Sunto dell'intervento di Luigi Cerruti sul Buddismo:
Mente del Buddha, non-mente, mente comune
Proprio come, o monaci, il grande Oceano è di un sapore, di sapore
salato, così pure, o monaci, questa Buona Legge è di un solo sapore, del
sapore della Liberazione.
Upadāna, V, 5, tr. di Pio Filippani-Ronconi.
L'insegnamento del Buddha (Dharma) è giunto in Occidente da poco più di un secolo. Max Müller diresse la
pubblicazione dei 50 volumi dei Sacred Books of the East dal 1879 al 1910. Nel 1893 giunse a Chicago
Suzuki Daisetz Teitarō, lo studioso giapponese che per primo familiarizzò il grande pubblico con lo Zen. I
sette volumi di Indotibetica furono pubblicati da Giuseppe Tucci fra il 1932 e il 1942. Dire che siamo
all'inizio della trasmissione del Dharma in Europa è dire poco, anzi pochissimo. Con tutta la riconoscenza
che dobbiamo agli studiosi che ho citato, si deve pur dire che essi si sono avvicinati ai testi dello sterminato
Canone buddhista con il piglio di studiosi (Müller e Tucci) o con l'enfasi del propagandista (Suzuki). Solo
negli ultimi decenni si è fatto qualche passo in avanti, non più soltanto sul piano della filologia ma anche su
quello del significato profondo, religioso della trasmissione stessa del Dharma.
Dopo il risveglio il Buddha, il Desto, espose il Dharma per quaranta anni, vivendo come un monaco
mendicante e accettando come cibo qualsiasi cosa fosse messa nella sua ciotola. Dopo un lungo periodo di
trasmissione orale, durato quattro o cinque secoli, la parola del Buddha (Buddhavacana) fu messa per iscritto
e si consolidò il Canone, in almeno due lingue, sanscrito e pracrito. Per esprimere il Dharma si formò persino
una nuova lingua: il pali, il linguaggio scritturale e liturgico dei monaci Theravada. Nella prospettiva di
comprendere meglio quanto sta avvenendo in Europa ciò che più ci interessa è seguire la diffusione del
Dharma dall'India verso Oriente. Già è rilevante il fatto che il Canone sanscrito ci sia pervenuto in buona
parte nella traduzione cinese, accompagnato da innumerevoli testi autenticamente cinesi, e ritenuti anch'essi
parte integrante della Buddhavacana. Nei secoli di maggiore vitalità della comunità buddhista (Sangha) in
Cina l'insegnamento si trasformò accogliendo dalla cultura nativa nuovi contenuti filosofico-religiosi e nuove
forme espressive. Il Chan in particolare si arricchì di contenuti taoisti e di forme dialogiche confuciane.
Divennero importanti discorsi/pratiche riguardanti la non-mente (無心, wú xīn) e la non-azione (無為, wú
wéi). Il Dharma ebbe un'ulteriore trasformazione quando mise radici in Giappone, e il Chan si trasformò
nello Zen. Non si trattò soltanto della diversa pronuncia di uno stesso carattere (禅, chán, zen). Il Maestro
Dōgen, in particolare, con una scrittura profonda e poetica approfondì le cento vie per giungere al risveglio.
I Maestri Chan e Zen si richiamavano continuamente all'insegnamento originale del Buddha. Anche per noi è
necessario discutere a fondo cosa intendesse dire il Risvegliato quando parlava del non-sé (anattā). È un
tema molto aperto, che si chiarisce richiamando alcuni punti essenziali del Canone pali e del Visuddhimagga
("La via della purificazione"). È proprio analizzando il significato liberatorio di anattā che troviamo
connessioni e differenze fra le pratiche di risveglio Theravada e di quelle Zen. Entrambe le tradizioni
assumono come premessa indispensabile un giusto comportamento (sīla, 尸羅 shī luó), ed entrambe
privilegiano la meditazione, il lavoro interiore, come via di risveglio. Tuttavia la tradizione Theravada agisce
direttamente sullo sradicamento delle pulsioni (ignoranza, brama, repulsione), mentre la tradizione Zen offre
un ventaglio di 'soluzioni', fra cui quella indicata da Dōgen di totale apertura verso il mondo intero, inteso
come la vera mente del Buddha. Dōgen invita a smettere di autenticare il mondo con il proprio sigillo. Di
conseguenza il praticante accoglie il mondo con la non-mente, e agisce nel mondo con la non-azione, senza
intenzioni di dominio e di possesso. La tradizione Chan/Zen indica nella mente comune il Buddha che è in
tutti gli esseri senzienti (e che è anche il nostro maestro interiore). I Maestri, compassionevoli, ci dicono
continuamente che "nulla manca, nulla eccede" (無欠無餘, wú qiàn wú yú). Ogni praticante è attrezzato al
meglio per inoltrarsi lungo la Via (道, dào). In Occidente una visione scientifica del mondo può rendere di
intensità straordinaria l'esperienza della non-mente, e lo spirito egualitario che soffia dai tempi del Cristo è in
grado di orientare decisamente la non-azione. Guardando alle grandi trasformazioni del passato è lecito
attendersi che il fiorire del Dharma in Occidente possa dare frutti inaspettati.