Saluzzo, 8 marzo 2009 - Istituto Secolare Santa Maria degli Angeli

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Saluzzo 8 marzo 2009 Le difese
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LE DIFESE
Le difese sono un comportamento antieconomico a livello di energia psichica ma anche a livello di
energia fisica. Una difesa, in psicologia, è qualcosa di negativo. Una difesa è, ad esempio, fare un
lavoro doppiamente faticoso per risparmiarsene uno che lo sarebbe solo per metà.
Pensate a quelli che in montagna prendono le scorciatoie e alla fine fanno il doppio di strada che se
avessero fatto la strada normale. È ridicolo e assurdo. Ma le difese scattano molto spesso nella
nostra vita, a livello psicologico, per cui noi ci affatichiamo per portare dei pesi che nessuno ci ha
detto di portare. Queste difese ci complicano la vita con l’illusione di semplificarla, di darci un
vantaggio, un guadagno.
Vediamo innanzitutto che cosa non sono le difese. Le fatiche sproporzionate sono un’altra cosa. Le
fatiche non sono uguali per tutti, ma per ognuno hanno un peso particolare. La stessa fatica, lo
stesso impegno, lo stesso lavoro ha un peso diverso per persone diverse. Alcuni esempi: per
qualcuno scrivere una lettera è molto pesante, faticoso, per un altro magari è invece piacevole,
divertente. Fare un discorso in pubblico per qualcuno è un peso faticosissimo, che lo schiaccia; per
qualcun altro invece che ci ha fatto l’abitudine, non è più un peso come per l’altro. Altro esempio:
per qualcuno amministrare è un peso che lo schiaccia, per un altro invece è un peso normale, è un
peso proporzionato.
Il peso è proporzionato all’esperienza di una persona. È proporzionato, soprattutto, in relazione
all’infanzia di quella persona. Ad es. il peso della matematica è proporzionato al rapporto che uno
ha avuto con il padre. Se il rapporto è stato semplice, buono, valido, piacevole, la persona ha meno
problemi con la matematica. Se invece il rapporto con la figura paterna si è sviluppato in modo
problematico, la persona può trovarsi in difficoltà di fronte alla matematica senza capirne il perché.
Quando vedete una persona che di fronte ad una fatica, a un problema, a un lavoro reagisce in modo
diverso da voi, sappiate che non potete giudicarla, perché non conoscete quanta fatica le costa
quella attività.
Un altro elemento diverso dalle difese sono le norme di sicurezza. Sono quei comportamenti che io
utilizzo per salvarmi in maniera valida, positiva. Ad esempio, oltre una certa ora della giornata io
posso dire che non ci sono - anche se ci sono - e non è neppure una bugia, è una norma di sicurezza.
Io dico che non ci sono per questa fatica, per questo impegno, per questa realtà.
Oppure, viene una tale a parlarmi come prete o come psicologo e un’altra persona mi chiede: cosa ti
ha detto? Io posso benissimo rispondere: non me lo ricordo, anche se me lo ricordo benissimo. Io
devo dare garanzia, sicurezza alle persone che vengono a parlarmi per cui è una norma di sicurezza
rispondere: non me lo ricordo.
Appartiene alle norme di sicurezza quando ad es. decido di tenermi libero un certo giorno e se
qualcuno mi domanda: sei libero? dico: no, non sono libero. Non sono libero perché ho già deciso
di occupare quel giorno in altro modo.
Ci sono anche delle norme di sicurezza interiori che riguardano ad es. la relazione di aiuto.
Nell’ascolto bisogna coinvolgersi con la sensibilità e non con altri elementi della persona,
diversamente si va in crisi, in burnout.
In conclusione, queste sono realtà positive, giuste, valide.
Vediamo ora che cosa sono queste difese e com’è che mettono nei guai.
Io mi trovo davanti ad una realtà che non mi piace e voglio evitarla. Per evitare questa realtà sbaglio
il sistema. Lo sbaglio sta nel fatto che pago di più di quanto pagherei se affrontassi questa realtà.
Pensate ad es. al ragazzino che non ha voglia di studiare. E per non studiare fa tante di quelle
fatiche che se studiasse ne farebbe di meno.
Ci sono delle persone che per vivere senza lavorare fanno di quelle fatiche che se lavorassero
farebbero meno fatica. Eppure hanno la sensazione di essere intelligenti, di essere furbi nel seguire
la strada che fa evitare quella fatica.
Tutto questo nasce dalla paura della fatica e della sofferenza. Per evitare la fatica e la sofferenza, si
finisce nel in una fatica, in una sofferenza ancora più grandi.
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Pensate a chi non vuol fare delle analisi mediche perché mi possono rivelare dei problemi. In realtà,
non è l’esame cardiologico che fa venire male al cuore, però se uno ce l’ha, l’esame lo rivela.
C’è la paura della sofferenza che si incontra nel momento in cui si viene a sapere la realtà e,
pertanto, si preferisce far finta che tutto vada bene.
Per non avere il problema di ammettere, ad es., di avere il diabete, per cui occorre tenersi nello
zucchero, nei dolci, mangiare a determinate ore, ecc., si finisce per rovinarsi la salute, perché
comportandosi diversamente si va incontro a dei guai molto grossi.
Oltre ai problemi fisici, ci sono i problemi psicologici. C’è gente che pur di non andare dallo
psicologo preferisce qualunque altra realtà! In particolare, le persone paranoiche non vanno dallo
psicologo. Sono quelle persone che ce l’hanno con tutti, che si sentono aggredite, attaccate,
disprezzate, perseguitate, controllate da tutti. Se poi il paranoico va dallo psicologo e dice: ce l’anno
tutti con me, come faccio a farli cambiare? Che dirgli? Non c’è un sistema per cambiare gli altri. Gli
altri non possono cambiare voi e voi non potete far cambiare gli altri. Allora scattano le difese: io
non voglio sapere.
Come avviene questo fenomeno, questo sbaglio? Prima di tutto avviene il fenomeno della
prelettura della realtà. Quando si guarda una situazione, un fatto, anche uno scritto, si tende a
leggere quello che si vuole leggere.
Ci sono degli esempi nella storia. Il primo è in latino: IBIS REDIBIS NUMQUAM MORIERIS. Questo detto è
attribuito alla Sibilla Cumana. Come oggi, anche allora, queste maghe utilizzavano dei sistemi per
accontentare tutti e non andare nei guai. Dicono che a un soldato o un generale romano che voleva
farsi predire il futuro abbia dato questo responso che si può leggere in due modi diversi: IBIS andrai,
REDIBIS ritornerai, NUMQUAM MORIERIS non morirai mai. Ma si può leggere in un altro modo: IBIS andrai,
REDIBIS NUMQUAM non tornerai mai più, MORIERIS morirai. Poiché non ci sono le virgole, lo si può
leggere come si vuole. La storia dice che quel soldato o generale abbia letto: andrai, tornerai, non
morirai mai. È andato. Ed morto.
Il secondo esempio è in inglese: A WOMAN WITHOUT HER MAN IS NOTHING una donna, senza il suo uomo,
non vale niente. Ma può anche essere letta così: una donna, senza di lei, l’uomo non vale niente.
Come mai le donne la leggono sempre nel primo modo nentre può essere letta È questione di
lettura.
L’ultimo è in italiano: IL MAESTRO DICE, L’ISPETTORE È UN ASINO. Oppure: IL MAESTRO, DICE L’ISPETTORE, È UN
ASINO. Allora, chi è l’asino? È dimostrato che la punteggiatura è importante. Tant’è che la psicologia
parla di soggettività della punteggiatura. Soggettività vuol dire che ognuno mette la punteggiatura
dove vuole.
Ci sono delle situazioni che si chiamano di controdipendenza, ossia l’andare contro se stessi. Sono
dovute a dei sensi di colpa, a delle autopunizioni, a masochismo, a forme di pessimismo per cui uno
tende a leggere sempre contro di sé, a sua sfortuna. Alcuni esempi: “Andiamo a vedere quel negozio
se è ancora aperto?… Oh, ormai è già chiuso!”. “Chissà quanto costa? Costa troppo, non si può,
costa troppo!! Può darsi, ma prima occorre controllare se è proprio così come si suppone.
Il comportamento opposto: “È sicuramente aperto! Sicuramente costa poco!” Attraverso queste
preletture vogliamo arrivare a leggere quello che vogliamo noi sia a nostro favore, che è la cosa più
comune, sia contro di noi, per cui non ci si muove a motivo di questa lettura sfavorevole.
Vediamo un altro tipo di difese. Dimenticarsi di una cosa da fare è una forma di difesa. Ci
infastidisce fare quella telefonata? Ce la dimentichiamo. C’è da spedire quella busta che contiene
qualcosa di faticoso, di spiacevole? Usciamo lasciandola sul tavolo. C’è una medicina da prendere?
Non ce ne ricordiamo. Come mai? Scatta la difesa da parte dell’inconscio il quale dice: ti risparmio
io quella fatica facendotela dimenticare.
Freud li chiamava gli atti mancati; sono una delle prove che lui portava a favore dell’esistenza
dell’inconscio.
Come funziona l’inconscio in queste realtà? L’inconscio è come l’hard disk di un computer, come
una memoria, una biblioteca dove sono collocati tutti i dati anche se noi non ne abbiamo
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consapevolezza. L’inconscio ci fornisce l’informazione quando ci serve. Provate a ricordare un
episodio della vostra infanzia a cui da chissà quanti anni non pensavate. Dove è stato tutti questi
anni questo ricordo? È stato depositato nell’inconscio. L’inconscio gestisce tanti aspetti della vita
senza che noi dobbiamo riflettere. Ad esempio, coordina i muscoli quando camminiamo. Il
bambino, quando ha imparato a camminare, deposita questo apprendimento nell’inconscio che
glielo restituisce ogni volta che deve camminare, coordinando tutti i movimenti senza bisogno che
lui ci pensi. L’inconscio, quindi, è un supporto positivo alla nostra vita.
Ma l’inconscio riflette tutti gli aspetti della nostra persona. Innanzitutto è progressivo. Cioè, le cose
non sono soltanto consce o inconsce; ci sono tanti livelli di coscienza, si sprofonda un poco alla
volta nel buio dell’inconscio; i ricordi, le capacità, ecc., sono più o meno vicini alla superficie per
cui sono facili oppure sono difficili da coscientizzare.
Nell’inconscio non si entra ma ci sono dei livelli dove posso emergere delle percezioni.
L’inconscio gestisce i ricordi lasciandoli emergere secondo la disponibilità che trova. C’è una
specie di barriera con due lati: uno verso l’interno, l’inconscio e l’altro verso la parte superiore.
Quello inferiore lo gestisce l’inconscio, quello di sopra lo gestiamo noi.
È come una doppia porta. L’inconscio sente come è la porta superiore. Se non è chiusa a chiave,
allora apre la sua ed ecco che il ricordo emerge. Se sente che la porta di sopra è rigida, è bloccata,
allora l’inconscio blocca il ricordo e non lo fa passare. A mano a mano che si è disponibili ad
accogliere la sofferenza dentro di noi, ecco che emergono dall’inconscio le percezioni delle cose,
anche se sono faticose, spiacevoli; altrimenti non emergono.
Possiamo leggere la realtà solo se si è disposti anche a leggere una realtà spiacevole, altrimenti
scatta la difesa e non leggiamo la realtà, ma quello che vogliamo leggere.
Porto come esempio una legge economica secondo la quale i consumi non seguono i redditi. Se c’è
crisi, i consumi non diminuiscono. Se c’è benessere, i consumi non aumentano. Come mai? È la
legge dell’inerzia applicata all’economia. Le persone, abituate a risparmiare, quando guadagnano di
più continuano comunque a risparmiare fino a quando si rendono conto che possono spendere di
più. A questo punto crescono un po’ alla volta i consumi. Ma quando arriva la crisi e diminuiscono i
guadagni, le persone continuano per abitudine a spendere come prima, facendo però dei debiti.
Quando si rendono conto che non ci sono più soldi sufficienti, allora cominciano a ridurre i
consumi. Constatiamo dunque che ci vuole tempo per prendere coscienza, per leggere la realtà.
Anche riguardo ad una realtà molto evidente come il portafoglio, avviene questo blocco che
impedisce di leggere le cose come stanno.
La realtà potrebbe essere buona, positiva, valida, secondo i nostri desideri, ma per paura di trovarvi
altro, si evita di leggerla. C’è gente che, per paura di sentire notizie spiacevoli, non guarda il
telegiornale né legge i quotidiani. Questa è una difesa. È il non voler prendere contatto con la realtà
per la paura di trovarla spiacevole e dolorosa.
Un altro ambito dove scatta questo tipo di difesa riguarda la lettura delle persone della nostra
cerchia. Per paura di leggere che la tal persona ha bisogno di aiuto, facciamo scattare una censura
che ci impedisce di vedere la necessità di quella persona. Non ci rendiamo conto che quella persona
ha bisogno di una mano perché non abbiamo voglia di far fatica per quella persona.
Un’altra forma di difesa consiste nello sparlare degli altri. La difesa sta nel fatto che, parlando
male dell’altro, diciamo a noi stessi di essere il contrario. Se ad es. diciamo di una persona che ha
cattivo gusto, vogliamo affermare che invece noi abbiamo buon gusto.
Dunque, parlar male delle persone, dal punto di vista psicologico, è una difesa che consiste
nell’utilizzare una certa energia per guadagnarci qualcosa; in realtà è un inganno, si spende molto di
più di quanto si crede di risparmiare. Perché a parlar male degli altri ci si crea un danno dieci volte
superiore al presunto guadagno.
Un altro tipo di difesa è la razionalizzazione. Significa decidere di fare qualcosa che non è giusto,
che non conviene e, successivamente, inventarsi delle motivazioni valide per avallare quella
decisione. Ciò significa non dirsi la verità. Quando la verità è dolorosa, dà fastidio, non piace, ecco
che ci si illude di essere intelligenti e astuti nel dirsi il contrario. No, occorre dirsi la verità.
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In conclusione, con l’assumere le difese ci si provoca un danno per paura di subire un danno. È
come fasciarsi la testa prima di essersela rotta, ossia prodursi un guaio più grande di quello che
potrebbe invece causare l’accogliere la realtà.
Appunti tratti da una comunicazione orale di don Ezio Risatti sdb - Psicologo psicoterapeuta. 8 marzo 2009.
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