Il Canone Biblico
La domanda a cui cercheremo di rispondere è: quali libri fanno parte della
Bibbia? Chi lo ha stabilito? Su quali basi?
Nel linguaggio tecnico questo problemi vanno sotto il nome di Canone e
canonicità dei libri biblici.
Insegna il documento del Concilio dedicato alla Bibbia: la "Dei Verbum" al n.
8, che ogni religione rivelata prima o poi sente l'esigenza di un "Canone" perché,
se Dio ha rotto il silenzio per parlare agli uomini, deve essere possibile sapere
con certezza dove si trova questa Rivelazione. Il Canone dei libri biblici (dal
greco kanon = regola, misura esatta) è l’elenco dei testi che fanno parte della
sacra scrittura e così distingue ciò che è rivelato da ciò che non lo è. La facoltà di
definire il canone delle Scritture per noi cattolici risiede nella Chiesa. S.
Agostino afferma: "Non crederei al Vangelo se non vi fossi spinto dall'autorità
della Chiesa". Con questa autorità la Chiesa riconosce in quali libri ha operato
l’ispirazione divina. Per i cattolici è stato al Concilio di Trento (1546) che il
canone della Scrittura ha ricevuto la sua ultima definizione, ma semplicemente
confermando una tradizione ininterrotta che giungeva dai primi secoli della fede.
Questo Concilio, che segnò con chiarezza le differenze tra il cattolicesimo ed il
neonato protestantesimo, affrontò il tema del canone perché i protestanti
volevano limitare l’Antico Testamento a quei libri dei quali si conservava il testo
ebraico, mentre alcuni ci erano giunti solo nella traduzione greca o erano
addirittura stati scritti direttamente in greco.
Oggi abbiamo quindi un canone cattolico, che identifica la Bibbia dei cattolici,
formato da 46 libri ispirati dell'Antico Testamento e 27 per il Nuovo Testamento.
Nel linguaggio dei cattolici il termine apocrifo sta ad indicare antichi libri
giudaici o cristiani del periodo biblico o presunti tali, che nel contenuto e nel
titolo si avvicinano alla Scrittura canonica, ma non sono stati accettati dalla
Chiesa come testi ispirati.
Molti protestanti invece, così come gli ebrei, riconoscono come ispirati e quindi
canonici solo 39 libri dell’Antico Testamento (7 in meno). Quando noi cattolici
diciamo "Bibbia" intendiamo quindi un volume formato da 46+27 libri ispirati, i
protestanti da 39+27, gli ebrei soltanto da 39 dell’Antico Testamento. Il dialogo
può non essere sempre facile, perché ad esempio per gli ebrei la frase che per noi
è giustissima: "La Bibbia parla della vita di Gesù", non ha senso. La loro Bibbia
infatti termina con il ritorno degli ebrei da Babilonia narrato alla fine del 2° libro
delle Cronache (circa 500 anni prima di Cristo). Così il bellissimo brano di
Sapienza 3,1-9 che leggiamo spesso in occasione dei funerali, perché parla delle
anime dei giusti che vivono serenamente presso Dio, per molti gruppi protestanti
non fa parte della Bibbia.
La Chiesa cattolica ha conservato l’elenco più antico ed ormai tradizionale che si
basava sull’uso di secoli e tramandava l’elenco dei libri biblici letti come tali
dalle prime comunità cristiane. I libri del NT furono invece scelti tra le tante
opere che circolavano nella chiesa primitiva basandosi sulla guida dello Spirito
Santo che fece riconoscere in essi dei testi: molto diffusi, direttamente o
indirettamente collegati agli Apostoli, in piena armonia con l’insegnamento della
chiesa primitiva.
La Bibbia va interpretata: l’"Ermeneutica"
E’ ora necessario iniziare un discorso più impegnativo: per comprendere la
Bibbia non basta leggerla, è necessario interpretarla. Questo tema si definisce,
con un linguaggio tecnico, il problema dell’ermeneutica biblica. L'ermeneutica è
antica quanto la Bibbia stessa; Israele infatti non ha mai smesso di interpretare il
suo passato e quindi le sue Scritture. Ma è stato lo stesso Gesù che si presentò
non solo come lettore, ma anche come interprete delle Scritture antiche. Il
Vangelo di Luca, nel bellissimo brano dei discepoli di Emmaus, ce Lo mostra
mentre interpreta in tutte le Scritture le cose riguardanti Lui cominciando da
Mosè a da tutti i profeti (cf. Luca 24,28). Ed usa proprio il termine greco da cui
deriva il vocabolo ermeneutica, che significa "esprimere, interpretare un testo,
commentarlo". (Nella letteratura greca, il dio Hermes era il dio che portava i
messaggi, il portavoce di Zeus). Possiamo dire che l’ermeneutica fornisce le
regole teoriche per una corretta comprensione della scrittura.
Cosa significa ricercare il "senso della Scrittura"? Significa stabilire ciò che lo
scrittore intendeva dire quando ha redatto il suo testo, per non travisare le sue
parole.
Ogni comunicazione umana si confronta con questi problemi. Quante volte
chiarendoci con un amico abbiamo dovuto ripetere: "ma io non intendevo dire
questo". Bibbia è parola umano-divina; la sua divinità la rendere ricca e vera, ma
non toglie la sua umanità con la fatica ed il rischio che questa comporta.
La Chiesa, rifacendosi alla riflessione e tradizione di Israele e soprattutto
all’esempio di Gesù ed al suo modo di interpretare l’Antico Testamento, ha
cercato da sempre di offrire dei principi chiari per aiutare i fedeli ad interpretare
correttamente la Bibbia. Lasciarsi guidare in questo campo è segno di vera fede
nella missione della Chiesa e di profonda umiltà. Nessuno si dovrebbe infatti
ritenere tanto sapiente da potere comprendere sempre, da solo e senza alcun
aiuto la Parola di Dio. Per leggere la Parola di Dio è dunque importante che il
nostro approccio sia corretto; per far ciò seguiremo l’insegnamento della Chiesa
che è sintetizzato nel capitolo 12 della costituzione Dei Verbum, il testo del
Concilio dedicato alla parola di Dio. Vi sono enunciati tre principi fondamentali,
alla luce dei quali ogni cristiano dovrebbe accostarsi alla Bibbia.