tuttavia la categoria etica della dignità umana ha un
«orientamento preferenziale» verso tutti quegli uomini la cui
dignità umana è «deformata» (poveri, oppressi, emarginati,
ecc.).
“Il valore deve basarsi sull'essere; ma non sull'essere in quanto tale.
In altre parole: la capacità di servire da fondamento del valore non è
propria di qualunque essere. In effetti, il valore fonda mentale è quello
che è degno d'essere cercato per se stesso. Dunque soltanto un essere che è
fine per sé, può essere amato dagli altri come fine. In definitiva, è
impossibile amare un essere che non sia intellettualmente cosciente, si
può amare solo una persona. Un ideale è degno di essere perseguito per
se stesso perché esprime ciò che la persona o la comunità umana deve
essere. Secondo questa concezione la persona è l'oggetto proprio della
volontà nel suo essere e nel suo dover-essere: ciò rende necessario
attribuire un senso personalistico e comunitario alla tesi classica del
«bene» come oggetto proprio della volontà».
Per quanto riguarda il suo intimo significato, il valore
assoluto della persona si apre a tre nuclei che devono essere
93
intesi in modo circolare:
- affermazione del valore dell'individuo (l'io). Di fronte alla
tentazione di scomporre la realtà in «strutture « o «
mediazioni» sociali, la categoria della dignità umana
ricorda fermamente che ciascuno di noi è unico,
insostituibile, necessario; ha valore per se stesso, è libero
e può scegliere da solo il proprio destino, deve costruirsi
la sua vita. Naturalmente questa interpretazione
dell'individuo come un qualcosa di assoluto non porta ad
una posizione privatistica e ad uno scarno soggettivismo.
- Affermazione dell’alterità (l'«altro») . L'uomo considerato
chiuso in se stesso non è il soggetto né il valore
fondamentale dell'etica; solo l'uomo in quanto soggetto
relazionale merita attenzione etica. I valori etici nascono
quando sorge la persona e il fatto decisivo che dà origine alla
persona è il « tra», per usare la terminologia di Buber.
L'alterità corregge la possibile tendenza individualistica e
astratta del personalismo.
- Affermazione delle strutture come «mediazioni» etiche
dell'individuo e dell’alterità. Al fine di recuperare il soggetto
reale concreto dell'impegno etico occorre introdurre nel
mondo delle persone la realtà delle strutture. La dignità umana
deve essere mediata politicamente, perché soltanto così
potrà avere il significato etico che le corrisponde.
94
Questo spessore significativo può essere espresso
attraverso le categorie etiche
bipolari di fine/mezzo, e
assoluto/relativo.
La categoria bipolare fine/mezzo (assoluto/relativo) può
essere utilizzata come categoria etica a condizione che
assuma il seguente valore semantico:
- l'essere umano è un fine per se stesso e non può essere
ridotto a mezzo
- la persona è la «protocategoria» dell'universo etico e, in
quanto tale, è origine e meta di ogni impegno morale;
- l'uomo richiede un rispetto incondizionato e, in tal senso,
assoluto.
Nel caso in questione il termine « assoluto « non significa
«infinito» bensì « incondizionato «. «La persona umana nel suo
essere e nella sua dignità reclama un rispetto incondizionato,
indipendente da qualunque libera valutazione e finalità; in una parola:
assoluto». Il rispetto,
inteso come atteggiamento
fondamentale nei confronti dell'uomo, rappresenta la
disposizione incondizionata a considerare e a difendere ogni
essere umano come una realtà della quale non si può
disporre.
Per quanto riguarda l'ideale normativo che scaturisce
dall'affermazione del valore assoluto della persona,
dobbiamo accennare ai due aspetti della questione:
95
- Aspetto negativo: l'ideale etico della dignità umana deve
correggere i possibili riduzionismi a cui potrebbe essere
sottoposto l'ideale dell'uomo: da una parte, riduzionismo di
tipo elitistico e privatistico, dall'altra quello gregaristico e
comunitario.
L'ideale da perseguire non è l'uomo «gregario» o livellato
a causa delle scarse esigenze della massa, bensì l'uomo
continuamente stimolato. L'ideale dell'uomo si basa su poli o
aspetti complementari: interiorità e interrelazione. La totale
adesione alla sfera pubblica spersonalizza l'uomo, ma anche
la riduzione all'ambito meramente privato provoca la stessa
conseguenza.
- Aspetto positivo: la categoria etica della dignità umana
orienta il dinamismo etico verso la meta dell'umanizzazione. A
nostro giudizio, esiste un'equivalenza tra la categoria etica
dell'«umanizzazione» e quella della «dignità umana».
A livello ontico il cristianesimo ha dato un contributo
storico-concreto all'elevazione della dignità dell'uomo ed è
stato un fattore importante nella genesi e nello sviluppo della
nozione e valutazione dell'uomo come persona.
3.Definizione della persona. - In pratica, il concetto di
persona è estraneo alla nostra cultura antica e viene messo a
punto, nella sua specificità, solo attraverso il rapporto tra
pensiero filosofico-teologico cristiano e il pensiero giuridico.
96
È un termine segnato da una etimologia incerta: personare,
rimbombare, oppure per se una; o ancora fersu, in etrusco
maschera, e richiama il greco prosopon-viso, che indica la
maschera dell'attore e il suo ruolo. Ma sarà solo con le
elaborazioni teologiche e filosofiche dei primi secoli60 (unio
hypostatica e qualificazione delle relazioni personali nella unità
di Dio) e con una serie di elementi derivanti dal versante
filosofico-giuridico
(in
relazione
alla
concezione
dell'autocoscienza umana) che questo termine assumerà un
suo preciso contenuto concettuale.
La prima definizione formale a carattere ontologico è
data da Boezio: Persona est naturae rationalis individua
substantia61; perfezionata, questa, dal concetto della
incommunicabilis substantia di Tommaso d'Aquino, ma,
soprattutto, da Riccardo da S.Vittore, con l’intellectualis naturae
incommunicabilis existentia62.
Definizioni che si riferiscono all'atto unico e irripetibile,
intero e indiviso, immediato-insostituibile, alla realtà,
all'essere (Dasein) di una natura spirituale. Questa realtà è
l'affermazione «del possesso di sé e pertanto dell'autofinalità,
è la forma di realtà propria della libertà di un essere
spirituale, nella quale si fonda la sua intangibile dignità»63. Ma
tale lettura, quando è stata ritenuta in modo esclusivamente
60
Cf TERTULLIANO, Adversus Praxean 12 e 27; le controversie
filosofico-teologiche sui termini ousìa, hypòstasis, pròsopon, maturate
fino alla chiarificazione avvenuta al Concilio di Calcedonia.
61
Cf BOEZIO,De duabus naturis 3.
Cf RICCARDO DA S:VITTORE,De Trinitate IV,22-24.
63
M.MUELLER-A.HALDER, Persona, in Sacramentum Mundi, (a
cura di K.RAHNER), Vol.VI, Morcelliana, Brescia 1976, col.345.
62
97
autoreferenziale dal soggetto, ha costruito un’immagine di
uomo che induce a selezionare decisamente l’altro e il
mondo in modo contrapposto: o come amico, se affine e
riconducibile a sé; o come nemico-straniero, se la sua
diversità diviene inconciliabile con la propria visione del
mondo.
Questa immagine autoreferenziale e chiusa della persona,
che ha dominato nell'era della modernità e che spesso nella
vita vissuta è ancora quella prevalente, inizia a lasciare il
posto a nuove interpretazioni che tendono a recuperare, al
livello della struttura ontologica, lo stretto legame che unisce
la persona umana ai suoi simili ed al suo mondo vitale.
Ricominciare a pensare la persona nelle sue componenti
essenziali, significa rinunciare alla prospettiva classica e, al
posto di una sostanza indivisa e chiusa in se stessa, leggere
una struttura composita che non è mai data una volta per
tutte, ma si costituisce in una apertura relazionale.
Se adottiamo più chiavi di lettura (come quella
fenomenologica, quella simbolica e quella logico formale)
per avvicinarci alla struttura della persona, possiamo
osservare come essa si costituisce su tre livelli principali :
98
LETTURA
LETTURA
FENOMENOLOGICA
SIMBOLICA
(da fainomai: ciò che si (da syunballo: unire)
mostra)
KORPER: fisicità
Io ho un corpo.
LEIB: coscienza.
Io sono un corpo.
LEIBLICHKEIT:
capacità relazionale
LETTURA
LOGICOFORMALE
(interpretazio
ne razionale)
ESTERIORITÀ:
L'UOMO NEL
significante.
MONDO.
INTERIORITÀ:
L'UOMO IN
significato.
SE STESSO.
SENSO:
L'UOMO CON
contesto relazionale. L'ALTRO.
Questa nuova lettura dell'idea di persona, che sempre più
emerge nella riflessione filosofica, sociale e giuridica è
sostenuta da Paul Ricoeur64. Secondo l'Autore francese, non
è possibile equiparare il concetto di persona a quello di
individuo perché la persona si costituisce sempre nella
pluralità di una relazione e si configura come realtà non
statica, ma dinamica e progettuale.
E' nella apertura istituita dalla relazione, che si da la
possibilità della coscienza di sé; si acquista la consapevolezza
della propria identità rispetto all'Altro; si diventa responsabili
della gestione del mondo in cui si vive. In questa ottica la
persona non è mai una realtà statica e definita una volta per
sempre, ma, grazie all'apertura costante della relazione, è
perennemente suscettibile di mutamenti, in un processo di
64
P. RICOEUR, La Persona, Morcelliana, Brescia 1997.
99
crescita mai compiuto.
La persona è dunque un soggetto attitudinale, perché
ogni atto va inquadrato e letto alla luce di questa struttura di
relazione che non chiude mai il soggetto in se stesso, ma
immediatamente coinvolge gli altri ed il mondo.
Per Ricoeur una fenomenologia ermeneutica della persona,
che non può prescindere da questa apertura relazionale ed
attitudinale, si struttura su quattro piani: linguaggio, azione,
racconto e vita etica. In altre parole; per una chiara
interpretazione della relazione che costituisce la struttura
essenziale della persona è importante considerare quattro
principali momenti vitali: l'uomo che agisce (e che soffre),
l'uomo che parla (e comunica), l'uomo che ha memoria della
sua storia (e la tramanda), l'uomo nei suoi costitutivi valori
etici (ossia l'uomo responsabile). Sebbene «l'uomo
responsabile» sia la meta cui tende questa interpretazione,
Ricoeur sottolinea che solo partendo dall'ethos è possibile
comprendere gli altri piani vitali dell'azione della persona. La
struttura etica si rivela immediatamente un fondamentale
punto di partenza e non una conquista dell'interpretazione.
Quattro piani per una fenomenologia ermeneutica della
persona.
1. L'uomo responsabile.
Ricoeur definisce l'ethos :»auspicio di una vita compiuta - con e per
gli altri - all'interno di istituzioni giuste»65. Questa definizione gli
consente di tracciare una struttura che, prima di tutto, rivela
le componenti essenziali della persona in quanto apertura
65
Id. p. 39.
100
relazionale, ed, inoltre, permette di avere uno stabile punto
di riferimento per leggere gli altri piani della vita dell'uomo.
Dunque costituzione etica della persona è la seguente
struttura ternaria:
Auspicio di una vita Con e per gli altri:
compiuta:
STIMA DI SÉ
SOLLECITUDINE
Elemento etico di
questa aspirazione
alla felicità (etica del
desiderio) è la stima
di sé che definisce
un soggetto:
consapevole,
cosciente,
responsabile.
Il movimento del
sé verso l'altro
esprime l'istanza
etica
della
sollecitudine,
caratterizzata
dalla:
reciprocità,
similitudine,
riconoscimento.
All'interno
di
istituzioni giuste:
ISTITUZIONI
GIUSTE
L'istituzione è il
luogo
del
rapporto
etico
modulato
dalla
giustizia
distributiva.
Se
l'etica
del
ciascuno è l'etica
della
giustizia,
ciascuno non è
l'amico, ciascuno
è l'anonimo.
E' importante sottolineare che per Ricoeur i primi due livelli
di costituzione etica della persona (stima di sé e
sollecitudine) sono in stretto rapporto di reciprocità; non
posso mai giungere ad avere una profonda coscienza della
mia identità se non nel confronto costante con l'alterità, ed è
proprio su questa relazione fondamentale che è possibile
poggiare l'idea di istituzione. Così, conclude Ricoeur: «L'idea
di ethos comprende in un'unica formula, ben articolata, la
101
cura di sé, la cura dell'altro e la cura dell'istituzione.»66 A
partire da questi punti di riferimento possiamo ora affrontare
una più approfondita lettura della persona nei suoi vari piani
di azione.
2. L'uomo che parla.
Ricoeur sostiene che il contributo della filosofia linguistica
ad un filosofia della persona si può cogliere sul piano
semantico (per identificare la persona nella sua singolarità) e sul
piano pragmatico (dove la persona non è più l'oggetto del
discorso, un egli logico, ma è il sé che agisce e si impegna in
prima persona). La sua tesi è che: «è possibile ridefinire la
teoria degli atti del discorso, e per suo mezzo tutta la
pragmatica, sulla base della triade analizzata nell'ethos
morale»67, questa omologia, che diventa implicazione
reciproca nel caso dello specifico atto linguistico della
promessa, si presenta come segue:
PIANO ETICO
Stima di sé
Sollecitudine
Istituzione
66
67
Id. p. 48.
Id. p. 53.
PIANO LINGUISTICO
Autodesignazione
Allocuzione
Linguaggio
102
3. L'uomo che agisce.
Nell'ambito della teoria dell'azione (che si interroga sul sensoche cosa?- sulla motivazione- perché?- e sull'attribuzione- chi?di una azione), Ricoeur sostiene che :»la triade dell'ethos può
essere di aiuto per orientarsi nella problematica del chi?»68
secondo la seguente prospettiva:
PIANO ETICO
Stima di sé
Sollecitudine
Istituzioni
PIANO DELL'AZIONE
Agire intenzionale ed
efficace
Interazione
Modelli di eccellenza
Ma riusciamo a cogliere più chiaramente lo stretto legame tra
il piano etico e quello pratico dell'azione se consideriamo
non più soltanto l'uomo che agisce ma anche quello che
subisce l'azione: l'uomo sofferente. Se ogni agire è avere
potere su qualcuno, è fondamentale per una teoria
dell'azione completare l'esame dell'agire con quello del
patire. Nel confronto tra agente e paziente risulta evidente
che : «E' sempre la diseguaglianza tra agenti a porre il
problema etico nel cuore della struttura non egualitaria
dell'interazione»69. Dal momento che ogni interazione può
essere cooperazione ma anche competizione, si vede come la
68
69
Id. p. 59.
Id. p. 63.
103
triade etica venga ad essere la base ontologica di ogni teoria
della prassi morale e politica; avere «cura di sé, cura dell'altro
e cura delle istituzioni» vuol dire essere coscienti delle
proprie azioni, essere consapevoli delle ripercussioni che
queste hanno sugli altri uomini ed essere responsabili e
rispettosi delle regole del nostro mondo di vita.
4. L'uomo che racconta.
La mediazione narrativa, per Ricoeur, prende in
considerazione i problemi connessi alla considerazione del
tempo nella costituzione della persona. Superato il modello
classico della «naturae rationalis individua substantia», che
consentiva un ancoraggio stabile per il concetto di persona,
si riapre l'annoso problema filosofico dell'identità, che oscilla
fra l'idea della permanenza di una sostanza immutabilemedesimezza, che cosa sono io ?- e la necessità di conservare una
forma di riconoscimento del sé nonostante gli inevitabili
mutamenti dovuti alle vicissitudini della vita- ipseità, chi sono io
?. Mentre la vita scorre in questa alternanza di piani (tra
medesimezza e ipseità) è il filo del racconto, la memoria
storica e l'invenzione letteraria che, secondo Ricoeur,
riescono a dare un senso unitario alla frammentarietà del
vissuto. La sua tesi è che: «la mediazione narrativa ci
consente di ritrovare, e nel caso di arricchire, la struttura
ternaria che costituisce la cellula melodica (etica) di tutto
questo studio»70, e presenta, anche a questo livello, il
parallelismo con la triade della struttura etica:
PIANO ETICO
70
Id. p. 67.
PIANO DEL RACCONTO
104
Stima di sé
Sollecitudine
Istituzioni
Identità narrativa
Intreccio narrativo
Identità narrative
storiche
trans-
Osservazioni conclusive
La riflessione di Ricoeur sulla persona approda al punto da
cui è partita: la triade etica e si chiude sul bellissimo concetto
di «fedeltà creatrice»71 che rende il senso profondo di questa
struttura etica che costituisce la persona umana.
Il senso più autentico della propria identità, la fedeltà a se
stessi, si esplica in questa facoltà creatrice che nelle parole,
nelle azioni, nella storia, ci pone in relazione con gli altri e
con le istituzioni. Relazione che, appunto perché creatrice, è
immediatamente debito di responsabilità e dovere di cura (i
doveri più alti e imprescindibili sono infatti quelli che ci
legano a ciò che noi stessi abbiamo creato). Sono veramente
e profondamente me stesso se sono in grado di rispondere
per l'altro, di averne cura; esattamente come io parlo se
l'altro mi interpella, agisco in relazione al paziente che mi è
di fronte e vivo la mia storia se è intrecciata con quella degli
altri uomini. La reciprocità è componente essenziale nella
costituzione della persona, che vive del rapporto con gli altri;
se la fedeltà a me stesso passa attraverso la mia «capacità
creatrice» che mi apre agli altri ed alla comunità, così è la mia
fedeltà agli altri ed alla comunità che mi consente di «creare»,
maturare fino in fondo me stesso come persona. Si
comprende dunque facilmente, come l'istituzione giusta altro
non è che il luogo di questo rapporto, il luogo istituito da
71
Id. p. 71.
105
questo «giusto» rapporto tra le «persone». «Non ricerchiamo
sostanze fisse dietro a queste comunità- scrive Ricoeur- ma
non neghiamo loro la capacità di mantenersi in relazione,
attraverso una fedeltà creatrice, agli eventi fondatori che le
instaurano nel tempo»72 ed agli uomini che le vivono nel
tempo.
L’istanza dell’oggettività dei valori. - Come si è potuto a più
riprese notare, l’istanza del valore e della sua oggettività, è
apparso costantemente come lo sfondo su cui si è andata
disegnando l’immagine assiologica della persona. È appunto
sulla tematica dell’oggettività del valore che concentriamo
ora l’attenzione per offrire un ulteriore sviluppo al nostro
discorso.
Tentare una definizione del VALORE apre il rischio ad una
formulazione riduttiva; è perciò opportuno rilevarne alcuni
caratteri salienti, tenendo in considerazione il rapporto fra
schema e realtà. Infatti tutto ciò che incontriamo ha un
rapporto con noi: pratico, estetico, morale, con diverse
accentuazioni. È sotto l'egida del dinamismo della storia.
Tutto ciò che capita riveste un SENSO e provoca una
reazione (assenso o rifiuto). Alla comunicazione di SENSO fa
seguito una valutazione. È un senso che si qualifica come
valido in se stesso; si impone per un suo significato
autonomo (Cfr. H.Reiner). Il valore ha dunque un significato
oggettivo, e non dipende dalla possibilità o meno di
accettazione o di comprensione. Ha una oggettività logica
(senso) e ontologica (il suo
essere), non
dipende
dall'inventiva; è oggettivamente dato. Il valore non dipende
72
Id. p. 70-71.
106
dal giudizio della ragione: non è il parere di chi valuta a dare
consistenza, ma la materia del suo predicato (Cfr.M.Scheler).
Non tutti, però, concordano sul tema dell'oggettività del
valore. Ad esempio, Nietzsche (Geneologia della morale) riduce
il valore ad un dato psicologico, frutto del senso di colpa o
di risentimento. Ancor prima, gli empiristi e gli utilitaristi
lo riconducono alla comodità convenzionale che inventa
strategie per orientare le azioni. Chi, come Hobbes (Leviatano
del 1651), lo assimila a puro nominalismo, dove il giudizio
morale è considerato come un grido, una scarica emotiva
che risponde ad uno stimolo. Ogni espressione di valore
non è altro che l'espressione di un desiderio rivestita di
apparenza morale, il cui rispetto o rifiuto viene fatto
coincidere con il bene o il male.
A queste
posizioni risponde
Scheler. Che dietro
l'affermazione di un valore ci siano sensazioni e emozioni,
non implica la perdita dell'oggettività reale di quel valore. Il
giudizio, più che rapportarsi a ciò che attraversa la mia
psiche, intende rivolgersi a oggetti a tutti accessibili (es. il
panorama). La stima per un nemico, è indipendente dal
disprezzo che emotivamente sento per lui. Il valore, più che
semplice emozione esprime un significato ontologico. Come
per un colore, il valore oltre alla sensazione ci conduce in
una realtà oggettiva73. Ci si deve chiedere: come mai una
stessa azione può essere oggetto di giudizi diversi e
contrastanti?
È proprio del valore morale, in quanto indipendente ,
riscuotere giudizi. Questa indipendenza che rende il valore
invariato pur mutando l'entusiasmo, l'emozione, nei suoi
73
Cfr. M.SCHELER, Formalismus.
107
confronti è determinata da suo intimo rapporto con la realtà
ontologica (essere) dell'uomo stesso. I valori si dischiudono
al soggetto morale senza fermarsi alle sole volontà e ragione
ma interessando il
soggetto nella sua costituzione
ontologica. H.Reiner, distingue l'Ich-zentrum o sfera del
volere, dall'ich-umgrund o sfera ontologica che precede la
volontà74. Il valore si presenta in modo evidente al soggetto
da un lato come rivolto alla esistenza e dall'altro nel sua
intima realtà che è indipendente dalla recezione. La giustizia
e l'amore si collocano in una condizione che precede la
convenienza e il piacere. (Vedi la polemica fra Aristippo e
Socrate. Aristippo critica il male ricevuto ma giustifica il
male fatto; Socrate, pur subendo una ingiustizia non offende
l'altro. Il valore qui si sottrae all'emozione e si costituisce
nella sua autonomia, mentre per l'edonista è decisivo il
carattere soggettivo). La giustizia non si osserva perché
vantaggiosa, ma perché è un bene in sé a prescindere dai
suoi effetti. Vale lo steso per l'amore che è capace di
oggettività perché punta al bene. L'amore non teme
situazioni di sacrificio o di disagio perché desidera il bene
dell'altro, cerca l'oggettivamente buono per il partner; va al
di là di ciò che è soggettivamente appagante.
Collegato al tema della oggettività è la loro rilevanza
empirico storica. Essendo collocati nella dimensione
ontologica potrebbero essere ridotti a pura sfera ideale. Qui
è necessario richiamare che il soggetto umano è un soggetto
incarnato, è collocato in una storia, vive gli avvenimenti
seppur non esaurendosi in essi. Il valore quindi si colloca
nella sfera del trascendentale: ha
una valenza
74
Cfr. H.REINER, Grundlagen der Sittlichkeit.
108
fenomenologica che lo fa incontrare nella storia, e una
valenza ideale che lo colloca sul piano del pensiero. Il
valore dunque si colloca nella dimensione misterica
dell'essere dell'uomo. Vive di questa valenza di continuo
rimando ad un «oltre» che non è mai riducibile alla sua
semplice esperienza (es. la giustizia non può ridursi mai al
modo in cui un soggetto la incarna, ma rimanda sempre ad
un senso previamente e globalmente più pieno). Appunto
questo rimando (um-grund) permette di operare giudizi sul
concreto agire. L'amicizia non è riducibile al modo con cui
il singolo la vive e non si incrina nel suo valore se è tradita.
I valori non si confondono con chi li incarna, anche se
nella realtà si incontrano attraverso questi stessi e a questi
sono orientati. Anche se la concretizzazione di un valore
può assumere vesti non aderenti all'ideale ( e questo è tipico
della posizione incarnata dell'uomo rispetto al suo stesso
limite storico e umano) in sé porta una EVIDENZA che
nessuna situazione può azzerare. Ciò che è oggettivo si
manifesta per quello che è in forza della sua evidenza. Il
«bello» è riconoscibile in un volto, un panorama, un quadro
anche quando queste realtà subiscono deturpazioni. C'è una
INTUIZIONE del valore al di là della sua percezione75,
seppur la percezione ne diventa la via di accesso. Ritorna
qui il problema della CONOSCIBILITÀ del
valore
attraverso le indicazioni
dell’intuizione-definizione
concettuale-comprensione dinamica
La visione intuitiva apprende l'essenza, il quid così come è
in sé immediatamente e, tuttavia, è soggetta alla progressione
dinamica della comprensione. Non si deve ignorare però che
75
Cfr. HILDEBRAND, Ethik.
109
il valore morale si esplicita alla coscienza lentamente,
passando attraverso errori e costumi devianti. Si devono
guardare sia la coscienza del valore,sia il percorso storico,
spesso velato e irriconoscibile, della sua applicazione.
Questa IMMEDIATEZZA dell'intuizione, che riguarda
tutto l'essere dell'uomo, non
è frutto di pura
argomentazione (logica) ma soprattutto di SENSIBILITÀ.
Non è questione di puro ragionamento ma di
RICONOSCIMENTO. L'evidenza è spesso indimostrabile
non per oscurità ma per eccesso di chiarezza. Tra evidenza e
dimostrazione si dà un grado di conoscenza diverso: infatti
la dimostrazione si rifà all'evidenza. Lodo un 'azione buona
per la sua evidenza e non per eventuali ragioni di
convenienza.
L'evidenza del valore ha una sua ragione contro cui non
possono valere altre ragioni escogitate da calcolo riflessivo.
Si propone a me anche contro i miei interessi e sentimenti, e
proprio perché evidente risulta anche libero.
L'evidenza,
il
riconoscimento
sono
legati
alla
SENSIBILITÀ, alla capacità di risposta motivata della
persona! Una persona o una società rese insensibili da
condizioni fin troppo utilitaristiche rendono queste ciniche.
La carenza di sensibilità per i valori diviene indice di una
povertà spirituale, di una indifferenza cinica, di una
negazione del proprio essere, in una parola, di una
condizione non più umana.
La sensibilità però si iscrive nella conoscenza e
nell'educazione ai valori. L'apprendimento richiede l'onestà
della persona: la disposizione d'animo, la finezza, la
rettitudine da un lato, e la fuga dall'INDIFFERENZA
dall'altro. La conoscenza è adeguata quando è sostenuta da
110
una forza affettiva. L'emozione si deve aggiungere all'atto
conoscitivo. Il grado di partecipazione al valore cresce se
dall'informazione di ordine conoscitivo si passa al
COINVOLGIMENTO di tutta la persona. Alla ragione va
aggiunta l'emozione, il lasciarsi colpire e sorprendere. La
sfera emotiva diviene l'apertura alla dimensione profonda del
valore. Ovviamente questa sfera va riconosciuta nella sua
valenza e non come campo di torbidi impulsi. Escludere la
sfera emotiva è altrettanto rischioso quanto l'escludere la
ragione. Ragione e sentimento vanno coniugati. Su questo
problema si affacciano varie linee di tendenza:
- linea razionale: la ragione è il trait-union fra oggettività e
soggettività
rispetto
al valore. Il valore
è
sufficientemente chiarito nell'ambito della ragione pur
non escludendo l'esperienza esistenziale (Esclusione dei
fattori emozionali)76.
- linea emozionale: non solo la ragione stabilisce un
rapporto chiaro con le cose; ad essa va aggiunto un «cuore».
Riconosciute le ragioni del cuore (Pascal) non si dovrà
distinguere più fra ragione in sé e esperienza (Cfr. Scheler,
Hartmann, Hildebrand).
Della sfera etica è tipico il SENTIRE oltre che il
CAPIRE, in quanto il suo oggetto è un valore e non solo
una verità speculativa. Questa situazione rischia di spaccare
in due l'uomo in un novello dualismo cartesiano.
Come sfuggire a questa strettoia? Un tentativo è fatto
attraverso il concetto di INTENZIONALITÀ. Innanzitutto
distinguendo tra atti emozionali e stati emozionali. Si
opera una disgiunzione perché negli stati emozionali
76
Cfr.HUME, Trattato sull'intelletto umano.
111
(stati d'animo: noia ecc.) manca un SENSO, una
intenzionalità. Che un atto emozionale (amore, passione) sia
accompagnato da stati d'animo (calma, ira, gioia), questo
non ne legittima il fraintendimento.
Per questo il valore non può essere spiegato con una
convenzione, con una motivazione razionale. La facoltà
adeguata è il sentire, di cui si deve riconoscere oltre che
l'intenzionalità, anche la capacità conoscitiva, intuitiva
originaria e oggettiva. L'esperienza etico-morale apre alla
sfera del trascendere, eleva nel contesto dei valori e rompe il
cerchio dell'egocentricità. Diventa altruismo, apertura,
donazione, perché spinge oltre se stessi e garantisce il
rispetto del bene oggettivo. Questa trascendenza si afferma
tanto nell'intenzionalità quanto nel gioco relazionale fra
proposta di valore e libera accettazione che supera
l'imprigionamento nell'io. Va detto comunque che questa
relazione non è turbata dagli effetti positivi determinati
dall'azione morale: se fare il bene mi procura felicità questo
non è pregiudizievole per l'atto morale in sé. Se amo
sinceramente un amico, non l'amo per appagare una mia
esigenza, ma perché è degno di essere amato. Questo
risponde alla
costituzione dell'uomo. Il carattere
intenzionale, oblativo, non è soppresso per il fatto che
nell’altruismo assecondo la tendenza naturale del mio essere.
In questo gioco di rapporti vedremo come la COSCIENZA
trova il suo specifico ruolo. Ma, intanto, procediamo ad una
opportuna chiarificazione di alcuni passaggi significativi per
il tema dell’etica sociale.
Soggetto e identificazione dell'ethos. - Alla oggettività del valore
corrisponde nell'uomo una capacità che accoglie l'appello e
112
lo conduce verso il concreto agire morale. Per questo la
coscienza è una realtà soggettiva, appartiene interamente al
soggetto.
Risultano evidenti alcune considerazioni:
coscienza e valore non coincidono, per cui la coscienza
non può dirsi valore di se stessa; la coscienza ha un
carattere creativo oltre che applicativo: in quanto coinvolta
nel «vivere» della persona con tutte le varie implicazioni e
possibilità il suo compito non «è l'adempimento delle norme
stabilite, ma l'autentica realizzazione dell'io nella realtà
esistente»77; al carattere creativo si aggiunge un lavoro
interpretativo (epikeia) segnato dalla novità e dal particolare.
È una operazione ermeneutica dettata dalla situazione in
cui concretamente si opera una scelta. L'epikeia ha dunque un
carattere
dinamico.
Con
l'esercizio
delle
sue
operazioni: applicare, creare, intuire, leggere e rileggere, la
coscienza si consolida, essendo una facoltà che nasce, si
forma e si evolve78. Queste caratteristiche conducono alla
domanda sulla genesi e natura della coscienza morale.
Ovviamente genesi e natura, seppur distinte, sono correlate
e solo per chiarezza di indagine vengono ora separatamente
analizzate.
a. La genesi della coscienza è un dei temi più dibattuti, e
vari sono i tentativi di ridurla a fenomeno sociologico
(Durkheim) e psicologico (Nietzsche-Freud), annullandone
ogni valore etico. L'analisi della base empirica sottostante
alla coscienza non mi dà ancora la sua natura.
Indubbiamente essa chiarifica aspetti
importanti
77
78
J.FUCHS, Responsabilità personale e norma morale, 197.
Cfr. M. BIZZOTTO, La rinascita dell'etica, Torino 1987, 195 ss.
113
dell'esperienza morale ma va integrata con considerazioni
etico-filosofiche che trascendo il livello della pura
esperienza.
- Durkheim spiega la coscienza e i suoi imperativi come
riflesso della società. «Ogni volta che riflettiamo come dobbiamo
comportarci, si eleva in noi una voce che dice: questo è tuo dovere. E se
questo dovere che parla in noi in tal modo non è seguito, si eleva la
stessa voce per protestare contro la nostra azione. Dato che essa parla in
tono imperativo, sentiamo che essa proviene da qualcosa che ci è
superiore; non vediamo però chiaramente chi è questo qualcosa né che
cosa è»79. Poi l'A. esplicita l'origine della voce interiore
identificandola con la società che ci ha modellati e inoculati
quei sentimenti che prescrivono il nostro comportamento e
insorgono quando si disattendono: «Quando la nostra coscienza
parla è la società che parla in noi»80. È senza dubbio importante
questo richiamo alle condizioni contingenti e ai fini
pedagogici della società, ma in realtà la società aiuta ad
esprimere la coscienza non la presuppone. Di fatto spesso
avviene il contrario: la coscienza sviluppa personalità che si
contrappongono al sentire sociale, alla morale , alla mentalità
dell'ambiente. Se la coscienza si identificasse con la società
che la genera non avremmo mai un progresso morale.
Inoltre la coscienza oltre a determinare un rapporto con gli
altri interpreta anche la realtà individuale, dice rapporto del
soggetto con se stesso. Possiamo invece dire che nella
concezione sociologica il soggetto scompare assorbito dal
meccanismo della collettività81.
79
E.DURKHEIM, Erziehung, Moral und Gesellschaft, Suhrkamp,
Frankfurt a.M.1984,137.
80
Ivi.
81
Cfr. J.MARITAIN, La filosofia morale , 314.
114
- Nietzsche parte da una interpretazione psicologica. La
coscienza è un fenomeno della decadenza, una malattia dello
spirito e non può essere che cattiva perché con la sua
nascita segna la fine dell'uomo innocente. Gli istinti liberi gli
si ritorcono contro e si ritrova di fronte a se stesso come di
fronte ad un nemico, dal quale non sa come liberarsi.
Appena la società ha imposto delle leggi in nome della
giustizia e della pace gli istinti sani della natura, mortificati
nella loro espressione spontanea, dovettero «cercare nuovi
e per cosi dire sotterranei appagamenti. Tutti gli istinti che non si
scaricano all'esterno, si rivoltano all'interno», insorgono contro
l'uomo stesso. «L'inimicizia, la crudeltà, il piacere della
persecuzione, dell'aggressione, del mutamento, della distruzione, tutto
quanto si volge contro i possessori di tali istinti: ecco l'origine
della cattiva coscienza...Con essa fu introdotta la più grande e la più
sinistra delle malattie, di cui fino ad oggi l'umanità non è guarita, la
sofferenza che l'uomo ha dell'uomo, di sé: conseguenza di una violenta
separazione dal suo passato d'animale, d'un salto e di una caduta...in
nuove situazioni e condizioni esistenziali, di una dichiarazione di
guerra contro gli antichi istinti, sui quali fino allora riposava la sua
forza, il suo piacere e la sua terribilità»82.
Non è però l'organizzazione dello Stato la causa originaria
della cattiva coscienza ma la divisione in due classi: nobili e
plebei, signori e schiavi, capaci e inetti. Specialmente in
questi ultimi si annida il tarlo del risentimento e dell'odio, la
sete di vendetta contro i loro dominatori: non potendosi
confrontare con essi con la forza hanno escogitato una
gerarchia di valori a cui si è collegata una facoltà: la
coscienza. L'A. aspira al riscatto dell'uomo dalla coscienza,
82
F. NIETZSCHE, Genealogia della morale, II,16.
115
prospettando un rapporto di riconciliazione che supera il
risentimento e la sete di vendetta. La liberazione dal veleno
dell'invidia stronca alla radice la coscienza e all'uomo è
riconsegnata l'innocenza originaria al di là del bene e del
male. Questo bisogno di autenticità rispetto alla
ipercivilizzazione ha i suoi punti deboli. La spiegazione
psicologica è soggettiva: ognuno può liberamente porre
premesse e da queste trarne delle conseguenze a proprio
piacimento. Inoltre
la stessa
visione dell'innocenza
riscattata dalla legge è utopica in quanto scavalca e sfugge la
storia. L'uomo liberato dalla coscienza è veramente libero o
è immediatamente aperto alla barbarie? Sembra questa una
teoria di un signore nel deserto che esprime la sua volontà
di potenza. Ma con chi e per chi? Slegato da qualsiasi
vincolo secondo lo spirito romantico, l'uomo più che
salvarsi finisce nella autodistruzione83.
Possiamo tuttavia dire che le riflessioni dei due autori ci
spingono a considerare la concretezza del fenomeno
coscienza e al tempo stesso ci inducono a considerare che
origine e natura di un fenomeno non vanno mai separate.
b. Natura della coscienza: infallibile,
incondizionata.
oggettiva,
Nel suo stesso nascere la coscienza si manifesta come
capacità trascendente, tanto da venir qualificata come la voce
di Dio nell'uomo84, il ponte di congiunzione fra il divino e
l'umano. Per sua natura essa è ordinata all'apprensione del
83
84
Cfr. H.THIELICKE, Theologische Ethik, Tubingen 1955, 470ss.
Cfr. J.J.ROUSSEAU, Emilio, 318.
116
bene, superando le seduzioni del puro piacere, e il suo
giudizio è infallibile seppur non irreformabile. La
conclusione cui arriva dipende dalle premesse, cambiando le
quali si modifica pure la sua valutazione. L'infallibilità non
riguarda la norma, ma la soluzione del dilemma: devo o non
devo?
La coscienza non è la norma ma la sua segnalazione
secondo le proprie conoscenze. Non è il criterio del bene e
del
male
in sé, ma della bontà o meno di un
comportamento. L'infallibilità sul da farsi non esclude la
fallibilità delle premesse. È necessario il confronto con la
norma e la ricerca del bene per non cadere in errori
oggettivi e in pericoli di manipolazioni85. Condizionamenti
e pregiudizi, tra cui la presunta sicurezza di essere nel giusto,
pretendono di rendere come oggettiva la soggettività di
una scelta. La ricerca incessante e responsabile, la fatica del
confronto spezzano l'angusto spazio del perbenismo morale
diretto o indotto (condizione dello struzzo).
La stessa oggettività ha bisogno di precisazioni per non
creare pregiudizi o illazioni. L'uomo resta sempre in
cammino verso la verità. Quello che la sua intelligenza e
onestà raggiunge è vero e giusto, ma in forma graduale e
prospettica, non è il vero e giusto come si vorrebbe far
intendere con il termine -oggettività- È necessario un
processo ermeneutico nel reale, con i graduali avvicinamenti
alla norma e gli inevitabili condizionamenti culturali. La
coscienza è capace di volere in modo universale, ci
permette di superare noi stessi, tanto da sollevare la
domanda su ciò che è bene in sé, al di là del proprio
85
Cfr. H.E. HENGSTEMBERG, Grundlegung der Ethik, 156-162.
117
tornaconto, senza con questo pretendere di essere giunta al
possesso del bene. Infatti, essendo situata nella temporalità
non può pretendere di emanciparsi radicalmente da essa
(principio della GRADUALITÀ). Un altro carattere importante
della oggettività riguarda il progetto d'essere che sorpassa i
propri condizionamenti e la propria volontà: Non è quello
che voglio ma quello che devo il mio progetto d'essere. C'è
una oggettività ontologica che sprona la mia volontà e che
si impone come progetto da perseguire, che induce alla
fatica dell'impegno. Il volere che non ha alcun supporto
ontologico ricade su se stesso e ripropone il rischio della
manipolazione della coscienza.
Altro
elemento portante della coscienza è
l'INCONDIZIONATEZZA. La coscienza è la capacità
dell'incondizionato, comprende VALORI come fine a se
stessi (dignità della persona). Abilita ad azioni disinteressate
e a volere il valore in se stesso. Mai sono tanto fedele a me
stesso quanto mi attengo alle esigenze del
valore.
L'incondizionato è costitutivo del mio essere razionale e
morale, non è una imposizione ma il mio modo di essere
profondamente uomo al di là dei condizionamenti. In forza
della coscienza l'uomo, pur situato nella precarietà
dell'effimero e dell'accidentale, non si perde nella
contingenza, avendo in sé la capacità dell'incondizionato che
lo esprime nella sua autenticità. Non posso astrarmi dal
reale, psicologico e sociologico, ma questo non soffoca la
mia esigenza di incondizionatezza86. Attraverso la coscienza
l'uomo esprime il meglio di sé. La stessa stratificazione
linguistica riconosce nella coscienza l'apice nell'uomo.
8686
Cfr. A.RIGOBELLO, L'oggettività della coscienza, 35-36.
118
Il termine latino (cum-scientia) pone in evidenza l'elemento
sintetico, ordinatore e assiologico;
Il termine greco (sin-eidesis) accenna ad una visione
d'insieme condivisa con un altro, che diviene testimone. È
come se si fosse seguiti da uno che vede e si rapporta al
nostro agire chiamandoci alla verifica.
La coscienza è al centro della persona, rappresenta l'uomo
nella sua totalità e con l'intera rete dei suoi rapporti. È il
punto di convergenza tra uomo-mondo87. Se però per sua
natura la coscienza è capace del divino, non è detto che di
fatto adempia la sua funzione. È necessaria una
EDUCAZIONE. Può essere una bussola che perde la
bussola, può ammonire ma può essere messa a tacere, è
sensibile per sua natura ai valori, ma può divenire ottusa e
insensibile. Può essere incatenata attraverso condizioni che
tacitamente la inducono alla insensibilità, alla progressiva
estraneazione dai valori e dalle relative domande. A volte ci
si crede liberi, in realtà non si è altro che esecutori di
imperativi occulti. La manipolazione, diretta o soffusa, non
risparmia la coscienza in quanto si interpone disturbando il
rapporto di questa con i valori88. Per questo la coscienza ha
bisogno di continua attenzione e dunque di progressiva
educazione.
c. Caratteristiche e vocabolario.
1. Coscienza come facoltà:
87
Cfr. G.EBELING, Riflessioni teologiche sulla coscienza, 229-246
Cfr. G.EBELING, Riflessioni teologiche sulla coscienza, 229-246)..
88
Cfr. D.HILDEBRAND, Veri e falsi principi di morale, Morcelliana,
Brescia 1962,161 Cfr. D.HILDEBRAND, Veri e falsi principi di
morale, Morcelliana, Brescia 1962,161)..
119
- coscienza originaria (etica) è la capacità naturale dell'uomo di
essere in rapporto con la verità oggettiva e col bene. Fare il
bene ed evitare il male. Volontà e intelletto
sono
armonicamente uniti;
- coscienza morale: la coscienza originaria è connaturale
all'uomo, ma il concetto di bene morale e le modalità
della morale sorgono solo gradualmente sulla base
dell'esperienza e della formazione. In tal modo e su questa
coscienza si costruiscono nell'uomo la scienza morale, la
coscienza dei valori e gli atteggiamenti morali (habitus).
2. Funzioni:
- coscienza antecedente: Essa si sottopone al giudizio della
riflessione: nella forma di un giudizio pratico un concreto
comportamento viene rapportato su una scala di valori
morali. Le norme vengono concretizzate e si rimuovono,
possibilmente, le oscurità che permangono. Il dovere esorta
ad essere fedeli ai valori. Si fa sentire la voce che esorta a
non evadere e a non bloccare il movimento della
coscienza. La prudenza in questo caso è la virtù propria
della coscienza; è suo compito valutare la realtà.
- decisione: L'uomo naturalmente orientato verso il bene
prende una decisione concreta liberamente e se ne assume la
responsabilità. L'io si sperimenta nella identità o nella
separazione radicale con se stesso.
- coscienza conseguente: Conferma o riprova la decisione presa.
Si scopre l'alienazione da se stessi connessa a decisioni che
negano i valori, si è coscienti della colpa. Tranquillità o
rimorso sono frutto di questa terza fase.
120
3. Caratteristiche della coscienza come habitus.
- attenzione: Indica la capacità di reazione ai valori;
coscienza vigile o assopita. L'attenzione può essere
completa o parziale.
- sensibilità: Indica la capacità di sfumatura fra bene e
male.
Una eccessiva sensibilità porta alla coscienza
scrupolosa. La scrupolosità può nascere da situazione di
rimozione, da ansietà inconscia. Lo scrupolo ha bisogno di
guida perché da se stesso non opera un retto giudizio.
4. Giudizio della coscienza.
- Rettitudine: Retto è il giudizio che corrisponde alla oggettiva
norma morale.
- Certezza: Con coscienza certa si intende la certezza del
giudizio sul valore o sul contenuto. Coscienza dubbia è
data dall'incertezza del giudizio personale o in ragione
delle circostanze o in ragione dell'oscurità del diritto.
(Dubbio di fatto o di diritto) oppure (Dubbio teorico o
pratico).
5. Alcune considerazioni sulla coscienza morale.
- Circa la concezione soggettivistica. Si deve mantenere il
rapporto essenziale della coscienza morale ad un bene
oggettivo e reale, senza il quale sarebbe impossibile
definirla e giustificarla. Infatti la coscienza morale è una
attività dell'intelletto pratico che comprende dei beni/fini
reali e un fine ultimo e poi effettua il suo giudizio.
121
a) verso il formalismo kantiano: si supera la
condizione «sensitiva» dell'imperativo kantiano in quanto
l'uomo possiede funzioni intuitive per comprendere se
stesso e un bene reale. Il rischio e di cadere in un circolo in
cui la coscienza rispetta i fini che lei stessa autodetermina
(selbstweck). La legge morale, contro ogni autonomismo, è
fondata invece su un bene oggettivo ed è data dalla ragione.
b) verso il deontologismo contemporaneo: qui la
coscienza è ridotta a pura obbligazione a certe azioni. Il
principio obbligante è cercato nelle conseguenze (utili e
piacevoli) delle azioni dalle quali partono le argomentazioni
(metaetica). Ma tale posizione è fruibile anche nel male
(regola d'onore nella camorra, non fare quello che vuoi
esser fatto). È necessario perciò la coscienza del vero e del
bene nella sua oggettività.
c) verso il decisionismo. È il rischio di confondere
la coscienza morale con la prudenza. La coscienza prepara
delle scelte che possono poi essere applicate con
prudenza. La coscienza è alla base delle decisioni.
- Circa l’oggettivismo etico.
La ragione non si trova fuori del bene oggettivo che è
l'essere buono umano, ma è in esso. Il soggetto può divenire
oggetto a se stesso in quanto ente (infatti l'ente è di un
carattere trascendentale che comprende soggetto e oggetto).
a) verso il naturalismo, che riduce (in modo
sensualistico) la natura dell'uomo alla sua corporeità e
sensualità, si deve precisare che la ragione appartiene alla
122
natura umana e che la legge naturale esprime una moralità
naturale insita nella natura dell'uomo89.
b) verso il conseguenzialismo, che intende il
fine/scopo solo come conseguenza delle azioni (in modo
empirico) si afferma che il fine non è solo il termine
dell'esecuzione delle azioni ma il primo nell'intenzione
della ragione. È la causa finale che precede con la sua
intenzionalità le azioni che seguono come effetti. Non c'è
divario fra teoria e prassi. L'autorità interiore della
ragione (che dice rimando ad una autorità superiore) è la
condizione indispensabile per il riconoscimento delle
autorità esteriori. Questo esclude una lettura psicologica o
sociologica circa gli influssi esteriori praticati attraverso
l'educazione.
c) verso concezioni religiose che riducono Dio ad
essere coscienza dell'uomo (fondamentalismi), si deve dire che
Dio come causa prima non elimina la causa seconda
nell'uomo: anima-ragione pratica. La coscienza morale è la
voce della ragion pratica, nella quale l'uomo parla con se
stesso e con gli altri, orientata a Dio. La voce della coscienza
è un effetto causato da Dio nell'uomo, come la legge
naturale morale è causata in lui dalla legge divina a cui
partecipa. Direttamente Dio parla all'uomo con rivelazioni in
cui l'agente diretto è Dio stesso. Coscienza umana e Dio
dunque non sono in alternativa ma in complementarietà.
89
Cfr. H.SEIDL, Natuerliche Sittlichkeit in The Ethics of St.Thomas
Aquinas, Roma 1984, 95-117.
123
A conclusione possiamo tracciare dei caratteri tipo
nella coscienza morale:
- è un con-sapere, realizzato dall'intelletto o dalla
ragione, nelle funzioni intuitive o giudicative, riguardo i fini
universali e nell'applicazione di questi a fini concreti;
- è diretta al bene;
- si deve distinguere l'intelletto nella coscienza (sinderesi) che
comprende i principi universali in modo vero (anche se
vagamente o indeterminatamente)
e
la
coscienza
giudicante che può essere erronea (tanto da richiedere
una formazione che porta ad una conoscenza più chiara
e a giudizi più maturi);
- non si identifica con nessun affetto. È una caratteristica
dell'intelletto pratico capace di influire sulla volontà.
Assume caratteri di testimonianza, di stimolo, di apertura
ecc.
- con i suoi giudizi prepara le decisioni. Si considera che il
bene reale si trova nell'essere stesso dell'uomo e la coscienza
è l'atto formale iniziale dell'autoconoscenza.
Tutto quanto detto apre finalmente la porta sull’essenziale
di tutto il nostro discorso: la persona e il suo statuto etico.
III.5. PRINCIPI ETICI: PERSONALI E SOCIALI.
5. Principi personali: dignità-libertà-responsabilità
6. Principi
sociali:
sussidiarietà
responsabilità-solidarietà-
124
7. Giustizia e Bene Comune.
a. La responsabilità.
Si deve differenziare le diverse figure della responsabilità
etica, e mostrare che il soggetto si inserisce nell'intersezione
di responsabilità diverse ed eterogenee, quasi a configurare
un soggetto etico a «geometria variabile».
La responsabiltà di chi si serve della vulnerabilità dell'altro
non è dello stesso tipo di quella che consiste nel tener conto
nella propria azione dei suoi effetti più lontani. Questa
doppia identificazione rimanda al concetto di risponsabilità
secondo E.Lévinas e H.Jonas. Inoltre non è lo stesso
soggetto quello che si pone davanti ad un giudice, davanti al
suo Amico, davanti alla Storia, o davanti a Dio.
In un articolo apparso in Le Christianisme social, del marzo
1949, P.Ricoeur distingueva: 1.colpevolezza criminale, dove il
soggetto colpevole è un individuo criminale, posto davanti
ad un tribunale e suscettibile di ricevere una condanna;
2.colpevolezza politica, dove il colpevole è il popolo dei cittadini
consensienti, posto davanti alla storia e suscettibile di azione
riparatoria; 3.colpevolezza morale, dove il soggetto è ognuno,
non importa chi, posto davanti ad un amico, e suscettibile di
pentimento; 4.colpevolezza metafisica, dove il soggetto
colpevole è costituito dall'insieme dei «sopravvissuti», posti
davanti a Dio nel confessare come si è venuti meno alla
solidarietà totale.
Quale sarà dunque la «coerenza» del soggetto, la sua fedeltà,
in ragione delle tante e così varie responsabilità che si vanno
presentando?
125
Si deve forse collocare il concetto di responsabilità in una
tensione tra un polo soggettivo e un polo istituzionale.
Parlare di sggettivizzazione della responsabilità significa
considerare il soggetto come «abbandonato» alla sua
responsabilità, anche in assenza di regole valide o univoche.
Istituzionalizzare la responsabilità, significa definire la
formazione del soggetto responsabile con procedure e
accorgimenti che organizzano lo spazio sociale.
Queste posizioni, a carattere estremo, sembrano indurre a
valutare le posizioni in senso complementare.
1. La responsabilità del soggetto.
Il civilista J.Carbonnier distingue la responsabilità morale
da quella giuridica, attribuendo alla prima il carattere della
non-limitazione e quello della limitazione alla seconda.
Insiste sia sulla sproporzione fra le due, sia sulla necessità di
ripensare oggi un concetto di responsabilità limitata.
La morale, dal canto suo, si preoccupa soprattutto di
aumentare e affinare il senso della responsabilità in senso
illimitato al punto da favorire la'ttenzione verso le negatività
e le sofferenze possibili, un modo «di essere avvertiti», una
facoltà di giudicare per se stessi. Una simile resposnabilità è
aperta al futuro e dispone alla prudenza.
Il diritto, per suo conto, procede invece alla sua
limitazione, in modo da non lasciare campo aperto. In
pratica tende a precisarla, ad imputarla o, paradossalmente,
a prescriverla. Una simile responsabilità è rivolta al passato e
si codifica con una sanzione (penale) o con una riparazione
(civile).
In verità è appunto questa sproporzione a caratterizzare
la struttura intima della responsabilità che ha bisogno di
126
concrete codificazioni, ma anche di rimandi a questa qualità
intima del soggetto nel suo più profondo rimando all'Altro.
Ma tale sproporzione indica soprattutto l'impossibilità di una
riduzione della responsabilità morale a condizioni di
convenzione o di convenienza, operando quindi un rimando
alla «qualità» intima del suo essere abbandonati alla propria
responsabilità di giudicare il giusto e il bene.
Così essa si manifesta soprattutto là dove non ci sono
risposte precostituite: si definisce e si decide in assenza di
regole prestabilite; essa stessa è capace di fissare regole
nuove e pone degli obblighi che cerca di rispettare. Così il
soggetto si scopre capace di atti inediti, di azioni non
riconosciute o retribuite, di contrastare così l'irresponsabilità.
La moralità del soggetto, infatti, non consiste nell'essere
felice ma nel modo dignitoso di esserlo. In tal senso rinuncia a
pensare in termini di ricompensa e di punizione e si apre alla
coscienza di una reciprocità anche per le situazioni
dell'umanità futura.
Queste considerazioni pongono una serie di questioni che
dispongono naturalmente alla valutazione del secondo polo,
quello istituzionalizzato.
2.La responsabilità istituzionalizzata.
La via soggettiva tendeva a circoscrivere e a limitare il
diritto in favore della responsabilità morale. Se questo
riguarda soggetti responsabili sembra positivo, ma di fronte
ad interessi economici forti, in materia di biotecnologia, a
forze brute, ad azioni di sottile convinzione e plagio? Non è
necessario proteggere il più debole rispetto al più forte? di
proteggere le vittime da se stesse e dalla propria
irresponsabilità? Non sarebbe necessario dare al diritto un
127
posto più centrale? Non sarebbe necessario rinforzare, così,
il tessuto delle istituzioni che consentono di stabilizzare la
responsabilità sociale, di tener viva l'attenzione? L'istituzione
non è forse la via della responsabilizzazione?
Su questo versante, P. Legendre, il soggetto morale non si
forma se non attraverso l'istituzione della filiazione rispetto alle
istanze di autorità, leggittimità, normatività. Lasciare il soggetto
abbandonato alla sua responsabilità significa sottoporlo al
rischio del desiderio di tirannia.
Un altro elemento negativo, in tal senso, scaturirebbe dal
concetto di «peccato-colpa» su due livelli:
- il livello individualista di una società più liberista che
solidarista e che rinuncia a mutualizzare i rischi;
- il livello religioso di una società che richiede riferimenti
simbolici forti.
L'interesse della nozione di responsabilità senza colpevolezza
nasce dal desiderio di porre la distanza tra vittima e
colpevole. Si preferisce considerare il male e le sofferenze
come punizioni piuttosto che considerarne l'assurdità. E' una
visione penale del mondo certamente non tramontata, anzi
maggiormente radicata sotto una forma secolarizzata di
retribuzione: ogni male deve essere la conseguenza di una
colpa o di un errore. Diviene dunque preminente cercare i
colpevoli per purificare la società dai suoi mali.
Ma vi è una irriducibile incommensurabilità tra la
posizione di sofferenza della vittima e quella maliziosa del
colpevole. Quando il lavoro di imputazione è finito rimane
un eccesso di sofferenza che non può essere in alcun modo
imputato (Cf P. Ricoeur, Le Mal, Labor et Fides, Genève
1986). Non perché non sia possibile risalire ad ogni atto di
colpevolezza, ma perché la logica della imputazione, in
128
quanto derivata dalla logica della retribuzione, dovrà
comunque fermarsi.
Qui compare di nuovo la istituzione. La sua funzione è
quella di desoggettivizzare, di stabilire una condizione opaca
nel circuito della retribuzione, della reciprocità e della
riconoscenza. permette di toccare il problema su due
versanti:
- senza abbassare la guardia di fronte ai mali, si preoccupa di
identificare le azioni, di riconoscerne gli autori e di obbligarli
alla prudenza;
- consente di far accogliere quella parte del danno che nob
può essere più imputabile o riparabile.
Se noi mettiamo in opposizione vittime e colpevoli, come
due categorie massive, se noi rifiutiamo un mondo dove è
possibile avere anche vittime senza colpevoli, ci disponiamo
ad un mondo di vittime senza responsabili. Sarà un mondo
puerile che consente la promessa di una realtà assicurata
contro ogni male; una società dove si può credere che ogni
male sarà imputato e riparato. L'appello alla giustizia sarà
ridotto a riparazioni compensative di tipo economico e la
responsabilità giuridica si ridurrà alla solvibilità: non si
cercherà altro che l'assicurarsi, l'essere garantiti.
In una simile società nessuno è responsabile. Nessuno prende più
dei rischi imputabili. Si prendono rischi prudenti e intanto si
lasceranno correre quei rischi non imputabili, che sono i più
grandi. La responsabilità, per esempio, per la scelta di una
civilizzazione imperniata su condizioni
con effetti
chiaramente deleteri per l'umanità. Una chiara colpevolezza
a tali livelli lascia intatta la responsabilità politica, gli interessi
economici e l'assenso di tutti.
129
3. La responsabilità consapevole.
L'etica della responsabilità si muove simultaneamente sul
versante della soggettività, oltre la dimensione giuridica, e sul
versante della istituzione, per garantire la tutela della
«minorità». E' un conflitto di responsabilità che attraversa il
soggetto etico e che lo forma. Il problema diviene quindi
quello della consapevolezza, della coerenza e della fedeltà.
Potrebbe questo far apparire che il versante pubblico e
politico, istituzione di istituzioni, divenga il contesto ideale
per la coesione sociale, per la solidarietà e la definizione di
regole comuni e condivise. Ma intanto una simile
affermazione è quanto mai contraddetta oggi e ripropone la
necessità di ricondursi sul versante della responsabilità, della
capacità di fedeltà e di coerenza del soggetto.
Una responsabilità consapevole e a più sfere, suppone
soggetti capaci di seguire regole e al tempo stesso, in casi
estremi, di produrre azioni etiche eccedenti le stesse regole
stabilite inizialmente. Responsabilità consapevole, dunque,
come capacità di rispondere all'imprevisto, ad un surplus di
richiesta, attraverso una coerenza ragionevole.
Far credito al desiderio di coerenza è tenere conto della
incapacità del soggetto a sopportare l'incoerenza oltre una
certa soglia. E' il bisogno di coerenza, infatti, a garantire una
società. Questo non elude il bisogno della istituzione politica
e giuridica di tale coerenza, ma mostra che il peso della
domanda di coerenza consapevole non può essere caricato
esclusivamente sul polo istituzionale della responsabilità.
Il rischio è di credere che possa esserci una responsabilità
totale che può condurre ad un potere totale. E un potere
totale e una signoria morale che non esistono, sia per
ritornare sugli effetti irreversibili delle nostre azioni ormai
130
avvenute, sia per simulare e fingere di non sapere sulle
manipolazioni di vario genere e sulle varie violenze praticate
nella nostra realtà.
b. Alcuni tratti e tipologie del concetto «solidarietà».
Questo concetto ha svolto e svolge nel pensiero degli
ultimi due secoli un ruolo importante. E' legato, nella sua
origine e sviluppo, all'età dei Lumi che attraversa e anima tutta
la cultura europea. Nell'ambito cattolico, a partire dalla
Rerum Novarum del 1891 e dalla Quadragesimo Anno del 1931,
questo concetto diviene pietra angolare di ogni sistema di
giustizia sociale e universale. E' così evidente che i termini
solidale-solidarietà risultano relativamente recenti e conservano
la stessa radice linguistica e lo stesso senso in molteplici
contesti culturali: l'inglese solidarity, il tedesco solidaritaet,
l'olandese solidariteit, il polacco solidarnosc...
Proviamo a darne una qualche definizione: le espressioni
solidarietà/solidale si applicano alle situazioni in cui molte
persone entrano in comunione di interessi e responsabilità e
dipendono tra loro reciprocamente in modo tale che ciò che
interessa l'una, nel bene o nel male, riguarda anche tutte le
altre.
In ragione di questa traccia possono essere segnalati
alcuni tratti distintivi di questo nostro concetto:
1. La solidarietà implica una comunanza di interessi così
molteplice tanto da poter non essere ben valutata da uno
sguardo puramente esterno;
131
2. Emerge dalla convinzione che un singolo o un gruppo è
troppo debole per raggiungere gli obiettivi prefissati;
3. Prevede la diretta partecipazione, la implicanza, agli sforzi
da compiere in difesa di interessi comuni, con conseguente
capacità di privazione o sacrificio;
4. L'impegno che nasce da un rapporto di solidarietà non
può rimanere saldo senza una libera, esplicita, scelta dei
soggetti interessati, con conseguente valutazione morale sui
valori implicati.
Si può notare che, malgrado una definizione abbastanza
realistica, il concetto permane fluttuante e consente, di fatto,
una sua diversificata applicazione, in quanto, non tutti e non
sempre gli elementi segnalati trovano diretta e globale
concretizzazione.
Ulteriori precisazioni nascono da una serie di tipologie, a
carattere psicologico e sociale, che identificano in concreto
questo nostro concetto:
1. Distinzione tra solidarietà in quanto fatto naturale e quella
intesa come virtù. In questo primo caso essa esiste
indipendentemente dalla nostra volontà. Scaturisce dalle
condizioni fisico-biologiche, economiche e politiche,
intellettuali e morali nelle quali la nostra natura ci ha
collocato.
Per questa solidarietà naturale, l'individuo ha dei doveri di
dedizione e abnegazione in quanto doveri di semplice
giustizia e molto diversi da quelli derivanti dalla solidarietàvirtù.
132
2. Distinzione tra solidarietà materiale e solidarietà morale.
Questa prima, detta anche attiva, si impegna in atti concreti;
la seconda, invece, si limita all'appoggio morale espresso in
atti di adesione, in segni di approvazione, di
incoraggiamento.
3. Valutazione del tipo di solidarietà in ragione delle facoltà
della persona umana: solidarietà cognitiva, volitiva, affettiva,
motrice.
4. Determinazione del tipo di solidarietà che scaturisce dalle
diverse aggregazioni sociali.
c. Giustizia sociale.
Significato complesso (teologico-giuridico).
Idea generale di Giustizia.
Giustizia specifica, determinante per l'etica sociale, tre nuclei
principali:
 Nozione di giustizia.
Definizione di Simonide: giustizia è dare a ciascuno il suo.
Definizione di Platone: giustizia è fare ciascuno il suo.
Definizione di Ulpiano: giustizia è ferma volontà di dare a
ciascuno il suo.
Elementi specifici di etica sociale sono:
2. stretta esigibilità (dovuto)
3. uguaglianza.
Condizioni necessarie:
1.
1. alterità
uguaglianza
è
valore
133
oggettivo (atti esterni)
2. uguaglianza è atto
personale (rettitudine interna)
3. uguaglianza è sia atto
esterno che atto interno, è
un
adeguarsi
all'oggetto
(giusto mezzo)
 Divisione del concetto
Tre sistemi di relazione:
1. tra persone o gruppi sociali.
2. tra la società ed i suoi membri.
3. tra membri particolari e
società.
Quindi tre criteri di giustizia:
1. giustizia che riguarda soggetti particolari (commutativa)
2. giustizia che riguarda i membri di una società
(distributiva)
3. giustizia generale (legale)
Giustizia commutativa: soggetto è la persona privata (o
anche la società come persona giuridica), vi è esigenza di
equivalenza assoluta e di equilibrio che si basano su delle
obbligazioni.
Giustizia distributiva: soggetto passivo è la persona
rispetto alla società che con i suoi organi ufficiali ripartisce
benefici ed uffici fra i suoi membri.
Giustizia legale: ha per oggetto il Bene Comune a cui
ognuno deve contribuire proporzionalmente, che significa:
1. evitare l'eccessiva soggettivizzazione
2. concretizzare l'oggetto
134
3. rigida esigibilità
4. alterità
 Giustizia come cifra dell'etica sociale.
Significa
*capacità critica in cui il legale non prevale sull'etico
*dinamica di cambiamento ossia umanizzazione.
d. Bene Comune.
Il Bene Comune è l'orientamento etico della realtà sociale; la
configurazione più esplicita e ideale di tale realtà. Per meglio
offrirne le linee di definizione, se ne presentano tratti e
caratteristiche.
1. Funzioni.
Il Bene Comune si esprime attraverso varie funzioni: etica,
quando esprime il valore normativo della realtà sociale;
finalistica, quando è una meta da conseguire; mitica, quando è
un modello che concretizza l'idealità e si esprime attraverso
scelte concrete.
2. Nozione formale.
Il Bene Comune vive in un equilibrio da definirsi
costantemente tra dimensione individuale e dimensione
sociale. La dimensione individuale: è un bene non omologabile a
beni particolari, che a loro volta possono essere compresi
alla luce del Bene Comune. La dimensione sociale: è un bene
non astratto ma legato agli individui, né è omologabile ad un
idea totalizzante (razza, nazione etc…)
E' un bene della persona in quanto relazionate ed orientate
alla realizzazione di un progetto unitario di cui possano
135
giovare tutti. La nozione di Bene Comune si evidenzia
quando il bene personale ed il progetto sociale si
armonizzano e convengono, perché allora il Bene della
Comunità coincide con quello dei singoli.
3. Contenuto.
Perché abbia una funzione etico-critica è necessario pensarlo
non solo nei beni economici (benessere), ma nella qualità
della vita sociale, ossia nel complesso di beni, di fini e di
condizioni a cui tutti possono partecipare.
4. Bene Comune e opzioni sociali.
Il Bene Comune dipende dalle opzioni sociali e a sua volta le
condiziona. Opzioni che devono essere dunque umaniste e
personaliste ovvero solidali e sussidiarie. Il bene comune
assume alcuni specifici caratteri operativi: pluralista e
democratico; dinamico (tra storia passata ed obiettivi futuri);
intenzionale e soggettivo (opera della volontà, ma anche di
giuste strutture sociali); totalizzante e individuale
(espressione della singola persona, ma articolato in un
orizzonte più ampio di senso).