Le maschere sono espressioni fermate nel tempo e mirabili echi del sentimento: fedeli, discrete e meravigliose al tempo stesso. Le cose viventi al contatto con l’aria devono acquistare una pellicola, e nessuno se la prende con le pellicole se non hanno un’anima. Ci sono invece dei filosofi che se la prendono con le immagini perché non sono cose e con le parole perché non sono sentimenti. Le parole e le immagini sono come conchiglie che sono parte integrale della natura non meno delle sostanze che racchiudono, ma che colpiscono di più l’occhio e sono più facili da osservare. Non penso che la sostanza esista in funzione delle apparenze, né i volti in funzione delle maschere, o le passioni in funzione della poesia o della virtù. In natura niente è creato in funzione di qualcos’altro: tutti questi aspetti e questi risultati sono ugualmente coinvolti nel cerchio dell’esistenza……… George Santayana, Soliloquies in England and Later Soliloquies. LE MASCHERE “appunti e suggestioni a cura di Mario Valzania” per uso esclusivamente didattico. Origini, significati profondi e funzioni delle maschere Etimologicamente il termine latino “persona” ha in comune con la voce greca “pròsopon” (letteralmente “viso”) da cui deriva, il significato di maschera (pròsopon era la maschera che copriva il volto dell’attore durante la rappresentazione di una tragedia). Tale termine designa anche i personaggi definiti come “dramatis personae” e in seguito le persone in senso grammaticale prima e psicologico poi. La maschera permette l’incontro tra uomo e personaggio storico, sociale e privato; attore per sé e per gli altri sulla ribalta del vivere quotidiano. Sono degli oggetti con un valore simbolico universale che le trascende e che le attraversa. Accompagnano l’uomo fin dalle origini della cultura e sopravvivono oggi in alcuni gruppi sociali “primitivi” all’interno di cerimonie rituali in cui si assiste ad una identificazione totale tra maschera e persona (l’individuo non rappresenta il demone, è il demone). La maschera ha il potere di trasformare l’individuo non solo agli occhi di chi lo vede ma anche a sé stesso, finiamo con l’assumere la personalità dell’essere raffigurato nella maschera, ci “trasfiguriamo”. Sul palcoscenico della vita tutti noi impersoniamo in modo più o meno consapevole delle “parti, dei travestimenti, dei copioni. Questa molteplicità di ruoli è il ponte tra la conoscenza dell’altro e la nostra personalità: vestiamo maschere cariche di significati sia sociali che privati che comunemente chiamiamo espressioni, emozioni, gesti, idee e simboli (dagli abiti all’uso stesso della lingua parlata), con cui accediamo allo scenario delle interazioni più o meno ritualizzate e codificate e al retroscena della nostra interiorità che ne è inscindibile. Quest’ultima si manifesta e si configura scegliendo a seconda delle situazioni e dei momenti e in modo più o meno costante, un personaggio, un ruolo, una maschera, sinonimi dell’uomo come essere sociale e psicologico. L’interiorità intesa come Sé, come il concetto che abbiamo di noi stessi si può metaforicamente pensare come il camerino in cui riponiamo più o meno ordinatamente e consciamente le nostre possibili maschere: quelle che indosseremo domani, quelle nuove che di giorno in giorno si conquistano, o quella unica che ingabbia nel copione antico e ripetitivo del dramma del nostro malessere, così come quelle maschere terrificanti rinchiuse nel nostro inconscio. La maschera, in altre parole, non è sempre solamente un oggetto materiale che si sovrappone al viso: se stare nel mondo significa escogitare una faccia per incontrare le facce altrui, il viso stesso, come parola e pelle indispensabile alla mia interiorità e al tempo stesso salvaguardia del suo segreto, può assumere il valore segnico della maschera sia per lo sguardo altrui che per il nostro occhio interiore. Attraverso il dispiegarsi significativo della storia di ognuno si configurano i tratti di un volto maschera soggettivo e privato, ma allo stesso tempo oggetto di attribuzione di significati sociali, che va differenziandosi da quello biologico, forse mai esistito in quanto tale; volto come coagulo di possibili significati ed espressioni non tutti consci, volto che dinamicamente si trasforma con lo scorrere del tempo pur nella stabilità relativa del proprium morfologico. A questo punto viene spontaneo chiedersi: “dov’è la realtà e dove la finzione nelle relazioni?”, “dov’è la verità?”, “cosa c’è dietro la maschera?”. Essa infatti si associa spontaneamente all’incognito, all’atto essenziale di occultare, di sottrarre l’identità di chi la porta. La risposta a tali quesiti si trova nella dialettica tra nascondere e svelare: mascherandosi ci si mostra, così come ci si può mostrare per nasconderci, in un gioco infinito ed inevitabile tra parole che affermando nascondono e talvolta negano il non detto in quel momento: “una maschera non è principalmente ciò che rappresenta, bensì ciò che trasforma, vale a dire ciò che essa sceglie di non rappresentare. Come un mito, una maschera tanto nega quanto afferma, non è fatta solo di quanto dice o crede di dire, ma anche di ciò che esclude”(“La via delle maschere”, C. Lèvi Strauss, pag.100) Concludendo, le maschere, come i linguaggi, permettono all’uomo di abitare quella ferita che il simbolico rappresenta: la possibilità di agganciare il reale interno ed esterno che è fondamentalmente Altro, attraverso la parola che è nel dire, ma anche nel silenzio, attraverso le maschere in cui mi guardo allo specchio o con cui gli altri mi osservano. Essere significa fare, dire, manifestarsi davanti all’occhio interiore e di fronte all’altro con cui entro in relazione reale, immaginata o progettata. Eliminare ogni maschera nella ricerca di una sostanza “vera” e ultima è come l’utopia degli iconoclasti: non c’è Dio dietro le immagini sacre e ciò che avvolgono deve rimanere segreto. W II N N N N II C C O O T T Terza dimensione intermedia REALTA’ ESTERNA OBIETTIVA REALTA’ INTERNA SOGGETTIVA SPAZIO TRANSIZIONALE (gioco) Mondo obiettivo mondo soggettivo mondo di onnipotenza OGGETTI TRANSIZIONALI OGGETTI REALI IMPREGNATI DI SE’ E DEL PROPRIO DESIDERIO ELIMINANO LA DISTANZA INCOLMABILE TRA REALTA’ ESTERNA E INTERNA Come se… SPAZIO DI ESPLORAZIONE DELLA CREATIVITA’ SPAZIO DI GIOCO DARE VOCE AI DIVERSI E MOLTEPLICI PERSONAGGI CHE ABITANO L’IDENTITA’ ED IL CORPO MASCHERA Carica simbolica ed universale Vitale ed autonoma rispetto al soggetto che la usa e la ricrea Ciò che sembra nascondere risulta rivelato; ha il potere di smascherare ALCUNE PRECISAZIONI SULLE MASCHERE Lo spazio transizionale è una fase dello sviluppo del bambino che resta attivabile anche nell’adulto. Il seminario formativo è una dimensione di gioco e di costruzione di uno spazio transizionale in cui possiamo fare “come se”, in cui cresciamo, apprendiamo, prendiamo consapevolezza. In esso è possibile far vivere i personaggi del mondo interno, concretizzandoli. Le maschere hanno una storia, ciascuna la sua: questa storia ci parla. Ogni maschera ha una carica simbolica universale che non imprigiona il soggetto in un copione. Noi ricreiamo la maschera in modo autonomo, congiuntamente, però, alla carica simbolica universale che stabilisce una corrente entro cui è possibile ricreare. La maschera ha un effetto pendolare: destruttura e ristruttura l’identità. Vi è un movimento pendolare tra queste due funzioni destrutturante e ristrutturante. E’ possibile stabilire una analogia con il concetto di catarsi in Moreno. La catarsi attiva, del protagonista nel gruppo con modalità psicodrammatiche, si differenzia dalla catarsi dello spettatore che Moreno definisce “secondaria” ( per Aristotele la catarsi era la purificazione delle passioni operata dalla tragedia sull’animo degli spettatori). L’effetto pendolare della maschera ha un corrispettivo con il passaggio dalla catarsi di abreazione (la liberazione di emozioni a lungo represse, negate, rimosse è frequentemente il varco che ci permette di giungere alla ristrutturazione del proprio campo di percezioni) alla catarsi di integrazione (il momento della comprensione delle nuove percezioni di sé e delle possibilità relazionali alternative emerse attraverso l’evidenza drammatica): i contenuti, i personaggi, le modalità espressive, e le fantasie separate dalla coscienza del soggetto per negazione o repressione vengono riconsiderati sotto nuova luce e fatti oggetto di nuove significazioni. “I due processi sono connessi nello psicodramma per cui è preferibile parlare di integrazione catartica più che di catarsi(“Forma e Azione”, Luigi Dotti, pag.196) e ancora (pag. 133) per Dotti è fondamentale sottolineare “…l’importanza che venga attuato un processo catartico nella formazione piuttosto che venga favorito un fenomeno catartico. Il processo catartico, attraverso la rilettura e la consapevolezza del portato emotivo dei ruoli lavorativi è la condizione per il manifestarsi dell’insight. Catarsi e insight sono infatti strettamente connessi. Possiamo considerare le maschere come catalizzatrici ed amplificatrici di quel processo catartico che è fondamentale per generare “insight” nella formazione attraverso l’approccio con i metodi di azione Moreniani. la maschera favorisce il contatto con aspetti primitivi e potenzialità represse, permettendo allo stesso tempo di dare un volto, un nome, e quindi uno status emotivo e cognitivo a ciò che appariva disperso o inafferrabile e nuovo; essa costituisce una porta d’accesso all’ordine simbolico e alle sue proprietà integratrici. La maschera svolge, inoltre, una funzione segnaletica: mette a fuoco, permette di evidenziare, delimitandole, le fantasie, i conflitti, i timori e i desideri che assumono un volto con cui i soggetti possono dialogare. Questa funzione si basa sulla capacità delle maschere di fornire un volto ai personaggi del proprio mondo interno che, così evocati, e concretizzati sul palcoscenico sociodrammatico permettono l’incontro con il soggetto che li esprime. La maschera personaggio si istituisce come orizzonte per l’evocazione e la configurazione delle maschere - ruolo interne negate e rimosse. Queste maschere sono portatrici di conflitti che “visti” e “incarnati” e dunque evocati e materializzati dal mondo dell’informe possono essere ricomposti e integrati. La maschera offre la possibilità di vedere, ascoltare, ciò che è nascosto e tuttavia è necessario guardare. Funzione ludica e mitopoietica. Le maschere creano la possibilità di entrare con facilità nello spazio del gioco, della semirealtà psicodrammatica: è lo spazio transizionale tra realtà e fantasia in cui è possibile rivivere il passato, concretizzare l’immaginario, il fantastico, il futuro desiderato o temuto. La maschera si collega anche alla costruzione di miti: facilita l’accesso ad una costruzione narrativa capace di portare senso e significati , di conciliare gli opposti, di integrare, di trovare coerenza anche tra opposti irriducibili. Il rischio implicito nella creazione ed assunzione di un mito è la sua assolutizzazione, per cui diviene una costruzione simbolica totalizzante che blocca l’approccio spontaneo alla vita di relazione. La funzione mitopoietica delle maschere nella metodologia Moreniana punta a far sì che i propri miti, cioè le rappresentazioni simboliche di sé come essere – nel – mondo, divengano luoghi di sempre possibile trasformazione, di conoscenza rinnovabile, di apertura alla creazione. La produzione dei miti implica il ricorso al simbolo e alla metafora, sui quali si fonda il tentativo di risolvere l’inafferabilità del reale ed i suoi misteri. La metafora nella formazione Moreniana è una “metafora viva” nella quale il gruppo o il protagonista sono immersi, in cui è possibile agire, percepire e creare nuovi ruoli in cui è possibile colorare, con infinite sfumature, nuovi significati, nuove maschere. Il protagonista forgia il suo mondo interno e in quest’atto lo ricrea, si ricrea, risorge. Il volgersi verso qualcosa, la forma operativa del ruolo, ci rammentano l’importanza della percezione sensoriale e, nell’uso delle maschere, l’indispensabilità dell’utilizzo dello specchio come oggetto reale, come funzione psicodrammatica e come tecnica. Il tema simbolico della maschera come “porta di accesso al mondo interno” vitalizza l’azione drammatica, il processo catartico, il potere della maschera è di integrare e connettere. Il “ritorno” nella formazione Moreniana è una “ripresa” creativa che plasma in modo originale i miti e le maschere del protagonista, che scopre nella presentificazione della maschera concretizzata l’epica della sua storia di uomo o di donna e, solo come tale, con questo riconoscimento, giunge attraverso e con il gruppo alla consapevolezza del mito come storia degli uomini. Non c’è alcuna sicurezza di prevedibilità nelle connessioni di senso che scaturiscono dalla configurazione dei personaggi che le maschere hanno evocato: esse ci trasportano oltre le colonne d’Ercole di un mare dalle rotte ripetute in un processo di disarticolazione e ri – creazione dei ruoli cristallizzati verso un nuovo, sconosciuto, mondo. Le maschere sono come i fantasmi: le si indossa, o meglio, le si evoca e indossandole ci lasciamo possedere per poterci convertire in un’altra persona, in un mostro, in un animale. Eppure quando si sceglie una maschera, quando ci si specchia o la si riappende alla parete, comincia a farsi strada l’idea che quell’altro in cui ci siamo trasformati non è poi tanto altro, ma un aspetto di noi che non conoscevamo o forse non volevamo vedere. Mascherandoci ci siamo smascherati. Questo non significa eliminare le maschere, perché vorrebbe dire cercare un uomo nudo, senza la pelle indispensabile per la sua stessa esistenza come essere che parla, appare, si muove, sente e pensa. Il tentativo invece è quello di permettere che le maschere, come infinite possibilità espressive dell’umano, possano fluire sul cammino della realizzazione di sé come individuo unico tra gli altri individui. La formazione a un ruolo professionale può essere pensata come un tentativo di smascheramento, come un atto finalizzato al cambiamento, alla caduta delle maschere rigide e cristallizzate di ruoli “in conserva” incapaci della risposta creativa a vecchie e nuove situazioni. E’ indispensabile che si stabilisca una omeostasi tra situazioni di smascheramento, cioè emersione di contenuti e prospettive altre rispetto all’organizzazione identitaria “abituale” del soggetto, di forte impatto emotivo, e momenti di reintegrazione e riorganizzazione alla luce di quanto emerso, cioè di appropriazione simbolica e affettiva delle possibilità espressive che si sono rivelate.