GRANDI FIGURE DELLA SCOLASTICA: ABELARDO Il mio prof di filosofia del liceo ci spiegava che la filosofia del Medioevo vale moltissimo, non tanto per quello che dice ma per come lo dice. Ciò significa che i medievali più che delle grandi dottrine elaborarono una raffinata tecnica filosofica, logica e argomentativa; furono grandi proprio perché, avendo a disposizione pochi materiali ereditati dall’antichità (un paio di trattati dell’Organon di Aristotele: Categorie e Dell’interpretazione, alcuni commenti e citazioni tratte dalle opere enciclopediche di cui si è già detto) effettuarono un lavoro di scavo e analisi che ancor oggi stupisce. La base della loro preparazione filosofica, compendiata nelle cosiddette arti liberali del trivio, era la logica, in cui furono molto esperti e anche innovatori. Ogni secolo del Medioevo, dopo la rinascita dell’anno Mille, ebbe il suo grande filosofo: l’XI secolo Anselmo, il XII Abelardo. Pietro Abelardo (1079-1142) nacque in Bretagna, nelle vicinanze di Nantes. Studiò con i migliori maestri dell’epoca ma fin da giovane allievo dimostrò un carattere insofferente e uno spirito molto critico. A Parigi aprì una scuola sulla collina di Santa Genoveffa e poi insegnò alla Scuola di Nötre Dame (negli anni 11141118), che fu il primo nucleo dalla futura università di Parigi. In questo periodo si colloca la sua storia d’amore con Eloisa, che è l’episodio più celebre della vita di Abelardo. Eloisa era la giovane nipote del canonico Fulberto, che l’aveva affidata ad Abelardo per l’istruzione filosofica. I due si innamorarono e intrecciarono una relazione da cui nacque un figlio, chiamato Astrolabio (il nome significa “colui che abbraccia le stelle”, forse in omaggio alla conoscenza scientifica); quando Fulberto, che forse di Eloisa era padre, non zio, scoprì la tresca, andò su tutte le furie: Abelardo si dichiarò disponibile a qualunque tipo di risarcimento, e Fulberto impose le nozze riparatrici. Abelardo accettò a patto che il matrimonio rimanesse segreto, perché temeva che la sua carriera accademica, giunta ai vertici, potesse essere danneggiata dalla rinuncia al celibato (timore probabilmente infondato, perché la sua fama era immensa e nessuno ci avrebbe fatto caso). I due amanti si sposarono in segreto, ma evidentemente ciò non fu sufficiente a placare l’ira di Fulberto, che si vendicò atrocemente facendo evirare Abelardo da due suoi scagnozzi (un modo di “farsi giustizia da soli” che a quei tempi non era raro). Dopo questo tragico evento, Eloisa e Abelardo si ritirarono in due conventi diversi. Eloisa poi divenne badessa, ma non dimenticò mai l’amante e marito, perché pur non incontrandosi mai più i due si scrissero delle stupende lettere d’amore che sono tra i capolavori della letteratura. Abelardo morì nel 1142, Eloisa vent’anni dopo. Dopo la morte di Eloisa le loro salme furono traslate a Parigi, dove tuttora riposano, uno accanto all’altra, nel cimitero Père Lachaise, il più antico e famoso di Parigi. La maggior parte delle notizie biografiche che possediamo su Abelardo ed Eloisa sono tratte dalle loro lettere, e dal testo autobiografico di Abelardo “Storia delle mie disgrazie”. Nell’Ottocento la storia di Abelardo ed Eloisa divenne un mito: la maggior parte delle raffigurazioni pittoriche dei due amanti è di quel secolo, che nutrì una vera passione per il medioevo, attestata dalla diffusione dello stile architettonico “neogotico”. L’illustrazione riproduce un quadro del 1882, del pittore inglese Edmund Leighton, in cui i due amanti sono ritratti nel chiostro della cattedrale di Nötre Dame, che in realtà non esisteva ancora! LA FILOSOFIA DI ABELARDO IL PROBLEMA DEGLI UNIVERSALI: Prima di esporre alcuni aspetti della filosofia di Abelardo conviene fare un passo indietro e presentare sinteticamente il “Problema degli universali”, una delle questioni maggiormente discusse nell’ambito della Scolastica. Che cosa sono gli universali? Gli universali sono i termini di ordine generale, che nelle definizioni, come ad esempio “l’uomo è un animale razionale” stanno in posizione di predicato; nella frase precedente il termine “animale” è l’universale che indica il genere, mentre “razionale” è l’universale che indica una differenza specifica all’interno di un genere (tra tutti gli animali, l’uomo è quello che ragiona, e questo è sufficiente per definirlo) Nell’antichità gli Universali sono presenti sia in Platone che in Aristotele: per il primo, gli universali sono le idee, e sono entità più reali degli oggetti sensibili che ne sono le copie; per Aristotele hanno invece un’esistenza soltanto mentale. Nel Medioevo, coloro che credevano all’esistenza reale degli universali furono detti “realisti”; furono detti invece “nominalisti” coloro che ritenevano che gli universali fossero solo dei costrutti mentali: nomi creati dall’uomo per designare le cose. Si dice che il “campione” dei nominalisti, Roscellino (1050-1120, fu uno dei maestri di Abelardo) sostenesse che gli universali fossero solo “flatus vocis” ossia emissioni sonore, suoni vocali. Per Roscellino dunque il mondo è fatto di cose e individui singoli, come ad esempio “quest’uomo” o “questo gatto”, non di “esseri umani” o “felini” (che esistono solo come suoni della voce quando pronunciamo queste parole). Abelardo prese parte alla disputa proponendo una soluzione “concettualista”: dal suo punto di vista sia i nominalisti che i realisti commettono l’errore di considerare gli universali come delle “cose”: cose ideali in senso platonico per i realisti, suoni vocali per i nominalisti. Ma gli universali, secondo Abelardo, non sono cose, sono concetti, significati veicolati dai nomi (sermones = significati). Il sermo o significato lega la cosa, ad esempio la rosa che è sul balcone, al nome di ordine più generale “fiore”, che in effetti coglie una proprietà della rosa (“la rosa è un fiore”). Abelardo mostra così di conoscere la distinzione tra significante e significato, già nota peraltro a Boezio, che è alla base della linguistica contemporanea. Il significante è la parola, segno convenzionale che può essere detto o scritto e che varia da una lingua all’altra: essa veicola il significato, che si riferisce sempre a una cosa o esperienza esterna al linguaggio. Uomo, hombre, homme, man, sono significanti diversi che veicolano lo stesso significato: il significante non è universale, il significato sì. Abelardo scrisse poi un’opera di etica che contiene spunti di grande modernità, come il concetto di intenzionalità del peccato: il peccato, in cui consiste la malvagità, non risiede nell’azione in sé, ma nell’intenzione che l’accompagna; in altre parole, si fa il male solo se la coscienza è consapevole di farlo e orientata a farlo. Si può quindi considerare il primo filosofo che delinea un’etica dell’intenzione.