Ritrovare l’autocoscienza delle temporalità
Recensione a Massimiliano Tomba, Strati del tempo.
Andrea Cengia
“La modernità è un’attitudine nel senso che in essa si produce un modo, particolare e
irriducibile, di relazione all’attualità; un ethos […]. Essa coincide con la decisione che assegna
al pensiero il proprio presente come un compito” (Chignola, 2014, p. 10). Con queste parole
Sandro Chignola apre il suo recente lavoro intitolato Foucault oltre Foucault. Questa riflessione
trova una singolare affinità con il messaggio, a mio avviso centrale, del testo di Massimiliano
Tomba, Strati del tempo (Tomba, 2011).
Fra i tantissimi spunti che il testo offre, vorrei mettere in luce quelli che sono alcuni dei
principali elementi di analisi che attraversano l’intero saggio e che possono aiutare a
comprendere meglio come possa essere individuato l’ethos a cui si riferiscono Foucault e
Chignola.
Attuando questa operazione, verranno giocoforza accantonate alcune questioni non
secondarie presenti nel saggio. Ad esempio le illuminanti analisi dello sviluppo del pensiero del
giovane Marx e del suo rapporto con Bruno Bauer e, in generale, con i giovani hegeliani. Vi
sono poi altre ragioni per lasciare al lettore l’indagine di queste pagine. Infatti non solo esse
meritano di essere lette integralmente, ma rischierebbero di venire mortificate da queste poche
righe di recensione.
È possibile individuare due grandi blocchi argomentativi, non disgiunti, all’interno di
questo corposo saggio di quasi trecento pagine. Il primo da cui partire è quello che si occupa di
porre le basi storico-concettuali del nostro divenire storico, in quanto cittadini europei figli dei
grandi eventi della modernità. Si può nominare facilmente ciò a cui il testo si riferisce fin dalle
prime pagine. Si tratta di affrontare quel complesso apparato di considerazioni di matrice
storica, politica e filosofica che hanno prodotto un inquadramento dell’avvento della modernità,
specie dopo il 1789. Tomba lo definisce, usando l’espressione “storiografia sotto vuoto”,
(Tomba, p. 31). Con questa formula l'autore vuole fotografare, retrospettivamente, il modello
concettuale che ha qualificato una certa visione storica, e che tuttora sparge i suoi effetti
condizionanti sulla percezione temporale della società contemporanea. Per la precisione,
secondo questa visione di storia sotto vuoto, la cosiddetta modernità si qualificherebbe
attraverso un preciso andamento storico, ossia per un progressivo e inarrestabile venire alla
luce di un unico modello politico-sociale possibile. Si potrebbe quasi dire di essere di fronte ad
una sorta di naturalizzazione e automatizzazione della dinamica storica. Ancora di più, secondo
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questo modello, saremmo ormai di fronte alla definitiva affermazione dell'autentico modo di
operare sociale: quello liberale la cui matrice originaria può essere rintracciata nella
speculazione lockeana.
Secondo Tomba questa schematizzazione storica, apologetica e un pò meccanica,
potrebbe essere smentita a partire dai molteplici eventi che, nel corso dell'età moderna
(almeno), si sono manifestati come non funzionali all'affermazione del liberalismo borghese: le
insurrezioni coloniali quasi contemporanee al 1789, la richiesta del maximum, il Terrore. Ma
questo elemento d'inciampo alla storiografia sotto vuoto viene da quest’ultima facilmente
depotenziato nel suo valore politico e simbolico. Ed infatti, non è così difficile far rientrare
queste differenti temporalità storiche all’interno della uniforme fenomenologia del liberalismo.
È lo stesso autore a segnalarlo, citando l’espressione, di un alto esponente della
storiografia storicistica: François Furet. Per lo storico francese, ad esempio, persino il Terrore
giacobino va sbrigativamente considerato una dérapage, una parentesi breve che interrompe
solo per poco, la lunga durata dell’affermazione liberale francese (Tomba, p. 31).
Eppure, dagli esempi citati brevemente, si intuisce che la storia è ben più ricca e forse
pluridirezionale di quanto non si tenda a pensare. Possiamo infatti facilmente vedere, nel riferirci
alla Rivoluzione francese, l’affermarsi della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Tuttavia quella dichiarazione risolve solo l’aspetto formale e giuridico della condizione
dell’uomo. Ci si dovrebbe forse accontentare di questo unico risultato? Ecco una interessante
antitesi che si può ricavare dal testo: da un lato è da molto tempo in corso un tentativo euristico
che vorrebbe incanalare ciò che è accaduto sul piano storico in un percorso unitario e coerente,
dall’altro gli eventi storici sembrano eccedere questa volontà di uniformazione. Insomma:
l’unificazione contro il molteplice, l’uno contro i molti, e questi molti sono i volti della storia, le
prospettive di emancipazione, le speranze di intere comunità.
Il saggio di Tomba insiste, con convincente forza, proprio su questo aspetto della
molteplicità cara ad una porzione qualitativamente significativa della filosofia politica. Non vi è
una storia, non vi è un unico racconto. Il tempo non è, come si pensa, un percorso sul quale si
collocano ordinatamente gli avvenimenti che poi la storia racconta. Esistono piuttosto delle
eccedenze, delle molteplicità considerate, alla Furet, dérapage, parentesi che farebbe comodo
alla classe dominante derubricare ad incidenti di percorso, al più come fastidiosi contrattempi.
Ecco il concetto centrale che, credo, vada ricavato dal testo è proprio quello di temporalità
ben descritto sin dalle prime pagine. Temporalità al plurale che individuano una molteplicità
storica. Osservando questa grande ricchezza si può ricavare che: “Diverse temporalità
asincrone si combinano e confliggono fra loro. Diversi rami temporali continuano a crescere e
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ad attorcigliarsi non secondo l’unico ritmo della Weltgeschichte, bensì in un multiversum”
(Tomba, p. 29). La storia è più ricca di quanto non si pensi, ma occorre rendere evidente questa
verità.
L’operazione di smascheramento compiuta in questo saggio contiene un legame con
l’attualità fin troppo facile da cogliere, anche se il saggio si concentra, con buone ragioni, sul
periodo immediatamente post 1789. Tomba insiste infatti nel segnalare come la storiografia
conservatrice ottocentesca abbia costantemente cercato di produrre uniformazione non solo del
racconto storico ma, sul piano politico-economico, delle singole individualità operanti nei luoghi
della Restaurazione. Tradotto nel lessico della temporalità si tratta, ancora una volta, di un
tentativo uniformante. Usando il lessico caro all’autore, si può parlare di sincronizzazione del
tempo storico, ossia una riduzione dei molti ad uno.
Quale immagine della storia e del proprio tempo emerge? Ecco come viene descritta nel
testo: “la nuova immagine della storia, che si configura in termini di processo e accelerazione è
l'effetto di un allontanamento prospettico dalle rotture rivoluzionarie: il 1789, il 1792-93, il 1830,
il 1834, il 1848... I concetti politici diventano vettori temporali, democrazia, atomismo e
uguaglianza diventano tendenze: democratizzazione, atomizzazione, e livellamento. I concetti
politici, temporalizzati, elidono la possibilità del mutamento politico ponendo al suo posto quello
della prefigurazione di un futuro probabile, desiderabile, o da scongiurare. Sorge una
concezione della storia aqualitativa e intrinsecamente relativista” (p. 33-34).
Conseguente a ciò vi è la percezione diffusa che hanno della storia i soggetti della
modernità.
È
l’osservatore
moderno
(e
contemporaneo?)
che
ritiene
di
percepire
un’accelerazione del tempo storico all’interno dell’andamento processuale che mette in fila
passato-presente-futuro, quasi che tutti i più importanti avvenimenti storici stiano capitando
proprio a lui. Questo passaggio è centrale nelle intenzioni dell’autore. Infatti, è grazie a questo
incardinamento della storia in un processo, che diventa possibile collocare le soggettività nella
storia. Una collocazione che, in quanto tale, deve contenere meno dérapage-deviazioni possibili
e assegnare ad ognuno un posto coerentemente già stabilito (scartando ogni speranza/ideale di
modificazione/emancipazione/deviazione del proprio tempo). La storia così intesa è un solco
obbligato che non prevede alterità. Detto in altre parole, la storia processualizzata e resa
univoca nella sua collocazione non prevede altre forme di soggettività, di pensiero e di prassi
politica che non siano quelle smussate e obbedienti all’andamento processuale predefinito. Si
ritorna all’unificazione che sotterra il molteplice.
Di tale stato di cose si renderanno perfettamente conto già a pochi anni dal 1789 i
protagonisti delle diverse scuole posthegeliane. Essi si troveranno esattamente nella condizione
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di osservare come le categorie di crisi e di critica siano in realtà declinazioni del medesimo
processo di temporizzazione storica.
Difficile non ritrovare assonanze con il tempo in cui viviamo, nelle pagine in cui l’autore
descrive il rapporto, quasi drammatico, con il tempo storico che colpisce i posthegeliani: l’epoca
che ha visto affermarsi la filosofia totale hegeliana si trova di fronte un mondo in frantumi.
Si tratta solamente di una smentita postuma dell'hegelismo? Potrebbe sembrare che qui
si aprano inaspettati spazi per l’affermazione della molteplicità. In realtà questa frantumazione
di proposte si rivela come il carnevale della filosofia (Fastnachtszeit der Philosophie, p. 42) il
quale, rischia, simmetricamente, di indurci alla resa rispetto a qualsiasi possibilità di lettura
effettiva del divenire storico. Sembra una contraddizione: i molti producono una paralisi, tante
doxa, mentre l’unificazione hegeliana è portatrice di una cattiva totalità.
Nel dibattito interviene il giovane Marx. In questo momento il filosofo di Treviri è ancora
molto vicino alle posizioni dell’amico Bruno Bauer. I due condividono sostanzialmente il
medesimo programma d’azione: pensare ad organizzare la prassi a partire dalla dimensione
della filosofia della critica. Proprio qui, tuttavia, Marx compie un passo ulteriore. Pensa
certamente che spetti alla filosofia proporre la rottura dell’autorappresentazione che impedisce
di pensare e di pensarsi in un’altra temporalità. Solo in questo caso la filosofia può essere
d’aiuto. Scrive infatti Tomba, evocando il pensiero di Marx, che “la filosofia acquisisce forza
epocale quando lavora a mandare in frantumi l’autorappresentazione di un’epoca” (p. 45). La
crisi posthegeliana verrà quindi declinata da Marx nei termini della ricerca di un percorso
autonomo, qualitativamente autonomo in grado di sfruttare la contingenza storico-politica come
chiave d’accesso ad una nuova dimensione temporale. Le parti successive di Strati del tempo
cercano di affrontare nel dettaglio il percorso marxiano.
La risposta a come Marx intenda costruire questo percorso di analisi del reale ci porta alla
seconda grande questione che si vuole qui analizzare. Anche contro Bauer, Marx vuole trovare
una modalità di comprensione-intervento nel reale (p. 81). Questa modalità può essere definita,
con una formula sintetica, come il “tipo” del materialista comunista (der kommunistische
Materialist) o del materialista pratico (praktischen Materialisten). Scrive Tomba: “il materialista
pratico, dando “una base materialistica alla storiografia”, lavora a una storiografia del presente
dal punto di vista del proletariato” (p. 82).
Ecco, allo stesso tempo, un elemento in grado di unire il punto di vista eccentrico
all’esigenza dell’esegesi storiografica. Nelle parole dell’autore, questo cambio di prospettiva
operato da Marx non è una delle tante opzioni possibili. “Lo scarto determinato dal
cambiamento di prospettiva del materialista pratico corrisponde a quello tra doxa e verità. Il
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proletario costretto a vendere la propria forza lavoro non è il povero in quanto indigente. È
proletario in quanto le condizioni di riproduzione della sua vita sono separate da lui” (p. 82).
Ancora, parlando di ciò che si è originato con il modo di produzione capitalistico
commenta l’autore: “L’esperienza contemporanea appare frammentaria, ma ciascun frammento
rimanda alla stessa immagine, perché la molteplicità del fenomenico è diventata una
molteplicità di equivalenti. Il postmodernismo, là dove vuole vendere un’immagine frammentaria
del mondo, è falso. Il suo contenuto di verità risiede solo nel fatto che è esso stesso un punto di
vista indifferente. Il materialista storico si sottrae a questa indifferenza assumendo la non
indifferenza dei punti di vista. Non producendo una nuova Weltanschauung. Lo spostamento
dello sguardo, che costituisce l’autentica eredità di Marx, ridisloca l’intero problema
dall’oggettivo al vero” (p. 139).
Ecco giunta la seconda grande parte del discorso proposto da Tomba che qui si vuole
analizzare. Quali ripercussioni si possono generare nella lettura del reale a partire da quanto
dichiarato da Marx? La storia così osservata attraverso la riflessione marxiana è divenuta una
gigantesca occasione per uscire dai binari della temporalizzazione obbligata dello spirito
dominante.
In
altri
termini,
Marx
ci
propone
il
grimaldello
per
aprire
un
varco
nell’autorappresentazione storica voluta del capitalismo industriale.
Molto più avanti nel testo, Tomba ci mostra gli effetti che questo punto di osservazione è
in grado di offrirci rispetto alla nascente realtà capitalistica indagata da Marx. Spiega infatti
Tomba: “Rivoluzione permanente. È questa l'immagine del capitale che ci viene data dai
Grundrisse. Il capitale opera distruttivamente verso la natura e lo spazio: tende ad annientare lo
spazio attraverso il tempo. Distrugge i limiti della natura umana dilatando la sfera dei bisogni e
la varietà della produzione: il valore non esclude nessun valore d'uso; e perciò non include
nessun particolare genere di consumo ecc., di relazioni ecc., come condizione assoluta; e
parimenti ogni grado di sviluppo delle forze produttive sociali, delle relazioni, del sapere ecc.,
non sono altro, per esso, che un ostacolo che esso si sforza di sormontare” (p. 137).
(A) In che modo il capitale riesce in questa operazione di devastazione delle condizioni
storiche precedenti? Inoltre, questa ormai evidente devastazione, dovrebbe mostrare
senza titubanze che la stessa idea di storia come processualità, ossia destinata
all'avvento pieno di democratizzazione e di emancipazione umana, è da considerarsi
insostenibile. Sembra ormai finito il tempo delle facili illusioni: il capitalismo vincente del
post 1989 non è in grado di avvicinarci ai processi di democratizzazione: non può o non
vuole. Non è dal capitalismo che ci possiamo aspettare la manifestazione hegeliana di
spirito e di libertà.
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(B) Ma l'umanità che ha visto all'opera i processi di produzione e di accumulazione
capitalista si è resa conto pienamente di ciò che ha iniziato ad accadere negli ultimi due
secoli?
Per rispondere alla prima domanda (A) occorre seguire il ragionamento dell’autore alla
luce della riflessione marxiana. Il capitalismo riesce in questa sua operazione epocale grazie al
rapporto che esso detiene con, almeno, altri due elementi: lo sfruttamento e la tecnologia. Per
essere colto in tutta la sua drammatica forza, il sodalizio capitalismo-sfruttamento-tecnologia
deve essere indagato dal punto di vista del materialismo pratico marxiano. Questo è l’obiettivo
dell’autore.
Ora, Marx, com’è noto, ci ha consegnato pagine chiarissime sul capovolgimento del
rapporto tra valore d’uso e valore si scambio. Lo stesso Tomba ripercorre alcune tappe
significative di questo processo sintetizzando così alcuni passaggi. Siamo di fronte ad un
soggetto il quale “consuma la pubblicità più che il prodotto. […] Il valore di scambio della merce,
sussumendo il valore d'uso e diventando la sua ragion d'essere, si è sostituito ad esso” (p. 139).
Rispondere alla seconda domanda (B), relativa alla percezione dello stato di cose attuale,
richiede di concentrare le energie d’osservazione su un preciso rapporto terminologico e
concettuale. In particolare, a mio avviso, in questo testo così ricco di riferimenti, va fatto risaltare
il legame tra tempo-accelerazione e tecnologia. Sulla questione dell'accelerazione, il dibattito
oggi è molto vivace, come dimostra puntualmente il recente testo di Matteo Pasquinelli
(Pasquinelli, 2014). Ma la relazione problematica tra uomo e tecnologia non è questione solo
dei nostri giorni. Come dimostra efficacemente il testo di Tomba, lo stesso Marx se ne è dovuto
occupare. Infatti già all’epoca del nascente capitalismo industriale era evidente, alle lenti
interpretative del filosofo di Treviri, quanto la ricerca e l’impiego di tecnologie fossero in grado di
accelerare i processi di estrazione di plusvalore. Per tale ragione l'autore esprime, partendo
della riflessione marxiana, una visione fortemente critica nei confronti del ruolo della tecnologia
presente nei rapporti economico-sociali, oggi più che mai. Tuttavia, non si deve pensare che,
dalla genesi del capitalismo industriale fino ad oggi, la presenza di tecnologie operanti in vari
campi della vita, sia da considerarsi un dato non più eliminabile. La ricerca tecnologica è una
delle possibili forme che oggi si dà il sistema di sfruttamento. Se così non fosse, cioè se non vi
fosse possibilità di scarto dalla visione storica che fa di tecnica e tecnologia un elemento
essenziale dell’Occidente, saremmo pienamente inseriti nella descrizione monocorde della
storia di cui si è detto nella prima parte del testo.
È innegabile l’effetto che la tecnologia produce nel e per il sistema capitalistico. I mezzi
per lo sviluppo della produzione, riporta opportunamente Tomba adottando le parole di Marx,
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“mutilano il lavoratore facendone un uomo parziale, lo avviliscono a insignificante appendice
della macchina, distruggono con il tormento del suo lavoro il contenuto del lavoro stesso, e non
solo, ma gli straniano le potenze intellettuali del processo lavorativo nella stessa misura in cui a
quest'ultimo la scienza viene incorporata come potenza autonoma; deformano le condizioni
nelle quali egli lavora, durante il processo lavorativo lo assoggettano ad un dispotismo odioso
nella maniera più meschina, trasformano il periodo della sua vita in tempo di lavoro, gli gettano
moglie e figli sotto la ruota di Juggernaut del capitale” (p. 171).
Certo è possibile riflettere sulle opportunità offerte dal mondo dei tweet, della
comunicazione in tempo reale e delle “app” che rendono alcune operazioni del quotidiano più
semplici, ma costose in termini di controllo biopolitico. Tuttavia, anche alla luce delle riflessioni
dell’autore, l’accettazione entusiastica delle accelerazioni tecnologiche, giunte con l’avvento del
capitalismo, andrebbe fortemente ripensata. È indubbio che oggi noi ci avvantaggiamo dalle
possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Tuttavia, attenzione, il filone del marxismo a cui
Tomba si riferisce, ci ammonisce ad essere molto vigili attorno al tema della tecnologia.
Accade così quello che Marx argomentava nei Manoscritti: “quanto più bello e il suo
prodotto tanto più l'operaio diventa deforme assume ora, nella sofferenza di un corpo, un
carattere assoluto” (p. 173).
Prosegue poi l’autore affermando che “[...] tutto ciò che nella storia è stato presentato in
termini di progresso e novità non è altro che la ripetizione del dominio sulla natura e sugli
oppressi. Una catena che impedisce la storia attraverso la riproduzione di un presente mitico”
(p. 173).
Rendersi conto oggi di questa sussunzione del bios alla tecnologia capitalistica è una
delle tappe determinanti per il risveglio di una coscienza politica che sia all'altezza delle sfide
storiche che abbiamo di fronte. Secondo il ragionamento di Massimiliano Tomba, una delle più
significative questioni è da rintracciare nella violenta opera di sincronizzazione temporale che
riguarda il nostro rapporto con la tecnologia. Spesso l’immersione della nostra vita, all’interno di
una dimensione tecnologica onnipresente, viene percepita come il luogo dell’emancipazione
sociale definitiva. Insomma, finalmente, la tecnologia permetterebbe la più alta realizzazione
della libertà sociale; detto altrimenti, un venire alla luce della libertà. Possibile che sia questa
una delle più evidenti dimostrazioni del manifestarsi dello Spirito hegeliano? Certo, questo
aspetto non e l'unico né il meno violento per le nostre vite (si pensi alle aspre sincronizzazioni
che vogliono imporre le istituzioni internazionali ai paesi del sud Europa). Tuttavia, se, come
segnalato recentemente dal volume curato da Ferruccio Gambino e Devi Sacchetto (Gambino,
Sacchetto, 2015), nella produzione della famosa multinazionale Foxconn un operaio si
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consuma, producendo smartphone, con lo scopo principale di potersi comperare il medesimo
smartphone, occorre fermarsi a riflettere. Sembrerebbe infatti che il fascino della tecnologia sia
diventato, oltre tutto quello che già è, un formidabile reclutatore di proletariato alienato.
Forse ormai è acquisita la definizione della tecnica come destino dell'Occidente, ma
questo lucido lavoro di Tomba sembra volerci far riflettere sul fatto che, abbracciando
quest’ultima visione, ci incamminiamo lungo una via obbligata e unidirezionale. Vale a dire: ci
offriamo alla rassegnata accettazione che il percorso della nostra storia: (a) si sia avviato secoli
fa, e che, (b) la sua unica direzione, non modificabile, ci imponga di accettare passivamente il
quotidiano. Sarebbe questa la dittatura di una pacifica rassegnazione secondo la quale nessuna
alternativa storica ci sia mai stata e che tantomeno sarà possibile in futuro.
Ecco allora realizzato il capolavoro del capitale: una società in cui gli individui si
rapportano tra loro come "persone astrattamente sociali, che si rappresentano una di fronte
all'altra solo il valore di scambio in quanto tale" (p. 146). In realtà il valore di scambio, diventato
fine della produzione, accresce la ricchezza e produce nuova miseria dilatando al tempo stesso
il limite naturale dei bisogni umani. Ecco quindi il compito accademico, etico e politico che
Tomba affida alle pagine sul giovane Marx: mostrarci un’attitudine infaticabile all’analisi e alla
problematizzazione del proprio tempo.
Considerando tutto ciò si possono, a mio avviso, meglio capire le ragioni per cui l’urgenza
di una ripresa del materialismo pratico oggi non è più differibile. Sono trascorsi molti anni
dall’inizio della crisi e sono trascorsi quattro anni dalla pubblicazione di questo testo. Oggi,
l’urgenza di riappropriarsi degli strumenti d’analisi del materialismo marxiano è ancora più
evidente. Essa ci invita a sospettare di alcuni elementi del nostro vivere che consideriamo
scontati. Questo testo offre quindi al suo lettore la possibilità di ricominciare un percorso di
analisi delle dinamiche sociali, sottraendosi criticamente a quanto viene incessantemente
ripetuto dal punto di vista borghese, e amplificato dai media mainstream, fino a diventare senso
comune difficilmente scalfibile.
Ecco quindi per quali ragioni il testo di Tomba ben si sposa con le riflessioni foucaultiane
sulla modernità proposte da Chignola. Insomma, come sostiene Tomba citando Kierkegaard: “si
sta nella modernità prendendo posizione su di essa. A ciò è chiamato il singolo filosofo” (p. 41).
Bibliografia
Chignola S. (2014), Foucault oltre Foucault, Roma, DeriveApprodi
Gambino F., Sacchetto D. (2015), Nella fabbrica globale, Vite al lavoro e resistenze operaie nei
laboratori della Foxconn, Verona, Ombre corte
Recensione a Massimiliano Tomba, Strati del tempo - Andrea Cengia –
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PASQUINELLI M. (2014), Gli algoritmi del capitale. Accelerazionismo, macchine della conoscenza e
autonomia del comune, Verona, Ombre corte
Tomba M. (2011), Strati di tempo. Karl Marx materialista storico, Milano, Jaca Book
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