GUBBIO _ In un territorio dove l`immigrazione ha raggiunto ormai

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VERSIONE CORRETTA DELLE DUE OMELIE
PERUGIA-CATTEDRALE DI SAN LORENZO, CELEBRAZIONE DELLA
NOTTE DI NATALE: L’OMELIA DELL’ARCIVESCOVO MONS. CHIARETTI
“È NATO PER VOI IL SALVATORE!”
È doveroso, innanzi tutto, commentare il mistero che celebriamo in questa festività, particolarmente
cara al cuore della nostra gente. Non è festa di bambini o per bambini, anche se i bambini hanno
una parte importante, anzi decisiva: è nato uno di loro, da guardare con ammirazione e tenerezza, ed
è nato da una giovanissima madre, resa ancora più bella dalla maternità. I bambini ammirano e si
fanno subito solidali con il nuovo arrivato nella festa della vita. Solo che ancora non sanno tutta la
storia di quel Bimbo singolare.
1. Il suo nome è Emmanuel, Dio con noi. Viene a noi dal profondo mistero di Dio attraverso il
canale naturale per il quale tutti i bimbi arrivano a noi come un dono: una mamma, che è anch’essa
legata profondamente a questo mistero. Questa scelta di Dio sembra incredibile e quasi impossibile:
un Dio che si fa uomo, ed entra nella nostra povera storia di gente smarrita, “perché l’uomo si faccia
Dio!”, come dicono i padri della Chiesa. E così il mistero si raddoppia: com’è possibile che Dio si
faccia uomo, entri nella nostra caducità sino alle estreme conseguenze delle sofferenze e della
morte? e perché tutto questo? Ma anche: com’è possibile che l’uomo divenga Dio? non è una
stravaganza, o addirittura una bestemmia? Però qualcosa di grande in quella singolare notte è
successo a Betlemme, se anche il Cielo si commosse e la notizia fu subito recata agli emarginati del
tempo, i pastori; e arrivò anche ai potenti, che subito si insospettirono e presero provvedimenti per
metterla a tacere.
L’uomo di allora, e ancor più quello di oggi, ha bisogno di “salvezza”, e cioè di un senso e di uno
scopo per la sua vita, e di quella speranza che dia la risposta ai grandi “perché” che toccano Dio. E
ha bisogno di sapere qual è la strada che ci consente di “diventare Dio”, visto che questo desiderio
ancestrale perdura ancora nelle sue viscere. Diventare Dio! ma per quale strana alchimia e per quale
inaudito potenziamento, visto che col passare del tempo l’uomo è cresciuto sempre più sino a
credersi veramente onnipotente? I risultati di questa demiurgia presuntuosa sono sotto gli occhi di
tutti: guerre, genocidi, devastazioni, lotta dell’uomo contro l’uomo, del fratello contro il fratello,
senza un briciolo di speranza! Non è questa demiurgia che ci salva; manca qualcosa, anzi manca
“Qualcuno”. E lo attendiamo sempre.
2. La salvezza nel suo significato globale, e che ha determinato la scelta del suo stesso nome
personale: Jesus, Salvatore. È salvezza dal “male di dentro”, quella di cui teniamo poco conto, anzi
ci disinteressiamo come fosse cosa da moralisti incalliti. Eppure questo male c’è e da esso derivano
conseguenze devastanti: è il peccato, e cioè un disordine morale grave, un pervertimento del cuore
che porta a comportamenti insani. Alla radice di ogni delitto, di ogni sopraffazione, di ogni
ingiustizia, di ogni guerra…, ci sono l’arroganza, l’orgoglio, l’egoismo, la violenza, la bramosia del
potere, la lussuria… È da queste radici malefiche che dobbiamo liberarci: e Gesù viene tra noi come
il Liberatore, il Salvatore, che ci rende liberi da questi condizionamenti pervicaci. Se lo ascoltiamo
e ne chiediamo l’aiuto con la preghiera, con l’obbedienza alla sua parola, con l’umiltà e la
confidenza, questo male morale, che è alla radice di tutti i mali fisici e sociali, sarà certamente
sconfitto.
Il vero percorso per “diventare Dio” perciò non passa per la via del potere, ma per quella della
liberazione dal peccato, la via dell’amore al prossimo secondo lo stile di Gesù.
3. Gli angeli hanno cantato alla sua nascita una parola profetica: “pace”. Gesù è il principe della
pace: la pace interiore, che nasce dal buon rapporto con Dio, con se stessi, con gli altri; e la pace
esteriore, che nasce dalla ricerca sincera del bene comune, eliminando ogni violenza e ogni
sopraffazione, a cominciare dalle guerre. Basta con le guerre di ogni genere, che è una pena di
morte collettiva. E basta anche con ogni pena di morte per chicchessia. Questo non significa
avallare tutte le ingiustizie e le disonestà personali e collettive; ma significa trovare altre strade,
soprattutto preventive, per difendere anche con fermezza i diritti ingiustamente conculcati. Significa
anche cambiare il nostro modo di governare la società, con competenza e disinteresse personale,
ricercando con tenacia il “bene comune”.
Buon Natale, allora, vuol dire accogliere con amore Gesù, il Salvatore che viene a liberarci dal
peccato, che è il vero tumore della nostra vita interiore. Vuol dire accogliere con gioia Gesù,
l’Emmanuel, il Dio con noi, venuto a dare speranza alla nostra fatica di vivere. Vuol dire accogliere
con gratitudine Gesù, il principe della pace, che non manca di consolare il nostro cuore turbato dalla
paura del futuro.
Buon Natale, fratelli e figli carissimi, in particolar modo alle famiglie, che hanno nel Natale una
bella occasione di riconciliazione e di rinforzo della coesione, e ai bambini, veri miracoli di vita, da
educare con affetto ed aprire al grande e consolante mistero di Dio.
PERUGIA-CATTEDRALE DI SAN LORENZO, SOLENNE CELEBRAZIONE
DEL GIORNO DI NATALE: L’OMELIA-MESSAGGIO AUGURALE
DELL’ARCIVESCOVO MONS. CHIARETTI ALLA COMUNITA’ DIOCESANA
“NATALE, IL CORAGGIO DELLA MINORITA’”
1. A Natale ricordiamo l’avventura di Gesù, il Verbo di Dio che assume connotazioni terrestri, entra
nella nostra storia in punta di piedi come figlio d’una madre giovane e coraggiosa, si fa bambino
perché nessuno possa aver paura d’un Dio che si fa bambino. Con questo suo nascere ha inizio il
suo cammino fisico accanto ad una umanità sofferente. Ad essa presenta il suo biglietto da visita
guarendo e sanando ogni tipo di infermità; ma non è un guaritore o un santone: è il segno della
presenza di Dio tra i poveri.
Mi piace in apertura recare a voi i saluti e gli auguri dei nostri reclusi di Capanne, molti dei quali
stranieri, che incontro sempre prima delle feste, insieme ai malati e agli anziani. Mi hanno scritto in
un loro messaggio: “Anche il carcere può essere un luogo per il cambiamento con l’aiuto dello
Spirito, che ci dà la forza per diventare uomini migliori… Per questo non dobbiamo vivere come se
il tempo del carcere ci fosse irrimediabilmente sottratto”. Anche le recluse m’hanno espresso i loro
sentimenti, con gli aforismi di non so quale autore sulle stelle: “Se esprimi un desiderio è perché
vedi cadere una stella ‫ ׀‬Se vedi cadere una stella è perché stai guardando il cielo ‫ ׀‬Se guardi il cielo
è perché ancora credi in qualcosa!”.
Ho promesso loro che ne avrei parlato e avrei trasmesso a voi qualcosa dei loro pensieri.
Ricordiamoli nel giorno di Natale insieme ai malati, agli anziani, alle persone sole, a tutti coloro che
sono provati da sofferenze e da lutti, agli immigrati.
2. Non voglio ricordare oggi le sofferenze della nostra città perché la speranza deve sopravanzare
sulle nostre tribolazioni. In ogni caso esse ci chiamano a migliore capacità di accoglienza, di
partecipazione educativa, di prevenzione. Lasciamo da parte le lamentele; riscopriamo invece le
virtù umane e cristiane che ci devono caratterizzare come compatrioti di due grandi artefici di
civiltà in tempi non meno difficili degli attuali: Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi.
Riscopriamo soprattutto la lezione di Betlemme, che sa di povertà, di umiltà, di pace, di solidarietà
con i poveri che aiutano i poveri. Il Natale è sempre la sorpresa di Dio, che non si fa trovare nelle
case del potere, e nemmeno in quelle della preghiera formale o della “gente bene”, ma nei tuguri dei
poveri; ed anzi nella vita Gesù avrà una particolare predilezione per stare a tavola con i peccatori.
Abbiamo bisogno di farci convertire dai poveri, dai piccoli, dai semplici di cuore; di imparare a
guardare fatti e persone con gli occhi e il cuore di Dio; di riconoscere in questa nostra Chiesa
perugina, anch’essa messa a prova dagli avvenimenti, il corpo sofferente di Cristo, corpo ecclesiale
che dà visibilità al Cristo vivente in eterno.
3. È vero che i cristiani non possono non tener conto dell’ambiente e della situazione storica in cui
vivono, ma non saranno le furbizie del potere o la lenta e silenziosa emarginazione dalla vita
pubblica a impedire loro di essere dovunque quello che sono e di testimoniare la loro fede. Occorre
operare con più decisione e continuità se vogliamo che il Natale continui ad essere il Natale di Gesù
e non una semplice festa del cambiamento di stagione, come avviene già in nazioni cristiane,
avviate, a quanto sembra, su una via di lenta estinzione.
È vero che la condizione culturale e sociale dell’Italia è stata definita dal Rapporto del CENSIS
come una specie di “poltiglia” ambigua ed insignificante; ma è anche vero che nello stesso
Rapporto vengono presentate come segno di speranza le “minoranze creative”: e tale è oggi la
Chiesa con le sue piccole comunità di vita che vanno dilatandosi sempre più. Alla Chiesa perugina,
perciò, alle sue “minoranze creative” (movimenti, associazioni, volontari Caritas, ministri laici,
oratori, consigli pastorali, centri culturali, l’impegno missionario in Malawi, il forte impulso alla
pastorale familiare e quant’altro), ben radicate nel terreno sociale, auguro fede a tutta prova
nell’Emmanuel, il Dio-con-noi in Gesù. Ma quel che dico delle “minoranze creative” di natura
religiosa, lo dico a tutte le altre “minoranze creative”, famiglie e aziende operose che lavorano nel
silenzio e con continuità per il bene della nostra società.
A tutti vada il mio augurio di pace e di coraggio: a chi guida le sorti della nostra città, provincia,
regione; a chi produce lavoro e a chi lavora; a chi “educa” nel vero senso della parola senza tradire
né innocenza né verità; alle famiglie e ai giovani; a chi insegna e a chi fa ricerca; agli immigrati che
sono già i perugini di domani, a chi soffre e a chi assiste i sofferenti, agli anziani, ai soli. “Le nostre
esistenze sono in profonda comunione tra loro, – ci dice il papa nella sua ultima enciclica
invitandoci alla speranza –, mediante molteplici interazioni, tali esistenze sono concatenate una con
l’altra. Nessuno vive da solo. Nessuno pecca da solo. Nessuno viene salvato da solo. Continuamente
entra nella mia vita la vita degli altri: in ciò che penso, dico, faccio, opero. E viceversa, la mia vita
entra in quella degli altri: nel male come nel bene” (Spe salvi, 48). Urge allora vivere intensamente
il nostro stare insieme perché sia ricco di pace e di bene.
In questo particolare momento di difficoltà anche politiche per la nostra Italia abbiamo bisogno di
speranza come dell’aria che respiriamo. Se si blocca la speranza in una società migliore si ferma
anche la fiducia reciproca, subentra la paura, lo scoraggiamento, il pessimismo. Il Natale che ci
ricorda pur sempre – anche a chi non crede – un Bimbo che nasce e quindi il trionfo della vita, sia
per tutti un invito a sperare contro ogni speranza, perché ci sia “gloria a Dio e pace tra gli uomini”.
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