Capitolo sesto MARXISMO E FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO: VOLOSINOV 1926-1929 6.1 Premessa E' alla luce di queste concezioni antropologiche, psicologiche, filosofiche e linguistiche che possiamo ora vedere come Bachtin giunga a formulare - in Marxismo e filosofia del linguaggio edito a Leningrado nel 1929 da Volosinov - una propria definizione di linguaggio ed attui una critica estremamente serrata delle teorie filosofico-linguistiche a lui precedenti. E' opportuno intanto dare alcune indicazioni generali sull'opera (Nota 1). Il volume è articolato secondo un'elegante e razionale triplice partizione. Essa ci porta da una impostazione generale del problema dello statuto di una filosofia del linguaggio d'ispirazione marxista e da una sua definizione polemica rispetto ad altre impostazioni linguistico-filosofiche - la prima parte e la seconda si intitolano così significativamente "Filosofia del linguaggio e sua importanza per il marxismo" e "Verso una filosofia marxista del linguaggio" - ad una, nella terza parte, sua esemplificazione e risoluzione concreta dedicata allo studio dell'applicazione del metodo sociologico ai problemi di sintassi e concernente la "parola altrui" e il discorso riportato. Tale sviluppo viene così brillantemente e sinteticamente presentato da Jakobson nella prefazione all'edizione francese: "La prima e la seconda parte discutono acutamente i problemi della filosofia del linguaggio; in particolare la questione dei rapporti fra linguaggio e ideologia; il posto del linguaggio nella prospettiva della semiotica generale, il discorso interno e i problemi dell'introspezione, come pure la dialettica del linguaggio. La concezione saussuriana e la posizione crociana - con la sua connessa ascendenza romantica e humboldtiana (P.J.) - sono sottoposte ad una profonda analisi comparativa. I concetti di lingua, linguaggio e parole sono interpretati nei loro diversi ruoli sociali e in riferimento alla comunicazione interpersonale e intrapersonale. I ruoli di mittente e di destinatario sono chiariti, e la nozione di tema e di significato sono oggetto di uno studio comparativo. La terza parte, intitolata 'Per una teoria delle forme di espressione nelle costruzioni linguistiche: Studio dell'applicazione del metodo sociologico ai problemi di sintassi', presenta una magistrale indagine intorno ai problemi sintattici e in particolare alle relazioni fra le frasi. Questa parte esamina gli intricati problemi del discorso citato: 'oratio directa' e 'obliqua', e le loro varie modificazioni e sostituzioni. Materiali linguistici francesi, tedeschi e russi, sono analizzati da questo punto di vista con opportune osservazioni sul linguaggio colloquiale e poetico e con particolare attenzione alle implicazioni sociologiche delle varianti stilistiche" (cfr. Jakobson 1977, pp. 7-8). Volosinov insiste sull'importanza della terza parte affermando che essa è "una ricerca concreta su un problema di sintassi": diversamente si potrebbe dire che "l'idea principale di tutto il nostro lavoro - il ruolo produttivo e la natura sociale dell'atto di parola - manca di concretizzazione". E' necessario quindi per Volosinov "mostrarne il significato non solo sul piano di una concezione generale del mondo e di problemi principali della filosofia di linguaggio, ma anche in problemi particolari e peculiari della linguistica. Infatti se un'idea è esatta e produttiva, questa sua produttività deve mostrarsi ovunque" (Volosinov 1929, p. 52). In tal modo il pensiero di Volosinov si muove, coerentemente alla concezione storica-dialettica marxista, dal generale e dall'astratto verso il particolare e il concreto al fine di giungere ad una nuova sintesi teorica carica però di una nuova storica concretezza: 303 pertanto Marxismo e filosofia del linguaggio parte da problemi filosofici generali e giunge a problemi di linguistica generale e da essi a un problema più specifico situato al confine della grammatica (sintassi) e della stilistica, il tutto senza mai lasciare "l'idea generale" della socialità creativa della lingua e della parola. Infatti il postulato dal quale si articola la riflessione filosofico-linguistica di Volosinov è che la lingua, per il medium ineliminabile della socialità immanente dell'atto di parola, è sempre ideologicamente e culturalmente significativa, e che dunque, a loro volta, cultura e ideologia, storia e società trovano il loro principale canale espressivo nella parola (Nota 2). In tal modo Volosinov non solo mantiene e invera la correlazione dialettica marxiana di struttura-economica/sovrastruttura ideologica, ma formula una sua propria originale filosofia del linguaggio di libera ispirazione marxista. Questa originale riflessione appare anche risolutiva, come si vedrà in seguito, di alcune delle aporie delle principali teorie linguistiche a lui contemporanee e precedenti. In particolare Volosinov identifica i suoi obiettivi polemici in due tradizioni contrapposte grossomodo risalenti la prima al romanticismo tedesco e a Humboldt, la seconda al razionalismo franco-inglese a Cartesio e a Leibniz, e che portano oggi rispettivamente ai nomi di Vossler e Saussure. Per la prima "corrente" filosofico-linguistica, che considera come base del linguaggio "l'atto creativo individuale" Volosinov propone la definizione aspra e polemica di "soggettivismo individualistico": di essa fanno parte oltre a Humboldt, presente in qualità di "fondatore", linguisti e filosofi come Potebnja, Steinthal, Vossler, Croce ecc. Nella seconda "corrente" filosofico-linguistica si insiste invece tanto sul concetto di "sistema linguistico" - "stabile", "invariabile", "oggettivo" - che Volosinov, per definire quest'insieme di teorie, conia la definizione fortemente critica di "linguistica dell'oggettivismo astratto ipostatizzante". Credo infine sia opportuno ricordare, sulla scorta di una attenta slavista quale Matejka, che in Russia la tradizione linguistica humboldtiana era comunemente sentita 304 come opposta alla tradizione linguistica "cartesiana" e saussuriana (cfr. Matejka 1977, p. 148). Ferma questa ampia articolazione, analizzeremo per prima, anche per motivi logici ed in parte cronologici, la vasta temperie filosofica e linguistica del "soggettivismo linguistico" (Nota 3). 6.2 Esposizione del soggettivismo linguistico Caratteristica precipua secondo Volosinov della prima tendenza è che essa "considera base del linguaggio (per linguaggio intendendo tutte le manifestazioni linguistiche senza eccezioni) l'atto creativo individuale del discorso". Pertanto se "la fonte del linguaggio è la psiche individuale" e il linguaggio è "un processo continuo, una creatività incessante", ne segue che le leggi della creatività del linguaggio sono "le leggi della psicologia individuale e queste leggi sono esattamente ciò che il linguista e il filosofo del linguaggio dovrebbero studiare". Dunque spiegare un fenomeno linguistico significa "conformarlo ad un significativo (spesso anche discorsivo) atto individuale di creatività. Ogni altra cosa che il linguista fa ha soltanto un carattere preliminare, delineatorio, descrittivo, o classificatorio; è destinata soltanto a preparare il terreno per la vera spiegazione del fenomeno linguistico in termini di atto creativo individuale o a servire agli scopi pratici dell'insegnamento della lingua. Il linguaggio, così considerato, è analogo ad altri fenomeni ideologici, in particolare, all'arte - all'attività estetica" (cfr. Volosinov 1929, pp. 108-109). La concezione fondamentale del linguaggio della prima tendenza, il soggettivismo linguistico consta perciò, come precisato da Volosinov nelle stesse pagine, di questi quattro principi fondamentali: 305 1. Il linguaggio è attività, un processo incessante di creazione (energeia) realizzata in atti di parola individuali; 2. Le leggi della creatività del linguaggio sono le leggi della psicologia individuale; 3. La creatività del linguaggio è creatività significativa, analoga all'arte creativa; 4. La lingua come prodotto confezionato (ergon), come sistema stabile (lessico, grammatica, fonetica), è, per così dire, la crosta inerte, la lava indurita della creatività del linguaggio, di cui la linguistica fa un costrutto astratto ai fini dell'insegnamento pratico della lingua come strumento costituito". Se questi dunque i principi della corrente denominata da Volosinov "soggettivismo individualistico", estremamente interessante anche la ricostruzione storica di tale corrente. Secondo Volosinov "il rappresentante più importante della prima tendenza, colui che ne pose le fondamenta, fu Wilhelm von Humboldt" (1767-1835). Va però precisato che il pensiero di Humboldt ha esercitato un'influenza che va al di là della prima tendenza ed infatti correttamente ricorda Volosinov che "si può affermare che tutta la linguistica post-humboldtiana, fino ad oggi, ha sentito la sua determinante influenza. L'intero pensiero di Humboldt nella sua totalità non è racchiuso, inutile dirlo, nella struttura dei quattro principi che abbiamo esposto; è più ampio, più complesso e più contraddittorio, il che spiega come fu possibile per Humboldt diventare il maestro di tendenze e movimenti largamente divergenti". Ferma tale considerazione bisogna tuttavia affermare che "il nucleo delle idee di Humboldt può essere considerato come l'espressione più potente e più profonda degli orientamenti fondamentali esemplificati dalla prima tendenza" (Volosinov 1929, pp. 109110). 306 Per quel che riguarda gli sviluppi successivi Volosinov complessivamente ritiene che "i rappresentanti della prima tendenza che vennero dopo Humboldt non raggiunsero il livello della sua profondità e della sua sintesi filosofica". Rispetto a tale non esaltante panorama si stagliano le figure di Potebnja (1835-1891) e di Vossler (1872-1949). Con loro infatti, secondo Volosinov, "la prima tendenza della filosofia del linguaggio, avendo respinto i legami col positivismo, ha raggiunto di nuovo un forte sviluppo e una notevole ampiezza di vedute nella determinazione dei suoi compiti" (Nota 4). Ne è seguito in particolare che la scuola di Vossler sia "senza dubbio uno dei movimenti più potenti nel pensiero filosofico-linguistico contemporaneo" e che il "contributo specialistico positivo che i suoi aderenti hanno dato alla linguistica (nella filologia germanica e romanza) è anch'esso eccezionalmente grande. Basta soltanto nominare, tra gli altri, oltre allo stesso Vossler, alcuni dei suoi discepoli come Leo Spitzer" (1887-1960). A proposito di questa scuola Volosinov precisa ancora che il loro "punto di vista filosofico-linguistico generale ... è caratterizzato interamente dai quattro principi fondamentali che abbiamo indicato per la prima tendenza". Infatti "la scuola di Vossler è definita anzitutto dal suo rifiuto, decisivo e teoreticamente fondato del positivismo linguistico, con la sua incapacità di vedere al di là della forma linguistica ... e dell'elementare atto psico-fisiologico della sua generazione. In connessione con ciò, è stato portato in primo piano il fattore ideologico significativo nel linguaggio. L'impulso principale della creatività linguistica si dice che sia il gusto linguistico, una varietà particolare di gusto artistico. Il gusto linguistico è quella verità linguistica di cui vive il linguaggio e di cui il linguista deve tener conto in ogni manifestazione del linguaggio allo scopo di comprendere e di spiegare genuinamente la manifestazione in questione". In coerenza a ciò per Vossler e la sua scuola è davvero importante "soltanto il senso artistico di qualsiasi fenomeno linguistico dato", mentre invece tutti i fattori che hanno un 307 effetto determinante su un fenomeno linguistico (fattori fisici, politici, economici, e altri) non sono, a loro avviso, "di pertinenza diretta del linguista". Per Vossler, come precisamente ricordato da Volosinov "il pensiero linguistico è essenzialmente pensiero poetico; la verità linguistica è verità artistica, è bellezza significativa". Da tutto questo consegue che per Vossler la realtà fondamentale del linguaggio sia "non la lingua come sistema costituito, nel senso di un corpo di forme - fonetiche, grammaticali e altre - ereditate", ma "l'atto creativo individuale del discorso". Più in generale per quel che riguarda la generazione del linguaggio bisogna affermare, seguendo il pensiero di Vossler, che "la caratteristica vitale di ogni parte del discorso non consiste nelle forme grammaticali, che sono condivise, stabili e immediatamente usabili", ma "nella modificazione e concretizzazione stilistica di queste forme astratte, che individualizzano e caratterizzano come unica qualsiasi esecuzione data. Soltanto questa individualizzazione stilistica del linguaggio nell'espressione concreta è storica e creativamente produttiva. E' precisamente qui che il linguaggio è generato, per solidificarsi più tardi in forme grammaticali: tutto ciò che diventa un fatto di grammatica è stato una volta un fatto di stile. A questo equivale l'idea di Vossler della precedenza dello stile sulla grammatica". Riscontro di ciò è secondo Volosinov nel fatto che "la maggior parte degli studi linguistici pubblicati dalla scuola di Vossler stanno al confine tra la linguistica ... e la stilistica" e che "i vosleriani dirigono coerentemente i loro sforzi verso il discernimento delle radici ideologiche significative in ogni forma del linguaggio" (cfr. Volosinov 1929, pp. 111-113). A conferma della correttezza della ricostruzione di Volosinov possiamo ricordare che Spitzer, giustamente definito dal filosofo russo uno dei più brillanti discepoli di Vossler, in un saggio del 1928 affermava che Vossler concepisce "con Croce il linguaggio più come 308 espressione che come comunicazione", ed inoltre che egli "ravvicina ... il linguaggio all'estetica" (Spitzer 1928, p. 26). Sull'onda di questo riferimento a Croce possiamo ultimare questa panoramica storica del soggettivismo linguistico ricordando che, secondo Volosinov, tra i rappresentanti contemporanei della prima tendenza nella filosofia del linguaggio deve essere menzionato anche "il nome del filosofo e critico letterario italiano, Benedetto Croce (1866-1952), in considerazione della grande influenza da lui esercitata sul pensiero contemporaneo europeo nella filosofia del linguaggio e negli studi letterari". Per il filosofo russo infatti "le idee di Benedetto Croce sono vicine, sotto molti aspetti, a quelle di Vossler". In particolare anche per Croce "il linguaggio è un fenomeno estetico" e "il termine chiave, fondamentale nella sua concezione, è espressione". Per il filosofo italiano in realtà "qualsiasi genere di espressione è, alla radice, artistica. Di qui l'idea che la linguistica, come studio dell'espressione per eccellenza (che è lo strumento verbale), coincida con l'estetica. ... Ciò significa che anche per Croce l'atto individuale dell'espressione verbale, è la manifestazione fondamentale del linguaggio" (Volosinov 1929, p. 113). Ancora da un punto di vista di ricostruzione storica Volosinov nota che, mentre "la seconda tendenza della filosofia del linguaggio fu associata ... al razionalismo e al neoclassicismo", la prima tendenza, il soggettivismo individualistico, è associabile al romanticismo. Per Volosinov principale caratteristica del romanticismo fu l'essere "una reazione contro la parola straniera e contro le categorie del pensiero promosse dalla parola straniera. Il romanticismo fu, più particolarmente e più immediatamente, una reazione contro le ultime riaffermazioni del potere culturale della parola straniera - le epoche del Rinascimento e del neoclassicismo". Volosinov giunge a questa conclusione dalla constatazione che "i romantici furono i primi filologi della lingua materna, i primi a tentare una ristrutturazione radicale del 309 pensiero linguistico" ed infatti "la loro ristrutturazione si basava sull'esperienza della lingua materna come strumento attraverso cui sono generate la coscienza e le idee" (Volosinov 1929, p. 155). Se ad un approfondimento di tutto questo torneremo più avanti, possiamo procedere ora, con Volosinov, ad una caratterizzazione della seconda tendenza della filosofia del linguaggio. 6.3 Esposizione dell'oggettivismo linguistico astratto Secondo il filosofo russo "il centro organizzativo di tutti i fenomeni linguistici, quello che li rende l'oggetto specifico di una scienza speciale del linguaggio, si sposta nel caso della seconda tendenza su un fattore interamente diverso - sul sistema linguistico come sistema delle forme fonetica, grammaticale e lessicale del linguaggio". E dunque "se per la prima tendenza, il linguaggio è un flusso sempre corrente di atti del discorso in cui niente rimane fisso e identico a se stesso, per la seconda tendenza il linguaggio è un arcobaleno immobile inarcato su quel flusso": "ogni atto creativo individuale, ogni espressione, è idiosincratica e unica, ma ogni espressione contiene elementi identici ad elementi di altre espressioni del gruppo linguistico dato. E sono precisamente questi fattori -il fattore fonetico, quello grammaticale e quello lessicale che sono identici e perciò normativi per tutte le espressioni - ad assicurare l'unità della lingua data e la sua comprensione da parte di tutti i membri di una data comunità" (Volosinov 1929, p. 113114). Da questa premessa Volosinov desume i quattro "principi fondamentali" della seconda tendenza: 310 1 la lingua è un sistema stabile, invariabile, di forme linguistiche normativamente identiche che la coscienza individuale trova costituito e che per questa coscienza è incontestabile. 2 le leggi della lingua sono leggi specificamente linguistiche di connessione tra i segni linguistici in un dato sistema linguistico chiuso. Queste leggi sono oggettive rispetto a qualsiasi coscienza soggettiva. 3 Le connessioni specificamente linguistiche non hanno niente in comune con i valori ideologici (artistici, conoscitivi o altri). I fenomeni della lingua non si fondano su motivi ideologici. Tra la parola e il suo significato non si stabilisce nessuna connessione di tipo naturale e comprensibile per la coscienza, o di tipo artistico. 4 Gli atti individuali del parlare, sono, dal punto di vista della lingua, rifrazioni e variazioni semplicemente fortuite, o pure e semplici alterazioni di forme normativamente identiche; ma proprio questi atti del discorso individuale spiegano la variabilità storica delle forme linguistiche, una variabilità che, dal punto di vista del sistema della lingua, è in se stessa irrazionale e senza senso. Non c'è nessuna connessione, nessuna compartecipazione di motivi, tra il sistema della lingua e la sua storia. Sono estranei l'uno all'altra (cfr. Volosinov 1929, pp. 120 e 121). Ricordato con Volosinov che "tutte le idee della seconda tendenza sono state esposte con sorprendente chiarezza e precisione da Ferdinand de Saussure (1857-1913)" (Volosinov 1929, p. 122), possiamo, per verificare la legittimità della ricostruzione di Volosinov, accostare a quanto da lui affermato una pagina del grande linguista Benveniste. Afferma lo studioso contemporaneo francese in un passo di esplicita fedeltà saussuriana che "la novità del punto di vista saussuriano, uno di quelli la cui azione è stata più profonda, è consistita nel prendere coscienza del fatto che il linguaggio in sè non 311 comporta nessuna dimensione storica, che è sincronia e struttura e che non funziona se non in virtù della sua natura simbolica. Con questo non è tanto la considerazione storica che viene condannata, quanto un modo di atomizzare la lingua e meccanizzare la storia. Il tempo non è il fattore dell'evoluzione, ne è soltanto la cornice" (Benveniste 1966, p. 11). Non ci interessa in questa sede discutere la posizione di Benveniste (Nota 5), ma ci pare risulti confermata la presentazione complessiva data da Volosinov sia del pensiero di Saussure sia della corrente di cui è il più alto e conseguente esponente. Ferma questa caratterizzazione teorica secondo il filosofo russo è di gran lunga più complesso precisare le origini e lo sviluppo storico della seconda tendenza. Infatti non è possibile determinare in questo caso "nessun rappresentante, nessun fondatore pari a Wilhelm von Humboldt". Nondimeno "le radici di questa tendenza devono essere cercate nel razionalismo del XVII e del XVIII secolo" e possiamo dire che "queste radici risalgono a posizioni cartesiane". In realtà, secondo Volosinov, se non vi è "alcun dubbio che la seconda tendenza ha profonde connessioni interne col pensiero cartesiano e con la globale visione del mondo del neoclassicismo e con il suo culto per le forme fisse autonome razionali", è bene poi notare che le idee della seconda tendenza ricevettero "la loro prima espressione delineata in modo abbastanza chiaro nella concezione di Leibniz della grammatica universale" (cfr. Volosinov 1929, pp. 121, 122 e 271). Se infatti "l'idea della convenzionalità, dell'arbitrarietà del linguaggio è tipica del razionalismo nel suo complesso", non meno tipico è il "paragone tra la lingua e il sistema dei segni matematici. Ciò che interessa ai razionalisti inclini alla matematica non è la relazione del segno con la realtà effettiva che esso riflette, né con l'individuo che è il suo creatore, ma la relazione tra segno e segno in un sistema chiuso, già accettato e autorizzato; (...) essi sono interessati soltanto alla logica interna dello stesso sistema di segni, assunto, come in algebra, in modo completamente indipendente dai significati ideologici che danno ai segni il loro contenuto. (...) Il fatto è che il segno matematico è quello meno suscettibile 312 di essere interpretato come un'espressione della psiche individuale - ed è il segno matematico, che, in ultima analisi, i razionalisti considerano come l'ideale di qualsiasi segno, incluso il segno verbale. E' esattamente quanto è stato chiaramente espresso nell'idea di Leibniz della grammatica universale" (Volosinov 1929, pp. 121 e 122). A sostegno della sua posizione Volosinov ricorda il noto passo della lettera di Cartesio a Marino Mersenne - un grande fisico ma, come molti altri intellettuali seicenteschi scientificamente anche interessato a problemi di riforma linguistica - del 20 novembre 1629 scritta a proposito del problema della lingua universale e in cui si afferma che "esattamente come con relativamente pochi numeri si costruisce l'intero sistema dell'aritmetica, così con un numero limitato di segni linguistici, collegati secondo determinate regole di valore generale, si può fondamentalmente determinare l'intero corpus che include il pensiero e la sua struttura" (cfr. Cartesio, Correspondance, ed. AdamTannéry, I, pp. 80 e ss: per un trad. it. delle principali lettere cfr. Il pensiero di Cartesio, antologia degli scritti, a cura di G. Crapulli, Loescher, Torino 1970), e che questa analogia tra il sistema della matematica e il sistema della lingua venne poi espressa "anche più chiaramente nelle minute delle Charakteristik leibniziana" (Volosinov 1930, p. 223: cfr. per un trad. it. della "Characteristica" di Leibniz i suoi Scritti di logica, a cura di F. Barone, Zanichelli, Bologna 1968). A conferma di questa ricostruzione possiamo ricordare una pagina di Raffaele Simone scritta sotto l'egida di uno studioso del valore di Lepschy e in cui si afferma che "nel seicento furono numerossimi i tentativi di costruire lingue artificiali, e particolarmente rilevanti i dibattiti che li accompagnarono" e che "il modello di una lingua siffatta, da Cartesio fino a Leibniz, è costituito chiaramente dalla matematica": per questa corrente di pensiero infatti "le idee e i pensieri somigliano ai numeri, le combinazioni in cui essi intervengono sono concepite come le operazioni aritmetiche, i ragionamenti sono assimilati ai calcoli, meccanici e rigorosi a un tempo" (cfr. Simone 1990, p. 338; Eco 1993, passim). 313 Sul piano storico Volosinov poi ricorda che, sia pure in forma alquanto semplificata, "l'idea della lingua come sistema di segni arbitrari, convenzionali, di natura fondamentalmente razionale, fu proposta dai rappresentanti dell'età dell'illuminismo nel XVIII secolo" (Volosinov 1929, p. 122) e che se "Condillac paragona la lingua delle parole alla lingua dei calcoli" è con Maupertuis nelle sue Riflessioni filosofiche sull'origine delle lingue che "si celebra il trionfo del razionalismo astratto" (Volosinov 1929b, p. 223 e cfr. Maupertuis trad. it. Origine e funzione del linguaggio, a cura di L. Formigari, Laterza, Bari 1971). Fermo tutto ciò, ancora Simone ci ricorda che se l'importanza della riflessione linguistica di Condillac è stata riconosciuta solo recentemente, nondimeno, come correttamente ricordato da Volosinov, "l'importanza delle sue idee e la sua centralità nel dibattito filosofico-linguistico della sua epoca" ne avevano da subito fatto, e per riconoscimento di filosofi e studiosi quali Rousseau, Diderot, Cesarotti e Herder, "il punto centrale della riflessione linguistica settecentesca" (Simone 1990, pp. 363-364). Se il quadro della ricostruzione storica di Volosinov ci pare complessivamente esatto, va però detto che, per quello che riguarda il principio saussuriano della arbitrarietà, "il rinvio a Leibniz ... è perlomeno discutibile" (De Mauro 1979, p. 348). E'indubitabilmente esatto invece che le idee dell'oggettivismo astratto esercitavano ancora, nel momento in cui Volosinov pubblicava quest'opera, il loro potere in modo predominante in ambito francese. Infatti fino alla terza decade del secolo il movimento denominato da Volosinov come oggettivismo astratto trovava "la sua espressione più singolare nella cosiddetta scuola di Ginevra di Ferdinand de Saussure". Volosinov aveva così ragione di affermare che i suoi rappresentanti ed in particolare De Saussure e Charles Bally, erano tra "i linguisti più eminenti" di quel tempo. In particolare nota Volosinov che se "tutte le idee della seconda tendenza sono state esposte con sorprendente chiarezza e precisione da Ferdinand de Saussure" e se le sue formulazioni dei concetti fondamentali della linguistica possono essere considerate come 314 "classiche", Saussure ha portato poi "pertinacemente, le sue idee alle loro conclusioni, definendo tutte le linee fondamentali dell'oggettivismo astratto in modo eccezionalmente preciso e rigoroso" (Volosinov 1929, pp. 122 e 123). Sinteticamente e per concludere possiamo dire che se "la questione dei legami tra la visione della lingua di Descartes e Leibniz e le concezioni linguistiche della scuola di Ginevra - scilicet di Saussure P.J. - aspetta ancora chi la studi", è fuori di dubbio per Volosinov che "qui come lì risuona un unico motivo: la lingua dei simboli verbali e la lingua dei simboli matematici sono sistemi chiusi rigorosamente analoghi, all'interno dei quali agiscono leggi immanenti e specifiche che non hanno niente in comune con le leggi dell'ordine ideologico" (Volosinov 1929b, p. 224). 6.4 Critica dell'oggettivismo linguistico astratto Se questa è dunque l'ampia prospettiva storica in cui Volosinov colloca "l'oggettivismo astratto", va comunque notato che "più che in questo o in quell' autore o in qualche indirizzo filosofico-linguistico particolare" le matrici originarie di tale tendenza nello studio del linguaggio "vanno soprattutto ricercate ... in una particolare sfera di interessi teorici ... propri dell'analisi filologica" (cfr. Ponzio 1992, pp. 173-177). Infatti "alla base delle modalità del pensiero linguistico che porta a postulare la lingua come sistema di forme normativamente identiche si trova una concentrazione teorica e pratica dell'attenzione sullo studio di lingue straniere, morte, conservate in documenti scritti. Questo orientamento filologico ha determinato l'intero corso del pensiero linguistico nel mondo europeo in misura assai considerevole. (...) Il pensiero linguistico europeo prese forma e maturò grazie all'interesse per i cadaveri delle lingue scritte; quasi tutte le sue categorie fondamentali, tutte le sue tecniche e i suoi passi fondamentali furono elaborati nel processo di riesumazione di questi cadaveri. Il filologismo è l'inevitabile segno distintivo 315 dell'intera linguistica europea così come è stata determinata dalle vicende storiche della sua nascita e del suo sviluppo. Per quanto indietro nel tempo possiamo andare nel tracciare la storia delle categorie e dei metodi linguistici, troviamo filologi dovunque. Non solo gli alessandrini, ma anche gli antichi romani erano filologi, come lo erano i greci (Aristotele è un tipico filologo). (...) Possiamo affermare immediatamente: la linguistica fa la sua apparizione dove e quando è apparsa una necessità filologica. La necessità filologica dette alla luce la linguistica" (Volosinov 1929, pp. 137-138). In coerenza a questa impostazione per la quale la linguistica "studia una lingua viva come se fosse morta e la lingua materna come se fosse straniera", Volosinov riformula ed amplia criticamente, alla fine del secondo capitolo della seconda parte della sua opera, le caratteristiche che sono alla base dell'oggettivismo astratto nel seguente modo: 1. Privilegia il fattore dell'auto-identità permanente nelle forme linguistiche rispetto alla loro mutabilità. 2. Privilegia l'astratto rispetto al concreto. 3. Privilegia la sistematizzazione astratta rispetto alla realtà storica. 4. Privilegia le forme degli elementi rispetto alla forma del complesso. 5. Reifica l'elemento linguistico isolato in quanto si trascura la dinamica del linguaggio. 6. Singolarizza il significato e l'accentuazione della parola in quanto trascura la sua viva polivalenza semantica e accentuativa. 316 7. Propone la nozione della lingua come prodotto già pronto, trasmesso per tradizione da una generazione all'altra. 8. Mostra una incapacità di tematizzare il processo generativo interno di una lingua. Sinteticamente possiamo dire che gli errori più gravi dell'oggettivismo astratto risultano essere per Volosinov l'aver considerato la lingua nella sua dimensione sincronica e astorica e dunque di non essere riuscito a dare una giustificazione al mutamento storico delle forme linguistiche. E' facile rilevare che, secondo Volosinov, esso è pertanto incapace di "legare insieme l'esistenza della lingua nella sua dimensione sincronica, astratta, con l'evoluzione della lingua" (Volosinov 1929, p. 152). Nel reificare il sistema della lingua e nel considerare la lingua viva come se fosse morta e straniera l'oggettivismo astratto fa della lingua qualcosa di esterno al flusso storico della comunicazione verbale. La considerazione della lingua come sistema di forme normativamente identiche è il risultato di un processo di astrazione che, se è funzionale allo studio delle lingue straniere, è inaccettabile sia oggettivamente - la lingua è infatti soggetta a un continuo processo di trasformazione - sia dal punto di vista soggettivo, del parlante-ascoltatore, per il quale è imprescindibile l'adattabilità del segno verbale a nuovi contesti. Per far ciò, ossia per ridurre il valore comunicativo della lingua ed enfatizzare quello meramente segnaletico, l'oggettivismo astratto, ed è questo il suo secondo errore, ha dovuto rifiutare "la natura profondamente ideologica dell'espressione linguistica" e ha rinunciato a considerare il fatto che le parole sono sempre veicoli ideologici e che il significato di una parola è determinato interamente dal suo contesto storico, ossia che è l'accentuazione valutativa ed ideologica ciò che fa di una forma linguistica astratta una parola storicamente determinata (cfr. Volosinov 1929, p. 152-153). 317 In altre parole l'oggettivismo astratto non ha compreso la differenza tra segno e segnale, tra comprensione e identificazione. Infatti l'oggettivismo astratto, proponendo una concezione della lingua come sistema di forme normativamente identiche, non avverte che essa non può servire da base per la comprensione e per la spiegazione dei fatti linguistici così come esistono e come diventano operanti nella realtà. Per Volosinov naturalmente, da tutto ciò, non deriva che i fattori della segnalizzazione e del suo correlato, l'identificazione, siano "assenti" dalla lingua: "essi sono presenti, ma non sono costitutivi della lingua come tale. Sono dialetticamente cancellati dalla nuova qualità del segno cioè, del linguaggio come tale). Nella lingua materna del parlante, cioè, per la coscienza linguistica di un membro di una particolare comunità linguistica, l'identificazione del segnale è cancellata certamente in modo dialettico. Nel processo di approfondimento di una lingua straniera, la segnalità e l'identificazione si fanno ancora sentire, per così dire, e devono ancora essere superate, non essendo diventata la lingua ancora pienamente lingua. L'ideale nella padronanza di una lingua è che la segnalità si risolva in pura segnità e l'identificazione in pura comprensione" Volosinov 1929, p. 135) (Nota 6). Al contrario il sistema normativo proposto dall'oggettivismo astratto "ci conduce lontano dalla realtà viva, dinamica, della lingua e delle sue funzioni sociali". Inoltre, nonostante il fatto che i teorici dell'oggettivismo astratto rivendichino un significato sociologico al loro punto di vista, "alla base della teoria dell'oggettivismo astratto ci sono presupposti di una visione razionalistica e meccanicistica del mondo". Secondo Volosinov questi presupposti sono "i meno capaci di fornire le basi per una comprensione appropriata della storia - e la lingua, in definitiva, è un fenomeno puramente storico" (Volosinov 1929, p. 153). L'oggettivismo astratto inoltre, "assumendo il sistema della lingua e considerandolo come punto cruciale dei fenomeni linguistici, ha rifiutato l'atto di parola -l'espressione considerandolo qualcosa di individuale" (Volosinov 1929, p. 154). 318 Alla luce di questa concezione Volosinov in particolare contesta a Saussure, capofila contemporaneo dell'oggettivismo astratto, la rigida contrapposizione langue / parole e l'incomprensione che "lo stesso atto di parole, momento della creatività linguistica, è un fatto sociale" (Ferrario 1977, p. 240). Tale errore deriva non solo da una scorretta impostazione linguistica, ma più in generale da un'angusta concezione del termine sociale, comune comunque a tutte queste tradizioni linguistiche e sulla quale abbiamo già a lungo insistito nel capitolo quinto e nei paragrafi precedenti. Secondo Volosinov dunque non è possibile, sulla base di questa tendenza, accedere al problema dell'espressione né, di conseguenza, al problema della generazione verbale del pensiero e della psiche soggettiva. Tale errata impostazione ha una origine complessa ed articolata che Volosinov concentra in una pagina davvero mirabile e che, parzialmente già citata, ci pare opportuno riportare per intero per concludere e sintetizzare gli spunti polemici finora presentati. Afferma Volosinov: "Caratteristica di tutto il razionalismo è l'idea della convenzionalità, dell'arbitrarietà del linguaggio e non meno caratteristica è la comparazione del sistema della lingua con il sistema dei segni matematici. Non la relazione del segno con la realtà oggettiva da esso riflessa o con l'individuo che lo ha generato bensì la relazione tra segno e segno all'interno del sistema chiuso, accettato e ammesso una volta per tutte, interessa i razionalisti, data la loro inclinazione per la matematica. In altre parole essi sono interessati soltanto alla logica interna del sistema stesso dei segni, preso, come in algebra, indipendentemente dai significati ideologici che li riempiono. I razionalisti possono al limite tenere conto della visuale dell'ascoltatore ma non tengono affatto conto della visuale del parlante in quanto egli esprime la sua vita interiore. Infatti il segno matematico non può essere affatto considerato espressione della psiche individuale ed il segno matematico era per i razionalisti il modello ideale di qualsiasi segno, ivi compreso quello linguistico. Bisogna notare a questo punto che il primato della visuale dell'ascoltatore rispetto a quella 319 del parlante rimane una caratteristica costante della seconda tendenza. Da ciò deriva che in questa tendenza non è possibile impostare i problemi dell'espressione e di conseguenza il problema della formazione del pensiero e della psiche soggettiva nella parola" (Volosinov 1929b, p. 173). Se pertanto restano valide alcune impostazioni problematiche dell'oggettivismo astratto, esso è nel suo complesso, secondo Volosinov, da respingere. Per concludere vorremmo tornare su uno dei principali punti della concezione linguistica di De Saussure. Ci pare di grande rilievo il fatto che De Mauro, uno dei maggiori interpreti della opera di De Saussure, precisi "l'evidente carattere dialettico" della distinzione langueparole, la quale costituisce assieme al principio dell'arbitrarietà, "'la prima verità' del suo sistema di linguistica generale". Tale aspetto però non fu sufficientemente compreso ed anzi la tradizione esegetica corrente interpretò, forzando il pensiero di De Saussure, la distinzione tra langue e parole come "la distinzione tra due realtà scisse e contrapposte, due cose diverse, l'una nella società, l'altra nell'anima degli individui" (De Mauro 1979, pp. 387-388). Se dunque possiamo notare che anche Volosinov, per evidenti motivi storici e polemici, rimase legato a tale impostazione, è altresì possibile avvertire una profonda consonanza tra la sua impostazione e l'autentica interpretazione delle teorie di De Saussure. Alla luce di questa considerazione ci pare più corretto dire che Volosinov avesse inteso colpire attraverso il nome di De Saussure, non tanto la concezione dialettica del linguista ginevrino, quanto una meccanicistica impostazione filosofico-linguistica. 6.5 Critica del soggettivismo linguistico 320 Per Volosinov il punto cruciale del soggettivismo individualistico è esattamente l'incomprensione di cosa sia l'atto di parola - l'espressione. Secondo il filosofo russo il soggettivismo individualistico definisce questo atto come "qualcosa di individuale e perciò si sforza di spiegarlo in termini di vita psichica individuale del soggetto parlante. In ciò sta il suo proton pseudos". In realtà prosegue Volosinov "l'atto di parola o, più precisamente, il suo prodotto l'espressione - non può essere considerato in nessun caso un fenomeno individuale nel senso esatto della parola e non può essere spiegato in termini di condizioni psicologiche o psicofisiologiche individuali del soggetto parlante. L'atto di parola, l'espressione (parole) è un fenomeno sociale" (Volosinov 1929, p. 154). Il soggettivismo individualistico invece considera l'atto di parola monologico ed individuale come "realtà basilare e punto di partenza della sua riflessione sulla lingua". A che cosa equivale, dunque, l'atto di parola monologico nella visione del soggettivismo individualistico? Secondo Volosinov la definizione proposta da tale corrente filosofico-linguistica è: "qualcosa che, avendo assunto, in qualche modo, forma e definizione nella psiche di un individuo, è oggettivata per gli altri esternamente con l'aiuto di segni esterni di qualche tipo". Ne segue così che per tale impostazione filosofico-linguistica vi siano "due elementi nell'espressione: quel qualcosa di interno che è esprimibile, e la sua oggettivazione esterna per gli altri (o forse per se stessi)". Dunque "qualsiasi teoria dell'espressione, per quanto possa assumere una forma complessa o indefinibile, presuppone inevitabilmente questi due elementi - l'intero evento dell'espressione si esaurisce in essi. (...) La teoria dell'espressione presuppone inevitabilmente un certo dualismo tra elementi interni ed esterni e l'esplicita supremazia dei primi, dal momento che ogni atto di oggettivazione (espressione) va dall'interno verso l'esterno. Le sue fonti sono all'interno" (Volosinov 1929, pp. 156-157). 321 In coerenza a ciò prosegue Volosinov "le sue basi furono le basi idealistiche e spiritualistiche le uniche basi su cui sorsero la teoria del soggettivismo individualistico e tutte le teorie dell'espressione in generale". Infatti, data una tale impostazione, "tutto ciò che è di reale importanza si trova all'interno; l'elemento esterno può assumere un'importanza reale solo diventando un recipiente per l'elemento interno, diventando espressione dello spirito. (...) In ogni caso tutte le forze creative e organizzative dell'espressione sono all'interno. Tutto ciò che è esterno è semplicemente materiale passivo per la manipolazione dell'elemento interno. L'espressione viene formata fondamentalmente all'interno e soltanto in seguito si sposta all'esterno. Da questa argomentazione risulterebbe che anche la comprensione, l'interpretazione, e la spiegazione di un fenomeno ideologico devono essere dirette verso l'interno; devono attraversare una strada che è l'inverso di quella dell'espressione. Cominciando dalla oggettivazione esterna, la spiegazione deve scendere a poco a poco nelle sue basi interne, organizzative. Questo è il modo in cui il soggettivismo individualistico intende l'espressione", ed è per questo che "la teoria dell'espressione che è alla base della prima tendenza della filosofia del linguaggio è fondamentalmente insostenibile" (Volosinov 1929, pp. 157-158). Complessivamente possiamo dire che la debolezza di questa posizione era data dall'incapacità di comprendere la logica delle regole linguistiche e la loro innata socialità. Esse infatti "non possono mai essere ipostatizzate in forme neoplatoniche generate da individui a partire dalla pura energia della loro personale soggettività" e dunque le leggi del linguaggio non possono essere, come creduto da questa scuola, le leggi della psicologia dell'individuo (cfr. Clark-Holquist, pp. 288-289). In questo senso la filosofia idealistica della cultura e gli "studi culturali psicologistici" malgrado le loro profonde differenze metodologiche, commettono lo stesso tipo di errore: "collocano l'ideologia nella coscienza" (Nota 7). Di conseguenza "la coscienza individuale da parte sua è privata di qualsiasi supporto nella realtà. Essa è divenuta tutto o niente. Per l'idealismo essa è divenuta tutto: la sua 322 dimora è da qualche parte al di sopra dell'esistenza e la determina. Di fatto, comunque, questa sovrana dell'universo è semplicemente l'ipostatizzazione idealistica di un legame astratto tra le forme e le categorie più generali della creatività ideologica" (cfr. Volosinov 1929, pp. 60 e 61). Sinteticamente possiamo dire che "il soggettivismo (linguistico) individualistico ha torto nel considerare l'atto di parola monologico, proprio come fa l'oggettivismo astratto, come suo fondamentale punto di partenza" (Volosinov 1929, p. 172). Volosinov dunque respinge questa impostazione "psicolinguistica" perché essa aveva "come assiomi il primato esplicito degli elementi interni su quelli esterni, del monologo sul dialogo e dell'espressione sulla comunicazione" (cfr. Ferrario 1977, p. 231) (Nota 8). Crediamo che agissero su Volosinov nel prendere questa posizione almeno due diverse tradizioni risalenti la prima al linguista polacco Baudouin de Courtenay (18451929), docente a Kazan, a Cracovia e a Pietroburgo, l'altra a Husserl e al suo referente russo Gustav Spet (1878-1940). Possiamo ricostruire questo denso passaggio filosofico-linguistico seguendo ancora le attente indagini di Ferrario e di Ponzio. Afferma Ferrario che nella riflessione "pietroburghese" di Baudouin, la connessione tra aspetto ideologico e linguistico delle espressioni verbali si venne precisando, in antitesi con l'impostazione ancora soggettivistica di Humboldt (e della sua scuola P.J.), come consapevolezza del fatto che la contrapposizione tra langue e parole "non fosse riducibile ad una opposizione tra prodotto sociale e attività individuale, nella misura in cui lo stesso atto di parole, inquadrato nella sua dimensione comunicativa, è un fatto sociale e la langue offre ai parlanti possibilità di scelta che rendono possibile la stessa attività creativa". Prosegue poi Ferrario ricordando che "la concezione della lingua come fatto dinamico-collettivo ritornerà pressoché in tutti i lavori della scuola 'pietroburghese', da quelli di Scerba, a quelli di Polivanov e Jakubinskij; che tra l'altro ripresero e svilupparono il marcato orientamento sociolinguistico baudouiniano verso la problematica della 323 comunicazione e lo studio dei diversi tipi di espressione verbale in rapporto ai contesti in cui si realizzano" (cfr. Ferrario 1977, pp. 124-125). Precisa infatti Ponzio che "il lavoro della scuola formale, con tutti i suoi precursori nell'ambito filosofico linguistico (Potebnija, Baudouin de Courtenay, Saussure, Husserl, Spet, ecc.) oltre all'orientamento marxista ... costituisce una base dei 'prolegomeni (russi) alla semiotica' .... delineati da Marxismo e filosofia del linguaggio" (cfr. Ponzio 1992, p. 123). Un ruolo particolare in questo senso lo gioca per Volosinov il saggio del 1923 di Jakubinskij "Sul discorso dialogico", scritto da uno degli esponenti più alti della scuola formalista e più volte ricordato da Volosinov (cfr. Volosinov 1929, p. 276; Volosinov 1929b, p. 249). Per quel che riguarda Husserl, Volosinov, pur contestando implicitamente al filosofo tedesco di non aver colto con correttezza la distinzione tra segno e segnale (cfr. Nota 6), intuisce l'importanza del suo pensiero in funzione antipsicologistica tanto da definire le Ricerche logiche una vera e propria "bibbia dell'antipsicologismo". Afferma Volosinov che "all'inizio del ventesimo secolo, sperimentammo una di quelle forti ondate di antipsicologismo che certamente non era la prima nella storia e il cui esito furono i lavori programmatici di Husserl, il principale rappresentante dell'antipsicologismo (e) i lavori dei suoi seguaci intenzionalisti fenomenologici" (cfr. Volosinov 1929, p. 90). Tra questi un ruolo particolare in Russia lo svolse Gustav Spet che fin dal 1917 in un articolo dal titolo "Origine e fine della psicologia etnica" nel quale "muovendo da premesse radicalmente divergenti da quelle delle scuola baudouiniana - cioè dalla categoria husserliana dell'intersoggettività e dal postulato fenomenologico di uno studio del linguaggio al di fuori di considerazioni di ordine psicologico (più esattamente: di psicologia individuale) notava come lo studio della comunicazione apriva un campo di ricerca che rendeva del tutto inadeguate le formulazioni della psicologia individuale" (Ferrario 1977, pp. 231 e 232) e prendeva posizione, come giustamente ricordato da 324 Ponzio, contro "la tendenza a confondere linguistica e psicologia, tendenza che si era già avvertita in studiosi del diciannovesimo secolo con Wundt, Steinthal e Lazarus. La comunicazione sosteneva Spet è una strada a doppio senso che implica un rapporto sociale" e costituisce un nuovo campo d'indagine (cfr. Ponzio 1976, p. 20 e cfr. Ponzio 1992, p. 123-124) (Nota 9). 6.6 Linguistica, psicologia e scienze umane E'alla luce di tutto questo che Volosinov propone, contro le più significative correnti di pensiero contemporaneo, una nuova ridefinizione e una nuova interpretazione dello statuto della linguistica e della psicologia all'interno dello sviluppo delle scienze umane come scienze ideologiche. Afferma con risolutezza Volosinov che "il fatto è, in definitiva, che la personalità parlante, i suoi progetti, le sue intenzioni soggettive e i suoi consapevoli accorgimenti stilistici non esistono fuori della loro materiale oggettivazione nella lingua. Senza un modo di rivelarsi nella lingua, sia pure soltanto nel discorso interno, la personalità non esiste né per sé né per gli altri; può illuminare e prendere conoscenza, in sé stessa, soltanto di ciò per cui c'è materiale oggettivo, illuminante, la luce materializzata della coscienza nella forma di parole, giudizi di valore, e accenti istituiti. La personalità soggettiva interna con la propria autoconsapevolezza non esiste come fatto materiale utilizzabile come base per una spiegazione causale, ma esiste come ideologema. La personalità interna con tutte le sue intenzioni soggettive e con tutte le sue profondità interne non è nient'altro che un ideologema - un ideologema che è di carattere vago e fluido finché non raggiunge una definizione nei prodotti più stabili e più elaborati della creatività ideologica. Perciò, non ha senso cercare di spiegare i fenomeni e le forme ideologiche con l'aiuto delle intenzioni e dei fattori psichici soggettivi: ciò significherebbe 325 spiegare un ideologema di maggior chiarezza e precisione con un altro ideologema di carattere più vago e più confuso. La lingua illumina la personalità interna e la sua coscienza; la lingua la crea e la dota di complessità e di profondità - e non avviene il contrario. La personalità è essa stessa generata attraverso la lingua, non tanto ... nelle forme astratte della lingua, quanto nei temi ideologici della lingua. La personalità dal punto di vista del contenuto interno soggettivo, è un tema della lingua, e questo tema subisce uno sviluppo e una variazione nella direzione delle costruzioni più stabili della lingua. Di conseguenza, una parola non è un'espressione della personalità interna; piuttosto la personalità interna è una parola espressa o spinta verso l'interno" (Volosinov 1929, pp. 253-254) (Nota 10). La prima questione di importanza fondamentale che sorge una volta che ci muoviamo in questa direzione sta nel definire oggettivamente quella che Volosinov chiama "l'esperienza interna". Una tale definizione secondo il filosofo russo "deve includere l'esperienza interna nell'unità dell'esperienza esterna, oggettiva. Che tipo di realtà è quella della psiche soggettiva? La realtà della psiche interna è la stessa realtà del segno. Non c'è psiche fuori del materiale dei segni; ci sono processi fisiologici, processi del sistema nervoso, ma non c'è nessuna psiche soggettiva esistente come una particolare qualità esistenziale fondamentalmente distinta tanto dai processi fisiologici che avvengono nell'organismo quanto dalla realtà che circonda l'organismo dall'esterno, a cui la psiche reagisce e che in un modo o nell'altro riflette. Proprio per la sua natura esistenziale, la psiche soggettiva deve essere collocata da qualche parte tra l'organismo e il mondo esterno, sulla linea di demarcazione che separa queste due sfere della realtà. E' qui che ha luogo un incontro tra l'organismo, e il mondo esterno, ma l'incontro non è fisico: l'organismo e il mondo esterno si incontrano qui nel segno. L'esperienza psichica è l'espressione segnica del contatto tra l'organismo e l'ambiente esterno. Ecco perché la psiche interna non è analizzabile come una cosa ma può essere soltanto compresa e interpretata come un segno" (Volosinov 1929, p. 82). 326 Partendo da questa impostazione Volosinov attacca in funzione antiidealistica da un lato i rappresentanti della psicologia funzionale (Brentano, Stumpf, Meinong, ecc.) (Nota 11), dall'altro Simmel e Dilthey. Per quel che riguarda l'impostazione dei teorici della psicologia funzionale Volosinov ritiene che essi si fondino su "punti di vista principalmente kantiani, comunemente ritenuti idealisti". Infatti con questi ultimi "oltre alla psiche individuale e alla coscienza individuale soggettiva ... provvedono ad assicurarsi una 'coscienza trascendentale', una 'coscienza per sé', o un 'puro soggetto epistemologico' e simili. E in questo regno trascendentale ... collocano il fenomeno ideologico nella sua opposizione alla funzione psichica individuale" (Volosinov 1929, p. 89 e cfr. anche pp. 60, 61 e 266) (Nota 12). Ad un altro livello si colloca il filosofo e sociologo Georg Simmel, di cui abbiamo già parlato nei precedenti capitoli. Infatti Volosinov riconosce che egli ha compiuto "l'analisi più profonda e interessante di questa ... reciproca azione dialettica tra segni esterni ed interni - tra psiche e ideologia". Nondimeno è necessario anche affermare che egli non ne ha mai dato, proprio per i suoi limiti idealistici, "una comprensione appropriata o un'espressione adeguata". Simmel ha infatti inteso "questa azione reciproca in una forma tipica della speculazione borghese contemporanea - quella della 'tragedia della cultura' o, più esattamente la tragedia della personalità soggettiva che crea cultura. Questa personalità creativa ... cancella se stessa, la sua soggettività, e la sua autentica 'personalità' nel prodotto oggettivo che essa stessa crea. La nascita di un valore culturale oggettivo comporta la morte dell'anima soggettiva". Più in generale secondo Volosinov il limite fondamentale della concezione di Simmel è che per il filosofo ebreo-tedesco "esiste una discrepanza inconciliabile tra la psiche e l'ideologia: egli non riconosce il segno come una forma della realtà comune tanto alla psiche quanto all'ideologia. Inoltre, benché sociologo, egli trascura totalmente di valutare la natura interamente sociale della realtà ideologica, come pure della realtà psichica. Sia l'uno che l'altro tipo di realtà sono, in ultima analisi, una rifrazione proprio 327 della stessa esistenza socio-economica. Come risultato, la vitale contraddizione dialettica tra la psiche e l'esistenza assume per Simmel la forma di un'antinomia fissa, inerte, - una 'tragedia', ed egli tenta invano dl superare questa inevitabile antinomia facendo ricorso ad una dinamica, colorata metafisicamente, del processo della vita" (Volosinov 1929, p. 101). Volosinov ritiene pertanto che la complessiva proposta di Simmel vada ricondotta alla "contemporanea filosofia della vita" e che essa si inquadri, più in generale, nella complessa temperie filosofica "psicologistica" che caratterizza gli anni Venti. Infatti se, per Volosinov e come già ricordato, "all'inizio del ventesimo secolo vi fu una forte ondata di antipsicologismo legata specialmente a Husserl e ai suoi discepoli fenomenologhi, ora invece negli anni Venti "l'ondata di anti-psicologismo ha incominciato a decrescere" e "un'ondata di psicologismo nuova ed evidentemente molto potente sta per prendere il suo posto. Una forma di psicologismo alla moda è la filosofia della vita. Sotto questa etichetta, lo psicologismo più sbrigliato ha occupato ancora una volta, con straordinaria velocità, tutte le posizioni, che aveva recentemente abbandonato, in tutte le branche della filosofia e dello studio ideologico. L'ondata di psicologismo che sopraggiunge non porta con sé nessuna idea nuova circa i principì essenziali della realtà psichica. In antitesi con la precedente ondata di psicologismo (o psicologismo empirico-positivistico della seconda metà del XIX secolo, il cui rappresentante più tipico fu Wundt), il nuovo psicologismo è incline a interpretare l'esistenza interna, il fenomeno elementare dell'esperienza in termini metafisici" (Volosinov 1929, pp. 90 e 91). Abbiamo ora tutti gli strumenti per comprendere l'attacco frontale che Volosinov scatena contro Dilthey, la cui "influenza determinante" è riconosciuta universalmente ed in particolare, come ricorda lo stesso Volosinov, dai membri "più insigni delle scienze umane nella Germania contemporanea" al punto che "si potrebbe affermare che praticamente tutti gli studiosi umanisti tedeschi contemporanei di tendenza filosofica dipendono, in misura maggiore o minore, dalle idee di Wilhelm Dilthey" (cfr. Volosinov 1929, pp. 266 e 83). 328 Afferma Volosinov che se "l'idea di una psicologia comprensiva e interpretativa è molto vecchia ... essa ha trovato recentemente la sua più ampia suffragazione in connessione alle esigenze metodologiche delle scienze umane, cioè delle scienze ideologiche. Il difensore più acuto e valido di questa idea fu, in tempi recenti, Wilhelm Dilthey". Per Dilthey, seguendo l'attenta ricostruzione di Volosinov, "non era tanto importante che l'esperienza psichica soggettiva esistesse, nel modo in cui di una cosa si può dire che esiste, quanto che avesse significato. Quando trascuriamo questo significato nel tentativo di giungere alla pura realtà dell'esperienza, ci troviamo di fatto, secondo Dilthey, di fronte ad un processo fisiologico dell'organismo e nel frattempo perdiamo di vista l'esperienza proprio come quando trascuriamo il significato di una parola, perdiamo la parola stessa e ci troviamo di fronte al suo semplice suono fisico e al processo fisiologico della sua articolazione. Ciò che fa della parola una parola è il suo significato. Ciò che fa dell'esperienza un'esperienza è anche il suo significato. E solo a rischio di perdere l'essenza stessa della vita psichica, interna, può essere trascurato il significato. Perciò la psicologia non può continuare a spiegare le esperienze in modo causale, come se fossero analoghe a processi fisici o fisiologici. La psicologia deve perseguire il compito di comprendere, descrivere, segmentare e interpretare la vita psichica, proprio come se fosse un documento sottoposto ad analisi filologica. Solo tale genere di psicologia descrittiva ed interpretativa è capace, secondo Dilthey, di servire da base per le scienze umane, o come egli le chiama, le scienze dello spirito". L'errore che Volosinov imputa a Dilthey è che la sua concezione si sia sviluppata "su posizioni idealistiche" ed è infatti "su queste stesse posizioni che rimangono i suoi seguaci". In realtà secondo Volosinov bisogna riconoscere che "l'idea di una psicologia comprensiva ed interpretativa è connessa molto strettamente a certi presupposti del pensiero idealistico e si può dire che, sotto molti aspetti, è una idea specificamente idealistica. 329 In verità, la psicologia interpretativa, nella forma in cui fu istituita per la prima volta e ha continuato a svilupparsi fino ad oggi, è idealistica e inaccettabile dal punto di vista del materialismo dialettico. Ciò che è inaccettabile soprattutto è la precedenza metodologica della psicologia sull'ideologia". Per Volosinov "Dilthey e gli altri rappresentanti della psicologia interpretativa sostengono che la loro psicologia dovrebbe fornire la fondazione delle scienze umane. L'ideologia è spiegata in termini di psicologia come espressione e incarnazione della psicologia e non viceversa. Veramente, si dice che la psiche e l'ideologia coincidono, che hanno un comune denominatore - il significato - in virtù del quale sia l'una che l'altra vengono distinte allo stesso modo da tutto il resto della realtà. Ma l'accento cade sulla psicologia e non sull'ideologia". Oltre a ciò, secondo Volosinov, vanno mossi altri due rimproveri a Dilthey. In primo luogo egli e i suoi seguaci non tengono "conto del carattere sociale del significato" e non hanno - ed è questo è il proton pseudos di tutta la loro concezione, - "alcuna nozione del vincolo essenziale tra il significato e il segno, nessuna nozione della natura specifica del segno". Sinteticamente possiamo dire che egli "è interessato non a spiegare la psiche in base al segno ideologico, ma proprio come qualsiasi altro idealista, il segno in base alla psiche: per Dilthey un segno diventa un segno soltanto nella misura in cui esso serve come mezzo di espressione della vita interna. E quest'ultima, egli sostiene, conferisce il proprio significato al segno. Sotto questo aspetto, la concezione di Dilthey persiste nella tendenza comune di tutto l'idealismo: rimuovere ogni senso, ogni significato dal mondo materiale e collocarlo in uno Spirito a-spaziale e a-temporale" (cfr. Volosinov 1929, pp. 82-84). Fermo tutto questo ampio sviluppo possiamo ora passare ad analizzare la proposta di Volosinov di ridefinizione del ruolo della linguistica e della filosofia del linguaggio all'interno di una rifondazione complessiva delle scienze dello spirito come scienze umane e ideologiche, "tentativo tra i pochissimi seri ed intelligenti di riconsiderazione critica delle 330 concezioni filosofico-linguistiche di studiosi come Cassirer, Husserl, Saussure, e delle teorie stilistiche ed estetiche di Croce, Vossler e della scuola di Ginevra" (Ferrario 1977, p. 226), non meno che di quelle, sempre presenti a Volosinov, di Marx e Freud. 6.7 L'interazione socioverbale: la proposta di Volosinov Per giungere a formulare la propria proposta Volosinov riassume e ricoordina ancora una volta vantaggi e svantaggi delle posizioni del soggettivismo e dell'oggettivismo linguistico ed afferma che "la teoria dell'espressione che è alla base del soggettivismo individualistico deve essere respinta. (Infatti) il centro organizzativo di qualsiasi espressione, di qualsiasi esperienza, non è dentro ma fuori - nell'ambiente sociale che circonda l'individuo. Soltanto il grido inarticolato di un animale è realmente organizzato dall'interno dell'apparato fisiologico di una creatura individuale. Un tale grido manca di qualsiasi fattore ideologico positivo vis à vis con la reazione fisiologica. Eppure anche la più primitiva delle espressioni umane prodotte dall'organismo individuale è, dal punto di vista del suo contenuto, della sua importanza, e del suo significato, organizzata fuori dell'organismo, nelle condizioni extraorganiche dell'ambiente sociale. L'atto di parola come tale è interamente un prodotto dell'interazione sociale". Ancora per quel che riguarda l'atto di parola individuale (parole), esso secondo Volosinov e malgrado le opinioni dell'oggettivismo astratto, è "ben lungi dall'essere un fatto individuale, non suscettibile di analisi sociologica" e questo in virtù della sua costitutiva socialità immanente (cfr. Volosinov 1929, pp. 170 e 171). Bisogna poi riconoscere che "il soggettivismo individualistico fa un'analisi corretta quando afferma che gli atti di parola individuali sono ciò che costituisce la realtà concreta, effettiva della lingua, e che hanno un valore creativo nella lingua. Ma il soggettivismo individualistico ha torto quando ignora e non riesce a comprendere la natura sociale 331 del]'atto di parola e tenta di far derivare l'atto di parola dal mondo interno del soggetto parlante come espressione di questo mondo interno. La struttura dell'atto di parola e della stessa esperienza che viene espressa è una struttura sociale. La conformazione stilistica di un atto di parola è una conformazione di tipo sociale, e lo stesso flusso verbale di atti di parola, che è ciò a cui equivale effettivamente la realtà del linguaggio, è un flusso sociale. Ogni goccia di questo flusso è sociale e l'intera dinamica della sua generazione è sociale". Ancora secondo Volosinov il soggettivismo individualistico "fa un'analisi del tutto corretta anche quando dice che la forma linguistica e il suo riempimento ideologico non sono separabili. Ogni parola è ideologica ed ogni applicazione della lingua comporta un mutamento ideologico. Ma il soggettivismo individualistico ha torto nella misura in cui deriva anche questo riempimento ideologico della parola dalle condizioni della psiche individuale. Il soggettivismo individualistico ha torto nel considerare l'atto di parola monologico, proprio come fa l'oggettivismo astratto, come suo fondamentale punto di partenza" (cfr. Volosinov 1929, pp. 171 e 172). Fermo tutto questo afferma Volosinov di essere in grado di rispondere alla domanda che si era posto alla fine del primo capitolo della seconda parte del suo studio e formulata proprio sulla scorta delle aporie delle due tradizioni filosofico-linguistiche e da lui analzzate così a fondo e precisamente: qual'è dunque "il vero centro della realtà linguistica: l'atto individuale del discorso - l'espressione (parole) - o il sistema della lingua? E qual'è il modo reale di esistere della lingua: l'incessante generazione creativa o l'inerte immutabilità di norme identiche a se stesse?" (Volosinov 1929, p. 128). Secondo Volosinov "la realtà effettiva del linguaggio non è il sistema astratto delle forme linguistiche , né l'atto di parola monologico e isolato, e neanche l'atto psicofisiologico della sua effettuazione, ma è l'evento sociale dell'interazione verbale compiuto in uno o più atti di parola". 332 Così, superando le contrapposte concezioni ed integrandole in una superiore sintesi dialettica Volosinov afferma che "l'interazione verbale è la realtà fondamentale della lingua" (Volosinov 1929, pp. 172-173) (Nota 13). Nella sostanza -afferma un attento lettore di Volosinov quale Williams - ciascuna posizione, pur nella sua radicale diversità, deriva dal medesimo errore: "la separazione dell'attività dotata di significato sociale da quella dotata di significato individuale". Prosegue Williams: "Così, partendo dai punti nodali delle due tradizioni alternative, Volosinov dimostrò la fondamentale debolezza loro propria, ponendoli l'uno a fianco dell'altro, e in questo modo aprì la strada a un nuovo genere di teoria", capace di concepire l"attività' (cardine dell'impostazione idealista a partire da Humboldt) come 'attività sociale', e di vedere il 'sistema' (cardine della nuova linguistica oggettivista) in relazione a quell'attività sociale e non, come era avvenuto fino a quel momento, formalmente separata da essa" (cfr. Williams 1977, pp. 47 e 48). Alla luce di tutto questo Volosinov ritiene opportuno alla fine del capitolo intitolato significativamente "L'interazione verbale" schematizzare la propria proposta nella seguente serie di proposizioni: 1. La lingua come sistema stabile di forme normativamente identiche è semplicemente un'astrazione scientifica, produttiva soltanto in connessione con certi particolari scopi pratici e teoretici. Questa astrazione non è adeguata alla realtà concreta della lingua. 2. La lingua è un processo generativo continuo realizzato nell'interazione socioverbale dei parlanti. 333 3. Le leggi del processo generativo della lingua non sono affatto le leggi della psicologia individuale, ma neppure possono essere separate dall'attività dei parlanti. Le leggi della generazione della lingua sono leggi sociali. 4 La creatività linguistica non coincide con la creatività artistica né con qualsiasi altro tipo di creatività ideologica specializzata. Ma, allo stesso tempo, la creatività linguistica non può essere compresa indipendentemente dai significati e dai valori ideologici che la riempiono. Il processo generativo della lingua, come qualsiasi processo generativo storico, può essere percepito come una cieca necessità meccanica, ma può anche diventare una 'necessità libera' una volta che ha raggiunto la condizione di necessità conscia e desiderata. 5 La struttura di un atto di parola è una struttura puramente sociale. L'atto di parola, come tale, si stabilisce tra due parlanti. L'atto di parola individuale (nel senso stretto della parola 'individuale') è una contradictio in adiecto. Se dunque questa la posizione di Volosinov rispetto al problema della lingua e della linguistica (Nota 14), possiamo ora ridefinire correttamente la funzione della poetica come estetica speciale della creazione artistica verbale . 6.8 Poetica e linguistica La riflessione sullo statuto dell'estetica speciale della creazione artistica accompagna parallelamente lo studio più strettamente linguistico di Volosinov e trova spazio, oltre che nelle pieghe delle sue opere maggiori, in modo specifico nei saggi "La parola nella vita e nella poesia" del 1926 e "Poetica e linguistica" del 1929, e stampato nel 1930. 334 Prima di iniziare l'analisi del saggio "La parola nella vita e nella poesia", sarà opportuno ricordare che esso "propone l'analisi di atti linguistici concreti della parola nei suoi contesti situazionali, individuando, nell'enunciazione al livello del linguaggio comune, elementi che si ritrovano organizzati in maniera peculiare nell'arte verbale" (Ponzio 1992, p. 32). Ciò premesso particolare rilievo assume la definizione di opera d'arte data da Volosinov in questo contesto: afferma il critico russo che, se tutte "le formazioni ideologiche sono intrinsecamente, immanentemente sociologiche", "immanentemente sociale è anche l'arte" (Volosinov 1926, pp. 22 e 23; per posizioni analoghe espresse da Medvedev e Bachtin rimandiamo ai passi più volte citati). Da questa considerazione segue la teorizzazione di una "poetica sociologica", o "poetica storica", ossia di una estetica speciale del fatto letterario capace di comprenderne ad un tempo la specificità e la storicità del fenomeno indagato, e il loro dialettico riconnettersi. E' proprio a partire da questa concezione che deriva la polemica sia contro "il feticismo [...] nella scienza dell'arte" (Volosinov 1926, p. 23 e cfr. Medvedev 1928, p. 318) sia contro il sociologismo meccanicistico proprio, tra gli altri, del "professor P. N. Sakulin" (per un giudizio analogo espresso utilizzando le stesse pagine della stessa opera cfr. Medvedev 1928, pp. 107-108 e cfr. Volosinov 1926, p. 247). Volosinov infatti ritiene che "tra teoria e storia dell'arte (...) non deve esserci nessuna separazione metodologica (...). Le categorie storiche si applicano ovviamente proprio in tutti i campi delle scienze umanistiche, siano esse storiche o teoretiche" (Volosinov 1926, p. 247). Posto tutto questo, non stupisce di trovare nel saggio di Volosinov del 1926 la definizione dell'opera d'arte come sintesi di forma e contenuto ottenuta attraverso la mediazione imprescindibile del materiale e la connessa polemica contro l'estetica formalista come variante russa contemporanea dell'estetica materiale. Così Volosinov afferma che "la forma [...] si realizza con l'aiuto del materiale [...] ma il suo significato fuoriesce dai limiti del materiale. Il significato, il senso della forma non sono correlati al 335 materiale bensì al contenuto" (Volosinov 1926, p. 44). Da ciò consegue che la forma per Volosinov possa essere analizzata "in due direzioni" e cioè "rispetto al contenuto" e "rispetto al materiale" (Volosinov 1926, p. 45); in nessun caso va però accettato di definire la "forma artistica" come "forma del materiale" (Volosinov 1926, p. 44). Viene così ribadito non solo il rifiuto del formalismo russo ma il ritenerlo una variante dell'estetica materiale (cfr. Volosinov 1926, pp. 24 e 44). Troviamo qui riesposta e riformulata la polemica di Bachtin contro "il peccato originale di tutta l'estetica contemporanea in generale: la predilezione per gli elementi" e la connessa "incapacità di spiegare la totalità dell'opera", e pertanto il rifiuto dell'estetica espressiva e dell'estetica impressiva (cfr. Bachtin 1922c, p. 60 e passim e cfr. i nostri precedenti capitoli). In particolare Volosinov afferma che "l'analisi sociologica può essere correttamente e produttivamente applicata alla teoria dell'arte, e in particolare alla poetica, solo se ci si allontana da due concezioni erronee che riducono moltissimo gli ambiti dell'arte isolandone soltanto alcuni momenti. Possiamo definire la prima di queste teorie feticizzazione dell'opera-oggetto artistica. Attualmente questo feticismo è predominante nella scienza dell'arte. Il campo visivo del ricercatore si limita all'opera d'arte stessa che viene analizzata come se essa esaurisse tutta l'arte. Il creatore e i fruitori restano fuori dal campo di osservazione. La seconda teoria al contrario si limita allo studio della psiche del creatore o del fruitore (tra le quali il più delle volte viene semplicemente posto un segno di uguaglianza). Secondo questa teoria le emozioni vissute dal fruitore o dal creatore esauriscono l'arte". Sinteticamente possiamo dire con Volosinov che, mentre la prima teoria riduce la ricerca estetica al solo studio del materiale, la seconda si ostina a cercare l'estetico nella psiche del fruitore o dell'autore: "in ultima analisi ambedue le teorie peccano dello stesso difetto: esse tentano di trovare nel particolare il generale; spacciano la struttura di una 336 parte, stralciata astrattamente dalla totalità, per la struttura della totalità" (cfr. Volosinov 1926, pp. 23-25). Al contrario, secondo Volosinov, "l'artistico, nella sua interezza non si trova né nell'oggetto, né nella psiche presa isolatamente del creatore, né nella psiche del fruitore; l'artistico abbraccia tutti e tre questi elementi. Esso rappresenta una forma particolare di relazione tra creatore e fruitore che viene fissata nell'opera artistica" Ne segue che "compito della poetica sociologica è capire questa particolare forma di scambio comunicativo sociale che si realizza e si consolida nel materiale dell'opera d'arte". L'opera d'arte per Volosinov "diviene artistica soltanto nel processo d'interazione tra creatore e fruitore in quanto elemento sostanziale di quest'interazione. (...) Tratto caratteristico dello scambio comunicativo estetico è il fatto che esso si realizza pienamente con la creazione dell'opera d'arte e con la sua costante riproduzione creativa da parte del fruitore e non necessita di altre oggettivazioni. Ovviamente però questa forma particolare di scambio comunicativo non è isolato: esso è partecipe del flusso della vita sociale, riflette in sé la base economica comune ed ha una relazione ed uno scambio di forze con altre forme di comunicazione" (cfr. Volosinov 1926, pp. 23-26) (Nota 15). Per concludere l'approccio a queste problematiche è necessario definire con più esattezza i rapporti tra linguistica e poetica ed individuare i limiti che separano la poetica dalla linguistica: questo infatti per Volosinov è "uno dei principali problemi per la scienza letteraria marxista". Per il filosofo russo in realtà "fino a quando si confonderanno in modo acritico e scientificamente non fondato le categorie estetiche con quelle linguistiche", non solo si permetterà "a psicologismo e positivismo di infiltrarsi nella poetica", ma sarà anche "impossibile" fondare una teoria scientifica della letteratura di libera ispirazione marxista (cfr. Volosinov 1929b, p. 201). Sinteticamente possiamo dire che se la poetica non può prescindere dall'analisi linguistica, essa d'altro canto non può ridursi a quest'ultima: "l'autonomia che la scuola di 337 Bachtin attribuiva alla poetica nei confronti della linguistica significava dunque fondazione della poetica nella dimensione metalinguistica dell'enunciazione" (Ferrario 1977, p. 234), una dimensione cioè nella quale la lingua come astrazione diviene parola concreta e storicamente determinata. L'estetica della creazione letteraria sarà dunque l'analisi della specificità e della storicità della parola artistica in un dato contesto storico ed artistico. Volosinov dunque definisce la scienza della letteratura come il "campo di studio dei sistemi linguistici in quanto si ristrutturano in una dimensione semiotica specifica", quella cioè "dello studio ... della letteratura come un sistema costruito sulla lingua primaria ma irriducibile alle sue categorie" (cfr. Ferrario 1977, p. 235). (Per un approfondimento rimandiamo alla prima parte della seconda edizione della monografia bachtiniana di Ponzio, significativamente intitolata "La specificità della parola letteraria"). 6.9 Dialogicità della parola e filosofia del dialogo Abbiamo detto in sede di apertura, e questa sarà anche la nostra osservazione conclusiva, che Volosinov insiste sull'importanza della terza parte pur affermando che essa "non è che una ricerca concreta su un problema di sintassi". In realtà il tema della terza parte - il problema dell'atto di parola altrui - ha secondo Volosinov che qui segue palesemente Bachtin "di per sé una grande importanza che fuoriesce abbondantemente dai limiti della sintassi" (Nota 16). Non solo infatti "una intera serie di fenomeni letterari di grande importanza - il discorso dell'eroe (o in generale la struttura dell'eroe) la narrazione, la stilizzazione, la parodia, non sono altro che diverse rifrazioni del discorso altrui" tanto che "la comprensione di questo discorso e del complesso sociologico di norme che lo regola è la necessaria condizione per uno studio fruttuoso di tutti i fenomeni letterari da noi enumerati" (Volosinov 1929, p. 52), ma 338 troviamo qui, in una ricerca storica e concreta di sintassi, la fondazione linguistica della filosofia del dialogo e dell'azione responsabile propria di tutto il Circolo di Bachtin. Non seguiremo quindi le brillanti analisi di Volosinov sul discorso "indiretto libero, in francese, inglese, russo , ecc., ma ci soffermeremo sui risultati ultimi in termini filosofico-linguistici ed antropologici di questa "ricerca sintattica". Afferma Volosinov che "il problema del significato è uno dei problemi più difficili della linguistica. Gli sforzi fatti per risolvere questo problema hanno rivelato e messo particolarmente in forte risalto il monologismo unilaterale della scienza linguistica (Nota 17). La teoria della comprensione passiva preclude qualsiasi possibilità di assumere le caratteristiche più cruciali e più fondamentali del significato nella lingua. (...) Una distinzione tra tema e significato e una comprensione appropriata della loro interdipendenza sono passi vitali nella costruzione di una scienza autentica dei significato. (...) La distinzione tra tema e significato acquista particolare chiarezza a proposito del problema della comprensione, a cui ora accenneremo brevemente. Abbiamo già avuto occasione di parlare del tipo filologico di comprensione passiva, che esclude in anticipo la risposta. Qualsiasi tipo genuino di comprensione sarà attivo e costituirà il germe di una risposta. Soltanto la comprensione attiva può afferrare il tema - un processo generativo può essere compreso soltanto con l'aiuto di un altro processo generativo. Comprendere l'espressione di un'altra persona significa orientarsi in riferimento ad essa, trovarle il posto appropriato nel contesto corrispondente. Per ogni parola dell'espressione che ci accingiamo a comprendere, noi, per così dire, formuliamo una nostra serie di parole in risposta. Più grande è il loro numero e il loro peso, più profonda e più sostanziale sarà la nostra comprensione. In questo modo, ognuno degli elementi significativi distinguibili di un'espressione e l'intera espressione come entità intera sono tradotti nella nostra mente in un altro contesto attivo e rispondente. Qualsiasi vera comprensione è di natura dialogica (Nota 18). La comprensione sta all'espressione come una battuta di un dialogo sta alla successiva. La comprensione si sforza di accoppiare la 339 parola del parlante ad una parola contraria. Soltanto nell'atto di comprendere una parola di una lingua straniera si cerca di accoppiarla alla 'stessa' parola nell'ambito della propria lingua. Perciò, non c'è alcun motivo per dire che il significato appartiene alla parola in quanto tale. In sostanza, il significato appartiene a una parola nel suo impiego tra parlanti; cioè, il significato è realizzato soltanto nel processo della comprensione attiva, rispondente. Il significato non risiede nella parola o nell'anima del parlante o nell'anima dell'ascoltatore. ll significato è l'effetto dell'interazione tra parlante e ascoltatore prodotto attraverso il materiale di un particolare complesso sonoro. E' come una scintilla elettrica che avviene soltanto quando due morsetti diversi sono agganciati insieme. Coloro che ignorano il tema (che è accessibile soltanto alla comprensione attiva, rispondente) e che, tentando di definire il significato di una parola, si avvicinano al suo limite più basso, stabile, identico a se stesso, vogliono, in effetti, accendere una lampadina elettrica dopo aver tolto la corrente. Soltanto la`corrente dello scambio verbale dota la parola della luce del significato" (Volosinov 1929, pp. 179, 183, 184). Ma perché possa avvenire questa "comprensione dialogica" è necessaria una "ripresa della parola ideologica - la parola con il suo tema intatto, la parola permeata di giudizio di valore sociale categorico e sicuro di sé, la parola che realmente significa e si assume la responsabilità di ciò che dice" (Volosinov 1929, p. 263). Non vi è arroganza in queste parole che costituiscono l'ultima pagina del libro di Volosinov ed anche di questa nostra tesi, ma coscienza che solo un'etica del dialogo e della responsabilità è in grado di rispondere alla crisi delle scienze umane e letterarie e di rifondarle come scienze dialogiche e autenticamente comprensive dell'altro, della sua parola, dei suoi gesti e dei suoi prodotti storici, siano essi etici, giuridici, artistici, ecc. o semplicemente quotidiani (Nota 19). 340