Il multiculturalismo

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Il multiculturalismo
Martiniello ha scritto questo libro dalla sua esperienza professionale:
La prima in belgio:
terra di immigrazione e teatro di opposizioni anche se non violente.tra i due gruppi linguistici,
etnici, nazionali e culturali:
 I fiamminghi di lingua olandese.
 Valloni di lingua francese.
Lo stato belga ha cercato di conciliare la diversità etnica, culturale e linguistica
Con l’unità socio-politica.
La seconda tratta dall’osservazione della situazione del nord america e degli stati uniti. Alle
prese con il razzismo.
Terra di immigrazione, gli stati uniti discutono sempre del loro avvenire, intorno al futuro
della cultura e dell’identità del paese.
Il multiculturalismo.
 Sarà fatale all’ideale americano dell’interazione.
 Oppure è destinato a salvare la società dalla frammentazione etnica, razziale e
culturale.
Anche l’Italia dagli anni ’70 è diventata terra di immigrazione e ha accettato questa sua
condizione più rapidamente di quanto non hanno fatto altri paesi europei.
La presenza di immigrati sta modificando molte cose nella vita quotidiana e istituzionale:
 I giovani ascoltano musica di tutto il mondo.
 Le città offrono vasta scelta di ristoranti esotici.
 Gli immigrati stringono rapporti affettivi con gli italiani.
 Gli immigrati si inseriscono nelle strutture del paese, dei sindacati e nel mondo
politico.
La perfetta armonia è fuori questioneper l’odioso razzismo (come nel calcio e in alcune
città).
Assistiamo alla nascita di diverse leghe che si interessano sull’identità nazionale.
La presenza leghista  una nuova classe agiata che si è autocostruita con il lavoro ed ha
l’egoismo del parvenus.
I leghisti respingono la solidarietà.
La loro logica egoistica prende i toni di una purezza culturale ed etnica.
 non è in linea con l’evoluzione sociologica.
Le affermazioni dei leghisti rappresentano un ostacolo:
 Alla democrazia.
 Alla multiculturità della società.
Esitono tensioni:
Da una parte l’apertura multiculturale.
Dall’altra le diverse forme di chiusura localistica.
INTRODUZIONE:
La fine della guerra fredda ha dato via ad una nuova fase nuova
La mondializzazione dell’economia capitalista.
Periodo di Certezze sociali ed economiche.
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Relativa stabilità politica mondiale.
La diffusione dell’economia ha reso ancora più profondo il divario tra:
 La minoranza dei ricchi.
 La maggioranza dei diseredati.
Nonostante il benessere e le evoluzioni positive, esiste ugualmente:
 La disgregazione,
 L’esclusione
 Le disuguaglianze sociali.
Il “villaggio globale” è sempre più diviso e frammentario.
Emergono tendenze alla standardizzazione della cultura di massa e al villaggio mediatico
globale, sostenute da uno sviluppo tecnologico. Come:
 macdonaldizzazione
 e la generazione MTV su scala mondiale.
Queste mirano ad un recupero della specificità culturale e dall’affermazione d’identità
etniche, nazionali e culturali, a volte molto restrittive.
Nelle sue diverse forme, il nazionalismo rimane un’ideologia potente e le identità etniche e
culturale possono rappresentare un rifugio rassicurante per le popolazioni che si sentono
inadeguate a questi cambiamenti che sono in atto nel “villaggio globale”.
La riscoperta della diversità etnica, culturale e identitaria all’interno dei sistemi politici, è
accompagnata da un sorgere di ideologie e di pratiche sociali e politiche ispirate a forme
esacerbate di nazionalismo e di localismo, se non di razzismo che sono minacce per l’ordine
democratico.
 Le diversità etniche e culturali incutono timore.
 Mentre le comunità locali, nazionali e razziali sono sentite come naturali e rassicuranti.
I rapporti tra gli stati nazionali in via di trasformazione e una popolazione sempre più
diversificata, costituiranno una pricipale riflessione sulla democrazia e sul superamento dello
stato nazionale tradizionale.
 Il primo capitolo affronta:la diversità e la differenziazione affettiva delle società.
 Il secondo capitolo affronta il problema delle differenze culturali.
 Il terzo capitolo affronta gli espedienti a cui le nazioni ricorrono per gestire e
controllare la diversità culturale e identitaria.
 Il quarto capitolo affronta il multiculturalismo.
 Il quinto capitolo esamina i potenziali pericoli e minacce di certe forme di
multiculturalismo che rappresentano per la coesione sociale.
 Il sesto capitolo suggerisce alcune linee di intervento per sbloccare la situazione:
conciliare la cittadinanza con il multiculturalismo.
I° Capitolo: la riscoperta della diversità culturale e identitaria.
Secondo alcuni osservatori saremo passati
 Da una società monoculturale caratterizzata da una forte identità nazionale
 ad una multiculturale caratterizzata da un’identità nazionale debole e da una fioritura di
culture diverse più o meno aggressive.
La diversità culturale e identitaria non è una novità.
Tutte le società umane sono diversificate: la diversità è sinonimo di vita.
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(la clonazione ha una ridottissima speranza di vita e contraddice il principio stesso della vita
sociale).
1.1Costruzione nazionale e omogeneità culturale.
Lo stato nazionale non è una realtà naturale ma una costruzione storica e politica legata alla
modernità.
Si è sviluppato in seguito a due rivoluzioni,
 Quella americana
 E quella francese, con il sostegno di un principio: il nazionalismo.
Il nazionalismo è complesso. È la volontà di far coincidere le frontiere politiche con quelle
culturalistato e nazione dovrebbero essere una cosa sola.
Nella concezione civica:
 La nazione è un insieme di individui con uguali diritti e uguali doveri i quali hanno
concluso un contratto con lo stato.
 La nazione etnica raggruppa un insieme di individui che abbiano caratteristiche e
tratti comuni ereditati dal passato, quali il sangue, la cultura, o la lingua. (questo
riguarda in particolare il nazionalismo tedesco).
La formazione degli stati nazionali è un duplice processo:
 Costruzione della cultura e dell’identità nazionale.
 Costruzione di una particolare forma di organizzazione politica.
Nei due casi il materiale è differente.
 Nel nazionalismo etnico l’ideologia è posta al servizio di un progetto di
standardizzazione mai riconosciuto come tale.
 Nel nazionalismo civico è compito delle istituzioni (scuola, esercito,ecc.) costruire e far
accettare la definizione di cultura e dell’identità nazionale.
La standardizzazione culturale e identitaria esige la conformità nello spazio pubblico.
Nello spazio privato l’individuo può continuare a sviluppare, al riparo dal controllo sociale,
comportamenti culturali specifici e coltivare identità diverse.
Naturale o costruita, l’omogeneità culturale è considerata la norma sociale.
La diversità culturale o identitaria è negata o rilegata nella sfera privata.
La forza dei nazionalismi nasce appunto dalla duplice capacità:
 Da una parte ridurre la diversità culturale oggettiva nelle società
 Dall’altra mascherarla agli occhi degli individui creando una comunità immaginaria.
1.2. La questione razziale, la rinascita etnica e il regionalismo (1960-1970).
Anni ’60-’70 sono caratterizzati dalla nascita di tre importanti fenomeni:
 Movimento dei diritti civili e affermazione delle minoranze razziali negli stati uniti
 La rinascita etnica tra le popolazioni americane di origine europea
 La ricomparsa del problema dei regionalismi nell’Europa occidentale.
 Andrebbe anche aggiunto lo sviluppo dei nazionalismi del Terzo mondo.
Ogni costruzione nazionale è sempre un processo d’inclusione e di esclusione.
La popolazione americana si è sviluppata grazie agli immigrati dell’Europa
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L’ideologia “melting pot” prevedeva che la nazione fosse l’incrocio di culture e d’individui liberi
ed uguali.
La sua formazione poggia anche su esclusioni come gli indiani confinati nelle riserve, la
schiavitù e i neri importati dall’Africa.
Esclusi dalla nazione americana per il colore della pelle.
Negli anni 60 nascono movimenti non violenti per i diritti civili dei neri, con a capo Martin
Luther king. Il governo prese provvedimenti con il principio di uguaglianza.
Quel periodo è fondamentale anche per la ri-costruzione delle identità collettive e della
cultura afroamericana.
L’orgoglio dei neri era lo slogan black is beautiful.
Ricostruendo una ricca cultura specifica. A poco a poco fanno valere la loro particolarità
etnica.
La rinascita etnica investe anche i discendenti degli immigrati europei. Questa “rinascita
etnica” è tanto più sorprendente in quanto interessa delle popolazioni che non subiscono
discriminazioni particolari in ragione della loro origine etnica.
In Europa occidentale i movimenti ragionalisti cominciano a mettere in discussione
l’omogeneità degli stati nazionali
 alcuni paesi hanno avuto qualche difficoltà per l’unificazione nazionale.
In Belgio, infatti, ciclicamente si confrontano fiamminghi e valloni.
Nel Regno, Unito gallesi e scozzesi.
In Spagna, catalani e baschi.
Si tratta di rivendicazioni culturali e linguistiche.
1.3. Immigrazione, ultranazionalismo, neonazionalismo e nuove minoranze.
Dai primi anni 70 l’immigrazione era un fenomeno economico congiunturale.
Gli immigrati sono una mano d’opera destinata a sanare certe deficienze del mercato del
lavoro.
La loro presenza è vista come temporanea. Ma ci si rende conto che l’immigrazione si è
stabilizzata, è diventata una componente strutturale della società.
Gli immigrati e le loro famiglie si sono insediate stabilmente.
La loro presenza è irreversibile.
Prima gli immigrati vivevano la loro condizione come un temporaneo esilio economico, poi il
definitivo insediamento e l’ingresso dei figli nella vita sociale li inducono a mutare
l’atteggiamento.
La temporanea messa in secondo piano di certe pratiche culturali o il loro mascheramento,
diventano inaccettabili.
Mentre si adattano, gli immigrati conservano aspetti della loro cultura per tramandarli ai figli.
Essi la trasformano e la adattano al nuovo contesto sociale proprio come gli “autoctoni” che
sono interessati alla nuove pratiche culturali con cui vengono a contatto.
Gli stati uniti si chiedono se possono ancora permettersi di essere una nazione d’immigrati.
Molte società europee scoprono che l’immigrazione sarà un elemento importante della loro
riproduzione.
I movimenti neonazionalisti, ultranazionalisti e razzisti ne fanno una delle poste in gioco della
loro azione.
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Tutti hanno un elemento in comune:
 Si oppongono alla diversificazione culturale e identitaria della società. (Minacciata
dagli immigrati).
Negli anni 80-90 è riaffiorata la questione delle minoranze nazionali e anche le diverse
minoranze comportamentali.
Nascono anche nuove rivendicazioni: il diritto alla differenza nei comportamenti sessuali.
Gli estremismi religiosi hanno in comune il rifiuto del dialogo democratico e la volontà di
imporre, a tutti i costi, il loro punto di vista.
1.4. Le molteplici sfaccettature delle diversità.
Le affermazioni culturali e identitarie degli ultimi trenta o quarant’anni riflettono
innegabilmente la diminuita capacità, da parte dello stato, di controllare e definire le
frontiere dello spazio pubblico.
Nella società moderna la diversità culturale e identitaria presenta molteplici sfaccettature:
Le minoranze nazionali, le popolazioni indigene, le minoranze religiose, le comunità formate in
seguito alle immigrazioni, le minoranze sessuali e comportamentali e le minoranze soggette a
discriminazione razziale come quelle nere e latino-americane.
 Alcuni non contestano il primato della nazionalità e dello stato, altri si attivano per
provocarne la dissoluzione.
 Alcuni presentano identità aperte e favoriscono il dialogo, altri esaltano la purezza e
l’esclusività e si isolano nella loro comunità creando “ghetti culturali”.
 Alcuni sono profondamente pacifici, altri possono ricorrere alla violenza.
 Alcuni si situano in una prospettiva a lungo termine, altri conoscono solo un’esistenza
effimera.
Formandosi e trasformandosi, nascendo e scomparendo, questi ultimi gruppi plasmano
l’esistenza quotidiana di una società.
Tutte le società umane sono di fatto multiculturali, ma ognuna lo è a modo suo. Negare tale
diversità sarebbe un errore, non solo perchè continuerebbe ad esistere, ma perché certe
identità e certe culture ignorate rischierebbero di sprofondare nel radicalismo, mettendo a
repentaglio la coesione sociale e politica.
Pensare il multiculturalismo è necessario se si vuole mettere la società al riparo dalle
degenerazioni insite nella logica della purezza.
Non deve esistere una scelta tra le due società, l’una multiculturale e l’altra culturalmente
omogenea.
Ogni società deve funzionare con un multiculturalismo adeguato alla sua popolazione e alla sua
storia.
II° Capitolo. Dai conflitti economici e ideologici alle guerre culturali?
La recente riscoperta della diversità culturale e identitaria apre alla comprensione.
Siamo entrati in una fase della storia dell’umanità caratterizzata dal diffondersi della
solidarietà, dei conflitti e delle guerre culturali, a livello sia nazionale che sopranazionale, e
dal declino della solidarietà, dei conflitti e delle guerre di natura economica e ideologica?
2.1. La fine dei conflitti economici e ideologici.
Gli ultimi decenni hanno segnato il passaggio alla società postindustriale.
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La società industriale, con una struttura verticale, era composta da classi con le
disuguaglianze economiche, sociali e politiche.
 La società postindustriale si fonderebbe su un’economia mondializzata dei servizi, della
tecnologia e dell’informazione.
Certe regioni sono riuscite a gestire la riconversione economica puntando sullo sviluppo di
tecnologie moderne e di servizi delle nuove industrie.(in nessun caso capaci di creare posti di
lavoro per compensare le perdite dovute alla deindustrializzazione).
Altre invece sono diventate autentiche zone disastrate, con una popolazione disorientata e
condannata a inventare tecniche di sopravvivenza originali.

La tendenza alla delocalizzazione ha ridotto la base del movimento operaio, che ha visto
diminuire il suo potere.
Dall’altra parte le ideologie di ispirazione maxista e socialista hanno gradualmente perduto
terreno. Il liberalismo trionfante è diventato il “pensiero unico”.
Nella società postindustriale:
Le contrapposizioni ideologiche sarebbero scomparse e la stessa classe operaia
sopravvivrebbe allo stato residuo in ciò che resta dei bacini industriali.
Il movimento operaio avrebbe perduto il suo potere, ma soprattutto la sua ragion d’essere.
I conflitti sociali avrebbero disertato il mondo industriale per spostarsi nei centri urbani
degradati e nelle periferie dove si concentrerebbero gli “esclusi”.
 Caratterizzati da appartenenza etniche e culturali distintive.
Queste analisi conducono ad affermare che:
La solidarietà, le dinamiche e i conflitti etnici e culturali stanno alla società postindustriale,
come
La solidarietà, le dinamiche e i conflitti di classe stanno alla società industriale.
Dinamiche etniche e culturali:postindustrialità= dinamiche di classe: industrialità.
Non bisogna sostituire il paradigma classista con uno etnoculturale.
La riscoperta della cultura e dell’identità non annulla l’importanza della classe sociale.
Le classi sociali non sono culturalmente omogenee a causa dell’immigrazione.
Oggi nelle comunità formatesi con l’immigrazione, è in corso una stratificazione sociale e d
economica che incrina la solidarietà etnica predicata da certi attivisti.
Si è parlato in Francia di una nuova borghesia formata da figli d’immigrati arabi,
“beurgeoisie”.
In gran Bretagna l’élite originaria del sub continente indiano, è lontana dal mostrarsi
solidale con gli immigrati poveri e con gli “esclusi” venuti da quella stessa regione.
Occultare il sociale come si era fatto per la cultura non servirà a far progredire la nostra
conoscenza.
2.2. Verso una guerra globale delle culture e delle civiltà?
Per Samuel Huntington la cultura e le identità culturali costituiscono i sistemi principali di
coesione, di disgregazione e di conflitto nel mondo succeduto alla guerra fredda.
Secondo Huntington si assiste all’emergere di un ordine mondiale basato su nove civiltà
distinte, dai contorni ben definiti.
Sopravvivono le pretese universalistiche dell’occidente
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Le civiltà non occidentali riaffermano vigorosamente il valore delle rispettive culture.
Risultato di questo disaccordo è un maggiore rischio di “scontro” delle civiltà su scala
planetaria.
Non bisogna sottovalutare gli scontri di origine etnico e culturale.
Spesso dietro a dei contrasti, in apparenza etnici e culturali, si celano obiettivi e cause di
natura economica.
I conflitti culturali spesso sono una conseguenza delle disuguaglianze e dei contrasti sociali
ed economici.
Singapore e Bangkok appartengono alla stessa civiltà asiatica ma differiscono sensibilmente
nella cultura e nell’organizzazione sociale.
Huntington trascura le possibili alleanze tra nazioni appartenenti a civiltà diverse. Eppure
qualcosa di simile è accaduto durante la guerra del Golfo: paesi occidentali si sono alleati con
paesi di area islamica per combattere un altro paese musulmano.
In contrapposizione all’idea di Huntington si potrebbe sostenere che
I rapporti sempre più frequenti tra le civiltà favoriranno una tendenza al cosmopolitismo
globale e non l’insorgere di un conflitto generalizzato.
2.3. La diversità culturale: un ostacolo alla costruzione europea?
Il processo di costruzione europea avviato dopo la seconda guerra mondiale è tuttora in corso.
Gli ostacoli all’integrazione sono molti: la diversità culturale è un problema di fondo che
impedisce la costruzione di un’Europa comunitaria più unita.
Per risolvere le tensioni legate alla costruzione di un’entità politica culturalmente eterogenea,
sono stati elaborati due principali approcci:
 Entrambi mirano a fare dell’Europa una realtà monoculturale, rendendo plausibile l’idea di
uno stato nazione europeo.
Qualcuno progetta di costruire uno spazio culturale sulla base di una serie d’iniziative
politiche in diversi campi: studio delle lingue europee, scambi nel settore dell’istruzione,
iniziative nel campo della traduzione, dell’editoria, dell’audiovisivo.
Sotto quest’ottica l’Europa appare come una comunità di destini con una cultura e un’identità
ancora da costruire.
Il problema non consiste tanto nelle differenze culturali oggettive tra gli stati membri, ma
nella percezione di un progetto europeo unificante capace di insidiare le culture e le identità
nazionali a cui certe fasce di popolazione sono legate.
L’Europa potrà essere solo una costruzione che rispetti le diverse identità nazionali e culturali
che la compongono.
Potrà eventualmente innestarsi un’identità europea flessibile e in evoluzione, cioè aperta.
Ma con gli squilibri che esistono sembra che non si proceda sulla strada dell’unione.
2.4. Il fallimento degli stati multinazionali?
Per un’omogeneità nazionale e culturale si sono dovute combattere guerre spietate.
 La spartizione della Cecoslovacchia è stata pacifica e non per questo indolore.
 Altri stati multinazionali subiscono pressioni di stampo separatista che mettono in
forse la loro sopravvivenza.
 In Belgio la coabitazione tra fiamminghi e valloni nel medesimo stato è un problema
cronico. Si è parlato di una possibile spartizione del paese.
7


In Canada, il Quèbec è ad un passo dal diventare uno stato dipendente.
Perfino la pacifica Svizzera sembra scossa dalle tensioni linguistiche da mettere in
forse l’unità nazionale che sembrava solida.
Il fallimento degli stati nazionali sarebbe ineluttabile a causa delle oggettive differenze
culturali e identitarie tra i gruppi nazionali, le quali impedirebbero l’emergere di un’entità
statuale tanto forse da trascendere le diverse identità.
Si sostiene che solo un regime dittatoriale possa costringere nazioni differenti a convivere
all’interno dello stesso stato.
Ma gli stati multinazionali sarebbero sempre destinati a scomparire per mancanza di coesione
culturale.
Si tratta di una vera e propria legge della storia della politica.
La coabitazione di più nazioni all’interno di uno stesso stato rappresenta una situazione
anomala e insostenibile.
I risultati sarebbero sempre gli stessi: l’instabilità politica, i conflitti e il ritorno ad entità
politiche mononazionali culturalmente omogenee.
Nulla può spiegare e nulla può prevedere la caduta di questi stati nazionali.
 In primo luogo, tutti gli stati attuali, multinazionali o no, sono costruzioni storiche
legate alla modernità e potrebbero sparire come sono apparsi.
 In secondo luogo, inutile cercare una spiegazione globale valida per tutti gli stati, ogni
caso è il risultato di una storia e di certe condizioni specifiche.
 In terzo luogo, la differenza culturale da sola non basta a provocare la caduta degli
stati multinazionali. È vero invece che quando le disuguaglianze economiche e politiche
si sovrappongono a quelle culturali e nazionali, l’instabilità e i conflitti politici diventano
probabili.
 Il quarto luogo, sarebbe bene definire il legame che esiste tra democrazia ed
eterogeneità nazionale e culturale degli stati.
La caduta degli stati multinazionali andrebbe attribuito ad un concorso di fattori economici,
culturali e politici.
2.5. Frammentazione etnico-culturale e disuguaglianze economiche e sociali.
La frammentazione etnica e culturale è provocata dalle rivendicazioni delle minoranze
indigene, razziali e immigrate.
In Europa il dibattito sul multiculturalismo è diverso da paese a paese, ma la presenza degli
immigrati (che appaiono sempre più diversi sotto il profilo culturale), fa sorgere dubbi sui
rischi che l’unità e l’identità della nazione corrono per colpa della frammentazione culturale ed
etnica.
Alcuni parlano di terzomondializzazione e di islamizzazione dell’Europa.
L’immigrato, dopo essere stato considerato per lungo tempo un agente esclusivamente
economico, diventa un elemento del panorama culturale, a seconda delle interpretazioni:
o arricchisce la nostra cultura,
o la mette in pericolo.
Ogni riconoscimento culturale ed identitario che proviene da queste popolazioni di origine
straniera è accolta con scetticismo. Si teme che possano trattarsi di attacchi mascherati
contro la coesione nazionale.
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Negli stati uniti come in Europa, il fossato che divide
 I ricchi dai poveri,
 I quartieri centrali o periferici in preda al degrado dalle lussuose zone residenziali dei
benestanti,
continua ad allargarsi e si imprime nel passaggio urbano.
Negli stati uniti interi quartieri sono privi di servizi di luoghi di lavoro, la popolazione è in
prevalenza nera o immigrata di recente. Si registrano alti livelli di criminalità e di insicurezza.
È raro che in Europa la segregazione etnica e razziale sia cosi forte come negli stati uniti, ma
in entrambe le società si tende ad affermarsi progressivamente una vera forma di “apartheid
sociale”.
Il tema dell’esclusione non basta a descrivere l’insieme delle disuguaglianze sociali ed
economiche. Gli stessi “garantiti” sono separati da distanze enormi.
Nella scala della società postindustriale, Bill Gates e un dipendente part time occupano
certamente posti molto diversi.
Il crescente divario sociale ed economico rappresenta l’antitesi della coesione civile.
L’attuale problematizzazione delle differenze culturali e delle identità nel dibattito pubblico
appare eccessiva, ma non è un falso problema.
III° Capitolo: Il trattamento nazionale della diversità culturale e identitaria.
Tutte le società sono eterogenee, ognuna presenta delle diversità culturali ed identitarie.
Il filosofo, Will Kymlicka fa una distinzione tra le società multiculturali che sono:
 Multinazionali la diversità culturale ed identitaria deriva dall’inglobamento di entità
culturali esistenti nello stesso stato, esistenza di gruppi nazionali, di maggioranza o di
minoranza.
 Polietniche la diversità culturale è il risultato dei processi migratori che danno luogo
alla formazione di gruppi etnici.
I modelli nazionali astratti di gestione della diversità sono spesso presentati come
incompatibili.
In altre parole nelle società pluralistiche si manifestano tendenze concrete all’assimilazione,
tendenze pluraliste emergono nelle società assimilazioniste.
3.1. Modelli nazionali di gestione della diversità etnica e culturale?
Il dibattito sull’integrazione degli immigrati e sulla società multiculturale è stato sempre
condizionato da un insieme d’opposizioni binarie:
 Assimilazione/pluralismo.
 Universalismo/particolarismo.
 Individualismo/com’unitarismo.
 Egualitarismo/differenzialismo.
Tali opposizioni hanno permeso di definire due “modelli”:
 Uno assimilazionista di stampo francese.
 Uno pluralista
 di stampo anglosassone.
In Francia si presume che tutti gli individui abbiano gli stessi diritti e gli stessi doveri,
indipendentemente dall’origine etnica, razziale, confessione, pratiche culturali.
Essi sono uguali davanti alla legge. Eventuali particolarismi possono essere praticati in forma
privata.
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Sulla scena pubblica si riconosce solo quella che Dominique Schnapper chiamava “comunità dei
cittadini”Individui uniti allo stato da un medesimo contratto sociale.
Nel modello anglosassone pluralista, la società consisterebbe in una giustapposizione di
comunità etniche e culturali in competizione, se non in conflitto, per imporre la propria cultura
alla società.
Traducono entrambi due diverse filosofie dell’integrazione nazionale, due tipologie della
nazione o anche due immagini di essa. La distinzione contrappone due progetti di società
nazionale ideale e perfetta.
Una società assimilazionista pura ed una società esclusivamente pluralista non esistono in
quanto tali. Entrambi hanno tendenze dell’altro.
3.2. L’approccio assimilazionista.
Nelle società assimilazioniste si presume che gli immigrati e le potenziali minoranze nazionali
si integrino nella maggioranza.
Lo straniero ed il rappresentante della minoranza nazionale rinuncerebbero alle loro
caratteristiche e alla loro identità culturale, o almeno le coltiverebbero nella loro vita privata,
adottando invece gli schemi di comportamenti culturali della maggioranza.
Lo stato adotta diverse politiche per facilitare tale transazione culturale ed identitaria.
Lo stato prevede anche una politica dello ius soli che attribuisce automaticamente la
nazionalità a chiunque sia nato all’interno dei confini nazionali.
Questo approccio è riscontrabile negli stati uniti, in Canada e anche in Francia.
L’appartenenza alla nazione Francese è esclusiva e indivisibile:
per la legge esistono solo francesi e stranieri: tutti i cittadini francesi hanno formalmente gli
stessi diritti e gli stessi doveri.
I “francesi di origine straniera” non hanno esistenza legale.
I nuovi arrivati sono tenuti ad esprimersi in pubblico nella lingua della nazione ospite e ad
adottarne la cultura.
Nessun cittadino fruisce di un trattamento differenziato in nome della sua appartenenza. La
libertà di culto è rispettata, ma appartiene alla sfera del privato.
3.3. L’approccio pluralista.
Un certo grado di diversità culturale e identitaria è ammesso nell’approccio di tipo pluralista.
La specificità e l’identità culturale delle minoranze sono pubblicamente riconosciute o
tollerate.
Gli individui sono liberi di organizzarsi per mantenere viva la loro cultura e la loro identità nel
rispetto della legge.
Lo stato non interviene in campo finanziario per promuovere la sopravvivenza delle culture
minoritaria. Ogni gruppo può organizzare corsi di danza, lingua, cucina della propria cultura ma
le autorità non accordano finanziamenti per simili iniziative.
Altre volte il mantenimento della diversità culturale e identitaria è parzialmente incoraggiato.
Gli approcci pluralisti si traducono in politiche della nazionalità e della cittadinanza
relativamente aperte, nelle quali è centrale in concetto di ius soli.
3.4. L’inclusione/esclusione differenziata.
Questo approccio ha due diverse situazioni.
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Nella prima, solo alcuni gruppi minoritari presenti prevedono riconosciuta la loro esistenza.
Come in Belgio accorda il riconoscimento a gruppi nazionali(fiamminghi valloni e cittadini di
olandesi) mentre a minoranze formate con immigrati non è previsto nulla.
Nella seconda, l’inclusione di tali minoranze è controllato dallo stato. In Germania, intorno
agli anni ’60 gli immigrati, chiamati “lavoratori ospiti”(gastarbeiter), erano assorbiti
facilmente da certi settori del mercato del lavoro, ma la loro assimilazione culturale non era
ritenuta auspicabile perché si supponeva che di li a poco sarebbero rientrati nei rispettivi
paesi. Lo stato incoraggiava in diversi modi la sopravvivenza della loro cultura, non per
favorire una società multiculturale ma per facilitare il ritorno degli immigrati nei loro paesi e
tutelare la loro omogeneità culturale tedesca.
Nei paesi che favoriscono questo tipo di approccio, la politica della nazionalità e della
cittadinanza è più restrittiva.
 Il principio in base al quale la nazionalità viene concessa è lo ius sanguinis o diritto del
sangue.
Più che all’inclusione degli stranieri serve in realtà alla loro esclusione.
Nelle diverse realtà nazionali, quale che sia il “modello” dominante, si assiste alla messa in atto
di politiche ispirate ad un approccio che può essere di volta in volta assimilazionista, pluralista
o differenziato.
Cioè, se ogni paese tende ad affermare i pregi di un “modello” nazionale di gestione della
diversità culturale, si osserva che i modelli nazionali sono spesso sfasati rispetto alla realtà. I
modi sono tre:
 Lo sfasamento avviene tramite il modello e il genere di politica effettivamente
adottato
 Lo sfasamento aumenta quando un paese passa da un approccio concreto ad un altro,
pur mantenendo immutato il discorso del suo “modello” nazionale.
 Lo sfasamento avviene quando le pratiche sociali, politiche e amministrative a livello
locale possono contraddire sia gli approcci politici sviluppati, sia il “modello”
d’integrazione affermato dall’ideologia nazionale.
3.5.Lo sfasamento tra i “modelli”nazionali e la realtà.
Si possono portare molti esempi del divario che intercorre tra il “modello” ed il genere di
politiche effettivamente adottato.


Per esempio la Francia in teoria lo stato per restare fedele al modello repubblicano
non dovrebbe riconoscere nessuna forma d’identità, nessun particolarismo culturale o
religioso, esistono solo i cittadini francesi. Nessuna minoranza deve essere oggetto di
pubblico riconoscimento, ma non avviene sempre così, lo stato francese riconosce certe
identità particolari all’interno della comunità dei cittadini.Non dobbiamo pensare che la
Francia non sia assimilazionalista, ma solamente che il repubblicanesimo integrale è
possibile solo in un “modello” astratto.La Francia ha adottato politiche di tipo
pluralista, riconoscendo certe identità e ignorandone altre, talvolta essa si avvicina a
quelle società che praticano l’inclusione/esclusione differenziata.
Nei Paesi Bassiesiste un caso di mutato approccio alla diversità culturale. Essi hanno
attuato una politica delle minoranze etniche fondata sul rispetto delle differenze
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culturali tra le comunità nate dall’immigrazione. Si tratta di una delle forme più
elaborate di politica multiculturalista in Europa.
Verso gli anni ’80 la politica delle minoranze portava ad un’emarginazione degli immigrati e dei
loro figli. Poco a poco le politiche d’integrazione hanno adottato un orientamento più
assimilazionista.
In altri paesi si riscontra una certa distanza tra le pratiche sociali e politiche e
amministrative locali e l’approccio politico globale e il “modello” astratto di integrazione.
 Politiche ispirate ad un “modello” assimilazionista possono essere applicate in modo
particolaristico e differenziato.
 Politiche ispirate ad un “modello” multiculturalista possono essere amministrativamente
applicate in senso universalistico e assimilazionalista.
La Francia è più vicina al multiculturalismo di quanto non voglia riconoscere.
La Gran Bretagna è più assimilazionista di quanto non dica di essere.
Indipendentemente dal “modello” di integrazione che difendono e dalle politiche alle quali
approdano, le diverse società europee devono affrontare, a livelli diversi, problemi simili.
 Dovunque si creano disuguaglianze sociali e politiche a danno dei ceti popolari, tra i
quali sono ampiamente rappresentanti gli immigrati e dei loro figli.
 Dovunque sopravvivono forme di razzismo e di discriminazione di fatto.
 Dovunque s’istituisce una certa segregazione residenziale.
In ogni società si riscontrano forme di tensione tra universalismo e particolarismo di cui i
modelli obsoleti non sanno dare ragione ne fornire la chiave.
Diventa necessario uscire dall’impasse, dal ghetto mentale rappresentato dalla rigida
opposizione tra assimilazionismo e multiculturalismo.
IV° Capitolo: che cos’è il multiculturalismo?
Il termine multiculturalismo cambia significato a seconda dell’autore, della disciplina, della
scuola di pensiero e della nazione.
Generalmente viene usato per descrivere la diversità, la diversificazione demografica e
culturale delle società umane.
Il Petit Robert lo definisce semplicemente come “la coesistenza di più culture in uno stesso
paese”.
4.1. Le pratiche sociali: il multiculturalismo “soft”.
La diversità culturale è esaltata da alcuni ed esecrata da altri.
Gli stili di vita e le abitudini di consumo di una parte della popolazione, relativamente
benestante e di livello di istruzione medio-alto, si modificano attraverso l’adozione di elementi
provenienti da alcune culture importate dagli immigrati, che vengono sentite come straniere
ed esotiche.
L’esaltazione del multiculturalismo si manifesta nell’interesse suscitato dalla cucina, dalla
musica, dal modo di vestire e dalla filosofie che spesso vengono definite “etniche”.
La diversità è ricercata e socialmente valorizzata: in un certo senso è di moda.
 Nel campo del cibo, più una città è ricca di ristoranti dove servono specialità di altri
paesi, più essa può dirsi multiculturale. Le mode si susseguono e ogni metropoli può
vantare il suo tempio della cucina multiculturale.
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Nel campo della musica, negli anni ’80 e ’90 si è assistito al diffondersi della world
music e delle cosiddette musiche etniche. Sono stati scoperti artisti africani, asiatici,
sud-americani. Incidono dischi e sono diventati star mondiali della musica popolare.
 Il modo di vestire, le filosofie e le religioni dei paesi lontani anch’essi sono molto
diffusi. Il richiamo al buddismo non è più una novità, ad esso si aggiunge la filosofia
degli indiani d’America. La moda si appropria anche di indumenti, di acconciature di
origine “esotica”.
Queste pratiche sociali, questi stili di vita e di consumo, fanno capo ad un multiculturalismo
che potremmo chiamar “soft” o “light”.
Esprimono l’ansia di un’evasione di una popolazione urbana che a volte non vuole aspettare le
vacanze per viaggiare.
Ogni società è teatro di costruzione e d’invenzioni che ne plasmano l’aspetto culturale.
Spesso gruppi che sono oggetto di razzismo ed emarginazione danno prova di un notevole
dinamismo culturale. Basti pensare alla musica jazz, storicamente legata all’esperienza dei
neri d’America, dai tempi della schiavitù ad oggi.
Studiare la letteratura afro-americana o ispano-americana, la poesia degli scrittori giamaicani
di Londra o i balletti indoeuropei di questo o di quel coreografo indo-britannico non è
necessariamente un atto politico.
Se si serve di questo per una serie di rivendicazioni allora si entra nel campo delle politiche
del multiculturalismo.

4.2. Un complesso di politiche e di diritti garantiti alle minoranze.
Le politiche del multiculturalismo coprono una larga gamma d’interventi in diversi campi. In
ogni caso, corrispondono sempre a dei diritti che vengono riconosciuti a individui portatori di
una specificità culturale o identitaria.
In Belgio, il federalismo riconosce l’esistenza di comunità e regioni corrispondenti a gruppi
nazionali territoriali, così facendo la costituzione attribuisce loro un certo diritto di
autogoverno.
In Svezia, Lo stato può farsi carico della diversità culturale ed incoraggiarla assegnando
risorse finanziarie alle associazioni.
Il governo può anche assegnare dei sussidi alle associazioni e alle iniziative miranti a
migliorare la conoscenza reciproca e la coesistenza tra i diversi gruppi culturali di un paese o
di una città.
La politica del multiculturalismo si concretizza anche nelle diverse iniziative pubbliche miranti
a combattere il razzismo e la xenofobia.
Le scuole pubbliche adottano programmi specifici d’educazione antirazzista.
In certi paesi sono previsti codici linguistici corretti di cui si raccomanda l’uso nei luoghi di
lavoro e nell’ambiente scolastico.
Questa pratica, che negli stati uniti si affianca al movimento della “political correctness”
esiste anche in Gran Bretagna.
Simili iniziative non incoraggiano in modo diretto il mantenimento alla diversità culturale, ma
mirano a garantire a tutti il diritto di non subire discriminazioni etniche, nazionali, culturali e
razziali.
Iniziative pubbliche possono farsi carico della diversità culturale nel campo dell’istruzione.
Il consiglio d’Europa studia da tempo il problema dell’istruzione interculturale.
13
In diversi paesi sono stati sviluppati dei progetti pilota. Si possono prendere misure, allo
scopo di facilitare i rapporti tra lo stato e le persone che parlano una lingua diversa da quella
del paese o della regione in cui vivono.
Le pubbliche autorità possono intervenire per facilitare le pratiche religiose delle minoranze.
Si possono ammettere deroghe a talune leggi per permettere ai credenti di rispettare le
disposizioni relative all’abbigliamento. Si possono conoscere le festività religiose, o almeno
trovare degli accordi.
Si includono tra le politiche del multiculturalismo le iniziative pubbliche che fanno capo
all’Affirmative Action nata negli anni’70 si tratta di mettere fine alle discriminazioni razziali
di fatto, tuttora considerevoli.
L’obiettivo primario è di giungere ad una maggiore rappresentanza dei gruppi
sottorappresentati ed esclusi in partenza, a tutti i livelli della società.
Il multiculturalismo diventa una questione d’assegnazione di fondi e di retribuzioni, e quindi
anche di giustizia sociale.
In realtà tutto dipende dalla rigidità di queste politiche e dal contesto sociopolitico nel quale
sorgono e si sviluppano.
Ad ogni modo le politiche del multiculturalismo sono strettamente legate alla mobilitazione
politica dei diversi gruppi minoritari; sono loro a dare un senso a quella che si chiama “politica
delle identità”.
4.3. La mobilitazione politica delle minoranze: “la politica delle identità”.
Diversi gruppi minoritari che professano un’ideologia multiculturlista, si mobilitano allo scopo
di rivendicare il riconoscimento di diritti particolari, di vario genere.
Le forme di mobilitazione politica dei gruppi minoritari sono diversificati, almeno quanto le
politiche pubbliche del multiculturalismo.
Alcuni premono per una maggiore autonomia culturale e politica, oggi le loro richieste sono
molteplici.
Quanto alle minoranze formatesi con l’immigrazione recente, esse si organizzano per chiedere
facilitazioni nel campo linguistico, culturale, religioso.
Tutte queste rivendicazioni sono articolate intorno ad identità etniche, culturali, razziali o
religiose.
In questo senso, l’espressione “politica delle identità” non è priva di significato. Ogni gruppo
cerca di affermarsi nello spazio pubblico e cosi facendo respinge la totale invisibilità culturale
e identitaria.
In certi casi le minoranze razziali hanno in sebo una carta vincente: il voto.
Ma una parte consistente delle popolazioni immigrate nell’occidente europeo è esclusa dal
diritto al voto.
I gruppi minoritari non si presentano come entità omogenea, ma sono percorsi al loro interno
da fratture di tipo culturale, generazionale, sessuale, politico ed economico.
In ogni caso la “politica delle identità” fa emergere dei leader comunitari che prima di tutto
pretendono di avere il monopolio della rappresentanza del “loro” gruppo e non esitano a
difendere interessi privati.
Non né detto che i gruppi minoritari prendano sempre posizioni in favore dei progetti e delle
politiche di stampo multiculturalista, e quelli maggioritari siano sempre contrari.
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4.4. Un’ideologia e un progetto di società: il multiculturalismo “hard”.
Il multiculturalismo rimanda al dibattito filosofico.
Il multiculturalismo “hard” rimette in questione la concezione classica dell’identità nazionale,
mentre trascende il superficiale pluralismo insito nel multiculturalismo “soft”.
Esso contempla la possibilità di includere i gruppi etnici nel processo di definizione
dell’identità. Avvia un dibattito intorno al posto rispettivo degli individui e delle comunità nella
costruzione della società, mentre induce a giustificare in base a criteri etici e morali il
principio di riconoscimento delle comunità culturali nelle odierne democrazie.
La questione del multiculturalismo ha trovato posto nel dibattito che oppone fin dagli anni ‘60
due tendenze della teoria e della filosofia politica: liberali e comunitaristi.
 I liberali, in merito al riconoscimento della diversità culturale e identitaria nello spazio
pubblico, sono tradizionalmente diffidenti. Al centro della società c’è l’individuo. Egli è
e deve essere il cittadino, titolare ed esclusivo dei diritti e dei doveri.
 Per i comunitaristi, la comunità è per l’individuo un’esigenza sia ontologica che
normativa.
Il filosofo liberale Will Kymlicka sostiene che lo stato non può essere e non deve essere
neutrale nel campo della cultura e delle identità, perché i diritti dell’uomo non sono sufficienti
ad arginare le discriminazioni e cui vanno soggette le minoranze.
4.5. Il multiculturalismo di mercato.
Quando si fa strada una domanda di beni culturali associata ad un potere d’acquisto. È
possibile che sorga un’offerta destinata ad incontrarla.
Un esempio è dato nei reparti di musica etnica e di world music nei grandi negozi di dischi.
Il diffuso interesse suscitato da dibattito sulla diversità culturale e identitaria ha fatto
esplodere il mercato delle pubblicazioni multiculturali. Il numero delle opere dedicate
all’argomento è cresciuto in modo esponenziale negli anni ’80 e ’90, alcuni hanno riportato un
enorme successo di pubblico e quindi di vendite.
Negli stessi anni, si è fatto strada anche il concetto di management interculturale. I
presunti vantaggi della multiculturalità nell’impresa sono stati messi in risalto.
Queste diverse forme di multiculturalismo scaturiscono da un semplice calcolo economico,
mirante ad ottimizzare i vantaggi della multiculturalità di fatto e dei dibattiti che essa
suscita nella società.
Il settore privato riconosce la diversità e arriva ad incoraggiarla in quanto possibile fonte di
profitto economico. Si tratta di una forma di riconoscimento non trascurabile, eppur spesso
trascurata dall’economia capitalistica.
Il termine culturalismo ricopre realtà estremamente diversificate che non possono essere né
accettate né respinte a blocco.
Il multiculturalismo è soggetto a pericoli e a rischi di degenerazioni. È il caso di evitarli, se
s’intende di metterne a frutto le potenzialità e farne una delle tante armi nella lotta dei
cittadini per una società più giusta e più democratica.
V° Capitolo: Pericoli e degenerazioni del multiculturalismo.
Certi approcci al multiculturalismo possono dare luogo a pericoli e a minacce per la coesione
sociale e politica. Pur essendo all’origine espressioni del rispetto della differenza e
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dell’identità culturali a volte possono produrre effetti perversi o degenerare in forme più o
meno larvate di “totalitarismo” del pensiero.
5.1. La concezione naturalistica ed essenzialistica della cultura e dell’identità.
Diverse forme di multiculturalismo si fondono su una concezione della cultura, della società e
del legame tra l’individuo e la sua cultura.
 Si presume che l’individuo nasca in una cultura e una sola, certo esso può passare da una
cultura all’altra ma sempre rinunciando alla sua antica appartenenza culturale. Come i
“culturalismi”, anche molti “multiculturalisti” concepiscono un universo sociale diviso in culture
coerenti e distinte di cui sono portatori gruppi sociali di forte omogeneità interna.
Si presuppone che questi gruppi minoritari etnici vivano insieme con una difficoltà maggiore
più di quanto è sensibile la differenza, la distanza culturale che li divide.
Condivisa dagli “assimilazionisti”, questa concezione naturalistica ed essenzialistica, è stata in
buona parte screditata dall’antropologia.
La cultura è in perenne evoluzione grazie a contatti che si stabiliscono tra gli individui e i
gruppi, da qui in tutte le culture, alcuni elementi spariscono con il passare del tempo, mentre
altri vengono incorporati.
La società si presenta caratterizzata dalla presenza di tratti culturali che si rinnovano: a
volte essi sono adottati, a volte abbandonati, a volte sono imposti, a volte vengono costruiti da
altri.
L’individuo si sforza sempre di preservare la sua autonomia dal momento che la norma
culturale non è accettata allo stesso modo da tutti i membri del gruppo.
In gruppi differenti possono rilevarsi tratti analoghi, pertanto valutare la differenza e la
distanza culturale tra gli individui come fanno certi “multiculturalisti” può porre una quantità
di problemi, il più importante dei quali è fissare una frontiera tra entità culturali omogenee;
 Il “noi”, per esempio i francesi, e il “loro” per esempio gli immigrati.
Una concezione naturalistica ed essenzialistica della cultura favorisce in certi
multiculturalisti lo slittamento verso un relativismo culturale per cui si pensa che tutte le
credenze siano relative ad una società particolare e non possano dar luogo a paragoni.
Nelle sue forma estreme il relativismo attribuisce a tutte le culture lo stesso valore, ne
consegue che tutte le pratiche culturali devono essere riconosciute perché tutte si
equivalgono e sono legittime.
5.2. La segregazione culturale, identitaria e comunitarie dell’individuo.
Alcuni “multiculturalisti convinti che l’individuo debba appartenere ad una sola cultura,
professano una concezione esclusiva dell’appartenenza culturale:
Il pericolo è che in queste forme di multiculturalismo di ispirazione pluralistica
contribuiscano a promuovere la segregazione culturale e identitaria dell’individuo: favorendo il
mantenimento di barriere rigide tra l’uno e l’altro.
Che si tratti di pratiche sociali, delle politiche, o dell’ideologie,
 quel multiculturalismo equivale ad assegnare all’individuo un’appartenenza culturale,
imponendogli un’identità della quale egli potrebbe volersi disfare. Così facendo il
multiculturalismo di ispirazione pluralistica può rinsaldare barriere tra le comunità etniche e
culturali e di fatto, allontanarle le une dalle altre, impedendo a chi lo voglia lasciare il gruppo
per aderire al gruppo maggioritario.
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Lo scrittore Neil Bissoondath pensa che qualunque cosa faccia l’individuo viene sempre
considerato culturalmente diverso e non è mai veramente accolto nella nazione.
Spesso nei festival e nelle manifestazioni multiculturali si osserva che i gruppi minoritari si
uniformano all’immagine corrente del paese d’origine, la quale in genere corrisponde a ciò che
si legge nei depliant turistici: gli italiani preparano la pastasciutta, gli arabi il cuscus, i cinesi il
chop-suey e così via: ognuno contribuisce a “folklorizzare” le sue origini.
A quel punto il rispetto delle minoranze può entrare in conflitto con il rispetto della libertà
individuale e dunque mettere in forse un valore democratico importante.
Francoforte è l’unica città della Germania federale ad aver messo in atto una politica del
multiculturalismo in un programma, diretto da Daniel Cohnbendit, si promuove una migliore
comprensione tra la maggioranza tedesca e le comunità formatesi con l’immigrazione.
5.3. L’occultamento delle disuguaglianze sociali ed economiche.
Spesso il dibattito sul riconoscimento della diversità tende ad essere confinato nella sfera
culturale.
 Negli stati uniti per esempio, la corrente cultural studies solleva discussioni sulla
multiculturalità: i punti nodali riguardano il riconoscimento dell’apporto culturale
fornito alla società americana dalle minoranze, al quale dovrebbero seguire programmi
di studio che prendano in considerazione il punto di vista e la specificità culturale di
tali minoranze.
Fuori da quest’ambito la popolazione sembra interessarsi di più ai problemi della
disuguaglianza. Quasi tutte le società industrializzate, infatti, devono fronteggiare problemi
simili:
 Aumento della povertà
 Della criminalità urbana.
 Delle malattie infettive
 Della crescita della disoccupazione.
Certi multiculturalisti occultano le questioni economiche e sociali, per loro è come se non ci
fosse alcun rapporto tra il riconoscimento della diversità culturale e la nuova questione
sociale.
Al contrario, è rischioso fare della cultura l’unica chiave di lettura del mondo sociale,
ignorando le interazioni tra le sfere culturali, economiche e sociali.
Del resto è lecito chiedersi se, “culturalizzando” ad oltranza tutte le situazioni sociali, certe
forme di multiculturalismo non finiscano con l’occultare il fatto che lo stato non sa o non vuole
risolvere in modo soddisfacente la nuova questione sociale.
Il discorso sul rispetto della differenza culturale talvolta può legittimare l’esclusione politica.
5.4. Verso una società di minoranze oppresse e separate?
I dibattiti e le politiche che fanno capo al multiculturalismo rischiano
di provocare un effetto di trascinamento in virtù del quale gruppi di ogni genere si
mobilitino per rivendicare riconoscimenti e trattamenti particolari destinati ad appagare i loro
bisogni.
Il riconoscimento di un’identità o di un gruppo può suscitare l’emulazione di altri.
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Negli ultimi anni è accaduto, sempre più spesso, che dei gruppi si mobilitassero presentandosi
come minoranze oppresse in cerca di un riconoscimento e di un trattamento più equo. Tutti
cercano qualche buona ragione per riconoscersi in un gruppo minoritario o maggioritario che
diventa sempre più difficile da definire. Chi includervi? Forse gli uomini bianchi, giovani,
ricchi, in buona salute ed eterosessuali?
L’estendersi del dibattito sul multiculturalismo implica qualche commento:
 In primo luogo, illustra l’effetto di trascinamento, qualsiasi gruppo può formarsi
intorno a qualsiasi identità per partecipare alla politica del multiculturalismo.
 In secondo luogo, rischia di gettare su tale politica un discredito ingiustificato. Bisogna
fare una differenza tra gli afro-americani e i transessuali: non si vede che cosa
abbiano in comune in fatto d’esperienza dell’esclusione, dello sfruttamento e
dell’oppressione.
 In terzo luogo, non bisogna esagerare l’importanza di questi movimenti i cui leader
hanno facile accesso ai mezzi di comunicazione malgrado la loro scarsa
rappresentatività e lo scarso seguito, in ogni caso l’esistenza di questi movimenti
sottolinea la necessità di affrontare in modo serio e rigoroso la complessa questione
dei criteri che permettono di definire i gruppi e le identità il loro di riconoscimento e
le relative modalità politiche.
5.5 Un nuovo ordine morale?
La politica del multiculturalismo può infine degenerare nel tentativo di instaurare un nuovo
ordine morale, trasformandosi in un’ideologia totalitaria. Colui che userà la parola “uomo” per
parlare dell’intera umanità sarà tacciato di sessismo; colei o colui che criticherà il
multiculturalismo sarà considerato razzista.
Questo multiculturalismo dottrinario estremo e antidemocratico, esiste e può manifestarsi
attraverso la formulazione di teorie razziste da parte di alcuni intellettuali appartenenti alle
minoranze.
VI° capitolo. Verso una cittadinanza multiculturale, verso un multiculturalismo dei cittadini?
Se si evitano i pericoli e i rischi di degenerazione insiti in certe forme di multiculturalismo,
esiste una possibilità di conciliare le esigenze democratiche e la coesione sociale e politica con
il riconoscimento della diversità culturale e identitaria della società. I dibattiti e i problemi
sollevati dal multiculturalismo sono complessi, ma ogni società presenta una particolare
configurazione multiculturale e deve trovare una sua via per uscire dai ghetti culturali.
Potrebbe essere allettante e comodo tentare di uscire dalla sterile contrapposizione tra.
 Universalismo e particolarismo.
 assimilazionismo e pluralismo.
 Individualismo e com’unitarismo.
 Egualitarismo e differenzialismo.
Semplicemente proponendo un nuovo “modello” astratto di cittadinanza multiculturale che
costituirebbe, in teoria, una soluzione inaccettabile.
Il “modello” è solo una produzione ideologica e politica e rappresenta un traguardo da
raggiungere, da un certo punto di vista rifugiarsi in esso può essere un mezzo per evitare di
calarsi nella realtà.
Uscire dall’apparente contraddizione tra diversità culturale e cittadinanza democratica
costruendo per gradi una cittadinanza multiculturale presuppone, oltre alle scelte filosofiche
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e morali, delle scelte politiche e dei comportamenti sociali da parte di tutti sullo stesso
territorio.
Sostenere che la democrazia sia compatibile con il riconoscimento pubblico di una certa
diversità culturale e identitaria non equivale ad affermare che tutte le rivendicazioni culturali
debbano essere soddisfatte, ne debbano esserlo allo stesso modo.
In democrazia, le rivendicazioni espresse dai gruppi che non rispettano principi democratici
quali il diritto, l’autonomia, la libertà dell’individuo e la sua integrità fisica e psicologica,
devono certo essere ascoltate e comprese, ma non possono essere soddisfatte.
6.1.Diversità culturale e giustizia sociale.
Nelle scienze sociali e nel dibattito pubblico, non si stabilisce ancora un rapporto tra la
costruzione di una società multiculturale più armoniosa e la lotta contro l’esclusione e le
crescenti disuguaglianze sociali ed economiche.
È invece fondamentale riconoscere che
 Da una parte la formazione e l’affermazione di certe identità etniche e culturali,
 Dall’altra l’esclusione e il ricostituirsi delle diseguaglianze sociali ed economiche,
sono processi intimamente connessi.
Sembra rischioso per la democrazia dissociare il dibattito sul multiculturalismo da quello sulla
lotta contro l’esclusione e la disuguaglianza sociale.
Infatti, le fratture e ingiustizie socio-economiche si aggravano sovrapponendosi alle
appartenenze etnoculturali, ogni progetto di società multiculturale democratica è destinato a
rimanere un’utopia.
Più le disparità e l’insicurezza socio-economica aumenteranno,
Più crescerà il numero di quelli che cercano rifugio in appartenenze culturali ed etniche, e di
pari passo si accentuerà la loro tendenza a rifiutare chiunque sembri diverso.
Una ripartizione più equa delle risorse disponibili sul pianeta favorirebbe, l’affermazione
d’identità culturali più aperte e più inclusive.
Evitare la costruzione dei “ghetti” culturali presuppone che si valuti il problema delle
disuguaglianze e dell’esclusione socio-economica, e che si forniscano degli elementi in vista
della sua soluzione.
6.2. Diritti e doveri uguali per tutti.
Per evitare i rischi di segregazione comunitaria dell’individuo e la formazione di gruppi chiusi e
antagonisti, è importante riaffermare il principio dell’uguaglianza totale dei diritti e dei
doveri fondamentali per i cittadini di qualunque
 Religione
 Orientamento sessuale
 Colore
 Appartenenza culturale.
Tutti gli individui insediati in una società dovrebbero fruire degli stessi diritti civili, politici e
socio-economici,
 In base a un criterio di residenza e non più di nazionalità.
D’altra parte dovrebbero anche adempire esattamente gli stessi doveri, sembra che da tutti
si possa pretendere in primo luogo il rispetto della legge.
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Ogni cittadino dovrebbe potersi inserire in uno di questi centri di partecipazione in finzione
dei suoi interessi particolari.
Una società deve riconoscere il dialogo tra individui e gruppi d’identità culturali diverse, si
tratta di un atteggiamento democratico.
In una democrazia multiculturale è fondamentale creare una cultura politica condivisa cioè
fondata sul dialogo tra gli individui e i gruppi.
 La parità dei diritti e dei doveri, non si traduce automaticamente nell’uguaglianza di fatto,
infatti, certi individui continuano a subire discriminazioni.
Lo stato deve elaborare dispositivi politici tendenti a contrastare quelle discriminazioni e a
garantire a tutti un migliore equilibrio delle opportunità.
D’altra parte certe espressioni culturali continuano ad essere condannate come non conformi
ad un’immagine mitica della cultura nazionale.
Lo stato democratico è tenuto a riconoscere la diversità culturale e a riservare un
trattamento equivalente a tutte le forme di cultura che non contraddicono le esigenze civili e
una presenza significativa nella società.
Ognuno poi dovrebbe rispettare le scelte culturali e identitaria altrui.
 È chiaro che la questione del riconoscimento della diversità e quella della
ridistribuzione del pubblico denaro sono intimamente connesse.
Il riconoscimento simbolico della diversità è sicuramente meno oneroso e non necessariamente
meno importante per lo sviluppo di una democrazia multiculturale.
6.3. Il riconoscimento simbolico della diversità.
Un simile riconoscimento può evitare che si affermi la concezione naturalistica ed
essenzialistica delle culture, a condizione che esso sia simbolico e abbia come oggetto la
diversità in quanto tale. Cioè, ci si limita a prendere in considerazione la diversità delle forme
culturali che caratterizzano la società.
All’individuo spetta la scelta di fare propria una di quelle identità culturali.
Questa prospettiva più vicina al cosmopolitismo permette di prendere in considerazione
l’evoluzione della morfologia culturale dei cittadini e delle loro identità.
La seconda delle prospettive riproduce l’approccio pluralistico classico; la società è vista
come una giustapposizione di gruppi culturali diversi.
In ogni riconoscimento simbolico fondato sul principio della tolleranza ci cela un notevole
potenziale d’esclusioni d’individui e di gruppi considerati diversi. La tolleranza è
perfettamente compatibile con la totale ignoranza dell’identità dell’altro:  egli resterà
sempre l’altro, anche se la sua presenza viene accettata.
Il riconoscimento simbolico della diversità non è sufficiente: esso non permette diporre
termine alle disuguaglianze sociali, economiche e politiche né alle discriminazioni etniche,
razziali e culturali che talvolta ne spiegano l’origine.
Per operare a quel livello bisogna prendere in esame la questione delle politiche pubbliche atte
a favorire la democrazia multiculturale.
6.4. Riconoscimento giuridico e politiche pubbliche: un’esigenza di flessibilità.
Il ruolo redistributivo dello stato attraverso lo strumento delle politiche pubbliche in diversi
settori (istruzione, sanità, casa, lavoro ecc..) è una questione delicata.
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Nessuno può affermare che le politiche pubbliche associate al multiculturalismo
incoraggino sempre la formazioni di “ghetti”culturali,
 Non si può nemmeno sostenere che favoriscano in ogni caso una migliore integrazione
sociale e nazionale.
La costituzione non riconosce l’esistenza di gruppi etnici, culturali, razziali o religiosi.
Un simile riconoscimento sancisce giuridicamente alcune identità particolari e quindi presenta
il grave pericolo di istituzionalizzare l’immagine di una società composta di gruppi distinti ed
esclusivi, caratterizzata da frontiere invalicabili.
Il caso belga è un chiaro esempio di questi rischi, il riconoscimento delle identità regionali e
comunitarie non ha risolto i problemi di coabitazione all’interno dello stato.
Occorre favorire una legislazione applicata nel campo della discriminazione etnica razziale,
culturale e religiosa,
Perché essa fornisce al cittadino un reale strumento di lotta contro le diverse forme
d’esclusione che egli potrebbe subire.
Le politiche pubbliche devono mirare ad una migliore integrazione e coesione sociale (politiche
ispirate all’affirmative action). Non si può decidere chi beneficia di queste politiche.

6.5Buon senso e buona volontà nella vita quotidiana.
La disposizione al riconoscimento reciproco può portare a pratiche sociali e a decisioni atte a
favorire una certa armonia nello spazio pubblico: consideriamo tre esempi:
 Predisporre una scelta di elementi varia nelle mense consentirebbe a tutti di
rispettare le proprie preferenze legate o no alla pratica religiosa. Non è necessario
approntare piatti tipici di tutti i paesi; basta prevedere una varietà di elementi tale da
accontentare a tutti.
 Potremmo ricordare l’esempio della raccolta delle carcasse di ovini organizzata in certi
comuni dell’area di Bruxelles: essa mostra come una decisione politica sia conciliabile
con il buon senso.
 Un terzo esempio è fornito dalle elezioni del 1994 in Italia: per consentire ai 30.000
elettori ebrei di andare a votare senza trascurare gli obblighi religiosi, fu deciso di
prolungare l’orario di apertura dei seggi.
6.6La rappresentanza politica delle minoranze.
Nel dibattito sulla cittadinanza multiculturale non può essere esclusa la questione della
rappresentanza politica delle minoranze.
Le donne i cittadini d’origine immigrata e quelli appartenenti alle minoranze razziali e religiose
sono spesso poco presenti nelle istituzioni politiche e nelle assemblee elette.
Essi risultano quasi sempre sottorapprentanza.
Tra l’altro può accadere che gli interessi particolari di alcuni gruppi non siano rappresentati
nelle istituzioni. Non sempre, l’essere sottorappresentati indica uno stato d’esclusione o di
discriminazione: per risolverlo occorre
 In primo luogo, indurre il personale politico a farsi maggiomente carico delle diverse
sensibilità e delle varie categorie della popolazione.
 Vanno predisposte misure incentivanti che mirino a favorire l’accesso alla vita politica
degli individui e dei gruppi esclusi.
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Sembra importante costituire una classe politica che rispecchi la diversità multidimenzionale
della società.
 In primo luogo ampliare la rappresentanza di donne – immigrati – musulmani –
omosessuali - ecc.. può avere un’importanza simbolica e indicare che la classe politica è
realmente lo specchio della nazione.
 Inoltre a garantire che temi e questioni differenti saranno oggetto di un adeguato
trattamento politico
 E in fine, ogni tentativo mirante a fare si che il maggior numero di cittadini partecipi
alla definizione dei progetti e degli obiettivi della società.
La logica delle quote presuppone che l’individuo sia il portavoce del suo gruppo, infatti essa si
fonda sull’assunto di privilegiare l’essere a danno del saper fare, ossia delle competenze.
La concezione della democrazia multiculturale presuppone la costituzione di un corpo di
cittadini attivi, con gli stessi diritti e gli stessi doveri che condividano lo steso spazio pubblico
e un progetto democratico comune nel rispetto del diritto e delle procedure giuridiche e
politiche.
Essi possono presentarsi con le identità e le pratiche culturali più disparate.
Tanto private che pubbliche,
ma tali scelte culturali ed identitarie non condizionano la loro posizione nell’ordine sociale,
economico e politico.(è una concezione utopistica ma la quotidianità ci rende ottimisti.
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