IL TEST DI TURING E L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE. Il termine Intelligenza Artificiale (AI) fu introdotto ufficialmente nel linguaggio informatico nel 1956, in occasione del congresso del Darmouth College di Hannover. Ad esso presero parte i rappresentanti più importanti della nuova disciplina. Gli obiettivi che si proponeva inizialmente l’IA erano di arrivare nell’arco di 10 anni a sistemi informatici capaci di battere un campione mondiale di scacchi, di dimostrare importanti teoremi matematici e di render conto delle principali teorie del comportamento umano. Oggi, a quasi 50 anni di distanza, l’unico dei traguardi ad essere effettivamente stato raggiunto è quello della vittoria di un computer su un campione mondiale di scacchi. Nel 1996, infatti, il campione Gary Kasparov e stato battuto da Deep Blue, un supercomputer costruito dalla IBM. Non esiste una definizione univoca di “Intelligenza artificiale” (AI): di solito si intende la parte della scienza informatica ed ingegneristica che studia algoritmi che rendano le macchine capaci di mostrare un'abilità e/o attività intelligente anche se in domini molto specifici. L’obiettivo principale di AI è creare macchine in grado di pensare e agire come gli esseri umani. La disciplina dell’AI. è divisa in due parti fondamentali: la prima è la cosiddetta Intelligenza Artificiale forte che ritiene che un computer correttamente programmato possa essere veramente dotato di una intelligenza pura, non distinguibile dall’intelligenza umana, una sorta di macchina dotata di mente in senso letterale. L’idea alla base di questa teoria è il concetto che risale al filosofo empirista inglese Thomas Hobbes, il quale sosteneva che ‘ragionare non è nient’altro che calcolare’: la mente umana sarebbe dunque il prodotto di un complesso insieme di calcoli eseguiti dal cervello. La seconda, in netta contrapposizione con la prima, è detta Intelligenza Artificiale debole e sostiene che un computer non sarà mai in grado di essere equivalente a una mente umana ma potrà solo arrivare a simulare alcuni processi cognitivi umani senza riuscire a riprodurli nella loro totale complessità. Alla base dell’AI ci sono alcuni principi fondamentali: ogni tipo di attività della mente è un calcolo; il calcolo è inteso come manipolazione di simboli in base a regole prestabilite; il simbolo è un oggetto che raffigura un altro oggetto; può esistere un manipolatore di simboli. La nozione di calcolo intesa come manipolazione di simboli in base a delle regole descrive il funzionamento dei sistemi formali, cioè di quei sistemi che operano a partire da un insieme finito di elementi distinti e da un insieme finito di regole che descrivono le possibili trasformazioni di quei simboli. Molti giochi (per esempio la dama o gli scacchi) sono sistemi formali. Secondo i teorici dell’A.I. anche il pensiero umano può essere descritto come un sistema formale. Uno degli obiettivi dei primi studiosi di Intelligenza Artificiale è stato realizzare una macchina che funzionasse come un sistema formale. Le caratteristiche di una macchina siffatta sono state definite rigorosamente dal matematico inglese Alan Turing (1912-1954) che diede un contributo fondamentale negli studi sull’A.I. Turing immagina una macchina teorica in grado di compiere qualsiasi tipo di calcolo, di qualunque genere, facendo delle banali operazioni computazionali. Una macchina di Turing è costituita da un dispositivo, la testina, che può scrivere e leggere simboli su un nastro. Il nastro, di lunghezza infinita, è diviso in celle, ognuna delle quali può contenere un unico simbolo appartenente ad un alfabeto. La testina, oltre a scrivere e leggere i simboli, può spostarsi a destra o sinistra, una cella alla volta. Si tratta di una macchina a stati finiti, un automa, e può essere paragonato a un computer con memoria infinita. Il suo funzionamento avviene per passi successivi e ogni passo è determinato da regole precise che oltre a considerare il simbolo letto valutano anche il suo stato interno. Una macchina di Turing è in grado di simulare il funzionamento di qualsiasi sistema formale e i moderni calcolatori sono equivalenti a una macchina di Turing. Essa costituirebbe in pratica la rappresentazione meccanica di un algoritmo, ovvero di un insieme di istruzioni che specificano i passaggi tramite i quali si rende possibile la soluzione di un determinato problema. Alcuni teorici dell’AI sostengono che il cervello è una specie di macchina di Turing e le operazioni che avvengono in esso sono una sorta di programmi. Questa teoria è detta teoria rappresentazionale della mente, secondo la quale esistono, ‘scritti’ in qualche maniera nel cervello, dei ‘simboli’ che possono essere combinati secondo regole sintattiche in modo tale da far sì che il significato di ogni combinazione derivi dal significato degli elementi combinati. Cioè qualsiasi attività mentale (provare dolore, ridere, avere paura, parlare, desiderare, ect..) è una computazione, ovvero una trasformazione dell’informazione ricevuta come input e restituita come output, che il cervello opera manipolando, secondo delle regole, i simboli presenti nel cervello. In base a questa teoria si potrebbero trovare le regole con cui il nostro cervello elabora i simboli, trasformarle in programmi e riprodurle artificialmente in un computer. Si torna quindi al problema principale, cioè “Le macchine possono pensare?” Per rispondere alla domanda Turing ideò il famoso Test di Turing o gioco dell’imitazione che è conosciuto come l’unico metodo in grado di stabilire se una macchina è capace di pensare o meno: viene infatti definita intelligente una macchina che riesce a superare il test di Turing. La descrizione del test apparve per la prima volta nel 1950, in un articolo scritto da Turing dal titolo Computing Machinery and Intelligence e pubblicato sulla rivista filosofica ‘Mind’. In che cosa consiste questo test? L’idea di Turing è che dato che nessuno di noi ha accesso alla vita mentale degli altri, l’unico modo per giudicare se chi ci sta di fronte è un essere pensante è guardare al suo comportamento. Turing dà un criterio, che permette di riconoscere se un sistema è intelligente e propone un gioco di imitazione. Viene quindi data una definizione non di intelligenza, ma di comportamento intelligente, l'unico aspetto dell'intelligenza che possiamo "misurare" . Il gioco viene fatto da tre persone, un uomo (A), una donna (B) e un interrogante. L'interrogante viene chiuso in una stanza, separato dagli altri due, i quali sono a lui noti con le lettere X e Y. Scopo del gioco per l'interrogante è determinare quale sia l'uomo e quale la donna, facendo delle domande del tipo ``Vuol dirmi X, per favore, la lunghezza dei propri capelli?'' Affinché né il tono della voce né la calligrafia possano aiutare l'interrogante, le risposte sono dattiloscritte. Lo scopo di A nel gioco è quello di ingannare l'interrogante e far sì che fornisca una identificazione errata. Lo scopo di B è invece quello di aiutarlo. Turing si chiese che cosa sarebbe accaduto se una macchina (C) avesse preso il posto dell'uomo nel gioco: cioè, è vero che, modificando il calcolatore in modo da avere a disposizione una memoria adeguata, incrementando adeguatamente la sua velocità di azione e fornendogli una programmazione adeguata, C può fare la parte di A nel gioco dell'imitazione, se la parte di B viene assunta da un essere umano? Per una macchina, il test di Turing consiste quindi nell'ingannare un essere umano giocando al gioco dell'imitazione, inducendolo a credere di conversare con un altro essere umano e non, appunto, con una macchina. Se, attraverso un dato numero di domande, l’interrogante non riesce a distinguere dalle risposte i due giocatori, vuol dire che la macchina ha superato il test ed è quindi intelligente. Il test di Turing è comportamentista, in quanto per riconoscere la macchina bisogna basarsi sulle risposte date dai due giocatori, ma è anche senza dubbio molto soggettivo poiché è proprio l’interrogante il giudice supremo che deve decidere se ha di fronte un uomo o una macchina, ovvero egli dovrà confrontare il comportamento (in termini di risposte) dell’interlocutore con quello di un’ipotetica persona di media cultura e capacità. Ma come è possibile avere sempre la certezza che un certo dialogo non può essere umano, mentre un altro lo è ? Inoltre nel test è prevista la possibilità del bluff.. Le domande poste devono essere fatte in modo tale che né la macchina né l’uomo siano in qualche modo avvantaggiati, cioè ad esempio domande del tipo “Quanto fa 34957 più 70764?” o “Se io avessi soltanto il Re in c3 e una Torre in h8, e il mio avversario avesse soltanto il Re in e1, che cosa faresti al mio posto?” favorirebbero sicuramente il computer, mentre se si chiedesse qualcosa riguardo un sonetto di Leopardi esso non riuscirebbe a dare risposte molto soddisfacenti limitandosi magari a rispondere che non si è mai interessato di poesia. La macchina ammessa a questo gioco è la cosiddetta macchina universale. Immaginiamo l’essere umano che agisce a passi discreti, in termini di stati interni, segnali di ingresso e segnali di uscita: gli stati interni sono gli insiemi di proposizioni che esprimono le conoscenze possedute dall'essere umano, i segnali di ingresso sono le domande rivolte dall'interlocutore e i segnali di uscita sono le eventuali risposte date dall'essere umano in base alle sue conoscenze. La macchina universale è potenzialmente in grado di imitare l’uomo, in quanto possiede la capacità di simulare il comportamento di una qualsiasi macchina a stati discreti. L’idea che sta alla base del suo funzionamento è la seguente: le macchine a stati discreti possono essere descritte tramite delle tabelle contenenti lo stato in cui la macchina è in quel momento e il segnale d’ingresso. Date queste tabelle è possibile predire gli stati futuri della macchina e i corrispondenti segnali di uscita. Ora, se appunto si conoscono le tabelle che descrivono una macchina, nulla vieta di utilizzare un’altra macchina di Turing per fare i calcoli e determinare i segnali di uscita della prima. Se questa seconda macchina di Turing è abbastanza veloce nel fare i calcoli ed ha a disposizione una sufficiente quantità di memoria, il risultato che otteniamo è una macchina di Turing che simula il comportamento di un'altra macchina di Turing. Un ragionamento analogo può essere fatto nel caso di una qualsiasi macchina a stati discreti, quindi la macchina di Turing può simulare il comportamento di una qualsiasi macchina a stati discreti. Questa particolare proprietà viene descritta dicendo che le macchine di Turing sono macchine universali. Purtroppo la macchina universale rimane un’idealizzazione, infatti nessuno finora è riuscito a costruire un modello di macchina di Turing e nessuna macchina esistente è stata finora in grado di superare il test. Come mai nessuna macchina ha mai superato il test? Un dispositivo in grado di superare il test non è altro che un programma che deve essere in grado di operare opportuni collegamenti tra le domande e le risposte, non attraverso semplici processi associativi, ma relazionandosi con l’interlocutore sulla base di un dialogo. Un tale programma quindi è da definirsi intelligente se è dotato della capacità di affrontare nuovi problemi con l’aiuto di nozioni precedentemente messe da parte, attraverso l’utilizzo di concetti appresi in un contesto, opportunamente modificati ed adattati alla risoluzione di nuove problematiche in nuovi contesti. Questo è il traguardo che ci si propone di raggiungere nella creazione di un’intelligenza artificiale: un modello di pensiero autodeterminante. Nell’affrontare un problema la macchina, attraverso l’intelligenza artificiale, non raggiungerà la soluzione seguendo uno schema prefissato di istruzioni elementari specificate nei minimi particolari, ma andrà per tentativi. Il risultato di ciascun tentativo verrà analizzato, messo a confronto coi successivi, usando i risultati ottenuti come base per i successivi “ragionamenti”. Questo però è lontano dal definirsi intelligente, in quanto anche i problemi più semplici possono presentare molte sfaccettature che il programma non riesce ad analizzare completamente; ecco perché nemmeno l’AI è riuscita a superare il test di Turing. L’intelligenza artificiale non è una vera intelligenza, sia perché è priva di intenzionalità sia perché discreta e quindi sradicata dal vivere quotidiano degli individui, perché non può evolversi in continuazione, come invece fa l’uomo. Ma anche se un giorno l’AI riuscisse nell’intento, potrebbe essa definirsi intelligente? Alcuni critici del criterio di Turing sostengono che, se anche la macchina sarà in grado di superare la prova, rimarrà comunque priva della capacità di comprensione, ovvero: risponderà in modo corretto semplicemente perché gli sono state fornite le conoscenze necessarie ad una risposta esauriente, ma limitate per comprenderla.. Turing, nel suo celebre articolo, sosteneva che “l’unico modo per essere sicuri che una macchina pensa è quello di essere la macchina stessa e di sentirsi pensare, l’unico modo di sapere che un uomo pensa è quello di essere quel uomo”. Per Turing pensare significa produrre pensieri e concatenarli, e il segno più evidente del possesso di una tale capacità è l'espressione linguistica dei propri pensieri. Secondo lui, infatti, la scelta di limitarsi, durante il gioco dell'imitazione, all'interazione linguistica permetteva di tracciare una netta linea di demarcazione tra le abilità fisiche e quelle intellettuali di un sistema intelligente e di focalizzare l’attenzione sulle seconde. La somiglianza tra esseri umani e macchine è vista quindi nella produzione di espressioni che hanno un significato. Molti però sostengono che non esista un’analogia tra intelligenza umana e computazione. La computazione svolge compiti precisi mediante l’utilizzo di un numero finito di operazioni elementari. L’esecuzione delle operazioni avviene sulla base di algoritmi inseriti nelle istruzioni che costituiscono il programma. Una macchina si limita quindi a leggere, in maniera sequenziale, i passi del programma, eseguendo calcoli, confrontando tra loro dati, compiendo delle “scelte” in base ai risultati ottenuti. Ogni operazione che essa svolge deve essere stata prevista e opportunamente pianificata nei suoi possibili esiti da parte dell’ideatore del programma. In nessun caso, la macchina è in grado di andare al di là della propria programmazione, poiché si limita all’esecuzione meccanica delle diverse istruzioni finché non giunge al termine del percorso ideale previsto per ogni specifico compito. E’ questo l’ostacolo principale per il superamento del test, cioè il fatto che un computer non è in grado autonomamente di valutare determinate situazioni ed elaborare una scelta. Un buon programma è in grado di far fronte a svariati problemi in modo ottimale, ma esso è chiuso e limitato: non ci si può aspettare nulla oltre gli obiettivi che sono stati considerati in fase di progettazione. Esso svolge compiti, con grande precisione ed efficienza, ma lo fa meccanicamente, senza capire e senza esserne minimamente consapevole; senza saper aggiungere nulla di nuovo, nulla di creativo, alla sua attività. Per quanto riguarda l’intelligenza umana, essa è senz’altro capace di svolgere con successo calcoli e operazioni basate sulla logica formale, anche se, in questo tipo di attività, un essere umano è solitamente meno veloce e maggiormente soggetto ad errori rispetto a un computer. Ma la nostra intelligenza va ben al di là dell’applicazione meccanica di algoritmi per lo svolgimento di compiti. Una delle definizioni di intelligenza più largamente accettate è infatti quella di capacità di risolvere problemi. Questi devono essere nuovi, almeno per certi aspetti, o comunque contenere elementi diversi rispetto a problemi affrontati (o visti affrontare) con successo in passato. Oppure è necessario che i problemi stessi vengano risolti in maniera innovativa rispetto ai casi precedenti. Ciò significa che la semplice applicazione di regole e procedimenti noti, per lo svolgimento di compiti di cui si conoscono già tutti gli aspetti, non può essere considerata un’attività del tutto intelligente. L’intelligenza è quindi la capacità che entra in gioco nel momento in cui gli schemi comportamentali di cui si dispone si rivelano insufficienti per far fronte a una determinata situazione. Essa si esprime attraverso uno sforzo di adattamento, di trasposizione, di ricerca di analogie e differenze, di classificazione, generalizzazione e discriminazione, tutte attività che una macchina, per quanto potente sia, non può svolgere da sola. E’ la creatività ciò che differenzia l’uomo dal computer, che rende l’intelligenza umana unica nel suo genere. Non c’è posto nella concezione computazionale per la creatività, in quanto una macchina, operando secondo regole predefinite, appare assolutamente incompatibile con qualsiasi forma di creatività, la quale implica una violazione di ogni principio regolativo, che sta alla base del funzionamento di una macchina. Oggigiorno molti ricercatori sostengono che l’obiettivo primario dell’AI non sia la scoperta di una teoria generale del pensiero o la creazione fantascientifica di una mente sintetica, in grado di essere un perfetto doppione del nostro cervello, bensì l’invenzione di macchine utili, cioè di dispositivi intelligenti capaci di fungere da strumenti efficaci sia per lo studio della mente sia per l’esecuzione delle varie attività sociali e lavorative.