L’Epifania pasquale di F. de Zurbarán don Antonio Scattolini Fin dai primi secoli del cristianesimo, gli artisti hanno riservato un'attenzione speciale al capitolo 2 del vangelo di Matteo, dove si racconta il viaggio e l'adorazione dei Magi: questa pagina viene proclamata nella liturgia della solennità dell'Epifania. L’episodio dei magi, riveste un’importanza fondamentale nella storia della salvezza perché ci rivela la Manifestazione di Dio in Gesù Cristo, che è per tutti i popoli! Il racconto di Matteo, arricchito dalle integrazioni fantasiose dei Vangeli apocrifi e dalle amplificazioni leggendarie nei racconti del medio evo, viene qui meravigliosamente rappresentato da Zurbaran, grande pittore del ‘600 spagnolo, che realizzò questa tela, insieme ad altre per il grande altare maggiore (retablo) della Certosa di Jerez de la Frontera. L'adorazione dei Magi di Francisco de Zurbarán, 1638-1639, Museo di Grenoble Produzioni tipiche della Controriforma Cattolica, le tele di questa grande opera mettevano dunque l'arte al servizio della fede e della spiritualità, così come insegnavano le norme del Concilio di Trento: un'arte che doveva diventare omelia, esortazione, esegesi, esempio, testimonianza, invito all'estasi… il tutto per la maggior gloria di Dio! Probabilmente il" retablo" di Jerez, scomparso nell’800, era una delle opere più l'imponenti e significative in tal senso. Zurbaran, con la sua pittura, aiuta noi oggi, come una volta i monaci certosini di Jerez, a cogliere l'ampiezza e la profondità della manifestazione di Dio. L'ampiezza, perché questa manifestazione è per tutti i popoli, così come manifestano questi volti, così differenti ed esotici (non dimentichiamo che la Spagna aveva da poco realizzato un Impero universale con l’annessione dei territori d’oltreoceano, un Impero “sul quale non tramontava mai il sole!”, e che dava la sensazione di una estensione dell’Epifania fino agli estremi confini della terra, in coincidenza con un allargamento dell’opera missionaria tra genti pagane mai conosciute fino ad allora). Ma l’Epifania ci fa celebrare non solo l’ampiezza, ma anche la profondità di questa manifestazione di Dio in Cristo che si fa vicino, si fa corpo, perché l’uomo possa vederlo, sentirlo, toccarlo con le proprie mani. Ecco dunque il dettaglio stupendo su cui torneremo alla fine: l'incontro "vis-à-vis" tra il primo re Magio ed il bambino Gesù, punto focale della composizione, punto verso cui l'occhio scivola 1 immediatamente, per una convergenza studiata di diagonali, di sguardi e di luci. "Sì, la vita si è manifestata e noi l'abbiamo veduta" dice la prima lettera di Giovanni; sono le parole qui potremmo ritrovare sulla bocca di questo vegliardo che c'introduce risolutamente, lui venuto da lontano, nell'incontro ravvicinato con questo Dio bambino. Siamo al cuore dell'opera ed al cuore del mistero cristiano dell'Epifania. Come già accennato, l'evangelista Matteo parlando dei Magi non precisa il loro numero: è a partire dai regali, oro, incenso e mirra, che la tradizione iconografica venne a fissare il loro numero in tre! Il vangelo non parla neanche del fatto che fossero dei " Re." Ma Zurbaran ce li mostra così " i santi Re con eleganza e maestà ". Il numero di tre si prestava in questo senso a rappresentare la triplice discendenza di Noè: Sem, Cam e Jafet padri di tutti i popoli. Nella tradizione artistica più antica, per dire l'universalismo, si utilizzava il codice delle tre età della vita: un magio era giovane, uno adulto, ed uno vecchio… dunque si privilegiava il criterio cronologico. Solamente nel rinascimento con l'introduzione dei caratteri esotici dei Magi, si introduce il criterio geografico. Zurbaran aveva scelto di combinare insieme questo secondo codice geografico, diventato abituale in pieno '600, con quello anagrafico: così, veramente tutta l’umanità è ai piedi di Gesù. Comunque uno dei tre,con le mani giunte, in adorazione profonda, è più vicino. Resta sempre un primato di onore per il più anziano: gli artisti di solito rappresentavano davanti a tutti il vecchio, il più saggio, quello che più di tutti ha compreso la dimensione di questa nascita… quello che si prostra riconoscendo la divinità del bambino… Per realizzare questo magio adorante, il nostro artista avrà forse osservato l’atteggiamento di qualche nonno del tempo, estasiato nel guardare il suo nipotino! La posizione raccolta di questo " primus inter pares ", traccia con la sua schiena una diagonale ascendente che si prolunga nella sequenza dei visi del bambino-MariaGiuseppe: si compone così un triangolo che divide in due l'opera intera, con un gruppo al primo piano ed uno sullo fondo. Non dimentichiamo che il nostro artista è innanzitutto il "pittore dei monaci", così come è stato definito. Era un artista, cioè, che sapeva servire ed interpretare con fedeltà e con genio l’ambiente silenzioso e spirituale dei conventi. Così non doveva essere difficile per un religioso che cercava la profondità della comunione con Dio, rispecchiarsi nell'atteggiamento devoto di questo Magio, inginocchiato davanti alla sacra famiglia, con sulle spalle questo cappuccio di pelliccia, simile nella forma a quello del saio dei Certosini. Anche la raffigurazione di San Giuseppe, che appare discretamente dietro Maria, assolve questo compito di favorire l'identificazione del monaco, magari più giovane, in un personaggio della scena. Se l'iconografia antica l'aveva relegato in un ruolo marginale, nel rinascimento cominciò già la sua riabilitazione per merito dei nuovi ordini religiosi (i Carmelitani soprattutto) che ritrovavano in lui un modello di umiltà: Giuseppe incarnava soprattutto i voti di povertà, castità ed ubbidienza. Proprio a partire da questo periodo si cominciò a raffigurarlo sempre più come un anziano patriarca, come patrono della buona morte! Ma Zurbaran ce lo presenta ancora così, 2 giovane, bello e raccolto. Egli protegge Maria ed il Bambino restando indietro, in penombra; non dimentichiamo che il testo di Matteo 2,1-12 non fa menzione di Giuseppe, si dice infatti che i Magi “videro il bambino e Maria sua madre”. La preoccupazione, di eseguire esattamente le consegne dei monaci, spinse Zurbaran a curare molto la raffigurazione di Maria: il carattere più familiare ed intimo di un primo bozzetto, fu sacrificato a favore di una rappresentazione più ufficiale e solenne. I Certosini erano devotissimi a Maria Madre di Dio, considerata la patrona del loro ordine religioso, e celebravano le sue feste con una solennità straordinaria, soprattutto quella dell'Annunciazione. Nei loro testi spirituali era molto sottolineata l’attitudine pudica e fiera di Maria, la stessa che poi ritroviamo nelle Madonne di Zurbaran. Ma c'è qualche cosa di ancor più profondo in questa rappresentazione di Maria: l'episodio dei Magi si inserisce nella cornice oscura della minaccia di Erode, che porterà al massacro degli innocenti, preludio della passione e morte dell'innocente Gesù. Ebbene, questa Maria sembra già indovinare il destino sacrificale del Figlio: per questo il suo viso è attraversato da tristezza e preoccupazione. L'abbigliamento semplice dei membri della Sacra Famiglia fa da contrappunto allo splendore dei costumi dei Magi che sembrano usciti direttamente da una sartoria teatrale. Il mantello ampio di damasco dorato del primo Magio ci fa sentire quasi al tatto lo spessore fine della seta. E’ evidente qui il rimando al paramento liturgico del “piviale”: così, in certo senso, l’artista trasporta la scena nel contesto di un celebrazione, vero luogo “epifanico” che permette di partecipare con i ”sensi” all’incontro con il Signore, sempre attualizzato per ogni uomo di ogni tempo nella liturgia della Chiesa. Più indietro, il Magio moro indossa una larga cappa, di colore rosa che corrisponde dall'altro lato al colore del vestito di Maria. La bella collana ed il turbante fissato con un gioiello completano il suo abbigliamento esotico, che forse potrebbe risultare oggi particolarmente provocatorio per qualcuno, in tempi in cui si preferirebbe togliere il Magio moro e anche quello arabo… o almeno si vorrebbe riverniciarli di bianco per rendere questa presenza di “stranieri” meno imbarazzante! Al centro del quadro, in piedi, sta la figura del terzo Magio, in posa rigida e marziale. Questo Magio con l’elmo, armato di corazza e coperto di gioielli, sembra un ufficiale dei carabinieri, seguito dalla sua pattuglia (secondo alcuni critici rievoca il re e santo cavaliere Ferdinando) ed è posto in evidenza per richiamare il clima di minaccia che circonda il bambino. Con una non dissimulata ostentazione di sicurezza tipica di un gendarme, sembra rassicurare la Sacra Famiglia, come a dire: “Tranquilli, ci pensiamo noi a sistemare Erode!” Ci sono poi alcuni oggetti, sempre evidenziati nelle opere di Zurbaran, che acquistano una carica di significati con sottili rimandi spirituali. Zurbaran fa di queste" nature morte" una sorta di meditazioni pietrificate. È il caso di questa corona depositata per 3 terra accanto al regalo del Magio inginocchiato: si riferisce alla regalità terrena che riconosce nel Bambino colui che è venuto per inaugurare il Regno dei Cieli. È proprio a partire da questo oggetto, dei doni dei Magi che possiamo ritornare all'insieme dall'opera per scoprirne i messaggi più profondi. L'Epifania non è solamente avvenimento di manifestazione, è anche avvenimento di riconoscimento. È questo il senso delle offerte presentate a Gesù. Dunque al di là del gesto della prostrazione, anche l'oro, l'incenso e la mirra ci dicono qualche cosa del Bambino e della fede dei Magi. Come San Bernardo diceva a nome delle differenti voci della tradizione " Ciò che mi ispira la più grande ammirazione è che Gesù fu riconosciuto come Dio dai Magi e la prova sta nel fatto che gli offrirono l'incenso. Inoltre riconobbero in Lui non solo un Dio, ma anche un re, come lo manifesta l'offerta dell'oro. Tutti questi regali nascondono per essi un grande mistero di amore; per questo gli offrirono anche la mirra per indicare la sua morte”. E questi doni sono diversi, proprio perché ognuno dei Magi, ognuno di noi è diverso dall’altro. Quando tutte queste cose belle e diverse vengono offerte e messe insieme, quale splendido tesoro vien fuori!!! Così in compagnia del piccolo paggio sorridente che spunta a sinistra, anche noi possiamo riscoprirci gente in ricerca. Se si vuole incontrare il Signore bisogna mettersi al seguito di questi Magi, ritratti nell’atto finale dell’incontro, ma che hanno alle spalle un lungo cammino. I veri cristiani sono sempre dei pellegrini, dei cercatori con tutto il cuore e con tutte le forze: si tratta di farsi attenti, ai segni di Dio, alle tracce del suo passaggio invisibile. Sulle strade ci sono per tutti delle stelle… fino a quando, al termine del cammino ci sentiremo dire: “Voi non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio” (Efesini 2, 19). Per ultima, la luce, particolare in cui l’artista si rivela davvero straordinario. L'adorazione dei Magi di Zurbaran non è ambientata sotto un cielo notturno in cui, secondo la tradizione, risplende la stella. Siamo qui alle prime luci dell'alba, all'esterno di un edificio di cui il profilo architettonico scuro nasconde una parte della volta celeste. Da sempre la luce è stata accolta dai popoli come simbolo per eccellenza del divino che vince le tenebre del male. Per gli artisti barocchi, in seguito alla grande lezione di Caravaggio, la luce nelle pitture acquistava in particolare una forte connotazione religiosa ed era interpretata con le categorie di Sant'Agostino che vedeva in essa un veicolo della Grazia. Anche qui una metamorfosi misteriosa trasforma l'illuminazione in luce interiore. La luce di questa alba pasquale che si fa largo dietro le lance e le alabarde è un'eco anticipata di quella che sorgerà alle spalle dei soldati messi alla guardia del sepolcro in Matteo 27,62-66 (… è lo stesso evangelista dell'Epifania). Solamente al mattino di Pasqua vedremo il compimento della manifestazione e la "luce del vero" comincerà a diffondersi da Gerusalemme fino agli estremi confini della terra (cfr. prima lettura dell’Epifania: “Alzati, rivestiti di luce…” Isaia 60,1-6). Grande, geniale intuizione del nostro artista che reinterpreta 4 così il tema dell'astro di luce sorto da oriente per guidare i Magi da Cristo… quello stesso Cristo che nell'inno di Pasqua è invocato come" stella del mattino". Ecco dunque la" stella" del mattino, la "luce delle genti": il Bambino. Allora, al termine di questa contemplazione, nella cornice luminosa di questa alba pasquale, ci meravigliamo di potere come i Magi accogliere la manifestazione/l'Epifania di Dio in termini corporali nel viso di un bambino: ciò che vediamo, ciò che sentiamo, ciò che tocchiamo! Ecco perché possiamo provare anche noi una “grandissima gioia”. Per l'azione dello spirito del Risorto, la nascita e la manifestazione di Gesù può prendere corpo anche in noi oggi, nella nostra fede che c'invita a camminare con ogni uomo di ogni terra e di ogni tempo in questa presenza, verso la pienezza dell'Epifania escatologica. 5