Separazione dei Poteri

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Conferenza di prof. Guastini
SEPARAZIONE DEI POTERI
La prima cosa da dire, nel contesto di questa espressione e più in generale nei contesti in cui si
parla dei poteri dello stato, il vocabolo “potere” può assumere due diversi significati. Talvolta li
assume entrambi in modo confuso; è invece necessario distinguere laddove il linguaggio comune
non distingue.
In primo luogo “potere” significa funzione; una funzione dello stato non è altro che un’attività, un
tipo di attività e un tipo di attività non è altro che una classe di atti. Nel linguaggio giuridico, nel
98% dei casi il vocabolo “atto” non designa, come nel linguaggio comune, un’azione, l’agire, ma
designa il risultato, il prodotto di questo agire. Nel mondo del diritto, 98 volte su 100, il risultato
prodotto dall’agire è un testo, un documento. I giuristi chiamano “atti” le leggi, le sentenze, i
provvedimenti amministrativi. E’ di questo che stiamo parlando. Le funzioni sono classi di atti in
questo senso: documenti.
Il secondo significato della parola “potere” è quello di organo, non la funzione ma l’organo o il
complesso di organi che esercita la funzione, per esempio la funzione è quella legislativa, il
parlamento l’organo che la esercita.
Ora per separare i poteri, per dividerli o anche per rinunciare a dividerli, la prima cosa è
identificarli. Vi è una classificazione tradizionale delle funzioni statali risalente a Montesquieu, che
ne distingue tre anche se non si usa più la terminologia di Montesquieu e i concetti si sono un po’
modificati nel corso della storia delle dottrine costituzionali in questi due secoli. Secondo questa
classificazione, le funzioni dello stato sono tre e solo tre. Questa tesi ha ambizioni teorico generali,
cioè quello che stiamo dicendo è che in ogni possibile stato le funzioni sono quelle, solo quelle e
sempre quelle. Quali?
1. La prima funzione, che va sotto il nome di funzione legislativa, si può definire, prima facie,
come l’attività che consiste nel creare norme, produrre norme, si chiama anche produzione
giuridica. Generalmente parlando, in questo contesto, per norma o regola, se preferite, si intende un
comando che sia generale e astratto cioè che sia rivolto, non ad una singola persona, o a persone
specificamente individuate, ma ad una classe di persone, di soggetti, a “tutti coloro che” si trovano
in una certa situazione e questo è ciò che chiamiamo generalità. In secondo luogo un comando il
cui oggetto non sia una singola e individuata azione ma una classe di azioni e questo è ciò che
chiamiamo astrattezza. Questi concetti andrebbero precisati e forse anche discussi ma per i nostri
fini qui non è necessario. A quella prima definizione, “l’attività che consiste nel creare norme”
dobbiamo introdurre qualche precisazione. Alla lettera è dunque l’attività che crea nuove norme
giuridiche. Tuttavia, in un senso un po’ meno letterale ma più congruo, dobbiamo intendere per
produzione del diritto, dunque per legislazione, non già solo la creazione di nuove norme, ma
più in generale, qualunque attività il cui risultato sia la modificazione del diritto esistente in
quel momento. Il diritto in senso oggettivo è un insieme di norme.
Ma come si fa a modificare un insieme e, in particolare, un insieme di norme giuridiche? Ci sono
almeno quattro modi.
Il primo, è ovvio, consiste nell’introdurre nuove norme e significa aggiungere elementi
all’insieme. Il secondo è meno ovvio e consiste nel derogare ad una norma preesistente, fare
eccezione; questo esige una precisazione: per derogare ad un comando generale e astratto non è
affatto necessario fabbricare un altro comando generale e astratto; in genere si deroga ad un
comando generale e astratto emanando un comando individuale e concreto. Per derogare alla norma
“Tutti gli assassini devono essere puniti” è sufficiente adottare un precetto singolare e concreto
secondo cui “Tutti gli assassini devono essere puniti ma il sig. Rossi no”. La normazione è di regola
generale e astratta ma non necessariamente. Introduzione, dunque, di nuove norme o deroga a
norme preesistenti.
Il terzo modo di modificare le norme è quello che consiste nel cancellare una norma preesistente,
eliminare uno degli elementi dell’insieme e questo, nel linguaggio giuridico si chiama “abrogare”.
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Il quarto modo non è altro che una combinazione del primo e del terzo, è quello di sostituire uno
degli elementi dell’insieme. La sostituzione consiste nella congiunzione di 1.l’abrogazione di una
norma preesistente, 2. la introduzione di una norma nuova. Questo è un accettabile concetto di
produzione giuridica, di creazione normativa.
E’ importante capire, però, che cosa non costituisce produzione del diritto. Tante cose, ovviamente,
non costituiscono produzione del diritto ma due vanno sottolineate.
In primo luogo non costituisce creazione del diritto la mera ripetizione di norme preesistenti;
secondo, non costituisce creazione la formulazione di norme o precetti singolari e concreti che siano
già impliciti nelle norme preesistenti di cui sono conseguenze logiche. Vi faccio un esempio banale.
La legge dice che “Tutti gli assassini devono essere puniti”; l’operazione di un giudice consiste
nell’accertare se Tizio o Caio o Sempronio abbia o non abbia commesso omicidio, se sia o non sia
un assassino e se la sua decisione che, sì, egli è un assassino, ragionerà così “Tutti gli assassini
devono essere puniti, il Tale è un assassino, dunque il tale dev’essere punito”. La conclusione di
questo banale sillogismo, “Tizio dev’essere punito”, è un precetto singolare e concreto. Sarebbe
appropriato dire che il giudice ha creato questo precetto? La risposta è si e no. Sì, perché per
pronunciare questo precetto occorre pur sempre un atto di volontà, di decisione. Tuttavia, in un altro
senso, no per la banale ragione che il precetto singolare e concreto è logicamente implicito nelle
premesse, nella premessa maggiore e dunque non sembra essere una norma nuova. Non aggiunge
nulla a ciò che è già nelle premesse, si limita a portarlo in luce.
A questo punto per meglio illustrare il concetto di produzione normativa, di legislazione, ho già
introdotto, in realtà, una definizione della seconda delle funzioni dello stato.
2. La seconda funzione dello stato va sotto il nome di applicazione del diritto. L’applicazione di
norme a casi individuali e concreti, detta anche giurisdizione o funzione giurisdizionale, consiste
precisamente nel far dei sillogismi come quello che ho fatto un momento fa. Premessa maggiore è
una norma generale e astratta precostituita, premessa minore è l’accertamento di un fatto,
conclusione è un precetto individuale e concreto. Capite perché Montesquieu dicesse che il potere
giurisdizionale è un potere nullo e che dicesse altresì che “i giudici non sono che la bocca della
legge”. L’idea era precisamente questa, che i giudici non creassero niente.
3. La terza funzione dello stato si dice comunemente funzione esecutiva, però questo termine,
l’aggettivo in particolare, non va preso alla lettera. Strettamente intesa, l’esecuzione di norme
consiste, molto banalmente, nella obbedienza alle norme, consiste in comportamenti materiali che
costituiscono obbedienza a norme. Attenzione noi non diremmo che un cittadino quando obbedisce
a una norma la esegua, diremmo che la osservi.
Noi parliamo di esecuzione quando si tratta della obbedienza da parte di un organo dello stato,
come ad esempio la pubblica amministrazione, obbedienza ad una norma ad esso rivolta. Diciamo
esecuzione solo quella che abbia come soggetto un organo dello stato. Ma la nozione di funzione
esecutiva non va intesa in questo modo. L’esecuzione propriamente intesa è solo una piccolissima
parte di ciò che va sotto il nome di funzione esecutiva. Difatto la funzione esecutiva, in questa
classificazione tricotomica, include tutto ciò che non rientra nelle altre due, è dunque una
categoria residuale, uno scatolone entro cui stanno cose molto eterogenee come, ad esempio,
spendere il pubblico denaro, come fare o non fare uso della forza, di quella pubblica e di quella
militare, come, ad esempio, dare o non dare una concessione edilizia, esercitare o non esercitare
l’azione penale; il pubblico ministero esercita un pezzo della funzione esecutiva.
Così definite, le tre funzioni non stanno sullo stesso piano ma sono gerarchizzate, la funzione
legislativa, in particolare, è preminente sulle altre due. Perché? Per ragioni semplicemente
logiche: l’applicazione e l’esecuzione di norme presuppongono la produzione delle norme eseguite
ed applicate. (Nella funzione esecutiva ci sono anche poteri “liberi” che non rientrano nella
funzione esecutiva; per esempio fare una trattativa internazionale, non è esecuzione della legge.
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Tuttavia, anche sotto questo profilo la funzione esecutiva, il nome è un po’ fuorviante, è
subordinata, anche logicamente alla legislazione perché consiste pur sempre, anche quando non è
mera esecuzione, nel fare uso di poteri conferiti dalla legge e quindi presuppone norme attributive o
attributrici di poteri.
Separazione dei poteri. Strettamente intesa, così come è stata costruita non già da Montesquieu ma
dal costituzionalismo ottocentesco, la separazione dei poteri è la risultante di due regole di
organizzazione del potere statale.
La prima regola è la specializzazione delle funzioni; la seconda regola è l’indipendenza degli
organi.
Specializzazione delle funzioni significa che ciascuna delle tre funzioni individuate è esercitata da
un certo organo come, ad esempio, il parlamento o da un complesso di organi, come, ad esempio,
l’insieme di giudici; è esercitata da quest’organo o complesso di organi: 1° in modo esclusivo,
2° interamente. Vi è specializzazione di una funzione se e solo se questa è esercitata da
quell’organo tutta e sola. Come si fa? Semplice, si fa una norma che attribuisce la funzione in
questione a quel certo organo e, inoltre, si fa un’altra norma che vieta ad ogni altro organo
l’esercizio di quella funzione. La prima norma conferisce potere, la seconda norma è una norma di
riserva, che riserva un certo potere a qualcuno e ne preclude l’esercizio a qualunque altro. Nessun
organo può annullare o privare di efficacia gli atti di un altro organo.
Questa è la specializzazione delle funzioni ma è solo la metà della cosa.
La seconda regola è l’indipendenza degli organi.
Indipendenza degli organi significa che ciascun organo è libero da interferenze da parte degli
altri due. Un organo A è libero da interferenze da parte di un altro organo B se e solo se: 1°) A non
è nominato da B e 2°) A non può essere revocato da B. Questa seconda parte della definizione è più
importante. A rigore anche la nomina è pur sempre un’interferenza.
Implicazioni: la separazione dei poteri implica, tra le altre cose, perché l’elenco che sto per fare
non è completo, almeno le seguenti regole:
1a. Il governo titolare delle funzioni esecutive non è politicamente responsabile di fronte al
parlamento, titolare della funzione legislativa. Non è politicamente responsabile vuol dire che non
gli è richiesto di godere della fiducia del parlamento e soprattutto che il parlamento non può
revocarlo, farlo cadere, obbligarlo alle dimissioni con un voto di sfiducia o di censura. Molto
all’ingrosso, le forme di governo in cui l’esecutivo non è responsabile di fronte al legislativo vanno
sotto il nome di governo presidenziale. Il governo non è soggetto alla fiducia o alla sfiducia del
parlamento anche perché gode di una speciale investitura popolare autonoma. Negli Stati Uniti, per
esempio, il capo del governo, è capo dell’esecutivo che è il presidente, viene eletto direttamente dal
popolo.
2a. Il parlamento non può essere sciolto dal governo o da capo dello stato. Il potere esecutivo
non può interferire nella funzionalità del legislativo. Non ne ha il potere. Non c’è scioglimento
anticipato.
3a. Il governo e/o il capo dello stato non può opporre il veto alle leggi. Di solito le leggi sono
approvate dall’organo legislativo ma promulgate dal capo dello stato. La separazione dei poteri
comporta che il capo dello stato non possa non promulgare una legge, allorché il parlamento l’ha
approvata. La possibilità di rifiutare la promulgazione si chiama veto, potere di veto. Se il capo
dello stato non ha potere di veto vuol dire che ha l’obbligo di promulgare la legge. Anche questa è
una conseguenza della separazione strettamente intesa.
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4 a. Il governo e, a maggior ragione, la pubblica amministrazione, non ha poteri normativi di sorta.
Le norme giuridiche possono essere create solo dal legislativo non dal potere esecutivo. O
quantomeno, se proprio l’ esecutivo deve avere poteri normativi, perché ci sono ragioni pratiche che
lo consigliano, bisogna che le norme create dall’esecutivo siano subordinate alle leggi, cioè che
non possano essere in contrasto con esse. E bisogna che questi poteri normativi all’esecutivo
siano attribuiti dalla legge.
5a. I giudici non possono in nessun caso rifiutare l’applicazione della legge. Rifiutare
l’applicazione della legge è come legiferare, è come negare l’esistenza di una legge, o addirittura
abrogarla. In particolare ciò che i giudici non possono fare è controllare la conformità delle leggi
alla costituzione che potrebbe essere una forte ragione per rifiutarne l’applicazione.
6a. I giudici non possono controllare la legalità, la conformità alla legge degli atti dell’esecutivo,
non possono annullarli o privarli di efficacia. Questa sarebbe un’interferenza nella funzione
esecutiva.
7a. I precedenti giudiziari, ossia le precedenti decisioni giudiziarie di casi simili a quello che
stiamo decidendo, non sono vincolanti per i giudici futuri. I giudici non hanno alcun obbligo di
decidere una controversia in modo analogo a come altri giudici l’hanno decisa in passato. Perché
no? Perché questa sarebbe una sorta di legislazione giudiziaria. I precedenti non sono vincolanti, a
differenza di ciò che accade nei paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti; là, sì, sono vincolanti, la
regola viene chiamata stare decisis
8a. Sono vietate le leggi interpretative. Al legislatore è vietato fare delle leggi nelle quali, invece
di dire cosa si deve fare o non fare, precisa il significato di leggi precedenti; questo fenomeno si
chiama “interpretazione autentica”. Perché no? Perché non va d’accordo con la separazione dei
poteri? L’interpretazione della legge è parte integrante della sua applicazione ma l’applicazione è
funzione giurisdizionale e quindi anche l’interpretazione dev’essere riservata al giudiziario.
9a.Proprio come il giudiziario non può annullare un atto dell’esecutivo, allo stesso modo le
decisioni giudiziarie non possono essere revocate o rese inefficaci mediante leggi, meno che
mai medianti atti o provvedimenti del potere esecutivo. Come potrebbe fare il legislatore a
revocare una decisione giudiziaria? In molti modi ma uno in particolare cui non si pensa. Un modo
per incidere su decisioni giudiziarie già prese è fare leggi retroattive. La legge retroattiva è una
legge che ammette delle conseguenze giuridiche dei fatti, degli atti, dei comportamenti, accaduti in
un momento antecedente a quello in cui la legge entra in vigore. Non tutte le leggi retroattive
incidono sulla funzione giurisdizionale ma alcune di esse possono. In particolare incidono sulla
funzione giurisdizionale le leggi che vanno a toccare, a rovesciare casi o controversie già giudicate,
già concluse. La legge retroattiva non va d’accordo con la separazione dei poteri.
10a. I membri del legislativo sono immuni da arresto, perquisizione, da procedimenti
giudiziari. Questa sarebbe una violazione della indipendenza degli organi.
11a I giudici sono indipendenti dagli altri due poteri, in particolare, dall’esecutivo. Vuol dire
che: a. non sono nominati dal potere esecutivo, b. sono inamovibili da parte dell’esecutivo.
Il discorso sarebbe incompiuto se, oltre la dottrina , non vi dicessi qualcosa anche sulla realtà. Di
fatto la separazione dei poteri, strettamente intesa, non è mai stata realizzata , per quanto ne so, in
nessun ordinamento costituzionale.
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In quasi tutti gli ordinamenti costituzionali esistenti, per lo meno in quelli dell’occidente, accade
questo: il potere, al singolare, il potere politico, complessivamente inteso, è, sì, diviso, ossia
distribuito tra una pluralità di organi, ma non c’è separazione dei poteri come l’ho definita sopra
dalla congiunzione di quelle due regole, specializzazione e indipendenza.
Allora forse sarebbe opportuno crearci un linguaggio ad hoc, mettendoci convenzionalmente
d’accordo di chiamare “separazione dei poteri” nel senso di specializzazione più indipendenza, e
chiamare “divisione dei poteri” o del potere, quest’altra cosa. E’ abbastanza raro che valga
pienamente la regola delle specializzazioni delle funzioni; e, per un altro verso, è raro che valga, ed
è bene così, la regola dell’indipendenza degli organi. In un ordinamento in cui queste due regole,
specializzazione e indipendenza, non valgano, non vi è separazione dei poteri. Vi sono interferenze
reciproche tra le funzioni e tra gli organi, i diversi organi si controllano a vicenda, quindi
controbilanciano i rispettivi poteri, e questo si usa chiamarlo con un’espressione che viene dal
costituzionalismo americano, checks and balances che vuol dire controlli e bilanciamenti, pesi,
contrappesi e controlli.
Come stanno le cose nell’ordinamento italiano vigente?
Generalmente parlando non c’è separazione dei poteri strettamente intesa, ci sono molte
interferenze.
1. In primo luogo non c’è “riserva di legislazione”, la produzione del diritto non è riservata al
legislativo. E’ vero sì che ai giudici è vietato legiferare; cioè è vietato 1°creare norme
generali e astratte; i giudici devono limitarsi ad applicare le norme che trovano già fatte ad
opera del legislatore. Non v’è riserva di legislazione perché l’esecutivo gode di poteri
normativi, gode, in virtù di leggi e secondo alcuni , a dir la verità, di poteri regolamentari,
può fare regolamenti che sono subordinati alle leggi. Non possono violarle, sono invalide
qualora le violino. Tuttavia l’esecutivo ha stabilmente poteri normativi. E questa è una
prima interferenza nella funzione normativa. Ma addirittura, come sapete, il governo può
emanare atti normativi equiparati alla legge, non subordinati ad essa. Non sempre ma solo in
casi di necessità ed urgenza. Questi atti normativi si chiamano Decreti Legge. E anche se
hanno efficacia normativa nel tempo,(se entro sessanta giorni il parlamento non li approva
decadono, perdono efficacia e si cancellano persino gli effetti che avevano prodotto questi
sessanta giorni), tuttavia trattasi di una funzione squisitamente legislativa. Inoltre il
parlamento può delegare la funzione legislativa all’esecutivo e sia pure su delega del
parlamento, l’esecutivo può esercitare il potere legislativo.
2. Inoltre nel nostro ordinamento vale il principio secondo cui il giudice deve decidere
qualsiasi controversia gli sia sottoposta. Non può rifiutarsi di decidere dicendo “la legge non
dice niente”o “ la legge è oscura” o qualcosa del genere. Il giudice non può, così si usa dire,
delegare giustizia. Tuttavia tutti gli ordinamenti giuridici sono pieni di lacune, ci sono
infinite controversie su cui la legge non dice niente e tuttavia il giudice le deve giudicare lo
stesso. In tutti questi casi, anche perché non potrebbero fare altrimenti senza venir meno ai
loro doveri d’ufficio, ….Bisogna aggiungere, per la verità, che una legge può essere
meramente formale, ha la forma della legge approvata dall’organo legislativo secondo certe
procedure, però non ha il contenuto della legge, non emana comandi generali e astratti ma
qualcos’altro. Leggi meramente formali sono previste dalla stessa Costituzione. Un esempio
tipico è la legge di approvazione del bilancio che non dice che cosa si debba o non si debba
fare da parte di chi e in quali circostanze, dice semplicemente “è approvata la seguente
tabella di conti; entrate e uscite. Ancora, leggi singolari, prive di generalità e astrattezza, non
sono vietate dalla Costituzione. Ma bisogna dire, per amor di verità, che leggi singolari e
concrete incontrano un limite forte in Costituzione e questo limite è il principio di
eguaglianza (art. 3 Costit. n.d.r.): casi eguali devono essere trattati in modo eguale; allora,
se una legge si rivolge soltanto a me e non a quelli che mi sono eguali, sarà una legge
incostituzionale perché violerà questo principio.
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3. Non c’è riserva di legislazione, non c’è riserva di amministrazione, c’è riserva di
giurisdizione ma entro certi limiti. Perché il principio secondo cui le decisioni dei giudici,
una volta prese, non possono essere più rovesciate, rimesse in discussione (si chiama
principio della cosa giudicata), questo principio in Costituzione non c’è scritto. E siccome
non c’è scritto può essere non violato, sarebbe un po’ forte, ma aggirato, sì. Soprattutto non
c’è riserva di legislazione perché non sono vietate le leggi interpretative (vedi sopra).
4. Infine, (tutti gli ordinamenti son così, ma anche qui si tratta di interferenza nella funzione
giurisdizionale) anche nel nostro ordinamento sono previste la grazia, l’amnistia e l’indulto
che sono modi di privare di efficacia decisioni prese in materia penale.
5. L’esecutivo non è affatto indipendente dal legislativo nel nostro ordinamento. Il nostro è un
governo parlamentare non un governo presidenziale, ciò vuol dire che il governo è soggetto
alla fiducia del parlamento, e deve conservarla e ha l’obbligo di dimettersi, inclusi i singoli
ministri, qualora non ce l’abbia più.
6. Inoltre, nel nostro ordinamento, è previsto che il parlamento possa mettere in stato d’accusa
il capo dello stato.
7. Infine, ultimo punto, non solo l’esecutivo non è indipendente dal legislativo, ma neanche il
legislativo è interamente indipendente dall’esecutivo; per ragioni espositive sto mescolando
questioni di specializzazioni delle funzioni e di indipendenza degli organi, ma va bene così.
Il legislativo non è indipendente dall’esecutivo perché: 1° esiste l’istituto dell’evento
presidenziale sulle leggi, il presidente della repubblica dovrebbe promulgare la legge ma
non ne ha l’obbligo, gode di un veto sospensivo che non è definitivo, non è assoluto; il
presidente può rimandarla al mittente ma se le camere la riapprovano, allora il presidente ha
l’obbligo di promulgarla.
8. Il nostro ordinamento prevede lo scioglimento delle camere da parte del presidente della
repubblica in accordo col primo ministro e anche sotto questo profilo non vi è piena
indipendenza tra gli organi.
Quasi tutti gli ordinamenti sono così. La separazione dei poteri strettamente intesa, è una bufala, è
una cosa che non esiste. E forse è meglio che non esista perché dal punto di vista (ricordate, le
Costituzioni servono a limitare il potere e a garantire i diritti, prima conferenza, n.d.r.) delle
garanzie dei diritti, è più funzionale un sistema in cui i poteri interferiscono e quindi si intralciano a
vicenda, che non un ordinamento in cui sono rigidamente separati e privi di comunicazione.
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