D.LGS. 10 SETTEMBRE 2003, N. 276 ATTUAZIONE DELLE DELEGHE IN MATERIA DI OCCUPAZIONE E MERCATO DEL LAVORO DI CUI ALLA LEGGE 14 FEBBRAIO 2003, N. 30 - NOTA ILLUSTRATIVA - Ottobre 2003 INDICE PREMESSA CAPITOLO 1 - Regime autorizzatorio e accreditamenti (artt. 4-7) Pag. 9 1.1 Agenzie per il lavoro Pag. 13 Pag. 13 1.1.1 1.1.2 1.1.3 Autorizzazione Altri soggetti autorizzabili e competenze delle Regioni Accreditamento Pag. 13 Pag. 15 Pag. 18 CAPITOLO 2 - Tutele sul mercato e disposizioni speciali con riferimento ai lavoratori svantaggiati (artt.8-14) Pag. 19 2.1 Tutele sul mercato del lavoro Pag. 19 2.1.1 2.1.2 2.1.3 2.1.4 Diritti dei lavoratori Modalità delle comunicazioni per la ricerca di personale Divieti a carico delle Agenzie per il lavoro Fondi per la formazione ed integrazione del reddito dei lavoratori con contratto di somministrazione Pag. 19 Pag. 20 Pag. 21 2.2 Disposizioni speciali per i lavoratori svantaggiati Pag. 23 2.2.1 2.2.2 Iniziative sociali per il lavoro Inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati in cooperative sociali Pag. 23 CAPITOLO 3 - Borsa continua nazionale per il lavoro e monitoraggio statistico (artt. 15-17) Pag. 21 Pag. 24 Pag. 27 3.1 Borsa nazionale Pag. 27 3.1.1 3.1.2 Finalità e articolazione della “Borsa” Standard tecnici Pag. 27 Pag. 27 3.2 Monitoraggio statistico Pag. 28 3.2.1 Monitoraggio e valutazione delle politiche per il lavoro Pag. 28 CAPITOLO 4 - Regime sanzionatorio (artt. 18 e 19) Pag. 28 4.1 Sanzioni penali Pag. 29 4.1.1 4.1.2 Distinzione tra esercizio abusivo e esercizio senza autorizzazione Somministrazione fraudolenta Pag. 29 Pag. 31 4.2 Sanzioni amministrative Pag. 32 4.2.1 4.2.2 Violazione delle disposizioni sugli “annunci” Obblighi di comunicazione a carico dei datori di lavoro Pag. 33 Pag. 33 CAPITOLO 5- Somministrazione di lavoro (artt. 20-28) Pag. 38 5.1 Definizione Pag. 39 5. 2 Regime transitorio Pag. 40 5. 3 Condizioni di liceità Pag. 41 5.3.1 5.3.2 5.3.3 5.3.4 5.3.5 Soggetti titolati Somministrazione a tempo indeterminato Somministrazione a tempo determinato Limiti al controllo giudiziario Divieti Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. 5.4 Forma del contratto di somministrazione Pag. 45 5.4.1 Somministrazione irregolare Pag. 46 5.5 Disciplina dei rapporti di lavoro Pag. 47 5.5.1 5.5.2 5.5.3 Lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato Lavoratori assunti con contratto a tempo determinato Computabilità dei lavoratori e assunzioni obbligatorie Pag. 47 Pag. 48 Pag. 49 5.6 Tutela del prestatore di lavoro - Esercizio del potere disciplinare - Regime della solidarietà Pag. 50 5.6.1 Trattamento economico e normativo Pag. 50 5.7 Diritti sindacali e garanzie collettive Pag. 51 5.8 Norme previdenziali Pag. 52 41 42 44 44 44 CAPITOLO 6 - Appalto (art. 29) Pag. 55 6.1 Definizione Pag. 55 6.1.1 6.1.2 6.1.3 6.1.4 Appalto di servizi Cambi di appalto Certificazione Abrogazione della l. n. 1369 del 1960 Pag. Pag. Pag. Pag. 56 56 57 57 CAPITOLO 7 - Distacco (art. 30) Pag. 57 CAPITOLO 8 -Gruppi di impresa (art. 31) Pag. 59 CAPITOLO 9 - Trasferimento d’azienda – Modifica all’art. 2112, comma 5, c.c. (art. 32) Pag. 59 CAPITOLO 10- Lavoro intermittente (artt. 33-40) Pag. 61 10.1 Definizione Pag. 61 10.2 Ipotesi soggettive Pag. 61 10.3 Divieti Pag. 62 10.4 Forma Pag. 62 10.5 Indennità di disponibilità Pag. 63 10.6 Computo dei lavoratori intermittenti Pag. 65 10.7 Contrattazione collettiva e d.m. per l’individuazione delle ipotesi "oggettive” Pag. 65 CAPITOLO 11 - Lavoro ripartito (artt. 41-45) Pag. 67 11.1 Definizione Pag. 67 11.2 Regolamentazione del rapporto Pag. 68 11.3 Forma Pag. 69 11.4 Principio di non discriminazione Pag. 69 11.5 Disposizioni previdenziali Pag. 70 CAPITOLO 12 - Lavoro a tempo parziale (art. 46) Pag. 71 12.1 Il lavoro supplementare Pag. 71 12.1.1 12.1.2 12.1.3 12.1.4 L’intervento della contrattazione collettiva Gli accordi individuali – Il consenso Diritto al consolidamento Disciplina transitoria Pag. Pag. Pag. Pag. 12.2 Le clausole flessibili ed elastiche Pag. 74 12.2.1 12.2.2 12.2.3 12.2.4 Le clausole flessibili Le clausole elastiche Gli accordi individuali Il risarcimento del danno Pag. Pag. Pag. Pag. 12.3 La trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale Pag. 78 12.4 L’assunzione di personale a tempo pieno Pag. 79 12.5 L’assunzione di personale a tempo parziale Pag. 79 12.6 La comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro della stipula del contratto part-time Pag. 80 12.7 Il contratto part-time con assunzione a termine Pag. 80 12.8 Gli incentivi economici Pag. 81 12.9 I criteri di computo dei lavoratori a part-time Pag. 81 12.10 La definizione di “tempo pieno” e il lavoro straordinario Pag. 82 12.11 Le sanzioni Pag. 82 71 72 73 73 74 76 77 77 12.12 Conclusioni Pag. 82 12.12.1 Il ruolo della contrattazione collettiva e quello sostitutivo affidato agli accordi individuali Pag. 82 CAPITOLO 13 - Apprendistato (artt. 47-53) Pag. 87 13.1 Il nuovo apprendistato Pag. 87 13.2 Tipologie e limiti quantitativi dell’apprendistato – Autonomie nelle singole regolamentazioni Pag. 88 13.2.1 13.2.2 13.2.3 Tipologie Limiti quantitativi Autonomia nella regolamentazione delle tre tipologie di apprendistato Pag. 88 Pag. 88 Pag. 89 Il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione-formazione Pag. 89 13.3.1 13.3.2 13.3.3 13.3.4 Limiti di età Campo di applicazione e durata Forma del contratto Regolamentazione dei profili formativi Pag. Pag. Pag. Pag. 13.4 Il contratto di apprendistato professionalizzante Pag. 91 13.4.1 13.4.2 Limiti di età e campo di applicazione Pag. Deroga ai limiti di età e durata del contratto di apprendistato professionalizzante Pag. Forma del contratto Pag. Regolamentazione dei profili formativi Pag. 13.3 13.4.3 13.4.4 13.5 13.6 Il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione Incentivi economici e normativi 89 90 90 90 91 92 92 93 Pag. 94 Pag. 94 CAPITOLO 14 - Contratti di inserimento (artt. 54-59) Pag. 96 14.1 Dai c.f.l. ai contratti di inserimento Pag. 96 14.1.1 14.1.2 14.1.3 14.1.4 14.1.5 14.1.6 Campo di applicazione Condizioni per le assunzioni Competenze delle parti sociali Sanzioni Elementi del contratto Benefici economici e normativi Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. Pag. 96 98 98 99 99 100 CAPITOLO 15 - Tirocini estivi di orientamento (art. 60) Pag. 103 CAPITOLO 16 - Lavoro a progetto e lavoro occasionale (artt. 61-69) Pag. 104 16.1 Campo di applicazione Pag. 104 16.1.1 16.1.2 Prestazioni occasionali – Definizione Lavoro a progetto e a programma – Definizioni Pag. 105 Pag. 105 16.2 Divieto di rapporti atipici e conversione del contratto Pag. 107 16.3 Forma del contratto Pag. 107 16.3.1 Forme di coordinamento Pag. 108 16.4 Corrispettivo Pag. 108 16.5 Obblighi di riservatezza e invenzioni Pag. 109 16.6 Altri diritti del collaboratore a progetto Pag. 109 16.6.1 Gravidanza – Malattia – Infortunio Pag. 109 16.7 Estinzione del contratto Pag. 110 16.7.1 Preavviso e altre causali e modalità Pag. 110 16.8 Rinunzie e transazioni Pag. 111 16. 9 Norme transitorie Pag. 111 CAPITOLO 17 - Procedure di certificazione (artt. 75-84) Pag. 114 17.1 Definizione Pag. 114 17.2 Organi, competenze ed attività Pag. 115 17.3 Procedimento ed effetti della certificazione Pag. 115 17.4 Impugnazioni Pag. 117 17.5 Altre ipotesi di certificazione Pag. 117 CAPITOLO 18 – Abrogazioni (art. 85) Pag. 119 CAPITOLO 19 - Norme transitorie e finali (art. 86) Pag. 121 19.1 Associazione in partecipazione Pag. 121 19.2 Certificato di regolarità contributiva nell’edilizia Pag. 123 19.3 Commissione regionale dell’impiego Pag. 123 19.4 Accordi interconfederali Pag. 124 19.5 Monitoraggio dell’I.n.p.s. Pag. 124 ALLEGATI PREMESSA Il 24 ottobre 2003 entrerà in vigore il d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276 (recante “Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30”) aprendo una delicata fase di transizione e messa in opera della riforma alla cui realizzazione parteciperanno – ancora una volta – anche le parti sociali. Già il 16 ottobre scorso – in largo anticipo sui tempi concessi - il Ministro del Lavoro, in attuazione di quanto previsto dall’art. 86, comma 13, del decreto, ha avviato le prime consultazioni con le confederazioni di rappresentanza delle imprese e dei lavoratori al fine di verificare la possibilità di affidare a uno o più Accordi interconfederali la gestione della messa a regime della normativa, anche con riferimento al regime transitorio ed alla attuazione dei rinvii alla contrattazione collettiva. Quanto sopra, nella evidente prospettiva della realizzazione del dialogo sociale, chiaramente indicato nel Patto per l’Italia e che il decreto stesso provvede ad assecondare, in tutte le sue soluzioni operative, sul piano normativo. Il provvedimento, infatti, nel presupposto di individuare nuove tecniche regolatorie per un ampio e convinto coinvolgimento degli attori sociali a tutti i livelli opportuni, eleva la contrattazione collettiva nazionale, territoriale e aziendale a principale veicolo di attuazione delle innovazioni proposte dal legislatore in materia di mercato del lavoro, nel pieno rispetto del collaudato metodo del dialogo sociale. La autonomia responsabile degli attori del dialogo sociale risulta dunque valorizzata dal frequente rinvio al loro diretto negoziato in un disegno di sussidiarietà orizzontale ove le norme di legge fanno solo da cornice. Il decreto sottolinea la veridicità di tale affermazione soprattutto con riferimento alle forme contrattuali volte a garantire l’adattabilità dei lavoratori alle imprese ed alle misure sulla occupabilità. I rinvii alla contrattazione collettiva renderanno, infatti, possibile (più che nel passato) intese locali per l’occupabilità e l’adattabilità, permettendo di coniugare tipologie contrattuali nuove (lavoro intermittente, staff leasing) o vecchie (interinale, lavoro a tempo parziale) con interventi mirati in formazione. A garanzia di tutto ciò è stata introdotta una nuova tecnica di selezione dei soggetti sindacali, cui viene affidata la gestione delle novità apportate dalla Riforma, per la legittimazione di intese sottoscritte soltanto da alcune organizzazioni sindacali. E’ infatti attraverso il ricorso alla espressione “contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative”, piuttosto che alla consueta espressione “contratti collettivi stipulati dalle…..” che si intende evitare che si registrino strumentalizzazioni tali da impedire l’attuazione piena della Riforma Biagi. Il rinvio alla contrattazione collettiva, per quanto ampio e convinto, non può essere infatti tale da paralizzare l’attuazione della riforma e il ruolo del legislatore nella regolazione dei fenomeni economici e sociali. Vanno pertanto valutate positivamente le disposizioni “di chiusura” riportate nel provvedimento che daranno modo di avviare la procedura di consultazione delle parti sociali. Come pure vanno apprezzati i richiami agli Accordi interconfederali di cui agli artt. 40 e 55, comma 3, anch’essi destinati a colmare il vuoto eventualmente prodotto da difficoltà che si dovessero incontrare nella contrattazione collettiva. Ma il decreto non si limita a sollecitare uno stretto raccordo tra legge e autonomia collettiva. Esso intende anche valorizzare le competenze e le funzioni dei cosiddetti enti bilaterali, organismi con funzioni coadiuvanti alla realizzazione degli obiettivi della riforma. L’operatività degli istituti richiamati nell’articolato varierà, ovviamente, in funzione degli strumenti attuativi prescelti dal legislatore. Di conseguenza, tanto i rinvii alla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale, aziendale), quanto i rinvii all’intervento amministrativo (di tipo ministeriale ovvero regionale), determineranno, ove previsti, uno “slittamento” della operatività delle novità introdotte dal d.lgs. n. 276/2003 (v. tabella sulle “operatività” riportata in allegato). In tale contesto assume una valenza particolare l’apertura offerta agli accordi individuali introdotti in funzione sostitutiva dell’intervento contrattuale di tipo collettivo (v. part-time e lavoro ripartito) i quali permetteranno, ove previsti, l’immediato “decollo” degli istituti interessati dalla Riforma. * * * Si rammenta comunque che, entro 24 mesi dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, il Governo potrà emanare – ex art. 8, comma 5 della legge delega n. 30 del 2003 - eventuali disposizioni modificative e correttive della legge delegata. * * * Capitolo 1 - REGIME AUTORIZZATORIO E ACCREDITAMENTI (artt. 4-7) Il Titolo II reca norme relative alla "Organizzazione e disciplina del mercato del lavoro". Il Titolo si suddivide in quattro Capi, rispettivamente riguardanti: 1) "Regime autorizzatorio e accreditamenti" (artt. da 4 a 7) 2) "Tutele sul mercato e disposizioni speciali con riferimento ai soggetti svantaggiati" (artt. da 8 a 14) 3) "Borsa continua nazionale del lavoro e monitoraggio statistico" (artt. da 15 a 17) 4) "Regime sanzionatorio" (artt. 18 e 19) L'art. 3 individua le finalità del titolo, cioè la realizzazione di un sistema efficace e coerente di strumenti intesi a garantire trasparenza ed efficienza del mercato del lavoro e migliorare le capacità di inserimento professionale dei disoccupati, con particolare riferimento alle fasce deboli del mercato del lavoro. 1.1 Agenzie per il Lavoro 1.1.1 Autorizzazione Viene integralmente rivisto il sistema di autorizzazione e di accreditamento delle società abilitate all'attività di mediazione, ora definite "agenzie per il lavoro". La definizione di "autorizzazione" è contenuta nell'art. 2 (Definizioni), comma 1, lett. e) che individua come autorizzazione il: "provvedimento mediante il quale lo Stato abilita operatori, pubblici e privati, di seguito denominati «agenzie per il lavoro», allo svolgimento delle attività di cui alle lettere da a) a d)"; cioè, rispettivamente: la "somministrazione di lavoro"; la "intermediazione"; la "ricerca e selezione del personale"; il "supporto alla ricollocazione professionale". In ossequio al principio di delega dell'identificazione di un unico regime autorizzatorio e di accreditamento, differenziato in ragione dell'attività svolta, viene istituito (art. 4) un apposito albo delle agenzie per il lavoro abilitate allo svolgimento delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale, articolato nelle seguenti cinque sezioni: a) agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attività di cui al successivo art. 20 (per tale caratteristica in seguito definite anche "generaliste"); b) agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attività specifiche previste al comma 3, lettere da a) ad h), del successivo art. 20; c) agenzie di intermediazione; d) agenzie di ricerca e selezione del personale; e) agenzie di supporto alla ricollocazione professionale. L'esatta individuazione delle funzioni che possono essere svolte dalle diverse agenzie è contenuta nell'art. 2 , lettere da a) a d). Per l'esercizio delle attività, va presentata al Ministero del Lavoro una specifica richiesta. Il Ministero rilascia, entro sessanta giorni una autorizzazione provvisoria, provvedendo contestualmente alla iscrizione delle agenzie nell'albo. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, il Ministero stesso rilascia, entro i novanta giorni successivi alla richiesta, l’autorizzazione a tempo indeterminato, subordinatamente alla verifica del corretto andamento della attività svolta (art. 4, comma 2). Il decreto precisa che entrambe le domande devono intendersi accettate, qualora decorrano inutilmente i predetti termini di sessanta e novanta giorni (art. 4, comma 3). Le modalità di presentazione delle istanze ed i criteri attraverso i quali il Ministero del Lavoro controllerà il corretto esercizio della attività verranno stabiliti con d.m., da emanarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003 (art. 4, comma 5). Le agenzie "generaliste" autorizzate all'esercizio della somministrazione potranno svolgere tutte le attività di mediazione previste; le agenzie autorizzate all'esercizio della attività di intermediazione potranno esercitare anche le attività di selezione e supporto alla ricollocazione professionale. L'art. 5 stabilisce i requisiti richiesti per l’iscrizione all’albo, prevedendo al comma 1 una serie di requisiti "generali", ed ai commi successivi requisiti specifici, collegati alla attività per la quale si chiede l'autorizzazione all'esercizio. Nell'ambito dei requisiti "specifici", va segnalato che per le agenzie "generaliste" individuate dalla richiamata lettera a) del comma 1 dell'art. 4, i requisiti richiesti ripropongono sostanzialmente le previsioni dettate dall'art. 2 della l. n. 196 del 24 giugno 1997 per l'esercizio della fornitura di lavoro temporaneo. Viene, però, elevato a 600.000 euro in luogo dei precedenti 516.000 il limite minimo del capitale sociale versato. Inoltre, relativamente alle agenzie "generaliste" ed alle agenzie di intermediazione, si segnala, in termini di novità rispetto ai previgenti criteri, che nell'oggetto sociale deve sempre essere indicata l'attività autorizzata, ma la stessa deve rivestire caratteristiche di mera prevalenza (quindi non più esclusività dell'oggetto) rispetto ad altre attività esercitate dall'agenzia (per un evidente refuso tipografico, il testo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale non riporta l’avverbio “non” tra le parole “se” ed “esclusivo”, peraltro presente nel testo approvato dal Consiglio dei Ministri il 31 luglio scorso). Anche per le agenzie di selezione e di ricollocazione professionale viene meno il criterio dell'esclusività dell'oggetto sociale, ma nell'indicazione dello stesso non deve necessariamente evidenziarsi la prevalenza dell'attività autorizzata rispetto ad altre attività esercitate dalla agenzia. Sul punto va ancora evidenziato che il comma 6 dell'art. 86, recante norme transitorie e finali, prevede, l'emanazione, entro trenta giorni dalla entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, di un decreto del Ministro del Lavoro che detterà una disciplina transitoria e di raccordo con le nuove disposizioni che interesserà le società di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, ricollocamento professionale già autorizzate ai sensi della normativa previgente. In attesa della emanazione della disciplina transitoria restano in vigore le norme di legge e regolamento vigenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003. 1.1.2 Altri soggetti autorizzabili e competenze delle Regioni Con la disposizione dell'art. 6, viene sensibilmente allargata la platea dei soggetti abilitati a svolgere attività di intermediazione, per via della estensione della possibilità di esercizio dell'attività ad una serie di soggetti istituzionalmente addetti ad altre attività, quali: le università pubbliche e private, comprese le fondazioni universitarie che hanno come oggetto l’alta formazione con specifico riferimento alle problematiche del mercato del lavoro, a condizione che svolgano la predetta attività senza finalità di lucro. Il mancato richiamo di procedure di autorizzazione deve far ritenere che per i suddetti soggetti l’autorizzazione sia ope legis, senza cioè l’obbligo di iscrizione all’albo. Tali istituti restano comunque obbligati al rispetto degli adempimenti di interconnessione alla borsa continua nazionale del lavoro (di cui al successivo art. 15), nonché degli adempimenti informativi relativi al funzionamento del mercato del lavoro, ai sensi di quanto disposto al successivo art. 17. i comuni, le camere di commercio e gli istituti di scuola secondaria di secondo grado, statali e paritari, a condizione che svolgano attività di intermediazione senza finalità di lucro e che siano rispettati i requisiti di cui alle lettere c) (disponibilità di locali idonei), f) (interconnessione con la Borsa nazionale del lavoro) e g) (diritto del lavoratore ad indicare l'ambito di diffusione dei propri dati) di cui all’art. 5, comma 1, nonché l’invio di ogni informazione relativa al funzionamento del mercato del lavoro ai sensi di quanto disposto al successivo art. 17. le associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali di lavoro, le associazioni in possesso di riconoscimento istituzionale di rilevanza nazionale ed aventi come oggetto sociale la tutela e l’assistenza delle attività imprenditoriali o del lavoro e gli enti bilaterali (tra i quali ultimi vanno ricompresi Fondimpresa e Fondirigenti, cioè i Fondi per la formazione continua costituiti tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil e tra Confindustria e Federmanager). L'attività può essere esercitata a condizione che siano rispettati i requisiti individuati alle lettere c), f), g) dell’art. 5, comma 1, nonché delle lettere d) (assenza di carichi penali in capo ad amministratori e dirigenti) ed e) (distinte divisioni operative) del medesimo articolo. Anche per questi soggetti la norma (comma 3) non fa menzione di procedure autorizzative. Considerato, tuttavia, che il Ministero del Lavoro emanerà entro tempi brevi i decreti di individuazione delle modalità di autorizzazione, appare opportuno attenderne la definizione per formulare valutazioni definitive circa gli adempimenti richiesti. Una interpretazione letterale della norma sembrerebbe limitare la possibilità di autorizzazione alle sole Associazioni Nazionali di Categoria titolari di contratti collettivi nazionali di lavoro. Di conseguenza, verrebbero escluse dal campo di applicazione le Associazioni territoriali di livello provinciale, che invece dovrebbero essere le naturali destinatarie della disposizione. Proprio per la illogicità di tale esclusione, riteniamo che con l'espressione adoperata il legislatore abbia inteso ricomprendere nel campo di applicazione della disposizione il complesso del sistema associativo facente capo alle Associazioni nazionali comparativamente più rappresentative. apposita fondazione o altro soggetto giuridico dotato di personalità giuridica costituito nell’ambito del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro per lo svolgimento a livello nazionale di attività di intermediazione. Anche per tale soggetto l'iscrizione è subordinata al rispetto dei requisiti di cui alle lettere c), d), e), f), g) dell’art. 5, comma 1. Il comma 6 prevede, inoltre che le Regioni e le Province autonome possono concedere, "con esclusivo riferimento al proprio territorio", l'autorizzazione allo svolgimento delle attività di cui all’art. 2, comma 1, lett. b), c), d), cioè le attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale. Condizione per l'autorizzazione è la sussistenza dei requisiti di cui agli artt. 4 e 5, fatta eccezione per il requisito di cui all’art. 5, comma 4, lettera b), cioè la distribuzione dell'attività, da parte delle agenzie di intermediazione, in un ambito nazionale che interessi almeno quattro regioni. Anche in tale fattispecie l’autorizzazione provvisoria all’esercizio deve essere rilasciata dalla Regione o dalla Provincia autonoma entro sessanta giorni dalla richiesta. Contestualmente la Regione o la Provincia autonoma devono comunicare al Ministero del lavoro l'autorizzazione concessa, per l’iscrizione della agenzia, in una apposita sezione regionale, nell’albo di cui all’art. 4, comma 1. Decorsi due anni, su richiesta del soggetto autorizzato, la Regione o la Provincia autonoma rilasciano, entro i sessanta giorni successivi l’autorizzazione a tempo indeterminato, subordinatamente alla verifica del corretto andamento della attività svolta. Con apposito decreto, da emanare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, il Ministero del Lavoro, d’intesa con la Conferenza Unificata Stato-Regioni, stabilisce le modalità di costituzione della apposita sezione regionale dell’albo di cui all’art. 4, comma 1, e delle procedure ad essa connesse. 1.1.3 Accreditamento L'ultimo articolo del Capo I, cioè l'art. 7, dispone in materia di "accreditamenti". Ai sensi della lettera f) dell'art. 2 del decreto, si intende per "accreditamento" il "provvedimento mediante il quale le Regioni riconoscono a un operatore, pubblico o privato, l’idoneità a erogare i servizi al lavoro negli ambiti regionali di riferimento, anche mediante l’utilizzo di risorse pubbliche, nonché la partecipazione attiva alla rete dei servizi per il mercato del lavoro con particolare riferimento ai servizi di incontro fra domanda e offerta". Viene prevista l'istituzione, da parte delle Regioni, di appositi elenchi per l’accreditamento degli operatori pubblici e privati che operano nel proprio territorio, nel rispetto degli indirizzi dalle stesse definiti ai sensi dell’art. 4 del d.lgs n. 297 del 19 dicembre 2002, nonché di alcuni principi e criteri previsti al comma 1, tra i quali: la salvaguardia di standard omogenei a livello nazionale nell’affidamento di funzioni relative all’accertamento dello stato di disoccupazione e al monitoraggio dei flussi del mercato del lavoro; l'obbligo della interconnessione con la borsa continua nazionale del lavoro, nonché l’invio alla autorità concedente di ogni informazione strategica per un efficace funzionamento del mercato del lavoro. I provvedimenti regionali istitutivi dell’elenco dei soggetti accreditati, disciplinano altresì: le forme della cooperazione tra i servizi pubblici e operatori privati autorizzati, ovvero accreditati ai sensi del presente articolo, per le funzioni di incontro tra domanda e offerta di lavoro, prevenzione della disoccupazione di lunga durata, promozione dell’inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati, sostegno alla mobilità geografica del lavoro; i requisiti minimi richiesti per l’iscrizione in termini di capacità gestionali e logistiche, competenze professionali, situazione economica, esperienze maturate nel contesto territoriale di riferimento; le procedure per l’accreditamento; le modalità di misurazione dell’efficienza e della efficacia dei servizi erogati; le modalità di tenuta dell’elenco e di verifica del mantenimento dei requisiti. Capitolo 2 - TUTELE SUL MERCATO E DISPOSIZIONI SPECIALI CON RIFERIMENTO AI LAVORATORI SVANTAGGIATI (artt. 8-14) 2.1 Tutele sul mercato del lavoro Gli artt. da 8 a 10 danno attuazione ai principi di delega previsti dall'art. 1, comma 2, lett. g) della l. n. 30 del 14 febbraio 2003. 2.1.1 Diritti dei lavoratori In particolare, l'art. 8 dispone che i soggetti che svolgono attività di intermediazione devono assicurare ai lavoratori il diritto di indicare i soggetti o le categorie di soggetti ai quali i propri dati devono essere comunicati, e garantiscono l’ambito di diffusione dei dati medesimi indicato dai lavoratori stessi. Un decreto del Ministro del Lavoro definirà le modalità di trattamento dei dati personali di cui al d.lgs. n. 276/2003. 2.1.2 Modalità delle comunicazioni per la ricerca di personale L'art. 9 stabilisce il divieto di comunicazioni relative ad ogni attività di mediazione di personale effettuate in forma anonima o comunque provenienti da soggetti, pubblici o privati, non autorizzati o accreditati all'esercizio della suddetta attività. Non rientrano nell'ambito del divieto le comunicazioni che facciano esplicito riferimento, in quanto "potenziali datori di lavoro", ai soggetti interessati alle assunzioni o ad altri ad essi collegati perché facenti parte dello stesso gruppo di imprese o in quanto controllati o controllanti. Pur se la terminologia adottata (potenziali datori di lavoro), potrebbe indurre a ritenere che le suddette comunicazioni esenti da divieto possano riferirsi solo ad occasioni di lavoro subordinato, ci sentiamo, peraltro, di escludere, alla luce dell'intento di modernizzazione perseguito, che il legislatore abbia, di fatto, stabilito l'impossibilità di pubblicare annunci di ricerca di personale interessati alla costituzione di differenti tipologie di lavoro. In tutte le comunicazioni verso terzi, anche a fini pubblicitari, nonché nelle inserzioni o annunci di ricerca di personale, le agenzie e gli altri soggetti autorizzati o accreditati devono indicare gli estremi del provvedimento di autorizzazione o di accreditamento al fine di consentire la corretta e completa identificazione. Infine il comma 3 dell'art. 9 dispone che se le comunicazioni verso terzi sono effettuate mediante annunci pubblicati su quotidiani e periodici o mediante reti di comunicazione elettronica, e non recano un facsimile si domanda comprensivo dell’informativa di cui all’art. 13, d.lgs. n. 196 del 30 giugno 2003 (sul “Codice in materia di protezione dei dati personali”), indicano il sito della rete di comunicazioni attraverso il quale il medesimo facsimile è conoscibile in modo agevole. Tale disposizione recepisce l’orientamento in tal senso espresso dal Garante per la protezione dei dati personali con pronuncia del 10 gennaio 2002. Per completezza di informazione si rende noto che l’art. 111 del d.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali) dispone che il Garante per la privacy promuoverà “la sottoscrizione di codici di deontologia e di buona condotta per i soggetti pubblici e privati interessati al trattamento dei dati personali effettuato per finalità previdenziali o per la gestione del rapporto di lavoro, prevedendo anche specifiche modalità per l’informativa all’interessato e per l’eventuale prestazione del consenso relativamente alla pubblicazione degli annunci per finalità di occupazione di cui all’art. 113 e alla ricezione di curricula contenenti dati personali sensibili”. 2.1.3 Divieti a carico delle Agenzie per il lavoro L'art. 10 prevede, al comma 1, il divieto, per le agenzie per il lavoro e per gli altri soggetti autorizzati o accreditati, di effettuare indagini sulle opinioni dei lavoratori o di praticare trattamenti discriminatori. Le suddette disposizioni non possono in ogni caso essere di impedimento alle agenzie ed agli altri soggetti che intendano fornire specifici servizi o svolgere azioni mirate per assistere le categorie di lavoratori svantaggiati nella ricerca di una occupazione. L'art. 11, in conformità a quanto previsto alla lettera l) dell'art. 1, comma 2 della l. n. 30/2003, fa divieto ai soggetti autorizzati o accreditati all'intermediazione di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente, compensi dal lavoratore. I contratti collettivi stipulati dalle associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale o territoriale possono derogare a tale divieto, per specifiche categorie di lavoratori altamente professionalizzati o per specifici servizi offerti dai soggetti autorizzati o accreditati. 2.1.4 Fondi per la formazione ed integrazione del reddito dei lavoratori con contratto di somministrazione L'art. 12 introduce disposizioni in materia di Fondi per la formazione e l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti, a tempo determinato o indeterminato, dai soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro. La nuova disciplina, riprende, per limitati aspetti, le previsioni del soppresso art. 5, l. n. 196/1997 (come modificato dall'art. 64 della l. n 488 del 1999), e si configura come totalmente innovativa riguardo alla disciplina della somministrazione a tempo indeterminato. In particolare viene previsto (comma 1), a carico dei soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro, il versamento "ai fondi di cui al comma 4" di un contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo determinato per l’esercizio di attività di somministrazione. Tali risorse sono destinate ad interventi mirati, in particolare, a promuovere percorsi di qualificazione e riqualificazione anche in funzione di continuità di occasioni di impiego e a stabilire specifiche misure di carattere previdenziale. Finalità e misura del contributo sono identiche a quelle già previste dalla analoga disciplina della l. n. 196/1997. Il comma 2 introduce, sempre per i soggetti autorizzati alla somministrazione di lavoro, l'obbligo del versamento "ai fondi di cui al comma 4" di un contributo pari al 4 per cento della retribuzione corrisposta ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Non vi è, al riguardo, l'espresso riferimento ai lavoratori assunti per l’esercizio di attività di somministrazione, ma riteniamo che vada comunque escluso il versamento per i dipendenti "strutturali", il cui rapporto non è soggetto alle vicende organizzative che caratterizzano il diretto svolgimento dell'attività di somministrazione. Tale conclusione è rafforzata dall’esame delle finalità cui è diretto il contributo, tutte volte a costituire una serie di tutele a favore dei lavoratori che svolgono la loro attività in virtù di un contratto di somministrazione. Le contribuzioni sono, infatti, utilizzate per: a) iniziative comuni finalizzate a garantire l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato in caso di fine lavori; b) iniziative comuni finalizzate a verificare l’utilizzo della somministrazione di lavoro e la sua efficacia anche in termini di promozione della emersione del lavoro non regolare e di contrasto agli appalti illeciti; c) iniziative per l’inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di lavoratori svantaggiati; d) la promozione di percorsi di qualificazione e riqualificazione professionale. Gli interventi e le misure di cui sopra sono attuati nel quadro di politiche stabilite nel contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro ovvero, in mancanza, stabilite con decreto del Ministro del Lavoro. Ai sensi del comma 4, entrambi i contributi sono rimessi a un fondo appositamente costituito, anche nell’ente bilaterale, dalle parti stipulanti il contratto collettivo nazionale delle imprese di somministrazione di lavoro, attivabile a seguito di autorizzazione del Ministro del Lavoro. Lo stesso Ministro può adeguare la misura delle contribuzioni in parola, previa verifica con le parti sociali da effettuare decorsi due anni dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, ma, ai sensi del comma 9, trascorsi dodici mesi dalla entrata in vigore del decreto, il Ministro del Lavoro con proprio decreto, sentite le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, può ridurre i contributi di cui ai commi 1 e 2 in relazione alla loro congruità con le finalità dei relativi fondi. Il comma 7 dell'articolo prevede che i contributi versati al Fondo in parola devono intendersi non compresi nella base imponibile dell'IVA. Richiamiamo inoltre il comma 8, che dispone circa le sanzioni a carico dei datori di lavoro che omettano di versare - anche parzialmente - i contributi al Fondo, prevedendo che, oltre al contributo omesso ed alle relative sanzioni, venga versata al Fondo medesimo, a titolo di sanzione amministrativa, una somma di importo pari a quella del contributo omesso. In merito alle illustrate disposizioni dell'art. 12, va innanzitutto rilevato che, pur in presenza di alcune incertezze determinate dalla lettera dell'art. 5, appare ipotizzabile che al versamento dell'onere per i lavoratori "somministrati a tempo indeterminato" siano tenute tutte le società autorizzate alla somministrazione, ivi comprese quelle autorizzate all'esercizio delle attività specifiche di cui alle lettere da a) ad h) del comma 3 del successivo art. 20. 2.2 Disposizioni speciali per i lavoratori svantaggiati 2.2.1 Iniziative sociali per il lavoro Le disposizioni dell'art. 13 mirano ad incentivare il raccordo tra soggetti pubblici e privati in vista di iniziative "sociali" per il lavoro. Viene previsto che le agenzie autorizzate alla somministrazione, ai fini dell’inserimento o del reinserimento nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati (per la categoria dei soggetti rientranti nella nozione di “lavoratore svantaggiato” v. art. 2, comma 1, lett. k) del presente d.lgs. n. 276/2003 ed il Regolamento (CE), 2204/2002 di cui si riporta il testo in allegato) possano operare in deroga al regime generale della somministrazione per quanto attiene al trattamento economico e normativo, a condizione che venga predisposto un piano individuale di inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro, con interventi formativi idonei e il coinvolgimento di un tutore con adeguate competenze e professionalità, e che il lavoratore venga assunto dall'agenzia con contratto di durata non inferiore a sei mesi. La previsione di un tutor fa ritenere che il piano di inserimento o reinserimento possa contemplare anche specifici periodi di formazione presso imprese disponibili ad accogliere il lavoratore. Inoltre, in caso di assunzione con contratto di durata non inferiore a nove mesi, le agenzie potranno determinare il compenso del lavoratore, per un periodo massimo di dodici mesi, detraendo quanto eventualmente percepito dal lavoratore medesimo a titolo di indennità previdenziale o assistenziale. Il comma 2 detta una specifica disciplina di decadenza dai trattamenti previdenziali del lavoratore destinatario delle suddette iniziative, che opera allorquando lo stesso: a) rifiuti di essere avviato a un progetto individuale di reinserimento ovvero a un corso di formazione professionale autorizzato dalla Regione o non lo frequenti regolarmente, fatti salvi i casi di impossibilità derivante da forza maggiore; b) non accetti l’offerta di un lavoro inquadrato in un livello retributivo non inferiore del 20 per cento rispetto a quello delle mansioni di provenienza; c) non abbia provveduto a dare preventiva comunicazione alla competente sede I.n.p.s. del lavoro prestato ai sensi dell’art. 8, commi 4 e 5 della l. n. 160 del 20 maggio 1988. Le disposizioni di cui al comma 2 si applicano, altresì, quando le attività lavorative o di formazione offerte al lavoratore siano congrue rispetto alle competenze e alle qualifiche del lavoratore stesso e si svolgano in un luogo raggiungibile in 80 minuti con mezzi pubblici da quello della sua residenza. Le disposizioni di cui al comma 2, lettere b) e c) non si applicano ai lavoratori inoccupati. Fino alla data di entrata in vigore di norme regionali che disciplinino la materia, le iniziative potranno attuarsi solo qualora vengano stipulate specifiche convenzioni tra agenzie ed enti locali (ivi compresa la Regione) o centri per l'impiego. Le disposizioni dei commi da 1 a 5 possono applicarsi anche ad appositi soggetti giuridici costituiti ai sensi delle normative regionali a seguito di convenzione con le agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro, previo accreditamento dei soggetti medesimi. In tale ipotesi, le agenzie autorizzate alla somministrazione di lavoro si assumono gli oneri delle spese per la costituzione e il funzionamento dei predetti soggetti. Le Regioni, i centri per l’impiego e gli enti locali possono concorrere alle spese di costituzione e funzionamento nei limiti delle proprie disponibilità finanziarie. 2.2.2 Inserimento lavorativo dei lavoratori svantaggiati in cooperative sociali Il d.lgs. n. 276/2003 individua all’art. 14 misure mirate volte a sostenere l’inserimento e la permanenza nel mercato del lavoro dei lavoratori svantaggiati (per la categoria di soggetti rientranti nella nozione di lavoratore svantaggiato v. art. 2, comma 1, lett. k) del predetto decreto legislativo e l’art. 4, comma 1, l. n. 381 dell’ 8 novembre 1991, il cui testo è riportato in allegato alla presente circolare) e dei soggetti disabili, favorendo in tal modo l’integrazione sociale e la valorizzazione delle relative capacità lavorative. Nel decreto legislativo si incentiva una logica promozionale dei soggetti interessati mediante il ricorso all’ausilio delle parti sociali a livello locale che, in quanto più prossime al livello territoriale di riferimento, possono più efficacemente analizzare e comprendere i bisogni delle singole comunità e predisporre gli strumenti e le strategie più utili a realizzare l’obiettivo in parola. A tal fine si prevede una particolare valorizzazione del ruolo delle cooperative sociali, destinate, in raccordo con le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali, a definire convenzioni-quadro a livello locale. In un’ottica promozionale sono inoltre previste misure volte a incrementare il grado di interesse per le imprese. Relativamente ai disabili la norma risolve, una volta per tutte, le innumerevoli lacunosità contenute nell’art. 12, l. n. 68 del 12 marzo 1999, regolante il meccanismo delle convenzioni tra datori di lavoro e cooperative sociali dirette a favorire l’inserimento lavorativo dei lavoratori disabili. L’intervento proposto, diretto a lasciare inalterato l’art. 12, l. n. 68/1999, introduce nel nostro ordinamento una diversa disciplina della materia nei confronti dei disabili che presentano - in base alla esclusiva valutazione dei servizi di cui all’art. 6, comma 1, l. n. 68/1999 - particolari caratteristiche e difficoltà di inserimento nel ciclo lavorativo ordinario. Attraverso il conferimento, da parte delle imprese interessate, di commesse di lavoro alle cooperative sociali l’art. 14 del d.lgs. n. 276/2003 consente di inserire stabilmente i lavoratori disabili interessati presso le predette cooperative considerando tali inserimenti utili ai fini della copertura della quota di riserva cui sono tenute le imprese conferenti ex art. 3, l. n. 68/1999. Diversamente da quanto previsto dall’art. 12, l.n. 68/99, la nuova fattispecie disciplinata dall’articolo 14 del presente decreto legislativo riconduce la titolarità del rapporto di lavoro in capo alla cooperativa sociale. Il tutto viene regolamentato attraverso la stipula di una convenzione-quadro territoriale tra i servizi di cui all’art. 6, comma 1, l. n. 68 del 1999, le associazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le associazioni di rappresentanza, assistenza e tutela delle cooperative di cui all’art. 1, comma 1, lett. b), l. n. 381 del 1991 e i consorzi di cui all’art. 8, l. ult. cit. La convenzione, che dovrà essere validata dalla Regione, sentiti gli organismi di concertazione di cui al d.lgs. n. 469 del 23 dicembre 1997, disciplinerà i seguenti aspetti: le modalità di adesione da parte delle imprese interessate; i criteri di individuazione dei lavoratori svantaggiati da inserire al lavoro in cooperativa. L’individuazione dei disabili sarà curata dai servizi di cui all’art. 6, comma 1, l. n. 68/99; le modalità di attestazione del valore complessivo del lavoro annualmente conferito da ciascuna impresa e la correlazione con il numero dei lavoratori svantaggiati inseriti al lavoro in cooperativa; la determinazione del coefficiente di calcolo del valore unitario delle commesse, secondo criteri di congruità con i costi del lavoro derivanti dai contratti collettivi di categoria applicati dalle cooperative sociali; la promozione e lo sviluppo delle commesse di lavoro a favore delle cooperative sociali; l’eventuale costituzione di una struttura tecnico-operativa senza scopo di lucro a supporto delle attività previste dalla convenzione; i limiti di percentuali massime di copertura della quota d’obbligo da realizzare con lo strumento della convenzione. Il numero delle coperture per ciascuna impresa è dato dall’ammontare annuo delle commesse dalla stessa conferite diviso per il coefficiente richiamato al quarto punto di cui sopra e nei limiti di percentuali massime stabilite con le predette convenzioniquadro. Tali limiti percentuali non hanno effetto nei confronti delle imprese che occupano da 15 a 35 dipendenti. Quest’ultimo inciso sta a significare che nei confronti di tali imprese la copertura della quota d’obbligo (che è pari ad un disabile. V. art. 3, comma 1, lett. c, l.n. 68/99) può avvenire interamente attraverso lo strumento introdotto dal presente art. 14. La congruità della computabilità dei lavoratori inseriti in cooperativa sociale sarà verificata dalla Commissione provinciale del lavoro. La possibilità di assumere il disabile attraverso la convenzione di cui sopra è, tuttavia, subordinata all’adempimento degli obblighi di assunzione di lavoratori disabili imposti ai fini della copertura della restante quota d’obbligo determinata ex art. 3, l. n. 68/1999. Tale requisito può ritenersi soddisfatto anche nel caso in cui l’azienda abbia stipulato convenzioni di programma ex art. 11, l. n. 68/99 e stia portando a compimento il relativo programma ovvero abbia ottenuto l’esonero parziale ex art. art. 5, l.n. 68/99. Nei limiti del rispetto della ricorrenza delle condizioni sopra richieste, l’operatività della norma è immediata. Capitolo 3 - BORSA CONTINUA NAZIONALE PER IL LAVORO E MONITORAGGIO STATISTICO (artt. 15-17) 3.1 Borsa nazionale 3.1.1 Finalità e articolazione della “Borsa” L'art. 15 prevede la costituzione della borsa continua nazionale del lavoro, sistema telematico "aperto e trasparente" di incontro tra domanda e offerta di lavoro. La "borsa" è articolata in due ambiti di operatività, uno nazionale, principalmente finalizzato a garantire standard informativi univoci, ed uno regionale; il coordinamento dei due ambiti deve in ogni caso garantire, nel rispetto degli artt. 4 e 120 della Costituzione, la piena operatività della borsa continua nazionale del lavoro in ambito nazionale e comunitario. La "borsa" è liberamente accessibile da parte di lavoratori e di imprese e deve essere consultabile da un qualunque punto della rete. I lavoratori e le imprese hanno facoltà di inserire nuove candidature o richieste di personale direttamente e senza rivolgersi ad alcun intermediario, da qualunque punto di rete, attraverso accessi appositamente dedicati da tutti i soggetti pubblici e privati, autorizzati o accreditati. Tutti gli operatori - pubblici e privati, accreditati o autorizzati - hanno l'obbligo di conferire alla "borsa" i dati acquisiti in base alle indicazioni rese dai lavoratori ai sensi dell'art. 8 del decreto, e dalle imprese riguardo l'ambito territoriale prescelto. Non viene enunciato alcun principio circa la eventuale tutela della "paternità economica" dei dati che le agenzie devono obbligatoriamente inserire. Bisognerà quindi attendere il decreto di cui al comma 2 dell'art. 8 per poter meglio valutare se e in che misura è ammessa una tutela della dei dati immessi (e quindi in precedenza “lavorati”) dall'agenzia, ovvero se sia possibile un incondizionato e generalizzato utilizzo dei dati presenti nella "borsa". 3.1.2 Standard tecnici L'art. 16 prevede l'emanazione di un decreto del Ministro del Lavoro che stabilirà gli standard tecnici e i flussi informativi di scambio tra i sistemi, nonché le sedi tecniche finalizzate ad assicurare il raccordo e il coordinamento del sistema a livello nazionale. Condizione per l'emanazione del decreto è l'intesa con Regioni e Province autonome. 3.2 Monitoraggio statistico 3.2.1 Monitoraggio e valutazione delle politiche per il lavoro L'art. 17 individua i criteri di riferimento per le attività di monitoraggio statistico e di valutazione delle politiche del lavoro attuate in base alla riforma. Viene, tra l'altro, prevista la costituzione, presso il Ministero del Lavoro, di una Commissione di esperti della materia, con il compito di fornire al Ministro indicazioni circa l'adozione dei decreti di cui agli artt. 1bis e 4bis del d.lgs. n. 181/2000 e la definizione di tutti i flussi informativi che rientrano nell'ambito della borsa continua nazionale del lavoro. La medesima Commissione, integrata con rappresentanti delle parti sociali, dovrà altresì definire, entro sei mesi dall'entrata in vigore, una serie di indicatori di monitoraggio delle diverse misure attuate con il d.lgs. n. 276/2003. E' ancora prevista, in materia di apprendistato, la costituzione, sempre presso il Ministero del Lavoro, di una Commissione di sorveglianza, con compiti di valutazione in itinere della riforma. La Commissione è composta da rappresentanti dei Ministeri del Lavoro e della Pubblica Istruzione, delle Regioni e delle Province Autonome, di I.n.p.s. ed I.s.f.o.l., delle parti sociali. Capitolo 4 - REGIME SANZIONATORIO (artt. 18 e 19) Per quanto riguarda le violazioni della disciplina in materia di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale, il decreto legislativo definisce un sistema di sanzioni penali ed amministrative. 4.1 Sanzioni penali 4.1.1 Distinzione tra esercizio abusivo e esercizio senza autorizzazione Rispetto allo schema di decreto legislativo, approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri il 6 luglio u.s., che sanzionava in uguale misura tutte le violazioni delle attività di cui all’art. 4, comma 1, il testo definitivo distingue (cfr. art. 18, comma 1) fra la fattispecie dell’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione (pena dell’arresto fino a 6 mesi e dell’ ammenda da euro 1.500 a euro 7.500 e la sanzione accessoria della confisca del mezzo di trasporto eventualmente utilizzato) e la fattispecie dell’esercizio non autorizzato delle attività di somministrazione, di intermediazione, di ricerca e selezione del personale, di supporto alla ricollocazione professionale (pena dell’ammenda di 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro e confisca del mezzo di trasporto eventualmente utilizzato). Tale distinzione è stata operata dal legislatore delegato in ossequio ai principi ed ai criteri direttivi di delega contenuti nella l. 14 febbraio 2003, n. 30, laddove l’art. 1, comma 2, lett. m), n. 6, imponeva l’abrogazione della l. 23 ottobre 1960, n. 1369, e la sua sostituzione con una nuova disciplina, che confermasse il regime sanzionatorio, civilistico e penalistico, previsto per i casi di violazione della disciplina della mediazione privata. L’art. 1 prescriveva, inoltre, al legislatore delegato la definizione di specifiche sanzioni penali per le ipotesi di esercizio abusivo di intermediazione privata e pene più severe nel caso di sfruttamento del lavoro minorile. Il d.lgs. n. 276/2003 ha, pertanto, configurato l’esercizio abusivo dell’attività di intermediazione privata come illecito penale contravvenzionale autonomo, punito più severamente rispetto all’esercizio senza autorizzazione delle altre attività di cui all’art. 4, comma 1. La diversità terminologica dei due reati (“esercizio abusivo”, “esercizio senza autorizzazione”) non sembra corrispondere ad una diversità sostanziale delle condotte delineate dalle fattispecie incriminatrici. In realtà, l’art. 18, comma 1, ricollega l’applicabilità delle sanzioni penali all’esercizio di una delle attività previste dall’art. 4 (somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale) qualora manchi la condizione essenziale che legittima all’esercizio di tali attività, ovvero il rilascio di un atto autorizzativo. E’ solo la mancanza dell’autorizzazione che rileva ai fini dell’irrogazione delle sanzioni e non l’accertamento della mancanza di altri requisiti e ciò vale tanto per l’attività di intermediazione quanto per l’attività di somministrazione, di ricerca e selezione del personale, di supporto alla ricollocazione professionale. Pertanto, salve diverse indicazioni che potranno pervenire dal Ministero del Lavoro, è corretto attribuire ai due termini (“esercizio abusivo”, “esercizio senza autorizzazione”) un significato pressoché equivalente, e ritenere che il legislatore abbia voluto punire più severamente l’esercizio non autorizzato (rectius “abusivo”) dell’attività di intermediazione, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi contenuti nella legge delega. Se l’esercizio abusivo dell’intermediazione avviene senza scopo di lucro, la pena è ridotta di un terzo (ammenda da euro 500 a euro 2.500); se vi è sfruttamento di minori le sanzioni sono più gravi (arresto fino a 18 mesi ed ammenda da euro 9.000 ad euro 45.000). In merito, occorre precisare che la circostanza attenuante dell’esercizio dell’attività senza fine di lucro e la circostanza aggravante dello sfruttamento di minori riguardano esclusivamente la fattispecie dell’esercizio abusivo dell’intermediazione e non si applicano alla diversa fattispecie dell’esercizio non autorizzato delle attività di cui all’art. 4, comma 1. Ciò perché la diminuzione delle pene è calcolata avendo come riferimento la pena base che è soltanto quella prevista per l’esercizio abusivo dell’intermediazione. Di conseguenza, anche l’aggravamento della pena deve essere riferito esclusivamente alla medesima fattispecie. Per quanto concerne la somministrazione, essa non può comportare oneri a carico del prestatore di lavoro in quanto l’art. 11, comma 1, vieta ai soggetti autorizzati o accreditati di esigere o percepire direttamente o indirettamente compensi dal lavoratore, tranne nei casi in cui la contrattazione collettiva nazionale o territoriale individui specifiche categorie di lavoratori altamente professionali o specifici servizi offerti per i quali è ammessa la corresponsione del compenso Tale divieto è sanzionato dall’art. 18, comma 4, con la pena alternativa dell’arresto non superiore a dodici mesi o dell’ammenda da euro 2.500 ad euro 6.000 e con la sanzione accessoria della cancellazione dall’albo. Sul punto è da precisare che, tenuto conto di quanto previsto dall’art. 11, comma 1 ”... divieto ai soggetti autorizzati o accreditati di esigere o comunque di percepire, direttamente o indirettamente..”, si applicano le sanzioni anche nel caso in cui la corresponsione del compenso avvenga non da parte del lavoratore, ma da parte di terzi. Inoltre, secondo l’art.18, comma 2, l’impresa utilizzatrice che ricorra alla somministrazione da parte di soggetti diversi dalle agenzie di somministrazione di lavoro abilitate allo svolgimento di tutte le attività di cui all’art. 20 e diversi dalle agenzie di somministrazione di lavoro a tempo indeterminato abilitate a svolgere esclusivamente una delle attività specifiche di cui all’art. 20, comma 3, lett. da a) ad h), è punito con l’ ammenda di 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro. Identica sanzione è prevista per l’impresa utilizzatrice che ricorra alla somministrazione “...al di fuori dei limiti ivi previsti...”. Deve ritenersi che la condotta sanzionata sia quella dell’impresa utilizzatrice /datore di lavoro, il quale ricorra alla somministrazione da parte di soggetti che, pur essendo abilitati a svolgere una sola attività di cui all’ art. 20, comma 3, lett. da a) ad h), svolgano una o più delle altre attività senza averne titolo. Pertanto, salve diverse indicazioni che potranno intervenire dal Ministero del Lavoro, l’espressione “limiti ivi previsti”, deve essere riferita alla limitazione per lo svolgimento di altre attività, prevista dall’art. 4, comma 1, lett. b). La sanzione è aggravata se vi è sfruttamento di minori (arresto fino a 18 mesi e ammenda aumentata fino al sestuplo ovvero 30 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro). La violazione delle condizioni di liceità della somministrazione di lavoro, previste dall’art. 20, commi 1, 3, 4, 5, e la violazione della forma del contratto di somministrazione, prevista dall’art. 21, commi 1 e 2, comporta sia per il somministratore che per l’impresa utilizzatrice l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250. La stessa sanzione amministrativa è irrogata nei confronti del somministratore che, all’atto di stipulazione del contratto ovvero dell’invio del lavoratore presso l’impresa utilizzatrice, ometta di comunicare, per iscritto, al prestatore di lavoro le informazioni riguardanti gli elementi del contratto di cui all’art. 21, comma 1, la data di inizio, la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’impresa utilizzatrice. 4.1.2 Somministrazione fraudolenta Occorre, inoltre, ricordare che l’art. 28 configura il reato contravvenzionale della somministrazione fraudolenta che ricorre quando la somministrazione viene posta in essere al fine specifico di eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo applicato al lavoratore (al somministratore ed all’utilizzatore si applica l’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione). Tale fattispecie incriminatrice è diversa rispetto alla fattispecie delineata dall’art. 18, comma 1, per cui, qualora ricorrano sia gli estremi della somministrazione fraudolenta che quelli della somministrazione senza autorizzazione, si applicheranno entrambe le relative sanzioni. Trattasi di una “norma di chiusura” ossia di una disposizione che si applica a tutte le ipotesi di somministrazione intenzionalmente preordinata al fine di “aggirare” l’applicazione di norme inderogabili di legge o di contratto collettivo. La violazione del divieto di indagini sulle opinioni e del divieto di trattamenti di dati discriminatori, che l’art. 10 prevede per le agenzie per il lavoro e per gli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati, è sanzionata dall’art. 18, comma 5. In tal caso si applicano le disposizioni penali stabilite dall’art. 38, l. n. 300 del 20 maggio 1970 e, pertanto, la violazione del divieto di cui all’art. 10 è punita, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, con la pena alternativa dell’ammenda da euro 154 ad euro 1.549 o dell’arresto da quindici giorni ad un anno. Nei casi più gravi, dispone l’art. 38 l. n. 300/1970, le pene dell’ammenda e dell’arresto sono applicabili congiuntamente e l’autorità giudiziaria ordina la pubblicazione della sentenza penale di condanna secondo l’art. 36 del codice penale. Qualora le condizioni economiche del reo siano tali da far presumere l’inefficacia afflittiva dell’ammenda, il giudice può applicare la pena dell’ammenda fino a 7.745 euro. L’art. 18, comma 5, prevede altresì, sempre nei casi più gravi, l’applicazione della sanzione accessoria della sospensione dell’autorizzazione di cui all’art. 4 e, in caso di recidiva, la revoca dell’ autorizzazione medesima. Il comma 6 dell’art. 18 prevede che, entro sei mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, il Ministro del lavoro emani un decreto contenente “criteri interpretativi certi per la definizione delle varie forme di contenzioso in atto riferite al pregresso regime in materia di intermediazione e interposizione nei rapporti di lavoro”. 4.2 Sanzioni amministrative L’art. 19 prevede una serie di sanzioni amministrative, con particolare riferimento alle norme in tema di comunicazioni dei datori di lavoro introdotte dall'art. 6 del d.lgs. n. 297/2002, che detta norme modificative ed integrative del d.lgs. n. 181 del 21 aprile 2000, relativo alla promozione dell'incontro tra domanda e offerta di lavoro, nonché dell'art. 9bis della l. n. 608 del 28 novembre 1996, che reca disposizioni in materia di collocamento, e dell'art. 21 della l. n. 264 del 29 aprile 1949, relativo alla disciplina dell'avviamento al lavoro. 4.2.1 Violazione delle disposizioni sugli “annunci” Viene innanzitutto disposta una sanzione da 4.000 a 12.000 euro nei confronti degli editori, dei direttori responsabili e dei gestori di siti sui quali siano pubblicati annunci in violazione delle disposizioni di cui al già illustrato art. 9. Le sanzioni stabilite ai commi da 2 a 5 fanno, invece, riferimento alle violazioni degli obblighi di comunicazione dell'instaurazione, cessazione e trasformazione del rapporto di lavoro, posti a carico dei datori di lavoro dall'art. 6 del d.lgs. n. 297/2002. 4.2.2 Obblighi di comunicazione a carico dei datori di lavoro Il comma 2 dispone che la violazione dell'obbligo di consegna al lavoratore, all'atto dell'assunzione, di una dichiarazione sottoscritta con i dati del libro matricola, nonché della comunicazione di cui al d.lgs. n. 152 del 26 maggio 1997 (obbligo stabilito dal comma 2 dell'art. 4bis del d.lgs. n. 181/2000, introdotto dall'art. 6, comma 1, d.lgs. n. 297/2002) è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 250 a 1.500 euro per ogni lavoratore interessato. La norma conferma la sanzione già prevista dal comma 3 dell'art. 9bis della l. n. 608/1996, abrogato dall'art. 85 del d.lgs. n. 276/2003, il quale prevedeva analoghi adempimenti a carico del datore di lavoro. Il comma 3 detta disposizioni per la violazione degli obblighi di: comunicazioni di "trasformazione" del rapporto di lavoro e rispetto delle modalità di comunicazione definite dal Ministero del Lavoro (art. 4bis, commi 5 e 7, del d.lgs., n. 181/2000); comunicazione contestuale dell'instaurazione di rapporto di lavoro subordinato o in forma coordinata e continuativa (art. 9bis, comma 2, della l. n. 608/1996, così come sostituito dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 297/2002); comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro (art. 21, comma 1, della l. n. 264/1949, così come sostituito dall’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 297/2002 ). Nelle suddette ipotesi è applicabile la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro per ogni lavoratore interessato. In precedenza, la violazione dell'obbligo di comunicazione dell'instaurazione di un rapporto di lavoro (obbligo, peraltro, diverso dall'attuale nei termini e nelle modalità) era punita con la sanzione amministrativa da 258 a 1.549 euro; la violazione dell'obbligo di comunicazione della cessazione del rapporto era punita con la sanzione amministrativa da 51 a 154 euro; le sanzioni per la violazione degli obblighi di comunicazione delle "trasformazioni" del rapporto sono state introdotte dal d.lgs. n. 297/2002 (che non prevedeva eventuali sanzioni). Il comma 4 stabilisce le sanzioni per la violazione degli obblighi di comunicazione a carico delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo, tenute a comunicare al servizio per l'impiego competente per territorio, entro il giorno 20 del mese successivo, l'assunzione, la proroga e la cessazione dei lavoratori temporanei assunti nel corso del mese precedente. Tale disposizione va letta in combinato disposto con la norma transitoria di cui all’art. 86, comma 7, che prevede che l’obbligo di comunicazione di cui al comma 4 dell’art. 4bis del d.lgs. n. 181/2000, si intende riferito a tutte le imprese di somministrazione, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. Per la suddetta violazione è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria 50 a 250 euro per ogni lavoratore interessato. Infine, il comma 5 prevede che nel caso di omessa comunicazione contestuale di instaurazione del rapporto, omessa comunicazione di cessazione e omessa comunicazione di trasformazione, è ammesso il pagamento della sanzione minima ridotta della metà, qualora l’adempimento della comunicazione venga effettuato spontaneamente entro il termine di dieci giorni dalla data di inizio dell’omissione. Evidenziamo, peraltro, che le disposizioni del d.lgs. n. 297/2002, che hanno introdotto nuovi obblighi di comunicazione a carico dei datori di lavoro, e modificato altri preesistenti (con l'eccezione dell'obbligo di consegna al lavoratore della predetta dichiarazione sottoscritta, previsto dal comma 2 del nuovo art. 4bis del d.lgs. n. 181/2000), non esplicano, a tutt'oggi, efficacia operativa. L'art. 7 del d.lgs. n. 297/2002 ha, infatti, previsto che le disposizioni che hanno introdotto i suddetti obblighi di comunicazione saranno applicabili dalla data che verrà stabilita da uno specifico d.m., ma tale decreto non è stato ancora emanato. Ne consegue che anche le sanzioni recate dal d.lgs. n. 276/2003 saranno irrogabili a partire dalla data di applicabilità dei suddetti adempimenti di comunicazione a carico delle imprese. Regime sanzionatorio - sanzioni penali ed amministrative Scheda riepilogativa Esercizio non autorizzato delle attività di somministrazione, intermediazione, ricerca e selezione del personale, ricollocazione professionale (art. 18, comma 1) ammenda di 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro confisca del mezzo di trasporto Esercizio abusivo dell’attività intermediazione (art. 18, comma 1) arresto fino a 6 mesi e ammenda da euro 1.500 a euro 7.500 confisca del mezzo di trasporto ammenda da euro 500 a euro 2.500 confisca del mezzo di trasporto arresto fino a 18 mesi e ammenda aumentata fino al sestuplo (da euro 9.000 ad euro 45.000) confisca del mezzo di trasporto Utilizzatore che ricorre alla somministrazione da parte di soggetti diversi da quelli cui all’art 4 lett. a) e b) o al di fuori dei limiti previsti nella lett. b) (art. 18, comma 2) ammenda di 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro Utilizzatore che ricorre alla somministrazione da parte di soggetti diversi da quelli cui all’art 4 lett. a) e b) o al di fuori dei limiti previsti nella lett. b, con sfruttamento di minori (art. 18, comma 2) arresto fino a 18 mesi e ammenda aumentata fino al sestuplo (30 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro) di Esercizio abusivo dell’attività di intermediazione senza scopo di lucro (art. 18, comma 1) Esercizio abusivo dell’attività di intermediazione con sfruttamento di minori (art. 18, comma 1) Avviamento a prestazioni di lavoro oggetto di somministrazione dietro richiesta o percezione di compenso da parte del lavoratore (escluse le ipotesi previste dall’art. 11, comma 2) (art. 18, comma 4) arresto non superiore a 12 mesi o, in alternativa, ammenda da euro 2.500 a euro 6.000 cancellazione dall’albo Violazione delle condizioni di liceità del contratto di somministrazione di cui all’art. 20, commi 1, 3, 4, 5 (art. 18, comma 3) al somministratore ed all’utilizzatore si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250 Violazione della forma del contratto di somministrazione di cui all’art. 21, commi 1 e 2 (art. 18, comma 3) al somministratore ed all’utilizzatore si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250 Omissione da parte del somministratore delle informazioni al lavoratore di cui all’art. 21, comma 3 (art. 18, comma 3) al somministratore si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.250 Somministrazione fraudolenta (finalizzata ad eludere norme inderogabili di legge o di contratto collettivo) (art. 28) al somministratore ed all’utilizzatore si applica l’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione Somministrazione fraudolenta e senza autorizzazione (art. 18, comma 1, e art. 28) al somministratore ed all’utilizzatore si applica l’ammenda di 20 euro per ciascun lavoratore coinvolto e ciascun giorno di somministrazione ammenda di 5 euro per ogni lavoratore occupato e per ogni giornata di lavoro confisca del mezzo di trasporto ammenda da euro 154 a euro 1.549 euro o arresto da 15 giorni ad un anno nei casi più gravi, le pene dell’ammenda e dell’arresto sono applicabili congiuntamente ed è disposta la pubblicazione della sentenza penale di condanna in caso di condizioni economiche del reo particolarmente agiate, possibile applicazione di un’ammenda da euro 154 ad euro 7745 nei casi più gravi, sanzione accessoria della sospensione dell’autorizzazione di cui all’art. 4 e, in caso di recidiva, la revoca Pubblicazione di annunci in violazione delle disposizioni riguardanti le comunicazioni a mezzo stampa, internet, televisione o altri mezzi di informazione di cui all’art. 9 (art. 19, comma 1) agli editori, direttori responsabili ed ai gestori di siti sui quali sono pubblicati gli annunci si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 4.000 a euro 12.000 Violazione dell’obbligo di consegna di cui all’art. 4 bis, comma 2, del d.lgs. n. 181/2000, come modificato dall’art. 6, comma 1 del d.lgs. n. 297/2002 (obbligo di consegnare ai lavoratori, all’atto dell’assunzione, una dichiarazione sottoscritta contenente i dati di registrazione effettuata nel libro matricola, nonché la comunicazione di cui al d.lgs. n. 152/1997) (art. 19, comma 2) sanzione amministrativa pecuniaria da euro 250 a euro 1.500 per ogni lavoratore interessato Violazione degli obblighi di comunicazione a carico delle imprese (ex fornitrici di lavoro temporaneo) di somministrazione (cfr. art. 86, comma 7) cui all’art. 4bis, comma 4, del d.lgs. n. 181/2000, come modificato dall’art. 6, comma 1 del d.lgs. n. 297/2002 (art. 19, comma 4) sanzione amministrativa da euro 50 a euro 250 per ogni lavoratore interessato Violazione del divieto di indagine sulle opinioni e trattamenti discriminatori di cui all’art. 10 (art. 18, comma 5) Violazione degli obblighi di comunicazione delle variazioni del rapporto di lavoro di cui all’art. 4bis, commi 5 e 7, del d.lgs. n. 181/2000, come modificato dall’art. 6, comma 1 del d.lgs. n. 297/2002 (art. 19, comma 3) sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500 per ogni lavoratore interessato ammissione al pagamento della sanzione amministrativa di euro 50 se la comunicazione è effettuata entro 5 giorni dalla data di inizio della omissione Violazione degli obblighi di comunicazione contestuale dell'instaurazione di rapporto di lavoro o di tirocinio di cui all’art. 9 - bis, comma 2, l. n. 608/1996, come sostituito dall’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 297/2002 (art. 19, comma 3) sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500 per ogni lavoratore interessato ammissione al pagamento della sanzione amministrativa di euro 50 se la comunicazione è effettuata entro 5 giorni dalla data di inizio della omissione Violazione degli obblighi di comunicazione della cessazione del rapporto di lavoro di cui all'art. 21, comma 1, l. 24 aprile 1949, n. 264, come sostituito dall'art.6, comma 3 del d.lgs. n. 297/2002 (art. 19, comma 3) sanzione amministrativa pecuniaria da euro 100 a euro 500 per ogni lavoratore interessato ammissione al pagamento della sanzione amministrativa di euro 50 se la comunicazione è effettuata entro 5 giorni dalla data di inizio della omissione ▪ Capitolo 5 - SOMMINISTRAZIONE DI LAVORO (artt. 20-28) Le disposizioni di cui al Titolo III del d.lgs. n. 276/2003 (Somministrazione di lavoro, appalto, distacco) rivestono carattere sperimentale. In tal senso dispone l’art. 86, comma 12, dello stesso d.lgs., il quale prevede che, decorsi diciotto mesi dall’entrata in vigore, il Ministro del Lavoro proceda a una verifica delle disposizioni in esso contenute con le organizzazioni sindacali dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, e ne riferisca al Parlamento entro tre mesi, ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza. 5.1 Definizione Gli artt. da 20 a 28 disciplinano il contratto di somministrazione di lavoro, intendendosi per tale, secondo la definizione contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera a), la fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine. Si tratta, in sostanza, di un contratto che sostituisce due istituti fra loro complementari: il “contratto di fornitura di prestazioni di lavoro temporaneo” (e cioè quello che intercorreva tra l’impresa fornitrice e l’impresa utilizzatrice) e il “contratto per prestazioni di lavoro temporaneo” (e cioè quello che intercorre tra l’impresa fornitrice e singolo lavoratore), previsti e disciplinati dai primi 11 articoli della l. n. 196/1997, dei quali l’art. 85, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 276/2003 dispone l’abrogazione. Va osservato che la nuova disciplina riproduce largamente i contenuti, anche letterali, della normativa abrogata, conferendo comunque alla materia un diverso assetto sistematico e introducendo importanti semplificazioni. Una previsione di forte rilevanza innovativa è nel comma 3 dell’art. 20, secondo cui il contratto di somministrazione di lavoro può essere legittimamente concluso anche a tempo indeterminato, laddove la normativa abrogata (art. 1, comma 1, della l. n. 196/1997) ammetteva il contratto di fornitura solo per esigenze di carattere temporaneo dell’impresa utilizzatrice. E’ inoltre significativa l’eliminazione di un ulteriore profilo di rigidità, che riduceva le potenzialità operative della fornitura di lavoro temporaneo disciplinata dalla l. n. 196/1997. Infatti, la legge del 1997 collegava il contratto di fornitura non soltanto al soddisfacimento di esigenze di carattere temporaneo dell'impresa utilizzatrice, ma specificava che tali esigenze dovevano corrispondere ad alcune categorie tipologiche, indicate dalla stessa legge (anche mediante rinvio alla contrattazione collettiva), al di fuori delle quali la stipulazione del contratto di fornitura non era consentita. Il d.lgs. n. 276/2003, elimina la necessità di individuare specifiche esigenze di carattere temporaneo e, dunque, conferisce all’istituto una maggiore elasticità strutturale, abbandonando, per la somministrazione a tempo determinato, il criterio limitativo della “nominatività” dei casi in cui la stessa è ammissibile, e sostituendolo, come si vedrà, con quello delle causali giustificanti le ordinarie assunzioni a termine. 5.2 Regime transitorio Il regime precedente (e, in particolare, l’art. 1, comma 2, lettera a), della l. n. 196/1997, che affidava ai contratti collettivi nazionali della categoria di appartenenza dell’impresa utilizzatrice l’individuazione di casi in cui era ammessa la conclusione di contratti di fornitura di lavoro) conserva, comunque, una transitoria efficacia. Infatti, per disposizione dell’art. 86, comma 3, primo periodo, del d.lgs. n. 276/2003, le clausole dei contratti collettivi nazionali di lavoro, stipulate ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera a), della normativa del 1997, e vigenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003 mantengono, salve diverse intese, la loro efficacia fino alla data di scadenza dei contratti stessi, con esclusivo riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze che consentono la somministrazione di lavoro a termine. La portata di tale disposizione transitoria è esplicitamente ed esclusivamente ristretta, come si è visto, al provvisorio mantenimento in vigore di quelle clausole contrattuali che stabilivano i casi di ammissibilità della fornitura (oggi somministrazione) di lavoro a termine. L’inequivoco tenore del testo dell’art. 86, comma 3, (“con esclusivo riferimento alla determinazione per via contrattuale delle esigenze di carattere temporaneo che consentono la somministrazione di lavoro a termine”) pertanto, fa concludere che soltanto le clausole della contrattazione collettiva nazionale che determinano le esigenze che consentono la somministrazione di lavoro a termine conservano, in via transitoria, la loro efficacia. Conseguentemente, sono da considerare non più efficaci, con l’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003 le clausole contrattuali, prefigurate dall’art. 1, comma 8, della l. n. 196/1997, con le quali veniva fissato il rapporto percentuale massimo fra prestatori di lavoro temporaneo e lavoratori occupati dall’impresa utilizzatrice con contratto a tempo indeterminato. Resta fermo che i contratti collettivi allorché daranno attuazione alla somministrazione a tempo determinato potranno, comunque, determinare limiti quantitativi (art. 20, comma 4). Sarà, inoltre, possibile concludere contratti di somministrazione a tempo determinato, laddove ricorrano ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo che configurino fattispecie nuove e diverse rispetto a quelle previste dalle disposizioni contrattuali transitoriamente rimaste in vigore. Altra disposizione transitoria è quella dettata dall’art. 86, comma 5, che si limita a precisare, anche con riferimento al lavoro portuale, che i riferimenti alla l. n. 196/1997, contenuti nell’art. 17, comma 1, della l. n. 84 del 28 gennaio 1994, come modificato dall’art. 3 della l. n. 186 del 30 giugno 2000, si intendono riferiti alla disciplina della somministrazione, come disciplinata nel d.lgs. n. 276/2003. Sempre con riferimento alle disposizioni di diritto intertemporale, il comma 6 dell’art. 86 del d.lgs. n. 276/2003 prevede, per le società di somministrazione autorizzate ai sensi della normativa pregressa, una disciplina di raccordo emanata dal Ministro del Lavoro, con apposito decreto, entro trenta giorni dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003. In attesa di tale disciplina transitoria, è previsto il mantenimento in vigore delle norme di legge e regolamento vigenti alla data di entrata in vigore del medesimo decreto legislativo. Ciò significa, anzitutto, che fino a quando non sarà emanato il decreto di cui al comma 6 dell’art. 86, si continueranno ad applicare le disposizioni di legge e regolamentari relative al lavoro interinale. Tale conclusione non è contraddetta dall’art. 85, comma 1, lett. f), che dispone l’abrogazione degli articoli 1-11 della l. n. 196/97 dal momento dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 276/2003. Ed infatti, anche se le due disposizioni di legge non risultano pienamente coordinate, non v’è dubbio che l’unica interpretazione coerente, dal punto di vista sistematico, è quella secondo cui la disciplina previgente, abrogata in via generale dall’art. 85, viene fatta temporaneamente salva al solo scopo di consentire l’emanazione del decreto ministeriale che disciplinerà compiutamente la fase transitoria. 5.3 Condizioni di liceità 5.3.1 Soggetti titolati Il comma 1 dell’art. 20 non definisce in modo diretto la causa del contratto di somministrazione di lavoro, ma indica i soggetti che hanno titolo a concluderlo, rispettivamente denominati “somministratore” e “utilizzatore”: terminologia alla quale, nella l. n. 196/1997, corrispondevano le denominazioni (di portata più ridotta quanto ad estensione tipologica) di “impresa fornitrice” e “impresa utilizzatrice”. In sostanza, dal combinato disposto del comma 1 dell’art. 20 e del comma 1, lettera a), dell’art. 2, si ricava che il soggetto utilizzatore si rivolge al soggetto somministratore al fine di ottenere una fornitura professionale di manodopera, a tempo indeterminato o a termine (cfr. anche art. 20, comma 3). Privo di una denominazione propria resta il contratto, precedentemente definito “per prestazioni di lavoro temporaneo”, intercorrente fra il somministratore e i lavoratori subordinati da questo assunti. L’attività del somministratore è subordinata ad un particolare regime autorizzatorio che, ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, nonché delle attività di intermediazione, ricerca e selezione del personale, supporto alla ricollocazione professionale, comprende l’iscrizione in un albo delle agenzie per il lavoro, istituito presso il Ministero del Lavoro (art. 4 del decreto legislativo) e il possesso di una articolata serie di requisiti giuridici e finanziari, richiesti quale condizione per l’iscrizione all’albo (art. 5 del d.lgs.). Fra tali agenzie vanno menzionate, in particolare, l’agenzia di somministrazione di lavoro abilitata a svolgere tutte le attività di cui all’art. 20 ( vale a dire, le attività di somministrazione a tempo indeterminato e a termine) e l’agenzia di somministrazione di lavoro abilitata a svolgere esclusivamente le specifiche attività per cui il medesimo art. 20 prevede l’ammissibilità del contratto a tempo indeterminato. Per quanto riguarda le sanzioni penali, previste per l’esercizio non autorizzato dell’attività di somministrazione, si rinvia a quanto precedentemente detto a commento dell’art. 18. 5.3.2 Somministrazione a tempo indeterminato Il contratto di somministrazione di lavoro può essere concluso a tempo determinato o a tempo indeterminato (comma 3 dell’art. 20). Il contratto a tempo indeterminato – esplicitamente previsto dalla legge delega – costituisce una delle principali novità rispetto alla disciplina del lavoro temporaneo di cui alla l. n. 196/1997, la quale, come già rilevato, identificava la causa del contratto di fornitura con il soddisfacimento di esigenze “di carattere temporaneo” dell’impresa utilizzatrice. La legge indica le fattispecie in presenza delle quali è ammessa la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato. L’elencazione, che comprende una articolata e “nominata” serie di attività (comma 3 dell’art. 20, lettere da a) ad h ), termina con un rinvio a “tutti gli altri casi” previsti dai contratti collettivi di lavoro, nazionali o territoriali, stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative. Le suddette attività, alla cui esecuzione è consentito provvedere mediante contratti di somministrazione a tempo indeterminato, sono: a) servizi di consulenza e assistenza nel settore informatico, compresa la progettazione e manutenzione di reti intranet e extranet, siti internet, sistemi informatici, sviluppo di software applicativo, caricamento dati; b) c) d) e) f) g) h) i) servizi di pulizia, custodia, portineria; servizi, da e per lo stabilimento, di trasporto di persone e di trasporto e movimentazione di macchinari e merci (tale definizione, nella sua ultima parte, ben si presta a ricomprendere anche l’attività di facchinaggio); la gestione di biblioteche, parchi, musei, archivi, magazzini, nonché servizi di economato; attività di consulenza direzionale, assistenza alla certificazione, programmazione delle risorse, sviluppo organizzativo e cambiamento, gestione del personale, ricerca e selezione del personale; attività di marketing, analisi di mercato, organizzazione della funzione commerciale; la gestione di call-center (tra le cui attività ben può ricomprendersi la gestione del servizio di centralino), nonché l’avvio di nuove iniziative imprenditoriali nelle aree Obiettivo 1 di cui al Regolamento (CE) n. 1260/1999 del Consiglio, del 21 giugno 1999, recante disposizioni generali sui Fondi strutturali; costruzioni edilizie all’interno degli stabilimenti, installazioni o smontaggio di impianti e macchinari, particolari attività produttive, con specifico riferimento all’edilizia e alla cantieristica navale, le quali richiedano più fasi successive di lavorazione, l’impiego di manodopera diversa per specializzazione da quella normalmente impiegata nell’impresa; in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative. L’art. 20, lett. h), si interpreta nel senso che “le particolari attività produttive” non si riducono all’edilizia ed alla cantieristica navale, ma comprendono anche le attività che presentino le caratteristiche organizzative indicate dalla norma. Tale interpretazione si fonda su argomenti di natura sistematica, derivanti dal raffronto tra la rigorosa disciplina (ora abrogata) di cui all’art. 5 della l. n. 1369 del 23 ottobre 1960 e gli obiettivi di elasticità cui si ispira il d.lgs. n. 276/2003. Ed infatti nella lettera h) è unificato e riprodotto, in maniera pressoché letterale, il testo dell’art. 5, lettere a), b) ed e), della l. n. 1369/1960, ora abrogata, concernente ipotesi di appalto “consentito” e non presidiato dal principio della parità di trattamento economico e normativo fra dipendenti dell’appaltatore e dipendenti dell’appaltante, di cui all’art. 3 della medesima legge. Orbene, tra quelle ipotesi c’era, appunto, quella della lettera e) che era genericamente riferita “a particolari attività produttive…”, senza limitazioni di sorta. Ne deriva che, coerentemente, occorre interpretare in modo non limitativo il disposto della lettera h) dell’art. 20. 5.3.3 Somministrazione a tempo determinato La somministrazione di lavoro a tempo determinato è ammessa, come si è accennato, per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo – anche se riferibili all’ordinaria attività dell’utilizzatore, e quindi prive di qualsiasi connotato di temporaneità, straordinarietà, eccezionalità, imprevedibilità e simili – cioè per le stesse ragioni che, secondo l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 6 settembre 2001, legittimano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato. Sempre in conformità a quanto previsto dalla disciplina di legge in materia di contratto di lavoro a termine (art. 10, comma 7, del d.lgs. n. 368/2001), viene affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato (comma 4 dell’art. 20 ). Viene così recuperata, in versione più elastica, la previsione contenuta nell’ultimo comma dell’art. 1 della l. n. 196/1997 (secondo cui i prestatori di lavoro temporaneo non potevano superare la percentuale dei lavoratori, occupati presso l’impresa utilizzatrice con contratto a tempo indeterminato, stabilite dai contratti collettivi nazionali), e viene, nel contempo, definita una serie di ipotesi (ricavabili dall’espresso richiamo all’art. 10 del d.lgs n. 368/2001) in relazione alle quali non è prevista alcuna limitazione quantitativa. 5.3.4 Limiti al controllo giudiziario Con riferimento alla valutazione delle ragioni che consentono e giustificano la somministrazione di lavoro, sia a tempo indeterminato che a termine, il comma 3 dell’art. 27 dispone che l’eventuale controllo giudiziario è limitato al mero accertamento dell’esistenza delle ragioni suddette e non può estendersi al merito (cioè all’opportunità o alla maggiore o minore utilità ) delle valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che competono solo ed esclusivamente all'impresa utilizzatrice. 5.3.5 Divieti L’art. 20 si conclude, al comma 5, con la previsione dei casi in cui il contratto di somministrazione di lavoro è vietato. Sono casi modellati, anche nella formulazione testuale, sulle disposizioni dell’art. 3, lettere a), b), c), d) del d.lgs. n. 368/2001, e dell’art.1, comma 4, lettere b), c), d), e) della l. n. 196/1997, in tema, rispettivamente, di inammissibilità dell’apposizione di un termine al contratto di lavoro subordinato e di divieto di fornitura di lavoro temporaneo. Più specificamente, è vietato ricorrere alla somministrazione di lavoro: - per sostituire lavoratori in sciopero; - quando, nell’unità produttiva, si sia proceduto, nei sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; - quando, nell’unità produttiva, è in corso una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; - da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 626 del 19 settembre 1994. In particolare, riguardo a quest’ultimo divieto, viene in sostanza confermato il divieto per l’impresa utilizzatrice di stipulare contratti di somministrazione in assenza della prescritta valutazione dei rischi ai sensi del d.lgs. n. 626/1994. Da rilevare che, con la nuova disciplina di legge, viene soppresso il divieto, precedentemente in vigore per il contratto di fornitura, di ricorrere alla somministrazione di manodopera per le mansioni, individuate dalla contrattazione collettiva nazionale, il cui svolgimento poteva rappresentare maggiore pericolo per la sicurezza del lavoratore o di soggetti terzi (cfr. art. 64 della l. n. 488 del 23 dicembre 1999, che aveva modificato l’art. 1, comma 4, lett. a) della l. n. 196/1997). 5.4 Forma del contratto di somministrazione L’art. 21, al comma 1, dopo aver stabilito che il contratto di somministrazione è stipulato in forma scritta, enuncia l’insieme degli elementi che le parti, recependo le indicazioni contenute nei contratti collettivi (comma 2), devono inserire nel contratto stesso. Tali elementi riuniscono e compendiano i requisiti già prescritti dalla l. n. 196/1997 (art. 1, comma 5 e art. 3, comma 3) rispettivamente, per il contratto di fornitura e il contratto di prestazione di lavoro temporaneo. Oltre ai primi cinque elementi, la cui omissione, come si vedrà subito, produce la nullità del contratto, possono citarsi i seguenti: - assunzione, da parte del somministratore, dell’obbligazione del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico, nonché del versamento dei contributi previdenziali; - assunzione, da parte dell’utilizzatore, dell’obbligo di rimborsare al somministratore gli oneri retributivi e previdenziali da questo effettivamente sostenuti in favore dei prestatori di lavoro (per tale aspetto, l’art. 86, comma 4, del decreto legislativo ha provveduto ad “aggiornare” il comma 5ter dell’art. 2751 c.c., con la precisazione che hanno privilegio generale sui mobili i crediti delle agenzie di somministrazione di lavoro abilitate, per gli oneri retributivi e previdenziali addebitati all’utilizzatore ai sensi dell’art. 21, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003); - assunzione, da parte dell’utilizzatore, in caso di inadempimento del somministratore, dell’obbligo del pagamento diretto al lavoratore del trattamento economico nonché del versamento dei contributi previdenziali, fatto salvo il diritto di rivalsa verso il somministratore. Tra gli obblighi previdenziali, anche se la norma fa espresso riferimento ai soli ”contributi previdenziali”, deve ritenersi incluso anche il versamento dei premi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (anche in considerazione della espressione “oneri assicurativi” contenuta nel successivo art. 25, comma 1). Da notare il riferimento, fra gli elementi da inserire nel contratto, alla data di inizio e alla durata prevista del contratto stesso, mentre la l. n. 196/1997, sia per il contratto di fornitura che per il contratto per prestazioni di lavoro temporaneo, prescriveva l’indicazione della data di inizio e del termine, senza alcuna possibilità di precisare la durata di questo mediante semplice previsione. La mancanza di forma scritta, o la mancata indicazione degli elementi di cui alle prime cinque lettere del comma 1 (estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; numero dei lavoratori da somministrare; casi in cui, a norma del comma 3 dell’art. 20, è ammessa la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato; ragioni, di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, giustificanti la stipulazione a tempo determinato; indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; data di inizio e durata prevista del contratto) determinano la nullità del contratto di somministrazione, e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore (comma 4 dell’art. 21). 5.4.1 Somministrazione irregolare A questo proposito, il comma 1 dell’art. 27 stabilisce che, quando la somministrazione avvenga fuori dei limiti e delle condizioni di cui alle citate lettere a), b), c) d) ed e) dell’art. 21 (come pure fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione. Il comma 2 del medesimo art. 27 dispone che, nell’ipotesi di cui al comma 1, le retribuzioni e le contribuzioni previdenziali, incluse le somme versate a titolo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, pagate dal somministratore liberano l’utilizzatore dal debito corrispondente fino a concorrenza della somma pagata, e che, per il periodo in cui la somministrazione ha avuto luogo, tutti gli atti compiuti dal somministratore per la costituzione o la gestione del rapporto si intendono compiuti dall’utilizzatore. Del contenuto del terzo comma dell’art. 27 si è detto precedentemente, al paragrafo relativo ai limiti del controllo giudiziario. Il somministratore, all’atto della stipulazione del contratto di lavoro col singolo lavoratore, ovvero all’atto dell’invio di quest’ultimo presso l’utilizzatore, deve comunicargli per iscritto tutti gli elementi contenuti nel contratto di somministrazione, nonché la data di inizio e la durata prevedibile dell’attività lavorativa presso l’utilizzatore (comma 3 dell’art. 21). 5.5 Disciplina dei rapporti di lavoro 5.5.1 Lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato In caso di somministrazione a tempo indeterminato, i lavoratori assunti dal somministratore sono soggetti alla disciplina generale di cui al codice civile e alle leggi speciali (comma 1 dell’art. 22). Ciò significa che i lavoratori potranno essere assunti a tempo indeterminato ma anche a termine. In entrambe le ipotesi, inoltre, le assunzioni potranno essere effettuate a tempo pieno o a tempo parziale. Durante i periodi in cui non operano presso un utilizzatore, i lavoratori assunti a tempo indeterminato restano a disposizione del somministratore, salvo, ovviamente, il caso in cui sopravvenga una giusta causa o un giustificato motivo di licenziamento (comma 2, secondo periodo, dell’art. 20). I periodi di disponibilità, nei quali il lavoratore rimane in attesa di assegnazione, sono remunerati da una specifica indennità mensile (divisibile in quote orarie), esclusa dal computo di ogni istituto legale o contrattuale, che il somministratore eroga al lavoratore, nella misura stabilita dal contratto collettivo nazionale applicabile al somministratore stesso (ossia, quello ora applicabile alle agenzie di lavoro temporaneo), e indicata nel contratto individuale. Tale misura non può essere inferiore a quella prevista e periodicamente aggiornata con decreto del Ministro del Lavoro, ed è proporzionalmente ridotta in caso di assegnazione del lavoratore ad attività a tempo parziale, anche presso il somministratore (art. 22, comma 3). Il comma 4 dell’art. 22 precisa che, nel caso di fine dei lavori connessi alla somministrazione a tempo indeterminato, la risoluzione dei rapporti individuali di lavoro è disciplinata non dall’art. 4 della l. n. 223 del 23 luglio 1991 (disciplina da applicarsi in caso di licenziamento collettivo), bensì dall’art. 3 della l. n. 604 del 15 luglio 1966 ( licenziamento individuale plurimo per giustificato motivo oggettivo), trovando altresì applicazione, in tale fattispecie, le disposizioni di cui all’art. 12 dello stesso d.lgs. n. 276/2003, che, per il caso di fine lavori, prevedono, fra l’altro, l’istituzione di fondi per l’integrazione del reddito dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. 5.5.2 Lavoratori assunti con contratto a tempo determinato Se la somministrazione è a tempo determinato, il rapporto di lavoro fra somministratore e lavoratore è disciplinato dalla normativa di legge in tema di assunzioni a termine, “in quanto compatibile”. In tal senso si esprime il comma 2 dell’art. 22, il quale specifica che, in ogni caso, non si applicano le previsioni di cui all’art. 5, commi 3 e 4, del d.lgs. n. 368/2001. Tale disposizione non impedisce, comunque, che l’agenzia di somministrazione possa utilizzare lavoratori assunti a tempo indeterminato per far fronte a contratti di somministrazione a tempo determinato. Le disposizioni del d.lgs. n. 368/2001, dichiarate inapplicabili al contratto di somministrazione a tempo determinato, riguardano, rispettivamente, la conversione automatica in contratti a tempo indeterminato dei contratti a termine stipulati a breve distanza di tempo rispetto a precedenti contratti a termine intercorsi con lo stesso lavoratore, e la riduzione ad un unico rapporto a tempo indeterminato di due contratti a termine stipulati con lo stesso lavoratore senza alcuna soluzione di continuità. Dunque, a differenza della normativa disciplinante il contratto a termine, il somministratore potrà concludere più contratti a termine con lo stesso lavoratore senza il rispetto di alcun intervallo di tempo e, pertanto, effettuare rinnovi del contratto senza limitazioni. Il comma 2 dell’art. 22 prevede anche una speciale disciplina della proroga del termine apposto al contratto fra somministratore e lavoratore: in base a tale disciplina, che risponde a criteri meno rigidi rispetto a quella contenuta nell’art. 4 del d.lgs. n. 368/2001, la proroga è “in ogni caso” ammissibile, con il consenso del lavoratore e mediante atto scritto, nei casi e per la durata previsti dal contratto collettivo applicato dal somministratore. Per motivi di connessione, possono a questo punto citarsi le previsioni racchiuse nei commi 8 e 9 dell’art. 23. Il comma 8 sancisce la nullità di ogni clausola che, anche indirettamente, tenda a limitare la facoltà dell’utilizzatore di assumere il lavoratore al termine del contratto di somministrazione a tempo determinato. Tale previsione non trova applicazione – e, quindi, la clausola in questione mantiene la propria validità – qualora al lavoratore sia corrisposta un’adeguata indennità (comma 9), in funzione di ristoro economico della diminuita possibilità di assunzione al termine del contratto di somministrazione, secondo quanto stabilito dal contratto collettivo applicabile al somministratore . 5.5.3 Computabilità dei lavoratori e assunzioni obbligatorie Il comma 5 dell’art. 22 esclude la computabilità del lavoratore “somministrato” nell’organico dell’utilizzatore ai fini dell’applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, ad eccezione delle normative in materia di igiene e sicurezza del lavoro (cfr., ad esempio, art. 18 d.lgs. n. 626/1994, relativamente ai profili dimensionali dell’azienda o dell’unità produttiva, connessi alla nomina del rappresentante per la sicurezza). Il comma 6 esclude, in caso di somministrazione, sia a tempo determinato che a tempo indeterminato, l’applicabilità della disciplina delle assunzioni obbligatorie e della riserva di cui all’art. 4bis, comma 3, del d.lgs. n.181/2000, introdotto dall’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 297/2002, secondo cui le Regioni possono prevedere che una quota delle assunzioni effettuate dai datori di lavoro privati e dagli enti pubblici sia riservata a particolari categorie di lavoratori a rischio di esclusione sociale. Pertanto, i lavoratori assunti dalle agenzie di somministrazione al fine di essere avviati presso gli utilizzatori non concorrono a determinare l’organico dell’agenzia al fine dell’applicazione delle disposizioni suddette. Il successivo comma 4 del citato art. 4bis, pone a carico delle imprese fornitrici di lavoro temporaneo (oggi “somministratori”) l’obbligo di comunicare, entro il giorno 20 del mese successivo alla data di assunzione, al servizio competente nel cui ambito è ubicata la loro sede operativa, l’assunzione, la proroga e la cessazione dei lavoratori temporanei assunti nel corso del mese precedente. Al riguardo, l’art. 86, comma 7, del d.lgs. n. 276/2003 chiarisce che tale obbligo di comunicazione va riferito a tutte le imprese di somministrazione, sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. La violazione degli obblighi posti dal comma 4 dell’art. 4bis è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 250 euro per ogni lavoratore interessato (art. 19, comma 4, del d.lgs. n. 276/2003). 5.6 Tutela del prestatore di lavoro - Esercizio del potere disciplinare Regime della solidarietà 5.6.1 Trattamento economico e normativo Il comma 1 dell’art. 23 va letto in collegamento sistematico con la prima parte del comma 2 dell’art. 20, a norma del quale, per tutta la durata della somministrazione, i lavoratori svolgono la propria attività nell’interesse nonché sotto il controllo e la direzione dell’utilizzatore. In relazione a ciò, il menzionato comma 1 dell’art. 23, sulla base del criterio prescritto dalla legge delega, attribuisce ai lavoratori dipendenti dal somministratore il diritto a un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni. Restano in ogni caso salve le clausole contrattuali stipulate ai sensi della disposizione dell’art. 1, comma 3, della l. n. 196/1997 che, nel settore dell’edilizia, hanno consentito l’introduzione dei contratti di “fornitura di lavoro temporaneo”. A quest’ultimo riguardo, la disposizione transitoria di cui all’art. 86, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 276/2003, precisa che le relative clausole, vigenti alla data d’entrata in vigore dello stesso decreto legislativo, mantengono la loro efficacia fino a diversa determinazione delle parti stipulanti o a recesso unilaterale. Il comma 2 dell’art. 23 esclude l’applicabilità della disposizione di cui al comma 1, concernente la parità di trattamento economico e normativo fra dipendenti del somministratore e dipendenti dell’utilizzatore, ai contratti di somministrazione conclusi da soggetti privati autorizzati nell’ambito di specifici programmi di formazione, inserimento e riqualificazione professionale, erogati a favore dei lavoratori svantaggiati, ai sensi e nei limiti di cui all’art. 13 dello stesso decreto legislativo. In attuazione del precetto contenuto nella delega, i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali spettanti ai lavoratori sono oggetto di obbligazione solidale fra utilizzatore e somministratore (comma 3 dell’art. 23). Vengono, infine, confermate alcune prescrizioni già contenute nella l. n. 196/1997. Modalità e criteri per la determinazione e l’erogazione ai lavoratori somministrati dei cosiddetti premi di risultato vengono stabiliti dai contratti collettivi applicati dall’utilizzatore. I medesimi lavoratori hanno diritto alla parità di trattamento coi dipendenti dell’utilizzatore operanti nella stessa unità produttiva, per quanto riguarda la fruizione di tutti i servizi sociali e assistenziali goduti da questi ultimi, con esclusione di quei servizi il cui godimento non sia “aperto”, ma condizionato all’iscrizione ad associazioni o società cooperative oppure al raggiungimento di un’anzianità di servizio determinata (comma 4). Il somministratore è tenuto ad informare i lavoratori sui rischi che le attività produttive in generale possono comportare per la sicurezza e la salute e, in conformità alle disposizioni del d.lgs. n. 626/1994, svolge opera di formazione e addestramento sull’uso delle attrezzature necessarie allo svolgimento dell’attività per la quale i lavoratori stessi vengono assunti. L’adempimento di tale obbligo può essere trasferito sull’utilizzatore ove il contratto di somministrazione così preveda. In tal caso, la variazione del soggetto obbligato va annotata nel contratto individuale con il lavoratore (prima parte del comma 5). Ulteriori incombenze a carico dell’utilizzatore sono stabilite dagli ultimi due periodi del comma 5, dal comma 6 e dal comma 7 dell’art. 23. Si tratta dell’obbligo, previsto dal combinato disposto del d.lgs. n. 626/1994 (in particolare artt. 16, 55, 69, 72decies, 86) e della l. n. 196/1997 (art. 6, comma 1), di informare il lavoratore qualora le mansioni cui questi è adibito richiedano una sorveglianza medica speciale o comportino rischi specifici. L’utilizzatore è tenuto altresì ad osservare, nei confronti del lavoratore stesso, tutti gli obblighi di protezione previsti a tutela dei propri dipendenti, ed è responsabile per la violazione degli obblighi di sicurezza individuati dalla legge e dai contratti collettivi. In caso di assegnazione al lavoratore di mansioni superiori, o comunque non equivalenti a quelle dedotte nel contratto, l’utilizzatore deve darne immediata comunicazione scritta al somministratore e consegnare copia della comunicazione al lavoratore. Qualora non adempia a tale obbligo, l’utilizzatore è tenuto in via esclusiva a corrispondere al lavoratore le differenze retributive connesse allo svolgimento di mansioni superiori nonché l’eventuale risarcimento del danno derivante dallo spostamento del lavoratore a mansioni inferiori (comma 6). Infine, qualora venga addebitata al lavoratore una mancanza disciplinare, l’utilizzatore è tenuto a trasmettere al somministratore, cui compete la titolarità del potere sanzionatorio, gli estremi dei fatti che formeranno oggetto di contestazione ai sensi dell’art. 7, secondo comma, della l. n. 300/1970 (comma 7). L’utilizzatore è responsabile nei confronti dei terzi dei danni ad essi arrecati dal lavoratore nell’esercizio delle sue mansioni (art. 26). 5.7 Diritti sindacali e garanzie collettive L’art. 24 riconosce ai lavoratori dipendenti dalle società o imprese di somministrazione e dagli appaltatori la spettanza dei diritti sindacali di cui alla l. n. 300/1970 (comma 1). Tale articolo conferma i contenuti dei primi tre commi dell’art. 7, l. n. 196/1997. In particolare il lavoratore, per tutta la durata della somministrazione, esercita presso l’utilizzatore i diritti di libertà e di attività sindacale e può partecipare alle assemblee dei dipendenti dello stesso utilizzatore (comma 2). Uno specifico diritto di riunione, secondo la normativa vigente (art. 20, l. n. 300/1970) e con modalità demandate alla contrattazione collettiva, è riservato ai dipendenti di uno stesso somministratore che operano presso diversi utilizzatori (comma 3). Il comma 4, secondo l’analoga procedura fissata dalla l. n. 196/1997, pone a carico dell’utilizzatore l’obbligo di comunicare alla r.s.u., ovvero alle r.s.a. e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: - prima della stipula del contratto col somministratore, il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessità di stipulare il contratto, tali comunicazioni possono essere fornite dall’utilizzatore, anziché in via preventiva, entro i cinque giorni successivi alla stipula del contratto di somministrazione; - il numero, i motivi e la durata dei contratti di somministrazione conclusi, e il numero e la qualifica dei lavoratori interessati. Per questa ulteriore comunicazione è prevista una periodicità di dodici mesi. 5.8 Norme previdenziali Il comma 1 dell’art. 25 pone a carico del somministratore gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi e assistenziali (con obbligazione solidale dell’utilizzatore: art. 23, comma 3). Viene mantenuto l’inquadramento del somministratore nel settore terziario, ai sensi e per gli effetti dell’art. 49, l. n. 88 del 9 marzo 1989, analogamente a quanto già previsto per le imprese di fornitura di lavoro temporaneo dall’art. 9, comma 1, l. n. 196/1997. Sull’indennità di disponibilità i contributi sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla vigente normativa in materia di minimale contributivo. Il comma 2 esonera il somministratore dal versamento del contributo integrativo per l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria, di cui all’art. 25, comma 4, della l. n. 845 del 21 dicembre 1978. Il comma 3 stabilisce che gli obblighi per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (da intendersi riferiti al versamento dei premi) sono determinati in relazione al tipo ed al rischio delle lavorazioni svolte, vale a dire secondo la classificazione delle lavorazioni alla corrispondente voce della tariffa relativa alla sottogestione terziario nella quale è inquadrato il somministratore.” In concreto i premi sono determinati in relazione al tasso medio nazionale (art. 8 d.m. 12 dicembre 2000) o medio ponderato (in caso di esercizio di attività complesse, ipotesi ora diversamente disciplinata dall’art. 6 del medesimo d.m.) stabilito dalla tariffa del settore terziario per l’attività corrispondente a quella svolta dall’impresa utilizzatrice ovvero, in alternativa, sono determinati in base al tasso medio o medio ponderato corrispondente alla lavorazione effettivamente svolta dal lavoratore qualora tale lavorazione non sia già stata denunciata ai fini assicurativi da parte dell’impresa utilizzatrice. SOMMINISTRAZIONE (ARTT. 20–28) Scheda riepilogativa La somministrazione di lavoro è il contratto con il quale un soggetto munito di autorizzazione (somministratore) fornisce, a tempo indeterminato o a termine, manodopera ad un altro soggetto (utilizzatore). La somministrazione a tempo determinato è ammessa per ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo, sostitutivo. Viene affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi l’individuazione, anche in misura non uniforme, di limiti quantitativi di utilizzazione della somministrazione a tempo determinato (art. 20, comma 4). La somministrazione a tempo indeterminato è ammessa per le ipotesi previste dall’art. 20, comma 3 e in tutti gli altri casi previsti dai contratti collettivi di lavoro nazionali o territoriali. Il contratto deve essere stipulato in forma scritta e contenere gli elementi di cui all’art. 21, comma 1. , per i quali le parti dovranno recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi. La mancanza di forma scritta, o la mancata indicazione degli elementi di cui alle prime cinque lettere del comma 1 (estremi dell’autorizzazione rilasciata al somministratore; numero dei lavoratori da somministrare; casi in cui a norma del comma 3 dell’art. 20 è ammessa la somministrazione di lavoro a tempo indeterminato; ragioni, di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo, giustificanti la stipulazione a tempo determinato; indicazione della presenza di eventuali rischi per l’integrità e la salute del lavoratore e delle misure di prevenzione adottate; data di inizio e durata prevista del contratto) determinano la nullità del contratto di somministrazione, e i lavoratori sono considerati a tutti gli effetti alle dipendenze dell’utilizzatore (art. 21, comma 4). L’attività del somministratore è subordinata ad un particolare regime autorizzatorio che, ai fini dello svolgimento delle attività di somministrazione, comprende l’iscrizione in un albo delle agenzie per il lavoro, istituito presso il Ministero del lavoro (art. 4 del d.lgs. n. 276/2003) e il possesso di una articolata serie di requisiti giuridici e finanziari, richiesti quale condizione per l’iscrizione all’albo (art. 5 del d.lgs. n. 276/2003). Le agenzie di somministrazione di lavoro sono di due tipi: le agenzie abilitate a svolgere tutte le attività di cui all’art. 20 ( vale a dire, le attività di somministrazione a tempo indeterminato e a termine) e le agenzie abilitate a svolgere esclusivamente le specifiche attività per cui il medesimo art. 20 prevede l’ammissibilità del contratto a tempo indeterminato. I periodi di disponibilità, nei quali il lavoratore rimane in attesa di assegnazione, sono remunerati da una specifica indennità mensile (divisibile in quote orarie) che il somministratore eroga al lavoratore, nella misura stabilita dal contratto collettivo nazionale applicabile al somministratore stesso, e indicata nel contratto individuale (art. 22). E’ vietato ricorrere alla somministrazione di lavoro (art. 20, comma 5) : per sostituire lavoratori in sciopero; quando, nell’unità produttiva, si sia proceduto, nei sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi riguardanti lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; quando, nell’unità produttiva, è in corso una sospensione dei rapporti o una riduzione dell’orario, con diritto al trattamento di integrazione salariale, che interessino lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di somministrazione; da parte delle imprese che non abbiano effettuato la valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 626 del 19 settembre 1994. Il lavoratore “somministrato” non è computato nell’organico dell’utilizzatore ai fini dell’applicazione di normative di legge o di contratto collettivo, ad eccezione delle normative in materia di igiene e sicurezza sul lavoro (art. 22, comma 5). I lavoratori dipendenti dal somministratore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo complessivamente non inferiore a quello dei dipendenti di pari livello dell’utilizzatore, a parità di mansioni svolte (cfr. art. 23, comma 1). I contratti collettivi stabiliscono modalità e criteri per la corresponsione delle erogazione economiche legate ai risultati collegati con l’andamento economico dell’impresa (cfr. art. 23, comma 4). Il somministratore assolve agli obblighi derivanti dalla legge n. 626/1994 ma il contratto di somministrazione può prevedere che tali obblighi siano adempiuti dall’utilizzatore. Ai lavoratori dipendenti dalle società o imprese di somministrazione e dagli appaltatori sono riconosciuti i diritti sindacali di cui alla l. n. 300/1970 (art. 24 comma 1). In particolare il lavoratore, per tutta la durata della somministrazione, esercita presso l’utilizzatore i diritti di libertà e di attività sindacale e può partecipare alle assemblee dei dipendenti dello stesso utilizzatore (art. 24, comma 2). Uno specifico diritto di riunione, secondo la normativa vigente (art. 20, l. n. 300/1970) e con modalità demandate alla contrattazione collettiva, è riservato ai dipendenti di uno stesso somministratore che operano presso diversi utilizzatori (art. 24, comma 3). L’utilizzatore ha l’obbligo di comunicare alla r.s.u., ovvero alle r.s.a. e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (art. 24, comma 4): prima della stipula del contratto col somministratore, il numero e i motivi del ricorso alla somministrazione di lavoro; ove ricorrano motivate ragioni di urgenza e necessità di stipulare il contratto, tali comunicazioni possono essere fornite dall’utilizzatore, anziché in via preventiva, entro i cinque giorni successivi alla stipula del contratto di somministrazione; il numero, i motivi e la durata dei contratti di somministrazione conclusi, e il numero e la qualifica dei lavoratori interessati. Per questa ulteriore comunicazione è prevista una periodicità di dodici mesi. Sono posti a carico del somministratore gli oneri contributivi, previdenziali, assicurativi e assistenziali, con obbligazione solidale dell’utilizzatore (art. 25, comma 1, art. 23, comma 3). Capitolo 6 - APPALTO (art. 29) 6.1 Definizione L’art. 29, al comma 1, come prescritto in sede di delega, individua i caratteri che distinguono dalla somministrazione il contratto di appalto, previsto dall’art. 1655 c.c., secondo cui l’appalto è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro. Sulla scorta della definizione formulata dall’art. 1655, gli elementi distintivi rispetto alla somministrazione vengono identificati nell’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore e con l'assunzione del rischio d’impresa da parte dello stesso. L’organizzazione dei mezzi necessari può anche risultare, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto, dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, cioè dall’esercizio di un mero potere interpersonale, indipendente da ogni intervento organizzativo sui mezzi materiali occorrenti all’esecuzione dell’opera o del servizio. Tale disposizione, mettendo in valore la gestione dell’elemento umano quale forma di organizzazione dei “mezzi” nel senso voluto dall’art. 1655, si colloca in una prospettiva nuova e differente rispetto a quella che caratterizzava la legge n. 1369. Questa, infatti, fondava una presunzione assoluta di illiceità dell’appalto proprio sull’impiego, da parte dell’appaltatore, di mezzi – capitali, macchine, attrezzature – forniti dall’appaltante (cfr. art. 1, comma 3, dell’abrogata legge n. 1369/1960). Per contro, la nuova disciplina svaluta i profili attinenti alla titolarità e all’organizzazione dei mezzi materiali, assegnando rilevanza, nella verifica della legittimità dell’appalto, all’esercizio del potere organizzativo. Né a diversa conclusione può giungersi sulla scorta dell’art. 84 del d.lgs. n. 276/2003, che, al comma 2, prevede l’adozione, mediante decreto ministeriale, di codici di buone pratiche e indici presuntivi in materia di interposizione illecita e appalto genuino, che, in conformità alla delega, tengano conto, fra l’altro, “della rigorosa verifica della reale organizzazione dei mezzi…da parte dell’appaltatore”. Infatti, poiché il comma 1 dell’art. 29 è molto chiaro nell’attribuire specifico ed autonomo rilievo “legittimante” all’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, ragioni di evidente coerenza interpretativa e sistematica comportano che la “reale organizzazione dei mezzi”, di cui all’art. 84 comma 2, vada intesa nella stessa accezione adottata dall’art. 29, vale a dire “anche” come potere di organizzare e dirigere “mezzi” immateriali che possono essere costituiti, ad esempio, da un insieme di energie lavorative individuali ovvero dal know - how. I codici e gli indici presuntivi di cui all’art. 84 comma 2, dovranno recepire, se esistenti, le indicazioni contenute negli accordi interconfederali o di categoria stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. A questo riguardo, le parti sociali, nel formulare le indicazioni relative alle buone pratiche ed agli indici presuntivi, dovranno fornire criteri univoci al fine di tracciare una netta demarcazione tra appalto genuino ed interposizione illecita. 6.1.1 Appalto di servizi In caso di appalto di servizi, committente e appaltatore sono obbligati in solido, entro il limite di un anno dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere le retribuzioni e i contributi previdenziali spettanti ai lavoratori (incluse le somme versate a titolo di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro), secondo il settore di inquadramento dell’appaltatore (art. 29, comma 2). 6.1.2 Cambi di appalto Qualora un nuovo appaltatore subentri nell’appalto, l’acquisizione del relativo personale, in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro o di clausola del contratto d’appalto, non costituisce trasferimento d’azienda o di parte d’azienda (comma 3) e non comporta l’applicabilità della relativa disciplina di legge. 6.1.3 Certificazione Le procedure di certificazione di cui al Capo primo del Titolo VIII del d.lgs. n. 276/2003 possono essere utilizzate sia in sede di stipulazione del contratto di appalto di cui all’art. 1655 c.c., sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione tra somministrazione di lavoro e appalto ai sensi delle disposizioni contenute nel Titolo III dello stesso decreto legislativo (art. 84, comma 1). 6.1.4 Abrogazione della legge n. 1369 del 1960 Con l’eliminazione del taglio drasticamente limitativo e repressivo che caratterizzava la normativa sul divieto di intermediazione e interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’art. 85, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 276/2003, in adempimento alla prescrizione contenuta nella legge delega, ha abrogato la legge 25 ottobre 1960, n. 1369. Di conseguenza, cessano di avere efficacia quelle disposizioni della contrattazione collettiva che, sulla base dell’ormai abrogata l. n. 1369/1962 ovvero sul presupposto della vigenza di tale legge, abbiano previsto l’esclusione dagli appalti di talune attività. APPALTO (ART. 29) Scheda riepilogativa Il contratto di appalto, previsto dall’art. 1655 c.c., è il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in danaro. Gli elementi distintivi dell’appalto rispetto alla somministrazione vengono identificati nell’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore e nell'assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore. Adozione, con decreto del Ministro del Lavoro, di codici di buone pratiche ed indici presuntivi in materia di interposizione illecita ed appalto genuino, recependo le indicazioni eventualmente contenute negli accordi interconfederali o di categoria. Capitolo 7 - DISTACCO (art. 30) L’art. 30 del d.lgs. n. 276/2003, sempre in conformità ai criteri indicati dalla legge delega, disciplina l’istituto del distacco, che ricorre, in conformità alla nozione costantemente accolta dalla giurisprudenza, quando un datore di lavoro, valendosi del proprio potere direttivo e in funzione del soddisfacimento di un suo interesse, pone temporaneamente uno o più dipendenti a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa, restando responsabile del trattamento economico e normativo spettante ai lavoratori distaccati. Il consenso del lavoratore è necessario se il distacco comporta un mutamento di mansioni (art. 30, comma 3, primo periodo). Tenuto conto delle previsioni dell’art. 2103 c.c., si deve ritenere che il consenso del lavoratore, in caso di distacco, ricorra solo quando le nuove mansioni attribuitegli non siano equivalenti rispetto a quelle precedentemente svolte. Infatti, a norma dell’art. 2103, l’assegnazione al lavoratore di mansioni equivalenti non incontra alcun limite, se non quello, messo in luce dalla giurisprudenza, della relazione di coerenza che deve sussistere fra le nuove mansioni e le precedenti sotto il profilo professionale. L’ultimo comma dell’art. 2103 prevede, però, la nullità di ogni patto che non rispetti il principio dell’equivalenza delle mansioni. L’ipotesi disciplinata dall’art. 30, comma 3, va, pertanto, interpretata come una deroga al rigido disposto dell’art. 2103, ultimo comma, cod. civ., deroga che legittima, con il consenso del lavoratore, il trasferimento con contestuale attribuzione di mansioni anche non equivalenti. Comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive devono sussistere quando dal distacco derivi un trasferimento del lavoratore ad un’unità produttiva distante più di 50 km da quella di provenienza (art. 30, comma 3, secondo periodo). DISTACCO (ART. 30) Scheda riepilogativa Ricorre quando il datore di lavoro, in funzione del soddisfacimento di un suo concreto interesse, pone temporaneamente uno o più dipendenti a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa, restando responsabile del trattamento economico e normativo spettante ai lavoratori distaccati. Consenso del lavoratore necessario solo se il distacco comporta un mutamento di mansioni (art. 30, comma 3, primo periodo). Il trasferimento del lavoratore ad un’unita produttiva distante più di 50 km da quella in cui è adibito può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive (art. 30, comma 3). Capitolo 8 - GRUPPI DI IMPRESA (art. 31) Il legislatore, in ottemperanza ai criteri fissati dall’art. 1, comma 2, lett. n) della legge n. 30 del 2003, ha attribuito ai gruppi di impresa, individuati ai sensi dell’art. 2359 del codice civile e del d.lgs. n. 74 del 2 aprile 2002, la facoltà di delegare alla capogruppo lo svolgimento degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti. Secondo l’art. 31, infatti, l’impresa controllante potrà svolgere tali adempimenti per conto di tutte le società controllate e collegate, ferma restando la titolarità delle obbligazioni contrattuali e legislative in capo alle singole società datrici di lavoro (comma 3). Il secondo comma attribuisce ai consorzi la facoltà di svolgere gli adempimenti per conto dei soggetti consorziati o di delegare l’esecuzione ad una società consorziata. GRUPPI DI IMPRESA (ART. 31) Scheda riepilogativa La capogruppo può svolgere degli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti per conto di tutte le società controllate e collegate (comma 1). I consorzi hanno la facoltà di svolgere tali adempimenti per conto dei soggetti consorziati o di delegarne l’esecuzione ad una società consorziata (comma 2). Capitolo 9 - TRASFERIMENTO D’AZIENDA – MODIFICA ALL’ART. 2112 , COMMA 5, C.C. (art. 32) L’art. 32 del d.lgs. n. 276/2003, in attuazione di una delega particolarmente dettagliata, introduce una modifica alla disciplina del mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda (art. 2112 c.c., come sostituito, in attuazione della direttiva 98/50/CE, dall’art. 1 del d.lgs. n. 18 del 2 febbraio 2001), modificando il comma quinto dello stesso art. 2112 e inserendo un nuovo comma finale. La modifica si è resa necessaria con particolare riguardo al trasferimento di “parte dell’azienda” (già previsto nel testo introdotto dal d.lgs. n. 18/2001), e all’individuazione del momento in cui il requisito dell’autonomia funzionale di tale parte deve venire ad esistenza affinché la fattispecie si configuri come una vera e propria cessione, con conseguente applicabilità delle procedure di cui all’art. 47, l. n. 428 del 29 dicembre 1990 e successive modifiche, nonché delle previsioni di cui allo stesso art. 2112 c.c. limitandosi a richiedere che tale requisito sussista, e sia identificato come tale dal cedente e dal cessionario, nel momento in cui il trasferimento si realizza. La disciplina della materia rinviene in tal modo spazi di maggiore elasticità, in quanto, per la riconduzione della fattispecie nel campo di applicazione dell’art. 2112 c.c., non è necessario che il ramo d’azienda oggetto della cessione sia dotato di oggettiva e precostituita esistenza, ma è sufficiente che il ramo stesso acquisti consistenza organizzativa e funzionale “all’atto” in cui viene alienato. Infatti, ai sensi del d.lgs. n. 18/2001 – che sotto questo profilo è rimasto immutato – per “parte dell’azienda” deve intendersi una “articolazione funzionalmente autonoma” dell’attività economica organizzata, dove il requisito dell’autonomia funzionale riassume le condizioni perché la parte, o “ramo” d’azienda possa avere una “vita” propria ed essere, così, separabile dal complesso aziendale. All’autonomia funzionale il legislatore delegato del 2001 aveva poi aggiunto, quale necessario complemento, il requisito della “preesistenza” del ramo al trasferimento, e quello della conservazione, nel trasferimento, della sua identità. L’innovazione apportata dall’art. 32 incide proprio su questo aspetto, eliminando la necessità che l’autonomia funzionale dell’attività economica ceduta preesista al trasferimento. Il comma 2 dell’art. 32 dispone che, qualora l’alienante e l’acquirente stipulino un contratto d’appalto, per la cui esecuzione venga utilizzato il ramo d’azienda ceduto, si applica l’art. 1676 c.c., a norma del quale i dipendenti dell’appaltatore che hanno eseguito l’opera o prestato il servizio possono proporre azione diretta contro l’appaltante per conseguire quanto loro dovuto, fino alla concorrenza del debito che lo stesso appaltante ha verso l’appaltatore nel tempo in cui essi propongono la domanda. TRASFERIMENTO D’AZIENDA (ART. 32) Scheda riepilogativa E’ trasferimento d’azienda qualsiasi operazione (cessione contrattuale, fusione, usufrutto, affitto) che comporti il mutamento nella titolarità di una attività economica organizzata. E’ ammissibile il trasferimento di ramo d’azienda, quando il cedente e il cessionario identifichino quella parte di azienda come una articolazione funzionalmente autonoma, al momento del suo trasferimento. Se al trasferimento segue la conclusione di un contratto di appalto, opera il regime di solidarietà di cui all’art. 1676 c.c. Capitolo 10 - LAVORO INTERMITTENTE (artt. 33-40) 10.1 Definizione Il contratto di lavoro intermittente, che può essere stipulato sia a tempo determinato che senza prefissione di termine, viene definito dall’art. 33 come il contratto col quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro, il quale è legittimato ad utilizzarne l’attività per lo svolgimento di prestazioni di carattere discontinuo o intermittente (cioè soggette ad intervalli di inattività), destinate al soddisfacimento di esigenze individuate in sede di contrattazione collettiva nazionale o territoriale o, in via “provvisoriamente sostitutiva”, dal Ministro del Lavoro, mediante decreto da emanarsi “trascorsi sei mesi” dall’entrata in vigore del decreto legislativo (comma 1 dell’art. 34 ). 10.2 Ipotesi soggettive E’ altresì previsto che, in via sperimentale, il contratto possa stipularsi sulla base di taluni presupposti di carattere soggettivo, senza che sia necessaria l’individuazione, da parte della contrattazione collettiva, delle prestazioni di carattere discontinuo o intermittente. Il comma 2 dell’art. 34 menziona, a questo specifico riguardo, i disoccupati infraventicinquenni ovvero i lavoratori ultraquarantacinquenni che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e di collocamento. A questo riguardo, la delega precisa che l’espulsione dal ciclo produttivo è correlata a processi di riduzione o trasformazione di attività o di lavoro. Ne consegue che, per quanto riguarda gli ultraquarantacinquenni, la possibilità di stipulare contratti di lavoro intermittente è generalizzata. 10.3 Divieti Il divieto di stipulare contratti di lavoro intermittente (comma 3 dell’art. 34) si riferisce a casi identici, anche sotto il profilo letterale, a quelli in cui non è consentita la stipulazione di contratti di somministrazione di lavoro (cfr. art. 20, comma 5). 10.4 Forma L’art. 35 disciplina i caratteri formali del contratto, indicando una serie di elementi per i quali, a fini meramente probatori, viene disposto l’uso della scrittura. Tali elementi, in relazione ai quali le parti devono recepire eventuali previsioni della contrattazione collettiva (comma 2), sono: - la durata (con evidente riferimento al caso di contratto a tempo determinato; è tuttavia consentita, come accennato, la stipulazione a tempo indeterminato) e la specificazione dell’ipotesi per cui viene fatto ricorso al contratto di lavoro intermittente; - qualora sia stata convenuta la garanzia della disponibilità, il luogo in cui il lavoratore deve rendersi disponibile e le modalità del preavviso di chiamata, la cui durata non può essere inferiore a un giorno lavorativo, il che esclude che possa ritenersi “utilmente dato” un preavviso coincidente, ad esempio, con la domenica; - il trattamento economico e normativo e l’importo dell’indennità di disponibilità, se pattuita; - le forme e le modalità con cui il datore di lavoro può chiedere l’esecuzione della prestazione, nonché le modalità di rilevazione della stessa; - i tempi e le modalità di corresponsione della retribuzione e dell’indennità di disponibilità (se pattuita): le parti, pertanto, sono libere di concludere patti specifici in ordine alla cadenza di pagamento dell’indennità di disponibilità, salvo il rispetto delle eventuali disposizioni contenute nella contrattazione collettiva; - le eventuali misure di sicurezza specifiche richieste dal tipo dell’attività dedotta in contratto in analogia con quanto già previsto dall’art. 3, comma 3, lett. h, della l. n. 196/1997. Il datore di lavoro (comma 3) è tenuto ad informare annualmente le r.s.a., ove esistenti (o la r.s.u., ove costituita), sull’andamento del ricorso al lavoro intermittente. 10.5 Indennità di disponibilità L’art. 36, nel disciplinare l’indennità di disponibilità, precisa, nella prima parte del comma 6, che l’istituto ha carattere facoltativo, e che la relativa regolamentazione, prevista dai primi 5 commi del medesimo art. 36, in tanto è applicabile, in quanto il lavoratore sia contrattualmente obbligato a rispondere alla chiamata del datore di lavoro (la eventuale facoltatività della risposta alla chiamata è prevista dalla legge delega). Qualora il lavoratore decida di assumere l’obbligo di reperibilità, il comma 6 prevede, in caso di ingiustificato inadempimento (rifiuto), le sanzioni che “possono” derivarne a carico del lavoratore: risoluzione del contratto, restituzione della quota di indennità di disponibilità riferibile al periodo successivo al rifiuto di rispondere alla chiamata, “congruo” risarcimento del danno in conformità alle previsioni del contratto collettivo o di quello individuale. L’indennità, che ha cadenza mensile ed è divisibile in quote orarie (vedi, per il contratto di somministrazione, art. 22, comma 3), viene erogata al lavoratore per i periodi in cui questo, in attesa di utilizzazione, garantisce la propria disponibilità. Il relativo ammontare, che deve essere indicato nel contratto individuale (vedi art. 35, comma 1, lettera c), è fissato dai contratti collettivi, e non può essere inferiore alla misura stabilita (e periodicamente aggiornata) con decreto del Ministro del Lavoro, da emettersi dopo aver sentito le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative (comma 1 dell’art. 36). Anche in mancanza della determinazione della misura dell’indennità di disponibilità da parte dei contratti collettivi ovvero da parte del d. m., le parti potranno comunque stipulare contratti di lavoro intermittente senza, tuttavia, prevedere un obbligo di disponibilità del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. Infatti, come detto, l’indennità non costituisce un requisito indispensabile del contratto di lavoro intermittente, ma deve essere indicata nel contratto solo ove il lavoratore abbia assunto l’obbligo di rispondere alla chiamata. Il comma 3 esclude l’indennità dal computo di ogni istituto di legge o di contratto collettivo. In ipotesi di malattia o di altro giustificato impedimento (tra cui è da ritenere siano compresi anche gli infortuni e le malattie professionali incorse al lavoratore in occasione di altro rapporto di lavoro instaurato contestualmente con altro datore di lavoro), che comporti la temporanea impossibilità di rispondere alla chiamata, il lavoratore deve tempestivamente avvertire il datore di lavoro, comunicando la durata dell’impedimento, nel corso del quale il diritto all’indennità non matura (comma 4) L’inottemperanza del lavoratore all’obbligo di informare tempestivamente il datore di lavoro circa il sopravvenuto impedimento è sanzionata con la perdita dell’indennità per un periodo di quindici giorni, ove il contratto individuale non disponga diversamente (comma 5). A norma del comma 2, i contributi sull’indennità di disponibilità sono versati per il loro effettivo ammontare, anche in deroga alla previsioni di legge in materia di minimale contributivo. Ciò comporta che, in alcuni casi, potrebbe non essere garantita la copertura previdenziale piena per l’intero anno. Per porre parziale rimedio a tale problema, il comma 7 consente al lavoratore di versare volontariamente una contribuzione integrativa su base convenzionale (base che deve essere fissata da un apposito decreto interministeriale) fino a concorrenza del parametro contributivo che assicuri la copertura piena. Questo meccanismo vale sia nel caso in cui il lavoratore abbia percepito una retribuzione inferiore a quella convenzionale, sia nel caso in cui abbia usufruito dell’indennità di disponibilità. Vale la pena ricordare che tale forma di prosecuzione volontaria era già prevista dalla disciplina del contratto di lavoro interinale (art. 9 della l. n. 196/1997, cui è stata data attuazione con il d.m. 18 dicembre 2001) L’art. 37 dispone che, qualora le prestazioni di lavoro intermittente siano state pattuite per il fine settimana, le ferie estive, le vacanze natalizie o pasquali, l’indennità di disponibilità è corrisposta solo in caso di chiamata effettiva (comma 1), cumulandosi, quindi, con la retribuzione percepita dal lavoratore a compenso delle prestazioni eseguite. La suddetta disciplina può essere estesa ad ulteriori periodi predeterminati, previsti dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative (comma 2). L’art. 38 , al comma 1, prescrive, a favore del lavoratore intermittente, e in relazione ai periodi lavorati, la corresponsione di un trattamento economico e normativo che, complessivamente, non deve essere meno favorevole rispetto a quello percepito dal lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte. E’ previsto, altresì, che il suddetto trattamento, nonché quello previdenziale, sia oggetto di riproporzionamento in ragione della prestazione effettivamente eseguita, sia per quanto riguarda la retribuzione globale e le relative componenti, sia per quanto riguarda le ferie, i trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro e malattia professionale, maternità e congedi parentali (comma 2 dell’art. 38). Durante il tempo in cui il lavoratore si trova in attesa di chiamata, ha diritto all’indennità di disponibilità senza maturazione di alcun altro trattamento economico e normativo (comma 3 dell’art. 38), ma ciò sempre e soltanto nel caso in cui si sia obbligato contrattualmente a rispondere alla chiamata. 10.6 Computo dei lavoratori intermittenti Per quanto riguarda il calcolo dell’organico del datore di lavoro ai fini dell’applicazione di normative (contrattuali) e di legge, l’art. 39 stabilisce che il lavoratore intermittente sia computato in proporzione all’orario di lavoro effettivamente svolto nell’arco di ciascun semestre. La periodizzazione semestrale e le fluttuazioni che possono derivarne nella misura del computo sono in evidente correlazione con il carattere intermittente della prestazione. 10.7 Contrattazione collettiva e decreto l’individuazione delle ipotesi “oggettive”. ministeriale per L’art. 40, in riferimento alle disposizioni dell’art. 34, comma 1, e dell’art. 37, comma 2, che attribuiscono alla contrattazione collettiva la definizione dei casi in cui è ammissibile il ricorso al lavoro intermittente, istituisce una procedura destinata ad ovviare all’eventuale mancato accordo, quando tale situazione si protragga oltre un certo limite. La norma dispone che, se l’accordo sindacale non sia stato raggiunto entro i cinque mesi dall’entrata in vigore del d.gs. n. 276/2003, il Ministro del Lavoro convoca le parti stesse e le assiste al fine di promuovere l’accordo. Se, entro i quattro mesi successivi, l’accordo non sia stato concluso, il Ministro del Lavoro emette un decreto con cui individua, in via provvisoria, i casi di ricorso al lavoro intermittente, tenuto conto delle indicazioni contenute nell’eventuale accordo interconfederale concluso ai sensi dell’art. 86, comma 13, e delle prevalenti posizioni espresse da ciascuna delle due parti interessate. Occorre però rilevare che il disposto dell’art. 40 non è coordinato con il contenuto della disposizione di cui all’art. 34, comma 1, che prevede l’emanazione di un decreto decorso un termine di sei mesi dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, laddove i contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative non abbiano provveduto in merito. LAVORO INTERMITTENTE (ARTT. 33–40) Scheda riepilogativa Casi di ricorso al lavoro intermittente Ipotesi oggettive: a) i contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale individuano le esigenze che legittimano il ricorso al lavoro intermittente per le prestazioni di carattere discontinuo o intermittente. In difetto, verrà emanato un decreto dal Ministro del Lavoro. Ipotesi soggettive, indipendentemente dalle esigenze di carattere discontinuo o intermittente: a) disoccupati infraventicinquenni; b) lavoratori ultraquarantacinquenni che siano stati espulsi dal ciclo produttivo o siano iscritti alle liste di mobilità e di collocamento. Divieti a) per sostituire lavoratori in sciopero b) in aziende che hanno sospeso o licenziato lavoratori con le stesse mansioni; c) in aziende che non hanno effettuato la valutazione dei rischi. Forma scritta a fini meramente probatori a) le parti devono recepire le indicazioni contenute nei contratti collettivi sui elementi del contratto di lavoro intermittente. Indennità di disponibilità “in attesa di chiamata” a) solo se il lavoratore sia contrattualmente obbligato a rispondere alla chiamata; b) la misura di tale indennità è stabilita dai contratti collettivi (e comunque non inferiore alla misura prevista con decreto del Ministro del Lavoro); c) è un importo mensile divisibile in quote orarie; d) è soggetta a contributi senza il rispetto del minimale contributivo; e) è esclusa dal computo di ogni istituto di legge o di contratto; f) in caso di malattia o altro impedimento non spetta. Se il lavoratore non comunica l’evento perde l’indennità per 15 giorni; g) in caso di rifiuto a rispondere, il contratto può essere risolto, il lavoratore è tenuto alla restituzione dell’indennità e deve pagare i danni nella misura fissata dai contratti collettivi o, in mancanza, dal contratto individuale. Periodi predeterminati nei quali l’indennità di disponibilità è corrisposta al lavoratore solo in caso di effettiva chiamata a) i contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale possono prevedere, in aggiunta ai periodi indicati dall’art. 37, comma 1 (fine settimana, ferie estive, vacanze natalizie e pasquali), ulteriori periodi predeterminati nei quali l’indennità di reperibilità è corrisposta solo in caso di effettiva chiamata. Informazioni annuale alle r.s.a sull’andamento del ricorso al contratto di lavoro intermittente a) i contratti collettivi possono prevedere disposizioni più favorevoli. Trattamento economico e normativo a) il lavoratore intermittente che lavora ha gli stessi diritti del lavoratore di pari livello, a parità di mansioni svolte, riproporzionati in ragione della prestazione effettivamente eseguita, sia per quanto riguarda la retribuzione globale e le relative componenti, sia per quanto riguarda le ferie, i trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro e malattia professionale, maternità e congedi parentali (comma 2 dell’art. 38); b) se il lavoratore intermittente non lavora non ha alcun diritto, salvo, eventualmente, l’indennità di disponibilità Il lavoratore intermittente è computabile nel numero dei dipendenti in proporzione all’attività svolta. Capitolo 11 - LAVORO RIPARTITO (artt. 41-45) 11.1 Definizione La causa del contratto di lavoro ripartito - che aveva trovato un principio di disciplina solo in virtù di una circolare del Ministero del Lavoro del 1998 - consiste nello scambio fra una prestazione lavorativa unica ed identica, svolta da due lavoratori con vincolo di solidarietà, a favore di un datore di lavoro, dietro corresponsione di una retribuzione da parte di quest’ultimo. Unica è dunque la prestazione di lavoro dedotta nel contratto, ed identica, nel senso che entrambi i lavoratori sono obbligati, ciascuno per l’intero, al relativo adempimento. In sostanza, si tratta di un contratto di lavoro la cui specialità va ravvisata nel fatto che una delle parti è sdoppiata in due componenti omologhe e fungibili, ognuna delle quali, pur espletando una quota soltanto della prestazione complessivamente pattuita (prestazione che viene perciò suddivisa, cioè “ripartita” fra i due soggetti), è tuttavia debitrice, in solido con l’altra componente, dell’intera prestazione. Tanto si desume dai profili definitori formulati dai commi 1 e 2 dell’art. 41. In particolare, il comma 2 sancisce la “personale e diretta” responsabilità di ogni lavoratore – salva una diversa intesa fra le parti contraenti – nell’adempimento dell’intera prestazione lavorativa e in conformità a quanto la legge prevede. 11.2 Regolamentazione del rapporto L’art. 43 rimette alla contrattazione collettiva, subordinatamente alle previsioni di legge, la regolamentazione del rapporto. In assenza di contrattazione, sarà applicabile la normativa generale in materia di lavoro subordinato, nei limiti della compatibilità con la particolare natura del rapporto di lavoro ripartito. Il comma 3 dell’art. 41 accorda ai lavoratori ampi spazi di autonomia per quanto riguarda la gestione “interna” dell’obbligazione contrattuale. Gli interessati, infatti, sono legittimati, discrezionalmente e in qualsiasi momento, a disporre sostituzioni fra di loro, e a modificare consensualmente la collocazione temporale dell’orario di lavoro (vale a dire la distribuzione dell’orario di lavoro individuale all’interno dell’orario complessivo predisposto dal datore di lavoro). In quest’ultimo caso, aggiunge la norma, la sopravvenuta impossibilità dell’adempimento per causa imputabile ad uno dei coobbligati comporta il trasferimento dell’obbligo relativo in capo all’altro coobbligato. L’insieme di previsioni di cui al comma 3 è comunque suscettibile di diversa disciplina ad opera di intese fra le parti contraenti, o mediante contratti o accordi collettivi. Con riferimento alla facoltà di modificare la collocazione temporale dell’orario di lavoro, ed al fine della possibilità di certificare le assenze, il comma 2 dell’art. 42 pone a carico dei lavoratori l’obbligo di informare preventivamente il datore di lavoro, almeno ogni settimana, in merito all’orario di lavoro praticato dai due coobbligati. Il comma 4 dell’art. 41 subordina al preventivo consenso del datore di lavoro la sostituzione da parte di terzi di uno o di entrambi i lavoratori che si trovino nell’impossibilità di adempiere. Occorre evidenziare che, nel caso in cui il terzo “sostituto” dovesse essere estraneo all’organico dell’impresa, si porrebbero notevoli problemi gestionali (ad es: assicurazione I.n.a.i.l., posizione previdenziale) che consigliano particolare cautela nella prestazione del consenso da parte del datore di lavoro. Il rapporto di lavoro ripartito – salvo diversa intesa fra le parti – si estingue in caso di licenziamento o di dimissioni di uno dei lavoratori coobbligati. E’ tuttavia possibile che l’altro lavoratore, su richiesta del datore di lavoro, assuma a proprio carico l’adempimento, totale o anche parziale, dell’obbligazione lavorativa. Ove ciò avvenga, si verifica la trasformazione del contratto di lavoro ripartito in un ordinario contratto di lavoro subordinato (comma 5). Salvo diversa intesa fra le parti, la normativa di legge in tema di estinzione del rapporto per impossibilità sopravvenuta della prestazione non imputabile al debitore (art. 1256 c.c.) si applica in ipotesi di impedimento di entrambi i lavoratori coobbligati (comma 6). 11.3 Forma L’art. 42 disciplina i requisiti formali del contratto, di cui prevede la redazione scritta, ai fini della prova di una serie di elementi: - la ripartizione della prestazione fra i due coobbligati, in conformità alle intese fra loro intercorse, con l’indicazione della quantità, espressa in percentuale, e della distribuzione del lavoro nel giorno, nella settimana, nel mese o nell’anno (viene replicata la previsione di cui al comma 3 dell’art. 41, relativamente alla discrezionalità dei lavoratori quanto alla possibilità di disporre sostituzioni reciproche e di modificare la collocazione temporale dei rispettivi orari di lavoro); - il luogo di lavoro e il trattamento economico e normativo; - le eventuali misure di sicurezza specifiche che si rendano necessarie in relazione all’ attività dedotta in contratto. 11.4 Principio di non discriminazione E' evidente l'errore di stampa a causa del quale l’art. 44, comma 1, dispone che, per i periodi lavorati, il lavoratore coobbligato “deve ricevere” un trattamento economico e normativo, nel suo complesso, meno favorevole rispetto a quello di cui fruisce, a parità di mansioni, il lavoratore di pari livello (comma 1 dell’art. 44). Il testo approvato dal Consiglio dei Ministri del 31 luglio riportava, ovviamente, la negazione “non” prima della parola “deve”. Di conseguenza, anche in attuazione del principio di non discriminazione invocato all'inizio dello stesso comma 1, la disposizione va letta nel senso che il lavoratore coobbligato “non deve ricevere” un trattamento economico e normativo, nel suo complesso, meno favorevole rispetto a quello di cui fruisce, a parità di mansioni, il lavoratore di pari livello. Nel quadro dei rapporti “interni” fra lavoratori, il trattamento economico e normativo compete ad ognuno dei soggetti in proporzione all’apporto lavorativo effettivamente reso, in particolare per quanto riguarda la retribuzione globale e i singoli elementi che la compongono, le ferie e i trattamenti per malattia, infortunio sul lavoro, malattia professionale, congedi parentali (comma 2 dell’art. 44). I due lavoratori hanno diritto di partecipare alle assemblee di cui all’art. 20 della l. n. 300/1970, entro il limite complessivo di dieci ore annue, e con ripartizione del relativo trattamento economico in proporzione alla prestazione lavorativa effettivamente eseguita (comma 3 dell’art. 44). 11.5 Disposizioni previdenziali I lavoratori contitolari del contratto di lavoro ripartito, ai fini delle prestazioni previdenziali ed assistenziali (comprensive anche di quelle assicurative antinfortunistiche) e della relativa contribuzione, vengono assimilati ai lavoratori a tempo parziale. Al fine di rendere possibile l’individuazione dell’esatto ammontare dei contributi e delle prestazioni per ciascun lavoratore, si prevede l’effettuazione del calcolo mese per mese, salvo conguaglio a fine anno a seguito dell’effettivo svolgimento della prestazione lavorativa. LAVORO RIPARTITO (ARTT. 41-45) Scheda riepilogativa Speciale contratto di lavoro con il quale due lavoratori assumono in solido l’adempimento di un’unica ed identica obbligazione lavorativa. E’ stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi: la ripartizione della prestazione tra i due coobbligati con l’indicazione della quantità e della distribuzione del lavoro nel giorno, nella settimana, nel mese, nell’anno; il luogo di lavoro e il trattamento economico e normativo; le eventuali misure di sicurezza specifiche che si rendano necessarie in relazione all’attività dedotta in contratto. I due lavoratori sono legittimati, discrezionalmente ed in qualsiasi momento, ed a modificare consensualmente la collocazione temporale dell’orario. La regolamentazione del rapporto di lavoro ripartito è rimessa alla contrattazione collettiva nel rispetto delle previsioni contenute nel d.lgs. n. 276/2003. Salvo diversa intesa delle parti, il rapporto di lavoro ripartito si estingue in caso di licenziamento o di dimissioni di uno dei lavoratori coobbligati. Capitolo 12 - LAVORO A TEMPO PARZIALE (art. 46) Numerose ed importanti sono le modifiche apportate dall’art. 46 al d.lgs. n. 61 del 25 febbraio 2000 (nel testo modificato dal d.lgs. n. 100 del 26 febbraio 2001) il quale restituisce alla contrattazione collettiva ed alle pattuizioni individuali piena operatività nella gestione delle flessibilità in esso richiamate (v. i testi normativi a raffronto riportati nel documento allegato alla presente circolare). La norma è volta infatti a favorire un maggiore ricorso al lavoro a tempo parziale semplificando, in particolare, la possibilità di utilizzo del lavoro supplementare e delle clausole elastiche nonché eliminando quegli appesantimenti burocratici che hanno ingiustificatamente compresso l’autonomia delle parti sociali e quella dei soggetti titolari dei rapporti di lavoro. Su tali presupposti le misure contenute nel provvedimento sono orientate secondo gli interventi appresso illustrati, nel rispetto delle indicazioni contenute nei criteri di delega dettati dall’art. 3, l. n. 30 del 14 febbraio 2003. 12.1 Il lavoro supplementare 12.1.1 L’intervento della contrattazione collettiva Con riguardo al lavoro supplementare (ammesso solo nel part-time orizzontale, art. 46, comma 1, lett. d), l’esigenza di flessibilità viene principalmente soddisfatta attraverso la valorizzazione dell’autonomia negoziale, tanto collettiva quanto individuale. Quanto alla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale, aziendale), la nuova disciplina affida alla stessa il compito di stabilire: il numero massimo delle ore di lavoro supplementare effettuabili; le causali di ricorso; le conseguenze derivanti dal superamento delle ore di lavoro supplementare consentite dai contratti collettivi stessi. Rispetto alla vecchia disciplina che, per vero, già rinviava tali compiti alla disciplina contrattuale, le novità introdotte possono così riassumersi. Relativamente alle ore di lavoro supplementare effettuabili, la contrattazione dovrà ora limitarsi ad indicare il numero massimo delle ore consentite, senza più l’obbligo di riferire tale limite nell’arco temporale dell’anno nonché nell’ambito della singola giornata lavorativa. In proposito, il d.lgs n. 276/2003 abolisce anche la norma transitoria in base alla quale, in attesa del previsto intervento contrattuale, il ricorso al lavoro supplementare è ammesso nella misura massima del 10% della durata dell’orario di lavoro a tempo parziale. In ordine alle causali di ricorso al lavoro supplementare, la contrattazione collettiva potrà individuare anche causali di tipo soggettivo mentre, circa le conseguenze derivanti dal superamento delle ore di lavoro supplementare contrattualmente consentite, la stessa non dovrà più indicare l’entità della maggiorazione retributiva bensì sarà tenuta a definire le “conseguenze” (eventualmente anche di natura non economica) derivanti da tale superamento. Con quest’ultima modifica è stata altresì eliminata la maggiorazione retributiva del 50% imposta dalla vecchia disciplina in ipotesi di assenza del disposto intervento contrattuale. 12.1.2 Gli accordi individuali - Il consenso In assenza di accordo collettivo il ricorso a prestazioni supplementari sarà possibile solo previo consenso del lavoratore interessato (art. 46, comma 1, lett. f), sia esso reso in maniera espressa che per fatti concludenti, in ciò innovando rispetto alla previgente disciplina la quale, invece, imponeva che il consenso venisse reso in ogni caso, anche in ipotesi di lavoro supplementare previsto e regolamentato dal contratto collettivo. Sul punto val la pena ricordare le considerazioni al riguardo espresse dal Ministero del Lavoro con circolare n. 46 del 30 aprile 2001 la quale affermava che, in analogia alla giurisprudenza intervenuta sul lavoro straordinario nel contratto di lavoro subordinato a tempo pieno (Cass. n. 2073 del 1992; Cass. n. 1484 del 1989, etc.), le previsioni in materia di lavoro supplementare contenute nel contratto collettivo manifestano anche il “preventivo assenso” del lavoratore interessato all’effettuazione del lavoro supplementare, nei limiti stabiliti dallo stesso contratto collettivo. In mancanza, invece, di una espressa indicazione nella contrattazione collettiva degli elementi richiesti dalla legge, deve ritenersi ammissibile – proseguiva la circolare ministeriale, la quale in tal senso anticipava, in via interpretativa, le soluzioni accolte nel d.lgs. n. 276/2003 – che il “consenso” del lavoratore all’effettuazione di prestazioni supplementari possa manifestarsi anche tacitamente, attraverso l’accettazione in via di fatto della richiesta datoriale di svolgimento delle medesime. Ad avviso del Ministero del Lavoro tale soluzione interpretativa permetteva di fatto al lavoratore – in ipotesi, beninteso, di lavoro supplementare non disciplinato dal contratto collettivo – di “rifiutare” ex art. 3, comma 3, d.lgs. n. 61/2000, le relative prestazioni richieste dal datore di lavoro, con conseguente impossibilità per quest’ultimo di adottare sanzioni disciplinari, o di licenziare (neppure per giustificato motivo oggettivo) il lavoratore. Quest’ultima affermazione risulta ora recepita dall’art. 46, comma 1, lett. f) il quale precisa che “Il rifiuto da parte del lavoratore non può integrare in nessun caso gli estremi del giustificato motivo di licenziamento”. Concludiamo sul punto sottolineando la circostanza che l’interpretazione letterale della norma in esame lascia intendere che l’eventuale accordo individuale non è anch’esso tenuto - come già la contrattazione collettiva - ad individuare i limiti di ricorso al lavoro supplementare, il quale potrà pertanto essere prestato secondo le diverse intese intervenute tra le parti individuali. 12.1.3 Diritto al consolidamento La lettera i) dell’art. 46, comma 1, elimina il c.d. “diritto al consolidamento”, nell’orario di lavoro, del lavoro supplementare svolto in via meramente non occasionale, i cui criteri e modalità erano tra l’altro affidati alla contrattazione collettiva. 12.1.4 Disciplina transitoria La disciplina transitoria introdotta dal comma 15, art. 3, d.lgs. n. 61/2000, viene abrogata. Da ciò consegue che all’atto della entrata in vigore del nuovo part-time decadono tutte le clausole dei contratti collettivi (nazionali, territoriali, aziendali) in materia di lavoro supplementare vigenti alla predetta data ed in contrasto con la nuova disciplina introdotta dall’art. 46, decreto legislativo in esame. PART-TIME / LAVORO SUPPLEMENTARE (ART. 46) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE E’ ammesso solo nel part-time orizzontale. Il numero massimo delle ore effettuabili non deve essere più ricondotto nell’arco temporale dell’anno e della singola giornata lavorativa. Le causali di ricorso possono essere anche soggettive. Il superamento delle ore di lavoro supplementare consentite dal contratto collettivo dà diritto non più solo ad una maggiorazione economica bensì eventualmente a “conseguenze” d’altra natura (v. riposi compensativi). In assenza di disciplina collettiva, può essere introdotto per accordo individuale (in tal caso il consenso del lavoratore può essere reso anche per fatti concludenti). NORME ELIMINATE Soppresso il “limite transitorio” del 10% posto alla prestazione supplementare. Soppresso il “limite transitorio” del 50% posto alla maggiorazione retributiva. Soppresso il c.d. “diritto al consolidamento”, nell’orario di lavoro, del lavoro supplementare svolto in via meramente non occasionale. Abrogata la disciplina transitoria in virtù della quale le norme contrattuali conservano la loro efficacia sino alla scadenza prevista. 12.2 Le clausole flessibili ed elastiche Per il lavoro a tempo parziale di tipo verticale e misto è prevista la possibilità di variare in aumento la durata della prestazione (c.d. clausole elastiche) anche attraverso una più ampia valorizzazione dell’autonomia individuale. Con riferimento alle clausole di flessibilità, il d.lgs. n. 276/2003 precisa che per clausole “flessibili” (prima denominate, dall’art. 3, comma 7, d.lgs. n. 61/2000, “elastiche”) si intendono le clausole che consentono, entro limiti predeterminati, una variazione della distribuzione dell’orario di lavoro nel contratto di lavoro part-time. Sono invece “elastiche” le clausole che permettono una variabilità in aumento della estensione temporale della prestazione lavorativa dedotta in contratto (art. 46, comma 1, lett. j). Il legislatore è quindi intervenuto non ritenendo condivisibile, per gli equivoci terminologici e di sostanza che possono scaturire dalla mancanza di chiarezza analitica, l’opzione accolta a suo tempo dal d.lgs. n. 61/2000 che, nel riconoscere la legittimità delle clausole elastiche solo con riferimento alla collocazione temporale della prestazione lavorativa, pareva assimilare sul piano concettuale due ipotesi sino ad allora tenute distinte nel dibattito dottrinale. 12.2.1 Le clausole flessibili Quanto alle clausole “flessibili” - introdotte dalla previgente disciplina sotto il nome di clausole “elastiche” - il d.lgs. n. 276/2003 prevede: in tema di condizioni e modalità, il rinvio alla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale ed aziendale) per la fissazione di limiti in relazione ai quali si può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa da rendersi in regime di part-time - rispetto a quella inizialmente concordata con il lavoratore (art. 46, comma 3, lett. j, punto 1). Sul punto la previsione di legge è identica a quella contenuta nella precedente disciplina; in tema di preavviso, la riduzione, ad almeno due giorni lavorativi, del relativo periodo (prima fissato in almeno dieci giorni), “fatte salve le intese tra le parti” (cfr. art. 46, comma 1, lett. k); in tema di copertura retributiva - ed in stretto raccordo con le modifiche sul punto introdotte in materia di lavoro supplementare - la individuazione di specifiche compensazioni (di natura eventualmente anche non economica), nella misura ovvero nelle forme fissate dai contratti collettivi (nazionali, territoriali, aziendali). Cfr. art. 46, comma 1, lett. k). Sul punto la precedente disciplina imponeva la corresponsione di una maggiorazione retributiva, nella misura fissata dai contratti collettivi; in tema di consenso, la conservazione della previsione, contenuta all’art. 3, comma 9, d.lgs. n. 61/2000, la quale impone il rilascio da parte del lavoratore del consenso alla disponibilità allo svolgimento delle clausole flessibili, formalizzato attraverso specifico patto scritto, anche contestuale al contratto di lavoro part-time (art. 46, comma 1, lett. l). Viene invece introdotto il diritto all’assistenza, all’atto della stipula del patto e su richiesta del lavoratore, di un rappresentante sindacale indicato dallo stesso lavoratore. Risulta altresì confermata la previsione in ordine alla quale l’eventuale rifiuto del lavoratore di stipulare lo specifico patto scritto non integra gli estremi del giustificato motivo di licenziamento; in tema di “diritto di denuncia o di ripensamento”, la soppressione della relativa disciplina, richiamata all’art. 3, commi 10, 11 e 12, d.lgs. n. 61/2000. PART-TIME / CLAUSOLE FLESSIBILI (ART. 46) (clausole che consentono la variazione della distribuzione dell’orario di lavoro) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE Il preavviso minimo non è più di 10 giorni bensì di 2 giorni lavorativi. La prestazione resa attraverso l’adozione di clausole flessibili dà diritto non più solo ad una maggiorazione economica bensì, eventualmente, a “conseguenze” d’altra natura (v. riposi compensativi). Assistenza, all’atto della stipula dello “specifico patto scritto” ed a scelta del lavoratore interessato, di un rappresentante sindacale. In assenza di disciplina collettiva la clausola flessibile può essere introdotta per accordo individuale. NORME ELIMINATE Soppressione del “diritto di denuncia o di ripensamento”. 12.2.2 Le clausole elastiche Relativamente alla disciplina introdotta con riferimento alle clausole “elastiche” – nuovo istituto non previsto dalla previgente disciplina - il d.lgs. n. 276/2003 dispone: in tema di condizioni e modalità, in relazione alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa, il rinvio – similmente a quanto già previsto dalla stessa norma di legge con riferimento alle clausole”flessibili” - alla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale, aziendale) per la fissazione di tali limiti (art. 46, comma 3, lett. j, punto 2); in tema di limiti di massima variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa, il rinvio alle indicazioni che dovranno essere in tal senso definite dalla contrattazione collettiva (nazionale, territoriale, aziendale). Art. 46, comma 3, lett. j), punto 3; in tema di preavviso e di specifiche compensazioni, una disciplina identica a quella prevista per l’applicazione delle clausole”flessibili” (art. 46, comma 1, lett. k); in tema di consenso, la richiesta al lavoratore della disponibilità allo svolgimento delle predette clausole, attraverso il rilascio del consenso da parte di quest’ultimo secondo modalità identiche a quelle previste dalla disciplina dettata per le clausole “flessibili”, ivi inclusa l’eventuale assistenza di un rappresentante sindacale e la tutela imposta in caso di rifiuto del lavoratore (Art. 46, comma 1, lett. l). PART-TIME / CLAUSOLE ELASTICHE (ART. 46) (clausole che consentono di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa) Scheda riepilogativa DISCIPLINA DELL’ISTITUTO - Sono ammesse nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto. - È rimessa alla contrattazione collettiva la individuazione di: condizioni e modalità di adozione della clausola limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa specifiche compensazioni (anche di natura non economica). - Il lavoratore ha diritto ad un preavviso di almeno due giorni lavorativi (fatte salve le diverse intese intervenute tra le parti). - Assistenza, all’atto della stipula dello “specifico patto scritto” ed a scelta del lavoratore interessato, di un rappresentante sindacale. - In assenza di contratti collettivi datore di lavoro e prestatore di lavoro possono concordare direttamente l’adozione della clausola. Gli accordi individuali dovranno comunque contenere le indicazioni sopra richieste (condizioni e modalità; limiti massimi di variabilità; specifiche compensazioni). 12.2.3 Gli accordi individuali Secondo quanto già previsto relativamente al lavoro supplementare, anche per la adozione di clausole elastiche e flessibili, si può intervenire – in assenza dei contratti collettivi di lavoro nazionali, territoriali, aziendali – con accordi individuali stipulati direttamente tra datore di lavoro e prestatore di lavoro (sempre previo specifico patto scritto, ex art. 46, comma 1, lett. l). Stante il tenore letterale della norma di legge, tali accordi dovranno comunque stabilire: condizioni e modalità di accesso alle predette clausole; limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa; specifiche compensazioni (art. 46, comma 1, lett. s). 12.2.4 Il risarcimento del danno Il d.lgs. n. 276/2003 prevede inoltre che lo svolgimento di prestazioni elastiche o flessibili senza il rispetto delle disposizioni riguardanti: la stipula dello specifico patto scritto; le condizioni e modalità di adozione delle predette clausole; i limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa; il diritto a specifiche compensazioni; comporta a favore del lavoratore il diritto, in aggiunta alla retribuzione dovuta, alla corresponsione di un ulteriore emolumento a titolo di risarcimento del danno. 12.3 La trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale La trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale continuerà ad essere convalidata dalla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio senza che sia più richiesta l’assistenza di un rappresentante sindacale (art. 46, comma 1, lett. n). Viene, per la prima volta, introdotta una specifica ed eccezionale ipotesi che impone la trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Tale diritto è riconosciuto ai lavoratori affetti da patologie oncologiche per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno (art. 46, comma 1, lett. t). TRASFORMAZIONE DEL RAPPORTO FULL-TIME IN RAPPORTO PART-TIME (ART. 46) Scheda riepilogativa NORME ELIMINATE MODIFICHE INTRODOTTE La trasformazione non prevede più l’assistenza, neppure eventuale, di un rappresentante sindacale. Viene riconosciuto il diritto alla trasformazione ex lege del rapporto per i lavoratori affetti da patologie oncologiche per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, anche a causa degli effetti invalidanti di terapie salvavita, accertata da una commissione medica istituita presso l’azienda unità sanitaria locale territorialmente competente. A richiesta del lavoratore, il rapporto di lavoro a tempo parziale deve essere trasformato nuovamente in rapporto di lavoro a tempo pieno. 12.4 L’assunzione di personale a tempo pieno E’ stato eliminato il c.d. diritto di precedenza posto a favore dei lavoratori part-time in caso di assunzione di personale a tempo pieno. Con esso era stato introdotto il diritto del lavoratore part-time - in attività presso unità produttive site entro 50 km. dall’unità produttiva interessata dalla programmata assunzione - a vedersi riconosciuto il diritto alla trasformazione del proprio rapporto di lavoro in rapporto a tempo pieno, nel rispetto degli ulteriori limiti di legge (equivalenza delle mansioni e criteri di priorità). Sul punto, tuttavia, il d.lgs. n. 276/2003 precisa che è data comunque facoltà agli accordi individuali di intervenire sulla materia disponendo un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale e adibiti alle stesse mansioni o a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l’assunzione (art. 46, comma 1, lett. n). PART-TIME / ASSUNZIONE DI LAVORATORI A TEMPO PIENO (ART. 46) Scheda riepilogativa NORME ELIMINATE Eliminato il c.d. “diritto di precedenza” posto a favore dei lavoratori assunti a tempo parziale. Un accordo individuale in tal senso può disciplinare la materia, nel rispetto tuttavia dei nuovi limiti di legge. MODIFICHE INTRODOTTE 12.5 L’assunzione di personale a tempo parziale Viene abolito l’obbligo per il datore di lavoro di motivare, su richiesta del lavoratore interessato, il rifiuto opposto dal primo alla domanda di trasformazione a tempo parziale del rapporto a tempo pieno in caso di assunzione di personale a tempo parziale (art. 46, comma 1, lett. n). ASSUNZIONE DI LAVORATORI PART-TIME (ART. 46) Scheda riepilogativa NORME ELIMINATE Eliminato l’obbligo per il datore di lavoro di motivare il rifiuto opposto alla domanda di trasformazione a tempo parziale del lavoro a tempo pieno. MODIFICHE INTRODOTTE 12.6 La comunicazione alla Direzione provinciale del lavoro della stipula del contratto part-time Con l’abrogazione della relativa indicazione contenuta nell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 61/2000 scompare l’obbligo per il datore di lavoro di dare comunicazione dell’assunzione a tempo parziale alla Direzione provinciale del lavoro competente per territorio mediante invio di copia del contratto (art. 85, comma 2, decreto legislativo in esame). Resta comunque l’obbligo di comunicare nei cinque giorni seguenti la trasformazione del contratto da tempo parziale a tempo pieno, previsto dall’art. 4bis, comma 5, lett. c), d.lgs n. 181/2000, mod. dall’art. 6 del d.lgs. n. 297/2002. COMUNICAZIONE ALLA D.p.l. DELLA STIPULA DEL CONTRATTO PART-TIME (ART. 85, comma 2) Scheda riepilogativa NORME ELIMINATE Scompare l’obbligo di dare comunicazione alla D.p.l. dell’assunzione a tempo parziale MODIFICHE INTRODOTTE 12.7 Il contratto part-time con assunzione a termine Innovando sulla materia (art. 1, comma 4, e art. 3, comma 13, d.lgs. n. 61/2000), il ricorso al part-time è ora consentito in tutte le ipotesi di contratto a termine (d.lgs. n. 368/2001; art. 8, l. n. 223/1991; art. 4, d.lgs. n. 151 del 26 marzo 2001) con in aggiunta la facoltà di accedere anche a prestazioni supplementari e straordinarie, nonché a clausole flessibili ed elastiche. In precedenza, il ricorso a prestazioni supplementari e straordinarie, ovvero a clausole che consentono una diversa distribuzione dell’orario di lavoro, era ammesso solo in presenza delle assunzioni a termine di cui all’art. 1, comma 2, lett. b), l. 18 aprile 1962, n. 230. Alla contrattazione collettiva era tuttavia lasciata la facoltà di richiedere prestazioni lavorative supplementari o straordinarie anche in relazione ad altre ipotesi di assunzione con contratto a termine, legislativamente previste. 12.8 Gli incentivi economici Gli incentivi economici all’utilizzo del lavoro a tempo parziale, anche a tempo determinato, richiamati tra i criteri di delega di cui all’art. 3, comma 1, lett. d), l. n. 30/2003, saranno definiti, compatibilmente con la disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato, nell’ambito della riforma del sistema agli incentivi all’occupazione (v. d.d.l. 848bis, contente “Delega al Governo in materia di incentivi alla occupazione, di ammortizzatori sociali, di misure sperimentali a sostegno dell’occupazione regolare e delle assunzioni a tempo indeterminato nonché di arbitrato nelle controversie individuali di lavoro”, attualmente all’esame, in prima lettura, della Commissione Lavoro del Senato). 12.9 I criteri di computo dei lavoratori a part-time In base alle modifiche apportate all’art. 6, d.lgs. n. 61/2000, in tutte le ipotesi in cui, per disposizione di legge o di contratto collettivo, si renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, i lavoratori a tempo parziale sono computati nel complesso del numero dei lavoratori dipendenti in proporzione all’orario svolto, rapportato al tempo pieno (principio del pro rata temporis). A tali fini, precisa la norma, l’arrotondamento opera per le frazioni di orario eccedenti la somma degli orari individuati a tempo parziale corrispondente a unità intere di orario a tempo pieno. Sul punto è stata cancellata dalla norma l’eccezione di legge in base alla quale, ai soli fini dell’applicabilità della disciplina di cui al Titolo III, l. n. 300/1970, i lavoratori a tempo parziale si computavano come unità intere, quale che fosse la durata della loro prestazione lavorativa. CRITERI COMPUTO DEI LAVORATORI A PART-TIME (ART. 46) Scheda riepilogativa NORME ELIMINATE MODIFICHE INTRODOTTE Estensione del principio del pro rata temporis ad ogni disposizione di legge o di contratto collettivo che renda necessario l’accertamento della consistenza dell’organico, senza più alcuna deroga di legge. 12.10 La definizione di “tempo pieno” e il lavoro straordinario La definizione di “tempo pieno” di cui all’art 1, comma, 2, d.lgs. n. 61/2000, viene aggiornata per essere rapportata alla definizione di “orario normale di lavoro” di cui all’art. 3, comma 1, d.lgs. 8 aprile 2003, n. 66 (art. 46, comma 1, lett. a) ovverosia alle 40 ore settimanali, con conseguente espressa abrogazione, quanto alla individuazione del lavoro straordinario prestato nell’ambito del part-time (verticale o misto), di ogni riferimento alle giornate interessate dalla relativa prestazione (art. 46, comma 1, lett. h). 12.11 Le sanzioni Le modifiche apportate al comma 2 dell’art. 8, d.lgs. n. 61/2000 sono dirette unicamente ad adeguare le disposizioni contenute nel penultimo periodo della norma, alla nuova tipologia di clausole introdotte dalla nuova normativa sul part-time (art. 46, comma 1, lett. r). 12.12 Conclusioni 12.12.1 Il ruolo della contrattazione collettiva e quello sostitutivo affidato agli accordi individuali Ad eccezione dell’affidamento alla sola contrattazione nazionale della facoltà di prevedere, in relazione a specifiche figure o livelli professionali, modalità particolari di attuazione delle discipline rimesse alla contrattazione collettiva dalla normativa sul part-time, tutti i rinvii alla contrattazione collettiva contenuti nella predetta normativa sono parimenti rivolti – come già nella vecchia disciplina - tanto alla contrattazione nazionale, quanto alla territoriale, quanto alla aziendale. Sul punto, l’unica innovazione introdotta all’art. 1, comma 3, d.lgs. n. 61/2000, riguarda i criteri di individuazione dei contratti collettivi aziendali, chiamati dalla nuova disciplina ad intervenire ogniqualvolta consentito anche agli altri contratti collettivi. I contratti collettivi aziendali sono quelli “stipulati dalle r.s.a. di cui all’art. 19, l. n. 300/1970, ovvero dalle r.s.u.”. Quest’ultime, rispetto alla vecchia disciplina, non dovranno più essere assistite dai sindacati che hanno negoziato e sottoscritto il contratto collettivo nazionale applicato. * * * Riepilogando, con l’entrata in vigore della nuova disciplina del part-time, la contrattazione collettiva (nazionale, territoriale e aziendale) è chiamata a ridefinire i seguenti profili per l’adozione delle modifiche contenute nell’art. 46: nuovi limiti - numero massimo delle ore effettuabili e relative causali di ricorso - da richiamare per lo svolgimento di lavoro supplementare (lett. e); individuazione delle conseguenze derivanti dal superamento delle ore di lavoro supplementare consentite dagli stessi contratti collettivi (lett. e); determinazione della misura ovvero delle forme da dare alle specifiche compensazioni che spettano al lavoratore a fronte della stipulazione di clausole flessibili (lett. k). Si rammenta in proposito che, in tema di lavoro supplementare, nell’ipotesi in cui il contratto collettivo non sia mai intervenuto sulla materia ovvero sia stato fatto ricorso alla - oramai abrogata - disciplina transitoria di cui all’art. 3, comma 15, d.lgs. n. 61/2000, tale prestazione potrà essere richiesta previo consenso del lavoratore (v. sub 12.1.4). Parimenti, si potrà ricorrere all’accordo individuale anche per l’adozione di clausole flessibili semprechè, tuttavia, i contratti collettivi nulla dispongano al riguardo. * * * La contrattazione collettiva (nazionale, territoriale e aziendale) potrà inoltre intervenire, nell’ambito del part-time di tipo verticale o misto, per disciplinare ex novo i seguenti profili: condizioni e modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa - c.d. clausole elastiche – (lett. j, punto 2); limiti massimi della variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa (lett. j, punto 3); determinazione della misura ovvero delle forme da dare alle specifiche compensazioni che spettano al lavoratore a fronte della stipulazione di clausole elastiche (lett. k). Fintanto che la contrattazione collettiva non interverrà sulla materia, è data facoltà alle parti individuali di concludere accordi per l’adozione di clausole elastiche (v. sub 12.2.3). L’INTERVENTO DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA E INDIVIDUALE NEL PART-TIME - Scheda ricognitiva ISTITUTO DISCIPLINA PREVIGENTE Clausole flessibili (ex clausole elastiche) Individuazione da parte dei contratti collettivi: Individuazione da parte dei contratti collettivi: - delle condizioni e delle modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; - delle condizioni e delle modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può modificare la collocazione temporale della prestazione lavorativa; - delle maggiorazioni retributive alle quali il lavoratore ha diritto in virtù dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare la collocazione temporale della prestazione; - delle compensazioni alle quali il lavoratore ha diritto in virtù dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare la collocazione temporale della prestazione; - di un preavviso inferiore rispetto a quello previsto dalla legge in presenza dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare la collocazione temporale della prestazione. Variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa Clausole elastiche Impossibilità di adottare clausole elastiche in assenza di contratti collettivi. Individuazione, da parte dei contratti collettivi, dei criteri, delle modalità nonché delle ragioni obiettive per l’esercizio da parte del lavoratore del “diritto di denuncia o di ripensamento” del patto attraverso il quale offre la propria disponibilità allo svolgimento del rapporto di lavoro a tempo parziale. ART. 46, D.LGS. n. 276/2003 Individuazione, da parte dell’accordo individuale, di un preavviso inferiore rispetto a quello previsto dalla legge in presenza dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare la collocazione temporale della prestazione. Possibilità, da parte di un accordo individuale, di adottare clausole flessibili in assenza di contratti collettivi. Soppresso il “diritto di denuncia o di ripensamento” del patto. Individuazione, da parte dei contratti collettivi: - delle condizioni e delle modalità in relazione alle quali il datore di lavoro può variare in aumento la durata della prestazione lavorativa (con riferimento esclusivo ai rapporti di lavoro a tempo parziale di tipo verticale o misto); - dei limiti massimi di variabilità in aumento della durata della prestazione lavorativa; - delle compensazioni alle quali il lavoratore ha diritto in virtù dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa. Individuazione, da parte dell’accordo individuale, di un preavviso inferiore rispetto a quello previsto dalla legge in presenza dell’esercizio da parte del datore di lavoro del potere di variare in aumento la durata della prestazione lavorativa. Possibilità, da parte di un accordo individuale, di adottare clausole elastiche in assenza di contratti collettivi. Variazione in aumento della durata della prestazione lavorativa (ammesse solo nel part-time verticale o misto) Lavoro supplementare (ammesso solo nel part-time orizzontale) Individuazione da parte dei contratti collettivi: - del numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili in ragione d’anno - del numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili nella singola giornata lavorativa; - delle causali obiettive in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a Individuazione da parte dei contratti collettivi: - del numero massimo di ore di lavoro supplementare effettuabili (senza più alcun riferimento all’anno nonché alla singola giornata lavorativa e senza più l’influenza della misura massima del 10% prevista dalla legge); - delle causali in relazione alle quali si consente di richiedere ad un lavoratore a tempo parziale lo svolgimento di lavoro tempo parziale lo svolgimento di lavoro supplementare; Diritto di precedenza supplementare (senza più alcun riferimento esclusivo alle causali obiettive); - delle conseguenze del superamento delle ore di lavoro supplementare consentite (senza più alcuna influenza determinatala da limiti legislativamente predeterminati). dei criteri e delle modalità per assicurare al lavoratore, su richiesta del medesimo, il consolidamento nel proprio orario di lavoro, in tutto o in parte, del lavoro supplementare svolto in via non meramente occasionale. Soppresso il consolidamento”. L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare, richiede in ogni caso il consenso del lavoratore interessato: L'effettuazione di prestazioni di lavoro supplementare, richiede il consenso (prestato in qualunque forma) del lavoratore interessato solo ove non regolamentata dal contratto collettivo. In caso di assunzione di personale a tempo pieno, il diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site nello stesso ambito comunale (e non più site entro 50 km), adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l'assunzione, può essere previsto dall’accordo individuale (non costituisce più, pertanto un obbligo per il datore di lavoro). - delle maggiorazioni retributive alle quali il lavoratore ha diritto in caso di superamento delle ore di lavoro supplementare consentite; - In caso di assunzione di personale a tempo pieno il datore di lavoro è tenuto a riconoscere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attività presso unità produttive site entro 50 km dall'unità produttiva interessata dalla programmata assunzione, adibiti alle stesse mansioni od a mansioni equivalenti rispetto a quelle con riguardo alle quali è prevista l'assunzione. Nel dare attuazione al diritto di precedenza il datore di lavoro deve rispettare le priorità indicate dalla legge. “diritto al Nel dare attuazione, attraverso l’accordo individuale, al diritto di precedenza il datore di lavoro non deve rispettare alcuna priorità di legge. Capitolo 13 - APPRENDISTATO (artt. 47-53) 13.1 Il nuovo apprendistato L'istituto dell'apprendistato viene significativamente riformato dal d.lgs. n. 276/2003. La sua operatività non è immediata, salvo quanto espressamente abrogato dallo stesso d.lgs. n. 276/2003. Pertanto, in attesa della prevista regolamentazione di livello regionale, della contrattazione collettiva e dell’eventuale accordo interconfederale (previsto dall’art. 86, comma 13 del d.lgs. 276/2003), si continua ad applicare la normativa vigente, con l’eccezione di quanto disposto dall’art. 85, comma 1, lett. b), del d.lgs. n. 276/2003, che abroga l’art. 2, comma 2, e l’art. 3, l. n. 25/1955. Tali abrogazioni hanno da subito il seguente effetto in merito alle assunzioni di apprendisti: per instaurare un rapporto di apprendistato, il datore di lavoro non deve più ottenere l’autorizzazione della Direzione del Lavoro competente; viene cancellato, ex lege, l’obbligo per il datore di lavoro di assumere gli apprendisti per il tramite dell’Ufficio di collocamento. Dal momento in cui le ulteriori disposizioni del d.lgs. n. 276/2003 saranno operative, si avranno una serie di novità inerenti al rapporto di lavoro, poiché: viene meno il rinvio alla contrattazione collettiva per la determinazione della misura della retribuzione spettante all'apprendista; viene elevata, per tutti i settori di attività, l'età massima di ammissibilità al contratto di apprendistato (professionalizzante o per l'acquisizione di diploma), fissata ora in 29 anni laddove la precedente disciplina prevedeva una età massima di 24 anni, elevabile a 26 anni nelle Regioni dell'Obiettivo 1. Di particolare interesse anche le novità circa lo svolgimento della formazione, poiché sarà possibile, a scelta dell’azienda, realizzare il pacchetto formativo non solo presso centri esterni, ma anche all'interno dell'azienda stessa. APPRENDISTATO (ART. 47) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE Viene elevata, per tutti i settori di attività, l'età massima di ammissibilità al contratto di apprendistato (professionalizzante o per l'acquisizione di diploma), fissata ora in 29 anni laddove la precedente disciplina prevedeva una età massima di 24 anni, elevabile a 26 nelle Regioni dell'Obiettivo 1. Viene meno il rinvio alla contrattazione collettiva per la determinazione della misura della retribuzione spettante all'apprendista. NORME ELIMINATE Abrogata la norma che prevedeva per il datore di lavoro l’autorizzazione della Direzione del Lavoro competente per instaurare un rapporto di apprendistato. Abrogata la norma che prevedeva l’obbligo per il datore di lavoro di assumere gli apprendisti per il tramite dell’Ufficio di collocamento. 13.2 Tipologie e limiti quantitativi dell’apprendistato – Autonomia nelle singole regolamentazioni 13.2.1 Tipologie Dal momento in cui le ulteriori disposizioni del d.lgs. n. 276/2003 saranno operative, si avranno tre tipologie di apprendistato (art. 47), e cioè: a) il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; b) il contratto di apprendistato professionalizzante; c) il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. L’introduzione di queste nuove tipologie non compromette le disposizioni in materia di diritto-dovere di istruzione e di formazione, ivi compresi i percorsi della cosiddetta “formazione in alternanza” individuati dalla Riforma Moratti (l. n. 53/2003) per il sistema scolastico. 13.2.2 Limiti quantitativi Viene confermato il limite “numerico”: ossia, fatta eccezione per le aziende artigiane, il numero degli apprendisti non può essere superiore al 100% dei lavoratori qualificati e specializzati in forza; se i lavoratori qualificati o specializzati sono inferiori a tre, gli apprendisti non potranno essere più di tre. APPRENDISTATO / TIPOLOGIE E LIMITI QUANTITATIVI (ART. 47) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE 1- Si avranno tre tipologie di apprendistato, e cioè: d) il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione; e) il contratto di apprendistato professionalizzante; f) il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. NORME ELIMINATE Nessuna 13.2.3 Autonomia nella regolamentazione delle tre tipologie di apprendistato Il comma 3 dell’art. 47 precisa che, in attesa della regolamentazione del contratto di apprendistato ai sensi del d.lgs. n. 276/2003, continua ad applicarsi la vigente normativa in materia. Occorre tuttavia precisare che l’avvio delle singole forme di apprendistato non presuppone l’avvenuta regolamentazione delle tre tipologie. Invero, le nuove forme, in quanto dotate di percorsi procedurali autonomi, possono essere singolarmente attivate, indipendentemente dalla circostanza che non siano state emanate le altre regolamentazioni. 13.3 Il contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione 13.3.1 Limiti di età Con tale contratto possono essere assunti i giovani che abbiano già compiuto quindici anni (art. 48) mentre l’età massima è di 18 anni (v. art. 2, l.n. 53/2003). 13.3.2 Campo di applicazione e durata Come nella precedente disciplina, viene confermato che possono assumere lavoratori con contratto di apprendistato i datori di lavoro appartenenti a qualunque settore produttivo, mentre la novità consiste nel finalizzare questa specifica tipologia di apprendistato al conseguimento di una qualifica professionale. La durata massima potenziale è di tre anni. Quella effettiva sarà determinata caso per caso in considerazione della qualifica da conseguire, del titolo di studio e dei crediti formativi acquisiti.1 13.3.3 Forma del contratto Come nella precedente disciplina, è necessaria la forma scritta del contratto, che deve contenere l'indicazione della prestazione lavorativa oggetto del contratto, nonché della qualifica, che potrà essere acquisita al termine del rapporto di lavoro. Rispetto alla vecchia disciplina, invece, la forma scritta del contratto deve contenere anche il piano formativo individuale. Il decreto conferma alcuni principi già stabiliti dalla precedente disciplina, in particolare che è vietato stabilire il compenso dell’apprendista secondo tariffe di cottimo e che il contratto di apprendistato è un contratto a tempo indeterminato con facoltà però per il datore di lavoro di risolvere il rapporto di lavoro, dandone preavviso al lavoratore, al termine del periodo di apprendistato, ai sensi dell’art. 2118 c.c. e cioè senza la necessità che ci sia una giusta causa o un giustificato motivo. La giusta causa o il giustificato motivo sono invece indispensabili per recedere dal rapporto prima che sia concluso il periodo di apprendistato. 13.3.4 Regolamentazione dei profili formativi La regolamentazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, d'intesa con il Ministero del Lavoro e con il Ministero dell’Istruzione e sentite le parti sociali, sulla base, però, di una serie di criteri e principi direttivi, tra i quali la previsione di un monte ore di formazione interna o esterna all'azienda, congruo al conseguimento della qualifica professionale, ed il rinvio ai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni comparativamente più rappresentative per la determinazione delle modalità di erogazione della formazione in azienda. L’art. 2 della l. n. 53/2003 definisce “credito formativo per il passaggio tra i diversi sistemi formativi” una competenza certificata conseguente a qualsiasi segmento della formazione scolastica, professionale e dell’apprendistato. 1 Rispetto allo schema di decreto legislativo, approvato in prima lettura dal Consiglio dei Ministri il 6 luglio u.s., che prevedeva 1200 ore di formazione nell’arco dei tre anni, il testo definitivo rinvia, quanto alla definizione del monte ore, ad una successiva regolamentazione da emanarsi da parte delle Regioni e delle Province autonome, d'intesa con il Ministero del Lavoro e sentite le parti sociali. Inoltre il testo originario non prevedeva l’alternatività tra formazione interna ed esterna. Il principio di alternatività, di contro, non obbliga il datore di lavoro ad accedere esclusivamente alla formazione esterna, ma lo lascia libero di scegliere tra l’una o l’altra opzione. Dall’analisi di questa prima tipologia del contratto di apprendistato emerge la volontà del legislatore di valorizzare la formazione degli apprendisti. Ciò è ulteriormente confermato dal cosiddetto “libretto formativo” del lavoratore, istituito dal Ministero del Lavoro e dal MIUR. Libretto, in cui verranno registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e quella continua svolta durante l’arco della vita lavorativa. APPRENDISTATO PER L’ESPLETAMENTO DEL DIRITTO-DOVERE ALL’ISTRUZIONE E ALLA FORMAZIONE (ART. 48) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE Creazione di questo nuovo istituto con le seguenti caratteristiche: Limiti di età 15-18 anni. Il contratto scritto deve contenere anche un piano formativo individuale. Il contratto è finalizzato al conseguimento di una qualifica professionale. Regolamentazione dei profili formativi rimessa alle regioni. Rinvio ai contratti collettivi per la determinazione delle modalità di erogazione della formazione in azienda. Previsione di un monte ore di formazione interna ed esterna all'azienda, non quantificato e che sarà successivamente stabilito dalle regioni, sentite le parti sociali; tale monte ore dovrà essere congruo al conseguimento della qualifica professionale. 13.4 Il contratto di apprendistato professionalizzante 13.4.1 Limiti di età e campo di applicazione Come nella precedente disciplina, viene confermato che possono assumere lavoratori con contratto di apprendistato i datori di lavoro appartenenti a qualunque settore produttivo, mentre la novità consiste nel finalizzare questa specifica tipologia di apprendistato al conseguimento di una qualificazione attraverso una formazione sul lavoro e l’acquisizione di competenze di base (art. 49). Con il contratto di apprendistato professionalizzante possono essere assunti tutti i giovani che hanno concluso il loro percorso formativo (anche attraverso l’apprendistato per il diritto-dovere di istruzione e formazione). La sola limitazione soggettiva è quella relativa all’età che non può essere inferiore a diciotto anni, né superiore a ventinove anni. L’apprendistato professionalizzante può essere considerato l’unico erede, per quanto riguarda il segmento dell’occupazione giovanile (18-29 anni), delle due precedenti forme contrattuali di tipo formativo, ossia contratto di apprendistato e di formazione e lavoro, in quanto è l’unico istituto che mantiene la contemporanea presenza delle agevolazioni economiche e dell’obbligatorietà di un intervento formativo. 13.4.2 Deroga ai limiti di età e durata del contratto di apprendistato professionalizzante Per i soggetti in possesso di una qualifica professionale il contratto di apprendistato professionalizzante può essere stipulato a partire dal diciassettesimo anno di età. Il contratto può avere una durata massima di sei anni (compresi i periodi di apprendistato per il diritto-dovere di istruzione e formazione). La durata potenziale pertanto è maggiore non solo del contratto di formazione e lavoro (due anni), ma anche del vecchio contratto di apprendistato (quattro anni). Saranno comunque i contratti collettivi a stabilire la durata effettiva in relazione alla professionalità da conseguire. La durata minima, che precedentemente era fissata in 18 mesi, non può ora essere inferiore a due anni. 13.4.3 Forma del contratto Come nella precedente disciplina ed analogamente al contratto di apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, è necessaria la forma scritta del contratto, che deve contenere l'indicazione della prestazione lavorativa oggetto del contratto, nonché della qualifica, che potrà essere acquisita al termine del rapporto di lavoro. Rispetto alla vecchia disciplina, invece, anche per il contratto di apprendistato professionalizzante, il contratto deve contenere il piano formativo individuale. Il decreto, analogamente al contratto di apprendistato per l’espletamento del dirittodovere di istruzione e formazione, conferma alcuni principi già stabiliti dalla precedente disciplina, in particolare che è vietato il compenso dell’apprendista secondo tariffe di cottimo e che il contratto di apprendistato è un contratto a tempo indeterminato con facoltà però per il datore di lavoro di risolvere il rapporto di lavoro, al termine del periodo di apprendistato, ai sensi dell’art. 2118 c.c.. La giusta causa o il giustificato motivo sono invece indispensabili per recedere dal rapporto prima che sia concluso il periodo di apprendistato. 13.4.4 Regolamentazione dei profili formativi La regolamentazione dei profili formativi è rimessa alle Regioni ed alle Province autonome di Trento e Bolzano, ma è necessaria l'intesa con le associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano regionale. I criteri, ai quali le regioni devono fare riferimento, sono abbastanza simili a quelli previsti per l’apprendistato per il diritto-dovere di istruzione e formazione, con l’eccezione della cosiddetta “formazione formale”, che è finalizzata all’acquisizione di competenze di base e tecnico-professionali. Si tratta di una formazione un po’ più generale rispetto a quella che, in situazione lavoro, è destinata alla qualificazione professionale. Questa formazione può essere svolta, a scelta dell’azienda, sia all’interno che all’esterno dell’azienda stessa e deve durare almeno 120 ore annue.2 Le Regioni sono altresì tenute a rispettare alcuni altri principi direttivi, tra i quali: il rinvio ai contratti collettivi di lavoro stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative, per la determinazione delle modalità di erogazione e dell’articolazione della formazione; la presenza di un tutore aziendale con formazione e competenze adeguate. APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE (ART. 49) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE Creazione di questo nuovo istituto con le seguenti caratteristiche: Limiti di età 18-29 anni. Il limite inferiore può essere spostato a 17 anni per i soggetti già in possesso di una qualifica professionale ai sensi della l. 53/2003. Il contratto scritto deve contenere anche un piano formativo individuale. Il contratto è finalizzato al conseguimento di una qualificazione professionale. Regolamentazione dei profili formativi rimessa alle regioni. Rinvio ai contratti collettivi per la determinazione delle modalità di erogazione della formazione in azienda. Previsione di un monte ore di formazione interna o esterna all'azienda, di almeno 120 ore per anno. Il Ministero del Lavoro dovrà fornire un’interpretazione in merito al concetto e alle caratteristiche della formazione “formale”. 2 13.5 Il contratto di apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione Del tutto innovativa questa tipologia di apprendistato per la quale occorrerà probabilmente più tempo per la sua pratica attuazione. Questi contratti si inseriscono infatti nell’ambito della riforma del sistema scolastico di cui alla l. n. 53/2003. Con tale contratto possono essere assunti dai datori di lavoro appartenenti a qualunque settore produttivo i soggetti di età compresa tra i 18 e i 29 anni, per il conseguimento di un titolo di studio di livello secondario, per il conseguimento di titoli di studio universitari e dell’alta formazione, nonché per la specializzazione tecnica superiore (art. 50). La regolamentazione e la durata dell’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione è rimessa alle Regioni, in accordo con le associazioni territoriali dei datori di lavoro, le Università e le altre istituzioni formative. La qualifica professionale conseguita attraverso il contratto di apprendistato costituisce credito formativo per il proseguimento nei percorsi di istruzione e di istruzione e formazione professionale. APPRENDISTATO PER L’ALTA FORMAZIONE (ART. 50) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE Creazione di questo nuovo istituto con le seguenti caratteristiche: Limiti di età 18-29 anni. Il limite inferiore può essere spostato a 17 anni per i soggetti già in possesso di una qualifica professionale ai sensi della l. 53/2003. Il contratto è finalizzato al conseguimento di un titolo di studio secondario o universitario o dell’alta formazione o della specializzazione tecnica superiore. La regolamentazione e la durata sono rimesse alle regioni in accordo con le associazioni datoriali, le università e le altre istituzioni formative. 13.6 Incentivi economici e normativi Relativamente agli incentivi economici e normativi, è previsto che durante il rapporto di apprendistato, la categoria di inquadramento del lavoratore non potrà essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti (art. 53). Restano fermi, in attesa della riforma del sistema degli incentivi all’occupazione, gli attuali sistemi di incentivazione economica, la cui erogazione sarà tuttavia soggetta all’effettiva verifica della formazione svolta secondo le modalità definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con la conferenza StatoRegioni. In caso di inadempimento nell’erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro (non penalizzano pertanto il datore di lavoro omissioni e/o ritardi delle altre strutture eventualmente coinvolte nel processo formativo) che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità previste dal legislatore3, il datore di lavoro sarà tenuto a versare la quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento (e quindi raddoppiati). La particolare severità di tale sanzione esclude, pena una palese irrazionalità nel sistema sanzionatorio, che ad essa possano aggiungersi le sanzioni ordinarie, previste in caso di omissione contributiva. APPRENDISTATO / INCENTIVI ECONOMICI E NORMATIVI (ART. 53) Scheda riepilogativa MODIFICHE INTRODOTTE Durante il rapporto di apprendistato, la categoria di inquadramento del lavoratore non potrà essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti. L’erogazione degli incentivi sarà soggetta all’effettiva verifica della formazione svolta secondo le modalità definite con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d’intesa con la conferenza Stato-Regioni. In caso di inadempimento nell’erogazione della formazione di cui sia esclusivamente responsabile il datore di lavoro e che sia tale da impedire la realizzazione delle finalità previste dal Legislatore agli artt. 48, 49 e 50, il datore di lavoro sarà tenuto a versare la quota dei contributi agevolati maggiorati del 100 per cento. Si tratta delle seguenti finalità, così come definite agli artt. 48, 49 e 50: conseguimento di una qualifica professionale nel caso dell’apprendistato per l’espletamento del diritto-dovere di istruzione e formazione, di una qualificazione nel caso dell’apprendistato professionalizzante, di un diploma, una laurea o un percorso di alta formazione nel caso dell’apprendistato per l’acquisizione di un diploma o per percorsi di alta formazione. 3 Capitolo 14 - CONTRATTI DI INSERIMENTO (artt. 54-59) 14.1 Dai c.f.l. ai contratti di inserimento Il contratto di inserimento, la cui disciplina è contenuta negli artt. da 54 a 59, sostituisce l'istituto del contratto di formazione e lavoro, del quale viene espressamente prevista la inapplicabilità al settore privato, a partire dalla data di entrata in vigore del decreto di riforma (art. 86, comma 9, seconda parte). Il legislatore ha inteso confermare, nel nuovo istituto, soprattutto le caratteristiche di flessibilità del c.f.l., valorizzando essenzialmente, alla luce anche della funzione di reimpiego ora attribuita all'istituto, l'attrattiva dello strumento in termini di flessibilità e di acquisizione di professionalità on the job. Ma il minor rilievo dell'attività formativa teorica ha, altresì, determinato un riduzione sia della durata massima del contratto (da 24 a 18 mesi), sia dei soggetti beneficiari di sgravi contributivi, atteso che non spettano per le assunzioni di giovani da 18 a 29 anni. 14.1.1 Campo di applicazione Il nuovo istituto è diretto a realizzare, mediante un progetto individuale di adattamento delle competenze professionali del lavoratore a un determinato contesto lavorativo, l’inserimento ovvero il reinserimento nel mercato del lavoro delle seguenti categorie di persone: a) soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni; b) disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue anni; c) lavoratori con più di cinquanta anni di età che siano privi di un posto di lavoro; d) lavoratori che desiderino riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni; e) donne di qualsiasi età residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile, determinato con apposito d.m. entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto, sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile; f) persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico. Si tratta di una platea di beneficiari ben più ampia di quella stabilita dal comma 1 dell'art. 16 della l. n. 451 del 19 luglio 1994, che prevedeva la possibilità di assunzione di "soggetti di età compresa tra i sedici ed i trentadue anni". I contratti di inserimento possono essere stipulati da: a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi; b) gruppi di imprese; c) associazioni professionali, socioculturali, sportive; d) fondazioni; e) enti di ricerca, pubblici e privati; f) organizzazioni e associazioni di categoria. Rispetto alla previgente platea di datori di lavoro ammessi alla stipula dei contratti di formazione e lavoro, va innanzitutto rilevato che viene espressamente ammessa la possibilità di assunzione da parte delle organizzazioni e associazioni di categoria. Non sono invece ricompresi i datori di lavoro iscritti negli albi professionali. Quanto alle "associazioni professionali", ricordiamo che con circolare n. 20, del 17 febbraio 1997, il Ministero del Lavoro ha precisato che "nella nozione di associazioni professionali possono considerarsi incluse anche le associazioni sindacali, sia datoriali che dei lavoratori, anche sulla base della disciplina legislativa contenuta nel libro V Titolo I e II del codice civile, dalla quale emerge che il legislatore utilizza il termine “associazioni professionali” con riferimento alle associazioni sindacali tanto dei datori di lavoro che dei lavoratori". E' confermata la possibilità di "stipulare" contratti di inserimento da parte di "gruppi di imprese". Tale facoltà appariva particolarmente opportuna in passato, atteso che la normativa prevedeva la preventiva autorizzazione di un "progetto", e nel caso di gruppi di imprese la autorizzazione di un unico progetto, di norma presentato dalla capogruppo, con titolarità dei rapporti in capo a più imprese del raggruppamento, poteva senz'altro semplificare la fase procedurale. Il nuovo istituto del contratto di inserimento, non prevede, peraltro, fasi di autorizzazione preventiva. La possibilità di assunzione in capo al "gruppo", può comunque tornare utile per legittimare, ad esempio, lo svolgimento dei singoli piani di inserimento/reinserimento nell'ambito di programmi a tratto generale, organizzati e realizzati da imprese del gruppo diverse da quella che ha la titolarità del rapporto. 14.1.2 Condizioni per le assunzioni Con disposizione similare a quella già prevista per i c.f.l., il comma 3 conferma che, per poter assumere con contratto di inserimento, è necessario avere mantenuto in servizio almeno il sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti (la disciplina dei c.f.l. faceva riferimento ai contratti scaduti nei 24 mesi precedenti). Nello stesso comma vengono previste specifiche modalità di determinazione della suddetta percentuale. Peraltro, tale limitazione non trova applicazione quando, nei diciotto mesi precedenti alla assunzione del lavoratore, sia venuto a scadere un solo contratto di inserimento. Restano in ogni caso applicabili, se più favorevoli, le disposizioni di cui all’art. 20 della l.n. 223/1991, in materia di contratto di reinserimento dei lavoratori disoccupati. Ai sensi dell'art. 55, per poter procedere alla assunzione, è necessaria la predisposizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento, finalizzato a garantire l’adeguamento delle competenze professionali del lavoratore stesso al contesto lavorativo. 14.1.3 Competenze delle parti sociali Prima di poter dare corso all'assunzione, è necessario, tuttavia, che si sia proceduto alla determinazione delle modalità di definizione dei piani individuali di inserimento, con particolare riferimento alla realizzazione del progetto, anche attraverso il ricorso ai fondi interprofessionali per la formazione continua, in funzione dell’adeguamento delle capacità professionali del lavoratore. A tale determinazione possono provvedere i contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 della l. n. 300/1970, e successive modificazioni, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie, anche all’interno degli enti bilaterali. Con le stesse modalità può procedersi alla definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare il conseguimento dell’obiettivo di adeguamento della professionalità dei lavoratori. Il comma 3 regolamenta la procedura di implementazione della nuova normativa, stabilendo che in caso di mancata definizione da parte dei contratti collettivi nazionali di lavoro, entro cinque mesi dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo, delle modalità di definizione dei piani individuali di inserimento, il Ministro del Lavoro convoca le organizzazioni sindacali interessate dei datori di lavoro e dei lavoratori e le assiste al fine di promuovere l’accordo. In caso di mancata stipulazione dell’accordo entro i quattro mesi successivi, il Ministro individua in via provvisoria e con proprio decreto, tenuto conto delle indicazioni contenute nell’eventuale accordo interconfederale di cui all’art. 86, comma 13 del d.lgs. n. 276/2003, e delle prevalenti posizioni espresse da ciascuna delle due parti interessate, le modalità di definizione dei piani individuali di inserimento di cui al comma 2. La norma è coerente con il principio adottato dal Governo e fortemente sostenuto da Confindustria, di evitare che il corretto equilibrio, individuato nella legge fra parti direttamente disciplinate dal legislatore e parti affidate all’autonomia collettiva, possa essere vanificato dal mancato raggiungimento di intese o da scelte di “non esercizio” delle prerogative attribuite alle parti sociali. La formazione eventualmente effettuata durante l’esecuzione del rapporto di lavoro dovrà essere registrata nel libretto formativo (vedi art. 2, lett. i) del d.lgs. n. 276/2003). 14.1.4 Sanzioni In caso di gravi inadempienze nella realizzazione del progetto individuale di inserimento il datore di lavoro è tenuto a versare, in base al comma 5, la quota dei contributi agevolati (ossia la quota della minor contribuzione versata) maggiorata del 100 per cento. La particolare severità di tale sanzione esclude, pena una palese irrazionalità nel sistema sanzionatorio, che ad essa possano aggiungersi le sanzioni ordinarie, previste in caso di omissione contributiva. 14.1.5 Elementi del contratto L'art. 56 prevede l'obbligo della forma scritta per la stipulazione del contratto di inserimento, in mancanza della quale il contratto è nullo e il lavoratore si intende assunto a tempo indeterminato. Anche la durata del contratto di inserimento, regolata dall'art. 57, si differenzia dalle disposizioni che regolavano i contratti di formazione e lavoro. E' prevista, infatti, una durata non inferiore a nove mesi e non superiore a diciotto mesi. In caso di assunzione di lavoratori di cui all’art. 54, comma 1, lettera f) (persone affette, da un grave handicap fisico, mentale o psichico) la durata massima può essere estesa fino a trentasei mesi. Nel computo del limite massimo di durata non si tiene conto degli eventuali periodi dedicati allo svolgimento del servizio militare o di quello civile, nonché dei periodi di astensione per maternità. Viene, altresì, espressamente previsto che il contratto di inserimento non può essere rinnovato tra le stesse parti. Ne consegue la possibilità di stipulare successivi contratti di inserimento da parte del singolo lavoratore, purché gli stessi si realizzino con differenti datori di lavoro. La norma risolve il contenzioso con le Direzioni del lavoro che ha caratterizzato, negli anni passati la vicenda della stipula di successivi c.f.l. da parte dello stesso lavoratore. Eventuali proroghe del contratto di inserimento sono ammesse entro il limite massimo di durata indicato, cioè 18 mesi. L'art. 58 dispone che, al contratto di inserimento si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni di cui al d.lgs. n. 368/2001 (disciplina del contratto a termine), fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali aziendali di cui all’art. 19 della l. n. 300/1970, ovvero dalle rappresentanze sindacali unitarie. Gli stessi contratti possono stabilire percentuali massime dei lavoratori assunti con contratto di inserimento. 14.1.6 Benefici economici e normativi Ultime disposizioni relative alla disciplina del contratto di inserimento sono quelle contenute nell'art. 59 che stabilisce gli "incentivi economici e normativi" correlati all'istituto, incentivi che differiscono, in modo rilevante, da quelli previsti per i c.f.l.. Viene previsto che: 1. durante il rapporto di inserimento, la categoria di inquadramento del lavoratore non può essere inferiore, per più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni che richiedono qualificazioni corrispondenti a quelle al conseguimento delle quali è preordinato il progetto di inserimento dei lavoratori oggetto del contratto. Di fatto, la norma ripropone la clausola sul punto contenuta nell'accordo interconfederale Confindustria Cgil, Cisl e Uil del 18 dicembre 1988, che la successiva intesa del 31 gennaio 1995 aveva modificato in esecuzione del disposto dell'art. 16, comma 3, l. n. 451/1994. 2. fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo, i lavoratori assunti con contratto di inserimento sono esclusi dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti (con l'eccezione dell'inciso iniziale, la norma ripropone il medesimo precetto di cui all'art. 3, comma 10, l. n. 863 del 19 dicembre 1984). 3. in attesa della riforma del sistema degli incentivi alla occupazione, gli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente in materia di contratto di formazione e lavoro trovano applicazione con esclusivo riferimento ai lavoratori di cui all’art. 54, comma, 1, lettere b), c), d), e) ed f). In altri termini, nessun beneficio previdenziale spetta per i giovani (da 18 a 29 anni, ai sensi della lettera a) dell'art, 54, comma 1, del decreto) assunti con contratto di inserimento. Si tratta di una ulteriore sostanziale differenziazione rispetto alla normativa del c.f.l., che prevedeva l'ammissibilità ai benefici contributivi (sia pure con la modulazione stabilita dai criteri enunciati nella Decisione della Commissione UE dell'11 maggio 1999) dei giovani sino a 29 anni. La non ammissibilità dei giovani ai benefici previdenziali è collegata alla evidente scelta di razionalizzare le normative esistenti, valorizzando il "parallelo" istituto dell'apprendistato professionalizzante (art. 49, d.lgs. n. 276/2003), ritenuto caratterizzato da un più rilevante impegno formativo, e del quale il d. lgs ha ampiamente esteso il campo di applicazione, ammettendone la praticabilità in tutti i settori di attività, e individuandone come beneficiari i soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni. CONTRATTI DI INSERIMENTO (ARTT. 54-59) Scheda riepilogativa Campo di applicazione Possono essere assunti con contratto di inserimento: a) b) c) d) soggetti di età compresa tra i diciotto e i ventinove anni; disoccupati di lunga durata da ventinove fino a trentadue anni; lavoratori con più di cinquanta anni di età che siano privi di un posto di lavoro; lavoratori che desiderino riprendere una attività lavorativa e che non abbiano lavorato per almeno due anni; e) donne di qualsiasi età residenti in una area geografica in cui il tasso di occupazione femminile, da determinare con d.m., sia inferiore almeno del 20 per cento di quello maschile o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10 per cento quello maschile; f) persone riconosciute affette, ai sensi della normativa vigente, da un grave handicap fisico, mentale o psichico. Possono effettuare le assunzioni: a) enti pubblici economici, imprese e loro consorzi; b) gruppi di imprese; c) associazioni professionali, socio-culturali, sportive; d) fondazioni; e) enti di ricerca, pubblici e privati; f) organizzazioni e associazioni di categoria. Condizioni per le assunzioni Aver mantenuto in servizio almeno il sessanta per cento dei lavoratori il cui contratto di inserimento sia venuto a scadere nei diciotto mesi precedenti. Predisposizione, con il consenso del lavoratore, di un progetto individuale di inserimento. Competenze delle parti sociali Determinazione delle modalità di definizione dei piani individuali di inserimento, con particolare riferimento alla realizzazione del progetto. Definizione e sperimentazione di orientamenti, linee-guida e codici di comportamento diretti ad agevolare il conseguimento dell’obiettivo di adeguamento della professionalità dei lavoratori. La determinazione può effettuarsi da parte dei contratti collettivi nazionali o territoriali stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e dei contratti collettivi aziendali stipulati dalle r.s.a. di cui all’art. 19, l. n. 300/1970, e successive modificazioni, ovvero dalle r.s.u, anche all’interno degli enti bilaterali. Sanzioni Versamento da parte del datore di lavoro, in caso di gravi inadempienze nella realizzazione del progetto individuale di inserimento, della quota dei contributi agevolati maggiorata del 100 per cento. Elementi del contratto Obbligo della forma scritta. Durata non inferiore a nove mesi e non superiore a diciotto mesi, estensibile fino a trentasei mesi in caso di assunzione di lavoratori affetti da grave handicap fisico, mentale o psichico. Non rinnovabilità tra le stesse parti. Eventuali proroghe, ma solo entro il limite massimo di 18 mesi. Applicabilità, per quanto compatibile, della disciplina del contratto a termine, fatte salve diverse previsioni dei contratti. Benefici economici e normativi Categoria di inquadramento inferiore, per non più di due livelli, alla categoria spettante, in applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, ai lavoratori addetti a mansioni o funzioni corrispondenti. Fatte salve specifiche previsioni di contratto collettivo, esclusione dal computo dei limiti numerici previsti da leggi e contratti collettivi per l’applicazione di particolari normative e istituti. In attesa della riforma del sistema degli incentivi alla occupazione, applicazione, con esclusione dei "giovani" di cui alla lettera a), degli incentivi economici previsti dalla disciplina vigente in materia di contratto di formazione e lavoro. Capitolo 15 - TIROCINI ESTIVI DI ORIENTAMENTO (art. 60) L'art. 60, ultimo articolo del Capo II del Titolo VI, riguarda la materia dei tirocini, e prevede l'ipotesi di specifici "tirocini estivi di orientamento". Sul piano concettuale va innanzitutto rilevato che la norma conferma l’ammissibilità di tirocini di puro orientamento, cioè non strettamente connessi allo svolgimento di attività formativa in senso stretto. I tirocini possono essere promossi, con soli fini orientativi e di addestramento pratico, a favore di adolescenti o di giovani regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università o presso un istituto scolastico di ogni ordine e grado. I tirocini non possono avere durata superiore a tre mesi, e vanno svolti nel periodo compreso tra la fine dell’anno accademico e scolastico e l’inizio di quello successivo. E' possibile erogare borse lavoro a favore del tirocinante, ma le stesse non possono superare l’importo massimo mensile di 600 euro. In assenza di diversa previsione dei contratti collettivi, non sono previsti limiti percentuali massimi per l’impiego di adolescenti o giovani nel tirocinio estivo di orientamento. Salvo quanto previsto ai commi precedenti, ai tirocini estivi si applicano le disposizioni di cui all’art. 18 della l. n. 196/1997 e al decreto del Ministro del Lavoro 25 marzo 1998, n. 142. Ricordiamo, al riguardo, che l'art. 1, comma 2, del citato d.m. (di attuazione dei principi stabiliti nell'art. 18 della l. n. 196/1997) prevede che i tirocini instaurati ai sensi della normativa ivi contenuta non costituiscono rapporti di lavoro, mentre il successivo art. 3 pone l’obbligo dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro in capo ai soggetti promotori dei tirocini. Capitolo 16 -LAVORO A PROGETTO E LAVORO OCCASIONALE (artt. 61-69) Le disposizioni di cui al Titolo VII, Capo I, del d.lgs. n. 276/2003 (Lavoro a progetto e lavoro occasionale), costituiscono una delle novità di maggior rilievo della riforma. Con tali disposizioni, infatti, si porta a compimento un disegno riformatore che era stato già delineato nel Libro Bianco (cfr. paragrafo II. 3. 6) e che è stato, poi, accolto nella legge delega n. 30/2003 (cfr. art. 4, comma 1, lett. c), volto ad individuare e disciplinare alcuni elementi essenziali del “nuovo” rapporto di collaborazione che dovrebbero consentire di circoscrivere i fenomeni di abuso nell’utilizzo dell’istituto delle collaborazioni coordinate e continuative. 16.1 Campo di applicazione Proprio a ragione di tale ratio, la nuova disciplina del lavoro a progetto non si applica a quei rapporti che per la particolare qualità delle parti ovvero per motivi oggettivi, non si ritengono esposti a possibili abusi. E così, da un lato, le nuove disposizioni non si applicano (art. 61, comma 3) alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003, ne ai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società, ai partecipanti a collegi e commissioni, a coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia (ivi compresi i pensionati di anzianità nel momento in cui raggiungono l’età prevista per la pensione di vecchiaia), e ai rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.o.n.i., come individuate e disciplinate dall’art. 90 della l. n. 289 del 27 dicembre 2002. Restano, altresì, fuori dall’ambito di applicazione della nuova disciplina i rapporti intercorrenti tra committenti e agenti e rappresentanti di commercio (art. 61, comma 1). 16.1.1 Prestazioni occasionali - Definizione D’altro lato, la nuova disciplina non si applica a quelle che vengono definite “prestazioni occasionali” (art. 61, comma 2) intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro. Ove tali parametri vengano superati, e si tratti pertanto di un rapporto caratterizzato da un apprezzabile grado di continuità, trovano applicazione le disposizioni contenute nel Capo I per il lavoro a progetto. Occorre, però, distinguere l’ipotesi di chi percepisce un compenso superiore a 5 mila euro da uno stesso committente nel medesimo anno solare, ma per una o più prestazioni del tutto singolari ed episodiche, ovviamente non riconducibili a uno o più progetti specifici o a programmi di lavoro: tale ipotesi non rientra né in quella di cui all’art. 61, comma 2, né in quella del lavoro a progetto ma, semmai, nell’ipotesi del contratto d’opera ex art. 2222 c.c.. 16.1.2 Lavoro a progetto e a programma - Definizioni Precisato l’ambito dei rapporti esclusi, la nuova disciplina prevede, all’art. 61, comma 1, del d.lgs. n. 276/2003, che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all’art. 409, n. 3, c.p.c. devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa”. La definizione utilizzata per identificare i collaboratori a progetto intende ricondurre questa tipologia di rapporti nell'area del lavoro autonomo propriamente inteso, come si evince dalla marcata accentuazione posta sull’elemento della gestione autonoma del progetto, da parte del collaboratore, in funzione del risultato, nonché dalla tendenziale “irrilevanza”, ai fini della qualificazione del rapporto, del tempo impiegato per l’esecuzione dell’attività lavorativa. Peraltro tale definizione, con il richiamo espresso all’art. 409 c.p.c., non intende costituire una categoria di rapporti del tutto nuova bensì, più propriamente, affinare e precisare i caratteri delle collaborazioni coordinate e continuative soggette alla nuova disciplina. E così, i collaboratori a progetto saranno comunque tenuti, come prevede l’art. 409, n. 3, c.p.c., a rendere una prestazione prevalentemente personale, ossia senza prevalenza, qualitativa o quantitativa, dell’eventuale apporto di terzi. Allo stesso modo, la loro prestazione d’opera rimane “continuativa e coordinata”, anche se i caratteri della continuità e della coordinazione, a ragione della disciplina dettata dagli artt. da 61 a 69, risultano maggiormente definiti e circoscritti. Non v’è dubbio, infatti, che la necessaria individuazione, da parte del committente, di un progetto specifico o di un programma di lavoro o di una fase di esso, da affidare al collaboratore, contribuisce a definire, in maniera più chiara e certa rispetto al passato, non solo il requisito della continuità (che è connaturato ad ogni progetto o programma), ma anche quello della coordinazione tra l’attività svolta dal committente e la prestazione resa dal collaboratore. Per quanto concerne il significato da attribuire alle espressioni “progetto specifico” e “programma di lavoro”, per “progetto specifico” può intendersi l’individuazione, da parte del committente, di una ben determinata attività, volta al raggiungimento di un risultato concreto, la cui realizzazione segna la risoluzione del contratto (art. 67, comma 1). Il progetto ben può attenere ad una attività diversa da quella usualmente svolta dal committente, il quale, appunto, affida al collaboratore il raggiungimento di quel risultato che costituirà il “contenuto caratterizzante” del progetto (cfr. art. 62, comma 1, lett. b). Per “programma di lavoro”, invece, può intendersi un “piano” che riguardi anche la stessa attività ordinariamente svolta dal committente, ma il cui sviluppo richiede l’apporto di un collaboratore dotato di peculiari attitudini professionali, le quali caratterizzano la sua prestazione e, di conseguenza, caratterizzano il programma al quale egli è addetto per il raggiungimento del risultato assegnatogli. In tale ipotesi, l’elemento della coordinazione presenta un rilievo maggiore rispetto a quello riscontrabile nella collaborazione a progetto, in quanto risulta più intensa la necessità che la prestazione d’opera sia pienamente inerente al programma di lavoro che costituisce l’oggetto del contratto. Sulla base di tale distinzione si comprende perché il legislatore abbia limitato alla sola ipotesi del programma, la possibilità che questo venga individuato per “fasi”. Dalla necessità che in entrambe le fattispecie la prestazione del collaboratore sia volta al raggiungimento di un risultato, previamente individuato, deriva che non è consentito al committente l’esercizio del c.d. ius variandi, ossia l’esercizio della facoltà di chiedere al collaboratore prestazioni non concordate e non mirate alla realizzazione di quel risultato. 16.2 Divieto di rapporti atipici e conversione del contratto La particolare rilevanza dell’individuazione del progetto o del programma è sottolineata dalla disposizione di cui all’art. 69, comma 1, che prevede che “i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l’individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso ai sensi dell’art. 61, comma 1, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto”. Pertanto, la previa definizione, da parte del committente, del “programma di lavoro” da affidare al collaboratore diventa essenziale al fine di instaurare correttamente il futuro rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Resta che la “conversione” del rapporto dovrà, comunque, essere oggetto di un accertamento giudiziale. L’art. 69 prevede poi, al comma 2, che quando un rapporto a progetto venga a mutare natura in corso di attuazione, configurandosi come un rapporto di lavoro subordinato, e tale mutamento sia accertato in giudizio, la trasformazione sarà “corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti”. Ciò comporta che la sentenza di accertamento potrebbe non contenere, necessariamente, la dichiarazione della costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato bensì, ad esempio, l’accertamento della sussistenza, tra le parti, di un rapporto parttime e a tempo determinato. Il comma 3 dell’art. 69, infine, precisa che “ai fini del giudizio di cui al comma 2” (ossia ai fini dell’accertamento giudiziale sulla - eventuale - mutata configurazione del rapporto sorto come lavoro a progetto), il controllo giudiziale è “limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell’ordinamento, all’accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente”. L’intento del disposto è quello di limitare l’accertamento in sede giudiziaria alla sola verifica che tra le parti è effettivamente intercorso un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto, e che, pertanto, le parti non hanno posto in essere un negozio simulato o in frode alla legge. 16.3 Forma del contratto L’art. 62 prevede, in attuazione di uno specifico criterio previsto dalla legge delega, che le parti contraenti il nuovo contratto di lavoro a progetto adottino la forma scritta e che, ai soli fini della prova, il contratto contenga i seguenti elementi: a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; b) c) d) e) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto; il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa; le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall’art. 66, comma 4. La previsione che gli elementi del contratto devono essere indicati “ai fini della prova”, comporta che il difetto di uno di essi non determina automaticamente la nullità del contratto, potendosi provare la clausola mancante anche mediante giuramento, confessione o per testimoni, in caso di perdita incolpevole del documento (art. 2725 c.c.). E’, comunque, del tutto evidente che, tenendo anche a mente la disposizione particolarmente rigida contenuta nell’art. 69, comma 1, è certamente preferibile redigere con cura il contratto di lavoro a progetto. Gli elementi del contratto rispondono a quelli, sin qui, generalmente inseriti nei contratti di collaborazione, a parte l’individuazione del progetto e l’indicazione delle eventuali misure a tutela della salute e sicurezza del collaboratore. 16.3.1 Forme di coordinamento Quanto alle forme di coordinamento del lavoratore a progetto all’organizzazione del committente, la previsione espressa che deve tenersi conto anche dei tempi della prestazione, costituisce una precisazione del concetto contenuto nell’art. 61, comma 1. In sostanza, premessa la piena autonomia del collaboratore nel rendere la prestazione, anche con riguardo ai tempi di esecuzione, resta che tale autonomia non può esplicarsi al punto da rendere “inutile” la prestazione per il committente. Onde, il committente ben potrà concordare con il collaboratore, nell’ambito di attuazione del programma pattuito, tempi e modalità della prestazione, rimanendo il collaboratore libero di determinare autonomamente, nel rispetto degli accordi raggiunti, ogni ulteriore modalità attuativa della prestazione. 16.4 Corrispettivo Ulteriore elemento di novità è costituito dalla disposizione di cui all’art. 63, in tema di corrispettivo. L’adozione di un parametro di proporzionalità alla qualità e quantità del lavoro svolto, che era già inserito dalla legge delega, ha una forte assonanza con il disposto dell’art. 36 Cost.. La differenza con il lavoro subordinato (in relazione al quale, da sempre, i minimi previsti dai c.c.n.l. sono ritenuti idonei ad assolvere il criterio della retribuzione adeguata e sufficiente) consiste in ciò che, nel caso del collaboratore a progetto, il parametro di riferimento per la determinazione della retribuzione non sarà costituito dal livello di retribuzione minima fissato da eventuali accordi collettivi stipulati per quei collaboratori bensì, come espressamente previsto dall’art. 63, dai “compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto”. 16.5 Obblighi di riservatezza e invenzioni L’art. 64 prevede, al comma 1, che, salvo diverso accordo tra le parti, il collaboratore è libero di svolgere la sua attività a favore di più committenti. Il comma 2, ricostruisce gli obblighi di riservatezza e fedeltà del collaboratore a progetto sulla falsariga del disposto dell’art. 2105 c.c., così come anche la disciplina delle invenzioni (art. 65) è stata dettata alla stessa stregua di quella esistente per i lavoratori subordinati. 16.6 Altri diritti del collaboratore a progetto 16.6.1 Gravidanza – Malattia - Infortunio Il successivo art. 66 detta, in applicazione dei principi contenuti nella legge delega, la disciplina in materia di gravidanza, malattia ed infortunio, prevedendo che tali eventi non comportano l’estinzione del rapporto (come, a rigore, sarebbe potuto accadere in costanza della disciplina previgente), che invece rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Inoltre, e salva diversa pattuizione, gli eventi malattia ed infortunio non comportano la proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. La seconda parte dell’art. 66, comma 2, prevede che, comunque, ove la sospensione si protragga per un periodo superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto (quando essa sia determinata), ovvero per un periodo superiore a trenta giorni (quando la durata è determinabile), il committente può recedere dal rapporto. Soltanto in caso di gravidanza è prevista una proroga del contratto per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale (comma 3). Il periodo di 180 giorni comprende il periodo massimo (pari a cinque mesi) durante il quale le lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della l. n. 335 dell’8 agosto 1995, possono usufruire dell’indennità di maternità cui al decreto del Ministro del Lavoro e delle politiche sociali del 4 aprile 2002, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 12 giugno 2002, n.136. Il comma 4 dell’art. 66, da un lato, opera una sorta di ricognizione delle disposizioni di legge già vigenti a tutela dei collaboratori (come le norme sul processo del lavoro, le norme a tutela della maternità, ex art. 64 del d.lgs. n. 151/2001, le norme a tutela degli infortuni e malattie professionali e della malattia, in caso di degenza ospedaliera), confermandone l’applicazione anche per i collaboratori a progetto. D’altro lato, con disposizione innovativa, introduce, attuando un principio di delega, il principio dell’applicabilità ai collaboratori delle norme sulla sicurezza e igiene del lavoro, di cui al d.lgs. n. 626/1994, ma ciò soltanto “quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente”, intendendosi fare riferimento, con tale espressione, al disposto dell’art. 30 del medesimo d.lgs. n. 626/1994. E’ da rilevare a riguardo che il previsto rinvio al d. lgs n. 626/1994, sia pure limitato ai soli casi di svolgimento della collaborazione nei luoghi di lavoro del committente, comporta oggettive incongruenze ed il rischio di effetti ingiustificatamente penalizzanti per i committenti, tenuto conto della ratio di detto provvedimento, essenzialmente orientata ad instaurare un regime di tutela prevenzionistica per i lavoratori subordinati e di corrispondenti responsabilità a carico dei datori di lavoro. Pertanto risulta ulteriormente confermata la necessità ed urgenza di un intervento di riassetto normativo della materia, secondo i principi di delega recentemente approvati con la Legge di semplificazione per il 2001, art. 3. 16.7 Estinzione del contratto L’art. 67, comma 1, prevede la risoluzione del contratto al momento della realizzazione del progetto (o del programma o della fase di esso) che costituisce l’oggetto del contratto. 16.7.1 Preavviso e altre causali e modalità Al comma 2 è, poi, fatta salva l’ipotesi del recesso prima del termine per giusta causa, “ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto individuale”. Ne consegue che l’autonomia negoziale potrà liberamente esplicarsi in ordine alle ipotesi di recesso anticipato, prevedendo, ad esempio, eventi “oggettivi” al verificarsi dei quali non sussiste più l’interesse delle parti alla prosecuzione del rapporto ovvero periodi di preavviso (ed eventuali indennità sostitutive di esso) che consentono di liberarsi dalle obbligazioni derivanti dal rapporto in essere, a prescindere da una qualsiasi motivazione, soggettiva od oggettiva. 16.8 Rinunzie e transazioni Infine l’art. 68 prevede che “i diritti derivanti dalle disposizioni contenute nel presente capo possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo V del presente decreto legislativo”. La disposizione va interpretata nel senso che ove le parti del rapporto di lavoro a progetto intendano avvalersi della procedura di certificazione quando il rapporto sia già in essere, esse potranno, in sede di certificazione, disporre dei diritti ad esse attribuite dalla legge, ponendo in essere un negozio transattivo ovvero un atto di rinuncia, conformemente al disposto dell’art. 82 del medesimo decreto legislativo. Va, peraltro, evidenziata una imprecisione nel testo del decreto, ove riferisce al titolo V la “sede” della disciplina della certificazione che è, invece, contenuta nel titolo VIII. 16.9 Norme transitorie Le disposizioni di cui agli artt. da 61 a 69 sono immediatamente applicabili, in quanto non necessitano di particolari disposizioni attuative. Stanti le rilevanti novità contenute nel decreto legislativo è stata, però, dettata una norma transitoria (art. 86, comma 1) che, da un lato, consente che i contratti di collaborazione in essere alla data di entrata in vigore del decreto, e che non possano essere ricondotti ad un progetto, rimangono in vigore fino alla loro scadenza e, comunque, non oltre un anno dall’entrata in vigore del provvedimento. D’altro lato, la seconda parte del comma 1, dell’art. 86 prevede che “termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente potranno essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione al nuovo regime di cui al presente decreto, stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale.” LAVORO A PROGETTO (ARTT. 61-69) Scheda riepilogativa Non si applica: - - alle professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 276/2003; ai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società; ai partecipanti a collegi e commissioni; a coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia; ai rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.o.n.i., come individuate e disciplinate dall’art. 90 della l. n. 289/2002; ai rapporti intercorrenti tra committenti e agenti e rappresentanti di commercio; alle “prestazioni occasionali” ossia ai rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro. E’ comunque un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione. Devono essere individuati uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività lavorativa. In difetto dell’individuazione del progetto o del programma i rapporti sono considerati di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto (art. 69, comma 1). Quando un rapporto a progetto venga a mutare natura in corso di attuazione, configurandosi come un rapporto di lavoro subordinato, e tale mutamento sia accertato in giudizio, la trasformazione sarà “corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti” (art. 69, comma 2). Forma scritta del contratto, ai soli fini della prova, con i seguenti elementi: a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro; b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuato nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto; c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonché i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese; d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l’autonomia nella esecuzione dell’obbligazione lavorativa; e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall’art. 66, comma 4. Corrispettivo proporzionato alla qualità e quantità del lavoro svolto, che tenga conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto. Il collaboratore è libero di svolgere la sua attività a favore di più committenti, ma con obblighi di riservatezza e fedeltà. La disciplina delle invenzioni (art. 65) è stata dettata alla stessa stregua di quella esistente per i lavoratori subordinati. Gravidanza, malattia ed infortunio non comportano l’estinzione del rapporto che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Salva diversa pattuizione, malattia ed infortunio non comportano la proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Comunque, ove la sospensione si protragga per un periodo superiore ad un sesto della durata stabilita nel contratto (quando essa sia determinata), ovvero per un periodo superiore a trenta giorni (quando la durata è determinabile), il committente può recedere dal rapporto. Soltanto in caso di gravidanza è prevista una proroga del contratto per un periodo di 180 giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale. Ai collaboratori continuano ad applicarsi le disposizioni di legge già vigenti sul processo del lavoro, a tutela della maternità, a tutela degli infortuni e malattie professionali e della malattia, in caso di degenza ospedaliera. D’ora in poi si applicheranno anche le norme di cui al d.lgs. n. 626/1994, ma ciò soltanto “quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente”. Il contratto si risolve al momento della realizzazione del progetto (o del programma o della fase di esso. E’ fatta salva l’ipotesi del recesso prima del termine per giusta causa, “ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto individuale”. I diritti attribuiti possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le parti in sede di certificazione. I contratti di collaborazione in essere alla data di entrata in vigore del decreto, e che non possano essere ricondotti ad un progetto, rimangono in vigore fino alla loro scadenza e, comunque, non oltre un anno dall’entrata in vigore del provvedimento ma termini diversi, anche superiori all’anno, di efficacia delle collaborazioni coordinate e continuative stipulate ai sensi della disciplina vigente possono essere stabiliti nell’ambito di accordi sindacali di transizione stipulati in sede aziendale con le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale. Capitolo 17 - PROCEDURE DI CERTIFICAZIONE (artt. 75-84) Le disposizioni che disciplinano le procedure di certificazione, di cui al Titolo VIII del decreto legislativo, rivestono carattere sperimentale. In tal senso dispone l’art. 86, comma 12, il quale prevede che il Ministero del Lavoro, entro diciotto mesi dall’entrata in vigore del decreto legislativo, “procede ad una verifica con le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale degli effetti delle disposizioni in esso contenute e ne riferisce al Parlamento entro tre mesi ai fini della valutazione della sua ulteriore vigenza”. 17.1 Definizione La certificazione dei contratti di lavoro, istituto di carattere volontario introdotto per la prima volta dal d.lgs. n. 276/2003, è una speciale procedura di qualificazione del rapporto di lavoro attraverso la quale si attesta che il programma negoziale sottoscritto dalle parti, presenta i requisiti di forma e contenuto di uno dei contratti di lavoro individuati dall’art. 75, ossia i contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale, a progetto, i contratti di associazione in partecipazione di cui agli artt. 2549-2554 c.c. ed infine, (vedi art. 84) i contratti di appalto come definiti dal decreto in parola. La legge non dà una definizione generale dell’istituto, ma si limita a descriverne la finalità. Infatti la certificazione, che conferisce al contratto certificato efficacia anche verso i terzi, mira a salvaguardare l’interesse delle parti alla stabilità e alla certezza del programma negoziale, quantomeno finché, in seguito ad impugnazione, non venga accertata dal giudice l’invalidità della certificazione (art. 79). La qualificazione, mediante certificazione, delle diverse tipologie negoziali deve tener conto dei criteri giurisprudenziali prevalenti in materia di qualificazione del contratto di lavoro come autonomo o subordinato, che verranno recepiti in appositi moduli e formulari predisposti con decreto dal Ministero del Lavoro (art. 78, comma 5). Inoltre, è previsto un ulteriore decreto del Ministero del Lavoro (da adottare entro sei mesi dall’entrata in vigore della legge), che dovrà definire i “codici di buone pratiche” <<per l’individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, “con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi>>. La disposizione si riferisce a quei diritti e trattamenti economici che non possono formare oggetto di accordo dispositivo tra le parti (per es. l’assicurazione obbligatoria sugli infortuni, la contribuzione previdenziale ecc.). Tali clausole, quindi, una volta individuate dal Ministero, costituiranno il contenuto minimo e indispensabile del contratto di lavoro ai fini della certificazione. 17.2 Organi, competenza ed attività Il legislatore ha lasciato alle parti un’ampia facoltà di scelta circa le autorità innanzi alle quali esperire il procedimento di certificazione (art. 76). Infatti, nello stesso ambito territoriale di riferimento, possono essere presenti più sedi di certificazione (presso le D.p.l., Province, Enti bilaterali, Università), sebbene preveda anche la possibilità che le singole Commissioni costituiscano, mediante convenzione, una commissione di certificazione unitaria. La diversa composizione degli organi abilitati alla certificazione non incide sugli ambiti di competenza territoriale. Le parti interessate, infatti, si devono rivolgere, nel caso delle commissioni istituite presso le D.p.l. o le Province, a quelle situate nella circoscrizione in cui ha sede l’azienda alla quale è addetto il lavoratore. Per le commissioni presso gli enti bilaterali, che risultano abilitate ex lege a svolgere tale funzione, l’istanza di avvio della procedura deve essere presentata alle commissioni costituite dalle rispettive associazioni dei datori di lavoro e dei prestatori di lavoro. Nulla viene specificato quanto alle università o alle Fondazione universitarie. Il legislatore ha sostanzialmente equiparato le attività delle singole Commissioni di certificazione, riconoscendo, a tutte indistintamente, non solo le funzioni certificatorie in senso stretto, ma anche la facoltà di fornire consulenza e assistenza (art. 81) alle parti, con la possibilità, però, per i soli enti bilaterali, di certificare anche le rinunzie e le transazioni di cui all’art. 2113 c.c. (art. 82). Gli organi sopra individuati sono abilitati, altresì, all’elaborazione delle procedure di certificazione, all’atto di costituzione delle singole Commissioni, nel rispetto dei già ricordati codici di buone pratiche. 17.3 Procedimento ed effetti della certificazione Il procedimento di certificazione deve in ogni caso rispettare i seguenti principi: 1) volontarietà del procedimento. L’istanza di certificazione del contratto di lavoro deve essere oggetto di una libera scelta delle parti e va presentata congiuntamente (“ istanza comune delle parti”) mediante atto scritto. 2) Obbligo di comunicazione alla D.p.l. L’inizio del procedimento deve essere comunicato alla direzione provinciale del lavoro che provvederà ad inviare la comunicazione alle autorità pubbliche ( enti previdenziali e fiscali) nei cui confronti l’atto è destinato a produrre effetti. La legge, inoltre, prevede che tali soggetti possono presentare osservazioni alle Commissioni di certificazione. 3) Perentorietà del termine di conclusione del procedimento. Entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza, la competente commissione di certificazione dovrà concludere il procedimento. L’atto di certificazione, inoltre, deve contenere una motivazione, il termine e l’autorità cui è possibile fare ricorso per impugnare l’atto (art. 80 commi 1 e 5), gli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti chiedono la certificazione. L’atto certificato, ai sensi dell’art. 5, lett. e) della legge delega n. 30/2003, “ha piena forza di legge”. Pertanto, indipendentemente dalla sede che l’ha effettuata, la certificazione conferisce “certezza” alle scelte delle parti e, gli effetti di tale accertamento, ai sensi dell’art. 79 “permangono” anche verso i terzi, fino alla pronuncia della sentenza di merito con la quale sia stato accolto uno degli eventuali ricorsi esperibili ai sensi del successivo art. 80 contro la certificazione. La disposizione, quindi, non esclude la possibilità, per le parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto è destinato a produrre effetti, di contestare la certificazione davanti ad un giudice; tuttavia, introduce una clausola di salvaguardia “relativa” degli effetti del contratto certificato. Relativa perché la certificazione non comporta una “sanatoria” degli effetti del contratto certificato prima dell’accertamento giudiziale e, quindi, non incide sull’efficacia retroattiva della pronuncia del giudice, qualora accerti l’invalidità della certificazione. La certificazione, dunque, avrà soltanto l’effetto di impedire che, solo sulla base di eventuali accertamenti, gli enti previdenziali possano validamente ottenere dal giudice l’emissione di provvedimenti monitori provvisoriamente esecutivi. Ed infatti, come si è detto, gli effetti dell’accertamento permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili contro l’atto di certificazione (art. 79). Va precisato che il principio della “permanenza” degli effetti della certificazione , come sopra specificato, trova, a norma dell’art. 79, un’eccezione nel caso di provvedimenti cautelari (“fatti salvi i provvedimenti cautelari”). Questa precisazione, che si riferisce alle ordinanze emesse in via provvisoria nei ricorsi d’urgenza ex art. 700 c.p.c., è posta a salvaguardia di quei diritti che, al verificarsi di certe condizioni, necessitano di tutela anche prima della pronuncia sul merito che dichiari l’invalidità della certificazione. In tali casi, quindi, la certificazione non è opponibile ai terzi. 17.4 Impugnazioni L’atto può essere impugnato davanti al giudice del lavoro per erronea qualificazione del contratto, oppure per difformità tra il programma certificato e la sua successiva attuazione nonché per vizi del consenso (art. 80, comma 1), oppure, in sede amministrativa, per violazione del procedimento o eccesso di potere (art. 80, comma 5). Nel caso in cui il giudizio di merito si risolva in un accertamento di erronea qualificazione del contratto, i relativi effetti si produrranno sin dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale. Invece, l’accertamento giudiziale della difformità tra il programma negoziale certificato e quello effettivamente realizzato ha efficacia ex nunc, ossia dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità (art. 80, comma 2) Per quanto riguarda l’impugnazione per vizi del consenso, in assenza di previsioni specifiche, si applica la disciplina generale in tema di annullabilità del contratto (artt.1425 – 1446 c.c.). L’impugnazione della certificazione deve essere, in ogni caso, preceduta da un tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alla stessa commissione di certificazione (art. 80, comma 4). Dal riferimento all’art. 410 c.p.c. si ricava che gli effetti dell’atto di conciliazione concluso in tale sede sono quelli previsti in generale per le conciliazioni davanti al giudice. Il comportamento tenuto dalle parti sia in sede di certificazione che in sede conciliativa verrà comunque valutato dal giudice in relazione alla condanna alla spese e al risarcimento del danno per lite temeraria (art. 80, comma 3). 17.5 Altre ipotesi di certificazione L’art. 82 attribuisce agli enti bilaterali di cui all’art. 76, comma 1, lett. a) la competenza a certificare le rinunce e le transazioni di cui all’art. 2113 c.c.. Lo specifico richiamo all’art. 2113 denota che le rinunce e le transazioni oggetto di possibile certificazione sono quelle aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge o dei contratti o accordi collettivi. Le suddette rinunce e transazioni sono invalide e impugnabili nel termine previsto dal secondo comma dell’art. 2113 c.c.. E’ evidente che su tale regime di invalidità-impugnazione non può interferire l’attività di certificazione prevista dall’art. 82, alla quale, nel silenzio della norma, non può attribuirsi un’efficacia “convalidante” di portata così incisiva. Si deve, invece ritenere che, con la disposizione in questione, il legislatore abbia voluto istituire un’altra sede di accertamento degli atti di rinuncia e dei negozi transattivi, alla quale le parti possono rivolgersi “per confermare la loro volontà abdicativa o transattiva”. E’ il caso di osservare che la suddetta “conferma”, conseguente all’atto di accertamento, non è parificabile all’inoppugnabilità che, con l’osservanza delle procedure indicate dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., deriva alle rinunce e transazioni. Ciò in quanto non si ravvisa nessun elemento, né d’ordine sistematico, né d’ordine ricostruttivo, che permetta di giungere a questa conclusione. Come già evidenziato nel paragrafo dedicato all’appalto, si ricorda che le procedure di certificazione possono essere utilizzate, sia in sede di stipulazione del contratto di appalto, sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto (art. 84). PROCEDURE DI CERTIFICAZIONE (ARTT. 75-84) Scheda riepilogativa Carattere volontario e sperimentale della certificazione. Procedura con la quale si attesta che il programma negoziale sottoscritto dalle parti, presenta i requisiti di forma e contenuto di uno dei seguenti contratti : a) b) c) d) e) f) contratti di lavoro intermittente contratti di lavoro ripartito contratti di lavoro a tempo parziale contratti di lavoro a progetto contratti di associazione in partecipazione (ex artt. 2549-2554 c.c.) contratti di appalto. La certificazione avviene sulla base di appositi moduli e formulari predisposti con decreto dal Ministero del lavoro e dei “codici di buone pratiche” definiti anch’essi con decreto del Ministero del lavoro (art. 78, commi 4 e 5). Gli effetti della certificazione “permangono” anche verso i terzi, finché, in seguito ad impugnazione, non venga accertata dal giudice l’invalidità della certificazione . Commissioni di certificazione possono essere costituite presso le D.p.l., Province, Enti bilaterali, Università. Possibilità che le singole Commissioni costituiscano, mediante convenzione, una commissione di certificazione unitaria. L’istanza di certificazione deve essere presentata congiuntamente dalle parti, mediante atto scritto. L’inizio del procedimento deve essere comunicato alla D.p.l.. Il procedimento deve essere concluso entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza. L’atto di certificazione deve contenere: a) una motivazione b) il termine e l’autorità cui è possibile fare ricorso per impugnare l’atto c) gli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti chiedono la certificazione. L’atto può essere impugnato davanti al giudice del lavoro a) per erronea qualificazione del contratto b) per difformità tra il programma certificato e la sua successiva attuazione c) per vizi del consenso oppure, in sede amministrativa a) per violazione del procedimento b) eccesso di potere Effetti della pronuncia di invalidità del giudice: a) nel caso di erronea qualificazione del contratto, i relativi effetti si produrranno sin dal momento della conclusione dell’accordo contrattuale. b) Nel caso di difformità tra il programma negoziale certificato e quello effettivamente realizzato l’accertamento giudiziale ha efficacia dal momento in cui la sentenza accerta che ha avuto inizio la difformità. c) Per l’impugnazione per vizi del consenso, si applica la disciplina generale in tema di annullabilità del contratto (artt.1425 – 1446 c.c.). L’impugnazione deve essere preceduta da un tentativo obbligatorio di conciliazione innanzi alla stessa commissione di certificazione, ai sensi dell’art. 410 c.p.c.. Il comportamento tenuto dalle parti sia in sede di certificazione che in sede conciliativa verrà comunque valutato dal giudice in relazione alla condanna alla spese e al risarcimento del danno per lite temeraria (art. 80, comma 3). Le Commissioni presso gli enti bilaterali sono competenti a certificare le rinunce e le transazioni di cui all’art. 2113 c.c. “a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti”. Capitolo 18 - ABROGAZIONI (art. 85) Le disposizioni abrogate indicate nell’art. 85 sono : a) L’art. 27, della l. n. 264/1949 ( “Provvedimenti in materia di avviamento al lavoro e di assistenza dei lavoratori involontariamente disoccupati”): sanzioni penali e amministrative per la violazione della disposizioni relative alla mediazione e all’obbligo di comunicazione, della cessazione del rapporto di lavoro alla Commissione per l’impiego. b) L’art. 2, comma 2, e l’art. 3 della dell'apprendistato”). L’art. 2 conteneva dell'ispettorato del lavoro per l’instaurazione L’art. 3 della medesima legge si riferisce dell’apprendista. l. n. 25/1955 (“Disciplina l’obbligo di autorizzazione del rapporto di apprendistato. alle modalità di assunzione c) La l. n. 1369/1960 (“Divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro e nuova disciplina dell’impiego di manodopera negli appalti di servizi”). d) L’art. 21, comma 3 della l. n. 56 del 28 febbraio 1987 (“Norme sull'organizzazione del mercato del lavoro”): facoltà per le imprese artigiane di assumere l’apprendista con richiesta nominativa. e) L’art. 9bis, comma 3 della l. n. 608/1996 (“Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, recante disposizioni urgenti in materia di lavori socialmente utili, di interventi a sostegno del reddito e nel settore previdenziale”) : obblighi di comunicazione agli uffici di collocamento all’atto di assunzione e relative sanzioni in caso di inadempimento. L’art. 9 quater “Registro d'impresa nel settore agricolo”, commi 4 e 18 della legge citata: obblighi di comunicazione nel settore agricolo. f) Gli artt. da 1 a 11 della l. n. 196/1997 (“Norme in materia di promozione dell’occupazione”): prestazioni di lavoro temporaneo. g) L’art. 4, comma 3 del d.lgs n. 72 del 25 febbraio 2000 (“Attuazione della direttiva 96/71/CE in materia di distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi”): obbligo per le imprese di lavoro temporaneo con sede in uno Stato europeo che distaccano il lavoratore in un’impresa di ottenere, dal parte del Ministero del Lavoro, l’attestazione di equivalenza dell’autorizzazione concessa dall’autorità competente nel proprio Stato. h) L’art. 3 del d.p.r. n. 442 del 7 luglio 2000 (“Regolamento recante norme per la semplificazione del procedimento per il collocamento ordinario dei lavoratori, ai sensi dell'art. 20, comma 8, della L. 15 marzo 1997, n. 59”): tutela dei dati personali. i) Tutte le disposizioni legislative e regolamentari incompatibili con il presente decreto. j) L’art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 61/2000 (“Attuazione della direttiva 97/81/CE relativa all'accordo-quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall'UNICE, dal CEEP e dalla CES”) limitatamente alle parole da “Il datore di lavoro” a “dello stesso”: obblighi di comunicazione alla D.p.l. Capitolo 19 - NORME TRANSITORIE E FINALI (art. 86) Del contenuto delle norme transitorie si è dato conto in relazione ai singoli istituti cui esse si riferivano. Restano, pertanto, da trattare soltanto quelle disposizioni che hanno contenuto autonomo. 19.1 Associazione in partecipazione L’art. 86, comma 2, è diretto a reprimere i fenomeni di elusione delle norme di legge o di contratto collettivo relativi alla disciplina del contratto di associazione in partecipazione (art. 2549 c.c.), mediante il quale l’associante attribuisce all’associato la partecipazione agli utili dell’impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto, che può consistere anche in una prestazione di lavoro. La disposizione in esame qualifica come elusivi i rapporti di associazione in partecipazione nei quali il giudice accerti, con sentenza, che l’associato, il cui apporto consista nella prestazione di attività lavorativa, non abbia un’effettiva partecipazione e non percepisca adeguate erogazioni. Per quanto riguarda l’effettiva partecipazione e la conseguente distinzione fra l’associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa e il contratto di lavoro subordinato, occorre ricordare che la giurisprudenza ha costantemente individuato - quale elemento caratterizzante la “genuina” associazione in partecipazione – l’obbligo del rendiconto periodico dell’associante in relazione al potere di controllo sulla gestione economica dell’impresa esercitato dall’associato, e l’esistenza, in capo a quest’ultimo, di un rischio di impresa, ove non sia pattuito diversamente. Un ulteriore elemento di distinzione dal lavoro subordinato si ravvisa nel potere generico dell’associante di impartire direttive ed istruzioni all’associato senza, però, che sussistano quegli specifici poteri disciplinari e di controllo connaturati, invece, ad un vincolo di subordinazione (cfr. Cass. n. 2693/2001; Cass. n. 290/2000). Per quanto concerne l’altro requisito dell’adeguatezza dell’erogazione, di cui al comma 2, la giurisprudenza ha chiarito che nell’associazione in partecipazione con apporto della sola attività lavorativa non trova applicazione il principio della retribuzione sufficiente, di cui all’art. 36 Cost (Cass. n. 12052/1992). Pertanto, l’indagine circa l’adeguatezza dell’erogazione, nelle ipotesi in cui l’associato presti la propria attività lavorativa, non può limitarsi a valutare solo il profilo economico di tale compenso, ma deve avere ad oggetto la struttura del rapporto di associazione in partecipazione nel suo complesso, ossia prendere in considerazione il requisito dell’effettiva partecipazione. Di qui, dovrà giudicarsi adeguato quel compenso che, a prescindere dalla entità dell’erogazione, consegua ad un effettivo esercizio, da parte dell’associato, del potere di controllo sulla gestione dell’impresa. Ed infatti, per quanto attiene alla commisurazione del compenso, l’unica garanzia posta dalla legge a tutela dell’associato è costituita da quella disposizione (art. 2553 c.c.) che consente a quest’ultimo, mediante una espressa pattuizione, di essere del tutto escluso dalla partecipazione alle perdite. La disciplina dettata dall’art. 86, comma 2, attribuisce al datore di lavoro o committente o utilizzatore la possibilità di vincere la presunzione dell’esistenza di lavoro subordinato, che il giudice è solito operare laddove il confine tra lavoro subordinato e associazione in partecipazione sia labile ed emerga una sostanziale disparità tra le parti. Infatti, il datore di lavoro potrà dimostrare, mediante idonee attestazioni o documentazioni, che la prestazione, oggetto dell’accertamento giudiziale, non sia necessariamente da ricondurre all’alveo delle varie tipologie del lavoro subordinato, ben potendo trattarsi di un contratto di lavoro autonomo o di altro contratto espressamente previsto nell’ordinamento. Art. 86, comma 2 Associazione in partecipazione Sono elusivi delle norme di legge i rapporti di associazione in partecipazione nei quali il giudice accerti che l’associato, il cui apporto consista nella prestazione di attività lavorativa, non abbia un’effettiva partecipazione e non percepisca adeguate erogazioni. 19.2 Certificato di regolarità contributiva nell’edilizia L’art. 86, al comma 10, contiene una serie di norme che modificano l’art. 3, comma 8, del d.lgs. n. 494 del 14 agosto 1996. In analogia a quanto disciplinato per gli appalti pubblici, e nell’ottica di inserire una verifica della regolarità contributiva delle imprese del settore delle costruzioni anche per quel che attiene ai lavori privati, è previsto che il committente o il responsabile dei lavori chieda all’impresa esecutrice, tra i vari documenti, anche un certificato di regolarità contributiva. Il suddetto certificato può essere rilasciato dall’I.n.p.s. e dall’I.n.a.i.l. ma, per le imprese iscritte alla Cassa edile, è sufficiente la presentazione del documento unico di regolarità contributiva emesso da quest'ultima. La documentazione di cui sopra deve essere presentata, prima dell’inizio dei lavori o all’atto della denuncia di inizio attività, all’amministrazione concedente unitamente al nominativo dell’impresa esecutrice i lavori. La norma, che recepisce quanto le parti sociali nazionali dell'edilizia hanno pattuito con l'accordo del 29 gennaio 2002, concretizza una agevolazione per le imprese iscritte alla Cassa edile in quanto prevede l'unicità della documentazione attestante la regolarità contributiva. Art. 86, comma 10 Certificato di regolarità contributiva per le imprese del settore delle costruzioni Per le imprese iscritte alla Cassa edile è sufficiente la presentazione del documento unico di regolarità contributiva emesso da quest’ultima 19.3 Commissione regionale dell’impiego L’art. 86, al comma 11, dispone che l’abrogazione della disciplina dei compiti della commissione regionale dell’impiego, disposta dall’art. 8 del d.lgs. n. 297/2002, non opera (“…non si intende riferita…”) per quelle Regioni a statuto speciale per le quali non sia ancora avvenuto il trasferimento delle funzioni in materia di lavoro, ai sensi del d.lgs. n. 469/1997. 19.4 Accordi interconfederali L’art. 86, al comma 13, prevede che entro i cinque giorni successivi all’entrata in vigore del decreto legislativo, il Ministro del Lavoro convocherà le associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, allo scopo di verificare la possibilità di affidare ad uno o più accordi interconfederali, la gestione della messa a regime delle novità introdotte dalla riforma stessa, anche con riferimento al regime transitorio e all’attuazione dei rinvii alla contrattazione collettiva contenuti nella nuova legge. La disposizione, risponde all’esigenza di evitare che alcuni degli istituti più significativi della riforma, che offrono nuove opportunità di organizzazione dell’attività dell’impresa, possano rimanere inattuati o risultare inapplicabili per la mancata definizione, da parte della contrattazione collettiva, della disciplina di rinvio. A tal fine, la legge invita le parti sociali a definire, a livello interconfederale, una disciplina di riferimento, destinata a consentire non solo l’immediata applicabilità dei nuovi istituti, ma anche una adeguata definizione di normative transitorie. Art. 86, comma 13 Accordi interconfederali Per la gestione della fase transitoria e per l’attuazione dei rinvii alla contrattazione collettiva, è prevista la possibilità della sottoscrizione di appositi accordi interconfederali 19.5 Monitoraggio dell’I.n.p.s. L’art. 86, al comma 14, affida all’I.n.p.s. il compito di monitorare gli effetti derivanti dalle misure del decreto e di comunicare i risultati al Ministero del Lavoro e a quello dell’Economia, anche al fine dell’adozione, da parte di quest’ultimo, dei provvedimenti correttivi che si rendano necessari nel caso in cui nel corso dell’attuazione del decreto si verifichino scostamenti rispetto alle previsioni di spesa o di entrata. Nelle more dell’adozione dei suddetti provvedimenti correttivi, alle eventuali eccedenze di spesa, rispetto alle previsioni a legislazione vigente, si provvede mediante decreto del Ministero del Lavoro, di concerto con quello dell’Economia, con rideterminazione degli stanziamenti a favore del Fondo per l’occupazione, ex lege n. 236/1993. ALLEGATI